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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
1.
Martedì 8 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione del presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 3
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 11 14 15 19
Bassanini Franco, Presidente della Cassa depositi e prestiti ... 3 15
Cambursano Renato (IdV) ... 13
Duilio Lino (PD) ... 14
Franzoso Pietro (PdL) ... 14
Marchi Maino (PD) ... 12
Vannucci Massimo (PD) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 8 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROBERTO OCCHIUTO

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione del presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini.
Scusandomi per il ritardo, do la parola al presidente Bassanini, che abbiamo invitato all'odierna audizione soprattutto con riferimento alle questioni che riguardano le piccole e medie imprese, nell'ambito dell'indagine conoscitiva che stiamo conducendo.

FRANCO BASSANINI, Presidente della Cassa depositi e prestiti. Signor presidente, ringrazio lei e i suoi colleghi. Mi sono chiesto, naturalmente, qual è la ragione della mia audizione in questa importante indagine conoscitiva. Non è certamente quella di essere stato, in passato, per molti anni - ormai lontani - membro di questa Commissione. Ho pensato, allora, che la mia presenza oggi fosse dovuta al fatto che sui temi che sono oggetto della vostra indagine, quindi sui temi posti dalla comunicazione della Commissione europea, legati al Piano nazionale di riforma (PNR), c'è stato un lavoro importante di due organismi che mi trovo a presiedere: la Fondazione Astrid e la Cassa depositi e prestiti.
Riferirò, dunque, delle ricerche e delle proposte elaborate in queste due sedi, che possono contribuire al PNR sotto il profilo che il presidente indicava. Gli aspetti di cui parlerò sono possibili ingredienti di una ricetta per riprendere la strada della crescita, promuovere la competitività e accelerare la fiscal consolidation, cioè quel risanamento della finanza pubblica che è stato virtuosamente intrapreso negli ultimi anni dal Governo e dal Parlamento.
Credo che sia superfluo, in questa sede, notare che la ripresa della crescita è un fattore cruciale anche per la stabilità finanziaria e per il risanamento della finanza pubblica nel medio-lungo termine, come peraltro lo stesso rapporto della Commissione europea che state esaminando sottolinea
Il risanamento della finanza pubblica, la riduzione del debito, non si può condurre solo operando sul numeratore, cioè sul controllo della spesa, su cui dei buoni risultati sono già stati ottenuti, ma occorre operare anche in termini di crescita sul denominatore, cioè sull'aumento del PIL, che consente un aumento fisiologico delle entrate fiscali e la riduzione della spesa per trasferimenti sociali. Sottolineo che il documento della Commissione dice espressamente


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che, in mancanza di crescita, il risanamento di bilancio risulterà ancora più problematico.
Vengo ai punti sui quali, nelle due sedi che vi indicavo, abbiamo lavorato. Peraltro, mi sono permesso di portare qui alcuni dei rapporti che abbiamo pubblicato, che deposito agli atti della Commissione, per gli eventuali approfondimenti. In sede Astrid abbiamo lavorato molto sulla governance economica europea, anche perché la Fondazione nacque, all'inizio, per l'esigenza di fornire una sorta di staff al vicepresidente della Convenzione europea, Giuliano Amato, che negli anni 2001 e seguenti lavorò alla predisposizione della Costituzione europea, ahimè poi affossata dai referendum francese e olandese.
La strada intrapresa, a nostro giudizio, è quella giusta. È importante che il Governo italiano abbia dato un forte contributo in termini di impulso per questa iniziale nuova governance europea: armonizzazione delle politiche economiche fiscali, semestre europeo. Penso di dover qui sottolineare - consegneremo agli atti un volume che si occupa propriamente dei temi della governance europea - l'attenzione che è utile che anche questa Commissione ponga sulla effettiva realizzazione dei propositi e delle intenzioni.
Tornerò in seguito, poiché è un punto importante, su un caso in cui c'è un'evidente schizofrenia. Tra l'altro, l'abbiamo denunciata anche nella recentissima conferenza Eurofi svolta a Parigi in preparazione del G20 a presidenza francese. Pensavo di essere l'unico, nella mia relazione, a parlare di schizofrenia, ma il termine è stato usato da Jacques de Larosière e da molti altri. Mi riferisco alla evidente schizofrenia che già si verifica tra le reiterate affermazioni - contenute ormai in numerosissimi documenti politici della Commissione europea, a partire da quello sul mercato unico, sul Single Market Act, a quello sulla riforma del bilancio, sulla budget review - sulla necessità di avere un quadro regolatorio molto più favorevole agli investimenti privati di lungo termine e il comportamento che le burocrazie europee tengono, che è tuttora orientato a scoraggiare gli investimenti di lungo termine in economia reale, in infrastrutture, in ricerca, in energia e in ambiente, e a favorire invece investimenti finanziari a breve termine.
Sollecito, dunque, l'attenzione alla effettiva realizzazione delle proposte e delle intenzioni politiche, che sembrano orientate nella giusta direzione, ma che poi devono avere una qualche attuazione.
Sugli altri punti su cui abbiamo lavorato, che vorrei sottoporre alla Commissione, possiamo dire che riguardano il tema delle misure volte ad eliminare gli ostacoli alla crescita che, secondo la Commissione europea, devono costituire una parte essenziale del Piano nazionale di riforma. Come avete visto, nelle bozze di Piano pervenute, si sottolinea che su ciò - riforme strutturali, eliminazione di ostacoli alla crescita - c'è ancora troppo poco ed è una valutazione generale che riguarda, credo, tutti o quasi tutti i Paesi.
Al riguardo, un punto importante è sicuramente la riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro, suggerita anche dalla Commissione europea e - aggiungeremmo noi - sugli investimenti in innovazione, ricerca e infrastrutture. Qui il problema (ma non sono io a doverlo dire a voi) è come reperire le risorse. Non ci siamo occupati di questo, quindi non dirò nulla su questo punto, anche se è noto che il quadro davanti agli occhi riguarda un eventuale aumento, a compensazione della riduzione della pressione fiscale sulle imprese, sul lavoro e sugli investimenti, dell'imposizione sugli impieghi e le rendite finanziarie, un eventuale aumento dell'imposizione reale, delle imposte indirette e delle imposte ecologiche. Non sta a me, tuttavia, entrare nel merito di queste operazioni di riforma fiscale che sono sotto i vostri occhi, perché non ce ne siamo occupati a fondo.
La seconda misura - oggetto delle nostre ricerche e del nostro lavoro da molti anni - è il federalismo fiscale. Noi siamo convinti, credo come la maggioranza del Parlamento, che questo sia lo strumento fondamentale per ridurre la


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spesa senza ridurre la qualità e l'universalità dei servizi, ma a condizione che sia impostato e realizzato nel rigoroso rispetto dei suoi princìpi e obiettivi fondamentali: la responsabilizzazione delle istituzioni territoriali, riattivando il circuito della responsabilità tra prelievo e spesa, quindi autonomia e responsabilità fiscale delle istituzioni territoriali, una rigorosa allocazione delle risorse in relazione ai fabbisogni reali misurati sui costi delle prestazioni e dei servizi che ciascuna istituzione deve rendere ai cittadini sulla base di costi standard efficienti, meccanismi incentivanti e/o sanzionatori della efficienza o inefficienza della gestione delle amministrazioni, della erogazione dei servizi e della lotta all'evasione fiscale. Questi sono, in realtà, i princìpi della legge di delega.
I punti deboli che, sulla base delle nostre analisi - a cui faccio rinvio per le motivazioni e gli approfondimenti - ci sembrano emergere sono sostanzialmente tre.
Il primo riguarda, in realtà, una lacuna della stessa legge delega - che pure, a nostro avviso, è molto apprezzabile - la quale, devo dire, non è stata affrontata, in sede di elaborazione, da alcuno (per la verità neanche da noi), anche per la necessità di non dare messaggi che avrebbero potuto essere percepiti in modo sbagliato dall'opinione pubblica. Il punto è che gli stessi meccanismi di valutazione rigorosa dei fabbisogni standard, in relazione alle funzioni attribuite secondo costi standard efficienti, avrebbero dovuto essere applicati anche alle amministrazioni dello Stato e alle regioni a statuto speciale, in modo da determinare una allocazione complessiva delle risorse parametrata oggettivamente ai fabbisogni misurati secondo costi standard, secondo lo spirito della legge di delega.
Ciò non è previsto nella legge - anche se per le regioni a statuto speciale c'è qualche elemento positivo che va in questa direzione - per le amministrazioni dello Stato e potrebbe lasciare aperto qualche problema nell'allocazione finale delle risorse, dal momento che la dimensione della «torta» è definita, visto che la riforma non deve comportare un aumento della spesa pubblica e della pressione fiscale.
Il secondo punto «debole» è la complessità e difficoltà dell'attuazione dei princìpi e meccanismi della legge delega, per la necessità di disporre di molti dati, non solo su fabbisogni standard e costi standard, per i quali la SOSE, la Società per gli studi di settore, è al lavoro, ma anche sulla capacità fiscale di ciascun territorio, che correttamente la legge delega prevede sia uno dei criteri per determinare le dimensioni della perequazione che, attraverso il fondo perequativo, deve essere effettuata.
Questa complessità e difficoltà di attuazione suggerisce, a nostro avviso, l'opportunità di non avere paura di qualche limitata proroga nel procedimento di attuazione della delega. È meglio arrivare qualche mese in ritardo, piuttosto che arrivare male rispetto all'attuazione di una delega che è molto complessa e difficile.
Se posso citare un'esperienza personale, vorrei ricordare l'attuazione della legge n. 59 del 1997 di riforma dell'amministrazione, che prevedeva termini di delega molto brevi, che furono poi prorogati di diversi mesi, con tre successive brevi proroghe. Le brevi proroghe in Italia sono suggerite dal fatto che, se si decidono proroghe lunghe, c'è il rischio di aspettare gli ultimi mesi prima di cominciare a lavorare, quindi è meglio operare con proroghe successive.
Il terzo punto che segnalo, sulla base delle nostre ricerche, è il rischio (che si deve evitare) di qualche incoerenza con i princìpi della delega, magari per evitare qualche scelta impopolare che richiederebbe un forte impegno bipartisan a sostegno della riforma, che invece non sempre c'è. Mi riferisco, ad esempio, al rischio di contraddire il principio di responsabilizzazione, attribuendo ad alcune istituzioni territoriali tributi non gravanti principalmente sui residenti. Naturalmente, qualche tributo non gravante sui residenti, come l'imposta di soggiorno, è inevitabile ed esiste in tutti gli Stati federali. Ma se il punto di equilibrio tra i tributi gravanti


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sui residenti e i tributi gravanti sui non residenti dovesse spostarsi troppo nella seconda direzione, verrebbe meno l'obiettivo di responsabilità. In fondo, come noi sappiamo, il grande merito del federalismo fiscale - che la rende una riforma assolutamente strategica per il futuro del Paese, anche per ottenere i risultati della riduzione o contenimento della pressione fiscale - è la responsabilizzazione delle istituzioni territoriali, che rispondono direttamente ai cittadini della gestione delle risorse su cui, quindi, si attiva un controllo da parte degli stessi cittadini. Credo che sia inutile insistere su questo punto, che a voi è ben chiaro, ma che potrebbe essere «sporcato», nella sua attuazione, da un'eccessiva quota di cespiti tributari non gravanti effettivamente su quelli che votano per gli amministratori delle loro istituzioni territoriali.
Un secondo gruppo di misure o di riforme che è ricordato nella comunicazione della Commissione europea in esame e su cui vorrei fare qualche considerazione, dopo aver sottolineato la centralità del federalismo fiscale, sono le riforme strutturali che la Commissione indica come necessarie per migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e dei prodotti, per stimolare l'innovazione e creare condizioni che favoriscono l'attività imprenditoriale in Europa, oltre che per attrarre un maggior volume di investimenti nel settore privato.
Ci sono due tipi di riforme su cui Governo e Parlamento stanno - da tempo - lavorando con risultati importanti ma ancora parziali. Una di queste è la riduzione dei costi e dei tempi regolatori e burocratici, che sono uno dei fattori fondamentali che incidono sulla competitività delle imprese e, in modo particolare, delle piccole e medie imprese. Noi abbiamo appena pubblicato un rapporto sulla qualità della regolazione, che abbiamo intitolato significativamente «La tela di Penelope». In realtà, questo è un settore su cui da diversi anni si è colta l'esigenza di un intervento incisivo. Si sono anche registrati dei risultati importanti, ma sono ancora risultati parziali.
Il peso degli oneri regolatori e burocratici risulta ancora, in Italia, superiore a quello di gran parte dei Paesi europei. In particolare, oltre a una serie di suggerimenti specifici che lasciamo a chi vorrà leggere il rapporto, noi insistiamo su un punto: per quanto siano utili e importanti misure di autocertificazione, silenzio-assenso, DIA, SCIA (la segnalazione certificata di inizio attività), eccetera - credo di aver legato anche il mio nome ad alcune di queste misure - e quindi sia stato un bene introdurle attraverso progressivi avanzamenti, tuttavia esse non sono da sole la soluzione del problema. Difficilmente, infatti, soprattutto le imprese possono azzardarsi a fare investimenti impegnativi e difficilmente le banche e gli altri istituti finanziari possono fare aperture di credito, finanziamenti, mutui alle imprese, sulla base di semplici autocertificazioni.
La strada della semplificazione e accelerazione delle misure di autorizzazione deve essere percorsa parallelamente alla strada dell'autocertificazione, in modo da fornire a chi ne abbia bisogno la certezza che l'amministrazione ha valutato l'investimento, l'iniziativa, e non ha obiezioni. Soprattutto nei molti casi in cui la normativa è incerta e di incerta interpretazione, è abbastanza comprensibile che l'impresa, da un lato, e i suoi finanziatori, dall'altro, non si sentano di procedere sulla base di un'autocertificazione che può sempre incontrare l'esercizio, da parte dell'amministrazione, del potere di autotutela e quindi la messa in discussione dell'investimento effettuato.
Il secondo gruppo di misure, sotto questo aspetto, riguarda la liberalizzazione dei mercati e dei servizi. Su questo Astrid ha lavorato da molto tempo, cominciando da una ricerca su regolazione e mercato nei servizi di pubblica utilità che abbiamo voluto intitolare «Le virtù della concorrenza», per poi passare a un'ulteriore ricerca che riguarda «Infrastrutture, mercato e interesse pubblico» e che sottolinea come, mentre nel settore dei servizi è più facile che normalmente la competizione e il mercato producano effetti favorevoli alla competitività e alla crescita, nel settore


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delle infrastrutture, soprattutto delle infrastrutture in regime di monopolio naturale, occorre un esame molto più approfondito. Non di rado, infatti, la soluzione migliore è quella di avere infrastrutture al servizio di tutti gli operatori, limitando la concorrenza nel mercato esclusivamente al settore dei servizi.
Qui devo sottolineare - e credo sia inutile dirlo in questa sede - che incombe, su questo terreno, sul quale occorrerebbe fare ulteriori passi avanti nel senso della liberalizzazione di misure pro-competitive, il rischio di un salto all'indietro: tale rischio è costituito dai referendum cosiddetti sulla privatizzazione dell'acqua, che in realtà mettono in discussione l'intero decreto Ronchi-Fitto del 2009, quindi il punto a cui si è arrivati nella liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità.
Come voi sapete, questo referendum si presenta con la rivendicazione del mantenimento dell'acqua come bene pubblico, che peraltro è espressamente affermato dal decreto Ronchi-Fitto. Sottolineo che un esame approfondito che abbiamo fatto e che verrà pubblicato tra qualche giorno (ve lo manderò come risultato di questa ricerca) dimostra come in realtà il decreto Ronchi-Fitto coincida quasi integralmente (al 98 per cento, se posso quantificarlo) con il disegno di legge Napolitano-Vigneri, presentato dall'allora Ministro dell'interno Giorgio Napolitano, che arrivò nel 2001 sulla soglia del voto finale, dopo aver avuto al Senato un'approvazione quasi unanime, quindi assolutamente bipartisan. Come dicevo, c'è una coincidenza quasi completa tra i due testi e le differenze sono dovute probabilmente al passare degli anni (dieci anni non passano invano).
Voglio sottolineare che, in più, c'è oggi un argomento che 12-13 anni fa non c'era a favore della liberalizzazione nel settore dei servizi di pubblica utilità: il fatto che, nelle presenti condizioni della finanza pubblica statale, regionale e locale, è difficile che a carico delle finanze pubbliche si possano fare gli investimenti nel settore delle infrastrutture e dei servizi di pubblica utilità che sono necessari. Quindi, la liberalizzazione è la condizione per poter attrarre investimenti e capitali privati ed evitare di dovere destinare a questi settori risorse che sono necessarie, invece, nei settori nei quali l'investimento pubblico è inevitabile: penso alla scuola, alla sicurezza, all'inclusione sociale, alla difesa.
Se le scarse risorse pubbliche vanno destinate anche a settori in cui potrebbero essere - e sono, in molti Paesi - sostituite da investimenti privati, il risultato è che nei settori cruciali nei quali l'intervento dello Stato è inevitabile (perché sono settori a fallimento di mercato, o in gran parte a fallimento di mercato) non ci saranno risorse per poterlo fare.
Questo argomento era, dieci-dodici anni fa, molto meno evidente, mentre oggi è sotto i nostri occhi e dovrebbe spingere, quindi, a considerare questa prospettiva del referendum con molta preoccupazione.
Consentitemi di dire, a questo riguardo, che proprio per tale motivo considero la scelta di mantenere, secondo la costante tradizione italiana, separata la data del referendum da quella delle elezioni amministrative, francamente opportuna, perché riduce il rischio di un risultato referendario che costerebbe alle finanze pubbliche molto più del costo del «disabbinamento» tra elezioni amministrative e referendum.
Un ulteriore gruppo di norme che sono richiamate dalla comunicazione europea riguarda misure per favorire l'apertura e l'efficienza degli appalti pubblici che possono stimolare la concorrenza sui mercati interessati e ridurre notevolmente i costi per il settore pubblico. Noi abbiamo svolto sul tema due ricerche (una pubblicata e l'altra ormai in corso di pubblicazione), una intitolata «Lo Stato compratore» e l'altra «L'acquisto di beni e servizi nella Repubblica federale».
I progressi che ci sono stati nel nostro Paese a questo riguardo, centrati soprattutto sull'istituzione della Consip e sulle parallele «centrali acquisti» di molte regioni, sono evidenti. Tuttavia, nelle nostre ricerche abbiamo indicato una serie di altre misure che potrebbero rendere molto più fluido - e aprire ulteriormente - il mercato del public procurement, che ha


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effetti molto importanti, anche nel contesto del nuovo sistema federale, per favorire quelle piccole e medie imprese che da una eccessiva centralizzazione degli acquisti vengono sicuramente sfavorite.
La disponibilità di tecnologie informatiche consente di prevedere un coordinamento tra la gestione centralizzata da parte di Consip e una gestione molto articolata sul territorio del public procurement che, con poche modifiche rispetto all'assetto attuale, favorisca e non finisca invece per penalizzare le piccole e medie imprese, che sono spesso in condizione di poter effettuare forniture alle amministrazioni locali e alle strutture decentrate dello Stato a condizioni più favorevoli delle grandi imprese.
Vi è poi il tema della infrastrutturazione del Paese. Uno dei fattori di competitività delle imprese, e anche delle piccole e medie imprese, come sapete, è quello che è connesso alla riduzione dei costi della logistica, delle comunicazioni e dell'energia. La comunicazione della Commissione in esame sottolinea la necessità del potenziamento delle infrastrutture nei settori dell'energia sostenibile, dei trasporti e delle tecnologie dell'informazione.
Il problema, però, non è solo quello degli effetti positivi di riforme strutturali nel senso dell'incremento della competizione, ma è quello del reperimento delle risorse per gli ingenti investimenti che normalmente l'adeguamento del sistema infrastrutturale comporta.
Su questo io «cambio cappello», perché il lavoro a tale riguardo - anche se spesso con la collaborazione di Astrid - è stato svolto soprattutto, in questi ultimi anni, dalla Cassa depositi e prestiti. Negli ultimi anni abbiamo cominciato a lavorare molto su questo tema, come sapete - seguendo anche una precisa indicazione data dal Parlamento e dal Governo, che ha modificato le missioni e l'ordinamento della Cassa - impegnandoci a non essere più soltanto (cosa che ovviamente continuavamo e continuiamo a fare in modo prioritario) i finanziatori degli enti locali, ma anche a cercare altri strumenti, oltre ai prestiti agli enti locali, per sostenere la crescita e l'ammodernamento infrastrutturale del Paese.
I temi fondamentali - e su questo finisco la mia presentazione - sono quattro. Il primo, che si ricollega a quanto accennavo poco fa, è la questione dell'attrazione di capitali privati per investimenti a lungo termine, quali sono gli investimenti in infrastrutture di trasporto, in telecomunicazioni, in energia, ma in realtà anche quelli in innovazione.
La logica direbbe che ciò sta pienamente nel cuore dell'agenda Europa 2020, perché questi tipi di investimenti sono necessari per trasformare l'Europa in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività, competitività e coesione sociale, che è l'obiettivo che la strategia Europa 2020 propone.
Il problema è come riusciamo ad armonizzare l'esigenza di fiscal consolidation, di riduzione del deficit e dei debiti pubblici, che costituisce una priorità essenziale, fortemente ribadita dalla comunicazione della Commissione europea, con l'esigenza di disporre di risorse per questi tipi di investimenti.
La nostra riflessione all'inizio, in sede europea, sembrava quasi isolata. Ricordo che presentammo un paper alla conferenza Eurofi di Göteborg di due anni fa e, salvo Jacques de Larosière, autorevole ma isolato rappresentante del mondo della finanza europea, cadde quasi nella completa disattenzione, quando non in un clima di scetticismo. Ugualmente, del resto, caddero in un clima di scetticismo, inizialmente, le proposte effettuate dal Ministro Tremonti per il lancio degli eurobond e per i fondi europei per il finanziamento delle infrastrutture.
In due anni le cose sono molto cambiate e c'è, oggi, un quasi unanime consenso sulla necessità di una serie di interventi volti a cambiare il regime delle preferenze nella destinazione degli impieghi privati. Oggi regole e incentivi favoriscono quasi sempre gli impieghi finanziari a breve termine e penalizzano gli impieghi a medio-lungo termine in investimenti


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reali, in infrastrutture, in energia, in innovazione, in ricerca, salvo eccezioni.
Ebbene, una delle eccezioni che qualcuno giudica addirittura eccessiva è il sistema delle regole e degli incentivi per gli investimenti in energie rinnovabili, non solo in Italia, ma in molti altri Paesi europei ed extraeuropei. Questo quadro regolatorio per le energie rinnovabili ha prodotto, come tutti voi sapete, un forte sviluppo di investimenti privati e di finanziamenti privati nello sviluppo di impianti di energia rinnovabile. Non c'è nulla di simile, salvo pochissime eccezioni, per tutti gli altri investimenti a lungo termine che sono fattori importanti di crescita e di competitività. Non c'è nulla di simile per gli investimenti in infrastrutture di trasporto, in infrastrutture di telecomunicazione e in reti elettriche e in impianti di produzione di energia elettrica non rinnovabile. Non c'è nulla di questo genere per gli investimenti nel ciclo idrico (acquedotti), nello smaltimento dei rifiuti e così via, eppure sono infrastrutture altrettanto importanti, se non altrettanto utili, oggi, ai fini di un'azione anticiclica per rimettere in moto e accelerare la crescita, e un domani ai fini della crescita di medio-lungo termine e della competitività.
Su questo punto, alla fine di questi due anni di dibattito, alcuni risultati parziali ci sono. Ricordavo precedentemente che è quasi un leitmotiv della Commissione europea inserire nei suoi documenti politici che non si possono aumentare le risorse di bilancio europee, ma quello che si può e si deve fare è creare un regulatory framework, un quadro regolatorio che smetta di discriminare gli investimenti a lungo termine in economia reale e in infrastrutture e, invece, possibilmente li favorisca, in modo da togliere quella che oggi è una distorsione nelle preferenze per gli impieghi di capitali privati.
È chiaro che i capitali privati oggi sono invogliati a fare investimenti finanziari in genere a breve termine, perché sono trattati meglio dal punto di vista delle regole contabili (International Accounting Standards), dal punto di vista delle regole di supervisione (Basilea 2 oggi e Basilea 3 domani, o Solvency II per quanto riguarda le assicurazioni), dal punto di vista del trattamento fiscale, salvo l'eccezione delle energie rinnovabili.
I risultati, però, sono parziali, così come parziali sono i risultati ottenuti sul terreno degli strumenti finanziari, laddove hanno cominciato - dopo due anni dalla iniziale proposta di Tremonti che riprendeva una proposta di molti anni fa di Jacques Delors - a funzionare i primi fondi europei. Si tratta di fondi di investimenti equity, che quindi finanziano la parte più pregiata e più difficile da reperire degli investimenti in infrastrutture e ricerche, fondi ancora di dimensioni insufficienti rispetto alle esigenze. Tuttavia, il meccanismo dei fondi europei si è messo in moto, dimostrando come - se me lo consentite - il principio delle cooperazioni rafforzate alla fine funziona, nel senso che sono partiti pochi Paesi, insieme alla BEI, e a poco a poco se ne sono aggiunti molti altri.
Oggi, per esempio, nel fondo «Marguerite» per gli investimenti nelle infrastrutture europee, i Paesi partecipanti sono ormai più della metà dei Paesi dell'Unione europea, quindi il meccanismo ha cominciato a funzionare.
Ci sono forti resistenze ancora sugli eurobond, soprattutto da parte tedesca e dei Paesi nordici. C'è, però, ormai - quando ne parlammo a Göteborg sembrava che parlassimo di cose marziane - un commitment preciso della Commissione europea e della BEI sui project bond. Questi ultimi hanno funzionato negli Stati Uniti, come sapete, perché sono dotati di forti incentivi fiscali. La comunicazione della Commissione europea e le ultime decisioni della BEI propongono che sui project bond ci sia una garanzia dell'Unione europea o della BEI.
Da questo punto di vista, i project bond potrebbero essere un passo importante in direzione degli eurobond: se effettivamente ci sarà una garanzia dell'Unione europea, ancorché i project bond non siano emessi dall'Unione e siano emessi dai responsabili dei singoli grandi progetti infrastrutturali, alla fine la garanzia europea finirebbe per


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dare loro un significato non diverso, sostanzialmente, da quello degli eurobond.
Non si verifica, invece, ancora niente sul terreno del quadro regolatorio perché, nonostante tutte le critiche, Basilea 3 sta andando avanti e ridurrà sicuramente la disponibilità di risorse per il finanziamento delle imprese e per il finanziamento delle infrastrutture. È in corso un'azione congiunta, non solo delle nostre banche di sviluppo, come la BEI, la Cassa depositi e prestiti, la KFW tedesca, ma anche delle federazioni delle società di assicurazione europee, per ottenere modifiche a Solvency II. Per il momento, però, la risposta della Commissione europea - nonostante si tratti di una direttiva europea e quindi rientri pienamente, a differenza di Basilea 3, nei suoi poteri - è ancora molto evasiva.
Nella comunicazione di cui state discutendo c'è un accenno all'uso dei fondi strutturali per sostenere la crescita, ma anche qui si tratta di vedere in concreto che cosa si consentirà effettivamente di fare. Sottolineo - ma penso che voi lo sappiate già - che negli ultimi tempi, e in forza delle modifiche normative che voi avete approvato, sta crescendo notevolmente il ruolo della Cassa depositi e prestiti, che comincia a diventare simile a quello che in altri Paesi, principalmente in Germania e in Francia, svolgono KFW e Caisse des Dépôts.
Il plafond per il finanziamento delle piccole e medie imprese di 8 miliardi di euro che la Cassa ha messo a disposizione delle banche, a condizione che lo utilizzassero integralmente per finanziamenti a piccole e medie imprese, che sono poi ulteriormente sostenute da una garanzia SACE per il 50 per cento del mutuo, dopo una fase iniziale di «rodaggio» - perché probabilmente né le banche né le imprese avevano colto tutte le potenzialità dello strumento - oggi sostanzialmente è stato utilizzato quasi completamente. Di 8 miliardi di euro ne sono stati ormai stipulati 7 ed erogati effettivamente quasi 5. Questo è, dunque, un settore nel quale mettere a disposizione risorse del sistema creditizio, per il finanziamento delle piccole e medie imprese, dimostra di avere degli effetti positivi.
Negli ultimi tempi abbiamo anche - novità assoluta per la Cassa depositi e prestiti - cominciato a lavorare nel settore dell'equity. Questo è il settore più delicato perché più che un credit crunch oggi c'è il rischio di un equity crunch, cioè di non avere disponibilità di capitale di rischio per gli investimenti che possa supportare poi la richiesta di credito, di prestiti.
La Cassa già aveva partecipato, anzi ne era promotore, di F2i, cioè del fondo italiano per gli investimenti nelle infrastrutture, soprattutto brownfield. F2i ha dimostrato, negli ultimi tempi, di essere uno strumento importante: ad esempio, ha rilevato l'aeroporto di Napoli Capodichino, che l'impresa spagnola che lo aveva acquisito da soggetti inglesi voleva assolutamente dismettere; ha rilevato la rete gas dell'ENEL, consentendo a quest'ultima di ricapitalizzarsi per questa via.
La Cassa ha anche partecipato a un nuovo strumento, il fondo di equity per le piccole e medie imprese promosso dal Ministro dell'economia e delle finanze, dalla Confindustria e dall'ABI. È uno strumento che comincia ad operare adesso, ma che ha una disponibilità molto importante, avvicinandosi ai 2 miliardi di euro, per partecipare con capitali di rischio al rafforzamento delle piccole e medie imprese che vogliono crescere e attrezzarsi a competere sui mercati internazionali.
Da ultimo, la Cassa è stata incaricata di contribuire a finanziare l'internazionalizzazione delle imprese, quindi la presenza sui mercati internazionali del nostro sistema imprenditoriale. Lo strumento è stato finalmente, in queste ultime settimane, definitivamente messo a punto con una convenzione tra la Cassa, la SACE e l'ABI, in modo che alle imprese assistite da garanzia SACE sarà data la possibilità, quando non trovino condizioni accettabili e finanziamenti sul mercato creditizio privato, di avere finanziamenti da parte della Cassa depositi e prestiti a buone condizioni di mercato.


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Stiamo ragionando - ma abbiamo notato che attraverso la conversione del decreto-legge cosiddetto milleproroghe il Parlamento ci ha già dato un aiuto in questo senso - sulla opportunità di costruire un importante fondo equity di investimenti nelle infrastrutture italiane greenfield.
F2i opera infatti quasi esclusivamente sul brownfield, mentre c'è bisogno anche di nuove infrastrutture, e per le nuove infrastrutture, come dimostra da ultimo l'esempio delle Autostrade lombarde, il problema della quota di equity di capitale di rischio è un problema centrale.
D'altra parte, in questo - e finisco su questo punto - c'è una logica stringente: un tempo le grandi opere infrastrutturali si facevano perché lo Stato concorreva con una quota consistente di contributi a fondo perduto e questi rendevano possibile ridurre, per eventuali investitori privati, non solo il rischio ma l'entità del capitale che doveva essere utilizzato. Oggi le condizioni della finanza pubblica rendono sempre più difficile contribuire al finanziamento delle infrastrutture con quote importanti di contributi a fondo perduto.
Nel caso delle infrastrutture, è ancora più evidente quella regola ferrea per cui se si investe in questi settori non ci saranno risorse sufficienti per altri settori, per altri servizi, per altre prestazioni, dalla sicurezza dei cittadini all'istruzione, nei quali le risorse pubbliche sono assolutamente essenziali.
Proprio per questo, è importante creare strumenti e condizioni che rendano possibile realizzare questi interventi essenziali per la crescita e la competitività del Paese con capitali privati. L'esempio della Cassa depositi e prestiti è significativo, perché i capitali della Cassa sono capitali privati, risparmio delle famiglie, e, ovviamente, la Cassa li impiega alle stesse condizioni degli investitori privati, essendo più di questi ultimi in condizione di trasformare impieghi e risparmio a vista in risparmio di lungo termine, grazie alla garanzia dello Stato e grazie al suo insediamento sul territorio, anche attraverso il sistema degli uffici postali. Tuttavia, alla fine, come gli investitori privati, la Cassa deve avere una redditività degli investimenti sufficiente a garantire che i risparmiatori avranno indietro i loro risparmi e avranno anche gli interessi previsti per gli stessi.
Per questa ragione, come vi dicevo, ci siamo impegnati, in questi ultimi tempi, a ragionare molto sul complesso degli interventi e delle regole che potrebbero ulteriormente favorire l'attrattività di capitali privati in questo tipo di investimenti e, quindi, consentire ai bilanci pubblici di esserne per così dire «alleggeriti» e di poter destinare le loro scarse risorse a settori nei quali l'intervento di capitali privati è impossibile o molto difficile. Grazie.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Bassanini.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio il presidente Bassanini per il privilegio che ci ha dato di ascoltare questa ampia panoramica e per la ricca documentazione che ci ha fornito. Mi limiterei esclusivamente al tema che ci interessa, quello di accompagnare la crescita con le azioni possibili della Cassa depositi e prestiti.
Vorremmo capire che cosa succede, anche di fronte all'aumento che si è verificato della raccolta del risparmio postale (256 miliardi di euro). Abbiamo visto il piano industriale triennale di Cassa depositi e prestiti, che prevede un utilizzo di circa 43 miliardi, opportunamente divisi: oltre alla vocazione storica, quella del finanziamento degli enti locali (18 miliardi in tre anni), che peraltro hanno il vincolo del Patto di stabilità, vi sono investimenti per infrastrutture per 11 miliardi e per le imprese per 14 miliardi. Visto che noi dobbiamo preparare una relazione, quindi anche avanzare proposte, potremmo vedere


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insieme come utilizzare tale comparto per aiutare la crescita di questo Paese, che è il problema principale.
Presidente, credo che in passato anche lei sia intervenuto, proponendo la Cassa depositi e prestiti come attore per la soluzione del problema dei pagamenti della pubblica amministrazione. Come è noto, abbiamo circa 60 miliardi di debiti verso i nostri fornitori. Tenendo conto del meccanismo della Cassa, del risparmio postale per com'è considerato dall'Europa, ci sono possibilità che la Cassa si sostituisca agli enti, assuma pro soluto gli impegni degli enti e paghi le imprese? Questo aiuterebbe lo sviluppo. Il mancato pagamento delle imprese determina molto spesso gravi difficoltà per le stesse. Ci sono le risorse, a fronte delle cifre che abbiamo riferito?
È citata nella relazione la possibilità - ho seguito la questione, insieme al collega Polledri, membro di questa Commissione - che Cassa depositi e prestiti accompagni gli enti locali in investimenti per le energie alternative, che molto spesso sono fermi per i vincoli del Patto. Certo, adesso l'argomento è soggetto a un decreto che sovverte la materia, quindi è meglio fermarsi.
Infine, voglio riprendere il tema, al quale lei ha fatto riferimento, del ruolo di Cassa depositi e prestiti assieme a SACE per «export banca». Questa norma, che introducemmo con il decreto-legge n. 78 del 2009, ha visto un decreto applicativo da parte del Ministero dell'economia e delle finanze. Si dice spesso di voler fare riferimento al modello tedesco, cioè KFW, ma qui siamo molto indietro.
Ricordo che, nell'approvare quel decreto, all'articolo 8, introducemmo una norma che così dispone: «Con i medesimi decreti sono stabiliti modalità e criteri al fine di consentire le operazioni di assicurazione del credito per l'esportazione da parte della SACE Spa anche in favore delle piccole e medie imprese nazionali». Questa è la carenza del nostro sistema. Capisco il modello tedesco, che è fatto di grandi imprese, ma se non accompagniamo le nostre piccole imprese nelle piccole commesse, quindi assicurando il credito all'esportazione, il nostro Paese perderà tante possibilità di crescere. Poiché SACE non riesce a farlo, perché è in grado di intervenire sulle grandi aziende e sulle grandi commesse, noi speravamo che con l'apporto di Cassa depositi e prestiti si potesse mettere in piedi una rete più diffusa. Gli imprenditori ci dicono che rinunciano a molte commesse nel momento in cui chiedono al loro cliente straniero l'apertura di una lettera di credito o un pagamento in contanti. Se ci fosse un sistema che assicura l'esportazione, con una franchigia adeguata, con un tasso adeguato, i mercati si aprirebbero. SACE, però, arriva a determinati limiti.
Condizionare l'apporto di Cassa depositi e prestiti a questo tema ci sembra opportuno. Questa è una delle azioni fondamentali per la crescita, insieme a quella che ho citato prima.

MAINO MARCHI. Signor presidente, cercherò di essere telegrafico visto che l'Aula incombe. Vorrei fare riferimento, rispetto alla crescita, agli obiettivi di Europa 2020 relativi ai tassi di occupazione, alla ricerca, a energia e ambiente, alla scuola e alla povertà, su cui si sono cimentate anche le prime bozze di proposte dei Paesi europei rispetto agli obiettivi fissati a livello europeo.
In tutti questi campi noi abbiamo un gap, nella situazione attuale, rispetto all'Europa, che si manterrebbe anche, rispetto agli obiettivi che l'Europa si prefigge al 2020, con il piano che è stato presentato. C'è da dire che anche in questa relazione della Commissione europea si afferma che l'insieme dei piani presentati non permette di raggiungere gli obiettivi, quindi bisognerebbe fare uno sforzo maggiore.
Visto che, probabilmente, non riusciremo a colmare la differenza in tutti i campi, anche ponendo il massimo di buona volontà, quali ritiene siano più strategici, quelli su cui fare gli investimenti maggiori per aiutare la crescita in riferimento alla situazione specifica dell'Italia? Vi sono proposte specifiche, nei campi che


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ritiene prioritari, e ruoli che la Cassa depositi e prestiti può esercitare in questi campi?
In secondo luogo, visto che non si è sottratto a un giudizio politico sui referendum sull'acqua, le chiedo un ulteriore giudizio sul decreto legislativo che è stato appena emanato sulle energie rinnovabili, campo nel quale abbiamo avuto fino ad oggi forti investimenti dei privati grazie agli incentivi, ma adesso c'è la preoccupazione che si blocchi tutto.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio anch'io il presidente Bassanini, ricordando che sono stato suo collaboratore in Cassa depositi e prestiti per quasi due anni ed è stata una gran bella esperienza.
Presidente Bassanini, come lei sa, secondo le proposte di modifica della legge n. 196 del 2009, attualmente all'esame del Senato, entro il 10 aprile il Governo dovrà presentare alle Camere il Documento di economia e finanza, ma entro il 25 marzo la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - un organo che non esiste, perché non è stato ancora istituito - dovrebbe comunicare al Governo il parere sugli andamenti di finanza pubblica per definire, appunto, il Documento, che dovrebbe essere approvato entro il 5 aprile e poi essere trasmesso alle Camere, come ho detto, entro il 10.
Quello che lei ha detto, sicuramente utile, deve però essere inquadrato dentro una fotografia, che in qualche modo, anche se velocemente, richiamava il collega Marchi, che riporti la situazione attuale e quella da cui partiamo. Bene hanno fatto gli uffici della Camera dei deputati a indicarci, attraverso un utile prospetto, dove sta l'Italia rispetto a una serie di parametri.
Mi limito a citare due o tre punti, quelli che in qualche modo riguardano l'azione che può fare la Cassa depositi e prestiti, non tanto sugli squilibri macroeconomici, ma piuttosto sulla crescita e l'occupazione. Leggo testualmente dalle carte in mio possesso: «È in fondo alla graduatoria per prospettive di crescita del PIL e dell'occupazione e, più precisamente, al 24o e 22o posto, e per il tasso di occupazione al 25o posto su 27 Paesi dell'Unione europea».
Le azioni messe in campo da Cassa depositi e prestiti, che sicuramente sono alte e nobili, vanno in questa direzione, ma i tempi per cogliere i risultati, che arrivino a farci salire in graduatoria, sono terribilmente lunghi se non si instaura l'altro processo che lei ha appena ricordato, ossia che contemporaneamente alla riduzione del debito bisogna cominciare seriamente a rimuovere il gap più grande in questo Paese, che riguarda la pressione fiscale.
Questo, però, contrasta con ciò che veniva appena ricordato dal collega Vannucci in merito alle autonomie locali, che si trovano ovviamente in grave difficoltà. Da una parte, si dà loro la «caramellina», cioè l'idea di poter di nuovo incidere pesantemente (federalismo fiscale e municipale) sulla finanza locale, appesantendo ulteriormente il povero cittadino contribuente; dall'altra, le medesime autonomie locali hanno difficoltà a far fronte ai propri pagamenti incombenti, laddove si registrano ritardi mostruosi. Mi riferisco a quelle decine e decine di miliardi di euro che venivano appena ricordate.
Avendo io presentato una proposta di legge che si muove in questa direzione, volevo sentire dal presidente se sia compatibile che la Cassa depositi e prestiti diventi in qualche modo garante rispetto alle autonomie locali, che sono storicamente gli interlocutori diretti della Cassa, per i pagamenti che queste da sole, pur avendone la disponibilità, non possono effettuare per i noti vincoli di finanza pubblica del Patto di stabilità.
In secondo luogo, abbiamo visto che nel cosiddetto decreto milleproroghe il Governo ha inserito la possibilità che Poste italiane acquisisca partecipazioni, anche di maggioranza, di banche. Questa forte apertura verso il mondo del credito ha una finalità immediata, quella della Banca del Sud, ma può anche distorcere il mercato, perché così com'è definita può operare in qualsiasi ambito, se ovviamente Poste italiane utilizza la raccolta del risparmio


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privato per quegli obiettivi, o comunque per la patrimonializzazione.
Non c'è un doppione - direi inutile, ma elimino l'aggettivo per non creare imbarazzo - tra gli obiettivi che Cassa depositi e prestiti si pone rispetto allo sviluppo in generale e del Mezzogiorno in particolare, e questa nuova apertura su un mondo che francamente qualche perplessità la desta, se pensiamo a come si sono comportate, nel recente passato, alcune banche del sud?

PRESIDENTE. Poiché c'è il rischio che si voti subito, chiedo agli ultimi iscritti di svolgere interventi sintetici.

PIETRO FRANZOSO. Farò alcune considerazioni sintetiche, come giustamente ci viene chiesto. Condivido le analisi e le osservazioni che lei ha sviluppato relativamente ad alcuni aspetti del federalismo fiscale, ad esempio i costi standard, che forse dovrebbero essere anche oggetto di riflessione in questa Commissione, che dovrebbe esprimere il parere dopo il lavoro della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale. Mi riferisco alla circostanza che i costi standard dovrebbero essere applicati anche ai servizi dello Stato, ma in particolare alle regioni a statuto speciale. Molto probabilmente quello che abbiamo appreso qualche settimana fa, in merito agli 8000 assunti in una regione del Mezzogiorno, ha fatto riflettere sull'opportunità o meno di un'impostazione del genere, prescindendo dalle successive sentenze della Corte costituzionale in materia.
La mia preoccupazione si riferisce a un allarme che lei ha sollevato circa il pericolo che, mentre come Parlamento procediamo giustamente a tutti quei processi di semplificazione e di sburocratizzazione in merito ad alcuni provvedimenti in termini autorizzatori, al fine di accelerare gli investimenti, non potrebbe esserci sufficiente garanzia per il sistema bancario. Questo significa che il lavoro che il Parlamento sta portando avanti cadrebbe nel vuoto.
Mi chiedo - e lo chiedo a lei nella sua veste di presidente della Cassa depositi e prestiti, premurandomi di riferire anche alla Commissione di vigilanza sulla Cassa, di cui faccio parte - quale sia la posizione della Cassa indipendentemente dal sistema bancario, che pure costituisce un problema.
Un altro aspetto concerne gli 8 miliardi di euro di fondi della Cassa depositi e prestiti per le piccole e medie imprese, di cui ho appreso adesso. Lei ha detto che ne sono stati stipulati 7 miliardi, di cui 5 già elargiti. Non so se è stata fatta un'analisi appropriata e approfondita sugli interventi da privilegiare e sugli effetti che eventualmente questi avrebbero prodotto sullo sviluppo dell'economia o quanto meno sulla tenuta delle stesse piccole e medie imprese del nostro territorio.

LINO DUILIO. In primo luogo, chiedo se è possibile avere a nostra disposizione - semmai in un documento successivo - notizie per quanto riguarda il trend di raccolta e impieghi della Cassa depositi e prestiti negli anni recenti, in particolare con una sottolineatura per quanto riguarda il discorso dei mutui. Siccome gli enti locali hanno avuto, da parte del Parlamento, un trattamento privilegiato, in questi ultimi anni, mi piacerebbe sapere che cosa è successo, invece, da parte vostra per quanto riguarda l'erogazione di mutui agli enti locali, tenendo peraltro conto del fatto che molta parte degli investimenti di cui si lamenta la caduta nel nostro Paese fanno riferimento alla precarietà di risorse, buona parte delle quali veniva anche dalla Cassa depositi e prestiti. Mi interessa questo dato da un punto di vista fenomenico.
In secondo luogo, come sappiamo, la Cassa depositi e prestiti ha come missione istituzionale quella di finanziare lo sviluppo del Paese. Potremmo dire, prendendo a prestito una frase di qualche tempo fa, «uno sviluppo che non c'è»: noi siamo, da troppi anni, in una situazione che sperimenta tassi di crescita risibili. Tuttavia, caro presidente, il problema è che noi siamo pieni di diagnostici e ci mancano i terapeuti.


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Non abbiamo mezza idea per cercare di capire in quale direzione deve andare e su quali segmenti produttivi si deve indirizzare questo benedetto sviluppo del Paese. Per quanto riguarda i soggetti che finanziano questo possibile sviluppo, mi chiedo se, andando oltre la missione istituzionale formale, anche alla luce della vostra esperienza consolidata negli anni, non sia il caso di dirci qualche cosa su eventuali sentieri di sviluppo che vedano la possibilità di finanziare infrastrutturazioni pubbliche nel nostro Paese che vadano oltre il tradizionale.
Se non ricordo male, mi pare di aver letto che lei stesso, presidente, fa parte, in altri Paesi, di organismi che sono stati istituiti per attrarre investimenti. Ci sono comitati che sono stati istituiti in Francia per cercare di rispondere alla domanda di quello che si deve fare con alcuni settori che sembra non abbiano nessun futuro (quindi è inutile spendere soldi perché non ci sarebbe redditività assicurabile) e verso quali, invece, indirizzarsi perché magari qualche prospettiva ce l'hanno. Questo secondo versante credo richiederebbe un po' di fantasia, anche istituzionale se possibile (come ho già detto, abbiamo troppi diagnostici e ci mancano i terapeuti). Siccome in Parlamento vorremmo riprendere in mano questo «pallino» e confrontarci su quali sono le possibili prospettive di sviluppo nel nostro Paese, vorrei sapere se nella veste istituzionale, ma anche con quella fantasia creativa di cui parlavo, ci può dire qualcosa sulla parte terapeutica piuttosto che su quella diagnostica.
Infine, visto che lei si è spinto su un terreno un po' più politico-istituzionale - mi riferisco al discorso sul federalismo e sull'election day - vorrei conoscere la sua opinione sulla Banca del Sud, cioè su un'istituzione, a nostro avviso, assolutamente inutile. Come è stato detto, a suo tempo, da un collega di maggioranza, il sud ha bisogno di banche più che di un'altra banca. Peraltro, rispetto a un fenomeno di risparmio postale che si indirizza in particolare in certe direzioni - ma non voglio entrare nel merito - vorrei conoscere la sua opinione su questa Banca del Sud, visto che lei non ha avuto problemi a esplicitare la sua posizione su due temi che non erano strettamente di competenza istituzionale della Cassa.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Bassanini per la replica.

FRANCO BASSANINI, Presidente della Cassa depositi e prestiti. Non so se devo chiedere io scusa alla Commissione o se devono farlo gli uffici, poiché nella lettera di invito non mi è stato assolutamente chiesto di venire qui a parlare in nome e per conto della Cassa e in quanto presidente della stessa. Pertanto, definito un argomento, mi è stato mandato il quadro dell'indagine conoscitiva e questa è la ragione per cui, come avete visto, ho ritenuto di parlare di temi non riferendo mere opinioni personali, ma risultati di studi e ricerche.
La valutazione sul federalismo fiscale nasce da un lavoro di ricerca. Il presidente Duilio ha partecipato a qualche seminario in cui abbiamo discusso di questi argomenti, come peraltro ha fatto il presidente Giorgetti. Ugualmente, relativamente agli altri punti su cui mi sono soffermato, l'ho fatto esclusivamente sulle materie su cui potevo utilizzare un retroterra di ricerche e lavori di elaborazione collettiva e non semplicemente qualche opinione o impressione personale, per quello che può valere, cioè quasi zero.
Detto questo, non mi sottraggo alle domande che riguardano più propriamente la Cassa depositi e prestiti, perché capisco che, su questo, c'è un interesse forte della Commissione.
Per quanto riguarda i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, penso che mi si possa dare atto, per ciò che ho detto in passato, che sono tra i primi a ritenere che si tratti di un problema serio. Nel momento in cui ci poniamo - Governo e Parlamento in primo luogo - il problema di non far mancare credito e risorse alle imprese, con la mano sinistra (o con la mano destra, come volete), attraverso i ritardi nei pagamenti, si sottraggono risorse alle imprese.


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Al riguardo, però, c'è un problema europeo - di cui forse ho parlato con qualcuno di voi - che andrebbe risolto in sede europea. In base ai criteri utilizzati da Eurostat, infatti, i debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni vengono conteggiati, dal punto di vista dei parametri di Maastricht, al momento del pagamento, mentre i debiti finanziari vengono conteggiati al momento della stipula. Allora il problema consiste nel fatto che se si prevedesse che la Cassa possa, pro soluto, sostanzialmente acquistare, attraverso un'operazione di factoring, i debiti delle pubbliche amministrazioni, con l'attuale regolamentazione di Eurostat, in quel momento accadrebbe che la Cassa paga l'azienda, l'ente locale si sostituisce e a questo punto esso ha nei confronti della Cassa non più un debito commerciale, ma - secondo Eurostat - un debito finanziario: in quel momento viene tutto iscritto nel debito pubblico. Allora, è logica questa soluzione? La risposta è che questa è una di quelle regole europee che meriterebbero la qualifica di «stupida», che fu in altri casi attribuita anche a regole che forse lo sono un po' meno.
Succede che se un sindaco stipula un contratto di mutuo con la Cassa e, magari, nel frattempo il Consiglio comunale ha deciso di fare altre cose, oppure è cambiata la maggioranza, quel mutuo è considerato un indebitamento delle pubbliche amministrazioni. Se, invece, un sindaco ha fatto, ad esempio, un contratto con l'impresa «Duilio» fornitrice dei pasti per le mense scolastiche del comune, l'impresa «Duilio» ha fornito i pasti per le mense scolastiche, ha presentato le sue fratture, ma il comune non paga, finché non paga non viene iscritta quella somma nel debito della pubblica amministrazione.
Questo è esattamente il punto su cui si dovrebbe aprire una negoziazione. Nel momento in cui l'Europa - giustamente, diciamo la verità - stabilisce un limite temporale per i pagamenti ed anche sanzioni consistenti per i ritardati pagamenti, a quel punto sarebbe giusto fare due cose: in primo luogo, uniformare il trattamento contabile, ai fini europei, dei debiti commerciali e dei debiti finanziari; in secondo luogo, neutralizzare gli effetti che da questo cambiamento di regole contabili derivano. Se, per esempio, si dicesse che ogni debito viene conteggiato al momento dell'impegno e non al momento del pagamento, sia che sia finanziario sia che sia commerciale, è chiaro che a quel punto si avrebbe uno scalino in salita dell'indebitamento delle pubbliche amministrazioni italiane, però sarebbe solo l'effetto del cambiamento delle regole contabili, non di un cambiamento reale. A quel punto, in relazione all'entrata in vigore di questa nuova direttiva europea sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni, se ci fosse una qualche razionalità, andrebbero modificate le regole contabili Eurostat e neutralizzati gli effetti di questo mutamento di regole contabili. Se queste cose le chiedesse il Ministro Schäuble verrebbero immediatamente accordate; se le chiede il Ministro italiano o spagnolo eccetera, il discorso cambia.
Ciò nonostante, noi stiamo studiando una qualche forma d'intervento che possa essere compatibile con le attuali regole europee, ma vi potremo comunicare i risultati di questo studio quando ci saranno, spero abbastanza presto.
La seconda questione che veniva posta nel primo intervento riguardava l'accompagnamento degli enti locali. Effettivamente, quello che abbiamo cominciato a fare in questi ultimissimi tempi - prima non eravamo autorizzati dalla legge a farlo - è aprire una serie di rapporti con gli enti locali, per cercare sostanzialmente di studiare insieme a loro (e poi realizzare delle esperienze prototipo che possono essere replicate) delle forme di intervento che non «vadano» sul Patto di stabilità, perché si realizza un rapporto di finanziamento tra la Cassa - soggetto esterno al perimetro della pubblica amministrazione, secondo Eurostat - e il soggetto realizzatore della infrastruttura, che può essere un impianto di energia alternativa o altro.
In realtà, questo si potrebbe fare in molti settori, anche inediti: per esempio, se bisogna costruire una scuola, potrebbe essere un soggetto privato che, con un


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finanziamento della Cassa, costruisce la scuola e poi la dà in leasing oppure in affitto al comune, continuando a garantire i servizi, le pulizie, il riscaldamento, l'efficientamento energetico.
Questo è quello che abbiamo cominciato a fare. Naturalmente occorre tener conto delle dimensioni della struttura della Cassa. Voglio riferirvi un dato: la Cassa depositi e prestiti attualmente ha 450 dipendenti, KFW ne ha 12.800 e la Caisse des Dépôts francese ne ha 81.000. Il nostro rapporto cost-income è inferiore al 4,2 per cento. Le altre istituzioni consorelle sono sopra il 20 e, in alcuni casi, il 30 per cento nel rapporto tra i costi e il fatturato.
Noi abbiamo ancora, sostanzialmente, le dimensioni che avevamo quando eravamo un'amministrazione pubblica che faceva mutui agli enti locali, senza neppure valutare il merito di credito, trattandosi di una funzione puramente burocratica.
Il piano industriale della Cassa prevede, naturalmente, un potenziamento della struttura e delle risorse anche come competenze della Cassa, sia attraverso un piano di assunzioni, che però deve essere naturalmente molto mirato e graduale, sia attraverso un'attività di formazione e di riqualificazione professionale del personale, sia attraverso una «reingegnerizzazione» informatica che consenta di valorizzare meglio le risorse.
Questo, però, ci pone dei limiti, in concreto, che stiamo cercando di superare. Per questa ragione, come dicevo, con gli enti locali stiamo sperimentando delle iniziative pilota che possano venire replicate nella medesima maniera quando altri enti locali hanno lo stesso bisogno o la stessa esigenza.
Mi si chiede se l'internazionalizzazione dell'economia dovrebbe servire alle piccole imprese. Il problema è in parte collegato a quello che dicevo: noi non abbiamo la struttura e, conseguentemente, il nostro statuto e la legge prevedono che al di sotto di una certa soglia dobbiamo agire tramite il sistema bancario, cioè mettiamo risorse a disposizione del sistema bancario. Si può discutere se questa sia o meno una buona cosa. È chiaro che se il Parlamento decidesse di togliere questo vincolo alla Cassa, in base al quale essa, al di sotto dei 25 milioni di euro, agisce attraverso il sistema bancario, dovrebbe poi darci il tempo di rafforzare le strutture per essere in grado di istruire, a questo punto, molte migliaia di pratiche anche sul versante del finanziamento alle imprese, come sono molte migliaia quelle che istruiamo ogni anno per i mutui agli enti locali, ma secondo uno schema molto più semplice e collaudato rispetto al finanziamento delle imprese.
Di fatto, nella convenzione con la SACE o con l'ABI, prevediamo che, al di sotto di una certa soglia, quindi per piccole e medie imprese, l'istruttoria sia fatta dall'istituto bancario, anche se poi la SACE dà la garanzia e la Cassa mette a disposizione le risorse. Quando le dimensioni sono troppo piccole, al di sotto della soglia per cui noi possiamo, per legge e per statuto, intervenire direttamente, noi siamo allo stato costretti giuridicamente a operare in questo modo.
Devo dire che se questo limite venisse rimosso, noi dovremmo pensare a un piano di potenziamento delle strutture molto più ambizioso di quello che in questo momento abbiamo.
Si chiede in quali settori fare investimenti. Una risposta in generale, da parte mia, è difficile perché non ho le competenze necessarie. Possiamo dire che la Cassa si sta attrezzando a operare, come forse già sapete, in diversi settori. Quello su cui finora ha investito di più quantitativamente sono le infrastrutture di trasporto, anche perché è più facile, ci sono progetti già maturi e progetti di grosse dimensioni.
Tuttavia, un altro settore su cui abbiamo avviato un intervento importante è quello dell'edilizia sociale, social housing, sulla base di una precisa decisione legislativa del Parlamento. Come sapete, nel «Fondo abitare sociale» la Cassa ha messo 1 miliardo di euro e, naturalmente, non esclude di mettere, un domani, ulteriori risorse. Si tratta di un fondo che cofinanzia iniziative locali, quindi apporta


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capitali in iniziative locali: per ora i primi interventi sono stati fatti a Parma, dove si si sono già conclusi, e a Torino, dove credo ci si trovi in una fase finale.
Speriamo che ci arrivino proposte dal Mezzogiorno, a questo riguardo, in modo da evitare che si possa pensare a una preferenza geografica. In realtà, dipende dal meccanismo che è stato scelto, che richiede che ci sia un'iniziativa locale e che ci sia una quota di risorse, anche in natura (ad esempio terreni), messa dagli enti locali o dalla società locale.
Un altro settore su cui ci stiamo attrezzando per attuare una serie di interventi è quello delle energie rinnovabili, dell'efficientamento energetico. Ci sono, poi, i settori del ciclo idrico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti, dove il problema è complicato e delicato per il fatto - questo è uno dei punti a cui accennavo nella mia introduzione generale - che manca o deve ancora essere completato il quadro normativo che dia delle certezze sulla redditività degli investimenti.
Il citato decreto Ronchi-Fitto ha lasciato aperta la questione dell'autorità - che può essere un'autorità nuova o l'Autorità per l'energia elettrica e il gas - per il settore idrico. La motivazione ufficiale, come sapete, è che risultava non opportuno, in un decreto-legge, istituire un'autorità o modificare le competenze di un'autorità. Questa, però, è una questione che in un modo o nell'altro andrebbe affrontata, così da permettere quello che già avviene in altri settori, ad esempio nel settore elettrico, laddove, infatti, non c'è problema per gli investimenti. Addirittura, la società della rete nazionale elettrica Terna, di cui siamo l'azionista di riferimento, ha dimostrato di essere tra le aziende italiane che hanno superato meglio la crisi, nel senso che ha aumentato durante la crisi la sua capitalizzazione di Borsa, quindi ha rappresentato per i risparmiatori e per gli investitori uno straordinario investimento che ha retto anche nel periodo più duro della crisi. In questo caso, appunto, c'è un'autorità di regolazione che garantisce, nella fissazione delle tariffe, che ci sia una equa redditività degli investimenti effettuati, che è una delle condizioni per gli investimenti privati.
L'onorevole Cambursano mi chiede che cosa possa fare per l'occupazione la Cassa depositi e prestiti. Io mi illudo, probabilmente, che tutto quello che ho cercato di dire, con riferimento non solo alla Cassa depositi e prestiti, possa servire all'occupazione. Ci sono, poi, interventi più diretti e mirati, sui quali io non ho una competenza specifica, che riguardano il mercato del lavoro, la regolamentazione del mercato del lavoro e via dicendo.
Io, per esempio - ma questa è una mia antica convinzione, che riferisco solo perché mi provocate - sono convinto che un'azione che sarebbe utilissima per l'occupazione, in particolare per l'occupazione femminile, sarebbe un grosso investimento sugli asili nido e sulle scuole materne: una delle ragioni fondamentali della disoccupazione femminile, infatti, in alcune regioni del Paese, è la carenza di queste strutture.
Se la legge sul federalismo fiscale è applicata bene, dovrebbe avere un effetto positivo anche a questo riguardo, perché da un lato spingerà, inevitabilmente, le amministrazioni locali che hanno costi pro capite eccessivi in questi servizi a cercare di imparare come si fa ad avere costi più vicini ai costi standard, ma dall'altro finirà per dare a territori che hanno adesso una scarsissima dotazione di questi servizi risorse, in realtà - applicando i criteri della legge delega - maggiori di quelle attuali. Certo, poi bisognerà vedere se gli enti le spenderanno bene e i loro cittadini devono pretendere che ciò avvenga. Se fosse possibile dirlo con una battuta provocatoria, direi: aumentiamo di tre anni l'età pensionabile e tutto quello che risparmiamo destiniamolo a finanziare asili nido e scuole materne. Francamente, è una provocazione che secondo me dovrebbe essere raccolta. L'ho detta così molto brutalmente, non perché penso che sia politicamente agibile una soluzione di questo genere.
Per quanto riguarda la Banca del Sud, sono state poste due domande. In primo luogo, che sia un doppione della Cassa, per


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fortuna non è vero, perché la Cassa non è una banca. Tutte le volte che ci sono state offerte, anche a buone condizioni, possibilità di acquisire delle società che avevano al proprio interno delle licenze bancarie ci siamo rifiutati di farlo. Abbiamo una funzione diversa da quella delle banche; abbiamo per questo regole diverse. La Cassa non è giuridicamente soggetta a Basilea 3, come non lo è la BEI e come non lo è la Caisse des Dépôts. La situazione di KFW è molto al limite. Insomma, non siamo banche, siamo degli investitori di lungo termine. La raccolta del risparmio la fa il sistema postale, non la facciamo noi. La collocazione sul mercato di bond della Cassa, che sono Euro Medium Term Notes (EMTN), avviene soltanto sul mercato degli investitori istituzionali e non sui mercati finanziari aperti. Da questo punto di vista, dunque, non si può parlare di doppione e noi non siamo stati in alcun modo interpellati, perché non abbiamo nulla da dire, sulla questione della Banca del Sud.
Non mi sottraggo, tuttavia, a un'ulteriore considerazione. Se il problema è quello dell'attenzione al finanziamento delle piccole e medie imprese, una banca che, a quanto ho capito - ma posso sbagliarmi - sostanzialmente dovrebbe mettere in rete una serie di strutture diffuse sul territorio meridionale, cioè le banche di credito cooperativo, gli stessi sportelli postali, che ormai fanno una serie di attività sostanzialmente di carattere bancario, in modo da potenziare la loro azione sul territorio, potrebbe essere un'iniziativa utile proprio perché serve a potenziare la rete delle strutture creditizie sul territorio meridionale, su cui ce n'è bisogno. Ovviamente, questo dovrebbe avvenire in modo non assolutamente alternativo, ma complementare e concorrenziale rispetto al sistema creditizio privato. Tuttavia, questa non è una posizione della Cassa, perché nessuno ci ha chiesto qual è la nostra posizione, dunque non abbiamo nessuna ragione per doverla esprimere.
Se è vero, però, che il problema dell'Italia è lo straordinario divario tra il centro-nord e le regioni meridionali, io penso che si debbano studiare tutte le possibili iniziative che consentano di sostenere la crescita dell'economia meridionale. Questo è un tentativo che, appunto, ha il merito di mettere in rete strutture già esistenti, ma che hanno forse, se isolate, dimensioni insufficienti. Credo che esso potrà essere aggiustato anche sulla base dell'esperienza.
Sul finanziamento alle piccole e medie imprese ho già risposto. Onorevole Duilio, mi illudo di aver messo in fila, nella mia introduzione, una serie di misure che, secondo me, costituiscono anche delle possibili terapie. Non le ho dettagliate, naturalmente, perché avrei avuto bisogno di molto più tempo e già ve ne ho rubato troppo, ma faccio riferimento ai lavori e alle ricerche che in qualche modo ho voluto qui rappresentare; non si tratta di ricerche accademiche ma di ricerche fatte anche da molti accademici, tuttavia con intenti propositivi, di mettere sul tavolo delle ipotesi di riforme.
Penso che ci sia una strada che può essere percorsa in un Paese che ha grandissimi problemi. I dati citati dall'onorevole Cambursano sono naturalmente incontestabili, però bisogna dire che ci sono anche dati positivi, che troppo spesso dimentichiamo: dal risparmio delle famiglie all'indebitamento complessivo del nostro sistema economico-finanziario. Se noi disaggreghiamo l'Italia, persino negli indicatori OCSE-PISA scopriamo che abbiamo delle aree di eccellenza. Il problema del nostro Paese è riuscire a far leva sulle aree e sulle esperienze di eccellenza e generalizzarle.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Bassanini per il suo contributo, come presidente della Cassa e come studioso.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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