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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
7.
Mercoledì 16 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione dell'amministratore delegato di ENI Spa, Paolo Scaroni:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 5 6 9

11, 14, 16, 18 Baretta Pier Paolo (PD) ... 5
Calvisi Giulio (PD) ... 14
Cambursano Renato (IdV) ... 5
Ciccanti Amedeo (UdC) ... 9
Duilio Lino (PD) ... 15
Fava Giovanni (LNP) ... 14
Franzoso Pietro (PdL) ... 6
Lulli Andrea (PD) ... 10
Marinello Giuseppe Francesco Maria (PdL) ... 6
Marsilio Marco (PdL) ... 16
Polledri Massimo (LNP) ... 10
Scaroni Paolo, Amministratore delegato di ENI Spa ... 2 5 6 11 16
Vannucci Massimo (PD) ... 15
Vico Ludovico (PD) ... 9

ALLEGATO: Documentazione consegnata dall'amministratore delegato di Eni Spa, Paolo Scaroni ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta antimeridiana di mercoledì 16 marzo 2011


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dell'amministratore delegato di ENI Spa, Paolo Scaroni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione dell'amministratore delegato di ENI Spa, Paolo Scaroni.
Accompagnano il dottor Scaroni le dottoresse Raffaella Leone e Hannelore Rocchio, l'avvocato Leonardo Bellodi e il dottor Stefano Meloni.
Do la parola al dottor Scaroni per lo svolgimento della relazione.

PAOLO SCARONI, Amministratore delegato di ENI Spa. Ringrazio il presidente, l'onorevole Giorgetti, e tutti i componenti della Commissione bilancio, tesoro e programmazione per avermi invitato a parlare di un tema di ampio respiro per la strategia energetica del nostro Paese.
Vorrei partire con una considerazione sulla prospettiva temporale delle nostre discussioni sul futuro dell'energia in Europa e in Italia. Non possiamo focalizzarci solo sul 2020. Per il nostro settore sarebbe come parlare di un film che dobbiamo ancora girare, ma la cui sceneggiatura è già stata scritta.
Ricordo che il nostro Paese negli ultimi vent'anni ha investito 25 miliardi di euro nel settore della produzione di energia elettrica, rimpiazzando vecchie centrali a olio combustibile con nuove centrali - circa una cinquantina - a ciclo combinato a gas. Le scelte, quindi, sono già state compiute e non possiamo metterci a opinare oggi su ciò che potremmo fare. Le citate centrali esistono, vi abbiamo stanziato 25 miliardi di euro e almeno per i prossimi vent'anni qualunque iniziativa immaginiamo o pensiamo non può prescindere dall'investimento che abbiamo compiuto.
Dobbiamo, quindi, guardare più avanti e vedere che cosa potremmo fare dopo questo periodo, anche in termini di innovazione tecnologica, che è la vera chiave del futuro dell'energia.
Quando parliamo di obiettivi energetici non possiamo perdere di vista gli obiettivi del sistema Paese, tanto più in un periodo di crisi come quello attuale. Mi riferisco alla competitività delle imprese, alle ricadute occupazionali, al contenimento della spesa, tutti elementi con i quali le strategie energetiche devono fare i conti.
Dati gli stessi obiettivi energetici, siano essi immediati - nel 2020 o più lontani nel tempo nel 2050 - abbiamo diverse strade


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per raggiungerli, alcune vantaggiose per il nostro Paese, altre invece penalizzanti.
Guardiamo la nostra situazione di partenza: l'energy mix italiano. Il nostro punto di forza, o forse di debolezza dipende da che lato lo vogliamo vedere, è che siamo uno dei Paesi al mondo più concentrati nell'utilizzo del gas. Il gas è il re del consumo energetico nel nostro Paese. Non abbiamo nucleare, abbiamo pochissimo carbone, abbiamo naturalmente i combustibili liquidi, benzina e gasolio, che però sono destinati fondamentalmente al trasporto.
Noi riteniamo che la scelta del gas che abbiamo compiuto negli ultimi vent'anni sia una scelta positiva essenzialmente per quattro ragioni.
La prima è che il produrre energia elettrica con il gas comporta costi di investimento significativamente più bassi rispetto alle altre fonti, garantendo un costo complessivo di produzione certamente competitivo.
La seconda è che il gas è l'idrocarburo più pulito e, quindi, ci consente di contenere le emissioni di gas serra.
La terza è che esso è disponibile in grandi quantità in aree limitrofe all'Europa, come il Nord Africa, la Russia e la Norvegia, e lo sarà ancora per molti decenni.
La quarta è che il gas assicura l'alimentazione dei nostri sistemi elettrici, industriali e domestici con una continuità che le fonti rinnovabili non sono in grado di fornire.
Naturalmente, sentendo parlare me di gas, voi penserete che io svolga una difesa accorata di un nostro business particolarmente redditizio, ma non è così. Il settore del gas in Italia rappresenta per noi circa il 2 per cento dei nostri profitti. Potete, dunque, accordarmi fiducia sul fatto che vi esprimo opinioni obiettive e non interessate dai nostri risultati.
La nostra difesa del gas, in realtà, poggia molto sul fatto che esso è un combustibile che ci dà una sicurezza di approvvigionamento che altri combustibili non danno. Per tale ragione il gas è e continuerà a rappresentare per i prossimi anni il pilastro della nostra sicurezza energetica.
Vorrei aprire una piccola parentesi su quanto è successo in Giappone e sull'effetto della tragedia giapponese, per la verità non ancora ben definita nella sua entità, sui mercati energetici, in particolare sul mercato del gas.
In Giappone circa il 40 per cento dell'energia elettrica è prodotta dal nucleare. Quanto è successo riduce la produzione di nucleare del 40 per cento e, quindi, un 15 per cento dell'energia elettrica giapponese viene a mancare. Con che cosa lo si sostituirà? Nel breve termine lo si sostituirà con il gas.
Il Giappone possiede ben 24 rigassificatori. Vi ricordate in Italia le polemiche per realizzarne uno in un luogo e uno in un altro? Ebbene, il Giappone ne ha 24 e, tra parentesi, è importante segnalare che, malgrado questo terremoto sia il quarto o il quinto nella storia del mondo da quando registriamo la violenza dei terremoti, nessuno di tali rigassificatori ha subìto danni.
Tutte le polemiche sulle costruzioni erano, quindi, prive di fondamento. Ricordo un rigassificatore immaginato al largo di Livorno, che avrebbe dovuto, esplodendo, far crollare la Torre di Pisa. In Italia ci immaginiamo le situazioni più strane, ma quanto è successo in Giappone ha dato un bollo di garanzia sulla sicurezza dei rigassificatori.
Tornando al mercato del gas, tutto ciò che sarà perso in termini di nucleare verrà rimpiazzato da gas. Si ritiene che d'ora in avanti il Giappone consumerà circa 12 miliardi di metri cubi di gas in più. In parallelo, la chiusura di sette centrali nucleari obsolete in Germania, di cui forse avrete letto sui giornali, porterà a consumare altri 10 miliardi di metri cubi di gas in più. La Svizzera, a sua volta, ha deciso di rinunciare a un piccolo programma nucleare che si era posta e partirà con centrali a gas.
Per farla breve, le notizie degli ultimi tre giorni hanno fatto rialzare i prezzi del gas sui mercati spot - il National Balancing Point inglese e lo Zeebrugge Hub in


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Belgio - di circa il 15 per cento. Noi di nuovo sosteniamo che i nostri contratti a lungo termine, che sono quelli che ci danno la sicurezza dell'approvvigionamento, sono anche una naturale copertura contro fenomeni repentini come quelli che abbiamo vissuto negli ultimi giorni.
Certamente, guardando più a lungo termine, il disastro giapponese porterà, sulla scia dell'emotività, a rivedere un po' tutti i programmi nucleari. In realtà, mi sembra di poter affermare - non sono un esperto del nucleare, anzi, ENI nel nucleare non c'è e non ci sarà; ne parlo più che altro da osservatore - che quello che è successo ci sta portando a rivedere le centrali nucleari vecchie, quelle realizzate negli anni Sessanta, per accertarci che siano sicure anche di fronte a fenomeni catastrofici come quelli che abbiamo vissuto. Tutto un altro discorso riguarda le centrali che verranno progettate oggi e che, quindi, possono avere coefficienti di sicurezza ben diversi da quelli delle centrali costruite una cinquantina d'anni fa. Anche il Primo Ministro Putin ha deciso di svolgere un processo di revisione di tutte le centrali russe costruite più di vent'anni fa.
Svolgo un flash sulle rinnovabili. ENI non è coinvolta nell'attività delle energie rinnovabili, o almeno nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Io certamente non sono un grande sostenitore delle energie rinnovabili ad oggi conosciute. Esse presentano, infatti, due problemi intrinseci nella loro produzione, che ne fanno fonti si da utilizzare, ma non tali da rappresentare la soluzione ai nostri problemi energetici.
Il primo problema è l'intermittenza della produzione delle fonti rinnovabili: più in particolare, sia il solare che l'eolico, infatti, hanno la caratteristica di fornire energia quando non se ne ha bisogno e di non fornirla quando se ne ha bisogno.
Quando i Paesi compiono scelte molto decise su questo fronte - mi riferisco, per esempio, alla Spagna - tutto il sistema di bilanciamento elettrico del Paese viene messo a rischio. La Spagna ha compiuto una grande scelta in favore dell'eolico, perché è un Paese che ha molto vento, soprattutto nel nord. Circa il 7-8 per cento dell'energia elettrica spagnola viene dall'eolico, però naturalmente il 20 luglio alle due del pomeriggio, quando in Spagna fa un caldo tremendo e tutti accendono l'aria condizionata, non c'è un alito di vento. Le pale eoliche sono ferme e bisogna che le centrali termiche entrino in funzione per rispondere a una domanda che in quel momento è più alta, mentre l'eolico non c'è.
Per quanto riguarda il solare, il suo principale difetto è il costo ancora elevatissimo. Se guardate nella vostra bolletta, sotto la voce C3, vedrete quanto il consumatore italiano paghi per finanziare la nostra piccola quota di rinnovabili. Mediamente un chilowattora solare costa cinque o sei volte più di un chilowattora termico. Va bene, dunque, produrre le rinnovabili, ma non troppe, altrimenti la bolletta dei nostri concittadini ne sarà colpita in modo decisivo.
Non posso, per la verità, che essere d'accordo sul provvedimento assunto dal Ministro Romani ultimamente, che vuole limitare, almeno finché le tecnologie sono quelle di oggi, la quantità di energie rinnovabili nel parco elettrico degli italiani.
Come ENI, siamo, invece, molto convinti e impegnati sulle energie rinnovabili del futuro. Abbiamo un accordo con il MIT di Boston per sviluppare il nuovo rinnovabile solare. Ho con me un aeroplanino di carta che, se volete, potete esaminare, la cui carta genera energia elettrica. La potremmo attaccare a una spina e produrre energia elettrica a basso costo. Invece di utilizzare il silicio, un materiale costoso e anche energeticamente «energivoro», in tal modo, possiamo produrre energia elettrica a costi nettamente inferiori.
Si tratta di un progetto che svilupperà la sua commerciabilità nei prossimi anni, ma porto l'esempio per affermare che noi siamo convinti che le energie rinnovabili siano l'unica risposta dell'umanità per far fronte ai bisogni energetici a lungo termine. Siamo, però, altrettanto convinti che le energie rinnovabili di oggi, che sono obsolete - sono tecnologie vecchie di ot


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tant'anni - debbano essere limitate nel loro uso, altrimenti i costi energetici esploderanno.
In conclusione, per raggiungere in modo equilibrato gli obiettivi energetici dei prossimi decenni, noi dobbiamo muoverci su tre direttrici.
In primo luogo, dobbiamo continuare a investire nello sviluppo strategico del settore del gas naturale. Noi come ENI abbiamo fatto molto per la diversificazione delle fonti e delle rotte, garantendo una maggiore sicurezza agli approvvigionamenti del nostro Paese. Quanto è avvenuto in Libia nelle ultime settimane, il completo arresto delle forniture da parte del Paese, che però non ha avuto alcun impatto sui nostri consumatori italiani ed europei, è il risultato di questa strategia di diversificazione, la quale ci ha consentito di rimpiazzare il gas libico con quello algerino, russo, norvegese, olandese oppure con gas liquido.
In secondo luogo, vogliamo proseguire con decisione la strada dell'innovazione tecnologica.
Non dimentichiamo, infine - lo ricordo sempre, quando parlo di energia - che l'autostrada che abbiamo davanti a noi e che ci deve vedere tutti impegnati è il risparmio energetico, l'utilizzo efficiente dell'energia. La nostra cultura è ancora troppo «energivora», vale a dire basata sullo spreco, e su questo terreno possiamo fare moltissimo per risolvere il problema all'origine. Grazie.

PRESIDENTE. Svolgeremo tre turni di domande. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIER PAOLO BARETTA. Buongiorno e grazie del contributo. Questa audizione avviene all'interno di un piano di lavoro della Commissione sulla crescita, sul Programma nazionale di riforma e sulla strategia Europa 2020. Lei ritiene che ci siano le condizioni, nell'ambito di tale strategia, per un piano europeo sull'energia oppure pensa che le posizioni dei Paesi sono così differenziate tra loro, anche rispetto alle scelte che hanno già compiuto, da costringerci a muoverci tutti con un'articolazione che non consente un'idea e un programma vero e proprio di carattere europeo?

PAOLO SCARONI, Amministratore delegato di ENI Spa. Immagino che lei si riferisca, in particolare, alla questione ambientale, quindi al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto e alla strategia europea 20-20-20.

RENATO CAMBURSANO. La prima domanda riguarda gli obiettivi comunitari e, quindi, mi associo alla richiesta già avanzata dal collega Baretta.
Nutro perplessità e dubbi, ma riconosco da subito di essere ignorante, nel senso latino, in materia, sulle scelte che altri Paesi hanno compiuto in merito alle energie rinnovabili. Noi siamo il Paese del sole - non sto a ripetere le considerazioni che conosciamo - ma un fatto è certo: per esprimerci con la versione italianizzata di un'espressione tipica piemontese, ci siamo «fatti bagnare il naso» dalla Germania proprio sulle fonti rinnovabili, sia sul fronte della produzione degli strumenti fotovoltaici, sia su quello della produzione di energia.
Mi stupisce il fatto che sul tema ci siano ancora forti remore da parte del Governo, non certamente di ENI, che compie le sue scelte industriali, che non voglio mettere in discussione. Il legislatore, - sia esso il Parlamento che il Governo - dovrebbero, invece, avere ovviamente un obiettivo a 360 gradi e non settorializzato.
Lei mi perdonerà, ma un noto settimanale non ha fatto un bel servizio ultimamente a ENI, mettendo a confronto gli andamenti, in termini sia di investimenti, sia di redditività, delle gestioni precedenti. Ancora una volta, non ho competenza e non voglio entrare nel merito, ma di certo dentro questo contesto non possiamo non interrogarci, avendo ancora lo Stato italiano una consistente partecipazione ed essendo comunque ENI il primo soggetto del nostro Paese sul fronte della produzione di energia, sul futuro di questa società all'interno del contesto europeo,


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cioè su come si sta collocando ENI nel confronto delle concorrenti e, quindi, finalmente iniziare anche un discorso - cui si collega la domanda del mio collega - europeo di produzione.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Dottor Scaroni, le pongo due domande sintetiche.
La prima è legata alla questione Libia. Desideravo sapere se lei è in grado di fornire a questa Commissione un'idea compiuta o una previsione rispetto alla situazione libica, tenuti presenti ovviamente gli interessi strategici del nostro Paese e dell'ENI medesima, sulla possibilità che possano riprendere le forniture e, quindi, la produzione in quel Paese.
Volevo chiedere anche se voi in questo momento avete un'interlocuzione con il Governo libico e, relativamente alle ultime forniture già effettuate dalla Libia al nostro Paese, se in termini economici noi siamo debitori nei confronti di questo Paese. Qualora dovessimo esserlo, è di tutta evidenza che un'interlocuzione va ricercata, perché, in un momento tanto delicato, in cui è in atto una guerra, bisogna capire se esistono flussi economici e finanziari dal nostro Paese alla Libia e se tali flussi economici siano momentaneamente interrotti. Se ci sono, occorre comprendere verso quale direzione vanno.
Inoltre, abbiamo udito nella scorsa settimana l'amministratore delegato di Finmeccanica, il quale ha prodotto un documento, allegato agli atti della Commissione, in cui viene subito alla nostra evidenza che il prezzo medio dell'energia elettrica in Italia è notevolmente superiore rispetto a quello degli altri Paesi. L'Italia è al primo posto, con una media superiore di circa il 20-22 per cento rispetto agli altri Paesi.
Vorrei che lei approfondisse un po' questa questione, perché è di tutta evidenza che un'energia cara o molto più cara rispetto alla media degli altri Paesi europei è, di fatto, uno dei fattori che ci allontanano enormemente, dal punto di vista della competitività, rispetto agli altri Paesi europei.

PIETRO FRANZOSO. Anche le mie domande, come già quelle del collega Marinello, saranno sintetiche. Una è già stata posta da lui per quanto riguarda i rapporti col Governo libico e sull'esistenza attuale o eventuale di investimenti compiuti dall'ENI nel Paese a rischio per via di ciò che sta accadendo sul posto.
Inoltre, lei ha dichiarato che esiste una grossa quantità di gas, ragion per cui c'è una maggiore sicurezza di approvvigionamento. Gli investimenti che l'ENI sta compiendo ci pongono in una situazione di sicurezza come sistema Paese in caso di eventuali crisi per quanto riguarda le forniture di gas?
La ricerca di energie alternative è un aspetto, ma, allo stato, ci sono investimenti che vanno in quella direzione nel nostro Paese e ENI ha in corso programmi in tal senso?

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Scaroni per la replica a questa prima serie di domande.

PAOLO SCARONI, Amministratore delegato di ENI Spa. A proposito dell'obiettivo 20-20-20, innanzitutto, la nostra posizione è quella di sostenere che gli obiettivi dell'Unione europea sono una bandiera da sventolare, più che un effettivo contributo alla riduzione del gas serra del nostro pianeta.
L'Europa emette circa il 15 per cento del gas serra emesso nel mondo e ridurlo del 20 per cento significa solo ridurre del 3 per cento le emissioni di gas serra. Tutto ciò mi porta ad affermare che o l'Europa riesce a essere l'alfiere di una pattuglia di altri grandi produttori di CO2 che seguono il suo esempio - mi riferisco agli Stati Uniti, alla Cina e alla Russia - oppure tutto lo sforzo compiuto dall'Europa rischia di essere grande ma di ottenere un risultato molto modesto, almeno in termini di riduzione del gas serra.
Si domandava se possiamo affrontare questo tema come Europa o come singoli Paesi. Devo rispondere come singoli Paesi, perché ognuno di noi ha il suo obiettivo, basato sulle emissioni di CO2 del 1990.


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Come Italia abbiamo purtroppo la penalizzazione dovuta al fatto che, poiché eravamo già piuttosto virtuosi nel 1990, lo sforzo che dobbiamo compiere è forse maggiore di quello di altri Paesi, che nel 1990 erano meno virtuosi di noi. Mi riferisco, per esempio, alla Germania, che in quell'epoca aveva ancora le centrali a lignite della Germania dell'Est, grandi produttrici di CO2, che poi sono state chiuse. Per loro, quindi, lo sforzo di raggiungere l'obiettivo è minore del nostro.
Il nostro Governo, comunque, si è impegnato e l'obiettivo è stato ripartito tra i diversi settori e le diverse aziende. Come ENI, noi abbiamo il nostro obiettivo, che possiamo raggiungere o riducendo le emissioni o compiendo operazioni virtuose in termini di emissioni di CO2 nel mondo, per esempio evitando il flaring dove noi produciamo petrolio e gas associato. Ogni volta che noi riusciamo a evitare di bruciare il gas otteniamo crediti che ci valgono come riduzioni di emissione del gas serra.
Per quanto riguarda le energie rinnovabili ho poco da aggiungere a quanto già affermato prima. Personalmente penso che in Italia agiamo bene nel fissare un limite alla quantità di energie rinnovabili che vogliamo, perché ogni aumento delle energie rinnovabili comporta una bolletta più cara. Non vogliamo che le bollette crescano oltre un dato limite. Siamo consci che le energie rinnovabili di cui disponiamo oggi non sono quelle del futuro e, quindi, va bene compiere uno sforzo in questa direzione, ma misurato.
Mi pare che si presti molta fede alle notizie contenute nei settimanali e in merito vi do fiducia. Se, però, volete tenere un'audizione sul bilancio e sui risultati dell'ENI, sono sicuramente disponibile, ma non credo che sia questa la sede opportuna. Potrei parlarvi per un paio d'ore delle nostre strategie e del nostro bilancio, ma non pensavo che oggi fosse questo l'obiettivo.
Per quanto riguarda la Libia, come potete immaginare, è la prima delle nostre preoccupazioni. Innanzitutto, però, vorrei togliere dal vocabolario una parola: noi non trattiamo, né parliamo, né interagiamo col Governo libico. Noi non conosciamo il Governo libico, ma la National Oil Corporation libica, una società che rappresenta la nostro interfaccia e con la quale stipuliamo contratti, paghiamo, vendiamo e compriamo. Non abbiamo rapporti col Governo, ma con questa entità, il che ci mette, per alcuni aspetti, al riparo da problemi che potremmo avere nel trattare con un Governo che in questo momento non viene riconosciuto come legittimo da parte di nessuno e che è oggetto di sanzioni.
Per semplificare il quadro, noi oggi svolgiamo un'unica attività in Libia, peraltro residuale, che è quella di produrre gas per il mercato domestico libico, destinato a produrre energia elettrica in Libia. Dal nostro gas si ricava, infatti, più del 50 per cento dell'energia elettrica che viene consumata in Libia.
Noi riteniamo che questa nostra attività sia a favore della popolazione, perché l'energia elettrica contribuisce alla vita di tutti, e stiamo lavorando per far esentare tale attività da eventuali sanzioni che dovessero assumere il Governo americano, l'Unione europea o il Governo italiano. Siamo in contatto con la signora Clinton, con la signora Ashton e con il Ministro Frattini, che sono i nostri tre interlocutori, per accertarci che questa nostra attività sia legittima. Se non dovesse essere considerata legittima, non la svolgeremo più. Abbiamo reso chiaro a tutti, però, che, se non la dovessimo svolgere, buona parte della Libia spegnerebbe la luce. Dopodiché, ognuno evidentemente prenderà le decisioni nel proprio campo.
Quando potrà ripartire la produzione di gas destinato, invece, ad alimentare il Greenstream, che è la pipeline che lega la città di Mellitah in Libia con Gela? È difficile stabilirlo. Da un punto di vista tecnico, si tratta di una questione molto semplice: potremmo ripartire anche domani mattina. Dovremmo ripopolare le nostre due piattaforme in mezzo al Mediterraneo che producono questo gas, ma è un'operazione molto semplice. L'impianto di Mellitah, una stazione di pompaggio in cui il gas viene pompato e


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immesso ad alta pressione nel tubo, è in perfetto stato e potremmo ripartire domani mattina.
Dobbiamo essere certi, però, di svolgere un'attività non oggetto di sanzioni. Credo che oggi non la potremmo svolgere e, quindi, ci si porrebbe, al di là di un tema tecnico, un tema relativo alle sanzioni. Le sanzioni si traducono poi con lo spararci una fucilata in un piede da soli, perché, non ritirando questo gas, evidentemente non contribuiamo alla sicurezza energetica dell'Italia e dell'Europa, però stiamo a vedere che cosa succederà.
A proposito di investimenti, naturalmente non ne compiamo in Libia in questo momento. È una rinuncia da poco, però, perché ne avevamo in programma veramente pochi in questo periodo.
Alcune domande sono da porre più al mio amico Fulvio Conti che non a me, quando parliamo di energia elettrica. Noi siamo nani nella produzione di energia elettrica in Italia e in Europa; è il suo mestiere più che il mio. Poiché, però, sono stato tre anni all'ENEL, ricordo alcuni dati e so che la ragione per la quale l'energia elettrica in Italia è più cara che nel resto d'Europea è di una semplicità assoluta: noi, praticamente, non abbiamo carbone né nucleare.
In tutta Europa una parte importante dell'energia elettrica che viene prodotta - variabile dal 90 per cento nel caso della Francia, al 30 per cento nel caso della Spagna - viene dal nucleare e dal carbone. Noi ci siamo privati della fonte più a buon mercato oggi, il nucleare, e abbiamo una presenza limitatissima nella seconda fonte più a buon mercato, il carbone. Sono scelte che ha compiuto il nostro Paese. Le abbiamo compiute negli ultimi 25 anni ed è inutile stare a discuterle tutte le volte, perché non possiamo modificarle. Certamente tali scelte spiegano le ragioni del divario di prezzi esistente, che forse è destinato a durare.
Mi si chiedeva degli investimenti nel settore del gas da parte di ENI. Noi non ci riteniamo responsabili della sicurezza e dell'approvvigionamento del nostro Paese. Non lo siamo. Abbiamo il 40 per cento del mercato italiano del gas. Se rivendicassimo questo ruolo, avremmo problemi con l'Antitrust.
È stata compiuta la scelta per cui ENI sia solo uno degli attori del mercato italiano e così è. Negli ultimi dieci anni abbiamo svolto un percorso che ci ha portati a scendere di quota nel mercato italiano dal 100 per cento al 40 per cento. In parallelo, siamo cresciuti su tutti i mercati europei, ragion per cui oggi abbiamo più del 20 per cento di quote di mercato in Europa: in Francia, Belgio, Olanda, Germania, Spagna e Turchia. Siamo presenti in tutti i Paesi europei e le nostre scelte strategiche si pongono traguardi in funzione del mercato europeo. Continuiamo a investire sia nelle infrastrutture relative al gas, sia in contratti, che ci consentano una varietà di fonti di approvvigionamento - aspetto per noi essenziale - sia, naturalmente, nelle nuove frontiere del gas.
Non vorrei aprire un nuovo capitolo ampio e non so se la parola shale gas significhi qualcosa per voi, ma voi sapete che negli ultimi cinque anni c'è stata una rivoluzione tecnologica negli Stati Uniti, che rende possibile lo sfruttamento di giacimenti di gas conosciuti magari da cent'anni, ma che tecnicamente non erano sfruttabili. L'aver trovato il modo di sfruttare tali giacimenti ha creato una nuova offerta di gas negli Stati Uniti. Noi siamo impegnati, dopo aver comprato una società americana che svolge questo mestiere, quindi avendo imparato le tecnologie, a portare tali tecnologie in Europa e in Asia, con l'idea di svilupparle in Polonia, in Cina e in altri Paesi europei per aumentare la nostra produzione diretta di gas.
Rispondo a una domanda sulla ricerca e sviluppo nelle rinnovabili. Forse ricorderete che ENI ha ereditato dal suo passato travagliato l'Istituto Guido Donegani a Novara, un centro che ha una storia molto gloriosa di ricerca. Esso è il centro della nostra ricerca per le rinnovabili e coopera con l'istituto dei nuovi materiali del MIT.
Per semplificare, siamo concentrati su un tema molto semplice. Siamo convinti che il solare sia la risposta ai problemi energetici del nostro pianeta a lungo termine.


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Dal sole ogni giorno arriva migliaia di volte la quantità di energia che consumiamo. Il problema è come catturarla, conservarla e renderla disponibile.
Le tecnologie attualmente utilizzate risalgono a prima della seconda guerra mondiale, basandosi sostanzialmente sulla tecnologia del silicio. Si tratta di una tecnologia costosa, poco produttiva e poco densa, nel senso che occorrono grandi spazi per produrre poca energia. Pensate che per produrre l'energia elettrica che si genera in una centrale a gas alimentata da solare bisogna occupare 150 volte il territorio necessario per una centrale a gas. Se domani volessimo trattare solo il solare, dovremmo spiantare tutte le coltivazioni che abbiamo in Italia e installare pannelli dappertutto.
Noi siamo concentrati a capire come si ottiene il solare senza usare il silicio, con materiali meno costosi, più efficienti e più densi. Facciamo leva su un'altra delle nostre competenze, la produzione di polimeri. Noi siamo il più grande produttore di polimeri in Europa e siamo convinti che i polimeri possano svolgere la stessa funzione del silicio. Su questo tema investiamo e crediamo molto.

PRESIDENTE. Passiamo al secondo ciclo di domande. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUDOVICO VICO. Dottor Scaroni, le pongo alcune domande precise. The Economist, parlando dell'ENI, alcuni anni fa, parlò del «nuovo impero romano», come lei sa bene.
La prima domanda è sul petrolio e sulla crisi del Maghreb. Rispetto all'obiettivo 20-20-20, anche alla luce delle considerazioni che lei ci ha reso, i contratti nel prossimo triennio cresceranno oppure tenderanno a stabilizzarsi?
Sul gas, sul trasporto estero del gas, su TAG, TENP e Transitgas a che punto siamo? Il Governo, da questo punto di vista, ha espresso un'opinione sul rapporto con Cassa depositi e prestiti. Ha dato, invece, un'indicazione sulla separazione della SNAM Rete Gas italiana sul percorso ITU. Lei sa bene che molti di noi pensano che l'altro percorso, quello della separazione netta, sia più utile. Abbiamo già letto la sua opinione, ma, dato che siamo in audizione, non sarebbe male risentirla.
La terza domanda riguarda il piano energetico europeo. Chi ci pensa e chi ci potrebbe pensare? Perché anche l'ENI non ci suggerisce una strada?
Passo all'ultima domanda. Benché all'ENI sia stata posta la questione dell'energia, la crescita presuppone anche quella che chiamerò la novità dell'ENI negli ultimi vent'anni, ossia il fatto che esso torna a investire nel manifatturiero, in partnership con Novamont, su ciò che di più innovativo dal punto di vista delle conoscenze può venire, ossia la bioplastica.
In contemporanea, però, per via di alcuni accordi, lascia il ciclo del cloro. Parlo di Syndial e di polimeri. Ci preoccupa, in sede di Governo, l'accordo definitivo con il subentrante, un fondo di investimento. Noi non guardiamo con fiducia ai fondi di investimento, soprattutto quando non comprendiamo chi ne sono gli autentici titolari. Ancora la vicenda non è chiusa.
Quelle iniziative nel manifatturiero sono l'inizio di una nuova stagione oppure semplicemente di un'opportunità industriale di grande rilevanza?

AMEDEO CICCANTI. Buongiorno e grazie per la relazione. Vorrei capire, con una domanda, se l'ENI intenda riprendere il discorso della chimica e tornare in un settore in cui l'Italia era leader, sicuramente almeno in un contesto europeo, che poi, grazie all'ENI, ha abbandonato. Chiedo se questa sia una vostra prospettiva.
Passo a un'altra domanda. È stato affermato che il costo dell'energia è maggiore nel nostro Paese. Per quanto riguarda il costo del petrolio e del gas siamo a una media superiore al 10 per cento. Lei pensa che ciò sia dovuto alle posizioni dominanti che l'ENI assume nel mercato della distribuzione? Se questo è vero, quali sono le strategie che si appresta a mettere in campo per il futuro: una maggiore


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liberalizzazione, scendere sotto il 40 per cento, oppure competere con quel 40 per cento?
Adesso stiamo ragionando di una strategia europea. L'ENI è stata fortemente contestata da parte della Direzione generale della concorrenza, con procedure di infrazione per posizioni dominanti. Più che di una strategia, si tratta di un obbligo che ENI si deve dare, posto che ha i fari accesi da parte delle Authority sulla concorrenza a livello europeo.
Nonostante questa posizione dominante e il maggior costo dell'energia - non è il tema di oggi, ma è la realtà - si registra una perdita di credibilità di questo nostro valore nazionale nel mercato dell'energia.
Nel maggio del 2005 il valore del titolo ENI era di circa 25 euro, però il costo del petrolio era di 50 dollari al barile. Nel 2008 sono stati toccati i 150 dollari al barile, mentre ieri il prezzo era di 100 dollari al barile. Il costo altissimo del petrolio dà comunque al titolo ENI dagli ultimi cinque anni a oggi un valore pari a circa 17 euro. Come mai, nonostante cresca il prezzo del petrolio, il valore del titolo ENI scende da 25 a 17 euro, nonostante il maggior costo in Italia e le posizioni dominanti?
Passo all'ultima domanda. Perché l'ENI sta abbandonando il Kazakhstan, dopo che aveva costituito un consorzio con le principali aziende petrolifere del mondo ed era capofila? Perché questa grande fonte di approvvigionamento del gas non è più di attualità? Ci sono altri sbocchi, altre prospettive, anche tenendo conto della questione della Libia?

MASSIMO POLLEDRI. La prima domanda è su SNAM Rete Gas. La Lega ha sempre difeso l'esistenza di un unico asset proprietario proprio per la capacità di investimento che poteva avere l'ENI, nonché per il progetto dell'Italia come hub, che era più nella testa di qualcuno che nel concreto. Ultimamente alcune dichiarazioni sembrano andare in senso contrario. Ciò avviene perché ci sono dati sull'indebitamento? È cambiata la strategia o intendete confermarla?
Sul nucleare, l'ENI non si è mai posizionato, anche se immagino che ci sia stato un momento in cui ci ha pensato. Nella filiera, sia sull'approvvigionamento del materiale, sia sull'arricchimento, oggi dipendiamo da fattori esteri. Avete mai pensato di entrare in una fase della catena?
Mi sembra poi che la disponibilità dell'amministratore delegato a fornire informazioni sul bilancio sia utile, perché questa Commissione è sicuramente interessata al rendimento complessivo dell'azionista.
Per rimanere all'argomento di oggi, su riserve e produzione per il futuro, ci può rassicurare su quali sono gli scenari, stante che oggi la situazione non è sicuramente incoraggiante?

ANDREA LULLI. Dottor Scaroni, noi avremo il piacere di averla in Commissione attività produttive, fra poco meno di due settimane, ragion per cui sarò molto breve. Mi piacerebbe avere la sua opinione qui - ovviamente l'ha già espressa in più occasioni - sui vantaggi che lei ritiene abbiano portato l'ENI a stipulare l'accordo con Gazprom.
In secondo luogo, poiché lei ci ha ricordato il costo dell'energia solare in bolletta, forse sarebbe utile ricordare ai commissari, se è in possesso di questi dati, anche quanto pesano le fonti assimilate nella bolletta degli italiani rispetto al fotovoltaico.
La terza questione verte sulle innovazioni del futuro. Siamo sostanzialmente d'accordo con lei, perché non c'è dubbio che le tecnologie usate oggi non siano all'avanguardia, però vorrei conoscere la sua opinione sul fatto che, a livello di Unione europea, sul fotovoltaico e sul solare ci sia un blocco perché le scelte e le caratteristiche a cui è legato tutto l'approccio all'energia solare risultano essere vincolate dalle posizioni dominanti dell'industria tedesca, la quale ha imposto a lungo andare l'uso del silicio. Poiché non c'è solo la carta, ma ci sono anche i tessuti e tanti altri nuovi materiali, su cui probabilmente la ricerca va a rilento per altri


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interessi e per scelte politiche dominanti in Europa, vorrei conoscere la sua opinione in proposito.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Scaroni per la replica a questo secondo ciclo di domande.

PAOLO SCARONI, Amministratore delegato di ENI Spa. Cercherò di essere veloce e di riassumere alcune domande.
Innanzitutto, noi siamo i principali attori del Nord Africa. Siamo primi produttori in Egitto, in Algeria, in Libia e primi produttori a pari merito in Tunisia, anche se è un piccolo Paese dal punto di vista petrolifero.
In Egitto la rivoluzione è avvenuta senza che perdessimo un solo barile. In Algeria tutto procede normalmente e non abbiamo segnali di particolari problemi, come anche in Tunisia. Limiterei il tema alla Libia. Sul resto del Nord Africa non registriamo problemi.
Sulle pipeline internazionali, ricollegandomi a una domanda sulla Direzione generale della concorrenza, vorrei rassicurarvi sul fatto che noi non siamo affatto nel suo mirino. Non abbiamo mai ricevuto alcuna multa, a differenza, per esempio, della Gaz de France e dell'E.ON. Gli ex monopolisti sono naturalmente e normalmente sotto i riflettori. Noi siamo stati sotto i riflettori, ma senza alcuna multa. La Gaz de France ha ricevuto, invece, 500 milioni di euro di multa. Vorrei rassicurarvi sul fatto che ENI non è stata penalizzata. Aggiungerei poi che non c'è nulla di male nell'avere una posizione dominante, ma nell'abusarne, e noi non l'abbiamo fatto.
Stiamo vendendo le tre pipeline e credo che lo faremo entro giugno. Siamo piuttosto ottimisti. Una di queste, per scelta del nostro Governo, la TAG, quella che ci collega con la Slovacchia e che trasporta gas russo, sarà venduta alla Cassa depositi e prestiti, come da richiesta esplicita scritta del nostro Governo, mentre le altre due andranno in gara. C'è una gara in corso e siamo ottimisti sul fatto di riuscire a venderle.
Su SNAM Rete Gas non vorrei tornare di nuovo su un tema su cui esiste una saga che ci ha tenuti occupati negli ultimi cinque o sei anni, ma mi limito a svolgere due considerazioni. Nessun importatore di gas si è mai lamentato di essere discriminato da SNAM Rete Gas. Non esiste una sola lamentela. Ciò significa che il fatto che SNAM Rete Gas sia controllata dall'ENI oppure no non comporta alcun impatto sul mercato.
La seconda questione, che mi limito a citare per non ripercorrere tutta la storia, è che la scelta del Governo italiano è la stessa dei Governi tedesco, francese, austriaco e di tanti altri Governi europei. La scelta del Governo italiano non è una scelta strana, dunque, ma ci accomuna a quella compiuta dai due più grandi Paesi dell'Europa. Si tratta, quindi, di una scelta piuttosto normale.
Ciò non significa, come ho affermato più volte, che io consideri obbligatorio e definitivo il fatto che ENI controlli SNAM Rete Gas. Non lo considero affatto tale. La considero una situazione che sicuramente è stata nell'interesse dei nostri azionisti negli ultimi anni. SNAM Rete Gas è stato un titolo che ha «performato» particolarmente bene per tante ragioni e noi ne eravamo convinti. Potremmo rivedere questa scelta nel futuro, ma naturalmente la rivedremmo d'intesa col Governo italiano, perché il Governo italiano ha una golden share su SNAM Rete Gas e, giustamente, vuole sapere dove potrebbe finire questa infrastruttura così importante e unica del nostro Paese.
Spendo due parole sul titolo ENI. Il valore non era di 25 euro, ma di 20 euro nel 2005, ma non è rilevante. Quando guardo il comportamento del nostro titolo, cosa che faccio con una notevole frequenza, come si può immaginare, non svolgo ragionamenti astratti, ma molto concreti.
Ci sono sei compagnie simili a noi, che si chiamano Exxon, Chevron e Conoco Philips negli Stati Uniti, BP, Shell e Total in Europa e mi confronto con loro. Se tutte scendono e io scendo meno, sono contento; se tutti salgono e io salgo meno,


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sono triste. Posso assicurarvi che negli ultimi anni il titolo ENI si è comportato meglio della media del peer group. Questo è il metro con cui giudico il modo in cui ci siamo comportati noi. Considero che la valutazione del nostro titolo sia un referendum che si tiene ogni mattina sulle nostre capacità di gestire l'azienda. Da questo punto di vista, si tratta di un giudizio cui mi sottopongo volentieri, perché lo considero un giudizio giusto. Se, invece, confronto il titolo ENI con il titolo Microsoft, è un altro mondo e non lo considererei un giudizio fair.
Si poneva poi un tema intorno alla chimica, che mi pare di interesse un po' di tutti. Innanzitutto ENI è arrivato alla chimica non per scelte sue. Per un decennio tutti i cadaveri della chimica italiana gli sono stati attribuiti ex lege. Il Parlamento decideva che la SIR era fallita e la dava all'ENI. Poi falliva la Liquichimica e accadeva lo stesso e così anche con la Montedison. Il nostro operato nella chimica non è frutto di una strategia che qualcuno ha sviluppato all'interno di ENI, ma il risultato di salvataggi che il Parlamento, dal momento che si varavano leggi su questo tema, imponeva all'ente di Stato ENI, all'epoca detenuta al 100 per cento.
Per questa ragione noi siamo entrati nella chimica. Mettersi a gestire una somma di pezzetti di aziende, oltretutto fallite per buone ragioni, è un compito piuttosto titanico, che impegna me e i miei predecessori da vent'anni. Cerchiamo, ogni volta che ne abbiamo l'opportunità, di mettere mano a questa situazione.
Per esempio, parlavamo di chimica verde, un progetto che entusiasma noi e che credo piaccia un po' a tutti. L'investimento che attuiamo con la Novamont a Porto Torres consiste nel produrre sacchetti biodegradabili partendo dalla produzione del cardo. Tale investimento è stato compiuto per andare a rimpiazzare il cracker di Porto Torres, che era la vecchia SIR, che perde sistematicamente da vent'anni tutti gli anni. Noi cerchiamo di sostituire attività irrimediabilmente in perdita con attività che, invece, hanno un futuro.
Per quanto riguarda il ciclo del cloro, ENI non è mai stata nel ciclo del cloro, ma ne curava una parte. Produceva dicloroetano, che vendeva a una grande multinazionale inglese che si chiama INEOS, la quale l'utilizzava per produrre PVC. Il ciclo del cloro non è mai stato nostro.
Quando la INEOS è fallita e ha subìto tutte le traversie che conoscete - ha anche cambiato nome e adesso si chiama Vinyls - chi la vuol comprare, non da noi, ma dai commissari, ci ha chiesto di cedere le attività del dicloroetano. Abbiamo raggiunto un accordo con questo fondo d'investimento, che mi pare non piaccia a qualcuno di voi, ma che ha presentato l'unica offerta pervenuta ai commissari. In questo ENI non c'entra nulla. Noi abbiamo raggiunto un accordo con la Ghita per cui noi daremo tutto ciò che vogliono. L'accordo è stato firmato e adesso spetta a loro raggiungere un accordo con i commissari. La nostra uscita dal dicloretano è una parte della soluzione del problema della INEOS. Noi ci siamo resi disponibili a favorire la soluzione del problema, sperando che tale soluzione effettivamente arrivi.
Più in generale, noi siamo pronti a compiere investimenti nella chimica in Italia e in Europa solo nella chimica che parte da Virgin nafta. Quando parte da gas e, quindi, ha come materia prima il gas, noi siamo convinti che tale chimica possa essere competitiva solo se fatta nei Paesi produttori di gas, che hanno gas in abbondanza e a prezzo quasi zero. Purtroppo molta chimica si ottiene da gas e, quindi, i nostri investimenti in questo campo ci saranno, ma non in Italia, perché noi non disponiamo della materia prima.
Per esempio, qualcuno si mostrava interessato al Kazakhstan. Vorrei rassicurarlo: in Kazakhstan non siamo solo presenti, ma presentissimi. Abbiamo migliaia di persone e generiamo un importante fatturato. Inizieremo tra poco più di 12 mesi la produzione nel più grande giacimento scoperto negli ultimi trent'anni, che si chiama Kashagan, e, nel frattempo, continuiamo la produzione nel Karachaganak.


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Proprio in Kazakhstan, un Paese ricco di gas, potremmo compiere investimenti nella chimica da gas, perché la materia prima ci costa sostanzialmente zero.
Per quanto riguarda la situazione delle riserve e delle produzioni di ENI, vorrei cercare di trasmettervi un concetto che forse non è chiaro, magari per colpa nostra. Noi non siamo responsabili dell'approvvigionamento energetico dell'Italia, né per quanto riguarda il petrolio, né per quanto riguarda il gas. Non lo siamo e non lo possiamo essere, perché l'Antitrust lo proibirebbe e forniamo poco all'Italia. Quando voi pensate a che cosa fa l'ENI e a quale è il suo mestiere, vi rispondo che il nostro mestiere principale è quello di produrre petrolio in Angola e di venderlo negli Stati Uniti o di produrre gas in Pakistan e di venderlo al Governo pachistano.
Non dovete immaginare che l'Italia sia il centro delle nostre attività. L'Italia per noi rappresenta una questione molto piccola, da un punto di vista petrolifero. Pensate solo che noi abbiamo un po' più del 30 per cento della capacità di raffinazione del nostro Paese e che, quindi, le nostre raffinerie coprono più o meno il 30 per cento dei consumi italiani.
Per quanto riguarda il gas, siamo a meno del 40 per cento, quindi in una posizione nemmeno più dominante. Non solo non dobbiamo abusare della nostra posizione dominante, ma non siamo nemmeno più dominanti. Gli ex monopolisti degli altri Paesi europei hanno tutti il 70 per cento della quota di mercato. Noi, proprio per evitare di passare tempo sotto le forche caudine delle diverse autorità, abbiamo scelto di uscire dal mercato italiano.
Naturalmente, però, non ci si può chiedere di uscire dal mercato e di ridurre la nostra presenza, garantendo però la sicurezza dell'approvvigionamento. Bisogna compiere una scelta: o siamo piccoli, o siamo grandi e semimonopolisti. È stato scelto che ENI sia un piccolo attore del gas? Benissimo, noi ci adattiamo e svolgiamo il nostro mestiere, che è un mestiere internazionale. Cerchiamo di crescere, per esempio, in Francia, in Germania e in Belgio, che sono i nostri mercati principali, in cui andremo a fornire il prodotto che cerchiamo di produrre.
È stata posta una domanda sulla Gazprom. Innanzitutto il nostro rapporto con Gazprom, che allora non si chiamava così, ma che era la stessa realtà, risale all'epoca di Mattei. Non l'ho stipulato io. L'alleanza tra ENI e il mondo del gas russo è vecchia di almeno quarant'anni. Noi continuiamo a mantenere questo rapporto, che consideriamo un punto di forza della nostra azienda, uno dei punti principali su cui si poggia la nostra strategia del gas.
Gazprom è il più grande produttore al mondo di gas, ha le più grandi riserve al mondo di gas, è un fornitore tradizionalmente affidabile e, quando vediamo i venti tempestosi sul Nord Africa, ci ricordiamo che la Russia, pur avendo passato momenti molto travagliati, non ha mai dato problemi in questo senso e, quindi, siamo ben contenti di mantenere i rapporti con Gazprom.
In questo momento stiamo litigando furiosamente sui prezzi della fornitura del gas, ma ciò fa parte di rapporti commerciali che non incidono sulla nostra alleanza di lungo termine, la quale, peraltro, non è solo nostra. E.ON in Germania ha la stessa alleanza, come pure Gaz de France. Gazprom ha tre o quattro mega clienti in Europa sui quali fonda la sua strategia da molti anni.
Non essendo un grande conoscitore dei materiali per la produzione di energia solare, accenno alla questione solo brevemente. Non so se oggi esistano sul mercato vere alternative alle celle al silicio. Francamente non lo so. Credo, però, che il mercato sia molto più in mano alla Cina che alla Germania. Oggi i pannelli meno costosi, più efficienti, quelli su cui si poggia gran parte dell'espansione non vengono dalla Germania, ma dalla Cina, con tecnologie molto simili a quelle tedesche, peraltro, ma con costi di produzione più bassi.
Credo, quindi, di aver risposto più o meno a tutto.


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PRESIDENTE. È stato interessantissimo. Proprio su questo punto ieri con il presidente dell'ISTAT discutevamo dell'impatto sulle importazioni dei pannelli solari.
Passiamo al terzo ciclo di domande. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIO CALVISI. Pongo tre domande veloci, le ultime due originate dalla considerazioni appena svolte dal dottor Scaroni sulla chimica.
Alla luce di quello che sta accadendo nel Nord Africa, dell'instabilità politica di oggi e di quella che ci potrà essere domani, voi pensate che il progetto Galsi possa essere rimesso in discussione? Si tratta di un metanodotto che dovrebbe partire dall'Algeria, attraversare la Sardegna e arrivare in Toscana per rifornire l'Italia di 8 miliardi di metri cubi di gas naturale proveniente dall'Algeria. SNAM Rete Gas dovrebbe realizzare le infrastrutture in Italia e dovrebbe poi anche gestirle.
La domanda è stringata, perché c'è grande preoccupazione, soprattutto alla luce del fatto che non si tratta di investimenti pubblici, pur essendoci anche quelli, ma di risorse private che devono essere mobilitate per coprire effettivamente il costo di tale struttura.
Essendo un parlamentare della Sardegna, nutro grande preoccupazione sulla vicenda della chimica. Le confesso che sono molto allarmato da ciò che lei ha riferito, per cui vede il futuro dell'ENI, per quanto riguarda la chimica, soprattutto all'estero e non in Italia.
Voglio solo ricordare, e le chiederei un parere in merito, anche se forse mi ha già risposto, che oggi è una giornata decisiva per la chimica in Italia. Si saprà, infatti, se verrà concluso l'accordo tra la Vinyls e la Ghita. Voglio solo far presente che, se non si dovesse concludere questo accordo, noi smetteremmo di produrre PVC in Italia.
Per lungo tempo abbiamo chiesto all'ENI di investire nella chimica, ma l'ENI si è progressivamente ritirata dal settore. Una domanda che forse non è giusto rivolgere a lei, come amministratore delegato di ENI, e alla quale forse dovrebbe rispondere più il Governo, è la seguente: è una scelta industriale intelligente quella di non fare chimica in Italia, mentre tutti gli altri Paesi d'Europa continuano a farla? E se non la fa ENI, chi la fa? Questo è il problema sul quale vorrei un suo parere.
Infine, a me dispiace che la chimica verde, compreso l'investimento che volete compiere in Sardegna a Porto Torres, sia vista come alternativa a quella che già esiste in termini di organizzazione e di produzione della chimica. Metto solo in evidenza che il sistema agricolo sardo non supporta oggi, né lo farà tra due o cinque anni e probabilmente nemmeno fra dieci anni l'investimento che volete compiere.
Si porrà, quindi, il problema dell'approvvigionamento e dell'importazione della materia prima. Alla fine, più che cardi e girasoli, si importerà probabilmente olio di palma dall'Indonesia, con tutti i problemi di natura ambientale che vi sono connessi. Una centrale di 40 megawatt, quale quella che mi pare si intenda realizzare sul posto, oggi come oggi non è supportata, né lo sarà in pochi anni, dall'approvvigionamento del sistema agricolo.

GIOVANNI FAVA. Cercherò di essere velocissimo. Alcune risposte mi sono già state date. Quando ho chiesto la parola, avevo la necessità di capire se il tema della giornata potesse essere affrontato. Io ero venuto con in mente un titolo, ma abbiamo parlato quasi di tutt'altro. Se è pur vero che il tema energetico è molto interessante, è altrettanto vero che il tema della chimica e dello sviluppo della chimica lo è altrettanto, soprattutto per le ripercussioni che può avere in materia di lotta alla crisi.
Le mie domande sono semplicissime. Il modello Porto Torres, il modello della chimica verde, per voi potrebbe essere esportato in altri poli petrolchimici nei quali siete presenti in modo massiccio? Io vengo dalla provincia di Mantova e si sa quanto per noi sia importante questo tema, soprattutto in funzione del fatto che c'erano stati impegni da parte di ENI a


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investire direttamente sul laboratorio di ricerca sulle tecnologie innovative in materia di chimica proprio a Mantova, un progetto che, al momento, per alcune vicissitudini, resta ancora lontano dall'essere sviluppato.
La seconda questione che pongo è sull'investimento che voi compirete in Sardegna per la conversione di fatto alla chimica verde dell'impianto di Porto Torres. Iniziamo a discutere anche del tema dei fondi che ENI ha deciso di mettere a disposizione sul versante delle bonifiche dei siti contaminati, che accompagnano quasi sistematicamente la vostra presenza - ereditata finché volete, ma comunque attuale - sui territori sui quali insistete.
Voi come pensate di ripartire il fondo che avete annunciato nelle scorse settimane di voler mettere a disposizione per la soluzione di questo problema? Non vorremmo che esso fosse assorbito tutto da Porto Torres. Ci auguriamo, invece, che ci siano la volontà e la disponibilità di mettere tali risorse a disposizione anche di altri territori.

MASSIMO VANNUCCI. Per noi siete la più grande azienda italiana, con oltre 300 miliardi di fatturato. Insisto su una domanda «domestica», anche per capire il vostro contributo alla crescita.
Sulla domanda sul costo dell'energia lei si è chiamato un po' fuori, invitandoci a chiedere a Fulvio Conti e sostenendo che può darci una breve risposta perché è stato tre anni all'ENEL. Forse, invece, sul prezzo del gas ci può dire di più.
Confindustria ci riferisce che nel 2009 il prezzo medio mensile del gas in Inghilterra e in Belgio è stato pari a 8,3 euro per megawattora, in Olanda a 8,31, in Germania a 8,41, in Francia del nord a 8,46, mentre in Italia il prezzo del punto di scambio è stato di 13,68 euro.
A proposito di costo dell'energia, vorrei conoscere il peso del gas. Noi prima abbiamo audito l'amministratore delegato di ENEL, il quale ci ha riferito che il problema dell'Italia è la forte dipendenza da gas e petrolio, che hanno un peso del 61 per cento, e l'assenza di nucleare. Ci ha indicato le percentuali, le quali fanno sì che il nostro Paese si avvicini un po' alla Spagna, che ha poco nucleare.
Poi è venuto il Presidente Guarguaglini di Finmeccanica e ci ha comunicato i prezzi: il prezzo medio dell'energia elettrica è pari a 64,25 euro in Italia, a 52 in Francia, a 50 in Germania, a 44 in Spagna. La Spagna, che non ha il 75 per cento di nucleare come la Francia, ha un prezzo assai inferiore al nostro. Non c'entrano nulla l'ENI, il costo del gas, la capacità? Questa è la domanda.

LINO DUILIO. A questo punto pongo una domanda di carattere molto generale, visto che è stato trattato pressoché tutto.
Circa due settimane fa il neopresidente dell'Agenzia per la sicurezza nucleare Veronesi ha avuto modo di dichiarare in diverse interviste che tra circa cinquant'anni la fonte del petrolio si esaurirà e che tra ottanta o cento anni si esaurirà il carbone, ovviamente con ragionamenti che portavano acqua al mulino del nucleare.
La mia domanda è molto semplice ed è di scenario, visto che ci dovrebbe preoccupare anche il periodo medio-lungo. Mi complimento in merito, perché ho visto che nelle vostre slide si arrivava al 2050. È vero che in prospettiva il petrolio si esaurirà come fonte energetica, come sostiene il professor Veronesi?
La seconda domanda è legata alla prima, rispetto alla quale lei ha già fornito una risposta parlandoci del solare e dei costi che comporta. Visto che, anche sull'onda dell'emozione seguita ai fatti avvenuti in Giappone, si sta riaprendo la discussione e che io prevedo - e per alcuni versi me lo auguro anche - che non vi saranno conseguenze tanto tragiche in Giappone e che, passata l'emozione, si ritornerà alla razionalità, non vorrei che nella sua risposta alla mia domanda sul solare implicitamente ci fosse già una risposta di carattere generale anche sul nucleare.
Non lo so, ma glielo chiedo come a uno dei dirigenti più importanti nel nostro Paese, nell'accezione lata della dirigenza:


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qual è la sua opinione sul nucleare? I grandi dirigenti del nostro Paese, in cui io includo diverse figure, hanno opinioni diverse e contrastanti. Di Veronesi ho già parlato, ma, se sentiamo Rubbia, ha opinioni molto diverse e non è uno qualsiasi.
Al di là del fatto che sia una necessità e che costa molto produrre altro, lei che cosa pensa di questo tema?

MARCO MARSILIO. Sempre nel filone dell'energia nucleare, dal documento che avete depositato vedo che ENI punta molto sul gas naturale e sui suoi vantaggi, ossia competitività ed economicità, anche se sono curioso di sentire anch'io la risposta sulla questione del prezzo, che è stata posta dal collega Vannucci.
Noi siamo oggi a un punto di svolta in Italia. Tra pochi mesi si svolgerà anche un referendum. Il Governo ha compiuto alcune scelte, la maggioranza le ha sostenute e il popolo italiano sarà ora chiamato a decidere. Non è detto che il programma di reingresso nel nucleare possa andare avanti. Vorrei capire se quello che voi affermate rispetto al gas significa anche che nei programmi di mix di approvvigionamento energetico nazionale il gas possa essere un sostituto dell'energia nucleare.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Scaroni per la replica al terzo ciclo di domande.

PAOLO SCARONI, Amministratore delegato di ENI Spa. A proposito della domanda sul Galsi, noi non ne siamo parte e non ci occupiamo di questo progetto, che vede coinvolti altri attori. Rilevo solo, come osservatore, che metà del costo del progetto andrà in bolletta, perché tutto l'attraversamento della Sardegna e quello dalla Sardegna alla costa toscana è considerato un tratto interno all'Italia e il suo costo, quindi, va in bolletta. Realizziamo pure tutte queste iniziative, ma poi non lamentiamoci della bolletta del consumatore. In altri termini, la parte tra Algeria e coste occidentali sarde è pagata dal consorzio promotore, mentre quella di attraversamento della Sardegna e dalla Sardegna alla costa Toscana va, invece, in bolletta. Sono scelte che si compiono. Non opino sulla scelta, ma rilevo soltanto questo fatto.
Forse non mi sono espresso bene, ma noi non faremo chimica a gas in Italia. La chimica a gas in Italia non si giustifica, come non si giustifica in nessun Paese d'Europa, tra parentesi. Essa è destinata a chiudere e a morire, perché viene sostituita da chi parte in Arabia Saudita, in Kuwait e in Kazakhstan, dove il gas è abbondante e ha costo zero.
Il nostro progetto di chimica verde non ha bisogno di oli, ma di amidi. Non siamo sul terreno dell'olio di palma. Io sono piuttosto ignorante, ma chi si occupa di questo tema è, invece, molto ottimista sulla coltivazione del cardo in Sardegna. Se poi non si produrrà in Sardegna, lo produrremo, anzi, lo produrranno da un'altra parte, perché noi ci impegniamo soltanto ad acquistarlo, non a fare gli agricoltori.
Capisco la preoccupazione, però forse oggi mi aspetterei da un parlamentare sardo un po' meno di preoccupazione, visto che siamo in procinto di investire 400 milioni di euro in Sardegna. Non è male. Non sto parlando di bonifiche, ma di investimenti nella chimica verde. Dopo parleremo di bonifiche, che sono un altro tema. Se siamo molto preoccupati quando investiamo 400 milioni di euro, immagino quanto lo saremmo, se non compissimo tale investimento. Credo, dunque, che ci
siano le condizioni per essere ottimisti, almeno sotto questo profilo.
Sul PVC, premesso che ENI non lo produce - non possiamo fare tutto; non abbiamo mai prodotto PVC e continuiamo a non produrlo - l'unica questione che rilevo è che, se la INEOS, il più grande produttore di PVC d'Europa e uno dei due o tre al mondo, ha deciso di chiudere o addirittura è andata in passivo, ci sarà una buona ragione. Evidentemente, la produzione di PVC in Europa è ridondante - in questi mercati non c'è l'Italia, ma solo l'Europa - e che, quindi, alcuni impianti dovevano essere chiusi, altrimenti continuerebbero


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a produrre pacifici e tranquilli, visto che è il loro mestiere produrre PVC.
Può la chimica verde trovare localizzazione altrove? Si, può trovarla e naturalmente dobbiamo farlo a mano a mano che il mercato si sviluppa. Noi siamo molto ottimisti sulla pacciamatura, un procedimento nel quale si collocano fogli di polietilene in campagna per impedire la crescita di erbacce. Quel materiale oggi viene depositato e risollevato. Noi introduciamo, invece, un prodotto totalmente biodegradabile, che non deve più essere risollevato, perché si assorbe nella terra dopo aver esercitato la sua funzione. Se questo mercato si sviluppa, siamo molto ottimisti sul fatto di una crescita in questo settore.
A proposito dello stabilimento di Mantova, lo consideriamo un po' un gioiello nella nostra corona, perché è uno stabilimento efficiente, con un laboratorio di ricerca funzionale. Gli investimenti magari non sono quelli che immaginavamo, ma certamente è uno stabilimento su cui ENI punta e su cui continua a puntare.
Spendo due parole sulle bonifiche. Noi abbiamo ereditato, come ricordavo, tutti i cadaveri della chimica italiana e siti che qualcun altro ha inquinato. Non li abbiamo inquinati noi, ma sono stati inquinati da qualcuno. A Porto Torres, dove ci sono 1.000 ettari di terreno da bonificare, non abbiamo generato noi l'inquinamento. Questo risale ad un periodo nel quale lo stabilimento non era ancora nostro.
Stiamo cercando di raggiungere un'intesa complessiva di modello europeo, perché l'indicazione ci viene dalla normativa europea, per chiudere, una volta per tutte, nove grandi siti inquinanti, pagando denaro per la bonifica e per il danno ambientale, svolgendo quindi un'operazione complessiva. La bonifica va eseguita e c'è una spesa specifica destinata a bonificare i terreni sito per sito. L'attribuzione del cosiddetto danno ambientale non sarà svolta da noi, ma dal Ministero competente, tenuto conto di diversi parametri.
A fianco di questa operazione compiremo investimenti di tipo ecologico in modo importante. Si tratta di un grande programma, che prevede per noi una spesa totale di circa 3 miliardi di euro, ma che dovrebbe dare una soluzione definitiva a questi nove siti, che sono da bonificare.
Sul prezzo del gas, è stato citato il prezzo spot. Il mercato italiano, soprattutto nel 2009, non era liquido per il prezzo spot. Vorrei rassicurarvi sul fatto che il prezzo del gas in Italia è vicinissimo - un po' sopra o un po' sotto - a tutti i prezzi europei. Il prezzo del gas in Italia non è più caro che nel resto d'Europa, né dovrebbe esserlo, né lo può essere, per la semplice ragione che le nostre fonti sono le stesse dei tedeschi e dei francesi. Gli unici mercati che possono essere diversi dal nostro sono mercati come quello inglese, dove gran parte del gas è prodotto localmente.
Confindustria cita il mercato spot, un mercato su cui si scambia in Italia il 3-4 per cento del gas complessivo. Vi farò pervenire una tabella che, come si può immaginare, noi continuiamo a mostrare, in cui figurano il gas per uso domestico e il gas per uso industriale, tolta l'IVA, perché poi ogni Paese ha la sua IVA, che può influenzare il prezzo. Ve la farò avere e vedrete che i nostri prezzi sono di pochi centesimi differenti in più o in meno rispetto a quelli del resto dell'Europa.
Per quanto riguarda la Spagna, parliamo di energia elettrica, che di nuovo non considero materia di mia competenza, salvo per la parte prodotta da gas. In Spagna il 30 per cento dell'energia elettrica viene dal nucleare. Forse cito cifre obsolete, ma il Paese ha una quota di nucleare e una di carbone relativamente importanti. Il mix delle fonti è l'elemento fondamentale del prezzo dell'energia elettrica. Tenete presente che noi in Spagna siamo importantissimi nel gas. Siamo grandi commercianti di gas in Spagna e non abbiamo ragione di venderlo lì a un prezzo meno caro di quanto lo vendiamo in Italia.
Mi si chiedeva la mia opinione sul nucleare in generale. Premesso che non mi considero affatto un'autorità in questo campo, sostengo sempre, citando un bellissimo


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libro su questo tema scritto da Alberto Clò, che non c'è peggior nemico del nucleare del nuclearista superficiale. Se veramente vogliamo produrre il nucleare, se veramente ci crediamo, dobbiamo affrontare questo tema non a colpi di slogan, ma con l'approfondimento e la serietà che un tema di questo tipo richiede, soprattutto in un Paese come il nostro, fortemente antropizzato e popolato, dove la gente ha paura di tutto.
Il nostro, infatti, è un Paese in cui non si riesce a stendere una linea elettrica, perché la gente è terrorizzata. Siamo un Paese di ipocondriaci. Abbiamo paura di tutto, figuriamoci di una centrale nucleare. Finché svolgiamo un dibattito salottiero, va benissimo, teniamo grandi chiacchiere, ma, quando cominciamo a individuare un sito, scoppia l'inferno. È un tema che va affrontato con molta cautela, per evitare di crearci illusioni e di fare un nucleare da salotto e non concreto.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Scaroni per la sua audizione molto interessante e per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10.


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ALLEGATO


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