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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
8.
Mercoledì 16 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione del presidente del CNEL, Antonio Marzano:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 8 13 15
Baretta Pier Paolo (PD) ... 10
Cambursano Renato (IdV) ... 9
Duilio Lino (PD) ... 8
Marzano Antonio, Presidente del CNEL ... 3 13
Polledri Massimo (LNP) ... 13
Rubinato Simonetta (PD) ... 12

Audizione del professor Franco Bruni:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 15 22 23 24
Baretta Pier Paolo (PD) ... 22
Bruni Franco, Professore ordinario di teoria e politica monetaria internazionale presso l'Università Bocconi di Milano ... 16 23
Cambursano Renato (IdV) ... 22
Rubinato Simonetta (PD) ... 23

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione depositata dal presidente del CNEL, professor Antonio Marzano ... 25
Allegato 2: Documentazione depositata dal professor Franco Bruni ... 50
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 16 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,20.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente del CNEL, Antonio Marzano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione del presidente del CNEL, professor Antonio Marzano.
Accompagnano il professor Marzano, già autorevole componente della Commissione bilancio, il consigliere Franco Massi e i dottori Stefano Bruni, Sandro Tomaro, Glauco Maglio e Valerio Gironi.
Do la parola al professor Marzano, presidente del CNEL.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Grazie, presidente. Naturalmente depositerò agli atti della Commissione il rapporto integrale del CNEL, che è piuttosto voluminoso, e cercherò di svolgerne una sintesi.
Il primo punto è che risanamento e crescita vanno attuati contestualmente. Il CNEL condivide pienamente la nuova strategia europea per l'occupazione e la crescita, nonché gli obiettivi principali che dovranno guidare l'azione degli Stati membri e dell'Unione, insieme ai Programmi di stabilità e crescita previsti dal semestre europeo.
La manovra di bilancio per il triennio 2012-2014 dovrà inserirsi all'interno della nuova procedura prevista dall'Unione europea, la quale prevede un coordinamento ex ante delle decisioni nazionali e che si muove nella prospettiva di garantire la formulazione di bilanci nazionali non solo equilibrati, ma anche idonei a garantire lo sviluppo. Vi ricordo, ma voi lo sapete, che si chiamava Patto di stabilità e crescita.
La presentazione contestuale del Programma di stabilità e crescita e del Programma nazionale di riforma (PNR) è una scelta positiva, perché la stabilità delle finanze pubbliche, pur essendo una precondizione per la crescita, non basta di per sé a stimolarla. Per la crescita è essenziale avere un contesto favorevole all'industria e all'impresa, in particolare alle piccole e medie imprese, che nutrono maggiori difficoltà. In mancanza di crescita il risanamento del bilancio pubblico risulta più problematico.
Come CNEL, esprimiamo un giudizio ovviamente positivo sul previsto coinvolgimento delle parti sociali. Le parti sociali non hanno mai rifiutato il proprio responsabile coinvolgimento e perciò il CNEL apprezza che la nuova procedura europea preveda un largo coinvolgimento delle


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forze sociali e dei diversi livelli di governo istituzionale, per realizzare il più largo consenso sulle misure da assumere.
Passo a illustrare le proposte del CNEL. La prima considerazione riguarda la valutazione del debito aggregato. Condividiamo l'esigenza - posta dal Governo italiano - che la sostenibilità del debito pubblico, in rapporto al PIL, sia valutata all'interno di un più complessivo aggregato, che tenga conto di altri parametri, cioè del debito e del risparmio privato, e degli assetti raggiunti dal sistema finanziario. Questi ulteriori parametri si sono rivelati cruciali nell'attuale crisi finanziaria internazionale.
Il secondo punto è la revisione della spesa pubblica, senza aumento della pressione fiscale. Il CNEL auspica, da tempo, che la tenuta dei conti pubblici venga garantita dal rigore nella selezione della spesa e allo stesso tempo da scelte di canalizzazione delle risorse e di orientamento delle misure di prelievo idonee a favorire una maggiore e più equilibrata crescita dell'economia e dell'occupazione.
Una politica rigorosa di bilancio, essendo preclusa la strada dell'aumento generalizzato della pressione fiscale e sconsigliata una politica di tagli lineari della spesa - che non può tener conto delle priorità - non può che partire da una politica di attenta revisione della spesa in essere sul terreno sia quantitativo, sia qualitativo. Su tali temi il CNEL, in attuazione dell'articolo 9 della legge n. 15 del 2009, si accinge a fornire uno specifico contributo con la redazione di un rapporto dedicato.
Un altro argomento è la riforma fiscale. Occorre un riequilibrio della pressione fiscale che, secondo il CNEL, dovrebbe privilegiare lavoro e imprese, stimolando consumi interni e investimenti. Occorre, in generale, ipotizzare un graduale e parziale spostamento della pressione fiscale dai redditi personali e di impresa alle cose e ai beni. La pressione fiscale è rimasta sostanzialmente stabile, ma la dinamica del prelievo è stata maggiormente a carico del lavoro dipendente e delle imprese, contribuendo in tal modo a peggiorare la competitività del sistema. Assumendo pari a 100 il livello dell'anno 2000, il livello dell'IRPEF a carico dei lavoratori dipendenti pubblici e privati ha raggiunto nel 2010 il livello 154, mentre nello stesso periodo il PIL nominale è passato dal livello 100 al livello 130.
In questo quadro appare opportuno rivedere e uniformare, in coerenza con le politiche che si svilupperanno a livello anche europeo, la tassazione sui redditi di natura finanziaria, tutelando il risparmio previdenziale.
Sempre per recuperare le risorse necessarie e per aggiungere gli obiettivi di Europa 2020, bisogna concentrarsi sul contrasto all'evasione, impostando un'azione che abbia un adeguato respiro temporale e che parta dal recupero di un rapporto corretto tra amministrazione e contribuenti.
Il CNEL indica l'esigenza di dedicare attenzione alle seguenti misure: rafforzamento e rispetto dello statuto del contribuente al fine di migliorare il rapporto fra fisco e cittadini, semplificazione delle procedure e riduzione degli adempimenti, con particolare attenzione a evitare il rischio che il federalismo fiscale determini un aumento della pressione fiscale e complicazioni per i cittadini e per le imprese - è un aspetto che segnalo in modo particolare; non è detto che accada, ma bisogna stare attenti affinché non accada - e valutazione attenta delle normative che, in materia di IVA, favoriscono fenomeni di evasione, a partire da misure che riducono le esigenze di compensazione per gli operatori del settore.
Infine, occorre l'introduzione di misure di contrasto di interesse, attraverso il rafforzamento della tracciabilità dei pagamenti e incentivi all'uso della moneta elettronica. La media italiana dei pagamenti così effettuati è inferiore alla media europea.
L'ulteriore tema è la riduzione dei costi della politica. Per recuperare le risorse necessarie bisogna intervenire sulla struttura degli organi elettivi, sul finanziamento pubblico ai partiti, sull'organizzazione degli enti territoriali e degli uffici


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periferici dello Stato e sulle società pubbliche. Questo è il punto di vista del CNEL.
Dalla serie storica dei conti pubblici territoriali emerge che nel periodo 1996-2008 la priorità non è andata alla politica per la formazione, per lo sviluppo e per l'ambiente. Assunto a 100 il livello del 1996, le spese degli apparati di governo sono cresciute, raggiungendo nel 2008 il livello 226, contro una crescita del PIL nominale che nello stesso periodo passa dal livello 100 al livello 157. Se la crescita di questa voce di spesa fosse stata in linea con quella del PIL nominale, si sarebbero spesi 30 miliardi di euro in meno.
Un altro tema è il rispetto dei termini di pagamento delle pubbliche amministrazioni. Occorre che l'Italia assicuri l'immediato rispetto dei termini per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni e predisponga un programma pluriennale di rientro del debito commerciale delle stesse, anche in relazione alla riformulazione della direttiva europea in tema di indebitamento commerciale della pubblica amministrazione, da poco pubblicata.
Tale scelta si impone, perché il regime che la nuova direttiva dell'Unione europea prevede per i predetti ritardati pagamenti dei debiti commerciali della pubblica amministrazione risulta molto più oneroso di quello derivante dagli ordinari strumenti di indebitamento.
Consentitemi un'osservazione personale. Alcuni anni fa io svolsi uno studio e constatai che le imprese appaltatrici - o in genere fornitrici della pubblica amministrazione - conoscono i ritardi nei pagamenti e ne tengono conto nel fissare i prezzi e le condizioni della fornitura.
Passo al rafforzamento degli obiettivi per gli indicatori del capitale umano e sociale. Se i Programmi di riforma nazionale degli Stati membri fossero approvati senza ulteriori modifiche, l'Italia, con il testo presentato il 5 novembre 2010, si troverebbe fra le ultime posizioni nella graduatoria europea per tutti gli indicatori riferiti al capitale umano e sociale, che rappresenta l'ambito più importante per la competitività di sistema.
Con riferimento agli obiettivi al 2020 sarebbe necessaria una maggiore ambizione. In particolare, la spesa per ricerca, sviluppo e innovazione è fissata dall'Italia all'1,53 per cento del PIL e si confronta con una percentuale dell'Unione europea al 3 per cento, praticamente il doppio. In secondo luogo, andrebbe ottenuta la riduzione degli abbandoni scolastici che colpiscono il capitale sociale dell'Italia, il cui obiettivo per l'Italia è fissato al 15-16 per cento, mentre l'obiettivo europeo è del 10 per cento. Infine, necessita l'incremento dell'istruzione terziaria ed equivalente, che dovrebbe essere un altro obiettivo importante e che raggiungerà il 26-27 per cento, a fronte di un obiettivo europeo che arriva al 40 per cento.
Come vedete, signori parlamentari, l'Italia nelle graduatorie è in basso sotto ciascuno di questi aspetti relativi al capitale umano e sociale.
Svolgo alcune considerazioni sul mercato del lavoro. Il Programma nazionale di riforma dovrebbe formulare una vera e propria strategia per l'occupazione giovanile e femminile. Ci sono sprechi di risorse, lasciando disoccupata un'alta percentuale sia di giovani, sia di donne, il che colpisce negativamente la crescita. Bisognerebbe razionalizzare le risorse già disponibili. Andrebbero messi in campo e finanziati con risorse ordinarie, ma anche con fondi strutturali, strumenti diretti come il credito di imposta per la creazione di nuovi posti di lavoro, opportunamente modulato per favorire l'occupazione femminile e giovanile, l'emersione e il reinserimento lavorativo di disoccupati e cassintegrati. Si propone a tale fine lo strumento del credito fiscale per le nuove assunzioni.
Un altro tema contiguo è quello degli ammortizzatori sociali. Il CNEL ritiene che occorra un sistema universale, ma flessibile, di ammortizzatori sociali, come strumento principe di politiche attive del lavoro e, quindi, collegati alle strategie formative e di riqualificazione su base territoriale, nonché a una rete efficace di servizi per l'impiego. Il sistema sarebbe in tal modo funzionale alle diverse priorità


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individuate su base territoriale: donne inattive, giovani disoccupati o inoccupati, lavoratori maturi o in mobilità.
In relazione alla riforma del sistema educativo e formativo, è necessario aumentare le competenze professionali dei giovani per agganciare la domanda di lavoro che già oggi le imprese richiedono e migliorare e riqualificare le competenze degli adulti. Non tutto ciò che esiste si allontana dalla condizione necessaria di una corrispondenza fra il tipo di domanda e il tipo di offerta di lavoro.
Una recente analisi mostra come i responsabili delle risorse umane considerino spesso corrispondenti i contenuti della formazione ai contenuti delle esigenze delle imprese. In molti casi, però, non è così. Vanno in questa direzione la proposta di istituire un segmento di formazione post-secondaria non accademica, ma ad alta valenza professionalizzante, un'istruzione tecnica superiore, e l'annunciata costituzione di 58 istituti superiori quali scuole speciali di tecnologia. Il CNEL ricorda, però, che questa virtuosa proposta fronteggia una rilevante riduzione delle ore dedicate alle materie professionalizzanti introdotta dalla recente riforma dell'istruzione tecnica e professionale. A questo riguardo, il CNEL auspica che il Governo voglia introdurre in itinere dei correttivi in modo che si possa realizzare l'obiettivo del 40 per cento dei giovani con livello di istruzione terziaria.
A proposito di pensioni, come da più parti riconosciuto, sono state poste le condizioni per realizzare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico e il CNEL conviene sulla realizzazione di questa importante condizione. Esistono, però, in coda, problemi di sostenibilità sociale del sistema che si è creato. Bisogna, infatti, prestare attenzione nei confronti dei giovani, delle donne e dei lavoratori più esposti a situazioni di fragilità economica derivante dalla discontinuità delle carriere lavorative. È necessario favorire un deciso decollo della previdenza complementare anche nei settori oggi esclusi, in modo da garantire un adeguato tenore di vita ai pensionati futuri.
Il Programma nazionale di riforma dovrebbe affrontare, inoltre, la carenza logistica e infrastrutturale del Paese. Tale carenza dura da anni e comporta disagi sociali, e soprattutto un gap competitivo per le aziende italiane. Per il CNEL occorre procedere a una selezione rigorosa degli interventi da considerarsi prioritari. In particolare, nella scelta dei progetti e degli investimenti occorrerebbe, secondo il CNEL, privilegiare gli ingressi terrestri e marittimi più funzionali al nostro sistema produttivo, poiché in Italia l'import-export avviene necessariamente attraverso valichi alpini e porti. È essenziale, inoltre, adottare nuove procedure per coinvolgere ex ante i soggetti interessati alla realizzazione dei progetti. Il consenso costituisce, infatti, un elemento necessario per mantenere la tempistica prevista.
In tema di servizi digitali, l'ICT (Information and Communication Technology) contribuisce in maniera fondamentale all'incremento della produttività, all'aumento dell'occupazione e alla riduzione degli sprechi della pubblica amministrazione. Il Piano di e-government 2012 del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione prevede misure apprezzabili per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione della vita ai cittadini. Nella sua attuazione occorre tener conto delle profonde necessità in ordine alla riorganizzazione dei processi burocratici, alla formazione degli operatori e alla motivazione dei soggetti.
L'obiettivo di un rapporto tra spesa per ricerca e sviluppo e PIL non inferiore al 3 per cento è condizione perché l'Italia possa non perdere drammaticamente competitività. Il Piano nazionale della ricerca e sviluppo di medio-lungo periodo andrebbe riformulato, secondo il CNEL, con obiettivi chiari e condivisi, coerenti con gli obiettivi fissati in sede europea, integrando il Programma nazionale della ricerca 2010-2013 soprattutto attraverso una migliore definizione della governance e della strumentazione e l'individuazione di un ammontare adeguato di risorse.
Sul terreno delle risorse finanziarie è necessario che lo Stato torni a fungere da


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catalizzatore, mobilitando risorse pubbliche e private attorno a grandi progetti e facendosi portatore di una domanda pubblica qualificata, premiante dell'innovazione.
Sul terreno della mobilitazione delle energie private si può ipotizzare di attivare uno strumento automatico di carattere fiscale per favorire investimenti che altrimenti non ci sarebbero - non è un danno per l'erario prevedere questo incentivo fiscale - per favorire investimenti in ricerca e innovazione e procedure, attraverso strumenti a selezione, per il raggiungimento di obiettivi di ricerca e innovazione considerati strategici per il Paese.
Sarebbe opportuno prevedere l'istituzione di un fondo per l'innovazione tecnologica e organizzativa che razionalizzi i tanti fondi esistenti, con la finalità di favorire l'incontro fra centri di ricerca e piccole e medie imprese.
A proposito di energia e ambiente, il CNEL ritiene che il Programma nazionale di riforma indichi strumenti e risorse per garantire un piano energetico nazionale che faccia da cornice ai piani e ai programmi delle regioni, un impegno costante per una maggiore efficienza e risparmio nei consumi energetici - il risparmio energetico è molto importante - il potenziamento delle infrastrutture e l'interdipendenza del sistema energetico nazionale con quelli dei Paesi vicini.
Il CNEL, insieme agli analoghi organismi di Spagna e Francia, ha stipulato un protocollo per un'azione comune volta a ottenere una politica energetica europea. Una politica energetica europea è importante per accrescere il potere contrattuale dei Paesi che devono procurarsi le risorse petrolifere e, in genere, energetiche sul mercato internazionale. Italia, Francia e Spagna hanno mostrato una convergenza di programmi in questo senso.
Da ultimo, svolgo alcuni cenni sul Mezzogiorno. Coinvolgendo le regioni, bisogna impiegare le risorse FAS della programmazione 2000-2006 non utilizzate, nonché quelle liberate con la delibera CIPE del 30 luglio 2010, concentrando i fondi su grandi progetti infrastrutturali a rete, materiali e immateriali. Fino a quando vi sarà un gap infrastrutturale al sud, vi sarà una continua richiesta di tipo risarcitorio da parte del Meridione. Se vogliamo muoverci affinché questa richiesta risarcitoria prima o poi finisca, bisogna che il gap infrastrutturale sia colmato. A quel punto non ci sarà più spazio, né motivazione per quel tipo di richiesta. Nel sud è anche necessaria la revisione del Patto di stabilità interno per regioni ed enti locali. Occorre promuovere una politica di sostegno degli investimenti nel Mezzogiorno, possibilmente reintroducendo il credito d'imposta.
Bisogna assumere anche in Italia l'obiettivo dell'Unione europea relativamente alla semplificazione, ossia ridurre entro il 2012 almeno del 25 per cento il peso degli oneri burocratici e amministrativi a carico dei cittadini e delle imprese. Sappiamo che importanti passi in questa direzione sono stati compiuti dal ministro competente, ma c'è ancora molto da fare.
Sul tema delle procedure e degli oneri amministrativi le parti sociali avanzano proposte che riguardano la certezza dei tempi, il riconoscimento dei diritti, la semplificazione convergente in ambito locale e nazionale - non si vorrebbe che si semplificasse su un piano, ma si complicasse sull'altro - la riduzione degli oneri amministrativi e la generalizzazione della valutazione di impatto delle nuove norme. Infine, è necessario e opportuno il fascicolo informatico per il cittadino e per l'impresa.
La criminalità organizzata ed economica presente nel nostro Paese è uno dei principali fattori che ostacolano il recupero di competitività. Sono necessarie strategie contro il crimine e il riciclaggio.
Aggiungerei a questo proposito una considerazione personale: non si tratta soltanto di evitare, il che sarebbe già molto, l'esercizio di queste forme di violenza illegale. Laddove ci sono queste forme, si altera il funzionamento dei meccanismi del mercato. La violenza altera la concorrenza, purtroppo a favore di chi la esercita e a danno di chi ne è vittima. Ci sono molti motivi, quindi, per affrontare in modo specifico questo tema.


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Sono necessarie strategie contro il crimine e contro il riciclaggio, rafforzando le attività di controllo, la trasparenza nell'azione della pubblica amministrazione per evitare l'infiltrazione della criminalità soprattutto nel ciclo degli appalti, evitando che l'elemento qualificante di aggiudicazione sia tout court il massimo ribasso, che di per sé può comportare anche danni molto seri.
Risulta urgente l'approvazione di una moderna legge contro la corruzione e per la trasparenza della pubblica amministrazione ed è indispensabile un rafforzamento delle regole che impediscono l'eleggibilità nei pubblici uffici di persone accertate come coinvolte in attività illegali e di criminalità organizzata.
È indispensabile una riforma della giustizia civile e penale fondata su adeguati investimenti - oltre che l'apposita modifica della relativa normativa - al fine di rendere la giustizia civile e penale più efficace, più rapida e più accetta ai cittadini.
Questa è la sintesi, che vi ho fornito anche un po' di fretta. Volevo occupare, se possibile, in modo efficace il poco tempo a vostra disposizione.

PRESIDENTE. Grazie, professor Marzano. Per la prima volta nel ciclo di queste audizioni ho sentito parlare di Mezzogiorno.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LINO DUILIO. Grazie, presidente, per questa audizione. Mi ha colpito il riferimento, di cui peraltro avevo già letto, al risparmio in miliardi di euro per quanto riguarda le spese di organi di Governo, in particolare per la comparazione tra il dato tendenziale del PIL e quello relativo alla crescita delle spese.
In relazione a ciò avevo letto, però, un trafiletto sul Corriere della sera che mi consente di porle la prima domanda. Quando si svolgono alcune considerazioni, giustamente, in linea di principio, bisogna essere come la moglie di Cesare, ossia al di sopra di ogni sospetto. Le chiedo, pertanto, essendo il CNEL un organo costituzionale, dentro l'analisi critica che giustamente lei svolgeva sulla tendenza all'incremento delle spese degli organi di governo, come è messo il CNEL.
Come lei sa, in occasione dell'approvazione della nuova legge di stabilità, essendo il CNEL un organo previsto dalla Costituzione - che, fin quando esiste ed è tale, riteniamo che possa essere valorizzato più di quanto non accada - abbiamo anche formalmente previsto che il CNEL venga coinvolto nell'elaborazione del Documento di economia e finanza. Questo è accaduto grazie a un emendamento che abbiamo inserito nel testo della proposta di riforma della legge n. 196 del 2009.
La domanda non è tendenziosa, ma mi piacerebbe che emergessero elementi che, proprio perché vengono da un organo di rilievo costituzionale, dimostrassero che è possibile essere un poco più virtuosi e che, quindi, tale virtù è auspicabilmente estendibile anche ad altri organi di Governo.
La seconda considerazione è più attinente alla questione madre di tutte le questioni. Adesso se ne parla un po' di più, ma in verità ci si presenta da tanti anni. Mi riferisco alla crescita.
Lei ci ha esposto alcuni dati per cui ovviamente la ringraziamo, ma, in termini di sobrietà e di garbo, ma molto sinceri, le chiedo se non sia il caso per il futuro che si individui una gerarchia di questioni su cui insistere e che ci aiutiate, come Parlamento, a individuare tale gerarchia di questioni.
Svolgendo l'elencazione di tutte le questioni che ovviamente dovremo affrontare e di cui siamo consapevoli anche noi, lei sa meglio di me, perché è stato anche autorevole esponente di Governo, che poi si va a sbattere contro la difficoltà del rapporto tra i fini e i mezzi. I fini sono tutti condivisibili, ma poi il problema riguarda i mezzi, cioè il come. Non potendo realizzare tutti i fini, bisogna individuare una gerarchia di priorità e, quindi, in modo molto crudo le pongo alcune domande.
Prima di tutto, poiché sappiamo che il trend dei tassi medi di crescita della produttività


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nel nostro Paese da quasi vent'anni è piuttosto problematico, per essere eufemistici, il che scatena poi un problema di competitività, che a sua volta determina un problema in termini di crescita e incide sul rapporto tra debito e PIL, tutte questioni di cui abbiamo dibattuto anche con altri interlocutori, e che noi conosciamo già, il nostro problema è come uscire da questa situazione. Sappiamo che esistono il problema delle infrastrutture, della ricerca, del trasferimento tecnologico, di non compiere tagli lineari, ma piuttosto chirurgici, perché si rischia di tagliare dove non si deve tagliare e viceversa, nonché l'evasione fiscale. Mi fermo perché credo di aver espresso il concetto.
Per affrontare il problema, che rischia di essere drammatico, dell'insufficienza dei tassi di crescita, dai quali dipende il nostro futuro e non conseguendo i quali, tanto per essere onesti intellettualmente, non risolveremo alcun problema, né di abbattimento del debito, né di altro tipo, secondo voi - non chiedo la soluzione adesso - è possibile che il CNEL ci dia alcune indicazioni in più e diventi un luogo che, valorizzando magari anche in termini un poco creativi (una volta tanto la creatività farebbe bene) non celebrasse riti che poi producono risposte tradizionali, ma ci indicasse un'idea, una «stella danzante», e mettesse insieme soggetti istituzionali e non? Il CNEL ha una bella sede e una responsabilità istituzionale. È possibile che legittimi la sua esistenza?
Lo affermo in termini seri, perché lei sa che, quando si è discussa la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, si è anche partiti sostenendo che bisognava chiudere il CNEL. È possibile che, in una fase drammatica della vita del nostro Paese, esso legittimi la sua esistenza, offrendoci un output che vada oltre il tradizionalismo e che ci aiuti ad affrontare questa drammatica questione?
Vengo al telegramma finale. Ci hanno presentato una versione, in verità, un poco improbabile del Programma nazionale di riforma, che immagino affastellato in fretta e furia, con contenuti a volte anche un po' incredibili. Mi riferisco al tema della ricerca, i cui obiettivi al 2020, se rimangono inalterati, vedono aumentare e non abbreviare la distanza tra noi e l'Europa. È una versione provvisoria e forse c'è stato poco tempo, ma adesso si dovrà consegnare entro la fine di aprile la versione definitiva.
Spero che qualcuno al Governo stia studiando come farlo. Per adesso non ci hanno detto nulla in Parlamento, ma spero che non vengano un giorno a comunicarci che in un'ora dobbiamo guardare tutto ed esprimere un parere, come spesso accade, secondo un'idea di Parlamento quale succursale del Governo, che ratifica generalmente.
Chiedo a voi se almeno vi hanno consultati nell'elaborazione della stesura provvisoria. Sto ponendo questa domanda a ogni ospite che viene qui, ma fino ad ora mi pare di capire che nessuno sia stato consultato, ragion per cui mi sorge spontanea la domanda di chi stia scrivendo la versione definitiva del Programma nazionale di riforma. Essendo voi un organo previsto dalla Costituzione, le chiedo formalmente se sia stata avviata una procedura di consultazione sul documento definitivo, che dovrà essere presentato in Europa tra non molto.

RENATO CAMBURSANO. Grazie al professor Marzano, che ricordo anch'io già Ministro per le attività produttive. Io ero nell'altro ramo del Parlamento quando fu proposta la riforma costituzionale, all'interno della quale era stata prevista la cancellazione con un colpo di spugna del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Mi opposi - non lo riferisco al presidente, ma al CNEL - e spero di non dovermi un giorno pentire. Per il momento non è ancora avvenuto, ma spero che non accada un giorno. Sono ancora tanti i gufi in giro per il Paese che ne vorrebbero la fine.
Lei, professore, ha stilato un bell'elenco dei problemi che il Paese ha di fronte e ha concluso, se non ricordo male, affermando che occorre individuare obiettivi chiari, precisi e condivisi. Sono assolutamente d'accordo e sottoscrivo, ma aiutateci voi,


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visto che non lo ha fatto il Governo.
Quando il collega Duilio ha posto la domanda se siate stati interpellati, ho visto un cenno di capo in negativo da parte sua, ma non avevo dubbi che sarebbe stato così. Visto che non ve lo chiede il Governo, ve lo chiediamo noi: all'interno di questo elenco di questioni tutte condivisibili, che potrei, se necessario, sottoscrivere a titolo personale o del gruppo a cui appartengo, occorrerebbe individuare due o tre questioni principali, fondamentali per questo Paese.
Visto che parlo, come ho ricordato anche in premessa, al professor Marzano, già Ministro per le attività produttive, ho letto recentemente un articolo molto interessante - non cito il settimanale per non fare propaganda, ma è il medesimo che ho citato questa mattina - il quale metteva a confronto la Germania con l'Italia.
Che cosa è stato fatto in Germania in questi tre anni di crisi? Il Paese ha concentrato la propria attenzione quasi esclusivamente sulle imprese o, se preferisce, sul lavoro. Voi siete il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Essendo nazionale, sarebbe bene che il Consiglio fosse utilizzato dal Governo e dal Parlamento e noi lo vorremmo fare. Vi chiedo come aiutare le nostre imprese a crescere.
La Germania c'è riuscita, sempre secondo l'articolo citato - non ho una conoscenza approfondita di quel mondo e di quella realtà e mi affido a ciò che leggo - e si è concentrata sulla riduzione del costo del lavoro. Nella breve esperienza di altro Governo di questo Paese si tentò di intervenire sul costo del lavoro, riducendo il cuneo fiscale. È questa la strada da seguire? Questa è la domanda.
Come posso non essere d'accordo con lei con riferimento alla riduzione del carico della pressione fiscale sia sul lavoro e sui lavoratori, sia sulle imprese e, quindi, sugli imprenditori, quei pochi o tanti che ancora in Italia oggi hanno voglia di rischiare? In questo contesto, però, le chiedo, forse questa volta più come professore, che cosa pensa di regole stringenti sul debito, perché questo è l'altro fronte sul quale la Germania ha lavorato, addirittura inserendo nella propria Costituzione un tetto al debito. Che cosa pensa dell'estendibilità di un simile provvedimento ai 27 Paesi dell'Unione europea o, quanto meno, a quelli dell'area euro? C'è chi ovviamente ha una posizione molto critica, perché ciò rischia di strozzare i Paesi come il nostro che hanno un alto debito, ma ciò ci invoglierebbe ad attuare iniziative serie, per esempio non un taglio lineare, ma interventi chirurgici.

PIER PAOLO BARETTA. Mi inserisco nel percorso indicato dal collega Duilio, relativamente all'utilità e all'importanza che riveste per la Commissione bilancio e per il Parlamento questa interlocuzione con il CNEL in sé e in quanto sintesi auspicabile delle diverse opinioni delle parti sociali.
Nel dibattito a cui veniva fatto riferimento, quello relativo alla riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, qualcuno nella discussione si era spinto - in maniera probabilmente anche troppo audace - ad immaginare che, così come noi non sentiamo le singole regioni o i singoli comuni, ma le associazioni, invece di sentire le singole parti sociali, sentissimo solo il CNEL. Mi pare un percorso magari teoricamente auspicabile, ma ancora di là da venire, tanto che noi abbiamo opportunamente audito anche in questa indagine sia i sindacati, sia gli imprenditori. Ciò non toglie che questa forzatura sulla possibilità che il CNEL rappresenti un punto di snodo e di sintesi trovi molti di noi favorevoli. La consideriamo quasi una necessità per un sistema di interlocuzione il più razionale possibile.
A questo proposito, evidenzio tre titoli tra quelli che lei ci ha indicato oggi, anche se gli altri sono comunque importanti. L'osservazione opportuna del presidente Giorgetti sull'ingresso in campo del Mezzogiorno, finora assolutamente dimenticato, ne è una testimonianza. Mi concentro, però, su tre titoli sui quali, a mio avviso, sarebbe utile che da questa interlocuzione, se la Commissione e il presidente


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concordano, potesse scaturire anche un ulteriore percorso con voi.
Il primo riguarda lo snodo di due punti da lei citati, che io metto insieme, ossia la revisione della spesa pubblica senza aumento della pressione fiscale e la riforma fiscale. Abbiamo bisogno di andare avanti in una riflessione e in uno studio della materia, al di là delle legittime discussioni politiche. Il CNEL fa riferimento al fatto che la tenuta dei conti pubblici e il rigore si concentrino sul concetto di selezione della spesa. Fa anche riferimento al fatto che non si può effettuare un aumento della pressione fiscale. Ne siamo assolutamente convinti e, peraltro, gli stessi tagli lineari potrebbero non raggiungere lo scopo che si prefiggono, ragion per cui ci si concentra sull'idea di selezione della spesa. A lei non sfugge quanto questa affermazione debba essere riempita di contenuti molto precisi. Tutti noi parliamo, quotidianamente, di selezione della spesa e poi ci scontriamo sul tema che, quando arriviamo alla discussione sui tagli (lineari o non lineari), non si tratta solo di una questione di priorità politica, ma della capacità di individuare i tagli stessi. A volte manca proprio l'idea di quali siano le priorità del Paese rispetto alle quali si compiono le selezioni.
Il ragionamento su che cosa sia e su come si affronti il tema della selezione della spesa è sicuramente collegato al tema della riforma fiscale, perché è il punto di equilibrio e di disequilibrio del dibattito politico. Non riusciamo a compiere investimenti né ad operare una riduzione della pressione fiscale, perché non abbiamo sotto controllo, se non parzialmente, i conti pubblici.
Lei, però, introduce questo tema, che abbiamo sentito anche nelle altre audizioni, sul quale le chiederei se fosse possibile un approfondimento, cioè il passaggio della pressione fiscale dai redditi personali e da quelli di impresa alle cose e ai beni. Ho presente di che cosa si tratta, ma le chiederei se potesse svolgere un accenno più ampio su questo aspetto.
Il secondo capitolo riguarda la sovrapposizione dei livelli istituzionali. Non uso il termine di riduzione dei costi della politica, ma mi interessa di più il concetto di sovrapposizione dei livelli istituzionali. Anche su questo punto vorrei capire se esiste da parte vostra una riflessione più avanzata di quella enunciata ora, o se esiste un percorso.
La terza questione, proprio nell'ordine, perché costituiscono di fatto un capitolo unico, è l'aspetto dei termini di pagamento delle pubbliche amministrazioni. Lei ha fatto accenno a come ci si autotuteli, ma resta un bel problema: la nuova direttiva europea ha tempi talmente stringenti da essere probabilmente impensabile che si possa passare dall'attuale condizione, 120 o 150 giorni a seconda dei casi, ai 60 giorni secchi previsti. Come si può immaginare, al di là di un graduale passaggio, un livello di equilibrio maggiore per i termini di pagamento delle pubbliche amministrazioni, in un quadro fondamentale per il rilancio dell'economia e, molto spesso, delle economie locali?
L'ultima osservazione fa riferimento anche a un aspetto che non è stato citato, ma sul quale so che state lavorando, che riguarda nel loro complesso i sistemi di calcolo della crescita e della ricchezza. Non mi riferisco ai sistemi di calcolo del PIL, che si prestano a una discussione, ma all'aggiornamento dei sistemi di calcolo della crescita e della ricchezza. Si tratta di un terreno sul quale anche con l'ISTAT è cominciato un lavoro interessante. Cito l'ISTAT, perché è l'altro soggetto che nella discussione sulla legge di contabilità e finanza pubblica noi abbiamo opportunamente indicato come punto di riferimento per un'interlocuzione con la Commissione bilancio, tesoro e programmazione.
Ho citato alcuni aspetti specifici, ma è chiaro che si può intravedere un percorso di lavoro che finisce per giocare d'anticipo rispetto ai contenuti e che credo sarebbe di grande utilità sicuramente per il Parlamento e per la nostra Commissione, ma - mi permetto di aggiungere - anche per gli interlocutori con i quali questo lavoro potrebbe essere compiuto.


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SIMONETTA RUBINATO. Pongo alcune domande rapide. Nella sua relazione, laddove si accenna alla revisione della spesa, si preannuncia un apposito rapporto su questo argomento. Le volevo chiedere più in dettaglio l'articolazione di questo lavoro e, in particolare, se esso riguardi tutta la pubblica amministrazione o solo una sua parte, quindi l'amministrazione centrale o quelle decentrate o anche locali, e i tempi della produzione di questo rapporto.
Sempre nella sua relazione, con riferimento alla riduzione dei costi della politica, si svolge una quantificazione dell'aumento delle spese per gli apparati di governo. Il lavoro che avete compiuto e che vi dà questo risultato può essere differenziato per livelli di governo? È uno studio che riguarda solo le amministrazioni centrali oppure riguarda anche le amministrazioni territoriali e, quindi, le regioni e gli enti locali? Sarebbe interessante saperlo, anche perché dall'analisi potrebbero derivare indicazioni su come affrontare la questione, tenendo presente che una riqualificazione della spesa non può che passare, come sottolineate voi, attraverso la revisione della spesa che aveva avviato - in modo molto efficiente e lungimirante - il defunto Ministro Padoa Schioppa per mezzo della commissione che si era occupata proprio della spending review, un lavoro, secondo me, da continuare, che aveva riguardato solo cinque ministeri. Sarebbe un'operazione eccezionale, di alta amministrazione, da svolgere per cominciare davvero a tagliare i rami secchi o quelli che fanno meno male, visto il necessario contenimento della spesa pubblica.
Sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni, poiché l'importo complessivo di tutti i debiti della pubblica amministrazione è molto rilevante e poiché noi possiamo traslare con meccanismi finanziari tutto ciò che vogliamo, ma alla fine bisognerà comunque pagare i debiti, quando si pagano, alla fine è chiaro che si verifica un aumento dell'ammontare del disavanzo per la pubblica amministrazione e, quindi, del debito pubblico. Ritengo che una questione come questa non possa che passare attraverso un piano concertato in sede europea, perché l'ammontare è molto rilevante. Sono a vostra conoscenza esempi di un percorso condiviso in sede europea per altri Paesi che avessero o che hanno un problema simile al nostro, un problema straordinario ed eccezionale che andrà pure affrontato? Non possiamo solo stringere i cordoni da una parte e sostenere dall'altra che devono essere giustamente pagati i debiti da parte della pubblica amministrazione, prima di tutto. Questa era l'altra domanda.
Non ho riscontrato nella vostra relazione alcun riferimento a un tema interessante. Non ho partecipato all'audizione, ma ho letto il materiale, trasmesso dalla CGIL, elaborato dall'Istituto per la ricerca sociale sul contrasto alla povertà e all'esclusione sociale in Italia. Il nostro Paese, in base ai dati che ci sono stati messi a disposizione, è quello che ha il minore investimento per misure di contrasto alla povertà pro capite, con soli 11 euro, rispetto ad altri Paesi europei che partono da medie superiori ai 300 euro pro capite.
Sappiamo che il contrasto alla povertà è una delle misure assolutamente necessarie per sostenere la crescita. In particolare, in Italia questa relazione evidenziava un fortissimo livello della povertà minorile, il che si lega anche ai percorsi formativi. Chi è povero da piccolo, se non ha possibilità, sarà ancora più drammaticamente povero per tutta la vita.
Infine, poiché il CNEL è un organo, come è stato già ricordato dai colleghi, di rilevanza costituzionale, tanto più in questa fase della storia del nostro Paese e dell'Europa, che rappresenta un momento di difficile gestione della spesa pubblica, chiedo se possiate velocemente darci alcune indicazioni su iniziative legislative che in questa direzione siano state assunte da parte dell'organo che rappresentate o se vi siano in cantiere proposte legislative mirate ad alcuni dei punti che ci avete evidenziato e che possano essere di supporto per la nostra attività.


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MASSIMO POLLEDRI. Sarò veramente sintetico. Porgo un benvenuto caloroso al presidente Marzano, che in altre vesti ha sicuramente dato ottima prova anche in precedenza.
Brevemente, presidente, le chiedo se ci può dire che posto occupa in questo Programma, se si può dire, il federalismo fiscale e se esso può essere un meccanismo premiante nei confronti dell'evasione dalla responsabilità?
In secondo luogo, visto che altre domande sono già state poste, sulla riforma degli ammortizzatori sociali e del welfare esiste un'idea del Ministro Sacconi, esposta nel Libro bianco sul futuro del modello sociale, di riorientare la spesa del welfare, che oggi è frammentata in un sistema di esenzioni, deduzioni e detrazioni e di poterla - stante il fatto che la quantità probabilmente sarebbe sufficiente - riorientare nei confronti di una politica a favore delle famiglie e soprattutto della natalità, che è il grosso cruccio per il nostro futuro. Qual è la sua opinione, presidente?
Infine, mi piaceva la sua proposta di un sistema che preveda un segmento di formazione post-secondaria non accademica, perché oggi, probabilmente, ci sono posti di lavoro, ma mancano un indirizzo e, forse, anche la volontà e l'opportunità di poterli occupare.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Marzano per la replica.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Non potrò rispondere a tutto, perché le domande sono numerose. La mia è stata un'esposizione sintetica. Nel rapporto integrale che abbiamo lasciato agli atti c'è il riferimento alla lotta alla povertà a cui si faceva prima riferimento. Vi troverete una risposta dedicata.
Ad alcune domande tengo comunque particolarmente a rispondere. Tra le prime c'era l'accenno a una sorta di battibecco che è avvenuto con la stampa. Noi abbiamo, nella documentazione che abbiamo divulgato, una tabella molto articolata a proposito delle spese delle amministrazioni, a livello non solo centrale, ma anche regionale. Non ci siamo spinti sotto il livello regionale per considerare la spesa. Non ci sono province e comuni, ma ci sono Stato centrale e regioni. C'è stato un chiaro equivoco. Nella nostra tabella si assume pari a 100 il dato base della spesa e del PIL e si calcola che spesa e PIL raggiungono poi alcuni indici più avanti negli anni. Mi pare che siano circa 150 l'uno e 220 l'altro. Qualcuno ha interpretato che ci sia stato un aumento del 150 per cento del PIL e del 220 per cento della spesa per gli apparati. L'aumento era, invece, del 50 per cento per il PIL nominale e del 100 per cento e oltre per la spesa. Sono situazioni che possono capitare. Sembra che anche il calcolo delle percentuali sia diventato una specialità di carattere professionale.
Quale è il ruolo del CNEL? Ovviamente dal mio punto di vista è importante, perché, se pensassi che non serve, mi sarei già dimesso. Esso serve sostanzialmente a due funzioni. Ho l'impressione che nel Paese si stia diffondendo un po' l'idea che pensare sia inutile e che l'istruttoria dei problemi sarebbe inutile: «conoscere per deliberare», diceva però un certo Luigi Einaudi. Questa è un'attività che svolge il CNEL.
Vorrei lanciare una sfida: indicateci nei nostri documenti quale priorità del Paese non sia stata esaminata dal CNEL. Scommetto che non ce ne sono. Siamo andati anche oltre le principali priorità, con un lavoro un po' più articolato.
Esistono anche centri di ricerca in cui si riflette e si svolgono studi, ma quella che conduce il CNEL è una ricerca d'accordo con le parti sociali. Non ci sono altri centri di ricerca del Paese che abbiano questa caratteristica. Noi svolgiamo l'indagine, sentiamo i punti di vista delle parti sociali e arriviamo a pareri, osservazioni, proposte e audizioni come quella di oggi. Solo il CNEL lo fa, con una ricerca di coesione sociale, che non sempre riesce. Vi pare che sia inutile riflettere, conoscere per amministrare e cercare la coesione sociale? A me pare che, soprattutto in questo momento, la coesione sociale sia necessaria. Siamo convinti che, se non c'è un dato


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grado di coesione sociale, non un'assoluta coesione sociale, sia molto difficile avere sviluppo. La coesione sociale è uno dei fattori dello sviluppo.
Questo è più o meno ciò che vi dovevo comunicare a proposito del CNEL. Peraltro, il nostro operato - è antipatico sottolinearlo, perché pare che ci si faccia un autoelogio - forse non è apprezzato da alcuni organi di stampa, ma tutti i CNEL del mondo, che sono 70 e non sono tutti inutili, hanno dato all'Italia la presidenza dell'associazione che li riunisce. È un riconoscimento evidente del lavoro che si compie.
Cerco di rispondere a ulteriori domande.
Io penso che in economia non si compiano miracoli. Ho difficoltà a trovare un'idea geniale per ritornare allo sviluppo. Gli economisti non riescono a compiere bene previsioni a lunga scadenza, per la verità, ma riescono a compierle a breve, perché sono talmente tante le variabili che entrano nello sviluppo e tanti i parametri, che prevedere quale sarà il PIL italiano da oggi ai prossimi cinque o dieci anni si può fare, ma lo si evita.
Quello che riescono a fare bene gli economisti è prevedere il passato. Non vi sembri una contraddizione: significa imparare dal passato. Non è poco, perché significa cercare di evitare gli errori che l'umanità ha commesso nella propria storia. Il ruolo degli economisti, oggi come oggi, è quello di individuare quali siano stati in passato i fattori principali della crescita. Non abbiamo grandi sforzi di immaginazione a cui possiamo rivolgerci con speranza, ma dobbiamo vedere che cosa è successo e dove si è riusciti. La Germania c'è riuscita. Ha varato alcune riforme anche grazie al diverso rapporto tra lavoro e imprese che c'è in tale Paese. Noi terremo un convegno su questo tema.
Presidente, non so se sia interessante farvi avere notizia di queste nostre iniziative di approfondimento. Alcuni di voi più interessati potrebbero eventualmente partecipare. Stiamo anche preparando un documento, che però non è ancora completo e cui ho già fatto riferimento nella prolusione, con uno specifico contributo circa le economie di spesa che sembrerebbe più possibile realizzare. Lo stiamo ancora preparando. Appena sarà pronto, ovviamente ne sarete i principali destinatari insieme al Governo.
Comunque la si metta, ricerca e innovazione sono fondamentali. Se non si va in quella direzione, soprattutto quando le condizioni di concorrenza sul lato dei costi sono quasi perse, perché ci confrontiamo con Paesi i cui costi di produzione sono molto più bassi, l'innovazione, l'idea, il prodotto innovativo, il processo produttivo innovativo diventano fondamentali. Essi possono avvenire anche con l'accensione di una lampadina, però ormai si realizzano dedicando alla ricerca e a questo tipo di analisi risorse adeguate. In Italia, per ragioni di bilancio non ci siamo finora riusciti e siamo al di sotto degli altri Paesi. Le nostre imprese compiono miracoli, ma rimane il gap nelle risorse.
Evitare la sovrapposizione delle istituzioni significa soprattutto evitare costi, perché, se due o tre istituzioni svolgono la stessa attività, se ne paga due o tre volte il costo. Evitando sovrapposizioni si evitano anche disfunzioni. Non finirò mai di ripetere, anche sulla base della mia esperienza - che cortesemente alcuni di voi hanno richiamato - di ministro per le attività produttive, che il fatto che esistano in materia, ad esempio, energetica, sovrapposizioni di competenze a livello centrale e territoriale è una grossa complicazione, che rallenta molto tutte le politiche energetiche. Ci sono passato e posso affermare che è un tema su cui bisognerebbe tornare, altrimenti non si governa. Quando si trattava di effettuare un'autorizzazione per costruire una nuova centrale energetica, dovevo riunire tutto il mondo possibile e la complicazione era enorme. Quando parliamo di evitare le sovrapposizioni intendiamo suggerire di evitare non solo la duplicazione di costi, ma anche il blocco reciproco delle iniziative necessarie per la crescita.
I tagli lineari non vanno bene. Il taglio lineare significa tagliare tutto. Anche su questo fronte ho un po' di esperienza. Un


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ministro è responsabile del proprio settore. Se è responsabile del proprio settore, dovrebbe essergli riconosciuto anche il ruolo di fissare lui le priorità del suo settore. Se arriva un taglio lineare, gli si impedisce di fare ciò, eppure il ministro rimane responsabile. C'è una contraddizione funzionale. Il taglio lineare si compie per questioni di equità, ma non è la soluzione del problema delle priorità. Il Paese ha un estremo bisogno che siano fissate le priorità, perché con le risorse di cui si dispone esse sono fondamentali.
Vengo a un altro passaggio che è stato evocato. C'è una lettera di Campilli, che era allora presidente del CNEL, al Presidente del Consiglio di allora, Fanfani, in cui Campilli sosteneva che, se le parti sociali vanno a Palazzo Chigi, il CNEL entra in crisi. Le parti sociali infatti hanno interesse ad andare lì e non al CNEL, perché in quella sede ci sono potere di governo. Vi è chi sostiene che una delle ragioni della crescita del debito pubblico sia stata quel tipo di politica. Sarà vero, però, forse, ci farebbe piacere che tornasse presso di noi almeno una parte della contrattazione, nel senso della preparazione dell'istruttoria.
In merito ai ritardi nei pagamenti, negli altri Paesi il problema non si sente tanto, perché è un record italiano. Non porto le opinioni del CNEL, ma, ragionando ad alta voce, quando un'impresa entra in crisi, è un'impresa debitoria per definizione, il che comporta ritardi nei pagamenti.
Io ho fatto approvare una legge al riguardo, che è stata poi applicata alla società Parmalat e ad altre situazioni di crisi di impresa e che è riuscita a migliorare un po' le situazioni di queste imprese. In genere, si propone al creditore di ottenere una percentuale del dovuto e di accontentarsi, altrimenti non c'è altro: emanare un provvedimento simile nel rapporto coi creditori dello Stato, una norma di legge che disponga che si riconosce una percentuale del dovuto a coloro che la accettano, potrebbe essere un'iniziativa interessante o da approfondire. Si tratta di un concordato con i creditori. È però, quest'ultima, non un'opinione del CNEL, ma mia personale.
A proposito di welfare, trovo interessanti le proposte del Ministro Sacconi. Vi segnalo, però, che in Italia il welfare è realizzato in larga parte dalle famiglie. È un connotato della famiglia italiana. Ciò che le famiglie fanno per le situazioni di difficoltà dei giovani, degli anziani e dei disagiati non trova riscontro in altri Paesi. Tanto più lo devono fare perché lo Stato ha difficoltà a rispondere in modo adeguato.
Occorrerebbe chiedersi, quindi, se la capacità tributaria a cui bisognerebbe proporzionare - secondo la nostra Costituzione - il prelievo fiscale, potrebbe tener conto della numerosità della famiglia e delle condizioni di disagio o di handicap presenti in quella stessa famiglia. Analogamente, le tariffe locali, praticate per esempio dai comuni, non potrebbero essere concepite in base ad una differenziazione, a seconda della tipologia di famiglia residente? È un tema che è stato trattato ieri mattina con il Ministro Giovanardi, in un dibattito presso il CNEL.
Il welfare come lo pensa il Ministro Sacconi ci trova sostanzialmente d'accordo, ma esiste un welfare rappresentato dalle famiglie, su cui forse bisognerebbe riportare l'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie al professor Marzano e al contributo del CNEL. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dal presidente del CNEL (vedi allegato 1).
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Franco Bruni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progre


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dire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione del professor Franco Bruni, ordinario di teoria e politica monetaria internazionale presso l'Università Bocconi di Milano.
Do la parola al professor Bruni per lo svolgimento della relazione.

FRANCO BRUNI, Professore ordinario di teoria e politica monetaria internazionale presso l'Università Bocconi di Milano. Grazie, presidente. La mia audizione ha per titolo «La riforma della governance economica europea, l'analisi annuale della crescita e la correzione della finanza pubblica italiana».
Nel 2010 l'Unione europea ha avviato una revisione della sua governance economica articolata nella strategia Europa 2020, nella riforma del Patto di stabilità e crescita, nell'introduzione del semestre europeo e dei Programmi di riforma nazionali, in innovazioni della regolamentazione finanziaria e dell'architettura della vigilanza, nell'adozione di meccanismi provvisori e definitivi per la gestione delle crisi di liquidità e di insolvenza, con particolare riguardo a quelle dei debitori sovrani.
Molta parte di questo complesso lavoro è ancora allo stato di documenti di discussione, anche se le conclusioni dell'Ecofin di ieri costituiscono un rilevante passo avanti. Il semestre europeo è, però, già stato approvato e l'«Analisi annuale della crescita» è il documento con cui la Commissione avvia l'interazione con i Governi nazionali e con il Consiglio. Nell'ambito di tale interazione, l'Italia, in aprile, dovrà presentare il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma.
Il mio intervento si propone di contribuire alla posizione dell'Italia nel prosieguo della discussione sulla governance e alla preparazione dei programmi italiani con alcune riflessioni sulla prima parte del documento, nella quale si indicano tre delle dieci azioni prioritarie suggerite dall'analisi: attuare un risanamento di bilancio rigoroso, correggere gli squilibri macroeconomici e garantire la stabilità del settore finanziario. Mancando il tempo per questa terza questione, quella relativa alla stabilità, mi concentrerò sui primi due punti. Precisamente vorrei prendere in considerazione la questione del rapporto fra debito pubblico e debito privato, il grado di automaticità dei programmi europei di correzione dei deficit e dei debiti pubblici, la velocità e la qualità degli impegni di aggiustamento della finanza pubblica.
Iniziando con il debito pubblico e privato, in sede europea e nel G20 l'Italia ha fatto giustamente rilevare che la necessità di ridurre il debito pubblico di un Paese va valutata tenendo conto anche delle condizioni di equilibrio finanziario del suo settore privato, cioè del risparmio, della ricchezza e del debito delle famiglie e delle imprese, nonché della liquidità e solvibilità dei suoi intermediari finanziari. È un'idea questa che ha validità generale, ma che è particolarmente importante per l'Italia, la quale, nonostante l'ingente debito pubblico, ha un grado di stabilità finanziaria che beneficia dell'ampio risparmio e del contenuto indebitamento dei privati, nonché di una solidità dei suoi intermediari favorita anche da una buona vigilanza.
In effetti, il disavanzo pubblico eguaglia la differenza fra il saldo finanziario del settore privato, cioè il suo risparmio al netto dell'investimento, e l'avanzo delle partite correnti nella bilancia dei pagamenti, cioè l'aumento del credito netto nei confronti dell'estero.
Il debito pubblico che risulta dall'accumulo dei disavanzi è, dunque, pari alla differenza fra le posizioni creditorie nette del settore privato e dell'intero Paese nei confronti dell'estero. Ciò significa che a un più elevato credito netto del settore privato può corrispondere un maggior debito pubblico, senza compromettere la posizione finanziaria internazionale del Paese. D'altra parte, data quest'ultima, il debito pubblico trova più facile collocazione all'interno del Paese quanto più positiva è la differenza fra crediti e debiti del settore privato. In altri termini, la salute finanziaria del settore privato aiuta il debito pubblico a non minacciare la stabilità finanziaria.


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È, inoltre, indubbio che in alcuni casi il debito pubblico sia solo il colpevole apparente delle difficoltà finanziarie di un Paese. Ciò succede quando il debito pubblico nasce da operazioni di salvataggio di intermediari finanziari o di altri operatori privati che avevano debiti insostenibili, come nel caso dell'Irlanda. Nel disegnare il rientro da un debito pubblico nato in sostituzione di quello privato non ha senso dimenticarsi delle sue origini.
Un certo grado di additività e di sostituibilità tra debito pubblico e privato si dimostra anche nella dinamica dei premi al rischio di liquidità e di insolvenza: da un lato, un grande debito pubblico finisce con il far pagare tassi più elevati anche ai debitori privati, dall'altro, i tassi sui titoli pubblici dipendono anche da quanto il settore privato sia finanziariamente a rischio.
La considerazione dell'equilibrio economico-finanziario del settore privato accanto a quello del settore pubblico fa già parte delle proposte di riforma della governance europea. In particolare, si propone che, nel valutare se la velocità di riduzione del debito pubblico sia sufficiente, si tenga conto della situazione debitoria del settore privato. Del settore privato va valutata anche la competitività, cioè la capacità della bilancia dei pagamenti di evitare squilibri duraturi di parte corrente. Il collegamento fra stabilità e competitività è uno dei concetti che sono maturati in Europa in seguito alle crisi dei debiti pubblici.
L'aggiustamento delle finanze pubbliche rientra, dunque, nella più generale correzione degli squilibri, che riguarda anche il settore privato e la bilancia dei pagamenti. Del coordinamento di questa politica sarà responsabile anche la nuova autorità per il controllo del rischio sistemico, che lavora in stretto contatto con la Banca centrale europea.
Si cercherà, peraltro, di prevenire l'eccessiva crescita del credito sia al settore pubblico, sia a quello privato. Infatti, è l'eccesso di credito a essere contropartita degli eccessivi debiti e, in particolare, dei debiti con l'estero di Paesi che divengono illiquidi o insolventi.
La necessità di considerare congiuntamente il debito pubblico e il debito privato non deve, però, portare a trascurarne le differenze, nonché la specificità dei problemi che pone il debito pubblico. Il debito privato verso privati si forma in base a calcoli di convenienza privati e in forme contrattuali che prevedono e regolano la possibilità di insolvenza come un fatto normale. Il debito pubblico ha origine da decisioni politiche che non fanno riferimento alla convenienza di specifici progetti di spesa nel trasferire alle generazioni future parte dell'onere complessivo delle spese pubbliche.
L'economia politica ha studiato a fondo gli incentivi del debitore pubblico e gli attribuisce una tendenza all'irresponsabilità intertemporale, che, per venire corretta e limitata, richiede vincoli e controlli diversi da quelli che regolano l'indebitamento privato. È un'irresponsabilità che può avere cause molteplici, la più nota delle quali è connessa al funzionamento dei sistemi elettorali, che spesso premiano chi spende in disavanzo, senza tener conto degli oneri rinviati a futuro. Inoltre, il debito pubblico trova meno limiti nel rischio di insolvenza, la quale per i Governi è un evento considerato eccezionale e, soprattutto, quasi del tutto privo di regolamentazione.
Sono molte le ragioni, quindi, per disciplinare i debiti pubblici anche tramite accordi internazionali, anche del tutto indipendentemente dalle vicende parallele dei debiti privati.
Una di queste ragioni, presente fin dall'inizio nelle motivazioni che ispirarono il Patto di stabilità e crescita europeo, riguarda il fatto che un Paese con debito pubblico elevato ha meno spazio per attuare politiche di bilancio espansive, quando il ciclo economico depresso le richiede.
Un'altra ragione è data dalla pressione che i debiti pubblici esercitano sulle banche centrali. Storicamente le banche centrali sono state spesso indotte a creare moneta, anche in quantità eccessiva, per far fronte alle richieste di finanziamento


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dei Governi dai quali sono indipendenti in una misura variabile diversa, ma che non può comunque mai essere assoluta.
Va, inoltre, ricordato che, anche quando il saldo finanziario del settore privato di un Paese è positivo e ampio e permette di sopportare agevolmente un grande debito pubblico, non è affatto detto che tale saldo sia pronto ad aumentare ulteriormente quando il debito pubblico cresce a causa di un'improvvisa salita del deficit eccessivo. Tanto più alto è il debito pubblico rispetto al PIL, tanto maggiore è il rischio che il deficit esploda improvvisamente in misura non finanziabile sul mercato interno, in seguito, peraltro, ad aumenti dei tassi di interesse e, quindi, dell'onere del debito pubblico.
La differenza fra debito pubblico e privato sta anche, nell'esperienza di molti Paesi, nel fatto che, a fronte del primo, è minore la formazione di capitale produttivo. Purtroppo i debiti pubblici, per il processo di decisione politica che li generano, finanziano soprattutto consumi pubblici. Si può sostenere che ciò, oltre a far mancare una garanzia per il debito pubblico, rende spesso l'economia meno produttiva, ne contrae i ritmi potenziali di crescita e per ciò stesso aumenta le difficoltà alle quali andranno incontro le generazioni future per rimborsare il debito.
Veniamo alla disciplina automatica o discrezionale. In un accordo europeo per disciplinare le finanze pubbliche va considerato il grado di automaticità della disciplina che viene prevista, cioè la minore o maggiore discrezionalità che possono usare le autorità disciplinanti quando i deficit o i debiti dei Paesi deviano dai sentieri concordati.
È noto che la Banca centrale europea, nel suo parere del 16 febbraio scorso, ha lamentato un'insufficiente automaticità delle proposte di governance economica e che ieri ha ribadito questa opinione. È possibile condividere l'opinione di fondo della Banca centrale europea anche senza approvare tutti i suoi suggerimenti.
In questa sede è opportuno soffermarsi sulla convenienza per l'Italia di una maggiore automaticità della disciplina del deficit e del debito. Va precisato, innanzitutto, che una procedura automatica non significa una disciplina dei piani di rientro uguale per tutti i Paesi. Nell'ambito dei criteri generali stabiliti per tutti, ciascun Paese membro può essere tenuto a un percorso di aggiustamento che rispetti le specificità delle sue condizioni e si accordi con i suoi progetti di riforma.
L'automatismo significa poi, però, che il percorso concordato è effettivamente vincolante e difficilmente modificabile, con deviazioni sanzionate senza speciali trattative o indulgenze, seguendo regole pattuite ex ante e non compromessi politici ex post.
Un processo di aggiustamento piuttosto automatico, amministrato comunitariamente dalla Commissione e sottratto ai compromessi momentanei che caratterizzano gli equilibri politici del Consiglio conviene all'Italia, soprattutto per la relativa debolezza contrattuale del nostro Paese, che finirebbe per soccombere in una continua trattativa con gli Stati membri che hanno diversi elementi di maggior forza, comprese migliori condizioni di partenza in materia di finanza pubblica e competitività.
Il rischio è che in situazioni di tensione finanziaria generale ci vengano richiesti ex post aggiustamenti più severi di quelli che siamo in grado di concordare ex ante. A tali richieste non corrisponderebbe altrettanta severità per i Paesi contrattualmente più forti. A questo proposito, dovrebbe esserci di insegnamento, per esempio, il modo con cui la Francia e la Germania hanno travolto e distrutto la disciplina del Patto di stabilità nel 2005, quando a loro conveniva, con una colpevole complicità della presidenza italiana dell'Unione europea, alla vana ricerca di crediti e benemerenze con i più potenti.
È istruttivo anche il modo con cui all'inizio di quest'anno i due principali Paesi dell'Unione europea, tornando a provare a scambiarsi favori su fronti diversi, abbiano cercato di dettare ai Paesi più traumatizzati dalla crisi finanziaria europea condizioni di aggiustamento tanto severe, quanto confusamente improvvisate. Il


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metodo comunitario basato su regole piuttosto automatiche e non su accordi contingenti è la migliore garanzia di coerenza e di credibilità degli accordi internazionali. Ciò è vero sempre e per tutti, ma lo è ancor di più per chi, come l'Italia, ha minori possibilità e probabilità di dominare il gioco intergovernativo.
L'automatismo degli accordi internazionali rafforza, inoltre, il governo interno di un'economia come la nostra, per la quale, date le caratteristiche socio-politiche e istituzionali del Paese, è particolarmente prezioso il supporto della cosiddetta disciplina esterna. Perché tale supporto sia effettivo la disciplina deve essere stabilita con trasparenza ex ante. Infatti, in presenza di accordi amministrabili in modo discrezionale, il Governo è costretto a farli valere ex post, con un acrobatico gioco a due livelli, giocando cioè sia con gli altri Paesi membri, sia con gli interessi speciali interni e rischiando di soccombere alla maggior forza dei primi e alla prepotenza dei secondi.
L'automatismo degli accordi internazionali aumenta la credibilità dei piani di aggiustamento. La credibilità, a sua volta, è importante per contenere, a parità di severità, gli effetti depressivi delle riduzioni di deficit e debiti pubblici. Un aggiustamento credibile stimola il settore privato a compensare parte dei tagli alla domanda interna del settore pubblico con aumenti della domanda netta dei privati, che possono far conto su un vero miglioramento delle prospettive di medio termine della finanza pubblica.
Veniamo alla velocità del percorso di aggiustamento. All'Italia conviene accettare una maggiore automaticità degli aggiustamenti richiesti in cambio di una minore velocità. La gradualità del rientro dall'elevatissimo rapporto fra debito e PIL che ci caratterizza è, infatti, per noi essenziale. Un rientro violento verso il 60 per cento di Maastricht sarebbe traumatico, poco credibile e inevitabilmente affrontato con provvedimenti poco incisivi e poco strutturali.
D'altra parte, non ci conviene, per rallentare la velocità di rientro richiesta, contare sulla discrezionalità, sulla politicizzazione degli accordi. Verrebbero meno, insieme, la certezza della gradualità e la forza della disciplina esterna. È per noi conveniente impegnarci a un rientro abbastanza graduale, ma da rispettare severamente.
Le proposte in discussione si articolano in misure preventive e correttive. Una volta riportato l'attuale deficit eccessivo sotto il 3 per cento del PIL, il deficit ricadrebbe sotto la disciplina preventiva, che richiederebbe un saldo strutturale in diminuzione ogni anno di almeno lo 0,5 del PIL fino al raggiungimento del pareggio di bilancio. Il profilo correttivo del nuovo Patto sarebbe, invece, centrato sullo stock di debito pubblico rapportato al PIL, che, nel caso dell'Italia, è circa il doppio del 60 per cento prescritto dai trattati. Verrebbe introdotta una velocità minima che il Paese dovrebbe seguire nel diminuire tale rapporto fino a raggiungere il 60 per cento.
È ovvio che il rispetto della disciplina preventiva sul deficit agisce anche in modo correttivo sul debito. Dovendo rispettarle entrambe, quella che conta è quella che ha implicazioni più severe. Nonostante il Governo italiano appaia specialmente preoccupato della correzione del debito, si può dimostrare che, se il tasso di crescita del PIL non è troppo basso, l'azzeramento del deficit configura una disciplina abbastanza severa al punto da assicurare una rapida discesa del rapporto fra debito e PIL e che per l'Italia potrebbe risultare meno difficile rispettare le richieste di discesa del debito che non l'azzeramento del deficit. Queste note non entrano nell'aritmetica di questi confronti - credo che Ignazio Visco ne abbia parlato in questa sede - e si concentrano direttamente sulla disciplina correttiva del rapporto fra debito e PIL, soprattutto perché il rientro del debito implica un progetto di molto più lungo periodo e la modulazione della sua velocità nei prossimi venticinque anni può essere stabilita in modi diversi. Anche per questo motivo all'Italia conviene che il Governo accetti la disciplina diretta sul


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debito e ne tratti la conformazione in modo meno timoroso e più propositivo.
Per realizzare velocemente il rientro del rapporto fra debito pubblico e PIL occorre sviluppare un avanzo primario considerevole e non facile da raggiungere. L'avanzo primario di bilancio necessario è tanto maggiore, quanto minore è il tasso di crescita del PIL e quanto maggiore è l'onere di interessi medio sul debito. Inoltre, se l'onere medio di interessi è superiore al tasso di crescita del PIL, per ridurre di un dato numero di punti il rapporto fra debito pubblico e PIL occorre un avanzo primario tanto maggiore, quanto più alto è il livello di partenza del rapporto.
Poiché è probabile che il tasso di crescita rimanga contenuto ancora per diverso tempo, conviene accelerare il rientro in una fase in cui la politica monetaria contribuisce ancora a tenere bassi i tassi di interesse. Prima o poi, la politica monetaria farà crescere il tasso base in modo significativo: meglio sarebbe se succedesse quando l'Italia, avendo ridimensionato il debito pubblico, pagherà minori premi di rischio oltre al tasso base.
È in via di accoglimento la proposta della Commissione di precisare quale sia la velocità minima di riduzione verso il 60 per cento del rapporto fra debito e PIL. Poiché, come ho evidenziato prima, regole precise e depoliticizzate convengono all'Italia, dovremmo favorire la precisazione del termine «sufficiente», nonostante alla vaghezza del termine sia dovuta la nostra stessa ammissione all'euro nel 1998. Infatti, i termini del problema attuale sono completamente diversi.
Non è opportuno appellarsi con troppa insistenza alla contenutezza del debito privato per rallentare la riduzione richiesta del debito pubblico fino al punto di rendere la regola di rientro imprecisa e discrezionale. Come affermato prima, infatti, ci convengono regole più automatiche.
La proposta attuale definisce sufficiente una riduzione che nei tre anni precedenti sia risultata in media annua pari ad almeno un ventesimo della distanza fra il livello di partenza del rapporto e il 60 per cento. Per l'Italia ciò significherebbe inizialmente una riduzione del rapporto percentuale di circa 3 punti all'anno. La proposta è coerente con il criterio, per noi come detto sopra conveniente, di un rientro più accelerato nella fase iniziale. Infatti, la riduzione corrispondente a un ventesimo della distanza dal 60 per cento si contrae col diminuire di tale distanza.
All'Italia converrebbe addirittura impegnarsi a un rientro ancora più concentrato nelle fasi iniziali e con velocità minima più rapidamente decrescente. Rientrando rapidamente sotto il 100 per cento, si potrebbe chiedere di scendere poi ancora più piano di quanto ci consentirebbe la formula proposta dalla Commissione. Si raggiungerebbe così più rapidamente la condizione di sostanziale emancipazione della politica di bilancio dall'obiettivo di rientro del debito pubblico accumulato in passato. Se la regola fosse sufficientemente precisa e impegnativa, vi sarebbe subito un beneficio di credibilità che contribuirebbe a contenere i tassi sui titoli pubblici, riducendo per ciò stesso gli avanzi primari richiesti.
Va precisato che una regola che concentri l'aggiustamento all'inizio sarebbe in contrasto con gli incentivi politici di un Governo che ha un orizzonte temporale a breve termine, ma che il dividendo politico di un aggiustamento di successo non tarderebbe moltissimo. Inoltre, legarsi le mani con accordi internazionali serve proprio a correggere distorsioni elettoralistiche degli incentivi dei decisori politici.
In questa sede non si considera il problema delle privatizzazioni, con le quali abbattere di colpo il debito pubblico lordo. Non si affronta nemmeno la delicata discussione sull'opportunità e sulla fattibilità di un'equa imposizione patrimoniale con cui in teoria si potrebbe più facilmente attuare la forte riduzione immediata del rapporto fra debito e PIL. Seppur fosse corretto e possibile tassare i patrimoni, non sarebbe opportuno discuterne troppo prima.
Per la qualità dell'aggiustamento di bilancio è evidente l'importanza della qualità


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dell'aggiustamento dei disavanzi dei debiti pubblici. La migliore qualità ha soprattutto tre aspetti: aggiustamenti basati più su riduzione delle spese pubbliche che su aumenti delle entrate; aggiustamenti strutturali anziché una tantum, realizzati con riforme che riflettono i progetti concordati in sede comunitaria; aggiustamenti che prevedono riduzioni di spese pubbliche correnti piuttosto che di investimento.
Il semestre europeo è creato apposta per concordare non solo la quantità, ma anche la qualità degli aggiustamenti. Sarebbe opportuno, oltre a misurare la qualità dell'aggiustamento, poterla premiare, al di là del beneficio che un Paese comunque trarrà da un migliore aggiustamento.
A proposito di tale beneficio, è ovvio che una buona qualità dei provvedimenti di rientro del debito pubblico, unita all'effettiva messa in atto del programma di riforme richiesto dalla Commissione, formulato in modo ambizioso e incisivo, migliori le prospettive della crescita del PIL, facilitando la riduzione del rapporto fra debito e PIL.
È, però, sconsigliabile contare nel breve periodo su un forte contributo della dinamica del denominatore alla riduzione del rapporto. Per contrarre il debito nella misura in cui deve farlo l'Italia è indispensabile avviare una radicale riforma della finanza pubblica, con tagli di spesa estremamente selettivi, riorganizzazioni profonde di quasi tutte le amministrazioni pubbliche, nuovo dimensionamento di ogni voce del bilancio, indipendentemente dal suo valore storico.
Ciò comporta una fase di aggiustamento traumatica e difficilmente compatibile con una ripresa vivace della crescita, una ripresa alla quale si deve, invece, mirare a medio e lungo termine, quando le riforme strutturali daranno i loro frutti.
I tre aspetti della qualità dell'aggiustamento ora menzionati sono tutti misurabili con un buon grado di oggettività. È auspicabile che le interazioni e gli accordi del semestre europeo enfatizzino adeguatamente queste misure di qualità.
Come riferito prima, una volta misurata, la qualità deve essere in qualche forma premiata. Anche se viene spesso osservato che esistono riforme a costo zero, è difficile che una riforma veramente incisiva, in grado di generare sostanziali risparmi di spesa nel medio termine, non comporti alcuni significativi maggiori costi iniziali nel breve andare e non implichi sacrifici tali per alcuni gruppi di interesse al punto da diventare politicamente irrealizzabile, se non assistita da provvedimenti facilitatori, non privi di alcuni costi. Per questo motivo è difficile ridurre i deficit e i debiti pubblici compiendo riforme strutturali. I premi alla qualità dell'aggiustamento della finanza pubblica dovrebbero aiutare a superare questo genere di difficoltà. In generale, il premio potrebbe consistere in un rallentamento dell'aggiustamento proporzionato alla sua qualità. La forma di premio più nota è quella che limita la disciplina ai soli deficit e debiti correnti, rilassando i limiti al finanziamento in deficit per gli investimenti pubblici. Sarebbe possibile consentire maggiori deficit in contropartita di alcuni investimenti pubblici chiaramente caratterizzati nei programmi comunitari.
Anche gli altri parametri della qualità del bilancio pubblico possono dar luogo a premi, cioè ad attenuazioni dei vincoli di disciplina e di aggiustamento. Si tratta di stabilire, in casi ben definiti e limitati punteggi di qualità, associando a punteggi maggiori vincoli meno severi sul deficit e sul debito.
Infine, i documenti europei sulla governance economica invitano esplicitamente a istituire organismi contabili indipendenti per garantire meglio l'obiettività dei calcoli e delle previsioni necessarie per monitorare la finanza pubblica. In Italia, dove l'intensità e la tipologia della contrapposizione partitica e bipolare mette da anni a dura prova la credibilità di diverse istituzioni, sarebbe particolarmente opportuno ristrutturare gli organismi esistenti di valutazione contabile per la finanza pubblica e affiancarli con una nuova istituzione, più fortemente e credibilmente indipendente dal Governo e dai partiti.


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Adottando, in questa materia, un atteggiamento attento al rigore dei profili tecnici oggettivi delle fasi istruttorie delle decisioni, piuttosto che al loro presidio politico, proprio il Parlamento potrebbe diventare lo sponsor e il riferimento principale di questa nuova istituzione.
Vi ringrazio dell'attenzione.

PRESIDENTE. Desidero ringraziare il professor Bruni per questo contributo, per questa lezione, che concerne argomenti di cui si parla spesso in sede politica, ma per i quali manca il background teorico e culturale per affrontarli. Il suo è stato un contributo davvero molto utile.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO CAMBURSANO. Francamente, presidente, non ho domande da porre. Come ha appena affermato lei e come ho sostenuto io nell'audizione precedente, non posso che sottoscrivere, anche un po' in forma polemica, perché il contributo dato nella prima audizione era un elenco dei problemi. In questo caso, invece, finalmente abbiamo, almeno rispetto alla questione del debito e del rientro dal debito, dal deficit e dai disavanzi, un percorso molto preciso. Il problema è quello di seguirlo, ovviamente, ma questo non è più un compito del nostro audito, bensì nostro.
Non posso che farmi, insieme al presidente, componente di quell'organismo sponsor, di quell'iniziativa che si chiama organismo indipendente sulla contabilità nazionale. La ringrazio davvero a nome mio e del gruppo dell'Italia dei Valori per l'enorme contributo che ci ha portato e che condivido totalmente.

PIER PAOLO BARETTA. Grazie, professore. Svolgo alcune rapide osservazioni.
Lei insiste molto sulla scelta dell'automatismo come criterio autovincolante. Poiché ciò presuppone il fatto che, una volta che si è determinato il criterio dell'automatismo, poi tutto proceda nell'ottica così contrattata, si presuppone una capacità di contrattazione elevata in fase iniziale.
Credo che sia un punto sul quale bisognerebbe insistere particolarmente, perché - non è un giudizio sul Governo attuale - è il problema dell'Italia. In questo senso mi pare che lei consigli di insistere più nel contrattare i tempi che non la dimensione del rientro. Prendiamoci per buono il vincolo del 60 per cento e, in cambio di questa accettazione, dilatiamo un po' i tempi di rientro, rientrando il più rapidamente possibile sotto il 100 per cento.
In questo gioco mi pare una discussione che merita di essere svolta tutti insieme e non solo da parte del Governo, perché potrebbe diventare un terreno comune italiano di approccio, anche per dare forza contrattuale.
In quest'ottica lei ha fatto riferimento al rapporto tra debito privato e debito pubblico. Lei stesso vi accenna, ma abbiamo avuto modo con il presidente Giorgetti di sentirlo affermare anche ieri in occasione di una riunione dei presidenti delle Commissioni dei Parlamenti degli Stati membri dell'Unione europea. Qualcuno ha sostenuto di prendere pure a riferimento il debito privato, purché il debito privato sia in grado di aiutare la riduzione del proprio debito pubblico. In questo senso si apre un orizzonte nel quale il vantaggio competitivo di avere un debito privato minore deve, però, essere messo rapidamente al servizio del debito pubblico.
Ci sono poi due considerazioni cui lei ha fatto riferimento. La prima la condivido pienamente. Non impegno la mia parte politica, ma me stesso. Mi riferisco alle privatizzazioni, magari con alcune correzioni rispetto a come sono state effettuate nel 1993. Non si tratta ora di trasferire un patrimonio pubblico a imprenditori privati, ma non c'è dubbio che privatizzazioni e liberalizzazioni possano aiutare a scendere sotto la soglia del 100 per cento.
La seconda questione, più delicata e sulla quale, come lei sa bene, è in corso un


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dibattito molto complesso, è l'intervento sulla patrimoniale, nel quadro di un equilibrio fiscale complessivo.
L'ultima osservazione riguarda il fatto che lei ha fatto riferimento alla Francia e alla Germania di alcuni anni fa. Tralascio il suo giudizio sulla presidenza italiana, però questo è un punto molto serio. L'impressione che potremmo avere è che l'Europa stipuli un accordo semifinto. Noi saremmo scioccati dalla discussione a cui faccio riferimento. Siamo in una situazione nella quale esiste uno scarto tra la disponibilità degli Stati a questo livello di accettazione del gioco e la possibilità, invece, di mantenere aperti alcuni margini, ragion per cui anche un accordo che presuppone un automatismo di questo tipo deve avere un livello di consenso e di adesione molto forte.
Concludo affermando che ad aggravare tutto ciò si aggiunge il fatto - lei ha fatto riferimento allo svantaggio elettorale - che nell'Europa dei 27 si vota praticamente ogni sei mesi. Una delle riforme che l'Europa dovrebbe attuare è quindi anche quella di razionalizzare, se non le forme, i cicli elettorali.

SIMONETTA RUBINATO. Ringrazio il professore per il contributo eccezionale che ci ha portato. Le chiedo, professore, se, con riferimento alla qualità degli aggiustamenti di bilancio, può spendere due parole in più per esplicitare meglio il suo pensiero e la sua riflessione sul fatto che ritenga sconsigliabile nel breve periodo puntare su una vivace ripresa del denominatore nel rapporto debito/PIL e, invece, avviare una radicale riforma della finanza pubblica. Lei precisa che, se questa è la strada migliore - io ho inteso questo -, dobbiamo essere consapevoli che comporta una fase di aggiustamento traumatica. Tale fase traumatica di aggiustamento, che mi pare lei preferisca rispetto al puntare immediatamente a una ripresa vivace della crescita, può essere delineata in modo più concreto e approfondito, trattandosi di una parte molto forte?

PRESIDENTE. Do la parola al professor Bruni per la replica.

FRANCO BRUNI, Professore ordinario di teoria e politica monetaria internazionale presso l'Università Bocconi di Milano. La faccenda di considerare il debito pubblico e quello privato, che, secondo me, è un idea di successo e che anche dal punto di vista della reputazione dell'Italia credo abbia segnato un punto positivo a onore del nostro Governo rischia di essere sprecata, se la si usa per rendere pasticciato, discrezionale e politicizzato il percorso di rientro.
Tale faccenda va usata all'inizio, forzando la contrattazione del percorso, che, però, una volta decisa, deve essere quella. Purtroppo, invece, sta succedendo il contrario e i mercati sono preoccupati, come anche la Banca centrale europea. La storia del debito pubblico e privato è entrata, infatti, come una clausola che viene richiamata, quando bisogna creare un po' di pasticci per rallentare la trattativa, il che uccide la credibilità del percorso. Su questo tema dobbiamo insistere ancora di più su quello che facciamo, con tutti i numeri che possiamo portare, perché tale considerazione serva a disegnare un percorso di rientro che vada bene a noi. Fra un anno o due gli altri tireranno fuori argomenti molto più importanti, che schiacceranno noi e faranno andare meglio loro.
Purtroppo, se mi posso permettere un tipo di linguaggio molto aperto, è un problema che sussiste con il nostro Ministro dell'economia e delle finanze, il quale ha dimostrato in passato - adesso credo meno - di avere un penchant forte per la trattativa politica. La politica, però, deve giocare al momento giusto, per fissare le regole, ma poi bisogna essere spietati nel rispettarle. Se si continua a portare avanti la possibilità di opzione politica durante il corso degli eventi, si perde credibilità e diventa un disastro.
Sulla questione della riforma della spesa pubblica, della finanza pubblica e del trauma, non posso scrivere la sceneggiatura di un film dell'orrore. In teoria si dovrebbe attuare un zero based budget, ricominciando in sostanza tutto daccapo. Non si può farlo evidentemente, anche se ultimamente, sia col ministro precedente, sia con l'attuale, si sono compiuti alcuni


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progressi: i conti sono più in ordine e i capitoli e la strategia di bilancio sono tali che si può cominciare a ragionare di riforme strutturali. Bisogna, però, intervenire in modo durissimo e avere il coraggio di annunciarlo al Paese. Saranno tempi difficili, però non siamo soli in questo problema, ma in compagnia di tanti altri Paesi. È un ragionamento che tutti dovrebbero svolgere insieme al tavolo del G20, invece che venire fuori con tante fotografie. Per esempio, dovrebbe farlo il Governo americano, che continua a far finta di nulla, pur con un disavanzo e con un deficit spaventosi, facendo credere al suo popolo che il prodotto interno lordo può continuare a crescere al 3 per cento all'anno. Non lo possono fare, perché, quando ci rifiutiamo di pagare noi, loro devono smettere.

PRESIDENTE. La ringraziamo e apprezziamo anche la sua franchezza. Grazie ancora, professor Bruni.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dal professor Franco Bruni (vedi allegato 2).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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