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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
9.
Martedì 29 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 9 19
Baretta Pier Paolo (PD) ... 9
Bitonci Massimo (LNP) ... 8
Cambursano Renato (IdV) ... 15 17
Ciccanti Amedeo (UdC) ... 17
Duilio Lino (PD) ... 12
Fluvi Alberto (PD) ... 17
Gozi Sandro (PD) ... 8
Marsilio Marco (PdL) ... 15
Nannicini Rolando (PD) ... 18
Occhiuto Roberto (UdC) ... 11
Toccafondi Gabriele (PdL) ... 15
Tremonti Giulio, Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 8 9 10 12 14 15 16 17 18 19
Vannucci Massimo (PD) ... 7 18
Vico Ludovico (PD) ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 29 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 20,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti.
Questo incontro arriva immediatamente dopo il Consiglio europeo di Bruxelles del 24 e 25 marzo scorsi, che, come voi sapete, ha fatto registrare alcuni elementi di condivisione, di cui ovviamente il Ministro ci terrà informati.
Per quanto riguarda il semestre europeo, ricordo che è di estrema attualità la nostra proposta di legge relativa all'adeguamento della legge n. 196 del 2009 alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, di cui è relatore l'onorevole Baretta, su cui c'è ampia condivisione e che speriamo di portare a compimento già nel corso di questa settimana in tempo utile per l'inizio del semestre europeo, come ho ricordato.
Do la parola al Ministro Tremonti, per poi lasciare spazio a domande e risposte, naturalmente formulate in termini europei, ossia domanda rapida e risposta rapida e pertinente. Grazie a tutti.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Anche il mio intervento sarà europeo, quanto meno nella tempistica. Penso che sia opportuno dividerlo in due parti, una generale e una particolare; la parte generale concerne la politica e la parte più particolare riguarda la situazione economica. Credo che la cifra più rilevante del testo che stiamo discutendo sia quella politica.
Molto è stato scritto, detto e visto, in una logica quasi sempre troppo specifica, in relazione a quale numero, a quale rapporto, a quale data. Questo approccio ha fatto perdere di vista l'elemento essenziale. Troppo spesso si è dato più rilievo al particolare che al generale e si è visto più di ciò che è fondamentale.
Questo passaggio ha una dimensione politica di enorme rilievo. Si tratta di un trattato nel trattato ed è difficile separare quanto sia stato fondamentale il Trattato sull'Unione europea e quanto, nell'economia politica del Trattato sull'Unione europea,


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sia importante questo secondo trattato, che si inscrive nel primo in una logica di evoluzione straordinaria.
La cifra politica in questo trattato e nei lavori svolti nelle sedi europee e nei Parlamenti nazionali, nonché poi nel Parlamento europeo, è altissima. Stiamo vedendo una colossale devoluzione di poteri dagli Stati nazionali a una sede europea superiore. Essa, pur non definibile in termini comunitari e governativi - è la somma di tutto ciò -, fondamentalmente è una sede comune europea.
Il dato politicamente, e non solo politicamente ma anche costituzionalmente, più rilevante del trattato è la devoluzione verso l'alto di un'enorme quota di potere. Quando il meccanismo andrà a regime? Ad aprile, a maggio o a giugno di quest'anno o dell'anno prossimo. Certamente il nostro meccanismo politico nazionale ed europeo sarà diverso e, ritengo, migliore.
Ciò avviene sotto la pressione della crisi, una crisi che prima è venuta da fuori e che poi ha evidenziato elementi di criticità interni all'Europa. Alla fine, il processo è straordinariamente importante dal punto di vista politico.
Dentro la cifra politica vi è una fortissima logica di solidarietà. Altre volte si è visto, ma questa volta lo si vede fortemente, un meccanismo di responsabilità e di solidarietà comune tra i Paesi europei. Naturalmente il processo è passato attraverso fasi alterne e posizioni diverse, ma alla fine ha trovato sintesi in una logica di comune solidarietà.
Il terzo punto è che credo che questa non sia la fine, ma il principio di un processo di progressiva e ulteriore unificazione. Ci sembravano utopistiche l'idea di Delors degli eurobond e la proposta avanzata durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea del 2003, che riprendeva quella idea, seguita da critiche, dall'oblio e poi dalla riapertura della discussione. Io credo che in un meccanismo europeo come il fondo che viene formalizzato con questo trattato sia compresa l'idea degli eurobond. Si possono ancora avere fattori contrari e di contrasto, ma credo che questo sia un processo politico non reversibile.
Come scriveva Hamilton, con una piccola quantità di denaro si creerà una grande nazione. La dimensione non è quella finanziaria. Troppe volte abbiamo sentito discorsi sul debito e sulla disciplina di bilancio. La dimensione degli eurobond è politica e non finanziaria. Non rappresentano un modo per creare più debito, né per aggirare i vincoli di disciplina, ma per costruire il futuro di questo continente.
L'architettura, come altre volte abbiamo affermato e discusso tra di noi, si basa su quattro pilastri.
Il primo è un ruolo diverso assegnato alla Banca centrale europea, certo non ancora operativa come la Federal Reserve americana o come la Bank of England, ma opera da tempo in modo diverso, con un'attività di difesa della nostra moneta, e non solo della nostra, da azioni esterne.
Il secondo pilastro è il fondo di stabilizzazione. È stato, come ricorderete, proposto nell'Aula della Camera dei deputati nel settembre del 2008, è un'idea italiana e incontrò nel Parlamento italiano anche valutazioni positive. Fu scansato nel dibattito durante il vertice dell'Eliseo del 2008, ma poi la proposta è tornata nel maggio del 2010 come tecnica per gestire la crisi greca.
Dopo tale proposta ci furono ulteriori discussioni dialettiche molto asimmetriche, ma alla fine abbiamo un fondo europeo. Può essere ampliato e reso diverso, certamente può essere migliorato, ma noi tutti nutriamo la convinzione che quello del meccanismo di stabilizzazione sia stato un passaggio molto importante. Mi riferisco a noi tutti in Europa ai diversi livelli e nelle diverse competenze e responsabilità.
Il terzo pilastro sono le politiche di bilancio. Abbiamo tutti convenuto, sotto la pressione della crisi e sotto l'evidenza delle difficoltà, su politiche di bilancio diverse dalle precedenti. Anche questo punto è stato sollevato in questa sede e ne abbiamo parlato.


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Per il vecchio continente è stata la fine, il colpo di gong sull'età coloniale, che sopravviveva nella forza dominante di un continente che comunque piazzava i suoi prodotti e i suoi titoli quando voleva e ai valori che voleva. Non è più così e tutti sappiamo che dobbiamo prendere atto del vincolo e dell'esigenza di ridurre i livelli di bilancio che abbiamo registrato nei decenni passati. Una volta la dottrina era il deficit spending, mentre adesso la realtà ci porta a politiche di bilancio diverse.
Il quarto e ultimo pilastro, che è un po' la sintesi di tutto ciò ed è un ritorno al principio del discorso, è il semestre europeo. Avremo una fase che si aprirà con delle complessità sperimentali iniziali: mi riferisco ai Programmi di stabilità e convergenza e ai Programmi nazionali di riforma, un documento a due colonne che tutti gli Stati devono presentare. Si tratta di un testo che dovremo discutere anche in questa sede, in quanto è previsto un previo e necessario passaggio per i Parlamenti nazionali, e rappresenta la base per una discussione sulla politica comune. Più o meno abbiamo tutti capito che siamo un continente e che abbiamo un mercato comune e una moneta comune. Non possiamo continuare ad avere ventisette politiche economiche diverse.
Questa è la configurazione di un'architettura politica. Sono importanti i numeri, le date, i passaggi tecnici ed economici, ma credo che il punto fondamentale sia quello della cifra politica di un processo radicalmente diverso dal precedente. Ho cercato di asserire che si tratta di un trattato nel trattato.
Vengo allo specifico, per quanto concerne la discussione svolta a Bruxelles e in altre sedi sul nostro Paese e sul contributo che abbiamo dato alla costruzione del testo. A parte considerazioni più generali, che sono state oggetto di discussioni politiche, di conferenze e di dibattiti, passando agli aspetti specificamente tecnici, credo che il contributo italiano sia stato dato in ordine a tre fattori.
In primo luogo, abbiamo cercato di definire, non come posizione di interesse nazionale, ma come posizione razionale, la questione del debito. Prima si teneva in esclusiva considerazione il debito pubblico. Noi abbiamo cercato di dimostrare - e alla fine credo che ci siamo riusciti, anche aiutati dalla più ampia evidenza empirica e dall'opinione pubblica, che ha cominciato a crescere non solo in Italia, ma molto nel mondo anglosassone - il fatto che le cause della crisi in Europa non sono radicate nei debiti pubblici, ma in criticità emerse nelle strutture della finanza privata, nelle banche, nelle bolle immobiliari, nell'eccesso di leva finanziaria e in tutti quei fenomeni.
In effetti, noi abbiamo concentrato un'enorme attenzione sui debiti pubblici e simmetricamente c'è stata un'enorme disattenzione sugli aggregati macroeconomici relativi alla finanza privata. Ciò non significa che i debiti pubblici siano poco rilevanti. Sono molto rilevanti e possono produrre enormi criticità, ma non si possono considerare solo questi come fattori rilevanti. Sono molto rilevanti anche altri fattori. Alla stabilità di una moneta non attentano solo i debiti pubblici o l'inflazione misurata su un basket of goods, ma anche le architetture bancarie e finanziarie, che abbiamo visto essere causa di crisi molto forti e intense.
Certamente c'è stato un deficit di conoscenza e di vigilanza, perché tali grandezze dovevano essere fatte oggetto di considerazione, e lo sono nel nuovo trattato, che considera parimenti debiti pubblici e finanza privata.
La discussione sull'estensione della sorveglianza e della vigilanza dagli aggregati di finanza pubblica anche a quelli di finanza privata è stata certamente portata avanti dal nostro Paese. Noi sappiamo di avere un grande debito pubblico, ma sappiamo anche che la crisi, per come si è manifestata in molti Paesi - forse la Grecia è un caso particolare - non è una crisi originata dai debiti pubblici. Dove c'è la crisi più drammatica i debiti pubblici sono i più bassi. Usando il metodo di Newton di causa ed effetto e non il metodo antecedente post hoc, ergo propter hoc, ma anche usando questo, abbiamo introdotto


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argomenti che alla fine hanno portato alla formulazione di un testo che consideriamo molto equilibrato.
Certamente occorre tenere conto della riduzione del debito pubblico, ma anche degli altri fattori, perché non conta solo il debito, con il suo livello e la sua dinamica, ma anche l'ambiente in cui esso si colloca.
In secondo luogo, siamo convinti di aver operato bene nell'avere introdotto nella parte concernente lo sviluppo una forte e maggiore attenzione agli squilibri territoriali. Avremmo forse voluto un elemento in più, cioè il riconoscimento della struttura duale di alcune economie, come la nostra, però il compromesso raggiunto sugli squilibri territoriali, che andava molto oltre la convenzionale configurazione regionale, è soddisfacente. Si parla molto di più di squilibri regionali, il che per noi è molto importante.
Il terzo e ultimo punto, emerso in tante discussioni e anche, di colpo, nella riunione dei Capi di Stato e di Governo, è la discriminazione dei Paesi a seconda che abbiano o non abbiano la cosiddetta tripla A. Per darvi un'idea, nell'Ancien régime si affermava che i nobili concorressero al bene comune con il loro sangue, il clero con le sue preghiere e gli altri con le tasse.
L'idea della tripla A era un'idea per cui il concorso alla solidarietà comune si manifestava per chi aveva la tripla A con le garanzie e per gli altri con i soldi. Questo punto francamente ci è sembrato inaccettabile. Chi demonizzava le agenzie di rating, cosa che noi non abbiamo mai fatto, poi attribuiva responsabilità e sovranità proprio alle agenzie di rating stesse. Noi crediamo che esse siano uno strumento e che non sia giusto demonizzarle, ma neanche elevarle a fons di sovranità politica derivata, attraverso il rating.
Le agenzie di rating sono uno degli strumenti che servono e che vanno usati con intelligenza e con prudenza, ma non si può trasferire la sovranità degli Stati a tali entità, proprio perché hanno grande rilievo, ma non la sovranità.
In secondo luogo, avremmo di fatto introdotto una discriminazione tra due aree dell'euro, il che è fuori dalla logica e dallo spirito di solidarietà dell'Europa.
In terzo luogo, con questa differenza avremmo negato l'evidenza della rilevanza non solo della finanza pubblica, ma anche di quella privata, spostando tutto solo sulla finanza pubblica.
Questi sono i passaggi sui quali c'è stato il più specifico contributo del Governo italiano, riflesso non solo delle nostre posizioni o dei nostri interessi, ma di una valutazione che tanto a lungo abbiamo svolto, spesso anche in questa sede.
Adesso il lavoro deve proseguire. Dobbiamo presentare il Programma di stabilità, che più o meno è acquisito, anche perché noi ci impegniamo sugli obiettivi di medio termine europei. Dobbiamo presentare anche una versione più aggiornata del National Reform Program. Credo che tutti i Paesi abbiano difficoltà a riscrivere in pochi giorni, a ridosso dell'approvazione del trattato, il piano che hanno presentato in autunno. Anche per noi tale operazione darebbe grossi problemi di gestione tecnica, ma credo che sia doveroso presentare un aggiornamento, una sintesi che applichi i punti più rilevanti del trattato per come si è sviluppato.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, è fondamentale il lavoro che state svolgendo per la riforma della legge di contabilità e finanza pubblica. Prima sarà completata e meglio sarà, e comunque è un testo che viene considerato e che possiamo presentare come impegno di rigore per il nostro Paese.
Sempre sulla finanza pubblica, si aprirà, e credo che dovremo tenerla anche in questa sede, una discussione sulla costituzionalizzazione delle regole del nuovo trattato.
Per essere chiari, alcuni Paesi hanno già costituzionalizzato regole di rigore di bilancio e hanno formulato la richiesta che anche gli altri facciano lo stesso. Ci sono Paesi che stanno presentando nei loro Parlamenti disegni di legge costituzionale strumentali all'acquisizione di tali criteri di rigore.
La nostra posizione è la seguente: noi abbiamo il vecchio articolo 81 della Costituzione,


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che, come è forse evidente, non ha impedito al Paese la fabbricazione del terzo debito pubblico del mondo e, quindi, si potrebbe ragionare non solo sulla tecnica di copertura della spesa, ma anche sui livelli di spesa e sui saldi.
Potremmo anche considerare che per noi la situazione è già in atto, perché, in base all'articolo 11 della Costituzione italiana, importiamo i trattati e, quindi, se nel trattato figurano tali regole, automaticamente esse sono comprese anche nella nostra Costituzione, forse l'unica che importa e costituzionalizza i trattati internazionali, incluso quello europeo.
Penso che una riflessione su questo tema vada svolta e la mia personale posizione è che vada creata una regola costituzionale nuova. Non basta mettere a posto il vecchio articolo 81 e interpretarlo in modo più rigoroso, anche se molto lavoro è stato compiuto in questa sede, da ultimo con il vostro lavoro sulle norme di contabilità pubblica. Non basta forse affermare che importiamo automaticamente, ma dovremmo cominciare a lavorare a una regola costituzionale anche noi, come altri Paesi.
Sul lato della finanza pubblica ritengo che i punti siano due: occorre procedere subito all'approvazione della legge di riforma delle norme di contabilità e finanza pubblica e a una riflessione costituzionale. Per la parte economica, il vecchio testo del National Reform Program va aggiornato e ridefinito. Noi vorremmo anche, dato il nuovo testo europeo, forzare molto sul Meridione, convinti come siamo che la nostra è un'economia duale, ma non vogliamo che il nostro sia un Paese diviso e oggettivamente i differenziali di crescita non si stanno chiudendo, ma aprendo. Uno sforzo di ragionamento e di investimento sul sud Italia è assolutamente fondamentale, dalle infrastrutture al capitale umano.
È di grande rilievo tutta la parte di attuazione del federalismo fiscale, che è stato approvato, ma che va attuato. Credo che in Europa dovremmo presentare molto bene tutto ciò. La mia idea è che si tratta di un motore diesel: se si pensa che gli effetti siano istantanei, forse non è chiara la cognizione di quali siano i contenuti dei decreti legislativi approvati. Essi saranno ad attuazione progressiva e con una meccanica che ricorda la forza lenta e tranquilla di un motore diesel.
Si pone poi la questione della riforma fiscale, sulla quale mi limito a segnalare che per la prima volta nel testo europeo si afferma quanto era stato scritto in documenti di lavoro. Per la prima volta in un documento ufficiale, che di fatto ha la forma del trattato, figura il passaggio sulla riforma fiscale, che per noi corrisponde perfettamente alle tante discussioni che abbiamo svolto e alle tante idee che abbiamo formulato in anni passati. Anche questo terzo punto è un tema sul quale dobbiamo e possiamo riflettere molto.
Credo di essermi dilungato anche troppo e vi ringrazio.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Ministro, la ringraziamo e prendiamo atto delle informazioni che ci ha comunicato. Noi abbiamo svolto sulla materia della crescita numerose audizioni molto importanti e interessanti, che questa sera concludiamo.
Uno dei temi che le volevo proporre, dopo aver preso atto di questo passaggio del Consiglio europeo, è quello della permanenza del credit crunch, ossia della difficoltà delle aziende di accedere al credito.
Personalmente saluto con piacere il contributo dell'Italia ad aver fatto considerare il debito pubblico insieme al debito privato, però anche nella questione delle banche una particolarità italiana andrebbe posta in questo senso.
Ci riferiscono che l'Accordo «Basilea 3», approvato recentemente, preveda per le banche l'obbligo di stanziare molti fondi di garanzia rispetto ai loro asset. Non sarebbe il caso, oltre alla tematica generale, di valutare anche il fatto della diversità delle banche italiane rispetto alle banche europee? Se in Italia, con il nostro


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sistema economico di piccole e medie imprese, tutto ruota attorno alla banca e gli impieghi sono attorno al 70 per cento, mentre nelle banche europee sono attorno al 40 per cento, questa norma, che prevede di accantonare fondi consistenti, mette molto in difficoltà la possibilità per le banche italiane di disporre di liquidità.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Basilea 3 è un'altra questione. Prendo atto delle sue osservazioni, però Basilea 3 è definita su uno standard che non possiamo unilateralmente modificare. In tanti modi abbiamo cercato di formulare argomenti e ragioni, però si tratta di uno standard mondiale. Non sostengo che sia giusto o sbagliato, ma è mondiale.

MASSIMO BITONCI. L'accordo europeo sul rientro dai disavanzi pubblici prevede una determinata automaticità della disciplina, con una minore discrezionalità da parte del singolo Paese. Vista la pesantezza del nostro debito pubblico, pensa che sia conveniente per l'Italia questa maggiore automaticità della disciplina relativa al deficit e al debito, che evidenzia una debolezza del nostro Paese in sede europea?
Pensa, inoltre, che sia essenziale un graduale rientro del rapporto debito/PIL o che occorrano interventi più decisi e strutturali, anche in rapporto al federalismo fiscale? Grazie.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Noi avevamo anche prima il vincolo alla riduzione progressiva del deficit, che per l'Italia prevede determinate scadenze e determinate soglie. C'era prima e dobbiamo mantenerlo. Dobbiamo raggiungere il pareggio di bilancio.
Dal 2015 inizia la procedura di riduzione a prescindere del debito. Quanto siamo riusciti a ottenere con la nostra esposizione è stata l'aggiunta, rispetto a un fattore puramente numerario, di fattori economicamente molto rilevanti, come l'ambiente nel quale il debito rientra, il che ha introdotto un grado di flessibilità.
Era piuttosto complicato agire diversamente. Noi siamo convinti che certamente una via di rigore nella gestione della finanze pubblica sia il federalismo fiscale. Esso è stato visto solo da un lato, ma non ancora dall'altro, che è quello più rilevante, ossia come criterio di standardizzazione e, quindi, di moderazione della spesa pubblica. Quando tali criteri saranno evidenti e applicati, si comincerà a capire che il diesel del federalismo fiscale funziona.

SANDRO GOZI. Concordo col Ministro quando ci riferisce che si è operata una devoluzione politica verso l'alto. Per questo motivo in premessa avrei preferito che il Ministro fosse venuto a discutere di questa possibile devoluzione verso l'alto prima in Parlamento che non al Consiglio europeo, come hanno fatto i suoi colleghi tedeschi, britannici, spagnoli e danesi, per esempio, nei loro Parlamenti, il che invece non è avvenuto, nonostante le nostre richieste.
La prima domanda riguarda la Strategia Europa 2020. Vorrei capire quali sono gli obiettivi e le priorità del Governo nella versione definitiva del Programma nazionale di riforma (PNR) e se per l'attività di informazione al Parlamento sarà capofila il Ministro dell'economia e delle finanze o il Ministro per le politiche europee, quando verrà nominato.
Vorrei anche sapere dal Ministro se e come terrà conto degli indirizzi in merito agli obiettivi della Strategia Europa 2020 che questa Camera ha adottato all'unanimità. Vorrei ricordare che l'articolo 4-ter della legge n. 11 del 2005 pone l'obbligo al Governo di spiegare alle Camere come dà seguito agli indirizzi relativi a questa strategia, nonché a quelli in materia di PNR.
Passo alla seconda domanda. Mi sembra che il Ministro dia una valutazione globalmente positiva, anche nello specifico, dei risultati del Consiglio europeo. Noi continuiamo a vedere un disallineamento tra i vincoli rigorosi per il rispetto degli obiettivi di bilancio di carattere macroeconomico e un coordinamento debole per quanto riguarda le misure di crescita e di


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competitività, un disallineamento che mi sembra aggravato dalla genericità delle dieci priorità in materia di PNR, di cui al Consiglio europeo.
Dato che la riduzione strutturale del debito e l'obiettivo del pareggio di bilancio a medio termine dipendono dalla crescita e che mi sembra emergere il fatto che questi sono obiettivi difficilmente perseguibili e sostenibili dal punto di vista sociale, volevo capire nello specifico la valutazione del Ministro.
Inoltre, il Ministro sosteneva che si valuteranno parimenti conti pubblici e finanza privata. Sappiamo tutti che il debito pubblico è un elemento vincolante e che la finanza privata è un fattore rilevante. Vorrei sapere dal Ministro se si è già discusso e se si sta cominciando a pensare a quali saranno i criteri di ponderazione reale del debito privato, a come verrà tecnicamente ponderato il debito privato, posto che giuridicamente sappiamo benissimo che esiste, in materia di debito pubblico, un obbligo di riduzione dell'incidenza del debito sul PIL pari a un ventesimo della differenza rispetto al valore di riferimento del 60 per cento, nonché di riduzione del disavanzo strutturale in ragione dello 0,5 per cento del PIL annuo. Nel «compromesso Van Rompuy» che avete ripreso al Consiglio europeo, il debito privato è uno dei fattori rilevanti e il diavolo è nei dettagli. Al Ministro piace sempre svolgere queste citazioni d'Oltremanica. Speriamo che nei dettagli sulla ponderazione del debito privato non vi sia un diavolo.
Vengo all'ultimo punto, relativo al meccanismo europeo di stabilità. Sono d'accordo col Ministro, il quale ha fatto bene a ricordare a questa Camera, che all'unanimità si era espressa sul fondo europeo, che nel fondo europeo ci sono alcune disposizioni specifiche per quanto riguarda i Paesi che non hanno possibilità realistiche di ricondurre il debito pubblico su un percorso sostenibile.
Ci sono, però, anche clausole di azione collettiva. In occasione di precedenti audizioni diversi esperti avevano ipotizzato il rischio che con le clausole di azione collettiva nel meccanismo europeo di stabilità potesse emergere la richiesta di un premio per il maggior rischio, sotto forma di incremento del tasso di interesse, da parte di sottoscrittori di titoli del debito pubblico italiano. Vorrei sapere se il Ministro e il Governo hanno valutato questi aspetti e se quanto riferito da alcuni esperti risulta al Ministro infondato e se non c'è motivo di preoccuparsi su questi aspetti.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Onorevole, la sua dimestichezza col diavolo è maggiore della mia, anche per la profusione di dettagli che lei ha citato. Francamente mi sono privato del piacere di ascoltarla tante volte, ma sono venuto in questa sede tutte le volte in cui mi è stato chiesto di venire. Non mi sono mai sottratto a inviti, che ho sempre considerato interessanti, ragion per cui ho svolto una preparazione prima e ho fatto tesoro dell'esito dopo.
Comunque, lei ricorda che noi dobbiamo venire in questa sede fra un po' di giorni con il Programma e sarà quella la sede per discutere tutte le questioni che lei ha analiticamente esposto.

PRESIDENTE. A domanda europea, risposta europea.

PIER PAOLO BARETTA. Come lei sa, la discussione sulla riforma della legge di contabilità e finanza pubblica ha trovato sulla nuova interpretazione possibile dell'articolo 81 della Costituzione un complesso equilibrio, che la Camera ha ritenuto all'unanimità soddisfacente, sulla necessità di introdurre rigorosissime regole sulle spese correnti, ma anche di consentire al Governo alcuni margini. Da questo punto di vista preferirei sperimentare prima che costituzionalizzare, però capisco il tema che è stato posto.
Lei ha affermato, e io penso che ciò sia condivisibile, che il trattato è comunque un passo in avanti, al di là delle difficoltà pratiche che incontreremo. Ha anche affermato che è stata evitata la discriminante delle triple A. Lei considera questo un risultato piuttosto stabile o provvisorio?


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Non avverte il fatto che alcune economie forti - penso alla Francia, con riferimento alle situazioni cui stiamo assistendo in questi giorni, in particolare nei confronti dell'industria e dell'economia italiana, ma anche alla stessa Germania - coltivino ancora l'idea dell'Europa a due velocità? In questo senso è chiaro che noi ci troveremmo in una situazione molto delicata. È importante capire questo punto anche nella sua sensazione e percezione, al di là della formalità del trattato. Lo considero un aspetto del ragionamento politico a cui lei ha fatto riferimento.
La seconda domanda è molto semplice. È vero che tra un po' dovremo presentare la nuova versione del Programma nazionale di riforma e che non è facile modificarlo in pochi giorni. Nella precedente versione il Governo italiano ha dato molto rilievo, quasi interpretativo dell'insieme della manovra, al piano energetico nucleare. La scelta comprensibile compiuta dal Governo è di sospendere le opzioni, al di là delle valutazioni strategiche. Il solo fatto che ci sia un anno di sospensione in questa situazione europea crea comunque un problema. Che riflessione sta mettendo in moto il Governo rispetto a un piano energetico che comunque tenga conto dell'attuale situazione, affrontando anche quella che è un'emergenza vera e propria? Può rispondere o è troppo presto per parlarne?

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Ci sono tre punti. Il primo è quello costituzionale. Io credo che sia molto importante il lavoro svolto in questa sede con la riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, ma anche che il valore simbolico di un passaggio costituzionale non possa essere ignorato, anche per la presentazione di un Paese.
In Francia è stata annunciata una legge costituzionale, La Germania ha già approvato una legge costituzionale, mentre noi abbiamo una norma costituzionale che ha dimostrato alcuni limiti, dato l'obiettivo, che era proprio quello di evitare il debito. I nostri padri costituenti pensavano che quello fosse un modo per ridurre il debito pubblico, avendo ben chiara la dinamica politicamente deviante dei debiti pubblici. Tuttavia, non ha funzionato e siamo ancora in questa situazione.
Io credo che sia importante estendere il lavoro che avete svolto e che stiamo svolgendo dalla legge ordinaria a una legge costituzionale. Non ne abbiamo parlato, però, in sede di Consiglio dei ministri. Ne parliamo ora per la prima volta.
Penso che lo spirito con cui si è scritto e agito sotto la pressione della crisi, nella prospettiva di una fase molto complessa di aggregazioni o disaggregazioni continentali, sia l'operazione giusta, che serve e che dura. D'altra parte, quando ho affermato che all'idea di creare una differenza di rating tra due categorie di Paesi, un dualismo, alla fine è subentrata l'idea non duale, ma neutrale, ciò dimostra che un po' tutti investono sulla durata di questi meccanismi e sullo spirito di solidarietà e di unicità. Tante volte si è sentito ragionare nelle cancellerie e nelle sedi più diverse, tecniche e scientifiche, di ipotesi duali, ma alla fine lo spirito è stato comune.
Il terzo punto è quello relativo al nucleare. Non è materia di mia competenza, ma è presente nella bozza di PNR presentato a novembre quel tipo di logica di investimento. Siamo in una fase di sospensione e credo che sia una fase nella quale la riflessione debba essere comune. C'è stata e c'è una componente emotiva, ma, essendo scelte che appartengono alla vita, anche la componente emotiva ne fa parte. Vi figura la componente scientifica, ma anche quella politica, che è la maggiore dimensione, e quella emotiva e psicologica.
Se si radicalizza una tendenza negativa, cambia la geografia politica ed economica di vaste aree del pianeta. Noi abbiamo un elevato numero di centrali in Europa, un elevato numero di centrali vecchie e vi è una proliferazione di centrali in altre parti del mondo. Si pone una grande questione di natura economica e politica, se continua una tendenza, che poi ha trovato riflesso in tante reazioni degli ultimi giorni.


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Credo che si debba cominciare il ragionamento non solo nella logica del dare, ma anche in quella dell'avere, quindi anche sui costi delle strutture atomiche. Quanto costa il decommissioning? Quanto costa il rischio? È coperto davvero, esiste un'assicurazione che copre il rischio? Ne dubito. Non ci ho ancora pensato, ma certamente, che io sappia, la cifra dei costi non è ancora stata bene evidenziata nei bilanci, privati e pubblici. Noi sappiamo quanto ci è costato il decommissioning di impianti nucleari mai entrati in funzione. Pensate a quanto costano 40 centrali già partite negli anni Ottanta.
Peraltro, questo punto può anche spiegare alcuni differenziali di crescita. Un conto è comperare l'energia e vederla pesare sul bilancio, e, quindi, sul PIL, un altro è non avere tale voce di costo. Il PIL cambia un po'. Molti differenziali di crescita possono essere spiegati, almeno per un periodo transitorio, anche dall'avere o non avere il nucleare. Nei differenziali si deve mettere in conto il debito pensionistico futuro nella dinamica decennale. Mettiamo anche in conto il costo futuro, che poi è attuale, del decommissioning. Credo che nella geografia economica potrebbe cambiare molto. In merito al nucleare, l'esito può essere che lo introduciamo comunque o che non lo produciamo più. Di riflesso, se non viene prodotta quella forma di energia, aumenta il costo di altre forme di energia, oppure ci sarà la spinta all'invenzione di altro. Non lo so, ma è un punto fondamentale.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, signor Ministro, non solo per l'occasione di confronto, cui come al solito non si è sottratto, ma anche per il lavoro che sta svolgendo in Europa. Glielo dico da oppositore. Io credo di poter esprimere apprezzamento per il suo lavoro perché, se su questi temi il nostro Paese partecipa alla discussione, anche dimostrando di godere di sufficiente autorevolezza e prestigio, nonché su altri temi assolutamente rilevanti, ciò è ascrivibile anche ai meriti del Ministro.
Vorrei porle una domanda solo in ordine al problema degli squilibri territoriali. Ho apprezzato il fatto che lei abbia richiamato l'impegno del Governo su questo problema e che abbia posto la questione, come ha fatto già pubblicamente in altre occasioni, quando ha richiamato la necessità di portare a convergenza la dualità del nostro Paese, attraverso l'investimento in infrastrutture e in capitale umano.
Alcune settimane fa lei è intervenuto lanciando anche una provocazione secondo me importante sulla necessità, per esempio, di porre la questione della fiscalità di vantaggio, pur compatibilmente con le regole europee, orientata ad aprire con l'Unione europea una discussione sulla flessibilità delle regole e sulla necessità di investire in modo diverso. Non è più conveniente nemmeno per l'Unione europea che i fondi strutturali non producano sviluppo, così come non hanno prodotto sviluppo negli anni passati.
Mi chiedo, però, come lei ritenga che possa essere compatibile questa sua lodevole e condivisa affermazione con l'effetto che nell'immediato, nei prossimi anni, il federalismo fiscale provocherà soprattutto sulle regioni del Mezzogiorno proprio in ordine alla questione della fiscalità.
Porto a esempio la questione dell'IRAP. Già oggi, per effetto anche delle gestioni sciagurate nella sanità negli anni passati, capita che due aziende con la stessa struttura di bilancio, se operano una in Calabria e una in Lombardia, pagano un conto in relazione all'imposizione dell'IRAP notevolmente diverso e notevolmente più svantaggioso per l'azienda che opera nel sud del Paese. Dal 2013 probabilmente questa forbice aumenterà ancora di più, perché nelle regioni del sud si dovrà continuare a imporre l'IRAP al 4,97 per cento, mentre nelle regioni del nord la si potrà ridurre fino all'1 per cento. Ciò si traduce in una fiscalità di svantaggio. Le chiedo come sia compatibile l'enunciato apprezzabile e lodevole con quanto, invece, nei fatti si sta producendo.


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GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Il federalismo fiscale è fondamentalmente l'individuazione di uno standard sui costi e sul più alto livello. Alla fine verrà fuori che lo standard è quello delle migliori regioni del nord. Perché i servizi peggiori costano il doppio? Di chi è la colpa?
In primo luogo occorre cercare di evitare a monte quel tipo di spreco. Una volta ho usato un aggettivo che mi è stato contestato, ma poi ho trovato sul Corriere della Sera un illustre editorialista che ha scritto molto peggio e di più. Esiste una responsabilità politica di chi poteva fare migliore uso dei fondi pubblici. A volte la peggiore forma di uso dei fondi pubblici è il disuso: noi abbiamo 5 miliardi di euro di risorse liberate, che sono in attesa di essere spese e che, se non sono spese presto, si perdono. Avere 5 miliardi di euro di risorse liberate nel sud forse significa non fare il bene del sud e non è colpa dell'Europa o di altri.
In ogni caso, la mia idea per come venirne fuori è che tutti i soldi che servono a comporre il bilancio devono essere messi in linea nel modo migliore e più rapido possibile. Tutte le forme di incentivo sono a valere sui fondi europei, che vanno spesi bene e che possono essere spesi anche per queste forme. Dobbiamo distinguere tra quanto è il bilancio ordinario e quanti sono i soldi in più. I soldi in più che finora non vengono spesi o che vengono spesi piuttosto male - non è questa la sede per svolgere argomentazioni che potrebbero essere polemiche - possono essere usati.
Per essere chiari, parlando dei fondi europei, tutti sostengono, anche i competenti organi dell'Unione europea, che i fondi europei devono andare alle regioni del Meridione, ma come regioni, non come entità politiche. Io sono convinto che debbano essere gestiti in modo unitario. Una volta ho affermato che serviva la Cassa del Mezzogiorno e sembrava una bestemmia, mentre invece sono convinto che la questione meridionale non sia la somma algebrica delle regioni, ma un qualcosa di più e di diverso.
I fondi ci sono e sono in crescita. La prova che il differenziale aumenta è che aumentano i soldi, i fondi. Noi vivevamo con la paura che tali fondi diminuissero, invece aumentano, e, poiché quell'aumento viene calcolato in Europa, ciò significa che il differenziale aumenta. Vogliamo continuare come prima o vogliamo cambiare? Questa è la grande questione.
Nell'ordinario occorre creare un po' di standard, perché ci sono ancora evidenze - si può sostenere che è la storia - e ci sono regioni in cui ci sono più primari che posti letto negli ospedali, c'è il catering ma ci sono anche i cuochi e poi, quando un bambino ha bisogno, deve andare da un'altra parte.
Un po' di rigore significa questo. Il federalismo non è un salto nel vuoto, ma un salto nell'ordine. I fondi europei crescenti vanno spesi meglio. Il federalismo fiscale con i fondi europei non c'entra nulla, se non perché esiste il rischio che si erodano i fondi europei per coprire i buchi della vecchia politica, ma questo dipende dai cittadini. Il federalismo è sinonimo di responsabilità e consente di mandare a casa chi ha governato in modo non ottimale.

LINO DUILIO. Ringrazio il signor Ministro e vorrei tornare alla questione più specifica della crescita, del nostro rapporto con l'Europa e delle intersezioni che le due questioni, a parere mio e non solo mio, evidenziano.
Premetto, se me lo posso permettere, che ci fa piacere che lei venga in Parlamento. Prendiamo atto del fatto che lei viene volentieri e speriamo che venga anche più spesso e che dia risposte un po' meno icastiche ad alcuni colleghi. Ognuno di noi ha uno stile, ma la nostra passione, come Parlamentari, è un po' frustrata, a volte, nell'assistere a determinate decisioni - non lo affermo per cattiveria, ma assolutamente in positivo - che talora conosciamo attraverso i mezzi di comunicazione. Vorremmo dare un contributo, peraltro ritenendo che il Parlamento abbia come mission anche questa.


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Scusandomi per questa premessa, che vuole essere assolutamente garbata, vorrei porre due o tre domande telegrafiche. Una è sul bilancio europeo. In diverse occasioni, come il presidente sa, in cui siamo stati a Bruxelles, abbiamo portato avanti, dopo averne discusso in questa sede, il tema delle risorse proprie del bilancio comunitario, partendo dal presupposto che vi è un valore aggiunto delle risorse che dovrebbero essere utilizzate e bene a livello comunitario, ma uscendo dalla logica secondo la quale le risorse del bilancio comunitario fondamentalmente rientrano in una partita doppia tra quello che si dà e quello che si riceve, per cui ognuno cerca di ricevere quello che ha dato, mentre la logica dovrebbe essere un po' diversa.
Mentre sta passando, come lei ricordava, a livello di eurobond, un discorso sovranazionale, probabilmente, se vogliamo essere coerenti e far giocare un ruolo all'Europa in modo che poi ritorni sulle dimensioni nazionali, non possiamo rimanere in questa condizione rachitica di risorse del bilancio europeo, che, tenendo conto, peraltro, di come vengono ripartite, sono poi destinate poco o nulla a nuovi sentieri di sviluppo che io credo debbano essere tracciati a livello comunitario e nazionale.
La domanda secca è la seguente: come opinione personale che non la impegni sul piano politico e come studioso di queste questioni, non pensa che noi dobbiamo uscire a livello comunitario, non solo con la nostra decisione, da una situazione in cui viviamo la contraddizione tra un'Europa che dovrebbe fare chissà che, ma che alla fine non ha le risorse per poter procedere coerentemente?
La seconda domanda è più rapida ed è legata alla prima. Per quanto noi possiamo avere criteri di ponderazione - rendo merito al Ministro di avere introdotto questi elementi per evitare gli automatismi secchi che ci avrebbero portati probabilmente ad alcune difficoltà, per usare un eufemismo - resta il fatto che noi dovremmo puntare a scendere da una percentuale consistente di debito pubblico a una percentuale più bassa, il che comporterà alcuni sacrifici e sappiamo bene che tutto ciò potrà accadere nella misura in cui a livello nazionale la crescita riprenderà vigore.
Noi stiamo conducendo questa indagine e abbiamo visto che Il Sole 24 Ore ha avviato alcune riflessioni sulle ragioni per cui non cresciamo. Lei non crede che dovremmo fare di più, come Parlamento innanzitutto, ma non solo, per cercare di mettere a fuoco alcune questioni dirimenti e rispondere alla domanda sul perché noi non cresciamo, non limitandoci solo a effettuare la diagnosi sui tassi di produttività che in tutti questi anni hanno registrato un trend negativo o sulla competitività che ci vede in difficoltà, ma rispondendo a domande o, quanto meno, ponendoci le domande giuste su come possiamo in prospettiva non vivere «di rendita» e, quindi, in modo un po' illusorio su un tradizionale made in Italy che probabilmente ci promette un futuro non particolarmente ottimistico?
Vengo alla terza e ultima domanda, cui può anche non rispondere. Lei ha affermato all'inizio che c'è una solidarietà tra i diversi Paesi. La domanda è più politica. Io noto che forse esiste una solidarietà con alcuni problemi a livello economico, ma stiamo vedendo in questi giorni che esiste molta meno solidarietà a livello di altri fenomeni europei.
Alcuni osservatori hanno asserito che, quando abbiamo costituito l'Unità d'Italia, le regioni di frontiera come il Trentino-Alto Adige sono state considerate nella loro specificità. Nell'Unione europea l'Italia è una regione di frontiera e forse l'Europa si dovrebbe far carico dei suoi problemi. Vedo, invece, che stiamo andando nella direzione radicalmente opposta e forse anche rozzamente opposta. In questo senso ritengo che continuiamo a vivere una divaricazione e dissociazione quasi schizofrenica tra un discorso economico che va in una data direzione e un discorso politico che mi pare - è sotto gli occhi di tutti - vada nella direzione opposta.


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Forse, ma questa è la mia opinione, da questa situazione dovremmo uscire attraverso l'essere cittadini europei, ossia attraverso il superamento anche formale e istituzionale degli Stati, magari con l'elezione diretta del presidente dell'Unione europea. Ho premesso che potrebbe anche non rispondere a questa domanda politica, ma mi permetto comunque di porgliela. Grazie.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Sul bilancio europeo credo che concordiamo: è asimmetrico, a volte limitato e manca lo strumento fondamentale, che è quello degli eurobond. Dietro c'è poi un discorso sul tipo di modello economico: pensiamo che il modello economico dell'Europa sia solo la domanda interna, solo l'export o anche la domanda per gli investimenti in beni pubblici europei? Il modello è questo e dovrebbe progressivamente svilupparsi.
Sulla crescita vorrei di nuovo, ma potremmo ragionarci insieme, ribadire che realmente non è chiara l'evidenza del carattere duale dell'economia del nostro Paese. Finalmente sta cominciando a venire fuori, ma non si può trattare un Paese come l'Italia su numeri e medie che non sono mediane.
Se si guardano le statistiche europee e gli ultimi dati Eurostat, si vede che il nord Italia, come patrimonio e come PIL pro capite, è la regione più ricca d'Europa, ovvero del mondo. Se si somma il centro al nord, l'Italia è una regione ricca come la Germania, come la Francia e come l'Inghilterra, nella media.
La grande particolarità dell'Italia è il Meridione. Se si guarda il dato medio della crescita italiana, non si ha evidenza del fatto che una parte cresce come la Germania e una parte non cresce affatto. Questo è il punto. Se non si considera questo aspetto, si ripetono stereotipi da corsivista, da analista sull'Italietta. Non è affatto così: i numeri italiani sono troppo differenziati per giustificare tali argomenti.
Lei vuole parlare di crescita e di percentuali? Vediamo. Il Regno unito, che mi risulti, è cresciuto dell'1,3 per cento nel 2010, ha un deficit intorno al 10 per cento e un'inflazione molto alta. Lei pensa che il deficit non concorra al PIL? La spesa pubblica contratta in deficit vi concorre eccome. Possono permetterselo, hanno un debito pubblico basso, hanno la City? Non lo so, ma so che sul conto dell'anno 2010 la crescita del PIL britannico è dell'1,3 per cento, il deficit del 10 per cento e l'inflazione è molto alta. Oltretutto si aggiungono il ricorso alla svalutazione competitiva, l'utilizzo di forme di energia al minimo costo e via elencando.
La Francia cresce, secondo l'ultimo dato, nell'ordine dell'1,5 per cento, ha un deficit dell'8 per cento circa, in riduzione ma molto alto, e un'inflazione più o meno come la nostra, ma non paga l'energia o la paga molto poco. Una quota enorme dell'energia francese viene prodotta in loco. Si può pensare che una quota del deficit spinga l'economia e che con un deficit più basso si abbia meno crescita? Mi sembra matematico.
Noi abbiamo un deficit del 4,6 per cento e la crescita del PIL è dell'1,2-1,3 per cento. Vi sembrano percentuali diverse dalla media di crescita di altri grandi Paesi? A me non sembrano diverse. Ovviamente dobbiamo crescere molto di più, ma, se vogliamo crescere di più, dobbiamo crescere al sud.
È impossibile avere livelli strutturati di ricchezza e di PIL pro capite come nel nord e nel centro senza tutti i fattori produttivi in campo, quali università e produttività. Si può sempre fare di più, ma la grande questione della crescita in Italia non è quella che viene ripetitivamente e, secondo me, stupidamente presentata nelle forme tralaticie e accademiche. La realtà è quella ed è fortemente differenziata nel nostro Paese. Se continuiamo a considerare numeri mediani, come se quelle medie fossero giuste, continueremo a peggiorare la situazione del Meridione d'Italia e a diffondere un sacco di stupidaggini. La realtà è che questo Paese ha una crescita che può crescere di più, ma solo al sud.


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MARCO MARSILIO. Signor Ministro, lei ha anticipato una parte delle riflessioni e, quindi, sarò più breve. Mi interessa la questione dell'energia e di quello che lei ha chiamato, con una lungimiranza che apprezzo, il debito atomico. Noi abbiamo tenuto audizioni in cui ENEL e Confindustria in particolare, prima dei fatti del Giappone, hanno insistito sull'esigenza di rientrare nel nucleare. L'ENI l'ha fatto un po' meno e si capiscono sia l'una, sia l'altra posizione. Tuttavia, io credo che sarebbe importante, come abbiamo posto in sede europea il tema del debito privato oltre che del debito pubblico, porre anche questo tema e quantificarlo.
È troppo facile basare i conti sul fatto che le nostre economie reggono, quando nessuno sa e ci sa riferire qual è il debito che graverà sulle prossime generazioni per lo smaltimento delle scorie, lo stoccaggio e il decommissioning. Anche se non le chiudiamo oggi, quelle centrali hanno un loro termine di vita rispetto al quale nessuno ha ancora fatto davvero i conti. Non ci può lasciare una sua considerazione personale sul fatto se non sia paradossalmente un vantaggio per l'Italia non avere accumulato questo debito e poter oggi compiere scelte libere?
È un po' difficile che la Francia possa compiere una scelta radicale, se domani gli stress test che tutto il mondo sta commissionando dovessero dimostrare l'assoluta inadeguatezza delle centrali agli standard ulteriori richiesti dopo la tragedia giapponese. Non potrebbe facilmente compiere la scelta di spegnere le centrali, perché non potrebbe sostituire improvvisamente l'80-90 per cento della propria energia. Altri Paesi che hanno fonti più diversificate magari potrebbero farlo. L'Italia, che non ha centrali, è più libera di poter compiere la scelta se entrare in questa avventura o se prendere altre strade.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Non è il mio mestiere, però la mia idea è che per alcuni questa sia la fine dell'età dell'oro, ma per noi è comunque un maggior costo perché aumenta la domanda dell'energia che usiamo anche noi. È un calcolo da eseguire in partita doppia.

GABRIELE TOCCAFONDI. Grazie, signor Ministro. C'è una grande aspettativa nel Programma nazionale di riforma, che viene visto come la soluzione a tutti i problemi che questo Paese accusa da anni. Abbiamo notato questo fatto anche durante le ultime settimane nelle audizioni svolte.
La prima domanda è che cosa ci dobbiamo aspettare davvero dal PNR affinché sia utile, perché questo Paese ha bisogno di uno strumento utile, non di documenti vuoti.
In particolare, nelle audizioni tutti ci hanno chiesto di proseguire con il rigore dei conti, ma, nello stesso tempo, anche azioni rivolte alla crescita: come coniugare, soprattutto in questo momento decisivo, crescita e rigore? Grazie.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Condivido la critica sull'attesa salvifica di un documento. È un processo che inizia: sarà il primo e non sarà l'ultimo dei piani e degli impegni che presenterà il nostro Paese.

RENATO CAMBURSANO. Sicuramente lei avrà dato una lettura del risultato delle elezioni tenute domenica scorsa nei Länder tedeschi. Le ragioni che vengono portate nella interpretazione della sconfitta del cancelliere tedesco Merkel sono sostanzialmente due. La prima consiste nella sua indecisione rispetto al problema del nucleare, anche se ha detto chiaramente che ben 17 reattori su 21 verranno spenti nel breve periodo. La seconda ragione è il cedimento totale o parziale - ma letto in quanto tale - della Merkel e della politica del Governo tedesco nei confronti dei Paesi meno attenti e più indebitati. Ovviamente, la nostra lettura è esattamente opposta. Vorremmo, infatti, che il sistema fosse più flessibile.
Svolgo tre considerazioni, con relative domande.


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In alcune audizioni - in particolare in quella del professor Bruni, che è stato applaudito in Commissione in modo bipartisan - si è affermato chiaramente che ha fatto bene il Ministro a sostenere nei consessi europei la necessità di tenere conto anche del debito privato, che in Italia è minore rispetto ad altri Paesi, ma anche che non dobbiamo insistere più di tanto su questo punto e non dobbiamo crearci grosse illusioni: visto che il risparmio è caduto nella misura del 60 per cento negli ultimi anni, non possiamo affermare che si possa contare sul minor debito privato per salvare quello pubblico.
Il professor Bruni suggeriva - e io sono assolutamente d'accordo - un'accelerazione, soprattutto in questa prima fase, nella lotta per l'abbattimento del debito pubblico, addirittura arrivando ad aggiustamenti superiori allo 0,5 per cento, così come ci viene chiesto e prospettato a livello europeo. Che cosa ne pensa?
La seconda domanda riguarda le politiche fiscali comuni. Nei documenti che abbiamo approvato, peraltro all'unanimità, nel luglio e nel dicembre scorso, abbiamo previsto anche, e per quanto ci riguarda l'abbiamo espressamente voluto, di inserire l'obiettivo che il nostro Paese deve portare in Europa, cioè quello di politiche fiscali comuni. Dentro questo tema, ovviamente, rientrano anche il Patto di stabilità e il Programma nazionale di riforma, che devono andare nella direzione di riduzione che lei prima ricordava, ossia della riduzione del peso fiscale, in particolare per il lavoro e per le imprese.
Le chiedo se ci può anticipare qualcosa a tale proposito, sia per le politiche fiscali comuni europee, sia per la riduzione del carico fiscale per il lavoro e per le imprese.
La terza e ultima considerazione più che una domanda è una constatazione. Ho presentato un disegno di legge di riforma costituzionale dell'articolo 81 della nostra Carta, che va esattamente nella direzione che lei prospettava, ossia quella di costituzionalizzare, come ha già fatto la Germania e come sta facendo la Francia, una norma - la quale ovviamente deve stare nel testo dalla nostra Costituzione - che preveda anche richiami alle leggi ordinarie rispetto all'accesso al debito, e cioè esclusivamente per investimenti e nella misura da concordare. Che cosa ne pensa? Anche se non ha ancora discusso della questione nel Consiglio dei ministri, sicuramente avrà già un'idea in proposito. Grazie.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Tutti vogliono il rigore nella logica comune della disciplina di bilancio.
Per quanto riguarda la Germania, come ho detto all'Eurogruppo, all'Ecofin e in pubblico, il problema non è di salvare dalla poca disciplina alcuni Paesi, ma di salvare le banche del nord che sono dentro per un trilione, almeno, in operazioni di finanza scriteriata. È difficile tenere campagne elettorali con tale argomentazione. È più facile affermare che i soldi dei cittadini vanno in Grecia, mentre è più difficile spiegare che essi devono essere stanziati per salvare le banche di un Paese del nord. Eppure è così: quando ti dicono devi salvare l'Irlanda, invero, devi salvare la Germania; è difficile, ma è così. Se si vanno a vedere le esposizioni delle banche irlandesi, si capisce che l'Irlanda in sé non c'entra nulla, ma è diventata una «portaerei» su cui sono atterrate banche di altri Paesi, non italiane. Nessuno detiene il monopolio del rigore. In molti tentano di vendere merce un po' deviante. Noi no.
Sul debito privato, non riesco proprio a spiegare che non si tratta di una questione di debito pubblico verso debito privato. Dove si scrive degli altri fattori rilevanti, si replica ciò che tutti gli analisti e tutte le banche di investimento considerano, quando descrivono un Paese, ossia non solo un grande debito pubblico, ma anche la dinamica, la capacità di gestirlo, il risparmio, la bilancia dei pagamenti, la riforma delle pensioni e così via. Non è che la giusta posizione in partita doppia sia debito/debito.
Vedrete che fra gli altri fattori rilevanti si comincerà a introdurre anche il decommissioning nucleare. Noi abbiamo dentro la bilancia, la manifattura, le pensioni e


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tante altre voci, che costituiscono l'economia di un Paese. Se si guarda solo il debito pubblico, si vede un pezzo, ma non l'intero. Si tratta di un pezzo importante e a volte critico, ma la nuova regola prevede anche il resto. Non ci sottrae alla disciplina di bilancio, ma pone la situazione in termini più di buonsenso.

RENATO CAMBURSANO. Il nostro debito pubblico è cresciuto di 220 miliardi di euro in due anni e mezzo.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Bisognerebbe forse svolgere una riflessione sul fatto che si tratta di un rapporto. Il nostro rapporto, come riconoscono tutti, si è deteriorato perché è sceso il PIL. Accolgo l'idea, che metteremo a oggetto di referendum, il vostro, per la quale, poiché il PIL scende, non forniamo le medicine agli ammalati, la pensione agli anziani e magari la cassa integrazione. Il discorso è meno meccanico, però io apprezzo il rigore monetarista. Potremmo stringere un patto: noi approviamo la regola di bilancio dell'onorevole Cambursano e lui ritira il referendum.

AMEDEO CICCANTI. Signor Ministro, il 2015 dovrebbe essere l'anno dell'inizio del nostro calvario, con il rientro del debito pubblico, con il processo di riduzione dell'incidenza del debito sul PIL pari a un ventesimo della differenza fra l'incidenza osservata tre anni prima e il valore di riferimento del 60 per cento, nonché di riduzione strutturale del disavanzo in ragione dello 0,5 per cento del PIL annuo. In un'altra occasione lei ci ha invitato a stare calmi, però da adesso al 2015 dobbiamo agire, perché, se nel 2015 avremo una montagna di debito pubblico, ci costerà molto di più che avere una montagna un po' più bassa, con cime più basse.
Aggiungo un'altra considerazione. Noi abbiamo partecipato al programma di stabilizzazione europea. È chiaro che ciò può comportare, oltre che le fideiussioni, anche l'esborso di un po' di soldi che sul mercato a noi costa molto di più, e ciò non fa altro che aggravare il peso della nostra finanza pubblica. Come pensa il Governo di affrontare questa fase intermedia?
Passo alla seconda domanda. Quando si svolge la valutazione dei meccanismi esogeni da considerare rispetto al debito pubblico, che comunque è indicizzato, questi altri meccanismi esogeni non sono indicizzati, ma sono mere valutazioni politiche da parte della Commissione. Lei ha affermato che ci vantiamo di non aver voluto il rating. Mi sembra che l'abbia rivendicato come un merito.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Non diciamo cose inesatte. Io mi sono limitato a sostenere che noi non condividevamo l'uso del rating come criterio politico da parte dei Governi. Ho aggiunto, peraltro, che il rating è importante e utile è che è uno strumento.

AMEDEO CICCANTI. È un vantaggio? Io non credo. Questi meccanismi esogeni - svolgo una considerazione e pongo una domanda per sapere se è giusta la mia considerazione e non per contestare lei - a noi non convenivano, avendo meccanismi esogeni virtuosi rispetto agli altri Paesi?

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Introdurre il concetto di differenziale in base alla tripla A ci sembrava anche politicamente non corretto. Unanimemente i Capi di Stato e di Governo hanno ritenuto non corretto questo criterio e hanno adottato quello che suggerivamo noi, non perché ci conveniva o meno.
La mia opinione è che il rating sia importante, ma che non si possa trasferire la sovranità dei Governi al rating, che è un'altra questione e serve a tutt'altro scopo.

ALBERTO FLUVI. Lei ha affermato giustamente, rispondendo all'onorevole Vannucci, che le ha posto una domanda su Basilea 3, che lei non c'entra con questo tema, su cui decidono altri tavoli. Vorrei,


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però, farle rilevare che magari sarebbe opportuno che tutti i Paesi applicassero le regole di Basilea 3. La crisi è scoppiata nei Paesi dove non erano state applicate le regole di Basilea 2. Si tratta di un problema di competitività del nostro sistema bancario.
Vengo alla domanda. Lei sta insistendo, credo a ragione, affinché le banche rafforzino i loro requisiti patrimoniali. Ciò si attua, sintetizzando, in due modi: o con un aumento di capitale, il che significa probabilmente mettere in discussione la governance del sistema bancario, oppure con una riduzione degli impieghi, il che significa perdita di competitività del nostro sistema economico.
La seconda domanda riguarda il fisco. Nel capitolo della Comunicazione concernente lo stimolo dell'occupazione, uno strumento indicato è quello di diminuire l'imposizione fiscale sul lavoro. Stante il nostro debito pubblico, io credo che l'unica via percorribile sia quella di mantenere costante il gettito e di variare la composizione del prelievo.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Su Basilea 3 ho affermato che è un modello e una formula mondiale. Quando cominciò la discussione su Basilea 2, sostenevo piuttosto Basilea 1 e mezzo. Poi devo aver svolto una considerazione che non è stata apprezzata sulle banche e mi hanno convinto a non fare il Ministro per un po'. Allora è iniziata la storia di Basilea 2 e 3. Per noi è un fatto purtroppo acquisito e ormai codificato a livello mondiale. Chiedetelo al Financial Stability Board.

MASSIMO VANNUCCI. Visto che l'hanno convinta a interrompere l'attività di Ministro, adesso non si occupa più di Basilea, così è tornato a farlo.

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Basilea 3 nel frattempo è diventata una macchina che un singolo Stato, un Governo o un Ministro, non può contestare. Questa è la verità. È diventata una macchina che si è costruita e codificata in modo irreversibile. Basilea 3 è acquisita, non la si può cambiare unilateralmente e non credo che la si possa disapplicare. Credo che la via giusta tra le due che sono state ipotizzate sia quella di aumentare il capitale.

ROLANDO NANNICINI. Signor Ministro, grazie della sua presenza. Le voglio porre una domanda secca sul tema rating e su come l'ha affrontato lei.
Ricordo a tutti noi che per Standard and Poor's l'Italia non ha più, insieme alla Cina, la tripla A, mentre l'Austria, la Francia, la Gran Bretagna, il Lussemburgo, la Danimarca e la Svezia conservano ancora la tripla A. Collega Ciccanti, questo è il tema di fondo della classificazione delle società di rating.
Suggerisco, però, un argomento, quando risponde su questo tema. Il nostro spread rispetto alla Spagna è inferiore, anche se la Spagna ha 2 A, rispetto alla collocazione del nostro debito. Ciò significa che il sistema da adottare per la valutazione della situazione di un Paese, che non deve basarsi solo sul debito pubblico e privato, ma che deve tener conto essenzialmente dell'ambiente nel quale il debito rientra, è un sistema che sta entrando nella mentalità e nella tipologia dei rapporti. Come hanno reagito i mercati alla nostra azione e all'azione di livello europeo in relazione ai nostri elementi di garanzia? Io credo che abbiano ridato stabilità ad alcuni aspetti che riguardano l'euro e agli elementi del sistema monetario e, quindi, non sono stati neutrali.
Svolgo ora una considerazione secca. Non voglio rispondere al collega Occhiuto, ma su questo tema c'è una drammatizzazione sull'IRAP. Lei forse non lo ricorda e nemmeno il Ministro lo vuole ricordare, ma il Governo Prodi aveva creato una franchigia differenziata per ogni dipendente: al centro-nord era di 5.000 euro e al sud di 10.000 euro. È ancora in vigore una fiscalità di vantaggio per quanto riguarda le imprese in merito alla loro situazione occupazionale. Che sia all'1, al


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2 o al 4 per cento, l'IRAP deve essere, comunque, oggetto di valutazione rispetto al processo del federalismo fiscale.
Signor Ministro, le pongo una domanda secca: quando lei ha apportato tutti quei tagli lineari al bilancio dello Stato, e nel valutare il problema degli investimenti in conto capitale per dare attuazione al federalismo fiscale in materia di sanità, conosce del tutto l'Italia? Il sud può ricompetere anche sui servizi pubblici, se compie un processo di ristrutturazione anche con buoni investimenti. Non ci può essere un punto nascita per 230 nati. Si stanziano 2 milioni di euro per coprirne il costo e abbiamo 36 persone a girarsi i pollici un giorno sì e un giorno no. La sostanza è che il sud ha bisogno di investimenti in base a questi deficit infrastrutturali, che non sono solo quelli grossi dello sviluppo, ma anche i temi richiamati dal Titolo V della Costituzione, con l'articolo 19, comma 5, che non voglio adesso citare.

LUDOVICO VICO. Signor Ministro, la sua collega del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro Gelmini, a proposito di causa ed effetto, continua a insistere che i lavoratori e le lavoratrici che puliscono le scuole italiane, dalla Val d'Aosta fino alla Sicilia, sono 20.000 e che devono andare a casa.
Se tali persone vanno a casa, secondo lei, Ministro, le scuole saranno obiettivamente meno pulite per i bambini, per i bidelli e per il personale insegnante? Poiché il Ministro Gelmini insiste sul fatto che la causa è lei, che non mette a disposizione i soldi, a proposito di Newton, che lei ha citato, se lei è la causa e l'effetto è quello di avere persone a casa e meno pulizie nelle scuole, nel programma europeo pensa che questo sia un punto di qualità di cui farsi carico?

GIULIO TREMONTI, Ministro dell'economia e delle finanze. Ho parlato di post hoc, ergo proter hoc e di Newton. Rilevo che il primo è un principio della scolastica, per cui se un fatto avviene dopo dipende da quello di prima, il che non è detto. Newton, invece, parla di causa ed effetto. Se siamo d'accordo su questo punto, possiamo proseguire.
Sulla questione dei tagli lineari prima o poi bisogna che ci intendiamo. In tutti i bilanci pubblici europei si assegnano obiettivi generali. In questi bilanci, da ultimo, si è previsto per ogni ministero, anche lievemente derogando a un'antica prerogativa del Parlamento, che era quella di fissare le singole voci di spesa, che ogni Ministro debba e possa farsi la sua legge di stabilità (l'ex legge finanziaria). Alcuni ministri hanno adempiuto a ciò, altri no, ma il criterio è quello europeo: dappertutto c'è un obiettivo generale, con una flessibilità interna ai singoli ministeri.
Se esiste un caso su cui nessuno mi ha mai contestato - mi spiace doverlo notare - è di avere applicato un criterio di linearità. Questo peccato è proprio quello delle regioni. Non ho mai sentito una regione che lo contestasse, perché il trattamento delle regioni è avvenuto regione per regione, con enormi differenziali e spesso con differenziali di favore nel ripiano dei deficit e con altre logiche.
Se vedete come è stata gestita tutta la parte della sanità nelle regioni, tutto il rapporto con le regioni, noterete che è stato magari sbagliato, ma sicuramente niente affatto lineare. È stato, invece, molto segmentato regione per regione.

PRESIDENTE. Ringraziando il Ministro Tremonti per la sua presenza, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 21,35.

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