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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(V-VI Camera e 5a-6a Senato)
1.
Mercoledì 7 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL DECRETO-LEGGE 6 DICEMBRE 2011, N. 201, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LA CRESCITA, L'EQUITÀ E IL CONSOLIDAMENTO DEI CONTI PUBBLICI

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 10 16
Angeletti Luigi, Segretario generale della UIL ... 5 15
Barbato Francesco (IdV) ... 7
Bonanni Raffaele, Segretario generale della CISL ... 4 13
Camusso Susanna, Segretario generale della CGIL ... 3 10
Causi Marco (PD) ... 10
Centrella Giovanni, Segretario generale dell'UGL ... 7 15
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 9
D'Amico Claudio (LNP) ... 9
Fugatti Maurizio (LNP) ... 9
Leo Maurizio (PdL) ... 8
Vannucci Massimo (PD) ... 9

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 16 25 31 36
Barbato Francesco (IdV) ... 26
Calvisi Giulio (PD) ... 28
Crosetto Guido (PdL) ... 34
Duilio Lino (PD) ... 30
Fugatti Maurizio (LNP) ... 30
Giovannini Enrico, Presidente dell'ISTAT ... 16 31 34
Leo Maurizio (PdL) ... 28
Nannicini Rolando (PD) ... 25
Vaccaro Guglielmo (PD) ... 27
Vannucci Massimo (PD) ... 29

Audizione di rappresentanti di Confindustria:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 36 39 44 46
Barbato Francesco (IdV) ... 40
Crosetto Guido (PdL) ... 44
Duilio Lino (PD) ... 42
Fugatti Maurizio (LNP) ... 39
Galli Giampaolo, Direttore generale di Confindustria ... 36 44
Leo Maurizio (PdL) ... 41
Nannicini Rolando (PD) ... 42
Occhiuto Roberto (UdCpTP) ... 41
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - VI (FINANZE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) - 6a (FINANZE E TESORO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 7 dicembre 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 15,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno prevede, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
So che c'è un documento unitario che è stato predisposto da CGIL, CISL e UIL e che i segretari confederali ci illustreranno. Do quindi loro la parola.

SUSANNA CAMUSSO, Segretario generale della CGIL. Grazie, presidente. Vi consegniamo, con il permesso della presidenza delle Commissioni riunite, un documento con il quale la CGIL, la CISL e la UIL propongono con una serie di emendamenti alcune modifiche alla manovra attualmente in discussione al Parlamento, e nella cui premessa esprimiamo il nostro giudizio. Riteniamo, infatti, che le misure recate da questa manovra non rispondano ai criteri dell'equità, a cominciare dalla regolamentazione delle pensioni e dei redditi dei lavoratori dipendenti, a partire dal blocco della rivalutazione delle pensioni che penalizza, in particolare, quelle intorno ai 900-1.000 euro netti, pregiudicando la situazione economica sia degli attuali che dei futuri pensionati. Riteniamo, inoltre, che non vi siano adeguate misure di sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti, sui quali, peraltro, ricadrà il peso dell'introduzione della tassazione sulla prima casa che comporta una rivalutazione del 60 per cento della base di calcolo di tale imposta, con una franchigia che rimane molto bassa e inferiore a quella prevista dalla vecchia ICI. Tutto ciò si inserisce nell'ambito di una serie di interventi che prevedono l'aumento dell'IVA, delle accise sui carburanti e delle addizionali IRPEF regionale e comunale i quali, unitamente alle misure sulle pensioni, graveranno come un peso sui lavoratori, con - a nostro avviso - effetti di peggioramento delle loro condizioni, nonché effetti recessivi per l'economia del Paese. Ci preoccupa, in particolare, il versante delle pensioni anche perché, tenendo conto della attuale situazione di crisi, caratterizzata da un ingente numero di lavoratori in cassa integrazione di lungo periodo o in mobilità e dalla disoccupazione che diventa sempre più di lungo periodo, per i lavoratori disoccupati si prospetta una maggiore difficoltà nella possibilità di usufruire degli ammortizzatori sociali, di accedere alla pensione e di ritrovare lavoro. Se dovessimo dirla in una battuta, abbiamo l'impressione che nelle scelte adottate vi sia rigore, collocato, però, in modo tale che vi sia poca equità.


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Peraltro, le misure per la crescita - che, per carità, salutiamo positivamente, riconoscendo che vi sono alcuni primi provvedimenti importanti - hanno una caratteristica che ci preoccupa, ovvero che le risorse destinate per abbassare il cuneo fiscale (o il costo del lavoro che dir si voglia) sono tutte dirette alle imprese e non ai lavoratori, come se solo il versante delle imprese avesse bisogno di un abbassamento della tassazione e non anche quello del lavoro.
Noi siamo assolutamente convinti che l'Italia stia vivendo una stagione straordinaria, per cui bisogna agire. Pensiamo, però, che la manovra, che è sicuramente necessaria, debba essere più equa, per cui occorre apportare delle modifiche alla stessa senza modificarne i saldi e spostando il peso delle misure su altri settori. Crediamo, infatti, che l'attenzione posta ai grandi patrimoni mobiliari e immobiliari e all'evasione fiscale sia assolutamente insufficiente rispetto alle necessità dettate dalla situazione economica del Paese. Per questo, avendo compreso la situazione e avendo registrato un impegno del Governo ad aprire, in prospettiva, una discussione sui temi del fisco e del mercato del lavoro, oggi vi chiediamo - come anche al Governo e a tutte le forze politiche - di valutare gli emendamenti che proponiamo e che sono molto selettivi, essendo legati solo all'indicizzazione delle pensioni e alla tassazione sulla prima casa, sebbene queste non siano le uniche modifiche che sarebbero necessarie. Penso, per esempio, alla norma sull'IRAP, che dovrebbe essere finalizzata solo ai lavoratori dipendenti e non all'insieme degli assimilati perché questo vuol dire, ancora una volta, fare in modo che il lavoro precario costi meno di quello stabile. Vi sarebbero, dunque, molte modifiche da apportare. Tuttavia, ci limitiamo, intanto, a queste due, chiedendovi di mostrare attenzione per le intese unitarie.
Credo, infine, sia corretto informarvi che, a sostegno di questi emendamenti e della proposta di un cambiamento di segno di questa manovra, la CGIL, la CISL e la UIL, con l'aggiunta dell'UGL, hanno proclamato uno sciopero generale che si svolgerà lunedì 12 dicembre per i lavoratori del settore privato e lunedì 19 dicembre e in altre date per i lavoratori del settore pubblico, nel rispetto dei vincoli esistenti. Ecco, questo è un segnale della determinazione con la quale vogliamo chiedere al Governo e al Parlamento di cambiare le norme, nonché una modalità per rendere più equa la manovra.

RAFFAELE BONANNI, Segretario generale della CISL. Noi riconosciamo l'urgenza e la necessità complessiva dalla manovra. Pertanto, non poniamo problemi in merito a tale aspetto. Siamo nell'ordine di idee che se non si dovesse intervenire con forza e vigore, nei prossimi tempi il prezzo da pagare per il Paese, e soprattutto per i lavoratori, sarebbe molto più pesante. Ciò nonostante, ci preoccupa il criterio utilizzato poiché il peso della manovra grava quasi esclusivamente su lavoratori e pensionati. Questo - ripeto - ci preoccupa moltissimo. Peraltro, non c'è stata alcuna discussione o trattativa, cosa che riteniamo molto grave, anche perché tutto lascia presagire che si arriverà - io spero di no - al voto di fiducia, con un Governo esclusivamente tecnico e senza, appunto, nessun confronto con i rappresentanti (fino a prova contraria) di lavoratori e pensionati, che dovranno reggere gran parte di questo sforzo. Dall'altra parte, gli imprenditori esultano, visto che ottengono solamente sostegni, praticamente senza che venga loro richiesto alcun sacrificio. Per questo, noi siamo molto preoccupati e speriamo che si apra un canale di discussione che, del resto, non può riguardare solo la vicenda del mercato del lavoro, come se fosse l'unico ambito di interesse o comunque di legittima presenza delle parti sociali, e dei sindacati in particolare, nell'interlocuzione e nella trattativa col Governo. Credo che questo sia importante non solo per la libera rappresentazione di interessi legittimi, ma anche per la sicurezza della coesione sociale nel nostro Paese. Spero, quindi, che vi sia la possibilità di aprire una discussione con il Governo. Vi ringraziamo,


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intanto, per questa occasione, chiarendo che nelle prossime ore intensificheremo i rapporti con i rappresentanti delle istituzioni parlamentari proprio per tenere viva una discussione e trovare le vie più efficaci per riuscire a dare un taglio di maggiore equità al rigore che si sta utilizzando; questo anche nella formulazione più piena di ciò che lo stesso Presidente del Consiglio ha esposto alle Camere nei giorni scorsi. Tengo a dire questo a nome della mia organizzazione sindacale.
Come diceva la collega, proponiamo degli emendamenti sui punti della manovra che ci sembrano più sbagliati. Ognuno di noi esprimerà le proprie considerazioni generali. Tuttavia, crediamo che l'aspetto più essenziale sia riuscire ad attutire i colpi, davvero molto pesanti, inferti nei confronti di persone - e segnatamente la platea di coloro nati negli anni Cinquanta - che si trovano a dover far fronte improvvisamente alla modifica dei trattamenti pensionistici con l'adozione del sistema di calcolo contributivo in luogo di quello retributivo, quando i patti erano diversi e tali sono stati per molti anni. L'innalzamento - inoltre - insieme così rapido e così in avanti rischia davvero di debilitare e mortificare questa platea di persone, soprattutto se pensiamo che essa vive una condizione tutta particolare, perché la crisi espone maggiormente le persone di quella età ai licenziamenti e quindi alla condizione, davvero rischiosa, di diventare apolidi nel mondo del lavoro, ovvero né lavoratori, né pensionati. È vero che una soluzione dell'ultimo momento sembra andare in soccorso di questa fascia di età, ma in misura risibile rispetto al numero esorbitante delle persone che oggi potenzialmente dovranno subire le conseguenze di questa manovra. Riteniamo, pertanto, che la situazione debba essere molto più mitigata, ragion per cui proponiamo, appunto, degli emendamenti. In primo luogo, riteniamo ingiusta tutta la tassazione che grava esclusivamente sulle persone meno abbienti. La manovra, infatti, prevede maggiori entrate per circa 5,6 miliardi di euro derivanti solamente dagli aumenti delle accise dei carburanti. Non devo spiegare a nessuno la catalizzazione che questo suscita nella crescita dell'inflazione e delle spese per le persone meno abbienti. Inoltre, troviamo altrettanto ingiuste le tasse sulla casa, specialmente nei confronti di coloro che hanno una sola abitazione, che di solito sono lavoratori e pensionati, che pagano le tasse fino all'ultimo centesimo. Chiediamo, quindi, una mitigazione su questi aspetti, ma, allo stesso tempo, chiediamo anche a lei, presidente, e all'istituzione che rappresenta, di aprire una discussione affinché il disegno di legge recante la delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, attualmente all'esame del Parlamento, riprenda vita, magari in una forma aggiornata rispetto ai tanti eventi che sono accaduti. Ci auguriamo che questa sia l'occasione per dire agli italiani che bisogna fare dei sacrifici, ma in una condizione di equità, caricando un peso maggiore sulle spalle di chi possiede di più. Non ci sembra, invece, che chi ha di più paghi di più, come avevamo intuito nelle comunicazioni rese alle Camere, quando si è coniugata la parola «rigore» con quella di «equità». Speriamo che si possa arrivare a una buona soluzione su questi problemi e su tanti altri che, per brevità, in questo momento non sottolineiamo. Per sostenere le nostre rivendicazioni, nei prossimi giorni - come ha detto la collega - arriveremo alla misura estrema dello sciopero di tre ore nella giornata di lunedì 12 dicembre, con l'effettuazione di diversi presìdi davanti a tutte le prefetture italiane e di un presidio permanente davanti al Parlamento, da ora fino alla conclusione dell'iter parlamentare della manovra.

LUIGI ANGELETTI, Segretario generale della UIL. La ringrazio, presidente, di questa occasione che, in questo momento, non è per nulla rituale. La scorsa domenica, quando abbiamo appreso della manovra proposta dal Governo, abbiamo capito perché la signora Merkel è rimasta sorpresa nel conoscerne i contenuti. La nostra preoccupazione verte principalmente su due aspetti.


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Come è stato già ricordato dai colleghi, la prima perplessità attiene a un cambiamento radicale del sistema previdenziale italiano, che combina due linee tra loro obiettivamente contraddittorie, e cioè l'allungamento dell'età di lavoro e, contemporaneamente, la riduzione della prestazione previdenziale. Nella peggiore delle ipotesi, mi sarei aspettato che prevalesse una delle due, non tutte e due contemporaneamente. Francamente, questo è sorprendente e, al di là degli aspetti formali, ha un impatto notevole su milioni di persone. Senza esagerazione, la vita di centinaia di migliaia di esse cambierà per effetto dell'adozione di tali misure. L'altro aspetto, che si commenta da solo, è che sono colpite persone che sono in pensione e che già hanno visto negli ultimi anni una sistematica riduzione della loro capacità di acquisto, pur con un meccanismo di rivalutazione. Adesso il 75-76 per cento dei pensionati - non solo qualcuno, né tantomeno i soli privilegiati - sarà privato della difesa prestata dalla rivalutazione. Questo avrà un impatto molto serio nella vita di tutti i giorni di queste persone.
Inoltre, un altro punto che spesso è considerato come un sorta di male minore e inevitabile, riguarda l'insieme dei provvedimenti e i loro effetti sull'economia. Sia la questione previdenziale che quella fiscale avranno un effetto negativo sulla crescita economica del 2012. Sperando che le previsioni attuali siano errate, qualcuno afferma che, mentre parliamo, siamo già entrati in recessione, senza considerare ancora gli effetti della manovra. Pertanto, sommando gli effetti della manovra a un naturale trend negativo della nostra economia, forse nel prossimo anno avremo, purtroppo, un andamento negativo nella crescita del PIL. Questo rischia di produrre due effetti. Il primo effetto - meno doloroso - è che fra dodici mesi ci chiederete di partecipare a una riedizione di questa audizione, per farci valutare un'altra manovra, difatti, un 2012 recessivo allontanerà il pareggio di bilancio previsto per il 2013. Occorrerà, pertanto, un'altra manovra per raggiungere tale obiettivo. Paradossalmente, questo è, però, l'aspetto meno preoccupante. Quello più inquietante è che la recessione provocherà un ulteriore aumento dei disoccupati. Affinché siate in grado di fare una valutazione dell'impatto che questa manovra avrà in relazione al tema previdenziale, dico che in Italia oggi ci sono quasi mezzo milione di persone in cassa integrazione. Noi siamo ottimisti e pensiamo che la maggioranza di esse troverà un lavoro. Tuttavia, se siamo realisti, la quantità di persone che non troverà ricollocazione sarà molto elevata, senza contare che l'andamento dell'economia provocherà un ulteriore processo di ristrutturazione in molte imprese. Di conseguenza, questo colpirà molte persone che sinora sono state garantite - nei limiti in cui ciò può avvenire - da un sistema di protezione rispetto alla perdita del posto di lavoro che dura da molti anni e che prevede il ricorso alla cassa integrazione, alla mobilità e al prepensionamento. Nei libri scolastici si può spiegare come sostituire questo sistema di protezione con altri. Tuttavia, ciò non vale per coloro che sanno cosa accade nella realtà. Occorre, infatti, ricordare che le indennità di disoccupazione in sostituzione del prepensionamento hanno effetti micidiali per il bilancio dello Stato e per la composizione generazionale dell'occupazione. Il prepensionamento comporta infatti l'uscita della popolazione più anziana dal mondo del lavoro ed è molto più facile ricollocare una persona di trent'anni che una di sessant'anni, con un incentivo a mandar fuori dal mondo del lavoro, appunto, quella di trenta piuttosto che quella di sessant'anni.
Ecco, ho voluto solo accennare ad alcune problematiche che mi sembra siano state affrontate con una schematicità che mal corrisponde alla realtà del nostro Paese. Per queste ragioni, pensiamo che questa manovra debba essere modificata. Abbiamo concordato insieme - cosa che, già di per sé, dà il segno dei tempi - un'ipotesi unitaria sulle proposte di modifica. Pensiamo, inoltre, che il confronto con il Governo, con le forze politiche e con il Parlamento non debba limitarsi a discutere degli aggiustamenti urgenti e necessari,


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ma anche affrontare quella che viene promessa come la «fase numero due», che dovrebbe riguardare i problemi della crescita, tenendo, però, presente che la situazione dei redditi della maggioranza dei cittadini italiani non è per nulla scollegata dalla crescita medesima.
Vi ringraziamo, pensando che il lavoro che dovrete fare in questa occasione è davvero fondamentale.

GIOVANNI CENTRELLA, Segretario generale dell'UGL. Sarò molto breve, perché anche noi abbiamo preparato un ulteriore documento, che con il permesso della presidenze delle Commissioni riunite vi consegniamo. In un momento come questo, nel quale le quattro confederazioni hanno condiviso un percorso congiunto, oltre al documento, condividiamo anche gli emendamenti che CGIL, CISL e UIL hanno presentato. Noi siamo pronti, come tutti i lavoratori italiani, a fare sacrifici nell'interesse collettivo. Occorre, tuttavia, una maggiore equità perché con questa manovra, che riteniamo essere recessiva, chi ha di meno paga di più, mentre chi ha di più paga di meno. Bastano due esempi su tutti.
Chi mi ha preceduto ha spiegato bene la situazione della previdenza, indicando cosa occorre modificare nella manovra, che, così com'è, per noi è totalmente negativa. Peraltro, prima di venire qui sono stato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dove si sta discutendo di un'azienda, che per correttezza non nomino, e dove c'erano dei lavoratori preoccupati che non erano disposti ad accettare nessuna soluzione perché non riescono a sapere cosa può succedere loro domani. In altri termini, ci potremmo ritrovare con lavoratori che vanno in mobilità mentre avrebbero potuto andare in pensione, trovandosi, in tal modo, fuori dal mondo del lavoro e senza possibilità di accedere alla pensione. Questo sta creando diversi disagi nei lavoratori che devono prendere una decisione.
L'altro esempio riguarda l'imposta municipale unica (IMU). A tale proposito, nel nostro documento troverete un calcolo dell'ammontare dell'imposta relativo ad una abitazione di 100 metri quadrati per la quale - senza tener conto delle addizionali del 2 per cento in più o in meno che i comuni possono applicare - occorre pagare 600-650 euro, che, sottratti i 200 euro previsti a titolo di detrazione, diventano 450 euro, quasi la metà di uno stipendio medio italiano. Ecco, non so se si può chiedere anche questo sacrificio agli italiani. Per questa ragione, credo che l'intero sindacato italiano confederale abbia dimostrato un'unità di intenti, associandosi e cercando di far capire al Governo e a tutte le forze politiche presenti in Parlamento che alcune modifiche sono necessarie nell'interesse generale del Paese. Difatti, i cittadini con redditi medio-bassi, senza soldi in tasca, non possono spendere e senza spesa non c'è crescita.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. A nome del Gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori e mio personale, voglio ringraziare i quattro segretari generali di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Ricordo che esattamente quaranta minuti fa durante lo svolgimento di un question-time nell'Aula della Camera, proposto dall'Italia dei Valori in ordine a ingenti capitali finiti in banche estere, per i quali, ad esempio, Germania e Gran Bretagna hanno stipulato delle convenzioni con la Svizzera, riuscendo a farli rimpatriare, abbiamo chiesto se il Governo intendesse fare analoga operazione, mutuando le convenzioni stipulate tra la Svizzera e la Germania e tra la Svizzera e la Gran Bretagna, per far rientrare i circa 130 miliardi di euro che alcuni italiani hanno esportato illecitamente in banche svizzere. Il Governo italiano ha fatto ahimè - quaranta minuti fa - orecchie da mercante. Pertanto, sembra essere poco interessato al recupero e al contrasto dell'evasione fiscale.
Detto ciò, poiché stamane abbiamo sentito in audizione R.ETE. Imprese Italia che


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ha affermato che la piccola e media impresa, malgrado i bilanci che si chiudono in perdita e i fatturati che peggiorano, riesce a resistere e a contenere i licenziamenti, mentre, ex adverso, i grossi gruppi industriali, partendo da FIAT, per non parlare di Finmeccanica, Fincantieri e quant'altro, trovano molto più agevole passare al licenziamento facile, vi chiedo se non sia il caso, in questo momento, per i sindacati, di avviare una forma di irrigidimento - non so tecnicamente come chiamarla - nel senso che, piuttosto che andare a definire subito trattative e concludere vertenze (per esempio, stamattina Irisbus doveva chiudere lo stabilimento di Grottaminarda per il mancato accordo con la FIAT), sarebbe forse il caso di bloccare queste trattative, in attesa di una vera politica industriale del Governo che, per la verità, fino a oggi non abbiamo avuto. Peraltro, siamo portati a essere piuttosto pessimisti se i segnali sono quelli che stiamo avendo con questa manovra economica, che mi sembra abbastanza iniqua, poiché muovendosi con operazioni trasversali, che colpiscono tutti, si ha l'impressione che essa punti alla massa critica di contribuenti; difatti, con l'aumento delle accise, l'intervento sulle pensioni e addirittura sulla prima casa, che, guarda caso, chiama in causa soprattutto persone con redditi fino a 24.000 euro, mi sembra che la filosofia di questa manovra vada in una direzione nociva non solo per i ceti meno abbienti, ma anche per quello medio perché, probabilmente, quest'ultima rappresenta una massa più grande.
In ordine alla necessità di assumere una posizione più determinata da parte vostra mentre, spesso, a causa delle vostre divisioni, la vostra posizione è risultata troppo accomodante anche rispetto a scelte di governo che non andavano nell'interesse dei lavoratori (tra l'altro, ho visto che avete annunciato una giornata di sciopero, ma, anche in questo caso, chi ha scelto di fare quattro ore, chi due ore di sciopero, continuando a muovervi con modalità operative diverse e con numerosi distinguo), vorrei chiedervi se non riteniate che, in un momento come questo, sia il caso di abbandonare le attività sindacali più accondiscendenti per mantenere una posizione unitaria più forte.

MAURIZIO LEO. Anch'io mi associo al collega nel ringraziare i segretari generali. Vorrei prendere spunto da alcune considerazioni svolte sulla lotta all'evasione, relativamente alla quale - come loro sanno - esiste una differenziazione tra evasione ed elusione. Nello specifico, l'elusione è un'evasione interpretativa; l'evasione, e in particolare quella di massa, che si attesta sui 120 miliardi di euro, è un flagello da debellare. Sappiamo che per combattere questo fenomeno la sola amministrazione finanziaria non è sufficiente. Tra amministrazione civile e militare, ovvero la Guardia di finanza, gli addetti alle verifiche e ai controlli non superano le 30.000 unità, quindi è verosimile ritenere che le dichiarazioni sottoposte a controllo non vadano oltre il 2,5-3 per cento del totale. Questi non sono, tuttavia, numeri che ci debbono allarmare perché anche in altri Paesi l'attività effettiva di verifica da parte dell'amministrazione finanziaria non supera questi livelli. L'evasione di massa si combatte, quindi, anche con le banche dati, con l'anagrafe tributaria e con gli incroci di dati. A questo proposito, il provvedimento che è al nostro esame contiene alcune misure che voi giudicate insufficienti. Ciò nonostante, se a queste aggiungiamo altre misure introdotte nel corso del tempo e di recente - penso ai cosiddetti «redditometro» e «spesometro», agli studi di settore riveduti e corretti, alla tracciabilità e, da ultimo, alle indagini finanziarie, in relazione alle quali si stanno facendo dei passi da gigante, in quanto, sulla falsariga di quanto già introdotto con il decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, si possono acquisire gli estratti conto dei contribuenti, quali evidenziano tutte le uscite e le entrate dei contribuenti stessi, ottenendo una mappatura quasi a 360 gradi - ritenete che ci siano ancora altri strumenti da introdurre nel nostro ordinamento per combattere l'evasione fiscale di massa?


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MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio anch'io i segretari generali di essere venuti con delegazioni al massimo livello. Tra le proposte unitarie di CGIL, CISL e UIL - di cui rimarco, appunto, il carattere unitario - si chiede un possibile innalzamento della soglia di detrazione sull'abitazione principale da 200 a 500 euro. Ecco, questa di 500 euro mi sembra una cifra molto alta rispetto ai valori reali. Volendo fare rapidamente dei conti, credo che questa franchigia costi circa un miliardo di euro. Ora, non sarebbe meglio puntare, anziché all'innalzamento della franchigia, al fatto che non tutti ne godano e che questa sia concessa solo a determinate categorie, non modificando i saldi della manovra. In altre parole, perché dare a tutti una franchigia media di 200 euro sulla prima casa e non darne, invece, una più alta solo a determinate fasce della popolazione? Ecco, vi chiedo di dirci come questo si potrebbe fare. Per esempio, si potrebbe agevolare chi ha il mutuo o chi ha un determinato livello di reddito. Insomma, bisognerebbe trovare una forma.
Inoltre, la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2011 indica, alla voce spesa per pensioni, un importo pari a 244 miliardi di euro nel 2011, a 252 miliardi di euro nel 2012 e a 259 miliardi di euro nel 2013, con un'incidenza sul prodotto interno lordo che varia dal 15,5 per cento del 2011 al 15,7 per cento del 2014. Voi contestate il fatto che l'Italia paga per pensioni circa il 3 per cento in più rispetto alla media europea. Comprenderete, però, che il 3 per cento su cifre di questa portata - che si aggirano attorno ai 250 miliardi di euro - rappresenta circa 7-7,5 miliardi di euro. Ora, siccome parametriamo le nostre manovre rispetto all'Europa e dobbiamo mirare al conseguimento della regola d'oro del pareggio di bilancio, fermando una deriva che va oltre i confini nazionali, credo che non possiamo presentarci in Europa se non rispettando le medie europee. Vi chiederei, allora, conferma di questo dato.

MAURIZIO FUGATTI. Vorrei approfondire un aspetto accennato nelle vostre relazioni. In particolare, desidererei sapere se avete cominciato ad analizzare dei dati per capire l'effetto recessivo di questa manovra e se - a vostro parere - il pareggio di bilancio che si vuole conseguire verrà realmente raggiunto. Difatti, questa manovra deprimerà sicuramente i consumi; conseguentemente, secondo noi, anche il pareggio di bilancio potrebbe essere a rischio.

CLAUDIO D'AMICO. Vorrei allacciarmi a quanto detto da alcuni dei rappresentanti sindacali, e in particolare dal segretario della UIL, Angeletti, ovvero alla previsione che, nonostante questa manovra, nel 2012 il Paese sarà in recessione, con un ulteriore aumento della disoccupazione. Di fronte a queste previsioni, vorrei sapere cosa il sindacato ritiene utile fare con riferimento ai lavoratori stranieri che perdono lavoro e quelli che ancora vorrebbero venire nel nostro Paese. È di questi giorni la polemica sui flussi migratori. Ritengo, quindi, che questo sia un punto importante da chiarire. La mia posizione è che di fronte a una carenza di posti di lavoro e a una disoccupazione in aumento, dovremmo tener conto prima dei cittadini italiani e dar lavoro a loro prima di far venire nuove persone dall'estero. Ecco, mi piacerebbe sapere cosa pensano i rappresentanti dei sindacati riguardo a questo argomento.

AMEDEO CICCANTI. Vorrei fare una domanda sull'equità del sistema pensionistico italiano secondo la visione del sindacato. Pensiamo un momento alla previdenza riguardante le donne. Al fine di rispettare una sentenza della Corte di giustizia europea, abbiamo potuto allineare l'età pensionabile femminile a quella degli uomini nel settore pubblico. È rimasto fuori il settore privato, rispetto al quale questa manovra compie un'anticipazione dell'innalzamento dell'anzianità anagrafica. È giusto rispetto all'attesa di vita della donna, che è superiore di due anni e mezzo a quella dell'uomo, che le donne, soprattutto nel settore privato, debbano andare in pensione prima degli uomini?


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Peraltro, questo accade a danno delle donne, visto che trent'anni fa l'entrata nel mondo del lavoro era molto più difficile per la donna, che entrava in ritardo rispetto agli uomini, ragion per cui, se si fosse conservato il limite di 60 anni, sarebbe stato penalizzante per le donne, che non avrebbero maturato il requisito minimo di età per accedere alla pensione. Mi chiedo, allora, se corrisponda ad equità, da parte del sindacato, difendere posizioni del genere.
Inoltre, nel documento presentato da R.ETE. Imprese Italia, Confindustria e altri soggetti imprenditoriali, nello scorso mese di settembre, si rappresentava che annualmente la spesa pensionistica per soggetti con meno di 64 anni costa 50 miliardi di euro; tra questi ben 17 miliardi di euro sono destinati a lavoratori tra i 40 e i 59 anni. Rispetto a questa gobba che fino al 2026 non porta in equilibrio il sistema previdenziale, vorrei sapere se, secondo voi, è più equo mantenerla in piedi oppure è necessario che sia in qualche modo riassorbita, anche per stare nei termini della spesa previdenziale europea di cui ha parlato il collega Vannucci.

MARCO CAUSI. Vorrei cogliere l'occasione della gradita presenza dei segretari generali delle organizzazioni sindacali italiane per porre una domanda. Visto che sappiamo tutti che ci muoviamo all'interno di una vicenda europea e non soltanto italiana, vorrei sapere da loro qual è, a livello europeo, lo stato della situazione sindacale. Mi chiedo, in particolare, come la Confederazione europea dei sindacati si stia muovendo riguardo alla crisi europea; quale sensazione loro traggono dal rapporto che hanno con le organizzazioni sindacali degli altri Paesi europei circa la possibilità di costruire un circuito di solidarietà europea; che cosa si può ottenere nella ricucitura di un circuito politico di solidarietà europea, specialmente nei termini della forza politica che l'intero sindacato europeo può esprimere; quali elementi - stando alle percezioni che loro hanno dagli altri sindacati europei, per esempio francesi o tedeschi - hanno creato, in modo molto pericoloso, una riduzione della fiducia nei confronti del nostro Paese; infine, cosa possiamo fare, anche su quel fronte, per ricostruire un nuovo ambiente europeo in cui la crisi possa essere più efficacemente risolta.

PRESIDENTE. Vorrei porre un'ultima domanda. Seguendo, da spettatore interessato, diverse crisi aziendali, ho visto che la ricetta che veniva proposta era, normalmente, un mix tra incentivi all'esodo e prepensionamenti. Peraltro, questa soluzione è stato prospettata anche nelle scorse settimane in merito ad alcune situazioni di grave crisi di cui ho avuto conoscenza. Ecco, credo che questi strumenti che avete usato nel corso degli ultimi anni siano difficilmente ipotizzabili oggi. I prepensionamenti non sono praticabili perché l'età viene spostata molto in avanti; gli incentivi all'esodo non so se possano essere allettanti poiché queste situazioni di crisi presentano, sul piano dell'economia reale, aspetti di grande drammaticità anche in zone che non hanno conosciuto questo tipo di problemi in passato.
Anticipo un quesito che porrò anche all'ISTAT, che sarà audito anch'esso questo pomeriggio. Voi siete i sindacati dei lavoratori, vi chiedo, quindi, se ritenete che i tassi di disoccupazione che vengono comunicati anche dai mass media rappresentino esattamente la realtà dei senza lavoro in questo Paese. Ho, infatti, l'impressione che il dato pubblicizzato non descriva fedelmente una situazione che, a mio avviso, è in qualche modo peggiore.
Do ora la parola ai nostri ospiti per le repliche.

SUSANNA CAMUSSO, Segretario generale della CGIL. Le domande sono molte; tuttavia, provo a rispondere, accorpandole per temi. La prima questione è la lotta all'evasione. Non c'è dubbio che se il nostro Paese facesse, come la Germania e la Gran Bretagna, l'intesa con la Svizzera rispetto alla conoscenza e alla tassazione dei capitali all'estero, questo sarebbe un contributo importante. In più, sarebbe


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anche una risposta all'argomentazione, che si continua a utilizzare, per cui, se si facesse un intervento sui patrimoni in Italia, ciò spingerebbe all'immediata fuga dei capitali. Per contro, noi abbiamo suggerito in varie occasioni e continueremo a sostenere che è bene che il Governo proceda su questa strada, così come abbiamo apprezzato la scelta di chiedere un contributo ai capitali scudati, sebbene riteniamo che debba essere aumentato, anche perché, per via della configurazione dello scudo, sono pochi i capitali effettivamente rientrati: molti sono stati sanati, ma non si sono tradotti in investimenti nel nostro Paese. Credo, quindi, che questa sia una valutazione da fare.
Ritengo, inoltre, che si possano realizzare ancora molte cose sul fronte dell'evasione. Penso alle norme che devono accompagnare la tracciabilità o all'elenco dei fornitori e dei clienti. Insomma, se si vuole ridurre quell'area consistente di evasione, stimata in 120-130 miliardi di euro, bisogna costruire un sistema, ma anche ricostruire una cultura, perché anni di condoni unitamente all'idea che in fondo il problema erano le tasse e non l'evasione hanno generato un modo di pensare contrario rispetto a ciò che sarebbe necessario. Occorre, poi, che vi sia una relazione tra la tassazione e i comportamenti lineari dei cittadini che pagano sempre e di quelli che non pagano. È evidente, infatti, che anche gli interventi previsti in questa manovra, come l'addizionale IRPEF regionale e comunale, cadono sempre sulla platea dei contribuenti e di coloro che, essendo a reddito stabile, cioè sottoposti a ritenuta alla fonte, pagano l'IRPEF e non hanno né necessità né possibilità di evadere o eludere. A questo bisognerebbe dare risposta con azioni molto consistenti. Pertanto, sull'evasione c'è ancora un ampio campo di interventi che si potrebbe - anzi sarebbe utile - esercitare.
A fronte dell'aumento del peso della tassazione sulla casa, la nostra proposta intende difendere in particolare quei lavoratori e pensionati che non hanno un reddito alto e posseggono un'unica abitazione, dovendo affrontare questo carico fiscale. La nostra ipotesi è costruita in questo modo perché la proposta contenuta nella manovra è una tassa regressiva, invece che progressiva; pertanto, è il meccanismo interno che permette di immaginare che vi sono le risorse per alzare la franchigia. Noi non abbiamo ambizioni legislative. La legislazione spetta al Parlamento. Dal canto nostro, indichiamo un tema. Poi, se c'è un'altra modalità per avere lo stesso risultato, siamo disponibili. Vorremmo, però, evitare che non si colga la necessità di una progressività della tassazione e di non gravare ulteriormente sui redditi più bassi.
In merito alle pensioni, contestiamo il fatto che abbiamo una spesa pensionistica più alta rispetto agli altri Paesi europei perché, come sempre, non si contano gli stessi addendi, quindi ne deriva un confronto tra la spesa italiana e quella degli altri Paesi che non è equivalente. Bastano due riferimenti; poi, se si vuole, vi sono molteplici studi. In primo luogo, nel sistema previdenziale noi comprendiamo una quota dell'assistenza che rientra nel calcolo, ma non è spesa previdenziale. In secondo luogo, si continua a calcolare nella spesa previdenziale anche il trattamento di fine rapporto dei lavoratori che - fino a prova contraria - è retribuzione differita e non spesa pensionistica. Se si eliminano queste voci, si scopre che la spesa previdenziale italiana non è superiore a quella degli altri Paesi. Bisognerebbe, quindi, imparare a non farsi «minorizzare» dal confronto con gli altri, chiedendo la corrispondenza effettiva delle cifre.
Riguardo alle lavoratrici, sentiamo dire delle cose insopportabili. Noi ci siamo adeguati alla giurisprudenza europea perché il Governo precedente non ha voluto affrontare il tema della flessibilità. Infatti, si poteva benissimo rispondere al tema proposto dall'Europa sulla parità tra uomini e donne rispetto all'età pensionistica, costruendo la fascia di flessibilità. Questo non si è fatto allora e non si fa neppure in questa manovra perché quando la fascia di flessibilità è ristretta tra i 66 e i 70 anni mi pare che siamo di fronte a un


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obbligo piuttosto che alla costruzione di un'effettiva fascia di flessibilità. Vorrei anche dire che l'ipotesi di avere una condizione differente per le donne rispetto agli uomini, per quanto possa comprendere che questa situazione guarda a trent'anni fa, va messa in relazione al livello dei servizi per la nascita e l'allevamento dei figli che, nel nostro Paese, è peggiore di trent'anni fa. Dove si sono costruite condizioni di equivalenza di lavoro e di pensione, si è anche previsto che l'asilo nido non sia la nonna o la lavoratrice che rinuncia a continuare il lavoro per dare una mano alla figlia. Allora bisognerebbe smetterla di continuare a dire che c'è un tema che riguarda la parità tra uomini e donne dal punto di vista dell'anno in cui vanno in pensione e ignorare che il carico della maternità è ancora tutto sulle donne. Allo stesso tempo, vorrei ricordare che tre anni fa questo Parlamento ha cancellato la norma contro le dimissioni in bianco e che il risultato è stato che in questi anni ci sono stati 800.000 licenziamenti di lavoratrici che avevano avuto il primo figlio. Infatti, non c'è solo il problema di che cosa pensano le lavoratrici, ma c'è un comportamento delle imprese che considera la maternità un aspetto condizionante. Pertanto, quando si ragiona di età previdenziale delle donne, bisognerà discutere di discontinuità, di quali servizi ci sono intorno e di quanto le donne siano - nella versione di madri o di nonne - quelle che suppliscono all'assenza dei servizi. Siccome già due anni fa c'è stato detto che, a fronte dell'innalzamento della pensione per le donne si sarebbe costituito un fondo di 4 miliardi di euro che sarebbe andato in favore dei servizi e di questi 4 miliardi nessuno ha visto neanche un euro, penso che sia bene smettere di continuare a fare una discussione fintamente paritaria, ponendosi, semmai, il problema di come nel nostro Paese possa riprendere la natalità, che non si scarica solo prevalentemente sulle donne e in qualche rara eccezione anche sugli uomini. Si potrebbe, per esempio, attuare quella direttiva europea che tutela la paternità in termini non solo di congedi, ma anche di paternità obbligatoria perché questo, forse, metterebbe in moto un meccanismo diverso in ordine ai servizi.
Non so cosa abbiano scritto le imprese nel loro documento. Tuttavia, mi pare difficile affermare che vi sia un'ondata di pensionamenti tra i 50 e i 59 anni, visto che anche l'area dei lavoratori precoci o di quelli degli accordi relativi ad alcuni fondi si collocano, ben che vada, tra i 57 e i 58 anni e non certamente intorno ai 50. Inoltre, sul sistema dei lavoratori dipendenti non ci risulta nessuna gobba, visto che esso è in equilibrio. Semmai, i problemi vengono da altri fondi e da altre situazioni. Vorremmo, però, dire a R.ETE. Imprese Italia, a Confindustria e a tutti gli altri che - come ricordava il presidente - non si può continuare a dire di affrontare le crisi aziendali collocando in mobilità i lavoratori di 53, 54 e 55 anni, pensando che arrivino alla pensione, e poi, contemporaneamente, chiedere al Parlamento di portare l'età pensionabile a 70 anni. In qualche modo bisogna mettersi d'accordo sugli strumenti che si usano e su quale collegamento c'è fra loro. Non a caso, anche nella presentazione degli emendamenti, abbiamo detto che c'è un problema di collegamento tra le operazioni che si fanno sul sistema e i lavoratori che sono già disoccupati, in mobilità e così via.
Sulle questioni del sistema di contribuzione e della regolarità del lavoro, credo che sul tema del lavoro migrante ci sia una sola strada che bisogna prendere: la regolarizzazione, sapendo che per i fondi contributivi i lavoratori attuali già rappresentano un apporto fondamentale. D'altronde, l'esistenza di una vasta area di lavoro, in particolare migrante, sottoposto a «caporali» e ad altre modalità di lavoro irregolare non è un bello spettacolo per il nostro Paese. Quindi, civiltà imporrebbe di procedere alla loro regolarizzazione dal punto di vista sia del lavoro sia contributivo. Del resto, a proposito di evasione ed elusione, anche l'emersione del lavoro sommerso sarebbe un'ottima cosa.
Su prepensionamenti e incentivi all'esodo, prevediamo per il 2012 una recessione


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- ci auguriamo - non troppo profonda; i segnali indicano, comunque, una grave situazione occupazionale, ragion per cui è evidente che sarà fondamentale il tema degli strumenti, rispetto al quale questo intervento sul sistema pensionistico non ci aiuta. Questo sarà, pertanto, argomento di discussione con il Governo e anche con il sistema delle imprese.
Rispetto ai tassi di disoccupazione, un fenomeno sempre più evidente - che vale per le giovani donne meridionali, per una parte consistente dei giovani e comincia a valere per una parte di quei lavoratori che sono stati espulsi non proprio giovanissimi e che non riescono a rientrare - è la rinuncia a cercare lavoro. Ai tassi di disoccupazione ufficiale aggiungiamo, quindi, una parte di persone che rinuncia a immaginare il loro possibile ritorno nel mercato del lavoro. Questa è la ragione per cui, quando con scioltezza si blocca la rivalutazione delle pensioni o si interviene sui redditi da lavoro, bisogna ricordarsi che sempre più spesso i pensionati mantengono una catena lunga, con figli e nipoti che non trovano lavoro oppure famiglie in cui il numero di redditi diminuisce.
Il sindacato europeo condivide un giudizio negativo su come l'Europa ha affrontato la crisi e sul fatto che c'era bisogno non solo di una banca centrale, ma anche di un'Europa politica che decidesse le politiche economiche. Nei Paesi europei, dalla Gran Bretagna alla Francia o alla Spagna, le organizzazioni sindacali sono unitariamente mobilitate, con scioperi e altre iniziative, rispetto alle politiche adottate.
Da un certo punto di vista, vi è, insomma, un comportamento analogo nei vari Paesi e soprattutto una rivendicazione rivolta alla Commissione europea - che forse dovremmo rendere più efficace - affinché si giunga a una politica economica unitaria che affronti i problemi senza lasciare le ricette alla sola Banca centrale europea.

RAFFAELE BONANNI, Segretario generale della CISL. Sull'evasione fiscale riteniamo che bisogna sollecitare sempre di più meccanismi di conflitto di interesse tra chi vende e chi acquista o tra chi fornisce un servizio e chi lo riceve. Bisogna stringere molto su questo aspetto, come sulla revisione degli studi di settore, che sono molto bassi. Sulla tracciabilità, poi, occorre scendere ulteriormente. Del resto, siccome si è aperto questo dibattito, visto che il contante circolante si ridurrà moltissimo e, gioco forza, si avrà un maggiore uso dei bancomat, della carta di credito e dei carnet di assegni che - come sapete - costano in Italia più che in altre parti d'Europa, raccomandiamo che ci si faccia anche carico di aprire una discussione con le banche per intervenire sui costi dei loro servizi, che, oggi come oggi, non sono di poco conto. Occorre, poi, anche fare affidamento sugli elementi di federalismo fiscale nella gestione locale, che è l'unico modo per avere maggiormente sotto controllo la mappatura delle situazioni. È necessario, inoltre, rafforzare l'anagrafe tributaria e giocare molto su un sistema che agisca sulla persone fisiche riguardo ai beni mobiliari e immobiliari, ma anche sui cespiti immobiliari delle società. Abbiamo visto dei provvedimenti in questo senso nella manovra; tuttavia, ogni volta si butta polvere negli occhi, intervenendo sulle barche, sui cavalli fiscali e quant'altro, ma poi non si va fino in fondo a scavare per vedere dove sono collocati questi beni, spesso collegati a società sotto la voce della rappresentanza, eludendo il fisco. Ecco, spero che nel dibattito parlamentare vi sia una discussione di questo tipo: credo ce ne sia bisogno, anche perché la gente se lo aspetta. Nessuno si rifiuta di fare sacrifici. È la solita storia: si vuole vedere chi ha di più cosa fa in più rispetto a chi ha di meno.
Sul rientro dei capitali dobbiamo spingere qualcuno a stipulare convenzioni come quella che la Germania ha fatto con la Svizzera, tassando i capitali italiani depositati nelle banche svizzere. È molto semplice.
Circa il fatto di non chiudere vertenze e avere un atteggiamento più rigoroso con le aziende, mi piacerebbe moltissimo farlo,


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se questa fosse la soluzione. Non vorrei, tuttavia, che questa modalità fosse persino peggiore del male che vogliamo combattere. Se il numero degli scioperi da farsi fosse la soluzione migliore per risolvere i problemi, ne faremmo cinquanta o cento e risolveremmo cinquanta o cento volte meglio i problemi. Purtroppo, non è così. Ogni storia è a sé e bisogna sempre giocare sul maledetto filo del rasoio di un'azienda che sta in un sistema globale e di mercato nel quale può restare o andarsene. Devo dire che la fatica che facciamo ogni giorno e la pazienza ci hanno portato, fra tanti guai, a salvare moltissimi posti di lavoro e molte aziende. Non credo, quindi, che sia il caso di irrigidirsi. Poi, ci sono situazioni e situazioni, alcune delle quali meriterebbero una rigidità maggiore, ma solo quando non si intravede la via d'uscita. Talvolta la provocazione che si mette in piedi per non risolvere il problema del mantenimento dei posti di lavoro è molto alta, ma questo significa che abbiamo perso. Quando si arriva a quel punto, vuol dire - ripeto - che abbiamo perso. È uno sfogo finale. Noi, invece, perseguiamo la possibilità di risolvere il problema.
In merito al pareggio di bilancio che sarebbe a rischio se dovessimo modificare le parti che abbiamo indicato, voglio dire che non siamo fuori dal mondo. È chiaro che ogni operazione di modifica a favore dei ceti meno abbienti, può essere risolta in un modo molto banale - alla Catalano - facendo pagare quelli che hanno di più o, comunque, trovando delle soluzioni più eque. Non abbiamo alcun interesse a mettere a rischio l'equilibrio di bilancio, proprio noi che riteniamo che se il nostro esorbitante debito pubblico non venisse assottigliato subito almeno di un terzo, rischieremmo di fare una corsa con un traguardo che si allontana sempre di più. A questo proposito, non capiamo perché il Governo non compie la scelta definitiva di vendere i beni del demanio, piuttosto che le persone, come sta succedendo.
Per quanto riguarda i flussi migratori, se si vuole dire che ciò mette in difficoltà i lavoratori italiani, esprimo sommessamente la mia opinione. Non credo ci sia questo problema perché, volendo essere franchi, i flussi migratori verso l'Italia sono richiesti perché, non a caso, gli immigrati vengono a fare dei lavori che gli italiani non vogliono più fare. Ritengo, per contro, che sia venuto il momento di renderci conto che se questi flussi migratori cessassero d'incanto, ci troveremmo ancora più in difficoltà. Tanti lavori - ripeto - gli italiani non li vogliono più fare. I lavoratori stranieri, perciò, non disturbano, nemmeno in un momento di crisi come questo. Inoltre, bisogna anche essere rispettosi nei confronti di persone che, svolgendo un lavoro che, per giunta, nessuno vuol fare, portano ricchezza al nostro Paese.
Per quanto riguarda l'equità del sistema pensionistico, riteniamo che la nostra proposta volga verso questo obiettivo. Peraltro, oggi non c'è una spesa previdenziale più alta in Italia perché la statistica cui si fa riferimento include tutto ciò che la previdenza si carica sulle proprie spalle. Dico questo con chiarezza, anche perché, proprio in relazione a ciò, non capisco alcune operazioni di questa manovra. La previdenza si fa carico di molta assistenza che è una funzione impropria e va a carico della fiscalità generale, soprattutto oggi che il sistema pensionistico non è più retributivo, ma contributivo. Ciò vuol dire che ciascun lavoratore versa i propri soldi sudati e ogni soldo speso per altre finalità è tolto alla sicurezza del suo versamento.
Troppi soldi sono spesi, appunto, per l'assistenza, una cosa nobile di cui si dovrebbe occupare la fiscalità generale. Oltretutto, fare l'assistenza per i ceti privilegiati che prendono pensioni di molte migliaia di euro diventa un fatto diabolico. Nella manovra non si va a fondo su questo aspetto, cosa che chiediamo con molta forza, così come l'intervento su alcuni fondi ancora privilegiati che neanche in questa occasione sono stati toccati. Il Governo non se ne può uscire dicendo che se sforano li omologhiamo agli altri, visto che, storicamente, hanno sforato sempre, ma nessuno è mai intervenuto. Questa è un'ingiustizia palese, perseguita con arroganza


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da chi pretende di mantenere ancora questi privilegi, mentre punta il dito sui ceti meno abbienti.

LUIGI ANGELETTI, Segretario generale della UIL. Anch'io rispondo a poche domande, concentrandomi sulle questioni delle tasse e della previdenza. In merito a quest'ultimo aspetto abbiamo fatto uno studio, i cui risultati sono stati pubblicati anche da un autorevolissimo giornale che nessuno smentisce mai. In particolare, la nostra ricerca dimostra che, calcolando i costi della previdenza rispetto al prodotto interno lordo con le stesse modalità con cui si fa negli altri Paesi europei, il costo della previdenza in Italia è più basso e ammonta al 10,59 per cento del PIL. Siamo, ovviamente, disposti a confrontarci su questi dati. È, invece, patologico, distorsivo e al limite della truffa - e, in ogni caso, costituisce una comunicazione ingannevole - sostenere che le forme di assistenza legittime debbano essere conteggiate come previdenza. Questo non accade in nessun altro Paese. Peraltro, si viola anche una legge dello Stato che non viene applicata e che dovrebbe imporre la separazione contabile tra previdenza e assistenza. È inutile discutere delle motivazioni di questa distorsione, visto che non siamo qui per fare polemiche. Ho precisato questo solo per amore di verità.
Ciò detto, il nostro era un sistema assolutamente sostenibile. La Commissione europea ha condotto, per tre anni, un'indagine sui sistemi previdenziali dei ventisette Paesi europei, e per tutti e tre gli anni ci siamo classificati primi o secondi in termini di sostenibilità finanziaria. Diversi ministri della Repubblica, che avevano i numeri per poter parlare, hanno sostenuto esattamente la stessa cosa. Oggi, abbiamo fatto una manovra che ha sottratto, a regime, 20 miliardi di euro dalla previdenza; ciò significa che ai soli lavoratori dipendenti - che pagano i contributi: non li pagano le imprese, che fanno solo da prestatori - è stato chiesto di sostenere il bilancio dello Stato, oltre a qualche aiuto alle banche e alle imprese, che pure ci sono, nella misura, appunto, di 20 miliardi di euro. Pur ipotizzando che dovessimo fare questo sacrificio - non so in nome di che cosa - non pensate che sarebbe stato equo far corrispondere a una riduzione dei costi della previdenza una riduzione dei contributi? Ormai abbiamo perso ogni speranza in questo senso. Dico ciò solo come risposta ad affermazioni che, secondo noi, non corrispondono alla realtà.
Vengo ora alla questione delle modalità migliori o più eque per quanto riguarda l'IMU o l'ICI che dir si voglia. Dobbiamo evitare accuratamente di collegare una graduazione nel pagamento dell'ICI al reddito, perché questo rappresenterebbe una beffa. Anche su tale questione vi è uno studio proveniente da fonte statale - non ci siamo inventati nulla, ma abbiamo solo messo in fila i dati - il quale dimostra che i lavoratori autonomi, cioè coloro che non hanno la ritenuta fiscale alla fonte, dichiarano mediamente un terzo del reddito rispetto ai lavoratori dipendenti, ma possiedono il 60 per cento in più del patrimonio immobiliare. Pertanto, se, per disgrazia, dovesse prevalere l'ipotesi avanzata da qualcuno in vena di generosità, che proponeva di collegare questa imposta al reddito, il risultato sarebbe - ripeto - un'autentica beffa.
L'ultima questione che vorrei affrontare riguarda i rapporti con gli altri sindacati europei. Poco fa la collega Camusso raccontava qual è l'opinione prevalente delle organizzazioni sindacali. Aggiungo un aspetto interessante, cioè che gli stessi sindacati tedeschi, ovviamente non inclini, come noi, a rendere la BCE banca assicuratrice di ultima istanza, o ultimo compratore, concordano con noi che forme di creazione di moneta, come gli eurobond, magari finalizzati solo a investimenti, sarebbero una scelta di assoluto buonsenso. Il vero problema è che la Confederazione europea dei sindacati ha la stessa influenza del Parlamento europeo sui destini della politica economica in Europa.

GIOVANNI CENTRELLA, Segretario generale della UGL. Prima di tutto, credo che la lotta all'evasione non la voglia nessuno.


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Si susseguono tanti Governi di centrodestra o centrosinistra, ma su questo fronte non si ottengono grossi risultati, altrimenti oggi l'evasione dovrebbe essere almeno calata; invece, è sotto gli occhi di tutti che così non è stato. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, quando si chiedono misure come l'imposta patrimoniale, nessuno le vuole applicare.
In merito alla tassazione sulla prima casa, oltre che chiedere l'aumento della franchigia, potremmo chiedere di eliminare del tutto l'IMU sulle abitazioni civili degli operai o degli impiegati e, al limite, raddoppiarla o triplicarla anche sulla prima casa per quelle abitazioni che valgono un bel po' di milioni.
Sulla previdenza, credo che la differenza tra uomo e donna sia nei fatti, perché è come se la donna facesse due volte il lavoro di un uomo, essendo impegnata sia fuori che dentro casa.
Riguardo ai flussi migratori, credo che siano una ricchezza per l'Italia.
Infine, in merito ai prepensionamenti e agli incentivi, credo che non ce ne sarà più bisogno, perché nessuno potrà più applicarli con questa riforma previdenziale. Questo non è affatto un bene, ma un ulteriore male per la nazione, come vedremo in tempi brevissimi.
Per chiudere, vorrei dire che siamo passati da manovre rispetto alle quali i cittadini accusavano esclusivamente chi governava e le forze politiche di maggioranza a questa manovra, che vede i cittadini arrabbiati con chi ci governa, con i partiti e anche con i sindacati. Più di questo non saprei cosa dire.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo di aver dato il vostro contributo ai nostri lavori. Speriamo di riuscire a migliorare il testo, se ci sarà consentito di farlo. Vi diamo appuntamento alla prossima manovra, visto che ci siamo visti abbastanza spesso ultimamente.
Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 17, è ripresa alle 17,10.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
Il presidente dell'Istituto, professor Enrico Giovannini, è accompagnato dal dottor Roberto Monducci, dalle dottoresse Patrizia Cacioli e Maria Emanuela Montebugnoli, nonché dal dottor Andrea de Panizza.
Ringraziamo l'ISTAT, che immaginiamo abbia svolto, come di consueto, un prezioso lavoro di documentazione, nonostante i tempi ristretti che abbiamo concesso per approfondire tematiche tanto impegnative.
Do la parola al presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Grazie, signor presidente.
Le disposizioni contenute nel decreto-legge di conversione in esame danno consistenza agli impegni internazionali assunti dall'Italia in termini di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, rendendoli possibili alla luce del recente peggioramento congiunturale e dell'aggravamento degli oneri finanziari, dovuti all'aumento dei tassi di interesse sui titoli pubblici.
È del tutto evidente come l'approvazione del decreto-legge costituisca un segnale importante - assolutamente non rinviabile - circa l'impegno del nostro Paese per il consolidamento del quadro di finanza pubblica e per il superamento delle tensioni riguardo all'euro. Il contributo dell'Italia al rafforzamento della governance europea appare indispensabile per far sì che l'unione monetaria, la quale tanti benefici ha già portato all'Italia e agli altri Stati membri, esca rafforzata da questo periodo di difficoltà, così da consentire all'Europa di giocare un ruolo forte nell'economia mondiale, al fine di accrescere


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il benessere delle generazioni attuali e future.
In questa fase, le aspettative relative alla serietà e alla sostenibilità dello sforzo di risanamento giocano un ruolo essenziale nel determinare o pregiudicare il successo dell'operazione. A titolo esemplificativo, ricordo che l'approvazione del decreto-legge da parte del Consiglio dei Ministri, la scorsa domenica, ha favorito, il giorno successivo, il calo di 8 decimi di punto del differenziale tra titoli di Stato decennali italiani e tedeschi sul mercato secondario, che tuttavia è rimasto estremamente volatile. A tale proposito, occorre considerare, avendo riguardo all'ordine di grandezza, che un punto percentuale di interessi in più o in meno, a regime sullo stock di debito, varrebbe 19 miliardi di euro l'anno, circa l'80 per cento delle maggiori entrate previste con la manovra. Di conseguenza, ogni valutazione sul decreto-legge andrebbe svolta tenendo conto dello scenario che si sarebbe determinato ove tale provvedimento non fosse stato adottato, specialmente in termini di incertezza degli operatori. Infatti, un prolungamento delle tensioni sui mercati finanziari - o, peggio, un vero e proprio avvitamento della situazione - avrebbe causato effetti macroeconomici negativi estremamente più ampi di quelli potenzialmente determinati dalle misure in discussione.
Nel mio intervento esporrò, in primo luogo, un aggiornamento sulla congiuntura economica rispetto all'audizione già svoltasi presso queste Commissioni poco più di un mese fa. Mi soffermerò, di seguito, sulle caratteristiche generali della manovra e su alcuni temi specifici. Con riferimento alle questioni affrontate, consegnerò alcuni allegati nei quali è contenuta una selezione di informazioni statistiche e di materiali tratti dalle pubblicazioni più recenti dell'Istituto.
Per ciò che concerne il quadro macroeconomico, gli indicatori più recenti riferiti alla congiuntura internazionale confermano la netta decelerazione in atto della dinamica economica mondiale. Le previsioni sono nel senso di un ulteriore rallentamento fino alla metà del 2012. Le determinanti più rilevanti di tale andamento e gli elementi di rischio a medio termine riguardano: negli Stati Uniti, l'impostazione della politica fiscale e gli ostacoli alla definizione di un accordo condiviso sulla riduzione del deficit federale; in Europa, l'evoluzione della crisi di fiducia sui debiti sovrani. In ragione della forte dipendenza dall'export verso i Paesi avanzati, questi aspetti impattano direttamente sulle prospettive di crescita dei Paesi emergenti e del Giappone, che ha già subito un forte rallentamento nell'attività manifatturiera per la distruzione della supply chain, particolarmente nel settore automobilistico, in conseguenza del terremoto di marzo.
Nell'area dell'euro i segnali di indebolimento dalla congiuntura si sono moltiplicati, e a partire dall'inizio dell'autunno gli indicatori anticipatori hanno mostrato un significativo peggioramento. A settembre, dopo due mesi di risalita, l'indice della produzione industriale nell'area dell'euro è diminuito del 2 per cento rispetto al mese precedente ( 1,3 per cento nell'UE). Una riduzione assai più forte (- 6,4 per cento) si è avuta per gli ordinativi industriali. Negativa è stata anche l'evoluzione dell'indice di produzione delle costruzioni, sceso leggermente in agosto e in misura più marcata in settembre (- 1,3 per cento). Gli indicatori relativi al clima di fiducia delle imprese hanno evidenziato nei mesi autunnali, in particolare in ottobre e in novembre, una prosecuzione del deterioramento iniziato nella prima parte dell'anno. A ottobre il tasso di disoccupazione è aumentato di un decimale nell'area dell'euro, risalendo al 10,3 per cento. A novembre l'inflazione è rimasta stabile al 3 per cento nell'area dell'euro. In Italia è rallentata al 3,7 per cento rispetto al 3,8 di ottobre, quando l'indice ha risentito dell'aumento dell'aliquota IVA standard. A ottobre, in Francia, l'inflazione è passata dal 2,4 al 2,5 per cento, mentre in Germania e in Spagna è rimasta stabile, rispettivamente, al 2,9 e al 3 per cento.


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Se osserviamo le tendenze della congiuntura italiana, vediamo chiaramente che nel corso del 2011 l'economia italiana ha segnato una crescita più modesta di quella della media dell'area dell'euro. In particolare, nei primi due trimestri dell'anno, il PIL è aumentato su base congiunturale dello 0,1 e dello 0,3 per cento, trainato esclusivamente dalla componente estera della domanda. La stima relativa al terzo trimestre non è ancora disponibile in quanto si sta completando, come annunciato un anno fa, la ricostruzione dei conti trimestrali connessa alla recente revisione dei dati di contabilità nazionale. Tuttavia, stime basate su modelli econometrici indicano una variazione congiunturale negativa.
I dati disponibili per i mesi più recenti mostrano un significativo peggioramento della congiuntura nell'industria e una maggiore tenuta nel settore dei servizi, con l'importante eccezione del settore commerciale al dettaglio, che subisce una progressiva contrazione del giro d'affari. La produzione industriale ha segnato, a partire da maggio e con la temporanea risalita di agosto, una tendenza discendente. Purtroppo, tale tendenza si è aggravata nel mese di ottobre: infatti, l'indice - abbiamo fornito il dato oggi - è diminuito in termini congiunturali dello 0,4 per cento nel terzo trimestre e poi è ancora sceso dello 0,9 per cento a ottobre, quando è risultato inferiore del 4,2 per cento rispetto al medesimo mese del 2010. I segnali provenienti dall'indicatore del clima di fiducia delle imprese manifatturiere hanno anticipato la discesa dei mesi recenti e si mantengono moderatamente negativi anche per i mesi successivi.
Il comparto delle costruzioni, caratterizzato da un andamento declinante della produzione nella prima parte dell'anno, ha registrato nel terzo trimestre una sostanziale stabilità ( 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente).
Per quel che riguarda l'evoluzione delle attività del terziario, gli indicatori del fatturato dei settori dei servizi relativi al terzo trimestre - anch'essi pubblicati quest'oggi - segnalano una situazione incerta, ma anche caratterizzata da alcuni segnali più favorevoli. Il comparto del commercio all'ingrosso ha presentato una variazione congiunturale del fatturato pressoché nulla (- 0,1 per cento), che ha interrotto la precedente tendenza positiva. Anche per i servizi di informazione e comunicazione si è registrata una lieve diminuzione. Il fatturato delle attività dei trasporti è, invece, cresciuto, con un aumento congiunturale particolarmente marcato per i trasporti aerei ( 3 per cento) e modesto per quelli marittimi ( 0,3 per cento). Un aumento significativo ha riguardato anche i servizi postali e di corriere.
Un'indicazione decisamente negativa proviene dall'evoluzione delle vendite al dettaglio, che, dopo essere scese lentamente nella prima parte dell'anno, hanno mostrato negli ultimi mesi un'accentuazione della tendenza, con un calo congiunturale dello 0,6 per cento nel terzo trimestre. La contrazione, che ha riguardato in particolare la componente non alimentare, costituisce un ulteriore segnale di debolezza dei consumi.
Per quanto riguarda le esportazioni, a settembre si sono registrati un aumento tendenziale del 10,3 per cento e uno congiunturale del 2 per cento: il recupero dell'export è stato fin qui sostenuto dai mercati extra-UE. Questo andamento è confermato dalle prime informazioni disponibili per ottobre, che segnalano un rallentamento della dinamica dell'export rispetto alla prima parte dell'anno; difatti, in ottobre c'è stato un calo del 5,1 per cento su base congiunturale delle esportazioni verso i Paesi extra-UE.
Nei mesi più recenti, il mercato del lavoro è stato caratterizzato da una situazione di relativa debolezza, dopo il recupero realizzato dalla fine del 2010. A ottobre gli occupati e il tasso di occupazione sono rimasti stabili rispetto a settembre. Il tasso di disoccupazione, invece, è salito all'8,5 per cento, 2 decimi in più rispetto a settembre e mezzo punto in più rispetto a giugno, mentre la disoccupazione giovanile si è attestata al 29,2 per cento, cioè 10 punti in più rispetto al minimo


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di febbraio 2007 e 7 punti in più rispetto alla media dell'Unione europea.
A settembre e ottobre le ore totali autorizzate per la cassa integrazione sono rimaste sugli stessi livelli di giugno e luglio. L'evoluzione dell'occupazione ha continuato a essere contrassegnata da un'espansione delle tipologie occupazionali non-standard e da una contrazione del lavoro dipendente a tempo indeterminato.
A fronte di una sostanziale stabilità del reddito disponibile e di un calo del potere d'acquisto, negli ultimi trimestri la spesa reale delle famiglie è risultata in costante, seppur marginale, aumento. Ciò ha determinato un'ulteriore flessione della propensione al risparmio, che nel secondo trimestre 2011 è scesa a un livello dell'11,3 per cento, inferiore di circa un punto rispetto a fine 2010 e di 4,5 punti rispetto ai valori precedenti la crisi. A novembre il clima di fiducia dei consumatori ha segnato un recupero rispetto alla pesante caduta verificatasi nei mesi di settembre e ottobre, riportandosi sui livelli di agosto.
La dinamica dei prezzi al consumo ha manifestato, a partire dall'inizio all'anno, un profilo tendenziale in significativa accelerazione, dovuta all'impulso derivante dai rincari del petrolio e delle materie prime agricole e alimentari. L'indice generale dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale, che nella media del 2010 aveva fatto registrare un aumento dell'1,5 per cento rispetto al 2009, nel primo trimestre 2011 ha evidenziato una crescita tendenziale del 2,3 per cento, salita al 2,8 per cento nel corso dei due trimestri successivi. A ottobre il tasso di inflazione, misurato in ragione d'anno, è ulteriormente aumentato, salendo al 3,4 per cento. La stima provvisoria dell'inflazione di novembre ha registrato la prima riduzione da 15 mesi in termini tendenziali, scendendo dal 3,4 al 3,3 per cento.
L'andamento dei prezzi in Italia è risultato in linea con quello medio della zona dell'euro fino all'estate, mentre da settembre si è riaperto un divario inflazionistico a nostro sfavore. Il divario nell'andamento dei prezzi riguarda tutti i principali raggruppamenti, a eccezione dei beni alimentari, per i quali l'evoluzione è risultata più moderata nel nostro Paese. Negli ultimi due mesi, ottobre e novembre, c'è stato l'impatto dell'intervento sull'IVA, di cui riferirò tra breve.
La dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è rimasta stabile in ottobre all'1,7 per cento, con un divario forte rispetto all'andamento dell'inflazione.
Per quanto riguarda gli aspetti territoriali, avendo riguardo alle imprese manifatturiere, il leggero recupero, a novembre, del clima di fiducia riflette un miglioramento sostanziale dei saldi delle risposte tra le imprese del Nord-est. Nelle altre ripartizioni, invece, sono rimaste stabili, o sono migliorate, le attese di produzione, ma si è registrato un calo per i giudizi sugli ordini.
Per le imprese di servizi, l'evoluzione del clima di fiducia negli ultimi mesi si è mantenuta negativa in tutte le ripartizioni territoriali, a eccezione del Centro. A novembre il deterioramento è stato marcato nel Nord-est e soprattutto nel Mezzogiorno. Nella prima parte dell'anno il recupero delle esportazioni si è rafforzato in tutte le ripartizioni territoriali, con tassi di crescita tendenziali nell'ordine del 15 per cento. Sicilia e Sardegna hanno registrato una crescita di oltre il 20 per cento, strettamente legata ai prodotti energetici, in cui è presente un rilevante effetto di prezzo.
Aggiungo qualche dato di fonte Cerved.
Le nuove sofferenze rispetto agli stock degli impieghi, nel 2010 e nella prima parte del 2011, si sono mantenute sopra il 3 per cento nel Mezzogiorno e il 2,7 al Centro, mentre sono diminuite dal 2,3 al 2,2 per cento nel Nord-ovest e sono rimaste intorno al 2,1 per cento nel Nord-est.
In Italia, è fortemente sbilanciata la distribuzione delle imprese protestate, che si trovano per circa il 40 per cento nel Mezzogiorno. Per ciò che riguarda i fallimenti, nei primi nove mesi del 2011 c'è un deciso rallentamento: il valore è sceso al 6,6 per cento, dopo un incremento superiore al 20 per cento nel 2010. L'aumento


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dei fallimenti nel corso del 2011 è più moderato nel Nord-est, mentre supera il 10 per cento nelle altre ripartizioni, con forti differenze regionali.
Nel secondo trimestre del 2011 il numero degli occupati (23,1 milioni) è aumentato dello 0,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010, con una crescita leggermente superiore nel Mezzogiorno e una stabilità al Centro. Nel confronto con il secondo trimestre 2008, il livello dell'occupazione resta del 2,1 per cento inferiore a livello nazionale, ma inferiore di oltre il 5 per cento nel Mezzogiorno, contro il -1,5 per cento del Nord (e un aumento dello 0,4 per cento al Centro).
Veniamo alla valutazione e ad alcune informazioni sulle misure previste nel decreto-legge.
Prima di passare alla disamina del provvedimento, vorrei segnalare ancora una volta l'opportunità che il dibattito su questi aspetti sia sostenuto da analisi approfondite, volte alla valutazione ex ante ed ex post delle politiche. In proposito, ferma restando l'urgenza con cui talune misure - come quelle in discussione oggi - sono adottate, sarebbe opportuno riflettere su come dotare il Paese di una sede indipendente, sul modello del Government Accountability Office americano, deputata a svolgere questo tipo di analisi, eventualmente con l'aiuto delle istituzioni (ISTAT, Banca d'Italia e altri) in possesso di informazioni e competenze utili a tal fine. La proposta di costituire un fiscal council, recentemente avanzata nell'ambito della discussione sulla riforma dell'articolo 81 dalla Costituzione, risponde solo parzialmente a tale esigenza - peraltro, avvertita non solo dal Parlamento nazionale, ma anche dalle autonomie locali -, in quanto la valutazione delle politiche deve anche ricomprendere gli aspetti sostanziali degli interventi e non solo quelli di carattere finanziario.
L'entità attesa dell'impatto della manovra sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è quantificata in circa 20 miliardi di euro per il 2012 e in poco più di 21 miliardi di euro nel 2013 e nel 2014, per un totale di 63 miliardi di euro nel triennio. L'impianto dei provvedimenti prevede maggiori entrate per circa il 70 per cento del totale e minori spese per poco meno del 30 per cento. Questi valori percentuali variano sensibilmente nel tempo. Infatti, il peso delle entrate sul totale scende dall'89 per cento del 2012 fino al 56 per cento nel 2014.
Tra le entrate, la voce di gran lunga più rilevante è il gettito dell'IMU (circa 33 miliardi), seguita dalle accise (oltre 20 miliardi in totale). Dall'imposta di bollo sulle attività scudate sono attesi 2,2 miliardi nel triennio e, infine, dalla tassazione dei beni di lusso un gettito complessivo di 1,3 miliardi di euro. Tra le spese, la mancata indicizzazione delle pensioni nel triennio comporterebbe una minore erogazione per oltre 17 miliardi e un risparmio di quasi 13 miliardi al netto del mancato gettito fiscale. Sempre in ambito previdenziale, 4 miliardi di euro di risparmi sono attesi dalla revisione del sistema pensionistico. Il risparmio diretto atteso dalla riduzione dei costi degli apparati pubblici sarebbe, invece, di 170 milioni di euro nel triennio.
Tra gli interventi per lo sviluppo prevalgono decisamente gli stanziamenti rivolti direttamente alle imprese, che ammontano a circa 13,5 miliardi di euro nel triennio, di cui 5,3 miliardi di euro per la deducibilità del rendimento del capitale proprio (il cosiddetto ACE, aiuto alla crescita economica), 5,4 miliardi di euro per la deducibilità dell'IRAP sulla quota del lavoro nell'IRES e nell'IRE e ulteriori 2,8 miliardi di euro per la deducibilità IRAP a fronte dell'assunzione di giovani e donne.
In termini inevitabilmente sintetici e imprecisi, attesa la ristrettezza del tempo disponibile per preparare l'audizione, desidero proporre alcune considerazioni in merito alle diverse prospettive da cui può valutarsi l'insieme dei provvedimenti recati dal decreto-legge n. 201 del 2011.
Il primo punto di vista riguarda l'adeguatezza complessiva dell'aggiustamento rispetto agli obiettivi di stabilizzazione finanziaria (quello che il Presidente del Consiglio ha definito «rigore»).


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Ebbene, alla luce delle conoscenze attuali, la manovra può essere considerata senz'altro congrua nei saldi previsti. Inoltre, è importante che le misure sottostanti le singole poste presentino, quasi tutte, un grado di aleatorietà ridotto (le poche eccezioni riguardano, ad esempio, l'imposta di bollo sui capitali scudati). In più, i provvedimenti hanno natura strutturale, esplicando i loro effetti anche oltre il breve periodo o addirittura amplificandoli nel caso degli interventi in ambito previdenziale. Queste ragioni contribuiscono a spiegare, almeno in parte, la reazione finora favorevole mostrata dai mercati, anche rispetto alle manovre precedenti.
Una seconda prospettiva possibile riguarda l'efficacia dell'insieme delle misure di risanamento e promozione della crescita.
In questo caso, la valutazione deve essere necessariamente più prudente. Peraltro, va notato che la manovra interviene in un momento nel quale il sistema economico appare già in netto rallentamento, e probabilmente avviato verso una fase recessiva. La preoccupazione è che un mix sbilanciato dal lato delle entrate - come quello che l'attuale manovra presenta, soprattutto per il 2012 - tenda ad avere un impatto complessivamente sfavorevole in termini di crescita.
Per una valutazione complessiva sarebbe necessario guardare ai singoli provvedimenti; tuttavia, la ristrettezza del tempo disponibile per preparare l'audizione mi obbliga a concentrarmi solo su alcuni di essi.
Tra i provvedimenti con effetti ridotti sui consumi e la crescita, dal lato delle entrate, possono essere annoverate le misure di cui agli articoli 16, 19, 20 e 24, che colpiscono in maniera abbastanza selettiva i ceti più abbienti. Dal lato della spesa, un impatto ridotto dovrebbe avere pure la revisione del sistema pensionistico, con un risparmio previsto di circa 4 miliardi di euro nel triennio. Insieme, queste misure dovrebbero contribuire per circa 2,8 miliardi di euro alla riduzione del fabbisogno nel 2012. Un impatto mediato dalla capacità di gestione delle amministrazioni è anche quello dei tagli agli enti locali, che, però, determinerà i suoi effetti in maniera progressiva nel tempo.
Altre misure hanno, invece, un carattere inevitabilmente restrittivo, tra cui il blocco dell'indicizzazione di una parte delle pensioni, l'aumento delle accise sui carburanti, quello eventuale delle aliquote IVA e, in parte, l'IMU. Inoltre, l'aumento delle accise e l'IMU esercitano i loro effetti nel breve periodo, già caratterizzato - come ho ricordato - dalla debolezza della domanda interna e internazionale.
Come si vedrà meglio successivamente, l'effetto restrittivo di queste ultime misure potrebbe essere assai meno che proporzionale all'entità dell'aggiustamento. Né va trascurato l'impatto positivo delle misure di sostegno alla crescita. Queste, infatti, rivolte prevalentemente alle imprese e alla mobilitazione dei fondi per i progetti infrastrutturali, sono caratterizzate da un effetto volano potenzialmente elevato, attraverso gli investimenti e l'occupazione.
Un'ulteriore prospettiva è quella dell'equità, che, a sua volta, può essere declinata sotto il profilo puramente distributivo, considerando la partecipazione allo sforzo, ovvero dal punto di vista intergenerazionale. Una valutazione complessiva della manovra in termini distributivi non è possibile, neppure in termini approssimati. Infatti il complesso dei provvedimenti previsti è stratificato e, spesso, ambivalente. Vi sono diverse tutele, ad esempio, per le fasce deboli, come la soglia di esenzione per la deindicizzazione delle pensioni o la detrazione per l'IMU, cui astrattamente potrebbero contrapporsi alcuni dei provvedimenti di incentivazione alle imprese.
Alla complessità dei provvedimenti corrisponde una relativa ampiezza della distribuzione dello sforzo tra le diverse categorie professionali e classi sociali. Nella direzione dell'equità vanno anche i provvedimenti sull'emersione e sulla trasparenza, i quali, pur non considerati quantitativamente nella relazione tecnica, dovrebbero favorire il raggiungimento degli obiettivi ambiziosi per il recupero dell'evasione fissati con le manovre precedenti,


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che non avevano avuto una corrispondente implementazione normativa.
Infine, una valutazione complessivamente positiva può esprimersi riguardo alla distribuzione del carico tra le generazioni, contenuta in alcuni provvedimenti. La revisione del sistema pensionistico e la parziale deindicizzazione delle pensioni costituiscono, infatti, una forma diretta di perequazione rispetto ai contributi effettivamente versati e, intervenendo ora, evitano di gravare, come già in passato, sulle generazioni future.
D'altra parte, l'aumento dell'imposizione rischia di aggravare la condizione economica delle famiglie che già segnavano problemi nel fronteggiare spese impreviste. In particolare, le famiglie che, nel 2010, hanno dichiarato di avere difficoltà a sostenere una spesa imprevista di 800 euro sono il 33,6 per cento del totale (8,5 milioni circa). La quota sale al 61,4 per cento tra le famiglie a rischio di povertà, per un totale di 2,9 milioni di famiglie. All'interno di queste ultime, la difficoltà è più marcata tra quelle residenti nel Sud e nelle isole (rispettivamente, 64 e 74 per cento), tra quelle con 5 o più componenti (72 per cento), con almeno 3 figli (67,7 per cento) anche minori (68,5 per cento, se i minori sono tre o più), e tra le famiglie con a capo un lavoratore dipendente (68,4 per cento). Più contenuta è la quota di famiglie con anziani (59,5 per cento) - che vivano sia da soli (59,2 per cento) sia in coppia (51,5 per cento) - in tale condizione.
Veniamo, adesso, all'IMU.
L'articolo 13 del decreto-legge in esame anticipa l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), in via sperimentale, al 1o gennaio 2012, estendendone l'applicazione all'abitazione principale. Contemporaneamente, le rendite catastali sono rivalutate secondo percentuali diverse a seconda delle categorie di immobile. Le aliquota di base applicate sono differenziate per l'abitazione principale e per le abitazioni a uso diverso, con margini di manovra in aumento e in diminuzione da parte dei comuni.
In primo luogo, per quanto riguarda l'effetto del provvedimento sulla finanza comunale, nel periodo transitorio viene attribuita allo Stato la metà del gettito che si ottiene applicando l'aliquota di riferimento alla base imponibile di tutti gli immobili, a eccezione dell'abitazione principale. In tale periodo, quindi, il maggior gettito che affluisce ai comuni rispetto a quello derivante dalle imposte soppresse è stimato ufficialmente in circa 2 miliardi di euro. Applicando tale importo alle entrate fiscali delle amministrazioni locali nell'anno 2010, si determinerebbe un aumento del grado di autonomia impositiva pari a 0,9 punti percentuali, passando dall'attuale 40,2 a circa il 41,2 per cento. Ove ai Comuni fosse attribuito l'intero gettito della nuova imposta, il loro grado di autonomia impositiva salirebbe fino a oltre il 45 per cento.
In Italia, le famiglie proprietarie o usufruttuarie di un'abitazione sono quasi 18 milioni, pari a circa il 71 per cento delle famiglie residenti. Mentre tra le famiglie non a rischio di povertà la quota di proprietari è del 75 per cento circa, tra quelle «a rischio» la quota scende al 56,4 per cento, e si riduce ulteriormente, al 47,4 per cento, nel caso in cui i componenti siano 5 o più. Tra le famiglie a rischio di povertà, quelle che hanno come fonte principale la pensione o trasferimenti pubblici sono proprietarie di alloggio nel 69,4 per cento dei casi. Si tratta di circa 1.600.000 famiglie, rispetto alle quali il pagamento dell'imposta sugli immobili può aumentare ulteriormente il rischio di povertà. Tra le famiglie proprietarie o usufruttuarie dell'abitazione di residenza, infatti, 1.051.000 rientrano tra quelle che dichiarano di avere difficoltà a sostenere una spesa imprevista di 800 euro; quasi 800.000 non rientrano tra quelle attualmente considerate a rischio di povertà, e 271.000 sono già in condizione di rischio.
In termini più generali, il ciclo di vita è fortemente associato alla diffusione della proprietà o dell'usufrutto dell'abitazione. In particolare, a parità di livello di reddito familiare, specialmente tra quelle povere, le famiglie di e con anziani mostrano


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percentuali di proprietà dell'abitazione decisamente più elevate rispetto alle famiglie di giovani o a quelle con figli minori.
Il 22 per cento delle famiglie residenti - circa 5.700.000 - è proprietario di fabbricati o terreni diversi dall'abitazione principale. Ancora una volta, la quota è minore tra le famiglie povere e maggiore tra quelle non povere. Complessivamente, il 10,3 per cento è proprietario di un'abitazione secondaria, mentre solo l'1,1 per cento gode della proprietà di almeno due abitazioni secondarie. Tra le famiglie proprietarie di almeno un'abitazione secondaria, un quinto è rappresentato da coppie di anziani e un ulteriore 20,3 per cento da coppie con un solo figlio.
In conclusione, l'imposizione sull'abitazione principale esercita, a parità di altre condizioni, un effetto redistributivo a sfavore delle generazioni anziane e delle famiglie non a rischio di povertà. Parallelamente, un'imposizione sulle seconde abitazioni colpisce maggiormente i percettori di redditi da capitale e da lavoro autonomo, nonché le famiglie non a rischio di povertà. In complesso, però, l'elevata quota di famiglie a rischio di povertà proprietarie dell'abitazione principale rende evidente l'impatto dell'imposizione sui soggetti più deboli. In questo caso, l'effetto maggiore viene esercitato sulle famiglie di anziani.
Per ciò che concerne l'aumento delle aliquote IVA, presentiamo alcuni dati relativi all'effetto che l'aumento dal 20 al 21 per cento ha già esercitato sui prezzi nei mesi di ottobre e novembre.
In particolare, il mese di ottobre è stato caratterizzato dall'accelerazione della crescita dei prezzi al consumo per quasi tutte le tipologie di beni e servizi. Su questi andamenti ha influito anche la manovra finanziaria di agosto. Il peso dei prodotti su cui grava l'IVA ordinaria, e dunque interessati dal predetto provvedimento, è pari al 47,8 per cento del paniere dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale (NIC), con forte differenziazione per divisione di spesa. Ebbene, a ottobre, i prezzi dei prodotti a IVA ordinaria sono aumentati, nel complesso, dell'1 per cento rispetto al mese precedente, mentre i prezzi degli altri prodotti hanno fatto registrare una crescita dello 0,1 per cento.
Tuttavia, la dinamica congiunturale dei prezzi dei prodotti a IVA ordinaria risulta - questo è un punto che desidero sottolineare - notevolmente influenzata dai forti rialzi registrati per alcuni prodotti, soltanto marginalmente attribuibili all'effetto dell'aumento dell'aliquota. Mi riferisco, in special modo, agli incrementi dei prezzi dei tabacchi ( 4,5 per cento), del gas naturale ( 4,8 per cento) e del gasolio per mezzi di trasporto ( 1,7 per cento), che spiegano, nell'insieme, circa la metà della variazione su base mensile dell'indice dei prezzi dei prodotti a IVA ordinaria. A novembre, peraltro, si sono attenuate le tensioni sui prezzi dei prodotti a IVA ordinaria, il cui tasso di crescita congiunturale scende allo 0,2 per cento. Per contro, i prezzi che beneficiano delle aliquote ridotte registrano una flessione su base mensile dello 0,2 per cento.
Per analizzare meglio questi dati abbiamo condotto una dettagliata analisi su circa 240.000 quotazioni di prezzo. In particolare, considerando il periodo che va dal 17 settembre a tutto il mese di novembre 2011 - ben due mesi e mezzo -, il trasferimento sui prezzi finali dell'incremento dell'aliquota IVA dal 20 al 21 per cento ha coinvolto poco più di un quarto delle quotazioni di prezzo osservate. Anche a novembre 2011 la distribuzione delle variazioni mensili di prezzo dei singoli prodotti risulta addensata nell'intorno della crescita attesa a seguito dell'aumento dell'aliquota, seppure in misura molto meno marcata di quanto sia stato registrato fino al mese di ottobre. In conclusione, queste analisi mostrano - al contrario di quello che poteva apparire dall'analisi basata sui macrodati - l'impatto relativamente limitato dell'aumento dell'IVA sull'indice complessivo dei prezzi al consumo, probabilmente a causa delle particolari condizioni di debolezza della domanda interna, in particolare dei consumi delle famiglie.


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Per ciò che riguarda il blocco dell'indicizzazione delle pensioni, l'indagine EU-SILC sui redditi e sulle condizioni di vita consente di offrire alcune indicazioni sulla platea di cittadini toccata dagli effetti della deindicizzazione delle pensioni.
Secondo i dati riferiti al 2009 del casellario centrale dei pensionati, la soglia per l'indicizzazione prevista dal decreto, calcolata in 915,52 euro mensili, cioè pari al doppio del trattamento minimo vigente nel 2009 - non di quello vigente oggi - garantirebbe il mantenimento del meccanismo perequativo per 7,7 milioni di pensionati (il 46 per cento), che per due terzi hanno più di 64 anni, in maggioranza sono donne e nel 36 per cento dei casi risiedono nel Mezzogiorno (a fronte di un'incidenza complessiva sul totale dei trattamenti del 30,5 per cento).
Dalle stime dell'indagine, le pensioni fino a 915,52 euro rappresentano in media il 27,3 per cento del reddito totale delle famiglie con pensionati. Questo contributo sale, però, all'85 per cento per i pensionati anziani che vivono soli. Secondo i parametri europei di povertà relativa, ricadono in questa categoria il 29,8 per cento dei percettori di una pensione inferiore a 915,52 euro, per un totale di quasi 2,3 milioni di pensionati. Per converso, il valore soglia identificato garantirebbe l'indicizzazione all'89,7 per cento dei pensionati a rischio di povertà.
Nei prossimi anni la quota dei pensionati poveri è verosimilmente destinata a crescere, a seguito dell'impatto congiunto delle misure di questa e delle manovre precedenti, nonostante l'indicizzazione. D'altro canto, un'eventuale estensione dell'indicizzazione fino a 1.200 euro lordi mensili consentirebbe di tutelare un ulteriore 6,5 per cento dei pensionati a rischio di povertà.
Veniamo, ora, all'ACE e alla detraibilità della quota del lavoro IRAP. Al riguardo, si osserva come il provvedimento in discussione vada a correggere uno storico squilibrio nel sistema tributario, rendendo il prelievo più neutrale rispetto alle scelte finanziarie delle imprese, attraverso la rimozione dei disincentivi fiscali alla capitalizzazione, e agevolando un processo di rafforzamento patrimoniale e di ristrutturazione del sistema delle imprese italiane, che presenta una quota di piccole e piccolissime imprese assolutamente straordinaria rispetto agli altri Paesi. Il riequilibrio del trattamento fiscale e delle forme di finanziamento, inoltre, è attuato su base incrementale, in modo da incentivare i comportamenti delle imprese e, al contempo, minimizzare la perdita di gettito.
Il secondo intervento dispone la deducibilità integrale, ai fini delle imposte dirette, della quota di base imponibile IRAP relativa al costo del lavoro e una maggiorazione della deduzione prevista a fini IRAP per i contratti di lavoro a tempo indeterminato, rivolta in particolare alle donne e ai giovani nel settore privato. Anche in questo caso, l'indirizzo dell'intervento è valutabile positivamente, poiché esso mira al riequilibro del cuneo fiscale sul costo del lavoro (in Italia tra i più elevati dei Paesi OCSE) e, al tempo stesso, a favorire la creazione di occupazione per le donne e i giovani, che rappresentano le componenti più svantaggiate sul mercato del lavoro.
Infine, vorrei proporre alcune brevi considerazioni in merito alle misure per il contrasto all'evasione fiscale.
Come forse ricorderete, ho avuto l'onore di presiedere il Gruppo di lavoro sull'economia non osservata e i flussi finanziari, nominato dal Ministro dell'economia e delle finanze ai fini della riforma fiscale e assistenziale. A tale proposito, vorrei esprimere la mia soddisfazione per avere ritrovato nel testo del decreto-legge in esame svariate indicazioni contenute nel Rapporto finale del Gruppo di lavoro. Mi riferisco, in particolare, al rafforzamento degli strumenti di indagine per i contribuenti non congrui agli studi di settore, contemperato da misure di incentivazione per i contribuenti che mettano volontariamente a disposizione dell'amministrazione informazioni per le verifiche (articoli 10 e 11), nonché ai limiti all'uso del contante e alla non trasferibilità degli assegni, alle misure per incentivare l'uso della moneta elettronica con il concorso


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del sistema bancario, rendendolo cogente per alcune transazioni tra cittadini e pubbliche amministrazioni (articolo 12).
Rinviando, per una trattazione compiuta, al testo dell'anzidetto rapporto, vorrei segnalare ulteriori elementi che ritengo possano favorire l'attività di contrasto all'evasione, il miglioramento della compliance fiscale e contributiva e, insieme, del rapporto tra cittadini e amministrazione. Tra questi, si suggerisce che l'amministrazione fiscale, con il concorso dell'ISTAT, della Banca d'Italia e di centri di studi specializzati in materia, realizzi e renda pubblica, con cadenza annuale, una stima ufficiale dell'evasione, attualmente lasciata a tentativi parziali o di qualità insufficiente. Una tale valutazione diventerebbe il punto di riferimento per eventuali assegnazioni ad altri obiettivi (quali la riduzione delle aliquote legali) dei futuri proventi derivanti dalla lotta all'evasione.
Dal punto di vista dell'azione di contrasto, ricordo che il tema della revisione degli studi di settore non viene direttamente affrontato nel decreto-legge, mentre nel disegno di legge delega per la riforma fiscale e assistenziale esso è trattato con riferimento alla loro semplificazione, segnalando unicamente che «gli effetti non dovrebbero essere peggiorativi». Al riguardo, vorrei segnalare come il citato Gruppo di lavoro abbia raccomandato, al contrario, un potenziamento dello strumento, tramite ulteriori affinamenti nelle tecniche, la revisione dell'approccio di clustering e l'eventuale affiancamento di esperti indipendenti ai tecnici della Sose Spa, nonché, per le attività non soggette a studi di settore, la sostituzione dei parametri con una metodologia di stima più evoluta e aggiornata. Si raccomanda, inoltre, che i risultati delle azioni di accertamento vengano utilizzati nel quadro delle revisioni periodiche degli strumenti e, viceversa, che le modifiche negli strumenti siano tempestivamente recepite all'atto della rimodulazione dei piani di accertamento.
Sul terreno delle riforme - e concludo -, per rendere più agevole e meno onerosa la compliance e ridurre il contenzioso, si è registrato un consenso generale, tra tutte le istituzioni che hanno partecipato ai lavori del Gruppo da me presieduto, sui criteri di semplificazione, razionalizzazione e stabilizzazione del quadro normativo. È stato suggerito, in particolare: di diminuire i margini di discrezionalità dei singoli Governi nel varare condoni in materia fiscale e contributiva, che si ritiene abbiano avuto un effetto negativo sul gettito complessivo, sulla pace fiscale tra le categorie di contribuenti e sulla fedeltà al fisco; di ridurre il numero di partite IVA, con specifico riferimento all'agricoltura e al lavoro parasubordinato, e di spostare parzialmente gli adempimenti in materia IVA dalla vendita al dettaglio a quella all'ingrosso; di considerare l'opportunità di estendere, nelle aree di maggiore evasione e ritenute più promettenti in base all'analisi dell'Agenzia delle entrate, il contrasto di interessi, già sperimentato con successo per le ristrutturazioni edilizie, introducendo norme di affiancamento che ne aumentino l'efficacia. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROLANDO NANNICINI. Innanzitutto, ringrazio il presidente Giovannini per le considerazioni che ha svolto e per le informazioni che ci ha fornito in merito agli effetti della manovra.
In una fase nella quale è oggetto di particolare attenzione il tema del rapporto tra i bilanci dello Stato, degli enti locali e degli enti di previdenza, desidero soffermarmi sul conto economico delle amministrazioni locali, nello schema semplificato a due sezioni, di cui alla Tavola 3 della parte terza del documento denominato «Allegato statistico», integrata dalle Tavole 6, 7 e 8 per quanto riguarda, rispettivamente, le amministrazioni regionali, provinciali e comunali.
Ebbene, se operiamo un semplice calcolo, ci accorgiamo che qualcosa non torna. In particolare, se nel conto economico delle amministrazioni locali devono essere compresi, come sembra, anche le


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camere di commercio, i policlinici universitari, i parchi e gli altri enti economici locali, sarebbe interessante conoscere anche in quale misura incidano i conti di tali enti - dieci o dodici miliardi di euro, a seconda degli anni - sulle spese complessive del sottosettore.
Il dibattito in atto sui costi della politica ha condotto ad escludere, giustamente, ogni forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza per la titolarità di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione (anche le circoscrizioni di decentramento comunale, con le varie denominazioni a queste attribuite dai singoli statuti: quartieri, municipi, zone e via dicendo), ma non disponiamo di un conto economico di tale comparto, separato da quello delle amministrazioni locali, che invece dovremmo avere in base al Sistema europeo di conti economici integrati (SEC95).
Più che una domanda, rivolgo una preghiera. Ho già polemizzato con Tremonti quando questi ha spiegato perché fosse diventato storto l'albero della finanza pubblica italiana, e come intendesse raddrizzarlo. L'ex Ministro affermava, lo scorso anno, che la spesa complessiva delle amministrazioni locali ammontava, nel 2009, a circa 255 miliardi di euro. Io gli facevo notare che, se 114 miliardi di euro corrispondevano a trasferimenti correnti alle ASL, la capacità di spesa discrezionale delle regioni era pari a circa 46 miliardi di euro. Tremonti sosteneva, inoltre, che per le province vi erano 12,8 miliardi di euro, ma poi abbiamo sentito dire, in televisione, che la soppressione di tali enti locali avrebbe comportato risparmi per 18 miliardi di euro. Com'è possibile, se non li spendono?
Insomma, per avere dati statistici completi, bisognerebbe conoscere, oltre a quelli di comuni, province e regioni, anche i conti economici di camere di commercio, parchi, policlinici universitari e altri enti, che, sommati ai primi, portano la spesa complessiva del sottosettore delle amministrazioni locali al predetto ammontare di 255 miliardi di euro (per la verità, non avrei neanche indicato una cifra precisa, perché si vede benissimo che i conti non tornano).
Poiché l'Istituto mostra una cura particolare nell'elaborazione dei dati della contabilità nazionale, e fornisce pregiatissime informazioni, vi pregherei di fare luce su ciò che, al momento, non possiamo vedere, ma che, come amministratori della cosa pubblica, dovremmo iniziare a considerare con maggiore attenzione, in termini sia di cifre, sia di possibilità di spesa.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio il presidente Giovannini, anche a nome del gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori.
Se non sbaglio, professor Giovannini, lei presiede la Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia-Europa, cui il decreto-legge n. 98 del 2011 ha attribuito il compito di provvedere alla ricognizione e all'individuazione della media ponderata, rispetto al PIL, dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi nei sei principali Stati dell'Area Euro. Ciò in quanto, ai sensi del medesimo decreto-legge, il trattamento economico dei titolari di cariche elettive, dei titolari degli incarichi di vertice nelle Amministrazioni centrali dello Stato, nonché dei vertici e componenti degli organismi, enti o istituzioni non potrà superare tale media.
La prima domanda che desidero porle è, pertanto, la seguente: chi percepisce pensioni o stipendi «d'oro» può ricevere ulteriori emolumenti dalla pubblica amministrazione? Oggi si parla molto della «casta», la quale riesce spesso, molto abilmente, a scaricare sui più deboli il costo dei propri vizi, difetti e privilegi. Per esempio, se due vicesegretari generali della Camera dei deputati percepiscono già, in seguito al loro collocamento in quiescenza, una pensione «d'oro», possono percepire, una volta nominati consiglieri di Stato, un trattamento economico altrettanto importante, cumulando fiumi di denaro provenienti pur sempre dalle casse dell'erario, a scapito di due persone più giovani?
Mi permetta di rivolgerle un'altra domanda, professore. Poco fa abbiamo ascoltato


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in audizione i rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL. Ebbene, il segretario generale della CGIL, Susanna Camusso, ha affermato - avvalorando, peraltro, quanto avevo sentito dire anche da altri - che la spesa pensionistica italiana è in linea con quella degli altri Paesi europei, e appare più elevata soltanto perché in essa sono compresi il TFR, le spese per l'assistenza, per il welfare e quant'altro.
Le rivolgo, allora, una preghiera, a nome del gruppo Italia dei Valori. Potremmo conoscere i dati analitici veritieri, ricavati scorporando le altre spese, una per una, dalla spesa per i trattamenti pensionistici? Vorremmo sapere, cioè, in quale misura incidano effettivamente sul PIL, distintamente considerate, la spesa pensionistica, il TFR e le altre spese assistenziali. In questo modo si eviterebbe di fornire pretesti a coloro che «aggrediscono» i poveri pensionati, sostenendo che costano troppo. Disponendo di dati più certi, potremmo dimostrare come siano basati su dati non veritieri gli attacchi che molti compiono nei confronti dei pensionati.
Desidero porle un'ultima domanda, professor Giovannini. A Italia dei Valori risulta che il Gruppo di lavoro sull'economia sommersa e i flussi finanziari, istituito dal Ministero dell'economia e delle finanze in vista della riforma fiscale e assistenziale, e da lei presieduto, abbia formulato alcune proposte interessanti per rendere più efficace il contrasto all'evasione fiscale e al sommerso.
Ebbene, poco più di un'ora fa, in Assemblea, durante il question-time, abbiamo chiesto al Governo se intenda consentire all'Italia di stipulare con la Confederazione Elvetica - come hanno fatto Gran Bretagna e Germania - accordi di cooperazione che contemplino l'applicazione di un'imposta una tantum ai valori mobiliari non tassati nel nostro Paese e collocati presso le banche elvetiche, nonché l'applicazione di un'imposta liberatoria che la Svizzera provvederebbe a riversare annualmente. Ciò consentirebbe di riportare a casa, per così dire, una parte del denaro depositato nei caveau delle banche d'oltralpe - pari a 100-130 miliardi di euro - frutto di evasione fiscale, di attività illecite riconducibili alla criminalità organizzata e via discorrendo. Il Governo, nella persona del Ministro Giarda, ha sostanzialmente fatto orecchie da mercante.
Poiché la manovra in esame ci sembra iniqua, non vorrei essere costretto a cambiare opinione sul Governo, cui ho accordato la mia fiducia a novembre, e a giudicarlo immorale. Mi spiego: un Esecutivo che chiede sacrifici ai pensionati, senza fare nulla per contrastare l'evasione fiscale, è non soltanto iniquo, ma anche immorale.
La manovra economica che stiamo esaminando ha tenuto conto delle proposte formulate dal Gruppo di lavoro?

GUGLIELMO VACCARO. Ringrazio il presidente Giovannini per averci consentito di comprendere l'impatto effettivo della manovra, attraverso una relazione molto puntuale, costellata di riferimenti a grandezze esattamente dimensionate.
Ciò premesso, vorrei soffermarmi su quel passaggio specifico della relazione nel quale si propone di istituire anche in Italia un organismo analogo al Government Accountability Office, il quale costituisce, nell'esperienza statunitense, un punto di riferimento, quasi una Stella polare, sia per la definizione delle manovre e delle politiche economiche, sia per la comprensione della validità delle misure già adottate.
Quanto costerebbe mettere in piedi un ufficio simile in Italia? Pongo questa domanda per avere ulteriori elementi di valutazione, nutrendo già la convinzione che si tratti di una struttura necessaria.
In generale, l'italiano è restio ai controlli, e anche lo Stato, in fondo, si è dovuto impegnare non poco per definire strumenti di verifica delle policy. Per queste ragioni, probabilmente, non siamo mai arrivati a immaginare, in maniera seria e definitiva, l'istituzione di un ufficio analogo al Government Accountability Office. Si parla di spending review, di modifica dall'articolo 81 della Costituzione e via dicendo.


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Quello che ci vorrebbe, però, è un organo come quello statunitense: istituendolo, saremmo in grado di lasciare la navigazione a vista, modalità di lavoro con la quale continuiamo ad affrontare la crisi, e di imprimere finalmente un'accelerazione alle politiche di crescita. In tal modo potremmo risollevare, in particolare, le sorti di un pezzo del Paese sostanzialmente abbandonato a se stesso, ovvero teatro di sperimentazione di politiche la cui efficacia non riusciamo a stimare, nonostante le raccomandazioni comunitarie concernenti le valutazioni ex ante ed ex post.
Chiedo, quindi, di vagliare in maniera più approfondita l'idea di istituire anche in Italia un organismo con gli stessi compiti del Government Accountability Office statunitense. Potremmo presentare - probabilmente, soltanto a scopo di prima «esercitazione» - un'apposita proposta emendativa al decreto-legge in esame, per elaborare, in seguito, una più articolata proposta di legge, in modo da consentire al Parlamento di valutare compiutamente un'opzione che, a mio avviso, non bisogna considerare più soltanto come una possibilità, ma come una vera e propria necessità. Grazie.

GIULIO CALVISI. Desidero porle due domande molto particolari, presidente Giovannini, alle quali non so se potrà rispondere.
Sono incuriosito da alcune cifre. Con riferimento al blocco dell'indicizzazione di una parte delle pensioni, lei ha precisato che la soglia prevista dal decreto-legge, pari a 915,52 euro al mese, garantirebbe il mantenimento del meccanismo perequativo per 7,7 milioni di persone, pari al 46 per cento del totale dei pensionati. Inoltre, ha affermato che, se si dovesse estendere l'indicizzazione alle pensioni fino all'importo di 1.200 euro lordi, sarebbe tutelato un altro 6,5 per cento dei pensionati a rischio di povertà.
Qual è la platea complessiva dei pensionati che beneficerebbe di un'estensione dell'indicizzazione alle pensioni fino a 1.200 euro? Inoltre, quanto perderebbero, senza l'indicizzazione, coloro che ricevono le pensioni di 407 e di 915 euro? Poiché si ipotizza di estendere la platea dei beneficiari fino a ricomprendervi i pensionati che percepiscono 1.200 o 1.500 euro mensili, sarebbe utile sapere a quanto rinuncerebbero costoro, al mese o all'anno, per effetto della deindicizzazione. Mi rendo conto che il calcolo è complesso, ma basterebbe avere un minimo e un massimo, soltanto per capire quanto potrebbe influire sul tenore di vita dei pensionati italiani un eventuale ampliamento dell'indicizzazione. Grazie.

MAURIZIO LEO. Ringrazio il presidente Giovannini per averci fornito un quadro puntuale degli effetti economici collegati al provvedimento al nostro esame.
Prendo spunto da quanto è stato detto, nel corso della precedente audizione, da parte dei rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL. È stato affrontato, in particolare, il tema del cosiddetto «contrasto di interessi», cui è stato proposto di attribuire un ruolo più marcato.
Anche lei, presidente, concludendo la relazione, ha indicato nell'estensione del contrasto di interessi alle aree caratterizzate da maggior evasione una strada da percorrere per rendere più agevole la compliance e ridurre il contenzioso. Ricordo, peraltro, come avesse cercato di delineare, già in una precedente occasione, un percorso preciso per raggiungere tale risultato. Più specificamente, si tratterebbe di intervenire in modo modulare, ovverosia individuando blocchi di spese per beni o servizi che potrebbero essere deducibili, secondo un meccanismo graduale.
Vorrei valutare con lei, presidente, se sia possibile il ricorso a un ulteriore strumento. In particolare, poiché il provvedimento al nostro esame implementa, all'articolo 11, l'utilizzo dei dati bancari ai fini dell'emersione di base imponibile, ritiene possibile che il fruitore di un servizio o il cessionario di un bene fornisca, con modalità da stabilire, segnalazioni riservate all'Amministrazione finanziaria? È chiaro che la segnalazione non dovrebbe


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essere fine a se stessa. In altri termini, si potrebbe pensare a meccanismi premiali per il soggetto che, avendo fruito di un servizio che non è stato oggetto di fatturazione o di rilascio di certificazione, segnali l'omissione all'Amministrazione finanziaria. Insomma, si tratterebbe di estendere ai singoli contribuenti, con gli adattamenti del caso, quella partecipazione all'accertamento che è già prevista per i comuni, i quali beneficiano di una quota delle somme recuperate in seguito a una loro segnalazione.
Ritiene che questa strada sia percorribile, presidente? È possibile creare un contrasto di interessi prevedendo un premio per il contribuente che ha consentito un accertamento andato a buon fine? Grazie.

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio anch'io il presidente Giovannini, con il quale mi complimento per l'esposizione.
A pagina 14 della relazione è affermato che la mancata indicizzazione delle pensioni nel triennio comporterebbe una minor erogazione per oltre 17 miliardi e un risparmio di quasi 13 miliardi, al netto del mancato gettito fiscale. Ora, mentre la deindicizzazione è prevista per due anni, il brano della relazione fa riferimento al triennio. Mi chiedo, allora, se tale discordanza sia dovuta a un errore. Insomma, mi piacerebbe sapere se il risparmio sia stato calcolato erroneamente per tre anni, ovvero se la misura incida per 17 miliardi nel triennio, pur essendo stata correttamente calcolata su due anni.
Passando a un altro argomento, è stata prevista una detrazione dall'IMU di 200 euro, rapportata all'anno. Nella relazione tecnica, tuttavia, il Governo non ha specificato quanto valga tale detrazione. Per esempio, se le abitazioni principali, e le relative pertinenze, sono 10 milioni, allora 200 euro per 10 milioni fa 2 miliardi di euro.
Dal momento che presiede anche il Gruppo di lavoro sull'economia non osservata e i flussi finanziari, desidero conoscere la sua opinione, presidente, su un aspetto in particolare. A me il provvedimento sembra improprio: perché riconoscere 200 euro di detrazione a tutti indifferentemente, anche a chi potrebbe tranquillamente farne a meno? La detrazione potrebbe essere riconosciuta, invece, soltanto a determinate categorie.
Poco fa, i rappresentanti delle associazioni sindacali ci hanno sconsigliato di modulare l'IMU sui redditi, per evitare che ne beneficino anche i furbi. Questo è il problema. Quale potrebbe essere, allora, la soluzione? Per esempio, si potrebbe escludere la detrazione per i redditi superiori a 50.000 euro - e pure in tal caso la misura riguarderebbe soltanto quelli che pagano le imposte -, elevandone contestualmente l'importo per coloro i quali percepiscono la pensione minima. Non sono in grado, tuttavia, di calcolare il valore complessivo della detrazione, perché non conosco il numero delle abitazioni principali.
A pagina 21 della relazione, in merito alla deindicizzazione, sembra «consigliarci» di estendere l'indicizzazione fino a 1.200 euro lordi mensili, per tutelare altri 163.000 pensionati a rischio di povertà. Ci dovrebbe indicare, però, anche quanto costerebbe indicizzare i trattamenti pensionistici pari a tre volte il minimo.
Un'altra questione attiene alla patrimoniale, rispetto alla quale si è aperta una strana discussione: ciò che prima era un tabù - guai a chi ne parlava! - è richiesto, da un po' di tempo a questa parte, dal 90 per cento delle persone. Rilevo, adesso, qualche disillusione, perché quel che è stato fatto ha riguardato solo i beni immobili, cioè la casa. Riguardo ai valori mobiliari, ho sentito il Presidente del Consiglio affermare, dagli schermi televisivi, che l'unico intervento possibile, se si voleva evitare di provocare effetti dannosi, quale una fuga di capitali, era quello contemplato dall'articolo 19 del decreto-legge, vale a dire l'imposta di bollo proporzionale sulle comunicazioni annuali.
Presidente Giovannini, si fa spesso il paragone con la Francia, che conosce diverse forme di imposizione patrimoniale, sia pure inserite in un diverso sistema fiscale. Allora, il confronto con la Francia è improprio? Può confermare che, nel


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nostro Paese, un'eventuale tassazione sui valori mobiliari può essere fatta soltanto di notte (com'è avvenuto in passato), e non può essere programmata in qualche modo?
Infine, per quanto concerne il cosiddetto «tetto» ai trattamenti economici corrisposti a carico delle finanze pubbliche, che giornalisti eminenti hanno rimesso in discussione, sappiamo che la normativa in materia, originariamente introdotta dal Governo Prodi, segnatamente dall'articolo 3, commi da 44 a 52-bis, della legge n. 244 del 2007, è stata modificata più volte. Siamo giunti, così, al «Regolamento recante determinazione dei limiti massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza pubblica per i rapporti di lavoro dipendente o autonomo», di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195. Ritiene che tale provvedimento sia sufficiente, presidente, o pensa che potremmo essere pronti per una norma che fissi un compenso equo per i dirigenti pubblici?

MAURIZIO FUGATTI. A nostro modo di vedere, la manovra in esame va a colpire soprattutto il Nord.
Ad esempio, per quanto riguarda la previdenza, sappiamo che il 60-65 per cento delle persone che percepiscono una pensione di anzianità vive nelle regioni del Settentrione. Inoltre, le rendite risultanti in catasto saranno ulteriormente rivalutate, ai fini dell'applicazione dell'imposta municipale propria. A tale proposito, è noto come, nel nostro Paese, vi siano realtà territoriali in cui il catasto funziona e altre in cui funziona un po' meno (o non funziona affatto).
Vorremmo sapere, quindi, se l'ISTAT abbia effettuato, o abbia intenzione di effettuare, valutazioni concernenti la distribuzione territoriale degli effetti della manovra. In altre parole, vorremmo capire quali regioni pagheranno di più.

LINO DUILIO. Desidero anch'io porre qualche domanda al presidente Giovannini.
La prima, che involge problematiche di natura macroeconomica, è rivolta al presidente dell'ISTAT, ma anche allo studioso, e riguarda gli effetti potenzialmente depressivi della manovra.
Svolgendo la relazione, ha affermato, presidente, che la manovra interviene in un momento in cui il sistema economico appare già in netto rallentamento, e probabilmente avviato verso una fase recessiva, avvertendo, peraltro, che una valutazione complessiva richiederebbe un tempo maggiore, nonché un esame analitico di tutti i singoli provvedimenti.
Ricordo, in proposito, il ragionamento che ha sviluppato ieri, intervenendo in audizione, il Ministro per la coesione territoriale, il quale ha evidenziato, citando lord Kaldor, come il dato strutturale incida su quello congiunturale: essendo il nostro un Paese duale, il calo delle esportazioni verificatosi nella parte che vende all'estero ha prodotto conseguenze negative anche nella parte in cui non c'è un flusso di export significativo.
La prima domanda è rivolta - ripeto - allo studioso, oltre che al presidente dell'ISTAT.
Poiché ci accingiamo a costituzionalizzare il principio del pareggio di bilancio, e a escludere, di conseguenza, l'adozione di politiche keynesiane, che prevedono il ricorso all'indebitamento per stimolare gli investimenti, dobbiamo reperire nelle pieghe del bilancio le risorse capaci di avviare, insieme ad altri fattori - sappiamo, infatti, che il problema non è soltanto di carattere finanziario -, un circuito virtuoso.
Tuttavia, ciò è facile a dirsi, ma un po' più complicato a farsi, e soprattutto richiede tempi medio-lunghi, nonché strumenti molto raffinati, di cui, allo stato, non disponiamo.
Tenendo conto, quindi, della struttura duale del Paese, nonché degli aspetti depressivi cui ha fatto riferimento nella relazione, ritiene che le manovre economiche debbano continuare a perseguire soltanto la stabilità - in ossequio alla teoria affermatasi in Europa, oramai in via esclusiva -, senza concedere molti margini


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alla crescita? Ricordo, peraltro, che in questi anni ciò è stato fatto anche dai precedenti Governi, sebbene in maniera un po' rozza - come ho avuto modo di affermare in altre occasioni -, vale a dire procedendo con tagli lineari, alla cieca. Sono state approvate manovre per più di 200 miliardi di euro negli ultimi due anni, ma non è servito sostanzialmente a niente!
Non corriamo, allora, il rischio che questa nuova filosofia (quasi una teologia) o, per meglio dire, il fatto che siamo orfani di una teoria, renda inutili le misure di stabilizzazione, nonostante l'evocazione, da parte del Presidente Monti, del trittico della stabilità, dell'equità e dello sviluppo (già evocato, in passato, dal compianto Ministro Padoa-Schioppa)?
Insomma, non ritiene, presidente, che gli effetti depressivi possano peggiorare la situazione e rendere inutili le nostre manovre? Non intravede, altresì, conseguenze drammatiche per la parte del Paese che si trova nella condizione strutturale cui ha fatto riferimento il Ministro per la coesione territoriale, richiamando l'autorevole opinione di lord Nicholas Kaldor, il quale sosteneva, appunto, che la congiuntura è influenzata dalla struttura?
La seconda domanda si riallaccia alle considerazioni svolte dal collega Vannucci.
Dispone l'ISTAT di dati comparati riguardanti l'elemento specifico della patrimonializzazione? Alcuni sostengono - il dibattito è antico - che siamo eccessivamente patrimonializzati e che bisognerebbe perseguire, invece, un obiettivo di trade-off tra reddito e patrimonio. Naturalmente, è necessario individuare le misure per abbassare il tasso di patrimonializzazione (mi sembra che si parlasse di un 125 per cento, ma non so se sia effettivamente così). La conoscenza del dato patrimoniale riferito al nostro e agli altri Paesi è fondamentale per affrontare il problema politico e per decidere, eventualmente, se si debba o meno puntare al predetto trade-off.
Nella relazione ha fatto riferimento, ribadendo quanto aveva già affermato in occasione di una precedente audizione, all'opportunità di estendere il contrasto di interessi nelle aree che presentano maggiore evasione, ritenute più promettenti dall'Agenzia delle entrate. Siccome non abbiamo ascoltato, al riguardo, il direttore Befera (dovremo farlo, in futuro, per avere maggiori informazioni su alcuni aspetti), potrebbe aggiungere qualcosa su queste aree certificate, per così dire, dall'Agenzia delle entrate? Indicazioni più precise agevolerebbero l'individuazione di ulteriori strumenti di contrasto. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Giovannini per la replica.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Vi ringrazio di avermi posto una lunga lista di domande, perché ciò mi consentirà di fornire alcuni chiarimenti.
Cominciando dalla prima, l'ISTAT pubblica regolarmente nel proprio sito Internet i dati disaggregati relativi alle altre istituzioni che fanno parte del settore delle amministrazioni locali. Aggiungeremo un'ulteriore tavola a quelle depositate oggi. Immaginando che il lavoro dei parlamentari, in questi giorni, li avesse portati a leggere una moltitudine di cifre, ci siamo concentrati su alcuni dati, ma ne forniremo senz'altro di più dettagliati.
In merito ai costi della politica - molti di voi hanno fatto riferimento al fatto che sono presidente della Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia-Europa -, vorrei dire, innanzitutto, che la norma recata dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011 è abbastanza confusa. In conseguenza di ciò, la Commissione ha impiegato molto del tempo finora trascorso nel tentativo di darsi uno schema di lavoro, in modo che siano chiari i termini del problema.
Mi spiego meglio. Per quanto riguarda i dirigenti pubblici ed altre categorie di soggetti, la disposizione citata stabilisce chiaramente che debba farsi riferimento al trattamento economico onnicomprensivo. Nell'ordinamento italiano, a tale locuzione corrisponde un significato preciso. Quando, invece, si riferisce ai parlamentari, la norma utilizza l'espressione «costo


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relativo al trattamento economico onnicomprensivo», la quale sembra rimandare a qualcosa che va al di là della retribuzione onnicomprensiva.
Insomma, la legge è un po' confusa. Infatti, uno studio elaborato dalla Camera dei deputati, basato sulla comparazione tra Italia, Germania, Regno Unito e Francia, evidenzia risultati differenziati, a seconda che sia faccia riferimento soltanto alle retribuzioni, ovvero alla somma di queste con gli altri costi.
Al di là della soluzione da dare al problema della cumulabilità degli incarichi, di cui non ci interessiamo, dal momento che è diverso il compito affidatoci dalla legge, supponendo di dover confrontare la situazione di un dirigente pubblico italiano rispetto al suo omologo tedesco o belga, non dovremmo considerare la retribuzione omnicomprensiva, cioè la retribuzione lorda, ma il costo del lavoro. Se, infatti, le prestazioni sanitarie sono, in un Paese, a carico dell'individuo, è chiaro che la retribuzione lorda è più alta, pur essendo il costo del lavoro lo stesso.
Ho fatto questo esempio per dare un'idea di come si presenti estremamente scivoloso il terreno sul quale dobbiamo operare. Stiamo cercando di procedere con molto rigore, ma, purtroppo, ciò avviene anche con una certa lentezza (la Commissione si riunirà nuovamente nei prossimi giorni), poiché dobbiamo acquisire informazioni ufficiali, e le nostre ambasciate devono rivolgersi ai Ministeri degli esteri dei rispettivi Paesi per ottenerle. Aggiungo che è molto difficile comparare dati provenienti da sistemi diversi. Probabilmente, sarebbe stato meglio elaborare uno studio comparativo preliminare, e poi costruire la norma in modo adeguato. Comunque, stiamo profondendo tutto il nostro impegno su questo fronte.
Quanto alla domanda dell'onorevole Barbato su pensioni «d'oro» e quant'altro, ribadisco che l'Istituto non entra in simili valutazioni.
Per ciò che riguarda, invece, i dati analitici e «veritieri» - com'è stato detto - sulla spesa pensionistica, poiché applichiamo le regole europee, concordate a livello internazionale, i conti dell'assistenza sono omogenei. Non siamo in grado di cogliere, dal punto di vista delle classificazioni internazionali, se alcune voci di quella che chiamiamo «previdenza» comprendano, in taluni Paesi, una componente assistenziale. Per questo motivo vi è incertezza sul livello effettivo della spesa pensionistica.
Peraltro, si tratta di una questione non meramente statistica, ma anche concettuale. A titolo esemplificativo, l'integrazione delle pensioni minime è una spesa previdenziale o assistenziale? Ci sono elementi dell'una e dell'altra. Infatti, a livello europeo, si è costretti a tagliare con l'accetta, procedendo come facciamo noi. Possiamo fornire alle Commissioni dati disaggregati, lasciando che ognuno si formi un'idea, con l'avvertenza, però, che una valutazione più particolareggiata pone, spesso, di fronte a problemi che, sebbene siano analizzati da anni, nessuno è ancora riuscito a risolvere, proprio perché è estremamente difficile distinguere.
L'INPS e l'ISTAT hanno istituito, ormai da molti anni - mi sia consentito spezzare una lancia a favore di tali enti - un casellario dei pensionati che accorpa tutti i trattamenti erogati a titolo pensionistico, non importa quale ne sia la motivazione.
Non abbiamo, invece, un casellario degli assistiti di pari qualità, perché quello dell'INPS non comprende le spese assistenziali erogate dagli enti locali. Benché vi sia una norma che impone a questi ultimi di inviare i dati all'INPS, credo che manchi un decreto di attuazione, per cui i dati non pervengono all'Istituto. Si tratta di un aspetto molto rilevante. Difatti, il Gruppo di lavoro che si è occupato della cosiddetta sovrapposizione tra Stato fiscale e Stato sociale, presieduto dal professor Mauro Marè (uno dei quattro istituiti in vista della riforma fiscale e assistenziale), ha chiaramente evidenziato che, se un pensionato cumula più di una pensione, e riceve anche alcune indennità assistenziali, alla fine, il trattamento complessivo è molto diverso da quello che potrebbe apparire osservando la sua situazione soltanto da un lato.


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Al di là dei casi individuali, un miglioramento del set informativo, che potrebbe essere offerto da un casellario delle prestazioni assistenziali per persona, farebbe emergere un quadro diverso e darebbe un importante ausilio al legislatore, il quale potrebbe approvare norme atte a garantire l'assistenza a chi ne ha realmente bisogno. Oggi, invece, è alto il rischio di sparare alla cieca, per così dire, perché non siamo in grado di individuare esattamente la platea dei soggetti da tutelare.
Per ciò che riguarda l'evasione fiscale, ci siamo concentrati prevalentemente sui flussi. La stima dell'ISTAT sull'economia sommersa non corrisponde all'evasione fiscale, ad esempio perché una parte del reddito prodotto in nero potrebbe essere esente e, di conseguenza, non soggetta a tassazione. Per converso, si danno casi in cui la tassazione colpisce cespiti patrimoniali non compresi nel reddito. Per questo insistiamo tanto sull'opportunità di avere una stima ufficiale dell'evasione fiscale, che è diversa - ripeto - dalla stima dell'economia sommersa.
Passando al discorso relativo agli stock, sapere quanti soldi ci sono nei conti in Svizzera o in altri luoghi non può essere stimato statisticamente: bisognerebbe riuscire ad aggirare o a superare le regole di riservatezza, perché il riferimento a redditi accumulati dalle persone nel corso della loro vita nulla ha a che vedere con i flussi annuali. In questo senso, non disponiamo di dati ma soltanto di valutazioni fatte da esperti. Ripeto che è proprio impossibile, al momento, avere le predette informazioni.
Ciò vale anche per la stima del patrimonio. Abbiamo i conti patrimoniali, che, tra l'altro, stiamo migliorando, in particolare aggiungendo alle stime della ricchezza finanziaria anche quelle concernenti le abitazioni, i terreni e via dicendo.
A livello internazionale, questo settore della statistica è rimasto un po' indietro, perché ci si è concentrati molto sui flussi e poco sugli stock, fino a quando, improvvisamente, la crisi economica ci ha fatto comprendere che gli stock contano quanto i flussi.
Rispondendo a una domanda posta dall'onorevole Barbato, devo dire che sono molti i casi in cui si è tenuto conto delle proposte formulate dal Gruppo di lavoro da me presieduto. Per esempio, quella di limitare l'uso del contante era una delle nostre proposte (sebbene nel Gruppo fosse prevalso l'orientamento favorevole all'introduzione di una soglia più bassa, a tre e non a quattro cifre). Come ho già fatto presente nella relazione, il nostro lavoro ha fornito spunti anche al precedente Governo, in occasione del varo dell'ultima manovra.
In merito al Government Accountability Office, vorrei ricordare che - se non erro - tale organismo ha circa 7.000 dipendenti. Non si tratta, quindi, di un piccolo centro studi. Bisogna considerare che il GAO supporta non soltanto il Congresso, ma qualsiasi Stato che desideri avviare una riforma. Insomma, stiamo parlando di una grossa operazione, che in questo momento, a causa dei noti problemi finanziari, sarebbe oltremodo complicato realizzare.
Questo non vuol dire, però, che non si possa fare alcunché. Si può, per esempio, incaricare uno degli enti esistenti, magari prevedendo in ogni legge di spesa una percentuale, sia pur minima, dedicata allo scopo. In altre parole, si potrebbe stabilire che lo zero virgola qualcosa di ciascuna di tali leggi sia dedicato alla valutazione dell'impatto ex post dei provvedimenti. In questo modo sarebbe possibile costituire una professionalità specifica, con costi, tutto sommato, limitati, che potrebbero produrre, tuttavia, un rendimento straordinario: evitare di fare leggi sbagliate, o correggere leggi che, inavvertitamente, hanno prodotto risultati non desiderati, ha un costo certamente più basso rispetto a quello collegato al rischio di continuare a sbagliare.
Ricordo, altresì, che il direttore del Government Accountability Office è nominato per quindici anni, come il Presidente della Corte Suprema, perché è chiamato a svolgere un'attività che va oltre l'orizzonte


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di breve periodo della singola amministrazione (la durata dell'incarico è quasi pari a quella di quattro amministrazioni).
Nel nostro Paese, la Corte dei conti, che già svolge alcune delle funzioni del Government Accountability Office, potrebbe assumerne altre, ma occorrerebbe un approccio specifico.
In merito alla questione dell'indicizzazione delle pensioni, nelle tavole che abbiamo consegnato, in particolare nell'allegato statistico, è specificato che 7.600.000 pensionati ricevono una pensione inferiore a 915,52 euro e 2.500.000 una pensione compresa tra 915,52 e 1.200 euro. Nella tavola cui facciamo riferimento sono riportate anche le varie distribuzioni. Queste indicazioni danno un'idea della platea complessiva e, quindi, degli effetti che potrebbero comportare eventuali innalzamenti della soglia. Abbiamo fatto una simulazione a 1.200 euro non perché questa debba essere la soglia, ma semplicemente per fornire qualche dato concreto.
Desidero porre l'accento su un aspetto importante. Già adesso - com'è scritto nella relazione - la soglia per la deindicizzazione a 915,52 euro consente la copertura dell'89,7 per cento dei pensionati a rischio di povertà; elevandola a 1.200 euro, la percentuale indicata si incrementerebbe di un altro 6,5 per cento, consentendo di coprire il 96,5 per cento dei pensionati a rischio di povertà (ovviamente, non della platea complessiva).
Riguardo al contrasto di interessi, nell'ambito dei lavori sull'economia non osservata è stato proposto di anticipare il beneficio derivante dalla richiesta della fattura. Attualmente, infatti, il beneficio si ha al momento della dichiarazione dei redditi, in qualche caso dopo che è passato un anno e mezzo da quando è stata sostenuta la spesa. Se, invece, i contribuenti disponessero di una sorta di card - naturalmente, bisognerebbe favorire l'uso della moneta elettronica -, caricabile all'atto del pagamento di ogni singola fattura e utilizzabile per pagare le prestazioni rese dai professionisti, ciò li indurrebbe, probabilmente, a chiedere le fatture per prestazioni professionali. Lo strumento, il quale ha a che fare con la cosiddetta «economia comportamentale», o con la «psicologia economica», potrebbe incentivare certi comportamenti, nel momento stesso in cui si determina il contrasto di interessi.
Non spetta a me esprimere una valutazione in merito alle segnalazioni riservate. Riporto, però, quello che un alto funzionario dell'Agenzia delle entrate mi ha riferito qualche giorno fa. Avendo individuato un gruppo di qualche migliaio di contribuenti a rischio di evasione, l'Agenzia li ha informati che li avrebbe tenuti d'occhio (adopero una terminologia non proprio tecnica per rendere più efficacemente il concetto). Ebbene, si è verificato il caso di un professionista il quale, dopo avere dichiarato redditi pari a zero il primo anno, è passato a un reddito di 15.000 euro nel secondo anno e di 75.000 euro nel terzo. Può darsi che il professionista di cui parliamo sia riuscito effettivamente a incrementare il proprio reddito nella misura indicata. Tuttavia, il solo fatto di sapere che l'Amministrazione finanziaria ci tiene d'occhio favorisce la compliance.

GUIDO CROSETTO. Sarebbe interessante sapere perché quel professionista non era stato controllato quando dichiarava zero.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Questo ha a che fare con i metodi di intelligence che l'Agenzia delle entrate utilizza.
Nel Rapporto finale sull'attività del Gruppo di lavoro sull'economia non osservata e i flussi finanziari si fa notare come l'attività di vigilanza sia notevolmente migliorata, anche se va ulteriormente intensificato lo scambio di informazioni, ad esempio, tra INPS, INAIL e Agenzia delle entrate: accade ancora che uno di tali soggetti, dopo avere riscontrato un'anomalia, non ne informi gli altri; tuttavia, stiamo per superare anche questo problema.
Per quanto riguarda i risparmi derivanti dalla deindicizzazione, onorevole


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Vannucci, facevo riferimento alla tavola contenente il prospetto riepilogativo degli effetti finanziari, che comprende una quota riferita al 2014. Riassumendo, si tratta di 3,8 miliardi per il 2012, di 6,7 miliardi per il 2013 e di 6,7 miliardi anche per il 2014: da questi dati si ricava la cifra che ha richiamato la sua attenzione, onorevole Vannucci. Comunque, verificheremo il dato con maggiore attenzione.
Sulla detrazione di 200 euro, il problema è quello che lei ha indicato. Potremmo usare l'ISEE, ma questo favorirebbe chi evade. Trovare un altro termine di riferimento non è affatto banale, almeno per alcune categorie. Come presidente dell'ISTAT, devo dichiarare - e sono felice di farlo - anche il patrimonio finanziario, non soltanto quello immobiliare. In casi come il mio, quindi, sarebbe possibile prevedere una detrazione anziché un'altra. Il problema è che non abbiamo i conti patrimoniali e reddituali di tutti gli italiani. Al momento, non ho, quindi, una risposta precisa sul punto.
Con riferimento alla tassazione in generale, vorrei riprendere un discorso che nella relazione non è sviluppato. In Italia, abbiamo un alto numero di piccole imprese, un alto numero di società di comodo e via discorrendo. Sono varie, quindi, le politiche verso le quali la tassazione potrebbe essere orientata (penso, tra le altre, a quelle ambientali). Prima, però, bisognerebbe mettersi d'accordo sugli obiettivi da raggiungere.
In questo senso, spero che il Governo, il Parlamento, e più in generale il Paese, riescano, nei prossimi mesi, a definire un progetto per il futuro - stabilendo, ad esempio, se vi debbano essere imprese più o meno piccole, avendo riguardo al fattore dimensionale - e a orientare conseguentemente gli strumenti fiscali e quelli di altro tipo. L'auspicio nasce dal fatto che, com'è detto nella relazione, una cosa è fronteggiare un'emergenza finanziaria, un'altra ridare al Paese margini di crescita. Ponendosi in questa seconda prospettiva, bisogna stabilire a quale tipo di crescita si voglia puntare: «verde», «rosa», di piccole, medie o grandi imprese e via discorrendo.
Sul tetto agli stipendi mi sono già espresso. Discutendone in seno alla Commissione per il livellamento retributivo Italia-Europa, abbiamo ritenuto di dover fornire alcuni valori di riferimento, che saranno utilizzati, in seguito, dagli organi cui è attribuito il potere decisionale. Non vi sarà, quindi, un'applicazione automatica.
Faccio un altro esempio per far comprendere quali problemi pone l'applicazione della normativa recata dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011. Dobbiamo provvedere alla ricognizione e all'individuazione della media ponderata, rispetto al PIL, dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi nei sei principali Stati dell'area euro, riferiti all'anno precedente e aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza. La media in tal modo individuata diventa il limite superiore, uguale, ad esempio, per tutti i funzionari del Ministero dell'economia e delle finanze. Questo uccide, però, la differenziazione. Prendere una media e farla diventare un limite superiore uguale per tutti, mentre negli altri Paesi ci sono differenziazioni, è un problema. La norma avrebbe dovuto imporre, per esempio, di comparare la media con la media. Soprattutto, non è ovvio che tutti gli altri Paesi ci forniscano una lista delle retribuzioni dei vari dipendenti. Ecco perché sarebbe bene calcolare valori di riferimento, anziché prefigurare automatismi.
Passando a un'altra domanda, è estremamente difficile calcolare la distribuzione dell'impatto della manovra tra Nord, Sud e altre aree del Paese. È chiaro che, laddove si decida di tassare il lavoro, o anche il patrimonio (che altro non è se non il cumulo dei redditi conseguiti in una vita), l'effetto sarà più forte dove il lavoro c'è. Tuttavia, credo che dobbiamo cercare di distinguere - e su questo, più avanti, si


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potranno fare analisi più approfondite - tra l'effetto puramente di composizione e quello, voluto, di incentivazione di comportamenti più virtuosi, oppure di politica industriale.
Infine, devo una risposta all'onorevole Duilio per quanto concerne la revisione dell'articolo 81 della Costituzione e le politiche keynesiane.
Non sono sicuro che la proposta di legge costituzionale in questione - per la conoscenza che ne ho - impedisca politiche keynesiane: essa comporta, piuttosto, che queste debbano essere attuate negli anni particolarmente difficili, a patto che si ricostituisca, negli anni particolarmente buoni, un margine tale da consentire la realizzazione di politiche anticicliche. È chiaro, infatti, che, se le politiche keynesiane sono sempre fatte in disavanzo, il problema della sostenibilità, soprattutto in presenza di un debito pubblico molto alto, diventa immediato.
In merito alla questione relativa alla troppa importanza attribuita alla stabilità, a scapito dello sviluppo, credo che il Parlamento debba discutere tale tema nei prossimi mesi, in occasione dell'esame del Programma nazionale di riforma (PNR). Il rischio che gli effetti recessivi rendano inutili le manovre esiste. È per questo che il PNR, e non solo, deve avere un'ottica di più lungo termine. Del resto, il Governo ha preannunziato che, dopo la manovra all'esame delle Commissioni, ci saranno altri provvedimenti, che si faranno carico proprio di tale esigenza. Grazie.

PRESIDENTE. Senza crescita, nessun debito è sostenibile.
Ringraziamo il presidente Giovannini per il profluvio di dati che, come al solito, l'ISTAT ci ha fatto pervenire: saranno sicuramente utili per il nostro lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 18,45, è ripresa alle 18,50.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
Nel ringraziarlo per la sua presenza, do la parola al direttore generale di Confindustria, dottor Giampaolo Galli.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. Immagino conosciate già il giudizio di Confindustria su questo decreto. Noi riteniamo che sia necessario, ancorché doloroso, per evitare scenari potenzialmente molto gravi per l'Italia e per l'intera Europa. Auspichiamo, pertanto, che l'iter di approvazione sia rapido. Ci rendiamo perfettamente conto, peraltro, che si richiedono notevoli sacrifici a moltissime persone, ma dobbiamo comprendere che un aggravarsi, o anche il mantenimento della situazione finanziaria che avevamo fino a qualche giorno fa - e il rischio non è ancora scongiurato -, avrebbe comportato sacrifici e costi sociali molto maggiori. Come sistema delle imprese, non solo come Confindustria, abbiamo lanciato un appello affinché il prossimo Consiglio europeo assuma le decisioni necessarie, in termini di governance europea, per dare certezza all'area dell'euro. L'Italia sta facendo la sua parte. Speriamo, quindi, che l'Europa riesca a fare ciò che è necessario, visto che è evidente come il problema non sia solo italiano, ma internazionale e, in particolare, europeo.
Nella nostra valutazione, l'economia italiana sta entrando in recessione. La produzione industriale - come avete visto dai dati dell'ISTAT - è arretrata nel mese di ottobre, e noi stimiamo che ci sia stato un ulteriore piccolo arretramento anche nel mese di novembre. Quasi tutte le previsioni danno una diminuzione del PIL nel 2012. Questo stato di cose, che segna un radicale cambiamento rispetto alle previsioni che si facevano prima dell'estate, è chiaramente


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legato alla crisi finanziaria e all'aumento degli spread, che hanno generato una crisi di fiducia di imprese e famiglie e una restrizione del credito estremamente grave. Se non si riuscisse a ripristinare la fiducia e a ridurre gli spread, l'economia italiana si avviterebbe in una spirale recessiva che potrebbe essere molto più grave di quella che abbiamo sperimentato nel 2009.
Per questo, riteniamo non abbia molto senso dire - come molti hanno fatto - che questa è una manovra recessiva. In tempi normali questo si potrebbe dire, ma, in un periodo come quello attuale, questa è una manovra che - se sarà approvata tempestivamente, e se anche l'Europa assumerà le decisioni necessarie - renderà meno difficile l'accesso al credito da parte di imprese e famiglie e avrà, quindi, l'effetto di sostenere il PIL e l'occupazione, rispetto a uno scenario a politiche invariate. Insomma, è sbagliato dire che questa è una manovra recessiva, perché serve a salvare l'Italia e la sua economia da scenari che potrebbero essere molto negativi.
È indubbiamente vero che essa genera un notevole aumento della pressione fiscale. Noi avremmo auspicato una maggiore attenzione al taglio delle spese. Ci rendiamo conto, però, che il tempo era scaduto e che era necessario blindare il bilancio molto rapidamente. Speriamo che con la spending review si possa arrivare a un contenimento delle uscite, in modo da poter allentare simultaneamente e corrispondentemente la pressione del fisco.
Osserviamo in positivo, tuttavia, che questa manovra, specie nelle sue due componenti, cioè la riforma delle pensioni e gli aumenti di imposte, è caratterizzata da un altissimo tasso di realizzabilità. Questa è la ragione per cui, pur essendo di dimensioni formalmente più contenute di altre manovre fatte in passato, è percepita come molto più dura rispetto a quelle e, in effetti, lo è. Peraltro, nel passato, a volte, si sono fatti annunci di megamanovre, ma poi, quando si è andati a verificare le realizzazioni, si è trovato molto meno di quanto previsto. Abbiamo calcolato che negli ultimi dieci anni la spesa programmatica avrebbe dovuto aumentare, secondo i documenti ufficiali, dell'11,4 per cento complessivamente, mentre l'aumento effettivo è stato del 52 per cento. Pertanto, quando si fanno i tagli alla spesa, a questi devono farsi seguire fatti molto concreti, che sono più difficili da realizzare rispetto ad aumenti di imposte oppure a riforme strutturali anche molto pesanti, come quella delle pensioni.
Come non è vero che questa manovra, in questa circostanza, può definirsi recessiva, non è neppure vero - vorrei sottolinearlo - che mancano misure a favore dello sviluppo. Al contrario, ve ne sono molte. Mi limito soltanto a citarle, rimanendo a vostra disposizione per eventuali approfondimenti e annunciandovi che chiediamo di depositare agli atti un documento assai ampio su questi temi.
In primo luogo, crediamo che la patrimonializzazione delle imprese (il cosiddetto Ace) sia una misura importante per migliorare la struttura finanziaria dell'impresa e per favorire sia l'accesso al credito, in un momento difficile da questo punto di vista, sia la crescita dimensionale dell'impresa e, quindi, in ultima analisi, gli investimenti. Inoltre, la deduzione IRAP - per la componente lavoro - dal reddito di impresa è una misura importante, che, riducendo indirettamente il costo del lavoro, favorisce l'occupazione e la competitività internazionale delle imprese.
Abbiamo, poi, la deduzione dell'IRAP per lavoratori giovani e per le lavoratrici. Anche questa è una misura che conoscete e che è molto importante anche per le donne e i giovani sotto i 35 anni già assunti, non solo per coloro che dovranno ancora esserlo.
Riguardo al sostegno al credito per le piccole e medie imprese, viene notevolmente e opportunamente potenziato il fondo di garanzia per il credito alle piccole e medie imprese, per cui ci sembra realistico l'obiettivo annunciato dal Ministro dello sviluppo economico di raddoppiare la potenza di fuoco di questo fondo, garantendo crediti per 20 miliardi di euro - oggi sono garantiti crediti alle piccole imprese per la somma di 10 miliardi - sia


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perché sono immesse nuove risorse nel fondo, sia perché sono stati effettuati cambiamenti nel funzionamento del fondo stesso, riguardo agli accantonamenti e quant'altro.
Sono, poi, previste misure utili per il rafforzamento patrimoniale dei confidi, altra àncora di salvataggio per le piccole imprese, in questo momento - ripeto - particolarmente difficile sul fronte del credito.
Altre misure per lo sviluppo sono il bonus per le ristrutturazioni al 36 per cento, che è stato reso strutturale e che contiene anche una misura per l'efficienza energetica del 55 per cento, che non è stata resa strutturale, ma prorogata per il 2012, ancorché non nelle dimensioni e con riferimento a tutte le tecnologie che erano previste nel piano energetico nazionale, formulato dal precedente Governo nel giugno 2011.
Riguardo alle infrastrutture, erano stati costituiti taluni tavoli tra il sistema delle imprese, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e alcune fondazioni scientifico-culturali di varia matrice. Mi sembra che questo lavoro sia giunto a compimento.
Quindi ci sono misure importanti, in particolare circa la semplificazione delle procedure e l'ampliamento delle possibilità di partenariato fra pubblico e privato.
In merito ai fondi strutturali europei, è stata varcata la soglia del patto di stabilità interno, che fino a ieri sembrava invalicabile, per cui adesso le regioni hanno maggiori possibilità di contribuire con il cofinanziamento nazionale, nella misura di un miliardo di euro: in particolare, le regioni che rientrano nell'ambito dell'obiettivo Convergenza possono essere escluse dal patto di stabilità interno fino alla concorrenza di un miliardo di euro all'anno per gli anni dal 2012 al 2014. Questa ci sembra una misura importante, che le regioni avevano chiesto e che aiuta in una situazione come quella attuale.
Ancora, in relazione alla promozione del made in Italy e dell'internazionalizzazione delle imprese, ricorderete che a luglio era stato soppresso l'ICE e che era intenzione del precedente Governo ricrearlo in una forma diversa e più snella. Ecco, ciò è stato fatto con questo decreto-legge, che istituisce un'Agenzia molto più piccola del vecchio ICE ma - a nostro avviso - sufficiente nelle dimensioni per promuovere l'internazionalizzazione delle imprese italiane. Riteniamo, tuttavia, che vi siano da fare alcune messe a punto. In particolare, ci sembra difficile che questa Agenzia possa funzionare senza quella che era la cabina di regia fra Ministeri, in special modo tra il Ministero dello sviluppo economico, che ne ha la supervisione, e il Ministero degli affari esteri. Auspichiamo, quindi, che questa cabina di regia sia ricostituita.
Inoltre, ci sono misure importanti e positive circa le liberalizzazioni, che portano a compimento e rendono più cogente ciò che era già contenuto nella manovra dello scorso agosto, superando, però, alcune ambiguità e incertezze.
Anche rispetto alle autorità indipendenti si compiono passi in avanti. Innanzitutto, riteniamo positiva la previsione di un parere preventivo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sui disegni di legge e sui regolamenti che introducano restrizione all'accesso e all'esercizio delle attività economiche. Sempre in tema di attribuzioni dell'Autorità antitrust, si prevede - cosa anch'essa positiva - che questa sia legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi che vìolino le norme a tutela della concorrenza, il che va al di là del fare una semplice segnalazione, di cui si può tenere conto o meno. Si istituisce, inoltre, un'Autorità indipendente nel settore dei trasporti, fatto che a noi sembra positivo.
In più, sono previste norme di semplificazione che stavamo discutendo con il precedente Governo, alcune delle quali erano già andate in porto; altre, invece, sono state introdotte adesso. In particolare, apprezziamo le misure che eliminano il cosiddetto gold plating rispetto alle direttive comunitarie in materia di privacy. Ci sono, inoltre, diverse misure di riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese. Riteniamo, comunque, che


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questo lavoro, iniziato in passato e che ha segnato un'ulteriore tappa con il decreto-legge in esame, debba continuare con un tavolo permanente, sperando che, a un certo punto, si arrivi alla fine di questo percorso, perché le norme che possono essere eliminate o semplificate sono ancora moltissime.
Segnalo due criticità per il mondo delle imprese. La prima è che nella versione definitiva del decreto-legge non sono presenti le importanti misure a sostegno della ricerca e dell'innovazione nelle imprese, che, invece, erano previste in precedenti bozze dello stesso, per cui oggi il sistema è privo di sostegni in questa direzione. Vi era quella misura del 90 per cento sulla variazione per quel che riguardava le sole commesse alle università e ai centri di ricerca, finanziato con una quantità minima di risorse. Ecco, questo è un tema sul quale dovremmo riflettere, anche se non proponiamo di introdurre dei cambiamenti in questo momento.
La seconda criticità è di più urgente valutazione e riguarda le conseguenze della riforma pensionistica sul mercato del lavoro. Noi crediamo che questa riforma - non vogliamo essere fraintesi - rappresenti un aspetto doloroso, ma ineludibile. Sappiamo, però, anche, che essa implica, di per sé, un grande cambiamento nel mercato del lavoro, di cui discuteremo, credo, nelle prossime settimane, a partire dalla formazione professionale e proseguendo con riguardo agli ammortizzatori sociali, ai modelli retributivi, fino all'organizzazione delle imprese, che si dovranno tenere il personale per molto più tempo.
Per il momento riteniamo necessario segnalare una questione importante e urgente che riguarda i lavoratori in mobilità. Ci sono, infatti, diversi accordi stipulati per i lavoratori in mobilità. Il decreto-legge fa salvi quelli conclusi prima del 31 ottobre scorso, con un tetto, però, di 50.000 unità, che noi reputiamo non sufficienti. In più, ci sono accordi che sono stati chiusi fra il 31 ottobre e la data di entrata in vigore del decreto-legge: crediamo che anche questi accordi debbano essere fatti salvi, altrimenti si pone il problema di questi lavoratori che finiscono per non avere né la pensione né risorse sufficienti per affrontare un periodo di disoccupazione o inoccupazione che potrebbe essere lungo. Comprendiamo bene che la riforma pensionistica rappresenta un sacrificio per le persone, ma comporta cambiamenti fondamentali e sfide anche per il sistema delle imprese, che dobbiamo affrontare molto seriamente nei tavoli che si apriranno nei prossimi giorni sulla riforma del mercato del lavoro. È evidente, infatti, che vengono meno delle vie d'uscita sia per le persone sia per le imprese. Pertanto, dovremo affrontare questo tema insieme molto seriamente.

PRESIDENTE. La ringrazio dottor Galli. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURIZIO FUGATTI. Ringraziamo, innanzitutto, il professor Galli per la sua presenza. Notiamo, però, che per il presidente di Confindustria probabilmente le Commissioni del Parlamento non sono soggetti interessanti con cui interloquire. A ogni modo, ringraziamo nuovamente il professor Galli di averci portato il punto di vista di Confindustria.
Lei ha detto chiaramente che questa manovra, al di là del carattere recessivo o meno, è necessaria. Ora, essa ci porta a un pareggio di bilancio, secondo le indicazioni e le previsioni del Governo. Tuttavia, secondo altre fonti, il decreto-legge in esame creerà recessione, per cui il pareggio di bilancio sarà difficilmente raggiungibile, in quanto le maggiori tasse causeranno un calo della ricchezza e quindi del PIL. Quello del pareggio di bilancio è, però, solo uno dei problemi. Sappiamo benissimo, infatti, che dobbiamo aggredire la massa del debito pubblico. In un momento come questo è sì opportuno arrivare al pareggio di bilancio, ma occorre anche considerare l'altro grande problema del debito pubblico, per cui se non cresce la ricchezza - quindi il PIL - difficilmente


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quel famoso indicatore debito pubblico/PIL potrà calare. Essendo il PIL al denominatore, è molto difficile che il rapporto possa diminuire se le manovre che si approvano vanno a incidere solo sul deficit. Vorrei, allora, sapere qual è la vostra visione in merito, ovvero se ritenete che questa manovra punti semplicemente al pareggio di bilancio, lasciando fuori altri problemi importanti.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio Confindustria a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori e mio personale. Stamane R.ETE. Imprese Italia ci ha riferito che le piccole e medie imprese, pur avendo chiuso, negli ultimi due anni, bilanci in perdita, forse anche per la loro dimensione o per un rapporto più diretto con i lavoratori, non hanno messo mano alla leva del licenziamento. Viceversa, mi sembra che sia in atto un processo inversamente proporzionale nella grande industria, che, invece, trova molto più semplice e comodo spingere il pulsante dei licenziamenti, della mobilità e via discorrendo. Le chiedo, allora, se, secondo lei, questo diverso atteggiamento di fare impresa - della piccola e della grande impresa - non contribuisca a creare un clima di maggiore depressione. D'altra parte, se vengono meno i salari, o si ricorre alla cassa integrazione, con salari decurtati del 40-50 per cento il lavoratore non riesce né a pagare più il mutuo né a soddisfare le esigenze primarie. Ciò significa che non si può spingere sui consumi e che, pertanto, i vostri stessi prodotti non troveranno mercato. Allora, questa vostra politica di essere più forti e potenti, usando tale modalità un poco più arcigna, non danneggia piuttosto che migliorare il clima economico del Paese, oltre che creare tensioni sociali? Pensiamo ai grossi gruppi industriali, come la FIAT, ma anche le Spa a capitale pubblico - da Finmeccanica a Fincantieri - non sono da meno: Alenia, per esempio, propone dei piani in cui la prima cosa che si pensa di fare sono i tagli al personale. Insomma, questa è l'unica cura in cui la grande industria sembra essersi specializzata.
D'altro canto, bado anche alla vostra sopravvivenza, specialmente riguardo alla necessità del credito e alla carenza di liquidità. Mi riferisco, in particolare, al credit crunch. Vi chiedo, allora, se credete che quanto disposto dal Governo all'articolo 8 del decreto-legge sia sufficiente per darvi una boccata d'ossigeno e farvi andare avanti.
Ancora, rispetto all'IVA, si è annunciato che ci saranno 2 punti percentuali in più da giugno del prossimo anno. Secondo voi, annunciare un aumento di IVA non potrebbe essere pericoloso per l'economia? Industriali e imprenditori potrebbero immagazzinare maggiori quantità di merci, creando, nell'immediato, più movimento. Tuttavia, se queste merci non dovessero poi trovare mercato, si potrebbe avere un tonfo nel prossimo futuro, anche sul piano delle aspettative speculative e di guadagno. Tra l'altro, sempre R.ETE. Imprese Italia sosteneva che la manovra IVA potrebbe determinare processi inflattivi, nonché un ulteriore impatto recessivo, con una contrazione del PIL, anche se in termini percentuali molto bassi, al di sotto l'1 per cento, ma comunque significativi. Ciò è vero anche per voi?
Infine, rispetto a un momento di grande difficoltà economico-finanziaria come l'attuale, un modo di fare che diventa sempre più abituale è che le industrie prendono armi e bagagli e si spostano ora nell'Europa dell'est, ora verso la Cina o altre parti del mondo, dove, probabilmente, il costo del lavoro è minore o vi sono comunque condizioni di vantaggio per chi fa impresa. Secondo voi, seguire questa strada, scegliendo magari di pagare salari più bassi, è il modo corretto per arrivare sul mercato e per fare impresa? Oppure, in un momento di crisi, questo è un atteggiamento - come dire - da disertori, visto che anche l'industria dovrebbe fare la sua parte, soprattutto se, come nel caso di FIAT, si scappa dopo aver preso?
Per concludere, si comincia finalmente a parlare di manette per gli evasori. Da parte mia, ritengo che chi evade il fisco faccia qualcosa di più grave di una rapina


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in banca, perché almeno il rapinatore ci mette la faccia e rischia qualcosa in più. Per contro, chi non paga le tasse inganna lo Stato e la collettività in modo molto più subdolo, per cui occorrerebbero anche misure estreme, come il carcere. Siccome l'industria e il commercio non sono soggette al prelievo alla fonte, come avviene invece per i lavoratori dipendenti, proprio tra di voi si annidano le sacche più ampie di evasione fiscale o di elusione. Ritenete giusto, quindi, intraprendere la strada delle manette - vere - per gli evasori?

MAURIZIO LEO. Anch'io desidero ringraziare il professor Galli della puntuale disamina. Vorrei soffermarmi su due questioni. La prima riguarda il cosiddetto Ace (Aiuto alla crescita economica). Lei ha spiegato molto bene che è uno strumento per portare un po' di perequazione tra il capitale di rischio e quello di debito sul versante del trattamento tributario. Ecco, vorrei approfondire l'ambito soggettivo di applicazione di questa normativa. Lei ha ricordato che si applica alle società di capitali, agli enti commerciali e ai soggetti non residenti, limitatamente alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato. Non ritiene che sul versante dei soggetti non residenti si possano fare delle limitazioni, applicandolo alle sole stabili organizzazioni dei non residenti che, però, risiedano nell'ambito dell'Unione europea o nello spazio economico europeo? In questo modo, infatti, si potrebbero mantenere sul territorio dello Stato maggiori risorse a favore delle imprese italiane, senza violare le regole comunitarie. Potremmo - ripeto - limitare l'applicazione dell'Ace ai non residenti che operano nel territorio dello Stato, a patto che siano residenti nell'Unione Europea o nello spazio economico europeo.
Inoltre, il provvedimento è ricco di misure che riguardano il contrasto all'evasione. Voi avete, invece, un altro assillo che è legato all'elusione e all'abuso del diritto. Ricordo che proprio di recente è intervenuta una sentenza della Corte di cassazione che ha aggravato ancora di più la situazione, perché il solo fatto che vi sia un vantaggio fiscale comproverebbe l'assenza di valide ragioni economiche. Ecco, non ritenete che, in un contesto generale di misure che combattono l'evasione fiscale, sia opportuno inserire addirittura in questo provvedimento una norma che definisca con precisione l'elusione e l'abuso del diritto? In caso contrario, penso che si aprirà una strada impervia per le imprese che lei rappresenta, visto che, di fronte a questo tracimare della giurisprudenza della Corte di cassazione, ritengo che non abbiate più nessuna possibilità di poter arginare questi fenomeni.

ROBERTO OCCHIUTO. Anch'io ringrazio il direttore Galli della cortesia - in verità, dovuta - nei confronti delle Commissioni, ma anche e soprattutto dell'approccio responsabile che ha mostrato nella sua relazione verso il tema oggetto dell'audizione. Anche noi, come gruppo dell'UdC, condividiamo questo orientamento, perché riteniamo che interrogarsi sull'effetto recessivo di una manovra, la cui alternativa sarebbe il baratro per il Paese, è retorico, oltre che inutile. Mi limito, pertanto, a rivolgerle, direttore, due brevissime domande. Anch'io sono convinto che questa manovra sia assolutamente necessaria, sebbene tanti temi meritino di essere affrontati, quando - come tutti ci auguriamo - l'emergenza sarà superata dal Governo con provvedimenti ulteriori. Lei faceva riferimento, per esempio, alla necessità di intervenire con maggiore decisione sugli investimenti in ricerca. È emersa, tuttavia, anche un'altra questione, che mi pare sia stata oggetto di discussione anche in occasione delle precedenti audizioni. Mi riferisco alla preoccupazione in ordine ai lavoratori in mobilità e agli accordi che Confindustria ha stipulato nei mesi passati. Nella manovra - lei lo diceva chiaramente, direttore - è previsto un tetto di 50.000 lavoratori beneficiari. Lei, però, ricordava che ci sono anche altri accordi stipulati fino all'entrata in vigore del decreto-legge. Secondo le vostre stime, nelle settimane e nei mesi che verranno, in che misura bisognerebbe intervenire.


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L'ultima domanda riguarda le infrastrutture. Lei ricordava che la manovra contiene interventi utili per lo sviluppo e faceva riferimento all'Ace, all'IRAP e così via, oltre che alle infrastrutture. Anch'io condivido il suo giudizio sull'articolo 3 del provvedimento in esame, che riguarda la possibilità per le regioni di escludere dal patto di stabilità le risorse per il cofinanziamento. Tra l'altro, rilevo che una norma analoga era già contenuta in un'altra manovra, ma questa volta è coperta con soldi veri. Difatti, nella manovra di agosto c'era una disposizione simile, l'articolo 5-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, che concedeva uno spazio di manovra finanziario alle regioni dell'obiettivo convergenza. Stavolta, la misura è coperta per un miliardo di euro all'anno. Ci sono, però, anche altre norme che riguardano le infrastrutture. La domanda è se abbiate stimato il valore di queste norme in termini di nuovi investimenti per le infrastrutture, appunto.

ROLANDO NANNICINI. Ringrazio il direttore Galli della sua presenza. Peraltro, non è la prima manovra che discutiamo insieme a lui. Quando ci siamo incontrati in occasione di un'audizione svolta presso il Senato sull'ultima manovra estiva, lei, direttore, sostenne che, se avessimo acquistato credibilità attraverso le nostre iniziative, inducendo i mercati a pensare che è possibile il pareggio di bilancio nel 2013, lo spread si sarebbe abbassato, a suo dire, anche di una cifra nell'ordine dei 100-150 punti. Il tema concerneva, dunque, il nostro approccio, come forze politiche, riguardo alla necessità della manovra. Poc'anzi, lei ci ha fatto presente di condividere alcune scelte. Tuttavia, vorrei cambiare il tono della discussione.
In questo periodo, il sistema industriale italiano, che lei rappresenta in questa audizione, non è cambiato rispetto al problema del costo del prodotto, alla produttività e alla presenza nei mercati internazionali? Ha fatto, cioè, lo sforzo necessario, almeno relativamente ad alcuni settori? Insomma, ritiene che il sistema industriale italiano sia rimasto fermo rispetto al tema della globalizzazione e della concorrenza dei nostri prodotti sul mercato internazionale? È solo qui che si deve discutere della concorrenza e della possibilità di entrare nei mercati oppure vi sono stati già passi positivi dell'industria italiana piccola e media, che è presente nei mercati internazionali e può sostenere l'occupazione con nuovi investimenti? Il tema della recessione è tutto qui: non si può sempre e comunque pensare che c'è un altro che pensa a noi, scaricando su di esso i costi. Ecco, il sistema industriale italiano ha modificato il suo pensiero su questo atteggiamento? Io credo di sì. Tuttavia, lei può senz'altro rappresentarlo con esempi e con maggiore correttezza, a vantaggio di questo incontro e di chi ci ascolta.

LINO DUILIO. Ringrazio anch'io il direttore Galli. Vorrei esprimere un'osservazione circa una sua affermazione molto apodittica - ripresa, peraltro, anche da qualche collega - in merito al carattere recessivo o meno della manovra. Io vorrei solo sottolineare che qui non facciamo discorsi accademici o da salotti intellettuali, domandandoci se una cosa sia recessiva o meno e via dicendo. Noi, come Partito Democratico, ci siamo assunti la responsabilità e abbiamo messo al primo posto il Paese. Difatti, strumentalizzare la situazione, visto come eravamo stati ridotti dopo dieci anni (eccetto venti mesi) di allegria e di ricreazione, sarebbe stato facile. Abbiamo riconosciuto, però, che questa manovra era assolutamente necessaria per evitare il baratro, perché questo, forse, in un Paese che ha poca memoria, tende a essere rimosso. Si sentono discorsi, da parte di alcune forze politiche, come se si fosse stati all'estero in questi anni. Dico questo non tanto per fare polemica, ma perché chiedersi se gli effetti che si determinano a causa di questa manovra necessaria inducono conseguenze anche sulla domanda, in particolare su quella interna, con il rischio di abbassarla in un momento in cui non tira molto quella estera - visto che siamo votati all'export -, credo sia opportuno per fare in modo che si pensi a dei contravveleni e quindi si eviti di trovarci in un circuito perverso, che si avvita su se stesso. Rifuggirei,


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quindi, da discorsi accademici - ovviamente non mi riferisco a lei, direttore - nel giudicare la manovra recessiva o meno oppure regressiva. Stiamo parlando - ripeto - di una condizione complessiva, anche a livello internazionale, tale per cui si va in una certa direzione e di misure che, comunque, comportano alcune conseguenze. Noi ci stiamo assumendo la responsabilità di provare a renderla, oltre che necessaria, anche più equa, realizzando quel trittico di cui parla il Presidente Monti, e, nello stesso tempo, di mitigare, per quanto possibile, effetti potenzialmente recessivi. Tra l'altro, se non è cambiato qualcosa nelle regole elementari dell'economia, quando si ha un reddito disponibile che si abbassa, anche la domanda si abbassa. Ecco, questa era solamente una puntualizzazione.
Vengo alla domanda. Lei, direttore, ha fatto un elenco, valutando positivamente questa manovra per diverse ragioni. Nel complesso, il Governo ha assunto decisioni giudicate favorevolmente da Confindustria e quindi dalle imprese. Le domando, allora, se giudica positivamente ciò che il Governo ha fatto per le imprese, cosa pensano di fare le imprese per il nostro Paese, in particolare per quanto riguarda due questioni che credo debbano andare al di là della contingenza, traguardando il tempo presente, visto che speriamo tutti di uscire da questa situazione. Mi riferisco, nello specifico, ai nuovi prodotti e ai nuovi mercati. Difatti, sono convinto - magari è una mia fissazione - che, nel medio periodo, il tradizionale made in Italy non sia sufficiente per far sì che noi conquistiamo tassi di crescita meno rachitici di quelli degli ultimi 10-15 anni. Se è vero che sono necessarie alcune innovazioni di processo, è anche vero che sono necessarie altrettante innovazioni di prodotto. La considerazione non è polemica, ma ricognitiva, poiché vi sono, forse, iniziative in questa direzione. In ogni caso, penso che questo sia un problema reale del nostro Paese. Lei sa che in altri Paesi si è fatto qualcosa per cercare di domandarsi - non ricorrendo alla sfera di cristallo - quali debbano essere i segmenti produttivi verso i quali dedicarsi e quali possano essere gli strumenti per riconquistare fette di mercato mondiale che in questi ultimi anni abbiamo perso: siamo scesi - se non ricordo male - sotto il 3 per cento, mentre eravamo al 4,5 per cento. Questa era la domanda.
Inoltre, sul versante della ricerca, conoscendo la struttura della realtà imprenditoriale del nostro Paese, fondata su piccole e medie imprese (più piccole che medie), siccome lei ha lamentato giustamente la riduzione delle risorse per ricerca e sviluppo, che credo - o almeno spero - verrà compensata in un prossimo provvedimento, vorrei sapere se un livello di finanziamento privato per la ricerca cominci a essere un cespite preso in considerazione da Confindustria e dal sistema imprenditoriale italiano ed, eventualmente, come si possa quantificare.
Avrei un'altra domanda di carattere più macroeconomico. Siamo convinti tutti - credo - che questa manovra sia necessaria. Il Presidente Monti ha spiegato che dobbiamo approvarla anche per avere più forza in Europa, affinché l'Europa faccia ciò che deve fare. Vorrei conoscere la sua opinione sul contesto europeo, in particolare su cosa stia accadendo in Europa, su quale debba essere il ruolo dalla Banca centrale europea e se acceda all'idea, sostenuta da molti, che la BCE debba essere prestatore di ultima istanza.
Da ultimo, vorrei fare un'osservazione su un tema più specificamente industriale o, se vuole, più specifico, che riguarda Confindustria. Mi risulta - mi corregga se sbaglio - che in materia di brevettazione a livello europeo è stata introdotta, di recente, una misura che va nella direzione esattamente opposta a quella, auspicata, di risparmiare sui costi. Il Commissario europeo Michel Barnier, venuto alcuni giorni fa in audizione, ci ha detto che la registrazione di un brevetto in Europa costa mediamente 35.000 euro, mentre negli Stati Uniti il costo è di appena 2.000 euro. A ciò si aggiunge un piccolo dettaglio, cioè che, a livello europeo, con il consenso di Confindustria, mi risulta abbiano aggiunto alla lingua inglese e francese anche quella tedesca, perché i tedeschi hanno chiesto e ottenuto


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che si debbano fare le traduzioni anche nella loro lingua, cosa di cui potevamo fare a meno e che comporta comunque costi ulteriori. Inserisco questo discorso all'interno di quello più complessivo di un'Europa che ci faccia risparmiare e non contribuisca ad accrescere i costi. In questo senso, mi risulta strano - sempre che mi abbiano riferito correttamente, ma non ne dubito - che Confindustria, con la sua rappresentanza in Europa, abbia sostenuto questa posizione.

GUIDO CROSETTO. Professor Galli, non le chiedo giudizi né politici né macroeconomici, perché ricordo perfettamente quelli che diede Confindustria nel corso dell'esame della prima e della seconda manovra della scorsa estate, prendendo le distanze da quello che sostenevano alcuni di noi e che adesso siamo costretti a fare. Quindi, se i giudizi attuali sono uguali e hanno la stessa validità di quelli che Confindustria diede allora, non avrebbero alcun valore. Entro, dunque, nella parte tecnica, cioè di Confindustria come rappresentanza degli industriali. Vorrei sapere il suo parere sull'articolo 24, comma 14, lettera a) del testo in esame, ovvero sull'esenzione dall'applicazione della nuova disciplina previdenziale per gli accordi stipulati fino al 31 ottobre 2011: mi pare una data fissata per favorire il sistema bancario, l'unico tra i grandi ad aver chiuso gli accordi prima del 31 ottobre 2011, mentre sono escluse moltissime aziende che, invece, hanno stipulato successivamente tali accordi. Capisco che il titolare del Ministero abbia una chiara provenienza; tuttavia, Confindustria rappresenta qualcosa di più ampio del sistema bancario.

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Galli per la replica.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. Provo a raccogliere le domande. In generale, sulla manovra, si potrebbe anche dire che è necessaria, ma recessiva. Questa è un'opinione legittima. Faccio riferimento a quanto hanno detto gli onorevoli Fugatti e Duilio. La mia opinione è che, in questa situazione, questa manovra sia necessaria e, se approvata, abbia buone probabilità di evitare una recessione più grave, riducendo, quindi, l'entità della recessione e sostenendo l'attività economica e il PIL. Questo non è poco. In tempi normali, se si mettono più tasse o si fa una manovra di finanza pubblica per mettere a posto i conti, si hanno degli effetti diversi, almeno nel breve periodo; nel lungo termine, poi, si vedrà. Quindi, anche in relazione al tema del pareggio di bilancio, credo che occorra ragionare in questo modo. La nostra idea è che la manovra debba essere approvata nel più breve tempo possibile; questo è lo stesso giudizio - onorevole Crosetto - che abbiamo espresso a luglio e ad agosto.

GUIDO CROSETTO. Professore, non le ho chiesto un giudizio sui tempi.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore generale di Confindustria. È lo stesso giudizio. Anche allora suggerimmo di fare in fretta. Bisogna farle le manovre. A ogni modo, per quello che riguarda i quesiti specifici - in particolare credit crunch e articolo 8 del provvedimento, che ha posto l'onorevole Barbato - mi sembra che ci siano svariati punti apprezzabili che riguardano il credito. Per esempio, la questione delle garanzie dello Stato sulle obbligazioni emesse dalle banche è importante anche in relazione a orientamenti che sono stati assunti in sede europea, per cui le banche possono scontare quelle obbligazioni - è il caso dell'Irlanda - presso la BCE, che è ormai l'unica fonte della liquidità; ciò posto che gli orientamenti della BCE siano in linea con quelli assunti dall'Ecofin. Vi sono, inoltre, le misure che riguardano i confidi e il fondo di garanzia. Certo, si può sempre fare di più; tuttavia, mi sembra che queste cose siano positive e importanti.
Riguardo all'annuncio anticipato di un aumento dell'IVA, la Germania lo fece a suo tempo, comunicando l'aumento dell'IVA sei mesi prima (o qualcosa del genere). Questo ebbe l'effetto di anticipare i consumi, quindi una funzione propulsiva sui consumi pro tempore. È ovvio che poi, quando l'aumento diviene reale, in parte la gente ha già comprato, quindi si ha un effetto negativo.


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A ogni modo, per un po' di tempo questa strategia sorregge l'attività economica.
In merito alla questione delle manette agli evasori o comunque alla severità nei loro confronti, siamo assolutamente d'accordo. Non abbiamo alcun dubbio su questo. Tuttavia, bisogna chiarire - come diceva l'onorevole Leo - che cosa è evasione piuttosto che elusione. C'è, insomma, una questione di abuso del diritto; peraltro, il termine stesso - capisco che è un termine che poi si usa in Europa - rinvia a una cosa strana, anche per gli addetti ai lavori. A ogni modo, nel caso delle imprese di qualunque dimensione, piccola o grande che sia, questo rappresenta un problema serio; pertanto, prima si riesce a ottenere un chiarimento su tale concetto, meglio è per tutti, sia per l'impresa sia per chi deve far applicare seriamente le norme fiscali in materia di evasione fiscale.
Per ciò che riguarda la limitazione dell'Ace alle sole stabili organizzazioni europee, non saprei. Farei comunque attenzione a non operare una discriminazione a sfavore delle imprese multinazionali. Siamo, infatti, un Paese che deve attrarre capitali esteri e non solo europei. Peraltro, abbiamo in Confindustria imprese multinazionali che sono importanti per il Paese: per l'indotto che generano, per la ricerca e per i modelli organizzativi che ci aiutano a portare a conoscenza delle imprese italiane. Insomma, non vorrei dare una risposta su questo, ma solo dire di fare attenzione, perché le multinazionali sono importanti per il nostro Paese.
Un altro quesito - posto dagli onorevoli Occhiuto e Crosetto - riguarda le pensioni e la mobilità. Più precisamente mi si chiedeva quanto bisognerà intervenire in termini di ammortizzatori sociali nei prossimi mesi. Ebbene, non saprei fare una stima di quanto sarà necessario. Credo, però, che sarà indispensabile far fronte a situazioni di questo tipo nei prossimi mesi proprio perché l'economia non sta andando bene. Sono, poi, d'accordo con l'onorevole Crosetto che la data del 31 ottobre andrebbe spostata, quanto meno alla data di emanazione del decreto-legge.
Riguardo al ruolo della BCE quale prestatore di ultima istanza, vorrei dire che dobbiamo stare attenti a fare queste affermazioni perché c'è qualcosa che non quadra. Difatti, la Federal Reserve statunitense non fa il prestatore di ultima istanza per la California o per il Minnesota che sono in grandissime difficoltà, o meglio praticamente falliti. Allora, nel momento in cui chiediamo questo, dobbiamo essere consapevoli che è una notevole forzatura rispetto al ruolo di una banca centrale. Dunque, se chiediamo una misura del genere, dobbiamo essere anche disposti a ragionare in termini diversi, cioè di una più forte governance europea, che non può non accompagnarsi - come dice la Germania - con una qualche cessione di sovranità da parte delle nazioni verso l'Europa; tertium non datur. Naturalmente, questo si scontra con gli orgogli nazionali dei diversi Paesi. Paradossalmente, la Germania è molto più disponibile a fare cessioni di sovranità di quanto non lo sia la Francia; non è ben chiaro quanto sia disposta l'Italia a cedere sovranità. A ogni modo, per avere quei benefici dall'Europa, bisogna avere anche tutto il resto, quindi un'Europa federale.
In merito alla questione dei brevetti, mi rendo conto che la soluzione trovata è costosa. Credo che dietro ci sia la cosiddetta questione English always. Quindi, in ogni caso essi vengono tradotti in inglese. All'inizio avevamo condiviso con il Governo italiano l'opinione che ci dovesse essere anche la lingua italiana, ma in ogni caso, per ridurre i costi, sarebbe stato opportuno avere English only. La soluzione English always che è stata trovata è un compromesso, e, aggiungendo anche il tedesco, indubbiamente non è la meno costosa.
Vorrei, infine, dire qualche cosa sul ruolo delle imprese. Intanto, ho l'impressione che ogni volta che partecipiamo a un'audizione ci sia un fraintendimento, perché qualcuno cita la distinzione tra grande e piccola impresa. Ciò vuol dire che non ci siamo spiegati bene: Confindustria rappresenta all'87 per cento piccole e piccolissime industrie. Noi siamo la piccola industria «assieme». Difatti, lavoriamo e abbiamo lavorato in tutti questi


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mesi assieme ad artigiani, commercianti, cooperative e R.ETE. Imprese Italia, giungendo insieme alle attuali posizioni. La nostra forza non è quella di rappresentare la grande, bensì la piccola e la media impresa di questo Paese. Le azioni che abbiamo realizzato in questi anni e i punti di contrasto con il precedente Governo riguardavano, peraltro, proprio il sostegno alla piccola e media impresa. Se ricordate, nel 2009 ponemmo la famosa questione dei soldi veri, che non era altro che il fondo di garanzia per la piccola e media impresa; non era il sostegno alla grande impresa. In quel caso, il Governo, o forse il Ministro dell'economia e delle finanze, fece un errore a non dare il sostegno alla piccola e media impresa per quello che riguardava l'accesso al credito che noi, assieme a tutte le altre organizzazioni delle imprese, chiedevamo.
In più, direi che le imprese stanno facendo la loro parte. L'Italia è il secondo Paese manifatturiero d'Europa e il secondo esportatore d'Europa. Le esportazioni - fino a quando c'era un minimo di mercato - crescevano al ritmo del 10 per cento. Le imprese hanno fatto ricerca e hanno innovato. Certo, abbiamo una struttura e un sistema Paese che non favoriscono la crescita dimensionale delle imprese. Abbiamo tante piccole imprese, ognuna delle quali è molto dinamica, ma poi queste imprese dovrebbero riuscire a crescere. Su questo c'è, evidentemente, una difficoltà, ed è per questo che ci battiamo per avere una pubblica amministrazione più efficiente, che renda più facile i processi, le autorizzazioni e quindi la crescita delle imprese. Tuttavia, le imprese hanno retto questo Paese; sono loro a fare le esportazioni e a consentirci di importare, a nostra volta, l'energia e quant'altro dobbiamo - come Paese che non ha materie prime - importare. Noi siamo - consentitemi - orgogliosi di rappresentare questo mondo dinamico, ancorché fortemente provato dalle crisi di questi anni. Peraltro, sia le piccole sia le grandi imprese - questa distinzione mi sorprende un po' - avevano proceduto a ristrutturazioni formidabili nei primi anni Duemila, prima delle grandi crisi, per cui da allora non è più vero che l'Italia è quel tal Paese che produce le stesse cose che produce la Cina. Questa è un'immagine sbagliata di questo Paese, non solo del suo sistema delle imprese, che sono cambiate moltissimo, specializzandosi sull'alto valore aggiunto. D'altra parte, le imprese che sono andate all'estero, proprio andando all'estero, si sono rafforzate in Italia. C'è, infatti, un problema dimensionale anche perché soltanto assumendo un'ottica globale le imprese riescono a competere anche sul mercato domestico e a tenere in Italia lavori ad alto valore aggiunto. È evidente che la via bassa non funziona e che non riusciamo a competere sul costo del lavoro con la Cina o con gli altri Paesi emergenti. Le imprese hanno fatto i loro compiti a casa. Tuttavia, le crisi del 2008, del 2009 e quella odierna - anche se nel 2010 abbiamo avuto un momento positivo e di speranza fino alla prima metà del 2011 - hanno esplicato i loro effetti. Qualcuno mi chiedeva se gli imprenditori stiano gettando la spugna. Certo, c'è anche chi - come tutti sapete - si è suicidato e non ha retto a questa prova, ma la stragrande maggioranza delle imprese è fatta di gente che continua a scommettere e che ha fiducia in questo Paese. Anche per questo siamo così determinati a reclamare le misure che chiediamo, per far sì che questo Paese si salvi. Avendo una struttura produttiva che è molto migliore di quella di tanti altri Paesi europei, l'Italia si può salvare.

PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore Galli e Confindustria.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 19,55.

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