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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(V-VI Camera e 5a-6a Senato)
2.
Venerdì 9 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL DECRETO-LEGGE 6 DICEMBRE 2011, N. 201, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LA CRESCITA, L'EQUITÀ E IL CONSOLIDAMENTO DEI CONTI PUBBLICI

Audizione del Governatore della Banca d'Italia:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 12 16 17 19 27
Barbato Francesco (IdV) ... 18
Bitonci Massimo (LNP) ... 16
Borghesi Antonio (IdV) ... 18
Duilio Lino (PD) ... 12
Fugatti Maurizio (LNP) ... 12
Lannutti Elio (IdV) ... 13
Marsilio Marco (PdL) ... 14 24
Pugliese Marco (Misto) ... 17
Simonetti Roberto (LNP) ... 16 17
Vannucci Massimo (PD) ... 17
Visco Ignazio, Governatore della Banca d'Italia ... 3 19 24

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 27 35 37 41 42 43 44 46
Conte Gianfranco, Presidente ... 39
Barbato Francesco (IdV) ... 35 36 37
Borghesi Antonio (IdV) ... 37
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 36 37
Crosetto Guido (PdL) ... 37
De Micheli Paola (PD) ... 37
Duilio Lino (PD) ... 40
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 45
Forcolin Gianluca (LNP) ... 37 43
Fugatti Maurizio (LNP) ... 27
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 27 42 43 44 45
Marinello Giuseppe Francesco Maria (PdL) ... 36
Mazzillo Luigi, Presidente di sezione della Corte dei conti ... 45
Messina Ignazio (IdV) ... 41
Nannicini Rolando (PD) ... 38
Pala Maurizio, Consigliere della Corte dei conti ... 44
Pugliese Marco (Misto) ... 41 45
Simonetti Roberto (LNP) ... 37 41
Vannucci Massimo (PD) ... 36 40 44
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - VI (FINANZE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) - 6a (FINANZE E TESORO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta antimeridiana di venerdì 9 dicembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 9,40.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Governatore della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, l'audizione del Governatore della Banca d'Italia.
Desidero rivolgere un sentito ringraziamento al Governatore della Banca d'Italia, al quale diamo il benvenuto in questa nuova veste in Parlamento, per la disponibilità dimostrata intervenendo nell'audizione odierna, nonostante questa sia per lui una fase densa di impegni e di responsabilità.
Peraltro, conosciamo bene il dottor Visco, perché ha portato la voce e la testimonianza della Banca d'Italia in Parlamento in questi anni, quindi lo ringraziamo anche per la sua attività pregressa.
L'audizione odierna è relativa ai contenuti del decreto-legge n. 201 del 2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, ma è chiaro che da parte di tutti i presenti esiste un vivo interesse a conoscere le valutazioni del Governatore in merito alle decisioni assunte ieri dal Consiglio della Banca centrale europea e ai dati diffusi dall'autorità bancaria europea in merito alle esigenze di ricapitalizzazione delle banche, con particolare riferimento anche a istituti italiani.
In questa fase, infatti, è chiaro che gli effetti in termini di stabilizzazione della finanza pubblica e di stimolo alla crescita dell'economia di un provvedimento così rigoroso e oneroso per i cittadini italiani, come quello che stiamo esaminando presso la Camera dei deputati, sono destinati a dipendere in misura rilevante dalle decisioni che si stanno assumendo in questi giorni e in queste ore nel contesto europeo.
Oggi, la nostra attenzione è rivolta alle scelte che scaturiranno dal vertice dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea che si tiene a Bruxelles, al quale guardano i mercati e tutti i cittadini europei. Sappiamo che è in gioco il futuro dell'euro e dell'Europa, e come Parlamento avvertiamo la responsabilità di chiarire ai cittadini italiani cosa sta accadendo.
Do ora la parola al Governatore della Banca d'Italia, dottor Ignazio Visco.

IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Grazie mille, presidente, grazie dell'invito che abbiamo cercato di esaudire con questa breve nota che chiediamo di depositare agli atti. Il tempo a


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nostra disposizione è stato modesto e quindi non siamo riusciti a fare un lavoro analogo a quello che solitamente forniamo in queste audizioni, anche se con l'impegno di tutti i miei collaboratori credo di aver delineato un quadro abbastanza approfondito dell'insieme delle misure contenute nel decreto-legge oggi in esame e delle loro prospettive.
Le misure vengono descritte in un'appendice della nota che deposito agli atti. La nota sostanzialmente riguarda due aspetti: le valutazioni di insieme su questo decreto e le prospettive sulle quali fondare anche una via d'uscita dalla crisi che per il nostro Paese possa risultare soddisfacente.
Alla fine della descrizione e delle nostre valutazioni su questo decreto, risponderò alle sue due questioni con riferimento sia alle decisioni della Banca centrale europea di ieri, sia alle decisioni conseguenti all'esercizio dell'autorità europea di vigilanza, che sono però di fatto decisioni del Consiglio europeo.
La crisi dei debiti sovrani è stata il motore fondamentale di questo intervento, che rappresenta il terzo provvedimento anticrisi adottato nello spazio di pochi mesi. Quest'ultimo intervento costituisce una risposta forte e rapida, inserita però - necessariamente - in un contesto più ampio che non quello riferito solo al nostro Paese, quindi in un contesto europeo e globale.
Nel nostro Paese le tensioni si sono aggravate dall'estate scorsa, i differenziali di interesse tra i nostri titoli e quelli tedeschi si sono allargati in modo rilevante e il decreto emanato dal Governo, che integra le misure del luglio e dell'agosto scorso, di cui abbiamo già discusso nei mesi passati, secondo noi è nel suo complesso, sul piano quantitativo e sul piano dell'efficacia dal punto di vista dei saldi di bilancio, una misura necessaria e urgente per ristabilire il merito di credito dell'Italia ed evitare conseguenze assai gravi e durature anche sull'economia reale del nostro Paese.
Queste misure sono volte a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, così come le precedenti, e quindi compensano alcuni fatti nuovi intercorsi tra il disegno di quelle precedenti e quelle attuali e forse alcune insufficienze connesse con quelle precedenti; tengono conto, quindi, degli interventi dell'estate scorsa e determinano la correzione del saldo di bilancio nel 2013 a un livello molto alto, pari a 76 miliardi di euro.
Questa è una correzione effettiva. Negli anni Ottanta e Novanta erano state adottate una serie di correzioni rispetto al saldo tendenziale dello stesso ordine di grandezza; la manovra varata dal Governo invece taglia di fatto le spese e fa crescere le entrate, conseguendo un miglioramento dei saldi di bilancio di 76 miliardi di euro nel 2013, che equivalgono ad oltre 4 punti percentuali del prodotto interno lordo.
I nuovi interventi si concentrano, però, per circa due terzi sulle entrate e portano la pressione fiscale a circa il 45 per cento. Vengono definite le modalità attraverso le quali la clausola di salvaguardia connessa con la legge delega per la riforma fiscale e assistenziale viene attuata.
Gli interventi sulle spese riguardano soprattutto le pensioni, completando un lungo processo di riforma avviato all'inizio degli anni Novanta, volto ad adeguare il nostro sistema alle mutate prospettive socio-demografiche e di sviluppo economico, e, anche per effetto delle manovre adottate nel corso dell'estate scorsa, la spesa primaria si riduce in termini nominali. Solo con una sistematica valutazione delle singole voci di spesa sarà possibile accrescerne l'efficienza.
Una risoluta azione di contrasto all'evasione fiscale resta prioritaria, perché è dalla emersione di base imponibile, dalle risorse liberate, dalla razionalizzazione della spesa che potrà derivare la riduzione della pressione fiscale, necessaria per dare lo stimolo richiesto all'attività di impresa e all'occupazione.
Le misure di bilancio contenute nel decreto hanno effetti restrittivi sul PIL, che sono stimati da noi in circa mezzo punto percentuale nei prossimi due anni. L'impatto potrebbe essere in larga parte compensato se il calo dei rendimenti sui


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nostri titoli decennali, osservato nei giorni immediatamente successivi all'emanazione del decreto, si confermasse e si estendesse all'intero arco della curva per scadenza. Come avete visto, purtroppo, dal pomeriggio di ieri parte di questo miglioramento si è eroso, quindi questo è un elemento di incertezza.
Lo sforzo per assicurare il ritorno a tassi di crescita più elevati, il recupero di competitività delle imprese e una maggiore creazione di posti di lavoro va intensificato, dando attuazione in tempi rapidi a misure che si affianchino a quelle di correzione del disavanzo e che si inseriscano in un organico quadro complessivo - come dicevo l'ultima volta in cui ci siamo visti - tale da rassicurare definitivamente coloro che hanno investito e continuano a investire nel nostro Stato, nel nostro Paese.
Noi parliamo tanto di mercati, ma dietro i mercati ci sono gli investitori, i risparmiatori, che vogliono soprattutto essere rassicurati sulla tenuta dei nostri conti, sulle nostre prospettive di crescita e sulla capacità europea - questo riguarda la nostra partecipazione all'Unione europea, ma non siamo i soli responsabili - di riuscire a tenere, di fronte a una pressione finanziaria così forte, come quella attuale.
La manovra nel suo complesso riduce l'indebitamento netto di circa 20 miliardi di euro all'anno per i prossimi tre anni ed è una correzione in rapporto al prodotto interno lordo di circa 1,3 punti percentuali l'anno. Queste misure si aggiungono a quelle approvate nel corso dell'estate e con la legge di stabilità per il 2012, che determinavano una diminuzione del disavanzo pari a circa 60 miliardi di euro nel 2014.
Nel complesso, le misure dovrebbero ridurre l'indebitamento netto di circa 3 punti percentuali del prodotto interno lordo nel 2012, e di 4,5 punti in media nel biennio 2013-2014. Come ho detto, larga parte dell'aggiustamento riguarda le entrate, con effetti che si riducono nell'arco del triennio: da circa l'80 per cento nel 2012 queste passano al 60 per cento nel 2014.
Nel triennio tra il 2012 e il 2014, il provvedimento reperisce anche risorse per circa 30 miliardi annui e ne utilizza una parte per sgravi fiscali, per maggiori spese e per ridurre le risorse da reperire con l'attuazione della legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale, che erano particolarmente incerte e che sono assicurate per 4 miliardi di euro nel 2012, circa 3 miliardi di euro nel 2013 e 3,6 miliardi di euro nel 2014.
Questa eliminazione dell'incertezza degli effetti della legge delega e delle modalità di attuazione della clausola di salvaguardia è importante, anche se questa clausola di salvaguardia viene assicurata dall'aumento di 2 punti percentuali dell'aliquota intermedia e di quella ordinaria dell'IVA dal prossimo mese di ottobre.
Con l'obiettivo di promuovere la concorrenza, il decreto prevede anche alcuni interventi di natura strutturale per la crescita. Questi riguardano la liberalizzazione di alcuni comparti - per cui viene estesa l'apertura degli esercizi oltre quanto previsto nelle precedenti misure, nonché si interviene sul comparto delle farmacie, trasporti - misure che ampliano i poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e interventi di semplificazione di procedure, oltre a una riduzione dei tempi di realizzazione delle infrastrutture. Questi sono elementi importanti di un insieme di misure per favorire il ritorno a un tasso di crescita soddisfacente, ma, come dirò dopo, sono da inserire in un contesto più ampio.
Come valutazione d'insieme, il netto deterioramento delle prospettive di crescita manifestatosi nei mesi scorsi e il peggioramento delle condizioni di finanziamento dello Stato hanno reso le pur rilevanti misure correttive adottate nel corso dell'estate insufficienti a rispettare l'impegno assunto a livello europeo di conseguire il pareggio di bilancio nel 2013.
Si determinava un ulteriore aumento differenziale tra i titoli italiani e tedeschi, che sulle scadenze a dieci anni raggiungeva valori prossimi ai 600 punti base, e questo rendeva estremamente urgente l'adozione di interventi di consolidamento


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del bilancio pubblico e un'azione ancora più risoluta, volta ad affrontare i problemi strutturali dell'economia italiana.
Le manovre varate a luglio, agosto e dicembre mostrano la determinazione del nostro Paese a riequilibrare durevolmente i conti pubblici e rendono possibile conseguire gli obiettivi annunciati, che sono sostanzialmente coincidenti con il pareggio dei conti nel 2013, che resta il punto di riferimento della politica di bilancio.
L'entità della manovra disposta il 6 dicembre scorso è volta a rassicurare i mercati; essa è superiore a quella che sarebbe stata necessaria in situazioni meno gravi, prevalenti qualche mese fa. Le misure hanno effetti permanenti e, in particolare, con riferimento alla previdenza, crescenti nel tempo. Il contributo delle misure una tantum all'aggiustamento è modesto.
La riforma della previdenza, fissando requisiti più stringenti per il pensionamento, rafforza da subito la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico. Questi interventi hanno costi in termini di riduzione del potere d'acquisto e di frustrazione di aspettative individuali che non possono essere ignorati, tuttavia, permettono di considerare sostanzialmente conclusa la lunga fase di adeguamento del nostro sistema alle mutate prospettive socio-demografiche e di sviluppo economico.
L'estensione del metodo contributivo a tutti i lavoratori riduce la disparità di trattamento e rende più stretta la relazione tra contributi versati e benefici pensionistici, riducendo le distorsioni all'offerta di lavoro. La sfida è ora quella di garantire ai lavoratori più anziani soddisfacenti possibilità d'impiego e ai più giovani carriere lavorative non discontinue, che consentano di accumulare un sufficiente montante contributivo. Sarà fondamentale, quindi, agire sulle regole del mercato del lavoro, sul ridisegno degli ammortizzatori sociali e sul potenziamento della previdenza complementare.
Per la necessità di ridurre l'indebitamento netto in tempi molto brevi, la correzione è per la maggior parte affidata a maggiori entrate. Ne conseguirà un ulteriore aumento della pressione fiscale fino a circa il 45 per cento del PIL, un valore molto elevato sia in prospettiva storica, sia nel confronto internazionale.
In parte si è modificata la composizione del prelievo, con lo scopo di sostenere l'attività produttiva e aumentare la competitività con l'Ace, che in inglese significa una cosa e in italiano un'altra e viene tradotto come «Aiuto alla crescita economica» ed è sostanzialmente una riduzione dell'imposizione sulla partecipazione diretta al patrimonio dell'impresa con interventi sull'IRAP.
Lo scopo di questa misura, insieme a quella connessa con l'inserimento nella manovra di alcuni sgravi in favore delle imprese, è di aumentare la capitalizzazione, di ridurre il costo del lavoro, favorendo l'occupazione.
Soprattutto, con questa manovra viene accresciuto il prelievo sul patrimonio e sui consumi. Il rafforzamento della tassazione sugli immobili è coerente con il disegno di una struttura di Governo decentrata, in quanto rafforza il collegamento tra imposte pagate e servizi erogati. L'attuazione di forme di prelievo ordinario sul patrimonio complessivo, in linea con l'esperienza di altri Paesi è pure da valutare nella prospettiva di una minore tassazione sul reddito e richiede l'approntamento di adeguati strumenti informativi.
Al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica contribuisce un forte contenimento della dinamica della spesa primaria, che nel 2013 verrebbe condotta a un livello di 4 miliardi di euro inferiore a quello raggiunto nel 2010, con una significativa riduzione in termini reali. Solo dotandosi di meccanismi idonei a formulare analisi dettagliate delle singole voci di spesa e di indicatori accurati di efficienza delle diverse strutture pubbliche sarà possibile valutare l'adeguatezza dell'entità complessiva di ciascuna voce, indipendentemente dalla spesa storica.
Un'azione decisa in questa direzione, proseguendo altresì nell'azione di riduzione e contenimento dei costi di enti pubblici e organi istituzionali, potrà contribuire


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nel medio termine a liberare risorse per una riduzione della pressione fiscale.
La Camera dei deputati ha approvato il 30 novembre scorso - in prima lettura - un progetto di legge costituzionale per introdurre un vincolo di bilancio in pareggio per le amministrazioni pubbliche, al netto del ciclo e con taluni interventi che mitigano questo vincolo comunque importante. Questa regola può contribuire a mantenere nel tempo il pareggio di bilancio programmato per il 2013, laddove in passato i risultati conseguiti con intense azioni di risanamento sono stati erosi negli anni successivi.
Alcuni interventi si propongono un più efficace contrasto all'evasione, che rappresenta in Italia il maggiore ostacolo a un'equa distribuzione dell'elevato onere fiscale tra i cittadini. Non si può che proseguire in questa direzione, rafforzando in particolare l'efficacia dell'azione amministrativa.
Una riduzione dell'area di evasione facilita, tra l'altro, la definizione di interventi in favore di cittadini con redditi modesti, per la quale sono necessarie informazioni affidabili sulla situazione effettiva dei nuclei familiari. Essa può consentire una riduzione in prospettiva della concentrazione del carico fiscale, rafforzando gli incentivi al lavoro e all'attività di impresa.
In Italia, il cuneo fiscale supera la media degli altri Paesi dell'area dell'euro di 5,5 punti percentuali; l'aliquota legale della tassazione del reddito di impresa, pur escludendo l'IRAP, supera di circa 4 punti quella media dei medesimi Paesi. Nel medio termine, una significativa riduzione della pressione fiscale va accompagnata dal contenimento della spesa. Qualora si riuscisse a conseguire più rapidi risultati su questo fronte, potrebbe essere attenuato l'aumento delle aliquote IVA previsto nel caso di mancata attuazione della delega fiscale e assistenziale, in particolare di quella del 10 per cento che ha effetti distributivi più regressivi.
Nella prospettiva di stimolare il ritorno a una crescita dell'economia più sostenuta, le misure di natura strutturale contenute nel decreto rimuovono alcuni vincoli e restrizioni alla concorrenza e all'attività economica e contribuiscono a semplificare e accelerare la realizzazione di infrastrutture.
Con le liberalizzazioni nei comparti di farmacie, esercizi commerciali, trasporti, vengono riavviati i processi di riforma iniziati nella seconda metà dello scorso decennio. Poteri di regolazione e monitoraggio vengono attribuiti ad Autorità indipendenti, che incorporano le agenzie già esistenti nei comparti dell'acqua e dei servizi postali.
È un percorso a cui già le manovre estive avevano dato un impulso significativo, con interventi relativi ai servizi professionali e ai servizi pubblici locali, da proseguire con determinazione, attuando efficacemente le misure previste.
Ulteriori riforme dovranno rendere organico il disegno di interventi strutturali complessivi, fissando le priorità e tenendo conto anche del posizionamento del Paese nei confronti internazionali più utilizzati. Questo è importante per migliorare la percezione del nostro sistema anche da parte degli investitori stranieri. Se noi guardiamo Doing Business o le statistiche sulla regolamentazione quali quelle pubblicate dall'OCSE, constatiamo il nostro sistematico posizionamento nelle parti finali.
Queste classifiche non dicono tutta la verità, però è evidente che nella percezione di chi investe nel nostro Paese sono il punto di riferimento fondamentale. La corruzione in Italia è considerata così grave da costituire un forte elemento di remora a investire, per cui bisogna adottare misure non solo per ridurla, ma anche per capire le ragioni per cui è considerata così forte. Queste ragioni si celano dietro questi indicatori.
La scelta del Governo di non intervenire immediatamente nel decreto sulle questioni che riguardano la regolamentazione dei rapporti di lavoro e gli ammortizzatori sociali consentirà di raccogliere le istanze delle parti sociali. Tuttavia, interventi su queste materie sono urgenti, in


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particolare per rendere possibile un accesso al lavoro da parte dei giovani più facile e sicuro, e per garantire loro una non effimera progressione economica.
La riforma degli ammortizzatori va inserita in una visione organica della protezione sociale, ispirata a un principio di universalità. Ciò significa anche integrare gli strumenti di sostegno per coloro che perdono il lavoro con effettive politiche attive di riqualificazione e di reinserimento professionale.
Le prospettive di crescita dell'area dell'euro hanno continuato a deteriorarsi nel corso degli ultimi mesi e le informazioni provenienti dagli indicatori congiunturali segnalano, per il quarto trimestre, un ulteriore indebolimento dell'attività produttiva rispetto ai già ridotti ritmi di sviluppo osservati nella parte centrale dell'anno.
Secondo le proiezioni dell'Eurosistema diffuse ieri, che non sono lontane dalle stime più recenti delle principali istituzioni internazionali e degli analisti privati, il PIL dell'area dell'euro crescerà in misura molto modesta nel 2012. Pesano da un lato il rallentamento del commercio mondiale e l'intonazione meno espansiva delle politiche di bilancio - questo è un eufemismo -, dall'altro gli effetti delle tensioni sui debiti sovrani e dell'accresciuta avversione al rischio degli agenti economici.
In questo quadro, in Italia l'andamento dell'attività economica presenta elementi di fragilità addizionali, legati soprattutto all'elevato debito pubblico, che si rifletteranno in una contrazione del prodotto nel 2012 e in ritmi di sviluppo assai contenuti nel corso dell'anno successivo.
Il peggioramento delle prospettive di crescita rispetto alle valutazioni formulate nel corso dell'estate risente sia delle misure di correzione dei conti pubblici disposte negli ultimi mesi, sia dell'eccezionale aumento degli spread rispetto ai titoli tedeschi, che si sta trasmettendo ai costi di finanziamento del settore privato e ai piani di spesa di famiglie e imprese, dando luogo a una flessione della componente interna della domanda aggregata.
Un ulteriore inasprimento delle condizioni di offerta del credito potrebbe derivare dal persistere di difficoltà di provvista all'ingrosso, di funding del settore bancario. Il quadro macroeconomico per i prossimi trimestri è caratterizzato da un'incertezza straordinariamente elevata. Questa dipende principalmente dall'evoluzione della crisi del debito pubblico nell'area dell'euro. Se i differenziali di rendimento tra titoli di Stato permanessero su livelli elevati per un periodo di tempo prolungato, peggiorerebbero ulteriormente le prospettive di crescita e verrebbe ostacolato il risanamento programmato delle finanze pubbliche. Ripristinare la fiducia è un requisito fondamentale, necessario per dare sostegno alla crescita.
Le misure di bilancio contenute nel decreto, indispensabili per scongiurare scenari ancora peggiori, a parità di altre condizioni avranno inevitabili effetti negativi sull'attività economica. Sulla base delle regolarità storiche, l'impatto sul PIL delle misure aggiuntive approvate è stimabile nell'ordine di mezzo punto percentuale nel complesso del prossimo biennio.
A questo effetto restrittivo si possono tuttavia contrapporre effetti positivi, derivanti dall'aumento della fiducia nella capacità dello Stato italiano di onorare il proprio debito e nelle accresciute prospettive di medio termine dell'economia italiana. La riduzione dei costi di finanziamento del settore pubblico e di famiglie e imprese potrebbe favorire già da ora la crescita. L'impatto iniziale delle decisioni del Governo va in questa direzione: nel giorno successivo all'annuncio della manovra i rendimenti sui nostri titoli decennali sono calati di circa 80 punti base. Una riduzione di questa entità, qualora si dimostrasse duratura ed estesa all'intero arco della curva per scadenza, compenserebbe in larga parte gli effetti restrittivi della manovra.
Come dicevo, il Governo ha introdotto misure volte alla promozione della crescita economica, quali l'aiuto alla crescita economica, la deducibilità della parte dell'IRAP relativa al costo del lavoro, le misure di promozione della concorrenza,


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interventi per investimenti in infrastrutture. L'azione dovrà proseguire con misure ad ampio spettro, che riportino gradualmente la nostra economia su un più elevato ed equilibrato sentiero di crescita.
Come ho già detto nel nostro ultimo incontro, considero cruciale definire un disegno complessivo, organico, chiaro e credibile nel quale si inseriscano questi interventi. Non possiamo avere interventi che si sovrappongono gli uni agli altri e che poi devono essere messi insieme e valutati, se questo quadro non è già definito a priori.
Questo quadro dovrà comprendere sia le misure già definite, sia quelle che saranno delineate a partire da oggi, dovrà inquadrare sia gli interventi che possono essere varati in tempi brevi, sia quelli che necessitano di tempi più lunghi. Un approccio organico alla definizione delle misure per la crescita potrà migliorare la fiducia sulle prospettive della nostra economia, con risultati positivi per gli investimenti e lo stesso onere del debito pubblico.
Conosciamo le aree in cui questi interventi devono aver luogo. Essi devono mirare a ridurre oneri amministrativi e tempi della giustizia; migliorare l'efficacia della regolamentazione; stimolare la concorrenza; accrescere la qualità dei servizi pubblici e ottenere migliori condizioni per la realizzazione di infrastrutture, intervenendo anche con decisione sul fronte della legalità; rimuovere gli ostacoli alla crescita delle dimensioni delle imprese; accrescere la formazione del capitale umano e agevolare l'innovazione; migliorare il funzionamento del mercato del lavoro.
È evidente che i rendimenti degli interventi in queste aree saranno distribuiti nel tempo e che gli investimenti non potranno tutti avere luogo oggi, ma la disponibilità di un quadro complessivo, la valutazione degli effetti di questi investimenti, la capacità di metterli insieme come componenti fondamentali, per assicurare al nostro Paese uno sviluppo e una crescita equilibrati per un periodo superiore ai due o tre anni in cui normalmente effettuiamo queste valutazioni, sono essenziali per dare a chi investe - o ha investito - in questo Paese la possibilità di essere sicuro non soltanto di avere un buon rendimento da quell'investimento, ma anche di avere indietro i soldi.
Questo è il punto fondamentale sul quale si sta discutendo in questo momento in Europa, e questo è il problema dei debiti sovrani, non solo nostro.
Nella nota depositata vi è un tentativo di andare in dettaglio sulle misure, di cui non parlo, ma vorrei solamente rispondere alle due domande del presidente Giorgetti all'inizio del nostro incontro. Le due domande riguardavano le decisioni prese in sede di Banca centrale europea ieri e la decisione comunicata ieri dalla European Banking Authority (EBA), con l'illustrazione definitiva delle misure di ricapitalizzazione delle principali banche europee.
In merito alle decisioni di politica monetaria, ieri la Banca centrale europea ha discusso a lungo nel Consiglio direttivo le prospettive dell'economia dell'area dell'euro. Leggerete la valutazione finale nel comunicato emesso, ma è una valutazione di preoccupazione per vari ordini di motivi: il rallentamento - peggiore di quanto non fosse stato previsto a novembre, quando il tasso di riferimento era già stato tagliato di 25 punti base - della crescita dell'economia mondiale. C'è un forte rallentamento negli Stati Uniti, che si comincia a vedere anche nelle economie emergenti che hanno sostenuto per un certo periodo il commercio internazionale, in particolare in America latina.
L'andamento della domanda interna nell'area dell'euro è in peggioramento rispetto a quanto non fosse percepito già in novembre, anche perché sul fronte del credito, e quindi del sostegno all'attività economica, vi sono tensioni che non sono legate ai problemi di capitalizzazione, ma sono legate a problemi di funding delle banche.
Le banche del nostro Paese, ma anche di altri Paesi importanti come Spagna e Francia hanno cominciato a perdere finanziamenti all'ingrosso, cioè fondi provenienti ad esempio dai Money Market Fund americani, investitori istituzionali.


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Hanno cominciato ad avere questa minore disponibilità di fondi perché chi presta a breve e medio termine a una banca lo fa valutando il beneficio e la possibilità che la banca sia in grado di non avere un elevato rischio di controparte.
Questo rischio di controparte nell'estate è cresciuto molto e possiamo discuterne i motivi. Una componente rilevante del peggioramento è legata alla Grecia, al fatto che nella decisione assunta dalla Francia e dalla Germania nell'incontro di Deauville e poi nella decisione del 21 luglio scorso assunta a livello di Consiglio europeo si è stabilito di fare contribuire i creditori privati a parte del costo del salvataggio dello Stato ellenico; quindi chi aveva comprato titoli greci si troverà a non avere tutto il capitale investito.
Era stato detto con molta chiarezza che questo provvedimento avrebbe riguardato solo la Grecia, ma gli investitori non ci hanno creduto, e, avendo investito anche in altri Paesi, ad esempio in Italia o in Paesi che adesso hanno un debito basso come la Spagna, ma che in prospettiva, data la bassa competitività e la difficoltà di rientrare da sbilanci nei conti pubblici, potrebbe crescere, hanno temuto che l'investimento non sarebbe stato restituito nella sua interezza, quindi hanno disinvestito. Questo disinvestimento ha immediatamente portato a far uscire anche gli intermediari finanziari che avevano debito pubblico di questo tipo nei loro attivi. Questo è il motivo per cui poi c'è stata una valutazione forte da parte del Fondo monetario internazionale sulle esigenze di immettere capitale, a fronte di perdite legate a titoli sovrani da parte di intermediari finanziari che avevano questi titoli negli attivi.
Si sono svolti dibattiti a livello internazionale e probabilmente queste valutazioni del Fondo monetario internazionale sono state considerate eccessive, perché questi andamenti dei prezzi dei titoli sovrani potrebbero essere considerati elementi non di equilibrio (un mercato attualmente in panico porta ad aggravare la potenziale perdita in conto capitale connessa ad andamenti nei corsi dei titoli) però, di fatto, questo ha pesato molto a livello europeo.
Ciò ha portato a fare due cose: chiedere da parte dell'EBA nelle varie riunioni un'introduzione di garanzie dal lato del passivo, cosicché il funding per le banche fosse garantito o dallo Stato o dal livello sovranazionale - per esempio dal Fondo di stabilità finanziaria - e in questo modo non venisse meno una componente importante non solo per il mantenimento degli attivi delle banche e dei titoli sovrani, ma anche per la concessione dei prestiti a imprese e famiglie, cosa che non è passata a livello di Consiglio europeo, e in secondo ordine una ricapitalizzazione delle banche che avevano questa esposizione.
Tale ricapitalizzazione posava su una valutazione a prezzi di mercato dei titoli nei portafogli bancari. Si può discutere di tutto, sicuramente dei tempi, delle differenti pratiche di vigilanza in un mercato interno europeo, che per il nostro Paese sono molto attente e hanno consentito di evitare dissesti bancari in un periodo molto difficile quale quello intercorso dal 2007 al 2010.
Non si può non ricordare, però, che questa è una decisione presa dal Consiglio europeo con la partecipazione di tutti i Paesi a livello di autorità di Governo. Nelle discussioni, alla fine, si è anche capito che il rischio più grave era quello di una riduzione degli impieghi da parte delle banche a seguito di questa richiesta, perché, se uno chiede di aumentare il rapporto tra capitale e attività delle banche, lo può fare alzando il capitale o riducendo le attività. Se riduce le attività tagliando i prestiti alle imprese, questo ha effetti prociclici gravissimi.
Nella decisione successiva - è nel comunicato di ieri - l'attenzione è stata posta sul mantenere in cifra fissa l'aumento necessario, una cifra stimata nel mese di settembre, quindi prima del forte aumento degli spread che abbiamo osservato nei mesi di ottobre e novembre, cifra che deve essere ottenuta attraverso aumenti di capitale che possono aver luogo raccogliendo capitali sul mercato, dismettendo


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attività o con la validazione di rigidi modelli di valutazione dei crediti da parte di quelle banche che già questi modelli avevano in corso di discussione con le autorità di vigilanza.
Ci sono molte questioni aperte su questo fronte e le principali sono questioni di vigilanza europea, quindi di cooperazione a livello europeo, di mercato interno europeo, di regole del gioco che valgono per tutti non soltanto nella loro definizione, ma anche nel modo in cui sono applicate.
Questo significa fare richieste di peer review sul modo in cui si fa vigilanza a livello europeo, di avere ispezioni congiunte in banche italiane e in banche europee, di mettere sul tappeto e attuare le decisioni che riguardano il single rulebook per quanto concerne le attività delle banche. Su questo terreno non potrà non essere fortissima l'attenzione delle autorità di vigilanza.
Per ritornare alla decisione della BCE, non solo si è scelto di ridurre il tasso di interesse, ma c'è stata anche una decisione che prende le mosse esattamente dalla stessa componente che ha determinato gli interventi dell'Autorità di vigilanza europea, e cioè la caduta del funding, quindi la forte riduzione delle passività a breve e medio termine delle banche sul mercato all'ingrosso.
Questo è grave perché può portare a una riduzione dell'attivo e quindi a una riduzione dei prestiti a famiglie e imprese, ed è il primo elemento che può spingere al credit crunch, quindi ad aggravare in modo rischioso la crisi che adesso è finanziaria, rendendola una crisi reale, difficilmente contrastabile.
Ieri, la Banca centrale europea ha preso due decisioni fondamentali. Una è stata quella di fare politica monetaria non ordinaria, estendendo linee di credito e operazioni di mercato aperto dai tre mesi - che erano già stati portati ad un anno - sino a 3 anni, per cui le banche possono rivolgersi alla Banca centrale europea e ottenere liquidità per tre anni, e questo sostituisce la componente che è uscita. Nelle normali operazioni di mercato aperto questa è concessa dietro un collaterale, ovvero titoli molto buoni che fino a poco tempo fa erano i titoli di Stato, che ancora sono considerati molto buoni dalla Banca centrale europea, ma meno dai mercati.
Come sapete, però, i titoli di Stato sono una percentuale non altissima, anche se molto rilevante, nella valutazione di mercato e - per quanto riguarda gli aumenti di capitalizzazione che sono stati decisi - dei bilanci delle banche (tra il 10 e il 15 per cento dei loro attivi), mentre c'è tutta un'altra componente di attivi. La Banca centrale europea ha deciso di mobilizzare quest'altra componente in vari modi, che sono dettagliati nel comunicato.
Questo apre un canale di finanziamento e quindi di disponibilità di fondi per le banche molto alto. L'Autorità di vigilanza dovrà guardare con molta attenzione a cosa si farà di questi finanziamenti, perché, se questi fondi vengono impiegati in attività rischiose, prodotti strutturati, derivati straordinari, non verrà raggiunto lo scopo fondamentale dell'intervento. Per le banche commerciali italiane lo scopo fondamentale è concedere prestiti, che ovviamente abbiano merito di credito.
È molto importante che le banche nel fare le loro valutazioni siano in grado di rispettare questi obiettivi, però questo cerca di mettere in sicurezza il sistema bancario. Nelle gravi crisi economiche e finanziarie è dal sistema bancario che partono i problemi, quindi questo è quello che la Banca centrale europea ha cercato di fare.
Nella conferenza stampa le questioni poste sono state più rivolte a cosa succedeva a livello europeo e quindi a livello di Consiglio europeo, di Fondo per la stabilità finanziaria o degli interventi del Fondo monetario internazionale o della Banca centrale europea diretti al sostegno dei titoli sul mercato, piuttosto che alle decisioni di politica monetaria ordinaria e straordinaria prese ieri, che pure sono molto importanti.
Questo è purtroppo un problema nella comunicazione, che nasce anche dal fatto che in questo momento la tensione è molto


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forte soprattutto sul fronte politico comunitario. È una tensione che in parte si può ridurre con l'adozione di regole più stringenti e comuni sul piano - per esempio - dei bilanci in prospettiva, che parta anche dalla disponibilità del ringfencing, la rete di sicurezza per i debiti pubblici di Paesi in questo momento in difficoltà.
Se i rendimenti dei titoli del nostro debito scendessero dal 7,5 per cento di novembre al 5 per cento circa, il nostro sarebbe un debito che si potrebbe sostenere e che non farebbe nascere un avvitamento nell'economia, ma, se rimanesse permanentemente su livelli così alti, si fa presto a fare un conto: si deve mettere in relazione il costo di questo debito e la necessità di accumulare risorse per pagarlo. Queste risorse si mettono insieme con interventi che incrementano la crescita o utilizzano la ricchezza disponibile: non ci sono altre strade.
Se si incrementasse la crescita a livelli tali per cui il costo fosse congruente con questa crescita, il problema scomparirebbe, quindi tutto si tiene. Noi siamo partiti da un'attività di riduzione di bilancio urgente, molto forte e in alcuni casi molto costosa, che va accompagnata con interventi che non solo facciano ripartire la crescita adesso, ma garantiscano un tasso di crescita in salita nei prossimi dieci anni. Questo è quello che devono credere con forza coloro che investono sui mercati, che vogliono sostanzialmente essere rassicurati, perché altrimenti il costo per tutti sarebbe troppo alto.
Contemporaneamente, ciò va inserito anche nelle iniziative europee intraprese sul lato della finanza pubblica, quindi nell'ambito di regole condivise che diano sicurezza ai Paesi sulla possibilità di evitare comportamenti «alla greca» o ritardi all'italiana - noi avevamo un problema non sui flussi, ma sugli stock che non siamo riusciti ad abbattere in 15 o 20 anni a livelli che dessero fiducia a chi investe in questo Paese - e su una rete di sicurezza nel breve periodo. Per quest'ultimo motivo si sta tanto discutendo a Bruxelles su come far ripartire il discorso sulla disponibilità di risorse sufficienti: prima nel fondo di stabilizzazione finanziaria e poi nel nuovo fondo di stabilità monetaria, che è stato anticipato a giugno. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il Governatore. Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MAURIZIO FUGATTI. Ringraziamo il Governatore Visco per questa audizione. Lo sforzo compiuto negli ultimi anni e negli ultimi mesi dal nostro Paese nel risanamento dei conti pubblici è stato immane. Al vertice europeo di poche ore fa è stata riconosciuta l'esigenza di avere la garanzia del pareggio di bilancio, e noi sappiamo quanti sforzi abbiamo fatto per provare a raggiungere questo pareggio di bilancio.
Con manovre che, come lei rilevava, rischiano di portare anche a una perdita di crescita del PIL è più difficile riuscire a ottenerlo. Il nostro Paese ha, però, anche il problema del debito pubblico, perché, se adottiamo misure che causano una perdita di crescita del PIL, forse riusciamo ad avere il pareggio di bilancio, però il calo del PIL comporta che il famoso parametro del rapporto tra debito pubblico e PIL, che dovremmo riuscire a diminuire del 30, 40 o 50 per cento per metterci in riga rispetto a quanto richiesto dall'Europa, diventa ancora più difficile da raggiungere.
Pur riuscendo noi a raggiungere il pareggio di bilancio, cosa non scontata, avremmo poi il problema del debito pubblico. Non vorremmo dover fare manovre ancora più pesanti e chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, laddove, di fronte allo scenario emerso in queste ore, il cittadino comune si pone una sola una domanda, a cui in questa sede noi in realtà siamo in grado di rispondere: questi sacrifici alla fine servono? Per noi la risposta è molto semplice, ma il cittadino comune, che giustamente non conosce tutte le alchimie e le questioni macroeconomiche europee che sottostanno a tutto questo, si chiede se alla fine questi sacrifici servano.

LINO DUILIO. Questa è la prima volta che la incontro da Governatore, quindi mi


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permetto di augurarle buon lavoro e di esprimerle il mio compiacimento.
Nella sua relazione scritta depositata, nella sintesi iniziale dichiara che le misure contenute nel decreto possono determinare effetti restrittivi stimabili in mezzo punto percentuale di PIL nel prossimo biennio. In questo modo fa anche giustizia di discussioni retoriche che abbiamo fatto in questi giorni, perché mi sembra un dato abbastanza scontato, ma poi aggiunge che l'impatto potrebbe essere compensato se il calo dei rendimenti sui nostri titoli - che si è verificato nei giorni scorsi - venisse confermato.
Purtroppo già ieri abbiamo visto che le cose sono andate diversamente, e questo mi consente di porle la prima domanda di carattere generale. Ho letto da qualche parte - non sul quotidiano che è citato, che è il Wall Street Journal - che Wall Street, il mercato che lei ha evocato in più occasioni, conosce ormai solo due sentimenti: l'euforia e il panico. Oggi sembra confermato questo giudizio dei mercati che, soprattutto per quanto riguarda l'andamento delle Borse, sembrano non avere una razionalità identificabile, mentre noi continuiamo a prevedere misure di razionalizzazione che rinviano a una razionalità non ben definita. Se è vero che ormai tutto sembra sfuggito alla possibilità di un governo dei mercati, in presenza di condizioni di progressiva eccitazione e depressione, che sembrano insensibili alle decisioni assunte, e che quindi non prevedono conseguenze legate a queste decisioni, vorrei sapere da lei come Governatore e come studioso se questa fiducia non sia scalfita, anche da un punto di vista teorico, dal fatto che come Stati dobbiamo assumere decisioni che, sulla base di una razionalità codificata e asseverata, sarebbero logiche, ma, se venisse meno questo presupposto, lo sarebbero meno.
Sottolineo questo non perché ritenga che non bisogna intervenire, perché siamo ormai tutti convinti e continuiamo a fare manovre una dopo l'altra, ma qualche dubbio a me viene e vorrei sapere se viene anche a lei come Governatore della Banca d'Italia.
La seconda domanda, che le ho già fatto in una precedente occasione, riguarda le agenzie di rating, in particolare questa condizione di strapotere irresponsabile - ossia non responsabile per tali agenzie - per i tempi in cui intervengono, per le ragioni oggettive che le vedono intervenire e che rimandano a una questione antica, di natura democratica, di chi controlla il controllore, perché anche in questo caso gli effetti sugli Stati sono devastanti. Queste agenzie sono diventate delle super-entità, poco democratiche, che condizionano la vita degli Stati. In questo senso la domanda non è teorica, ma è pratica: vorrei conoscere la sua opinione sulla creazione di un'agenzia di rating a livello europeo, che possa temperare lo strapotere di quelle esistenti.
L'ultima domanda, telegrafica, riguarda quanto è accaduto ieri e i risultati di questa notte. Vorrei sapere se lei conferma il giudizio del nostro amato già Governatore della Banca d'Italia, secondo cui - tutto sommato - quanto avvenuto è un buon risultato, o se lei si aspettasse qualcosa di più.

ELIO LANNUTTI. Ringrazio il Governatore Visco per l'ampia illustrazione di questo decreto «salva Italia», tuttavia a me pare, signor Governatore, che la sua relazione sia troppo ottimistica, forse superficiale per alcuni aspetti, perché non affronta la genesi della crisi sistemica generata, come è noto, dall'avidità dei banchieri, dall'assenza di regole e dalla creazione del denaro dal nulla.
Le banche centrali hanno permesso di battere vera e propria moneta falsa ai banchieri, ai signori di Wall Street. Il 3 dicembre scorso ho trascorso un'intera giornata con i ragazzi indignati, che protestano a Zuccotti Park, sgomberati dalla polizia, e mentre l'Occidente li considera delinquenti, in Oriente quelli che protestano e hanno consentito di sconfiggere le dittature arabe sono considerati eroi.
Vorrei porle solo due domande. Sappiamo che questi prodotti derivati sono 10-12 volte il PIL mondiale, sono negoziati over the Counter scambiati su piattaforme


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opache, che sono la genesi di tutte le questioni. Il PIL misura l'economia reale, la fatica degli uomini, e questa crisi è stata generata dall'assenza di regole, dalla miopia dei governi che hanno abdicato alle loro funzioni e non hanno perseguito rigorose politiche di bilancio, per cui la classe politica deve fare mea culpa su questo, però hanno anche ceduto quote di sovranità a quelli che oggi possono essere considerati mostri giuridici come la Banca centrale europea, che non può neanche fare il prestatore di ultima istanza, laddove prestatori di ultima istanza con questa manovra saranno i consumatori, le famiglie, i pensionati, la povera gente.
Con riferimento all'articolo 12 del decreto-legge in esame, per quanto riguarda la tracciabilità sappiamo che il limite è stato ridotto a 1.000 euro, ma anche che i poveri vecchi che sono abituati ad andare a prendere la pensione negli uffici postali, anche al fine di socializzare, facendo la fila, saranno costretti ad aprire un conto corrente bancario o postale, se la loro pensione è superiore a 500 euro. Vorrei conoscere la sua opinione su questo, signor Governatore.
Lei ha anche affermato che nella decisione di ieri della Banca centrale europea è rigoroso il fatto che il presidente della BCE abbia corretto l'aumento del costo del denaro fatto dal precedente presidente Trichet con due aumenti dello 0,25 per cento che hanno finito solo per mettere una corda al collo alla Grecia e agli altri Paesi indebitati.
La decisione di ieri è intervenuta anche sui collaterali, ma, signor Governatore, i collaterali sui mutui in una fase come questa sono un po' come le obbligazioni, come i bond, perché la gente non li può restituire, e quindi mettere i mutui come collaterali non mi pare sia stata una scelta molto arguta.
Se si tiene conto della dittatura degli spread e dei mercati, la decisione della BCE avrebbe dovuto consentire un aumento del valore dei titoli, invece vi è stato un tracollo delle Borse, lo spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi è tornato a 440 punti base, quindi anche su questo c'è da riflettere.
Non si parla di questo debito pubblico di quasi 1.900 miliardi di euro. L'anno scorso c'è stato un aumento - sono dati vostri -, per cui abbiamo una spesa di interessi che da 74 è salita a circa 94 miliardi di euro, quindi anche su questo aumento di spesa volevo chiedere il suo parere.
Sulle agenzie di rating abbiamo fatto una grande battaglia e il collega che mi ha preceduto ha posto l'accento sulla dittatura del rating.
Per ridurre il debito pubblico, tutti i Paesi aderenti all'euro hanno venduto oro: quindi con riferimento alle riserve auree della Banca d'Italia, e avendo il corrispondente di oltre 100 miliardi di euro, non capisco come mai non si dia luogo a tale vendita ascrivendo una parte del ricavato alla riduzione del debito. Vorrei sapere cosa pensa a tale riguardo.

MARCO MARSILIO. Esprimo una considerazione generale, perché abbiamo sentito anche dal Governatore una previsione molto realistica, ma pessimistica sullo stato della nostra economia e delle previsioni nell'immediato futuro, cioè la recessione che ci aspetta nel 2012, e temo che in periodi di recessione si debbano favorire interventi anticiclici e non prociclici.
Siamo in un periodo di difficoltà per le famiglie, per le imprese, per l'economia in generale e credo che con l'incremento della tassazione oltre il 45 per cento - come tassazione di base - più quella indiretta che sarà dovuta all'incremento dell'IVA, con la benzina già da giorni con i prezzi alle stelle e cose del genere che provocano una pesante spirale inflazionistica, si sia presa una decisione grave, che potrebbe portarci a situazioni ancora più difficili.
Sappiamo infatti che, se diminuisce il prodotto interno lordo, diminuiscono le entrate fiscali perché, per quanto si aumentino le tasse, se diminuiscono i guadagni e i redditi, l'effetto perverso è che, nonostante l'incremento dalla tassazione,


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diminuiscano le entrate. Temiamo quindi che la spirale del debito possa continuare ad alimentarsi.
Aggiungo un rilievo che ho fatto anche in occasione delle precedenti manovre in cui come maggioranza ero parte integrante di sostegno al Governo, quindi mi sento ancor più libero e sereno nell'esprimere questa riflessione adesso, di fronte a un Governo tecnico. È come se ci trovassimo di fronte a un incendio alimentato da una perdita di gas e, intervenendo con gli estintori per spegnerlo, non ci preoccupassimo di chiudere l'alimentazione del gas e quindi il fuoco continuasse a divorare le pareti mentre gli estintori si spengono.
In questa metafora gli estintori sono i soldi che noi chiediamo ai cittadini per spegnere il rialzo degli interessi e quindi quello che paghiamo sul debito, ma il gas che sarebbe il capitale - il debito in quanto tale - non viene affrontato. Se i 300-400 miliardi di euro che in tre anni abbiamo investito per affrontare il tema del pareggio del bilancio, per rincorrere l'aumento degli spread e il peggioramento della situazione economica fossero stati destinati almeno in quota parte al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato per diminuire l'ammontare del debito, questo avrebbe avuto non soltanto un effetto matematico (meno debito, meno interessi), ma anche un effetto moltiplicatore. Questo infatti avrebbe inciso sulla fiducia che i mercati avrebbero riposto nell'Italia, asseverando una concreta iniziativa di riduzione del debito e non soltanto il tentativo di galleggiare, continuando con questo rapporto tra debito e PIL del 120 per cento e oltre, che viene intaccato solo marginalmente anche in base a previsioni ottimistiche.
Tra le misure per aggredire il debito avrebbe dovuto essere inserita anche una consistente opera di dismissione di patrimoni non strategici, di cui non si vede mai la luce. In questo senso, chiedo alla Banca d'Italia - non essendo un esperto in studi economici mi affido alle vostre risposte - giacché il nostro è il terzo o il quarto Paese al mondo detentore di riserve auree e da almeno quarant'anni l'oro non è più riferimento dei valori monetari - quindi praticamente la moneta non ha niente a che vedere con quanto oro si possiede nei forzieri - vorrei capire quale sia l'utilità per la nazione di avere questo consistente patrimonio e chiedervi se non sarebbe utile destinarne una congrua parte insieme ad altri cespiti, ad altri patrimoni, ad altri possedimenti dello Stato per intaccare, abbattere una quota parte del debito. Vorrei capire quali siano i benefici nel rinunciare a fare questa operazione.
Venendo ai contenuti della manovra, con riferimento all'articolo 8 del decreto, in cinque anni stiamo destinando 1 miliardo di euro, cioè 200 milioni l'anno, al sistema bancario, per offrire crediti e garanzie da parte dello Stato. Questo riguarda il sistema bancario privato, il quale è tuttora proprietario del 96 per cento della Banca d'Italia. So che questa è una vexata quaestio, perché nel 2006 era stata data una delega che scadeva dopo tre anni per tornare alla piena proprietà pubblica, o diretta da parte dello Stato, o indiretta con enti pubblici della Banca d'Italia.
È un argomento che peraltro condiziona almeno parte dell'opinione pubblica nel rapporto con questa istituzione. Penso che voi siate testimoni diretti di questa situazione e del continuo sospetto sulla effettiva terzietà della Banca d'Italia rispetto ai soggetti vigilati che sono privati e che sono però, paradossalmente, almeno formalmente proprietari di questo istituto, fatto che a livello di opinione pubblica crea un cortocircuito.
Credo che la scelta del Tesoro o di sue controllate dirette di acquisire finalmente la piena proprietà della Banca d'Italia accresca la credibilità, la trasparenza, la terzietà e quindi anche la fiducia di cui la Banca d'Italia deve godere presso i cittadini, per cui mi sono fatto promotore di un emendamento in tal senso, visto che le leggi precedenti non sono state rispettate, per cui il Tesoro acquisisce la proprietà a valore nominale.
Non so se il problema sia economico, quindi vorrei capire dal Governatore cosa abbia impedito fino ad oggi questo passaggio,


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che pure era previsto dalla legge del 2006, perché non sia stato completato quel percorso, se si tratti di un problema di stime e di valori economici e cosa osti al suo completamento.
Qualora ci fosse un problema di valutazione economica, segnalo - lo dico più alla politica che al Governatore e alla banca - che, nel momento in cui lo Stato assegna 1 miliardo di euro al sistema delle banche, sarebbe equo chiedere alle banche di non porre ostacoli al completamento di questo percorso, che riporti alla pubblicizzazione di Banca d'Italia.
Un ultimo aspetto: in questo decreto c'è un articolo curioso, l'articolo 26, che riguarda la prescrizione anticipata di qualche mese della circolazione delle lire, che vengono incamerate dall'erario. Mi dica se sbaglio, perché tra le tante c'è anche la vexata quaestio polemica che in tempi di crisi risorge su chi sia il reale possessore e proprietario della moneta, ma personalmente ritengo che, se lo Stato ha il diritto come in questa norma di prescrivere il corso legale e di incamerarne il valore, è del tutto evidente che sia lo Stato ad esercitare questo potere e questo possesso.
Vorrei anche capire, però, quali benefici si attendano da questa prescrizione anticipata e perché in un decreto di misure economiche si inserisca questa norma. Forse sapete quanti valori ci sono in circolazione e quanto si possa prevedere di incamerare, perché non ho capito di quale cifra si tratti, se delle 1.000, 50.000 o 100.000 lire che ogni famiglia tiene in casa come ricordo affettivo e che nessuno mai depositerà in Banca d'Italia o di una circolazione concreta, in grado di produrre una misura economicamente apprezzabile.

PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi che devono ancora intervenire di contenere i loro interventi.

MASSIMO BITONCI. Innanzitutto complimenti Governatore per l'intervento e le relazioni che ci fornite, che sono sempre chiare, puntuali e senza fronzoli.
La manovra contiene per la maggior parte misure sulle entrate, che portano la pressione fiscale al 45 per cento, che costituisce un record assoluto e probabilmente porterà a una contrazione dei consumi. Questo dato risulta ancor più negativo, se confrontato con quello dell'evasione fiscale, che in alcune aree del Paese, soprattutto al sud, deve essere prioritariamente combattuta (in tutto il Paese, non solo nelle zone produttive del nord).
La stretta sull'utilizzo del contante a 1.000 euro, che nella relazione voi auspicate anche ad un livello inferiore, non può essere la sola misura per l'emersione della base imponibile, e di contro, come ricordato da alcuni colleghi, potrebbe favorire l'aumento di spese e commissioni sulle transazioni, sulle carte di credito a carico dei cittadini e delle imprese.
Vorrei sapere se come Banca d'Italia potreste concordare con il sistema bancario la gratuità di queste operazioni, soprattutto per alcune categorie sociali, visto che le banche già lucrano su valute e raccolta.
Vorrei chiedervi infine quali siano secondo voi le ulteriori misure da concordare per quanto riguarda l'emersione dell'imponibile sull'evasione fiscale.

ROBERTO SIMONETTI. La ringrazio, Governatore Visco, anche per aver ricordato nella relazione che le manovre precedenti tendevano anch'esse all'equilibrio di bilancio e che le riforme che si devono attuare nell'immediato sono legate al mercato del lavoro, agli ammortizzatori sociali, alla previdenza complementare e non certo alla legge elettorale o alla legge sulla cittadinanza.
Nel complesso lei ha ricordato che nel triennio la riforma reperisce risorse per 104 miliardi di euro, di cui 91 presi però dalle fasce più deboli e socialmente più fragili della società (IMU, pensioni, accise, IVA, tagli agli enti locali, addizionali regionali), mentre solo 7-10 miliardi di euro provengono dalla tassa del lusso concernente auto, navi e aeromobili. Vorrei sapere se questo non possa produrre un effetto recessivo.
Nella relazione lei ha specificato che, se lo spread continua a scendere, questa


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manovra avrà centrato l'obiettivo, ma vorrei sapere cosa si dovrà fare se ciò non avverrà, ovvero se si dovrà aumentare nuovamente l'imposizione fiscale o l'IVA.
Per quanto riguarda le garanzie delle banche legate alla copertura delle passività, dia una garanzia che questo si tramuti in un effettivo maggiore impiego di fondi per le famiglie e le imprese, e non vada solo a garantire le passività delle banche. La preoccupazione dei tecnici della Camera relativamente alla reale copertura dello scudo mi induce a chiederle se questa copertura possa considerarsi certa.

PRESIDENTE. Lo chiederemo alla Corte costituzionale.

ROBERTO SIMONETTI. Perfetto. Per quanto riguarda invece la privacy dei conti correnti, oltre a quanto già esposto dal collega Bitonci, le amministrazioni finanziarie riceveranno tutti i conti correnti direttamente dal sistema bancario, ma vorrei sapere se il rapporto fiduciario che c'è fra un istituto e il proprio correntista verrà meno o saremo tutti costretti ad aprire conti correnti ad esempio in Francia - che comunque non è elusione - in modo da evitare di pubblicizzare dove compriamo la carne, i vestiti, l'automobile, i pacchetti per le vacanze, dove spendiamo i soldi nel tempo libero, perché la privacy non verrà più garantita.
Vorrei sapere, quindi, se la banca riuscirà a tutelare il rapporto di fiducia che deve intercorrere fra chi deposita e utilizza i propri soldi e voi che dovete garantire una certa tenuta del segreto bancario.

MARCO PUGLIESE. Buongiorno, Governatore Visco. La mia è una domanda mossa da curiosità professionale, ma anche l'ennesima proposta che facciamo all'ennesima manovra. Mi riferisco alle riserve auree.
A scuola, quando c'era la lira ci insegnavano che le riserve auree venivano messe a garanzia della moneta, ma oggi le cose sembrano diverse in quanto la Germania ci sollecita sempre a intaccare le nostre riserve auree: il Ministro dell'economia tedesco nelle dichiarazioni spesso consiglia all'Italia di attingervi. So che le riserve auree dell'Italia detenute presso la Banca d'Italia sono di circa 2.500 tonnellate, che, giacché oggi il prezzo dell'oro si calcola in oncia e un'oncia oggi è pari a 1.750 dollari, queste equivalgono in euro a circa 110 miliardi di euro.
Tenuto conto che lo stesso deposito in oro l'anno scorso valeva la metà, perché il prezzo dell'oro era la metà, vorrei chiedere al Governatore Visco, non solo per curiosità professionale ma anche perché questo decreto viene definito «salva-Italia», se, essendo l'Italia il secondo Paese detentore di oro al mondo, non sia giunto il momento di attingere alle riserve auree, mettendo in vendita o addirittura a garanzia dei titoli circa 500 di queste 2.500 tonnellate.
Rimarremmo sempre tra i primi Paesi detentori di oro al mondo, ma potremmo incassare circa 20 miliardi di euro con la vendita o la messa in garanzia di 500 delle 2.500 tonnellate, e magari potremmo chiamare veramente «salva Italia» questo decreto, andando a gravare meno sulle fasce più deboli, i pensionati, coloro che devono pagare il tributo IMU e così via.
Si tratta di una domanda che non abbiamo mai avuto l'occasione di porre direttamente al Governatore della Banca d'Italia per delucidare me e tanti colleghi che vogliono sapere se la questione posta sia un fatto tecnico o etico, perché sembrerebbe solo un fatto etico.

MASSIMO VANNUCCI. Grazie, Governatore, anche per l'aggiornamento rispetto alle dinamiche europee. Conosciamo gli errori del passato, che lei ha ricordato e di cui abbiamo parlato ieri, ed è evidente l'originalità di una Banca centrale europea che deve rispondere a diciassette Paesi. I riferimenti alla Federal Reserve e alla Banca d'Inghilterra sono ovviamente impropri.
Le garanzie europee nella loro forma possono solo aumentare proporzionalmente alla messa in sicurezza dei bilanci


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dei diciassette Stati. Vorrei sapere quindi se lei ritenga che questa manovra italiana abbia modificato in qualche modo il quadro europeo.
Solo dopo aver realizzato questa operazione in Italia, il Presidente francese Sarkozy nel discorso di Tolosa ha potuto ammettere l'errore fatto con la Grecia, ovvero la richiesta del 50 per cento agli investitori, e, siccome lei è stato molto franco, credo che si possa dire anche che il Cancelliere tedesco Merkel sia oggi più forte rispetto alla Bundesbank. L'originalità di questa manovra rispetto ai suoi contenuti va vista in questo senso, cioè nel rispetto della regola d'oro del pareggio di bilancio. Vorrei chiederle quindi come si collochi questa manovra nel contesto europeo.
Ringraziamo la Banca d'Italia perché per la terza volta ci segnala la particolarità del cuneo fiscale per l'Italia. Banca d'Italia ha insistito nel sostenere un prelievo differenziato: si potrebbe chiedere di più ai patrimoni e nelle altre audizioni avete evidenziato l'originalità dell'Italia, l'unica ad aver tolto la tassa sulla prima casa, che invece si potrebbe utilizzare per abbattere il cuneo fiscale.
Quando lei ci diceva ciò io pensavo ad abbattere il cuneo fiscale per le contribuzioni, laddove avevate evidenziato che quelle per le maternità e per gli assegni familiari erano eccessive, mentre, invece, in questo caso si è fatta l'operazione solo sull'IRAP, che non è strettamente collegabile al cuneo fiscale.
Vorrei sapere quindi se lei confermi che sarebbe stato utile intervenire sulla contribuzione e che ne avrebbero beneficiato, oltre le imprese, anche i lavoratori, ottenendo una busta paga più pesante al netto e aiutando in questo modo consumi e crescita.

FRANCESCO BARBATO. Oggi leggiamo che quattro banche italiane hanno determinato un buco che continua ad allargarsi. Vorremmo sapere se sia colpa della EBA, esasperata nei suoi controlli, o se un difetto di controllo della Banca d'Italia ci abbia portato a questo.
Seconda domanda: oggi si parla tanto di casta, che riguarda non solo i politici, ma anche altri livelli istituzionali. Vorrei sapere se corrisponda al vero la notizia secondo cui nella Banca d'Italia ci sarebbero gli emolumenti più alti per i dipendenti pubblici italiani e quindi le pensioni d'oro più elevate, e se tutto questo si autodetermini all'interno della Banca d'Italia con determinazioni dirigenziali.
In California, ad esempio, si chiede con un referendum se coloro che hanno redditi più alti vogliano contribuire al grave momento economico, elevando la loro aliquota IRPEF. Vorrei sapere se voi sareste disponibili a un sensibile taglio dei vostri emolumenti, non solo in ordine a quello che percepite oggi, in autonomia, o se sia colpa della politica che vi consente di avere ancora emolumenti così alti alla Banca d'Italia.
Rispettiamo l'autonomia, senza però voler sottostare al potere della Banca d'Italia, che, rappresentando il controllo sulle banche e sul danaro, si avvale di questo per mantenere posizioni di privilegio nel momento in cui ci sono dipendenti - come i lavoratori che prestano la loro opera per la Camera dei deputati licenziati - che non avranno neanche 890 euro al mese.

ANTONIO BORGHESI. Non parlerò delle retribuzioni della Banca d'Italia, anche perché le feci già una domanda in tal senso in un'audizione al Senato quando lei era direttore del Servizio studi, quindi non la ripropongo ora. Resto però in tema, perché anche in questo provvedimento lo Stato italiano e quindi i contribuenti italiani stanno mettendo per il sistema bancario non pochi denari in svariate forme, anche in quelle delle garanzie.
C'era un'ipotesi che il suo predecessore Draghi aveva portato avanti per un controllo sulle indennità dei manager del sistema bancario, che doveva evitare ciò che è capitato in passato, laddove i contribuenti sono chiamati a pagare il conto magari di qualcuno che incassa decine di milioni di euro sotto forma di stock option o di remunerazione diretta, cosa che appare


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in contrasto con quello che sta capitando. Vorrei sapere, dunque, se quell'ipotesi di regolamentazione abbia dato luogo a specifiche applicazioni nel sistema.

PRESIDENTE. Le questioni poste sono estremamente ricche. Più volte è stato richiamato l'articolo 8 del decreto-legge in esame, concernente le garanzie per il sistema bancario date dallo Stato. Non discuto che siano in conformità con le raccomandazioni europee, ma ai nostri effetti tali garanzie non sono rappresentate nel bilancio dello Stato e secondo me questi debiti potenziali fuori bilancio dovrebbero - lo dico a noi stessi - trovare una qualche forma di rappresentazione, perché altrimenti fino all'escussione della garanzia, teoricamente, questo debito potenziale non viene evocato, ma a tutti gli effetti potrebbe essere assimilato al debito dalla pubblica amministrazione.
Questa è un'osservazione che mi sento di fare perché da queste cose nascono altri problemi.
Do quindi la parola al Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, per la replica.

IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Grazie. Potremmo parlare per ore, ma cercherò di essere breve e - se avete pazienza - di rispondere a tutto, per quello che so rispondervi, perché molte cose sono difficili. Comincio dall'inizio, anche se di solito comincio dalla fine, però la fine riguarda Banca d'Italia, per cui risponderò in conclusione a quest'ultima questione.
L'inizio concerne lo sforzo immane di risanamento dei conti pubblici, riguarda il debito pubblico. La questione fondamentale posta dall'onorevole Fugatti è se questo rilevante sforzo di risanamento dei conti pubblici venga reso nullo dal fatto che, non crescendo, bisogna continuare negli interventi, dato che il problema rimane il debito pubblico.
In Italia per molti anni c'è stata la possibilità di realizzazione di interventi che non sono stati fatti. Erano infatti evidenti l'invecchiamento della popolazione e gli effetti sulla previdenza inseriti nei rapporti degli anni Novanta. Sono stato all'OCSE per un lungo periodo e ho scritto rapporti, tutti ignorati, ovviamente, perché non si guadagnano voti andando a dire che si va a tagliare la pensione, quindi di fatto c'è un problema.
La nostra struttura produttiva così straordinaria perché la piccola impresa è un valore enorme, poi, è stata colpita dal cambiamento tecnologico straordinario, che è stato studiato, valutato e rispetto al quale sono state fatte proposte da molte parti, ma di fatto abbiamo tenuto piccole imprese non competitive per più di dieci anni, finanziandole con il debito preso dalle banche, che ovviamente poi dovevano procedere attraverso passività che adesso vengono meno, e non sono stati fatti investimenti in tecnologia, sono state mantenute così piccole da non poter fare investimenti in attività di ricerca in grado di compensare queste carenze.
Abbiamo un sistema che nel 1992 è andato in crisi per tanti motivi, uno di questi è la fortissima corruzione, che costa in termini di spesa pubblica e di costi per la società, perché, se c'è illegalità e corruzione, le imprese non vanno a investire dove c'è un simile ambiente. È straordinario adesso continuare a parlare di cose che bisognava aver risolto una volta per tutte venti anni fa.
I sacrifici sono molto gravi, però vanno minimizzati intervenendo per tempo in queste aree, ovvero facendo studiare i giovani, cambiando il modo in cui si guarda al bene comune, quindi ai doveri civici come la legalità, la lotta alla criminalità, in cui si prendono per tempo decisioni che all'ultimo minuto sarebbero molto costose.
Capisco bene che c'è questo problema, ma credo che l'unica risposta sia quella della fine del mio intervento, cioè quella di avere una risposta organica, complessiva, che cerchi di mettere le basi per un nuovo Paese, anziché per un Paese che con difficoltà si è aggiustato negli ultimi venti anni.
Gli effetti restrittivi, l'euforia e poi il panico dei mercati finanziari: questo è il


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mondo, noi possiamo decidere di chiudere un Paese e fare l'Albania degli anni Sessanta, ma dobbiamo invece essere in grado di vivere in un mondo moderno sapendovi nuotare. Capisco che vi sono eccessi gravissimi, non ho dubbi che vadano combattuti e analizzati, ma credo che abbiamo un mondo in cui c'è una dipendenza di ciascuno di noi dagli investimenti.
Come è stato detto, Wall Street può essere razionale o irrazionale, ma rimane quello che si attribuisce a Luigi Einaudi: il risparmiatore, che è quello che sta dietro il mercato, vuole avere certezze, quindi ha un cuore di coniglio, ma poi, se vede problemi, ha le gambe della lepre e scappa via. Credo che Merzagora avesse aggiunto che ha anche la memoria da elefante, per cui non torna più.
Questo è il mondo, quindi non dobbiamo innescare questi momenti. Qui sono stati innescati a livello globale: l'Italia non ha una responsabilità diretta nella crisi finanziaria, ha una responsabilità indiretta perché ha mantenuto il debito pubblico a livelli di guardia, e questo era stato detto in tutti i modi, per cui nella congiuntura di eventi sfavorevoli noi siamo presi in mezzo e forse diventiamo anche un capro espiatorio, per cui questa manovra consente forse di essere meno capro espiatorio.
Il punto importante è che noi dobbiamo essere responsabili non solo per razionalità più o meno poco definita, ma per responsabilità nei confronti nostri e delle generazioni future, e dobbiamo operare delle scelte che possono rivelarsi costose. La lotta alla corruzione è costosa, perché ci sono rendite di posizioni, abitudini che vanno cambiate. La stessa cosa riguarda far studiare i giovani, perché in Italia abbiamo tassi indecenti di abbandono scolastico e qualcuno deve prendere provvedimenti, e chi se non la politica e la famiglia? Non certo il mercato. Ci sono una serie di esempi importanti che si possono citare.
Con riferimento alle agenzie di rating: buona l'idea di un'agenzia di rating europea perché ci sia più concorrenza e più trasparenza. Vorrei capire quanto le agenzie di rating investano nell'analisi e nella ricerca. È stato chiesto giustamente chi controlla il controllore: questo vale per tutti, per la Banca d'Italia ma anche per le agenzie di rating.
Con riferimento alla domanda se confermo la valutazione di Mario Draghi che ciò che è stato appena deciso a livello europeo sia un buon risultato, se lui ha detto che è un buon risultato - e io non ero presente - è stato un buon risultato: l'ho lasciato alle 15 di ieri, sicuramente è una situazione molto difficile; il risultato credo sia buono se c'è cooperazione in Europa. Se non c'è cooperazione in Europa, non c'è Europa, e il costo è enorme.
È evidente quindi che in questo momento la tensione è cercare di cooperare il più possibile, per evitare di sfasciare un disegno che finora ci ha dato benefici straordinari, che vanno dalla ricostruzione dopo una guerra tremenda all'interno dell'Europa.
I più giovani forse non lo sanno perché nessuno glielo ha detto, ma il motivo per cui i tedeschi sono così ossessionati dal debito e dalla monetizzazione del debito da parte della Banca centrale è perché fanno l'equazione che sta scritta nella loro Costituzione tra l'iperinflazione di Weimar, e cioè la monetizzazione del debito pubblico da parte della Banca centrale tedesca, il nazismo, la seconda guerra mondiale e la distruzione totale della Germania e dell'Europa. Questo è il motivo di fondo e da quel lato esso va rispettato. La Bundesbank è indipendente dal Governo tedesco in Costituzione per difendere questi princìpi. Possiamo discutere la difesa, possiamo dire tante cose, ma, se non abbiamo chiara l'origine della questione, non possiamo dialogare.
La cooperazione europea è l'unica risposta: l'unica risposta in questo momento non è meno Europa - facciamo default e usciamo dall'euro - bensì più Europa, regole comuni, capacità di comprendere gli sforzi di tutti. Questa è l'unica soluzione.
Per quanto riguarda il punto sollevato dal senatore Lannutti, sono d'accordo: la mia relazione forse è ottimistica, d'altra


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parte da un lato è un ottimismo necessario, perché senza questo ottimismo non si riesce ad avere un disegno comune, che significa mettere insieme tutte le forze decenti di una società per superare una grave crisi, che non è quella di una seconda guerra mondiale o di un'altra guerra, ma è una forte battuta di arresto che giustamente bisogna condividere tra tutti.
Lei cita gli indignati, che hanno una visione del mondo non sbagliata: hanno assolutamente la visione di loro come prime vittime, ma è la risposta che manca. Ci chiediamo chi debba dare la risposta, se non la politica e coloro che con la politica hanno una consuetudine di interazione. Se la risposta è fare default e andare a casa, è una risposta perdente, perché vuol dire che chi paga sono i più poveri e pagano moltissimo, perché questo significa portare i loro redditi a livelli drammatici, avere in Italia la crisi che c'è stata in Argentina.
Questo è un punto fondamentale. Ciò detto, è evidente che devono i giovani avere risposte sul mercato del lavoro, sull'istruzione, sul futuro, ma francamente siete voi a dover dare questa risposta, non credo io.
Sui prodotti derivati, invece, credo che in parte debba essere io a dare risposte: è evidente che c'è stata una cattiva regolamentazione e supervisione, oltre che ovviamente comportamenti non corretti. Ciò non è stato in questo Paese - so che possiamo avere visioni diverse - dal 2007 in poi per quanto riguarda quei prodotti particolari che sono stati disegnati. Alcuni prodotti avevano dietro valori ideologici non particolarmente negativi, perché un prodotto derivato se è un'assicurazione per me che sono un esportatore verso il Giappone è assolutamente necessario per tutelarmi dal rischio che lo yen crolli domani.
Il problema è che quando quel prodotto diventa totalmente staccato dall'origine per cui è stato disegnato bisogna accorgersene ed evitare rischi di avvitamento. Questi ci sono stati come, forse, in parte anche l'inefficacia dei sistemi di sorveglianza, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. Si dice che ciò non sia tanto avvenuto in Italia perché la Banca d'Italia è un po' lenta, un po' ossessiva. Lei non ha idea di quante critiche riceviamo dalle banche.
La garanzia di questo Paese è che la Banca d'Italia resti indipendente nel suo giudizio, sia trasparente e dia conto di quello che fa, quindi sono pienamente d'accordo che debba dare conto. Sull'articolo 12 del decreto, concernente la tracciabilità e l'apertura dei conti correnti, vi è un problema, perché molte persone anziane ricevono la pensione in contanti. È chiaro che è assurdo usare tutto questo contante in Italia, prima di tutto perché buona parte lo usa la mafia - prima è stata posta una domanda sulle lire e forse ci sono ragioni che vanno anche in quella direzione - ma non è solo la mafia, perché da noi la criminalità organizzata è fortissima.
In secondo luogo, il contante è molto inefficiente, costa, e quindi francamente si può usare molto meglio la tecnologia che c'è in una società che deve stare al passo con i tempi. Questo vuol dire però far pagare poco o niente a coloro ai quali si chiede di fare questo sforzo e agevolarli, quindi ci vuole un impegno da quel lato che provenga dalle poste e dalle banche.
Lavoriamo in questa direzione, però è evidente che bisogna evitare costi di questo tipo. Stiamo parlando di pensioni sotto i 1.000 euro, mentre si spera che chi ha una pensione sopra i 1.000 euro abbia un conto corrente, ma comunque ci sono problemi sui conti correnti e ci sono stati molti interventi per ridurli.
Sulla riduzione dei tassi di sconto - il punto e 25 per cento, quando era stato alzato -, prima di tutto non è il presidente della Banca centrale europea che riduce o aumenta il tasso di sconto: è un Consiglio di cui io faccio parte che decide e vi è una dialettica molto forte che riguarda molte componenti, laddove le decisioni vengono prese solo per fini di stabilità monetaria, di stabilità dei prezzi. Possono aver sbagliato, possono aver fatto giusto, però è la stabilità dei prezzi nell'area dell'euro che si persegue: questa è la decisione.


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Sul collateral sui mutui, se uno prende la cosa peggiore possibile, è una buona idea, anche se secondo alcuni - in situazioni disperate - è meglio mettere in circolazione tutti i soldi possibili, e questo può essere un canale, però non è così: ci saranno rigore, regole e definizione attenta di quali sono i portafogli, gli impieghi e il rating di questi impieghi; non si mettono impieghi senza rating, tanto che questo è in capo alle banche centrali.
Noi stiamo investendo per avere un sistema molto buono, ma, finché non è validato, cioè veramente efficace, questi rischi saranno a carico del bilancio della Banca d'Italia, non a carico del bilancio dello Stato.
Il debito pubblico e la spesa per interessi: è indubbio, questo è il nostro problema, ma un debito pubblico molto alto ovviamente ha una spesa per interessi molto alta. Abbiamo vissuto per dieci anni con tassi d'interesse «tedeschi» e quindi ci siamo portati a casa quel beneficio: non abbiamo utilizzato quel beneficio per abbattere il debito pubblico e adesso paghiamo il costo.
È evidente, però, che non ha senso un'Europa in cui i Paesi che fanno parte dell'area dell'euro abbiano tassi di interesse alcuni dello 0 o del 2 per cento e altri dell'8 per cento: la politica monetaria unica deve mirare ad avere i tassi d'interesse più vicini possibili, a portare a casa, per nostra virtù e per comprensione da parte delle autorità dell'area, differenziali di tasso ragionevoli, non squilibrati.
Rispondo adesso sulla questione dell'oro. L'oro è una tipica attività di Banca centrale: come diceva Keynes è una «reliquia barbarica» di cui ci si può e ci si deve liberare, ma nonostante questo è un'attività che viene posta nelle riserve per difesa estrema nei casi drammatici.
Nella definizione normale che abbiamo dato al nostro sistema di banche centrali in Europa l'oro delle banche centrali costituisce un'attività a difesa dei rischi dell'attività di politica monetaria. Ad esempio, abbiamo fatto acquisti sul mercato secondario di titoli di Stato fondamentalmente greci e portoghesi, che fino ad agosto erano 75 miliardi di euro e adesso sono 200 miliardi. Non credo che avremo un default, lo spero, ma a fronte di questa roba ci deve essere qualcosa, e si chiede addirittura di aprire linee di credito infinite da parte della Banca centrale.
Il quantitative easing che si fa in Inghilterra o negli Stati Uniti prevede all'attivo della Banca d'Inghilterra o della Federal Reserve titoli di Stato e, se questi da un lato perdono di valore ma dall'altro perdono perché in qualche Stato c'è una bancarotta, che talvolta avviene, ci deve essere qualche riserva. L'oro sta a riserva e a garanzia del Paese, per non essere utilizzato. Il Governatore Fazio l'ha tenuto, il Governatore Draghi l'ha tenuto e il Paese è in qualche modo più ricco. Si può mettere questa ricchezza a fronte di qualcosa: stiamo parlando di 100 miliardi di euro e, se noi vendessimo parte dell'oro, ci sarebbe una plusvalenza, che al 30 e passa per cento va direttamente allo Stato, ma stiamo parlando di plusvalenze.
Si può discutere tutto, non ho tabù, ma ci sono regole del gioco normali che non lo consentono, la risposta del sistema europeo è che non è possibile, così come quella della Corte di giustizia; ci sono momenti di guerra in cui si usa tutto anche il ferro battuto, ma a quel punto si vendono le attività e, finita la guerra, non ci sono più attività e bisogna inventarsi un sistema diverso.
Negli anni Novanta, l'Italia ha venduto attività in misura consistente, molto superiore a questa, perché 100 miliardi totali dell'attività sul prodotto interno lordo - che sarà 1.700 miliardi - è intorno al 6 per cento, e noi abbiamo abbattuto il debito pubblico dal 125 al 110 per cento sostanzialmente privatizzando. Tutto bene, se quella privatizzazione è seguita poi da un'attività di bilancio, ma, se non è seguita da attività di contenimento del bilancio, poi si ritorna verso l'alto, e siamo di nuovo al 120 per cento.
Lei ha detto di non essere un economista, ma sostiene che si potevano mettere tutte queste entrate dentro il Fondo ammortamento e abbattere il debito pubblico, ma io ho scritto una formula secondo cui


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il debito pubblico è l'integrale della differenza fra la spesa e le entrate. Non so se lei sia ferrato in matematica, però è la somma di questa roba, la differenza fra quanto si spende e quanto entra. Se lei usa quelle entrate per abbattere il debito pubblico, di fatto con una mano lo abbatte, con l'altra mano ha meno entrate per il disavanzo e resta allo stesso punto di prima.
È un buon principio contabile quello di avere un fondo di ammortamento, perché ti costringe a non usarlo e ad adottare altre misure per ridurre il disavanzo, ma sarebbero state misure aggiuntive. Per generare una capacità di riduzione del debito, bisogna creare risorse, non utilizzare solo le risorse esistenti, e per creare risorse bisogna eliminare gli ostacoli alla crescita che sono di vario tipo, da legali a regolamentari, a comportamentali, e mettere in moto politiche che incentivino comportamenti di crescita.
Sull'articolo 8 del provvedimento concernente le garanzie, lei ha detto che si stanno facendo tutti questi regali alle banche e anche gli indignati citati dal senatore Lannutti ce l'hanno con le banche. Il miliardo di euro ivi indicato non viene passato al sistema delle banche, a meno che non falliscano e vadano nel debito pubblico, come ha detto il presidente Giorgetti, altrimenti restano sulla carta. Servono però a generare risorse per le banche, che possono sostenere le imprese. La banca è, infatti, essenziale nella sua attività di intermediazione.
Quello che abbiamo visto negli ultimi vent'anni è sostanzialmente un processo in cui banche pubbliche, che spesso buttavano via i quattrini, sono diventate private per cercare di svolgere un vero compito di sostegno all'economia, anziché di dispersione. Credo che in parte ci siano riuscite, ma in parte abbiano fallito e debbano essere corrette, mentre laddove sono riuscite i risultati vanno sottolineati.
Il punto fondamentale è non pensare che le banche non servano, perché sono un intermediario fondamentale nella trasformazione di risparmio in investimento, nella trasformazione del suo reddito di oggi nel suo reddito di domani, quindi nello spostare nel tempo da oggi a domani i suoi consumi.
Questo è fondamentale e quindi esse svolgono un ruolo incredibile, svolgono anche nell'attività di credito un ruolo di pubblica utilità. Questo significa che devono essere ben vigilate, e avete ragione a prendervela con chi non le vigila bene, anche se è molto difficile vigilare ogni singola banca, con il personale ben pagato della Banca d'Italia di cui parlava l'onorevole prima.
La Banca d'Italia ha 500 persone nel settore della vigilanza, gli ispettori sono poco più di 100 e in Italia ci sono 700 banche, alcune delle quali molto complesse, per cui devono essere ben indirizzati. Noi abbiamo un piano di ispezione ogni anno, abbiamo una valutazione, rapporti ispettivi e ci riuniamo a livello di direttorio per esaminare i fatti importanti, le loro richieste, per autorizzarli. È un'attività molto importante e in questo momento siamo qui grazie al dottor Franco, che è il capo della ricerca economica.
C'è un'attività di vigilanza che soffre quando gli si dice che non guardano cosa fanno i cambiavalute, perché non possono farlo, essendo solo 150 persone. Facciamo trasparenza e lei non ha idea di quante sanzioni diamo alle banche - queste cose poi vanno al bilancio pubblico - e agli amministratori, ma, se ci sono delle reti eccessive, è colpa delle banche che le hanno fatte, ma devono rimetterle a posto. Se gli amministratori hanno compensi eccessivi, se la Banca d'Italia avrà possibilità di intervento per ridurli o per valutarli con più attenzione, lo farà.
La prescrizione delle lire riguarda 600 milioni, che possono essere restituiti oggi o domani, ma, se sono restituiti oggi, ci sarà qualche ragione diversa da quella economica che ha spinto a introdurla in questo provvedimento. Sono soldi dello Stato, che la Banca d'Italia raccoglie e passa al Tesoro.
La legge sul risparmio non è andata avanti per colpa vostra, perché è un problema dei politici, non doveva farlo la Banca d'Italia.


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Le banche hanno nei loro portafogli quote della Banca d'Italia, che discendono dal fatto che nel 1936 presero dei quattrini e li misero dentro la Banca d'Italia.

MARCO MARSILIO. Quando erano banche pubbliche.

IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Certamente, sono state vendute. Quella parte lì sono soldi loro, si può farne una valutazione, alcuni pensano che sia molto poco, altri che sia moltissimo, io sono prontissimo a fare queste valutazioni e non ho problemi su questo.
Il resto è capitale della Banca d'Italia, che serve a farne funzionare le varie attività e a generare quelle riserve che vanno a fronte dei rischi che si corrono nell'esercizio dell'attività di politica monetaria, di vigilanza e di Banca centrale.
La questione delle quote però è più sottile, perché si dice che, siccome le quote sono nella disponibilità delle banche commerciali, la Banca d'Italia non è libera e fa quello che le dicono le banche commerciali, ma, se lei leggesse lo Statuto, vedrebbe che ciò è proibito, per cui bisogna chiedere a tutti i giornali di spiegare al mondo che così non è.
Le banche prendono un dividendo e l'unica cosa che possono fare è avere questo dividendo, che ordinariamente ammonta a poche migliaia di euro e straordinariamente arriva a 40.000. Questo è tutto quello che fanno, non nominano nemmeno i consiglieri superiori, e il Consiglio decide sulla buona o cattiva amministrazione della Banca d'Italia.
La Banca d'Italia, quindi, ha attività di politica monetaria, attività di vigilanza, attività sul sistema dei pagamenti, tutti voi avete la possibilità di scambiare i vostri quattrini attraverso il sistema dei pagamenti gestito attraverso investimenti tecnologici, che in Europa sono fatti da due banche centrali, Banca d'Italia e Bundesbank, e tutto questo è effettuato senza che le banche che hanno le quote della Banca d'Italia possano dire niente.
Idem per quanto riguarda l'amministrazione: possono solamente prendere i dividendi che il Consiglio superiore decide di dare loro su proposta del Direttorio della Banca d'Italia, e sono dividendi modesti.
Sono d'accordo che una sistemazione ordinata di questo sia un'ottima idea. Si può anche avere una sistemazione che chiede di rivedere la legge sul risparmio e fare una cosa diversa, per esempio mantenendo una proprietà diffusa, cosa che avviene in molti altri Paesi (pensate a una public company nel diritto anglosassone, in cui nessuno poi conta per condizionarne l'operato, perché è solamente un'attività di investimento e per poter riscuotere il dividendo sociale).
L'onorevole Bitonci mi chiedeva della pressione fiscale e dell'evasione. La stretta nell'utilizzo del contante non può essere l'unica misura, sono assolutamente d'accordo, e per quanto riguarda le spese per le commissioni e le carte di credito alcune categorie devono essere in grado di usare modi diversi senza costi, quindi da qualche parte bisogna trovare una sistemazione di questa questione.
Vi sono moltissime altre attività, che possono essere utilizzate per fare emergere questa base imponibile che sfugge. L'onorevole Simonetti ha affrontato il tema della privacy nei conti correnti, ma non possiamo chiedere di far emergere il sommerso o l'evaso senza dare a qualcuno la possibilità di verificare se sia sommerso o evaso. La cosa fondamentale è che si tratti di qualcuno che rispetta i doveri d'ufficio, per cui, se lei è un contribuente onesto e l'Agenzia delle entrate vede i suoi conti, non avrà nessun problema se l'Agenzia delle entrate si comporta bene.
Il punto fondamentale è l'onestà dell'amministrazione in quel tipo delicatissimo di ambiente, però credo che con questo provvedimento si dia all'Agenzia delle entrate non soltanto il potere, ma anche la responsabilità di dar conto del modo in cui esercita questo potere. Questo è perfettamente ragionevole, però la privacy in questo momento non può coniugarsi con l'emersione.
L'altra questione è se la maggior parte del gettito venga dalle classi più povere,


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ma non ho discusso di equità perché non credo competa a me parlare di cosa sia equo e cosa non lo sia. È ovvio che ci sono alcuni aspetti che da cittadino ciascuno può valutare più o meno equi, ma l'esempio dell'IMU da lei citato vale fino a un certo punto, perché c'è un'esenzione dalla imposta fino a 200 euro, che copre coloro che hanno valori immobiliari più bassi, e chi è più ricco ha anche più proprietà.
Poiché la ricchezza è concentrata, tutti sostengono che sia un'ingiustizia tutta questa disuguaglianza per cui la ricchezza è nelle mani di pochi, ma, se sono pochi, questi sono colpiti. Questo è il tentativo almeno per come lo vedo io, poi si può anche immaginare una patrimoniale ordinaria, che però deve essere disegnata molto bene.
Quando fu introdotta una patrimoniale agli inizi degli anni Ottanta in Francia (forse c'era già il Presidente Mitterrand), la fuga di capitali fu immediata e drammatica, per cui Delors dovette ritirarla. Adesso hanno una semplice patrimoniale, ed è giusto perché alleggerisce l'imposizione sui redditi da lavoro e sul reddito da impresa e consente quindi un'attività economica migliore, ed è una patrimoniale che avvicina il tipo di imposizione al tipo di servizio che viene reso a favore di quel patrimonio immobiliare. Se quella imposizione va a beneficio di coloro che devono garantire tutte le infrastrutture che servono a quel patrimonio, questa è una buona cosa e, se vi è trasparenza, chi vota sa esattamente chi ha fatto cosa.
Sono però molto perplesso di fronte alla parola «patrimoniale», perché genera sentimenti molto forti, che vanno dalla paura dell'esproprio dei risparmi sudati di una vita al nascondere tante attività che sono borderline.
Sullo scudo non so che dire, onestamente: sono giudizi di valore e sulla praticabilità bisogna chiedere agli esperti, che non sono in Banca d'Italia.
Gli errori della BCE e i 17 Paesi dell'area dell'euro: ha ragione, è molto difficile pensare che la politica monetaria in Europa sia uguale alla politica monetaria negli Stati Uniti o nel Regno Unito, perché lì ci sono una nazione e una politica monetaria, mentre noi abbiamo una politica monetaria e tante nazioni. Dobbiamo andare verso una forma politica diversa.
È assolutamente giusto criticare l'Europa perché ha la politica monetaria unica, ma non ha altro di unico, e questo crea troppe possibilità di fuga verso altre parti. La stessa cosa vale per il mercato interno: se c'è un mercato interno, devono esserci regole comuni per tutti, e quindi tutte le banche in Europa devono avere le stesse regole e non regole diverse perché i loro nomi cominciano con la «G» o la «F». Questo è fondamentale, sono pienamente d'accordo.
Che la Merkel sia più forte verso la Bundesbank o che Sarkozy adesso possa dire che non è più un problema di chi ha investito nella Grecia, perché l'Italia ha fatto quello che doveva fare, in parte è vero e a questo punto noi non siamo più «il discolo», ma abbiamo la responsabilità di partecipare a quel «più Europa» che citavo prima, che è l'unica soluzione contro questa crisi.
Tra Merkel e Bundesbank la questione è molto delicata, perché riguarda la memoria storica del popolo tedesco nei confronti di quello che ha portato alla sua distruzione. Bisogna essere molto attenti; inoltre la signora Merkel nella sua giovinezza è vissuta in un'area che non era l'Europa e quindi occorre un apprendimento, che mi sembra avvenga in tempi incredibili. Ricordiamo benissimo il muro di Berlino, sembra ieri ma sono passati oltre venti anni!
Il cuneo fiscale è una delle questioni fondamentali di questo Paese, e sono d'accordo che debbano esserci benefici visibili sul costo del lavoro, ma questa riduzione dell'IRAP per i giovani vale esattamente mezzo punto di costo del lavoro (nella nota depositata c'è una valutazione). Speravamo fosse possibile fare di più, perché crediamo che la competitività di questo Paese dipenda molto da questo, però il Governo nelle sue compatibilità ha trovato


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questo e non sta a noi giudicare, a parte ridurre un po' l'ottimismo, come siamo stati invitati a fare.
Se sia un problema dell'EBA o della Banca d'Italia questa emersione di capitale da parte delle banche, che l'onorevole Barbato ha sottolineato: questo innanzitutto è un aumento di capitale temporaneo; l'accordo Basilea 3 chiede di avere gradualmente più capitale per i sistemi bancari nel corso del tempo, qui si è accelerato il processo sotto la pressione del mercato.
Questo significa che qualcosa che prima era ritenuto sicuro, l'investimento nel debito dello Stato, è considerato dal mercato non più tanto sicuro. È una dura realtà, non è colpa dell'EBA, né della Banca d'Italia, né delle banche, ma ciò serve a rassicurare sulla solidità di queste banche che hanno al loro attivo titoli di Stato per una serie di circostanze ormai considerati non più tanto buoni.
Bisogna farli riconsiderare buoni, e nella dichiarazione dell'EBA di ieri c'è scritto che se questi interventi sul fondo salva Stati - The European financial stability facility che si trasformerà nello European stability mechanism che sarà inaugurato a metà dell'anno prossimo e che saranno (questa è la grossa novità dell'accordo di questa notte) sotto la gestione della Banca centrale europea e quindi non saranno più entità di cui si ignorano i responsabili e la capacità di intervenire per raccogliere fondi - funzionassero, il corso dei titoli sotto attacco, in particolare i nostri, può solo salire.
È scritto nel comunicato dell'EBA diffuso ieri, e questo è l'accordo che è stato raggiunto nel negoziato al quale abbiamo partecipato con forza nelle ultime settimane: la decisione di creare quel buffer può essere rivista e il buffer può essere ridotto. Questo è un punto importante, sul quale andremo a effettuare il nostro intervento con le banche, che è previsto a cominciare dal 20 gennaio prossimo in poi e anche in tutte le sedi europee nelle quali siamo presenti, ma nelle quali è presente anche il Governo, perché questa è una decisione definita sì dai tecnici ma firmata con piena cognizione dai Capi di Stato o di Governo della zona dell'euro.
Parliamo di casta. La Banca d'Italia non è una casta. Sulle pensioni sono state dette molte cose: la Banca d'Italia, a differenza di organi costituzionali, non essendo un organo costituzionale, sulle pensioni ha un sistema che rispetta tutte le regole dell'INPS. Coloro che sono stati assunti dopo il 1993 hanno il sistema contributivo nazionale standard e hanno un fondo contributivo a capitalizzazione, nel quale loro versano quattrini con il loro datore di lavoro, che funge da pensione integrativa, modello che dovrebbe essere seguito da tutte le imprese in Italia.
I lavoratori che sono stati assunti negli anni dopo il 1977 sono passati a un sistema pro rata già nel 1997-1998, quando questo sistema è stato introdotto, come tutti gli altri lavoratori. Ai lavoratori che sono stati assunti prima del 1977-1978 e che hanno ancora il sistema retributivo (sono pochi, a esaurimento) si applicherà da subito la decisione introdotta dal Governo.
Ci sono stati quindi grossi equivoci al riguardo. I contributi di solidarietà per le pensioni alte che alcuni dipendenti della banca possono percepire sono già scattati e sono deindicizzate così come per gli altri contribuenti, quindi non c'è differenza, se non che a volte sono più alte perché i dipendenti della Banca d'Italia sono pagati meglio degli altri, anche se non molto meglio dei dipendenti bancari.
I dirigenti della Banca d'Italia sono pagati probabilmente meno di quelli delle banche, lavorano bene, sono assunti per concorso ed è forse l'unico posto nel quale non c'è una raccomandazione (se arrivano, non si aprono le buste, come posso testimoniare in quanto sono stato presidente di commissione per più di dieci anni), sono concorsi piuttosto difficili e quelli che li vincono sono bravi indipendentemente dalle loro conoscenze e dai loro redditi, quindi su questo francamente non c'è l'area di privilegio cui lei accennava.
L'unico fatto è che sono pagati mediamente bene e soprattutto, se un giovane


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riesce a entrare in Banca d'Italia con 2.000 euro al mese mentre fuori è precario a 1.000, certamente è fortunato rispetto a chi sta fuori, però è tanto fortunato perché ha fatto un concorso, l'ha vinto e c'è ancora una programmazione dei concorsi, sebbene il personale della Banca d'Italia sia stato tagliato di 1.500 persone nel giro di dieci anni.
Il problema è che il personale della Banca d'Italia è un po' anziano nella media, per cui sarebbe necessario immettere più giovani in grado di cambiare le cose, ma abbiamo intrapreso anche un tentativo di valorizzare i giovani nell'avanzamento secondo il merito, oltre che secondo l'anzianità.
Quando lei si riferiva al Governatore Draghi, c'era questa idea di avere i poteri, ma non c'erano i poteri. Adesso ci sono e le assicuro che ora saranno esercitati perché, se c'è un potere, c'è anche la possibilità di esercitarlo. Le assicuro che il rapporto tra vigilanza e banche è un rapporto non di consociativismo, ma molto dialettico.

PRESIDENTE. Grazie, è stata un'audizione tra le più lunghe della mia carriera parlamentare pur abbastanza datata, credo però ne sia valsa la pena, perché gli argomenti erano di grandissima attualità. Ringrazio quindi il Governatore Visco e tutti coloro che hanno dato un contributo a questa sua testimonianza.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa 12, è ripresa alle 12,10.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Fugatti, che interviene sull'ordine dei lavori.

MAURIZIO FUGATTI. Signor presidente, abbiamo ascoltato il Governatore della Banca d'Italia sul vertice tra i Capi di Stato o di Governo della zona euro, che ha avuto inizio ieri a Bruxelles. Poiché il provvedimento che stiamo esaminando deve tradurre in misure concrete gli impegni che l'Italia ha preso nei confronti dell'Unione europea, sotto il profilo dell'equilibrio dei conti pubblici, consideriamo determinante, per il prosieguo dei lavori, che il Ministro competente venga a spiegarci cosa sia emerso nella riunione di questa notte e quale sia la posizione attuale dell'Italia.

PRESIDENTE. È convocato un ufficio di presidenza per questo pomeriggio: in quella sede, onorevole Fugatti, potrà riproporre la richiesta a nome del suo gruppo e, se gli altri gruppi concorderanno, procederemo nel senso da lei indicato.
L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
Do ora la parola al Presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Correggeremo innanzitutto l'intestazione del documento che abbiamo consegnato, nel quale manca l'indicazione della VI Commissione Finanze della Camera e della 5a Commissione Finanze e Tesoro del Senato. Per evitare di trattenervi a lungo, e anche per avere maggiore certezza delle mie dichiarazioni, abbiamo depositato, in aggiunta al testo integrale, che conta oltre trenta pagine, un testo più breve. Con il vostro permesso, nel dare lettura di quest'ultimo, ometterò il primo paragrafo, essenzialmente descrittivo, e comincerò immediatamente dal secondo, che entra più in medias res.
La revisione del quadro macroeconomico effettuata dal Governo conduce a rilevare un ulteriore effetto di vanificazione della manovra estiva di importo rilevante (circa 7 miliardi). Pertanto, la manovra proposta nel decreto-legge oggi all'esame risponde, sostanzialmente, alla


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duplice esigenza di compensare la perdita ciclica del gettito tributario e di fronteggiare i maggiori oneri di spesa per il più elevato costo medio del debito pubblico (dell'ordine di 10 miliardi nel 2013). Nel complesso, si tratta di un intervento diretto a correggere lo scostamento rispetto al programmato pareggio, che, nelle nuove previsioni di bilancio a legislazione vigente, si evidenzia per il 2013 (circa 1,2 punti di PIL).
Non può essere sottovalutato il rischio, ripetutamente segnalato dalla Corte, che le difficoltà crescenti di conseguire effetti rapidi e strutturali attraverso il contenimento della spesa pubblica primaria - e, di conseguenza, il ricorso prevalente a manovre che impiegano lo strumento fiscale - concorrono a determinare una spirale negativa, nella quale dosi sempre maggiori di restrizione sono imposte proprio dagli impulsi recessivi, che, in tal modo, vengono trasmessi all'economia, e da questa al bilancio.
Va peraltro osservato che l'indirizzo prescelto dal Governo nell'impostare la manovra in esame sembra orientato a precostituire ampi margini di sicurezza nella gestione dei conti pubblici. E, invero, nelle condizioni di generale nuova stagnazione dell'economia mondiale, il conseguimento del pareggio di bilancio nel 2013 avrebbe una valenza rafforzata. La forte componente ciclica negativa, che segnerà gli andamenti di finanza pubblica - proprio in conseguenza dell'estesa diffusione internazionale del rallentamento congiunturale - consentirà all'Italia di esporre, a fine periodo, saldi strutturali (vale a dire, depurati dagli effetti ciclici) ampiamente in avanzo.
Si tratterrebbe di risultati ben più favorevoli di quelli stimati al momento dei precedenti documenti programmatici, e comunque superiori a quelli ipotizzati, nel medio termine, dagli orientamenti che emergono dalle intese europee: la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, attuata in rapida successione dai maggiori Paesi europei, fa infatti riferimento a una condizione di equilibrio di bilancio pubblico, misurata al netto della componente ciclica.
Il conseguimento del pareggio nel 2013, peraltro, presuppone che le nuove proiezioni macroeconomiche, lievemente più ottimistiche delle stime degli organismi internazionali, non siano soggette a revisioni peggiorative per gli effetti depressivi connessi alla stessa manovra all'esame, ancora una volta fortemente concentrata sull'aumento del carico fiscale.
A ciò deve aggiungersi qualche considerazione sugli effetti inflazionistici che la manovra inevitabilmente determinerà. L'aumento delle aliquote IVA e delle accise sui carburanti si trasmetterà, pur in un contesto di stagnazione della domanda, sulla dinamica dei prezzi al consumo, con un effetto di maggiore inflazione che può essere prudenzialmente stimato di almeno 1 punto percentuale.
Il nuovo quadro macroeconomico indicato dal Governo prospetta un'inflazione al consumo in media pari al 2 per cento, che sembra essere, da questo punto di vista, sottostimata. Anche in considerazione dei valori attuali, a causa degli interventi sull'imposizione indiretta nel periodo considerato, il tasso di inflazione potrebbe risultare superiore al 3 per cento, lontano dall'obiettivo di stabilità dei prezzi assunto in sede europea.
Si tratta di un aspetto che, come si osserverà più avanti, assume ulteriore rilievo, se considerato accanto alla decisione di sospendere l'adeguamento automatico all'inflazione per le pensioni superiori a due volte il minimo.
Come osservato in premessa, rapidità nella definizione degli interventi correttivi e preferenza per le misure dagli effetti certi hanno costituito i criteri di riferimento delle scelte del Governo: scelte obbligate dall'urgenza di contrapporre una strategia immediatamente operativa alle pressioni dell'Europa, dei mercati e degli investitori.
Una lettura critica della manovra, nella sua concreta articolazione, non può prescindere da tali vincoli pregiudiziali, che hanno indotto alla definizione di provvedimenti


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apprezzabili per il loro carattere strutturale e per la realistica stima degli effetti attesi, ma che, allo stesso tempo, hanno condizionato in senso limitativo il raggio di riferimento delle potenziali soluzioni alternative, in più di un comparto precluse (o sconsigliate) proprio dalla maggiore incertezza sui risultati conseguibili o dalla dilatazione dei tempi necessari per una meditata messa a punto delle misure operative.
Sotto tale aspetto, è da condividere la decisione di eliminare ogni incertezza in ordine al completamento della manovra estiva (recata dal decreto-legge n. 138 del 2011), sostituendo integralmente l'indefinita copertura della cosiddetta clausola di salvaguardia, affidata in precedenza a una futura individuazione delle agevolazioni fiscali e assistenziali da ridimensionare, con una copertura certa, assicurata principalmente dall'aumento delle aliquote IVA e, per una quota minore, da altri interventi sulle entrate. Dall'altro lato, l'osservazione critica che fa leva sull'insufficiente ricorso a tagli strutturali della spesa (se si escludono quelli, di grande rilievo, connessi al riordino del sistema pensionistico) non può sottovalutare le difficoltà del passaggio dal metodo dei tagli lineari a criteri di selezione della spesa pubblica più accorti e mirati: un passaggio che va comunque perseguito con grande impegno, oltre la fase di emergenza attuale, rafforzando le iniziative di implementazione degli indirizzi di spending review.
A quest'ultimo riguardo - consentitemi - segnalo che nel documento di programmazione delle attività di controllo e di analisi della Corte dei conti per l'anno 2012, trasmesso nei giorni scorsi ai Presidenti dei due rami del Parlamento, e che mi fa piacere poter consegnare anche ai Presidenti delle Commissioni riunite, hanno grande rilievo le indagini sulla ricerca di inefficienze e di inadeguata gestione delle risorse affidate alle amministrazioni pubbliche, le quali - anche utilizzando la rete informativa su base territoriale della Corte - potranno costituire un utile contributo per le iniziative di selezione della spesa, cui assegniamo particolare importanza.
Al documento consegnato sono allegate alcune tavole, le quali offrono una rappresentazione di sintesi degli interventi contenuti nel decreto-legge n. 201 del 2011, integrando e rielaborando la documentazione ufficiale. In esse sono concatenati in modo chiaro le precedenti manovre estive e il provvedimento in esame, separando nettamente gli interventi ora proposti dall'operazione di mera sostituzione della «clausola di salvaguardia» di cui alla delega fiscale e assistenziale, i cui effetti di riduzione del disavanzo sono già incorporati nelle previsioni di bilancio a legislazione vigente.
Anche se gli interventi recati dal decreto-legge n. 201 del 2011 continuano ad essere sbilanciati dal lato delle entrate, la composizione della manovra presenta evidenti novità, che vanno nel senso da tempo auspicato dalla Corte ed esposto nelle ultime due audizioni.
Le maggiore entrate sono in larghissima parte strutturali (circa il 93 per cento nel triennio), con l'eccezione di quelle derivanti dall'imposta di bollo dell'1,5 per cento sulle attività «scudate» e della proroga dell'imposta sostitutiva per il riallineamento delle partecipazioni. Le minori spese sono quasi interamente spese correnti, mentre tra le maggiori spese quelle in conto capitale hanno un peso significativo (il 46,7 per cento del totale nel triennio). Il carattere strutturale delle maggiori entrate previste dal decreto-legge è ulteriormente rafforzato dal fatto che alle nuove misure di contrasto all'evasione non sono associate previsioni di maggiore gettito contabilizzato ai fini della manovra. Si tratta di un approccio che la Corte non può non registrare positivamente, posto che essa ha avuto più volte modo di esprimere perplessità e riserve, in passato, proprio sulla contabilizzazione ex ante di consistenti maggiori entrate legate alla lotta all'evasione, di cui, però, era molto difficile, se non impossibile, verificare l'effettiva realizzazione a consuntivo.


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Oltre la metà della manovra lorda è da attribuire all'introduzione dell'IMU, alla rivalutazione delle rendite catastali e all'aumento delle accise, mentre un altro 20 per cento delle risorse complessive deriverebbe dagli interventi in materia previdenziale, per l'80 per cento da riferire alla deindicizzazione dei trattamenti pensionistici. Di rilievo appare la riduzione dei trasferimenti a comuni, province e regioni a statuto speciale, pari a quasi il 10 per cento della manovra.
Tra le maggiori entrate previste, oltre a quelle relative alla tassazione degli immobili, di cui si tratta nell'ambito delle misure che gravano sugli enti territoriali, un particolare commento meritano le misure una tantum.
Ancorché non vi siano associati effetti di gettito, particolare rilevanza rivestono, altresì, gli interventi di contrasto all'evasione, per il significato che essi assumono nell'ottica dell'equità, ma anche del rafforzamento e della tenuta del sistema impositivo.
Le misure una tantum riguardano l'imposta straordinaria sulle attività «scudate» e l'imposta sostitutiva per il riallineamento delle partecipazioni.
Relativamente all'imposta straordinaria dell'1,5 per cento sulle attività oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione, gli effetti finanziari complessivi sono stati stimati scontando una riduzione del gettito potenziale del 20 per cento, per tener conto dei soggetti nei cui confronti la disposizione potrebbe non trovare applicazione. Si confida che tale valutazione sia stata condotta sulla scorta di specifiche informazioni, che vadano oltre quelle, già note, sulla distribuzione dei capitali scudati per volumi di importo, le quali potrebbero indurre a nutrire non poche perplessità sulla possibilità di conseguire il livello di gettito atteso, come illustrato nella relazione che si deposita.
Sempre per quanto riguarda tale imposta, c'è peraltro da considerare che si tratta di un contributo aggiuntivo, chiesto in via retroattiva a chi ha già assolto l'obbligazione dovuta sulla base di una disposizione normativa, che esplicitamente garantiva gli aderenti da qualsiasi altra successiva pretesa da parte dello stesso legislatore. Ci troviamo quindi in una situazione di chiaro contrasto con quanto stabilito dalla normativa sugli scudi, oltre che nello Statuto del contribuente. Per il sicuro impatto che ciò potrà avere sul successo di eventuali, future proposte di sanatoria, in qualsiasi forma prospettate, la disposizione - ferme restando le considerazioni formulate nella relazione a proposito delle adesioni avvenute per volumi di importo di bassa entità, motivate dal desiderio di regolarizzare in modo semplice e poco costoso violazioni di carattere formale - va tuttavia valutata anche alla stregua dell'intento dichiarato del Governo, e pienamente condivisibile, di non volere nuovi condoni. Insieme con la pronuncia della Corte di giustizia europea del 2008 sull'illegittimità del condono IVA, l'articolo 19, comma 4, del decreto-legge in esame rende definitivamente impercorribile, nel futuro, il ricorso a simili sanatorie; e questo - sia consentito dirlo - è decisamente un bene, anche per l'efficacia delle strategie di contrasto all'evasione.
La seconda componente della manovra sulle entrate che merita specifica attenzione è quella relativa alle misure di contrasto all'evasione, anche se, come si è già detto, seguendo un approccio che la Corte non può che condividere, non vi sono associate specifiche previsioni di maggiore gettito.
A queste misure è stato allegato un apposito documento di approfondimento, al quale si rinvia, i cui contenuti rilevano ai fini degli stretti legami con quello che, ad avviso della Corte, dovrebbe essere il ruolo decisivo dell'Amministrazione finanziaria.
Oltre 14 dei 24 miliardi di maggiore entrate disposte con la manovra riguardano le amministrazioni locali. Sul lato della spesa sono poi previste nuove riduzioni dei trasferimenti alle amministrazioni territoriali. È infine disposto l'incremento (800 milioni a partire dal 2012) degli importi destinati al trasporto pubblico locale anche ferroviario, da utilizzare per la copertura dei contratti di servizio.


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L'attribuzione alle amministrazioni locali delle risorse reperite attraverso le misure di entrata è, almeno nell'immediato, solo apparente: i riversamenti d'imposta e le riduzioni dei trasferimenti, diretti o frutto di interventi compensativi, fanno sì che le maggiori entrate riscosse dalle amministrazioni locali siano di fatto sterilizzate e destinate ad accrescere le entrate o a ridurre la spesa per trasferimenti delle amministrazioni centrali.
Ciò è vero, innanzitutto, nel caso della nuova imposizione locale. Il rilievo, per le amministrazioni locali, di tale misura deve essere ricercato guardando alla funzionalità del sistema, nella direzione di un ampliamento dei margini ad essa assegnati per una effettiva gestione delle entrate.
Con la reintroduzione della tassazione sulla prima casa, oltre a disporre un riequilibrio dell'imposizione verso il patrimonio, si interviene sul disegno di attuazione del federalismo fiscale, rimuovendo alcune delle difficoltà che, come la Corte aveva segnalato in occasione delle audizioni sui decreti di attuazione della legge n. 42 del 2009, gravano sul quadro normativo delineato.
Soltanto parziale era, infatti, la corrispondenza, a livello locale, fra soggetti beneficiari dei servizi e contribuenti. Sia nella fase transitoria, sia in quella a regime, il finanziamento dei servizi comunali finiva per ricadere soprattutto sui possessori, nel territorio, di immobili non adibiti a residenza principale, e solo in misura minore sui residenti. Inoltre, era soprattutto su tali tributi che si sarebbe basato l'esercizio della flessibilità fiscale municipale. La forte sperequazione delle basi imponibili, costituite dal patrimonio immobiliare non utilizzato come abitazione principale, finiva per accentuare i fabbisogni perequativi e per ridurre considerevolmente la base imponibile per l'esercizio dell'autonomia di entrata.
L'estensione della tassazione IMU anche alla prima abitazione consente di rimuovere l'evidenziato limite. La previsione di un'aliquota base più ridotta rispetto all'originaria (4 per mille, contro il 5 per mille previsto per l'ICI) e un abbattimento di 200 euro (contro i circa 100 euro medi deducibili nel precedente regime) consentono di mantenere il gettito sui livelli raggiunti nel passato, nonostante il forte aumento della base imponibile per l'applicazione del coefficiente correttivo. Ciò non riduce, naturalmente, il rilievo della variazione di risorse prelevate, di cui andrà valutata l'incidenza effettiva sulle fasce di popolazione a minore reddito.
L'applicazione di livelli di rivalutazione omogenei, resa necessaria dai tempi ristretti per la manovra, rischia, tuttavia, di accentuare le distorsioni che derivano da diverse condizioni negli aggiornamenti dei catasti. Rimane urgente, quindi, portare a compimento la revisione delle classificazioni catastali dei singoli fabbricati e l'aggiornamento delle rendite.
L'anticipazione nell'avvio dell'IMU e la flessibilità prevista anche per le aliquote relative alle abitazioni principali amplia significativamente i margini per l'esercizio della responsabilità fiscale locale. Il forte rilievo del prelievo operato sul patrimonio immobiliare, ma attribuito a riduzione del disavanzo, è destinato, naturalmente, a pesare sull'effettivo esercizio della flessibilità fiscale concessa con la manovra.
Il contributo degli enti territoriali alla manovra dal lato della spesa (2,8 miliardi di euro) è affidato al taglio delle risorse proveniente dallo Stato, nelle forme di riduzione del fondo sperimentale di equilibrio per gli enti delle regioni a statuto ordinario, di riduzione dei trasferimenti per quelli delle regioni Sicilia e Sardegna e di accantonamento delle spese di compartecipazione ai tributi erariali per gli enti della Valle d'Aosta, del Friuli Venezia Giulia e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Guardando al bilancio degli enti locali nella vigenza del meccanismo del Patto di stabilità, le riduzioni dei trasferimenti statali si dovrebbero concretizzare in tagli della spesa, più o meno consistenti a seconda di quanto le amministrazioni riusciranno a recuperare attraverso la manovrabilità concessa sull'IMU sperimentale introdotta con l'articolo 13 (0,2 punti percentuali di tassazione riferita alle prime


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case e 0,3 punti sulle altre abitazioni), o con il ricorso all'addizionale IRPEF da parte dei Comuni che non l'abbiano già sfruttata completamente.
Va altresì considerato che le riduzioni in questione si aggiungono ai tagli già disposti con il decreto-legge n. 78 del 2010, successivamente resi strutturali, e alla manovra di correzione dei saldi quantificata nei decreti-legge n. 98 e n. 138 del 2011. Di fatto, esse determinano un aggravamento di pari importo degli obiettivi del Patto di stabilità, come definiti con la legge n. 183 del 2011.
Inoltre, a differenza dei contributi richiesti con le manovre estive, lo sforzo aggiuntivo a carico degli enti non è affiancato dal meccanismo di premialità di cui all'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011, come modificato dalla legge di stabilità; pertanto, anche gli enti più virtuosi, quanto a rispetto del Patto, autonomia finanziaria, equilibrio corrente e velocità nella realizzazione delle entrate, sono chiamati - limitatamente a questo ulteriore contributo - a concorrere pienamente al risanamento dei conti.
Per i comuni il contributo sarà proporzionato alla distribuzione territoriale dell'imposta municipale propria. Ciò significa che lo sforzo maggiore sarà posto a carico dei comuni dotati di una più forte base imponibile IMU, mentre quelli maggiormente dipendenti dalle risorse trasferite dallo Stato, perché caratterizzati da una più bassa capacità fiscale e immobiliare, vedranno decurtata in misura minore la quota del fondo di riequilibrio spettante. Il superamento del criterio proporzionale nella ripartizione dei tagli, a favore della parametrazione all'imposta sugli immobili, principale risorsa propria dei comuni, rafforza il carattere solidale del Fondo sperimentale di riequilibrio, che subirà riduzioni minori proprio in quei territori più svantaggiati nel passaggio da una finanza derivata a una fondata su risorse proprie.
Andrà tuttavia valutato se il meccanismo possa determinare casi di incapienza della quota di fondo da decurtare, poiché i comuni che otterranno dalla fiscalità immobiliare gettiti maggiori vedranno già ridotto della misura corrispondente la parte del Fondo loro spettante, e potrebbero non residuare margini sufficienti per la ulteriore decurtazione finalizzata ad assicurare il concorso alla manovra correttiva dei saldi.
Come, in generale, per il complesso della spesa pubblica, anche per la spesa pensionistica - nel documento più ampio vi è, al riguardo, una trattazione più completa, che ritengo opportuno sintetizzare in questo intervento orale - il ripristino di un sentiero di piena sostenibilità non può prescindere dalla riattivazione di saggi di sviluppo economico almeno in linea con la media europea.
Il protrarsi della stagnazione, caratterizzata dal ripetersi, a tempi ravvicinati, di episodi recessivi, vanifica, nella prospettiva della sostenibilità di lungo periodo, le correzioni di volta in volta approntate.
A fronte della duplice esigenza di assicurare il contributo della spesa pensionistica al conseguimento degli obiettivi di bilancio, e di stabilizzare gli andamenti di lungo periodo, indissolubilmente legati all'adozione del metodo contributivo, gli interventi del decreto-legge in esame sono innanzitutto improntati a un criterio di razionalizzazione e semplificazione del sistema. Da un simile criterio viene fatta discendere la difesa di un principio di equità, ossia di equiparazione dei trattamenti fra categorie e generazioni.
I nuovi provvedimenti si muovono in direzione ampia, riaffermando la validità generale del metodo contributivo, come la Corte ha già avuto modo di evidenziare in precedenti occasioni, introducendo indubbie semplificazioni nelle regole di accesso ai trattamenti, recuperando un principio di flessibilità nelle scelte di pensionamento, depotenziando i vantaggi impropri offerti dai regimi speciali.
In tale direzione vanno le misure volte a estendere, già a partire dal 2012, il calcolo pro-rata per le pensioni ancora non rientranti nella loro interezza nel metodo contributivo, il superamento delle «finestre di uscita», attraverso la fissazione di un'età certa per accedere ai


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trattamenti di vecchiaia e anzianità, l'equiparazione anticipata dell'età di pensionamento per uomini e donne, la richiesta di un contributo di solidarietà a quanti beneficiano di trattamenti basati su un'aliquota di contribuzione inferiore all'aliquota di computo.
Il processo di omogeneizzazione non è privo di costi sociali immediati, come inevitabilmente avviene quando si accelera la transizione da un vecchio a un nuovo regime. I soggetti colpiti da questa discontinuità pagano un indubbio prezzo alle esigenze di razionalizzazione del sistema e subiscono una chiara penalizzazione rispetto a quanti hanno fruito di una transizione più graduale, soprattutto per il brusco spostamento in avanti dell'età di accesso alla pensione di anzianità (il cosiddetto accesso anticipato alla pensione).
Va tuttavia rilevato che la discontinuità è insita nei più generali andamenti economici, caratterizzati, come si è visto, da una brusca e prolungata perdita di ricchezza dell'intero Paese. L'accelerazione impressa vale, quindi, a riportare il sistema pensionistico in linea con le mutate condizioni economiche, liberando gli anni futuri dalla necessità di nuovi interventi correttivi e consentendo di spostare l'azione di Governo sulle riforme del mercato del lavoro e del sistema di ammortizzatori sociali.
Sull'effettiva capacità di realizzare questi ulteriori passaggi, già annunciati dal Governo, potranno essere valutate coerenza ed efficacia dei provvedimenti adottati, laddove la questione della discontinuità andrebbe correttamente considerata come un vincolo esterno sempre meno eludibile.
Perplessità suscita la seconda parte della manovra pensionistica, esclusivamente orientata a soddisfare esigenze di cassa. Lo strumento prescelto è l'eliminazione tout court dell'indicizzazione dei trattamenti pensionistici superiore a due volte il minimo per l'intero biennio 2012-2013. La misura, secondo le valutazioni ufficiali, recupera risorse a bilancio pubblico per poco meno di sette miliardi di euro, o per 5 miliardi di euro se si considerano gli effetti di retroazione fiscale, che hanno segno negativo.
In termini di risparmio di spesa, la sospensione del meccanismo di perequazione costituisce il provvedimento più consistente dell'intero decreto.
La decisione di non riconoscere l'adeguamento all'inflazione per una fascia numericamente importante di pensioni risponde all'ovvia necessità di far leva su risorse certe da destinare all'obiettivo del pareggio di bilancio. La misura resta, però, del tutto slegata dalla logica complessiva di sistema che impronta gli altri provvedimenti in materia pensionistica. Essa appare inoltre criticabile per il fatto di accompagnare altri interventi, contenuti nel decreto-legge in esame, che determineranno un aumento dell'inflazione nello stesso biennio cui si riferisce la sospensione dell'adeguamento automatico.
Come già osservato, l'aumento delle aliquote IVA e delle accise sui carburanti si trasmetterà in tempi rapidi sulla dinamica dei prezzi al consumo, sospingendo una temporanea ma non trascurabile accelerazione inflazionistica. I trattamenti interessati dalla misura si troveranno, quindi, privi di protezione rispetto a un aumento dei prezzi generato per via endogena dalla manovra. Si tratta di un aspetto di iniquità che sarebbe auspicabile limitare, ricorrendo a forme di copertura alternative, che potranno essere indicate nel corso del dibattito parlamentare.
Per quanto riguarda la componente della manovra destinata al sostegno della crescita, gli interventi di dimensioni più rilevanti (circa l'80 per cento) si realizzano attraverso operazioni di sgravio o agevolazione fiscale, mentre solo una quota minore di risorse è assegnata a misure di accelerazione della spesa in conto capitale.
Ancora molto limitate appaiono le iniziative di riforme «senza costi», come le liberalizzazioni e la revisione degli ordini professionali.
In particolare, sono da segnalare i provvedimenti che prevedono la deducibilità dell'IRAP sul costo del lavoro e sull'assunzione di giovani e donne di età


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inferiore a trentacinque anni. Si tratta di misure che meritano un convinto apprezzamento, ma che restano esposte al rischio di un'utilizzazione ridotta da parte delle imprese, in conseguenza sia delle generali condizioni di crisi economica, sia dei particolari meccanismi di applicazione della deduzione sul lavoro, che presuppone conti economici in attivo.
Le minori entrate sono tutte tributarie e risultano crescenti negli anni del periodo: da circa 2,6 miliardi del 2012 a 5,1 nel 2013 e a 6,2 nel 2014. Le misure più consistenti sono a sostegno dello sviluppo e riguardano soprattutto la deducibilità del rendimento del capitale proprio (ACE) e la deducibilità da IRPEF e IRES dell'IRAP sulla quota lavoro.
Altri interventi significativi concernono il Fondo compensazione interventi per lo sviluppo, il mantenimento al 36 per cento delle deduzioni per ristrutturazioni, efficientamento energetico e calamità naturali, la deducibilità IRAP per giovani e donne, la detrazione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Si aggiungono, altresì, le misure per il rafforzamento del sistema finanziario, compresa la partecipazione italiana a banche e a fondi.
Le misure appaiono in larga parte condivisibili. A proposito della deducibilità dell'IRAP sulla quota lavoro, va rilevato che a beneficiarne saranno soprattutto le banche, con l'effetto sicuramente positivo di contribuire al loro rafforzamento in un momento nel quale ne hanno particolare necessità, per fare fronte alla persistente crisi finanziaria dell'Eurozona.
Al sostegno del sistema finanziario sono peraltro finalizzati altri interventi, previsti dagli articoli 7, 8 e 9 del decreto-legge. Gli spazi di intervento che si apriranno per il futuro potranno essere opportunamente concentrati sulla riduzione del cosiddetto «cuneo fiscale», alleggerendo il peso degli oneri sociali delle imprese e ottenendo per tale via quel diretto e immediato aumento di competitività del sistema produttivo che, prima dell'euro, era affidato alla manovra del cambio.
Merita qualche considerazione un punto specifico sul quale la Corte si è soffermata in diverse occasioni negli ultimi tempi. Si tratta del tema del ritardo infrastrutturale e del declino degli investimenti pubblici, posto dal nuovo Governo al centro della strategia di sostegno allo sviluppo.
È nota la condizione di partenza, almeno con riguardo al ruolo della spesa pubblica in tale comparto: le manovre correttive degli ultimi anni non hanno salvaguardato la spesa in conto capitale, che anzi ha visto ridursi rapidamente la propria incidenza sul PIL. Nella prospettiva del prossimo triennio, la tendenza sembra destinata ad accelerare, con una caduta della spesa in conto capitale di dimensioni rilevantissime: dai 54 miliardi di euro del 2010 a circa 40 miliardi di euro nel 2013, con una flessione superiore al 35 per cento. Anche per questa via, non virtuosa, si persegue il pareggio di bilancio.
Da ultimo, con le manovre della scorsa estate le risorse del Fondo aree sottoutilizzate, destinate alle opere infrastrutturali, sono state ridotte di altri 950 milioni per il 2011 e di circa 9,5 miliardi di euro per il periodo 2012-2015. Con apposita istruttoria, non ancora conclusa, che si tradurrà nella revoca o nella revisione di precedenti assegnazioni disposte con delibere CIPE, saranno definiti operativamente i tagli sulla programmazione FAS. Certamente si tratta di riduzione di risorse a valere sulle assegnazioni del Fondo infrastrutture non ancora impegnate. Ciò dovrebbe consentire la revoca di poco meno di 8 miliardi di euro, valore molto vicino all'intero taglio disposto per legge.
All'interno dei «tagli», che non risparmiano neppure gli investimenti pubblici, sarà necessario procedere a una seria riqualificazione della spesa. Alle liste di progetti e iniziative impropriamente definiti «prioritari» dovranno sostituirsi interventi rigorosamente programmati, valutati e monitorati: niente di più e di diverso da quello che avviene in altri Paesi europei.


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La strada da percorrere per invertire la tendenza al declino infrastrutturale passa, poi, per un altro snodo fondamentale: le modifiche normative di procedura, dirette a semplificare e ad accelerare la realizzazione delle opere e a rafforzare le operazioni di partenariato pubblico-privato nel finanziamento, nella realizzazione, nella gestione e nella manutenzione delle infrastrutture. Anche in questa materia la messa a punto di regole innovative consentirebbe un avvicinamento dell'Italia agli altri Paesi europei, nei quali, da un lato, non si riscontra il groviglio di procedure e competenze - la cosiddetta iper-regolamentazione - nella programmazione delle opere e, dall'altro, è presente un impegno comparativamente maggiore del capitale privato.
Come osservato dalla Corte nella relazione del Parlamento sull'esercizio 2010, alla base del ritardo infrastrutturale dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei vi sono ostacoli e inefficienze che possono essere ricondotti, in particolare, all'assenza di una valutazione dei costi e dei benefici dei progetti, alla frammentarietà delle fonti di finanziamento, con il conseguente ricorso al finanziamento parziale delle opere, alla frequenza degli scostamenti tra preventivi e costi di realizzazione, all'inadeguatezza delle procedure di affidamento dei lavori. In particolare, le difficoltà di programmazione si riflettono sui tempi e sui costi di realizzazione degli interventi. Per completare tutte le fasi di realizzazione delle opere infrastrutturali di dimensioni maggiori occorrono non meno di dieci anni.
Una valutazione positiva deve, pertanto, essere espressa riguardo all'iniziativa, assunta nei giorni scorsi, della riattivazione dei canali di finanziamento delle opere, con una specifica seduta del CIPE, che recava all'ordine del giorno la mobilitazione di risorse per quasi 5 miliardi di euro, relativa a progetti approvati già nel 2008, ma non ancora definiti contrattualmente o cantierati, al perfezionamento del contratto di programma con le Ferrovie dello Stato e all'avvio della realizzazione di interventi rilevanti di competenza dell'ANAS. Nel complesso, si prevede un impiego di 12,5 miliardi di euro, di cui 2,2 provenienti da capitale privato.
Nella direzione della semplificazione sia delle procedure (a cominciare dai tempi di perfezionamento delle delibere del CIPE; la Corte, ovviamente, asseconderà la riduzione dei tempi previsti per gli adempimenti), sia delle misure volte a favorire l'attrazione di capitali privati, si muovono poi, opportunamente, le modifiche apportate al Codice dei contratti pubblici. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO BARBATO. Saluto e ringrazio, anche a nome del gruppo parlamentare Italia dei Valori, tutti i rappresentanti della Corte dei conti e, in particolare, il Presidente Giampaolino, al quale desidero rivolgere alcune domande.
Il mese scorso mi sono recato presso la sede della Corte dei conti di Roma per assistere all'udienza pubblica di un giudizio pendente davanti alla Sezione giurisdizionale per la regione Lazio. Il giudizio in questione ha per oggetto l'azione di responsabilità promossa dal Procuratore regionale nei confronti, tra l'altro, delle società concessionarie, per l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, del servizio pubblico di attivazione e conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito con vincite in denaro mediante apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Com'è noto, la procura regionale ha ritenuto che alle predette concessionarie fossero imputabili gravi inadempienze, le quali avrebbero cagionato allo Stato un danno valutabile complessivamente in circa 98 miliardi di euro.
Ebbene, anche sulla scorta degli interventi normativi che hanno previsto la cosiddetta concentrazione della riscossione nell'accertamento, atto che deve contenere, ora, anche l'intimazione ad adempiere all'obbligo di pagamento entro il termine


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per la presentazione del ricorso giurisdizionale, noi di Italia dei Valori abbiamo proposto che le concessionarie dei giochi versino una sorta di ticket, che potrebbe essere pari al 10 per cento del suddetto importo.
All'udienza di cui ho detto gli avvocati di alcune concessionarie hanno invano chiesto un rinvio, adducendo di non avere avuto conoscenza di un supplemento istruttorio relativo alle somme riscosse dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato dal 2004 ad oggi. Delle due l'una: o il supplemento istruttorio della procura regionale reca una data falsa, e quindi non è stato realmente depositato a marzo del 2011, o la segreteria della Corte dei conti ha occultato il documento. Entrambe le ipotesi presuppongono che siano state poste in essere condotte penalmente rilevanti. Chiedo, pertanto, se della vicenda sia stata interessata la procura della Repubblica competente.
La nostra iniziativa mira a ricollegare effetti concreti all'attività che la procura regionale della Corte dei conti sta portando avanti, sulla base di attività investigative compiute dalla Guardia di finanza. In particolare, lo Stato potrebbe incassare subito 9,8 miliardi di euro, a titolo di acconto sull'importo determinato da un'eventuale sentenza di condanna; come contropartita, alle concessionarie che hanno un contenzioso in atto in materia di giochi sarebbe consentita la partecipazione alle future procedure di selezione indette dall'AAMS. Infatti, mentre in altri settori, come in quello degli appalti di lavori pubblici, la pendenza di un contenzioso con la pubblica amministrazione comporta l'impossibilità di partecipare alle gare, nel settore dei giochi non vige, attualmente, un'analoga causa di esclusione.
Il ticket che abbiamo proposto non si configura, quindi, come una forma di condono - ipotesi di cui Italia dei Valori non vuole neppure sentir parlare -, ma soltanto come una misura per accelerare un introito.
A tale proposito, presidente Giampaolino, le chiedo se la nostra possa essere considerata un'iniziativa ad adiuvandum l'autorità che sta portando avanti il giudizio di responsabilità e se esistano precedenti in tal senso.
La seconda domanda riguarda le società per azioni a capitale pubblico il cui management non abbia operato nell'interesse dell'azionista, com'è accaduto nel caso di Finmeccanica. Qualora risulti, in base a riscontri oggettivi, che il management o il presidente della società abbia effettuato acquisti di beni e servizi in modo illegittimo, o addirittura abbia fatto ricorso a false fatturazioni o abbia commesso altri reati, è più opportuno attribuirgli una lauta buonuscita ovvero promuovere nei suoi confronti un'azione di responsabilità per i danni cagionati all'azionista di riferimento, vale a dire al Tesoro? Se, inoltre, il Governo, segnatamente il Ministro dell'economia e delle finanze, non soltanto permette tutto ciò, ma, anziché intentare l'azione di responsabilità, si mostra anche silente o dormiente nel momento in cui al manager in questione è liquidata una buonuscita di 5,5 milioni di euro, è o no anch'egli responsabile?
La terza domanda riguarda il diverso trattamento riconosciuto alla Chiesa cattolica dalla disciplina vigente in materia di ICI, in relazione agli immobili a destinazione commerciale.

AMEDEO CICCANTI. Non esiste...

FRANCESCO BARBATO. Non esiste?

AMEDEO CICCANTI. Si tratta di una scelta discrezionale del legislatore. Che c'entra la Corte dei conti?

FRANCESCO BARBATO. Tu t'identifichi con un legislatore che ha scelto di riconoscere privilegi; io, invece, con uno che considera tutti i cittadini uguali di fronte alla legge (Commenti)...

MASSIMO VANNUCCI. Signor presidente, la domanda...

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Non si possono ascoltare queste cose!


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ANTONIO BORGHESI. Signor presidente, non accetto che si usino certe espressioni nei confronti di un collega!

PRESIDENTE. Io e il presidente Conte stavamo parlando. Non abbiamo sentito. Onorevole Barbato, riprenda il suo intervento e ponga le sue domande.

ANTONIO BORGHESI. Questo va bene, signor presidente, ma certe espressioni nei confronti di un collega, di chiunque si tratti, sono inaccettabili!

FRANCESCO BARBATO. «Bandito» mi chiamano (Commenti)...

ROBERTO SIMONETTI. Pensate a quello che dice lui in Assemblea!

FRANCESCO BARBATO. Mi spiace, signor Presidente della Corte dei conti, se sono un bandito nel porle queste domande: così mi chiamano i miei colleghi...

GUIDO CROSETTO. Per la consulenza di tua moglie ti chiamiamo così, non per le domande!

PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Crosetto!
Onorevole Barbato, concluda il suo intervento.

FRANCESCO BARBATO. Poiché esiste una diversità di trattamento per quanto riguarda l'applicazione dell'ICI agli immobili ad uso commerciale - ad esempio, alberghi e bed and breakfast -, mi chiedo se il trattamento riservato a taluni possa comportare l'apertura di una procedura di infrazione comunitaria a carico dell'Italia.
L'ultima domanda, che potrà apparire un po' naïf, deriva dal fatto che sono un novizio: poiché sono molte le cose che non so, mi piacerebbe imparare.
Mi risulta che sia stata avviata un'azione nei riguardi del direttore del TG1, Minzolini, il quale avrebbe utilizzato una carta di credito aziendale per spese di rappresentanza in modo illecito. Considero giusto prendere provvedimenti nei confronti di chi utilizza in maniera impropria - ad esempio per spese di rappresentanza - il denaro pubblico.
Orbene, laddove i deputati utilizzino per spese di rappresentanza, pasti, servizio di tintoria, appartamenti del Parlamento (Commenti)...

AMEDEO CICCANTI. Le Camere hanno autonomia finanziaria.

FRANCESCO BARBATO. Ripeto che faccio queste domande a causa del mio noviziato.
Al di là del profilo della legalità formale, ritengo che la questione da me sollevata presenti implicazioni di tipo morale, riguardanti la cosiddetta «casta». Tuttavia, non mi interessa, ora, affrontare questo aspetto. Vorrei invece chiederle, presidente, se la Corte dei conti abbia competenza sui bilanci del Parlamento, che utilizza il danaro pubblico per pagare improprie spese di rappresentanza dei parlamentari, quali quelle per pranzi, feste, lavanderia, pulizia di appartamenti. Grazie.

PAOLA DE MICHELI. Quali deputati?

GIANLUCA FORCOLIN. La ringrazio per la relazione. Vorrei porre solo due questioni, per poi lasciare ai colleghi lo spazio per eventuali altre domande.
Dalla sua relazione si evince un certo scetticismo sulla tenuta del 2 per cento di inflazione previsto dal Governo rispetto agli effetti della manovra, e concordo che si potrebbero sforare ampiamente i 3 punti percentuali, per effetto dell'incremento delle accise del carburante.
Dimostra altrettanto scetticismo, nella sua relazione, l'osservazione critica sull'insufficiente ricorso a tagli strutturali della spesa, e fa piacere che nei giorni scorsi abbiate consegnato ai due Presidenti di Camera e Senato attraverso il Documento di programmazione delle attività di controllo e analisi della Corte un'importante relazione sulle inefficienze e soprattutto sull'uso delle risorse pubbliche affidate alle amministrazioni e agli enti locali.


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Vorrei sapere, su questo tema, che è molto importante soprattutto per noi che abbiamo sempre ragionato in termini di federalismo fiscale, se non ritenga che il messaggio importante sia quello di far partire da subito i costi standard, per trovare quella soluzione che voi avete già citato nel Documento di programmazione, e che quindi sia questo il tasto importante su cui battere, ma soprattutto attraverso il quale entrare nel merito, per una effettiva equità e una effettiva responsabilizzazione dell'ente locale per quanto riguarda la gestione delle risorse pubbliche.
Vorrei sapere inoltre se non ritenga che la mancata istituzione, in questo nuovo Governo, del Ministero per le riforme, sia comunque una lacuna importante e costituisca quindi una partenza sbagliata rispetto a questo tema, che invece vuole ritornare a porre la questione sull'ente locale, sui sindaci, sui territori.
Sono anche sindaco di un comune e a volte è avvilente ricevere delle comunicazioni da parte della Corte dei conti, che chiede giustificazioni se si sfora anche solo di qualche centinaia di euro i limiti alle spese per il personale dipendente. A volte si tratta di una semplice maternità, piuttosto che di un adeguamento contrattuale, ma poi vediamo casi, come quelli di Comitini ad Agrigento, di cui abbiamo appreso dalla stampa, che sono un vero scandalo.
Vorrei chiedervi quindi se non riteniate che sia questo il tema importante, oltre alle due questioni da lei citate degli immobili e dell'aggiornamento catastale. Da una recente, approfondita indagine, svolta dall'ex Ministro Calderoli, sembra che in questo Paese ci siano oltre 2 milioni di fabbricati non censiti, con un gettito presunto di oltre 2 miliardi di euro.
Forse, prima di parlare di innalzamento delle rendite catastali e quindi di aggravamento della pressione tributaria fiscale sui cittadini onesti, che hanno i fabbricati accatastati e hanno pagato le imposte, sarebbe necessario riportare l'asticella ad una misura di uniformità e di equità, evitando disparità che gridano allo scandalo e fanno inferocire i cittadini onesti, i quali hanno sempre rispettato le regole. Grazie.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA ANTONIO AZZOLLINI

ROLANDO NANNICINI. Grazie, presidente. Come sempre lei ha toccato molti aspetti. Le pongo una domanda riferita ad una questione che Lei ha sottolineato nella sua relazione: mi chiedo - e non credo sia solo responsabilità del Governo passato - perché la Ragioneria generale dello Stato esprima rilievi sull'erroneità di coperture relative a norme che comportano oneri per 100.000 o 3.000 euro, quando si sono fatte manovre che hanno utilizzato le risorse attese dalla lotta all'evasione.
Se il Paese deve cambiare passo e non deve essere un Paese «alla Barbato», che vuole solo atti contro la politica, credo che la politica si debba svegliare e chiedere ad altri organi dello Stato di compiere una rivoluzione copernicana, in cui anche gli organi dello Stato, come sta facendo la Corte, svolgano effettivamente la loro funzione.
Se discutiamo delle mancate coperture, c'è una responsabilità diretta della Ragioneria generale dello Stato: ha un nome, un cognome e un indirizzo. Se quindi quelle manovre fossero state coperte al cento per cento, non avremmo avuto bisogno di ascoltare le lamentele dell'onorevole Barbato. Su questo sono secco e netto nel sostenere che gli organi generali dello Stato debbano trovare elementi di migliore funzionamento.
Altro elemento importante della sua relazione è che finalmente si utilizzano entrate certe, entrate strutturali che hanno degli elementi fondamentali, perché, come lei spiegava, il 93 per cento delle maggiori entrate derivanti dalla manovra nel triennio è strutturale. Stiamo quindi discutendo di una manovra che ha carattere strutturale, giusto o sbagliato che sia; cambia comunque una filosofia: non


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siamo più nella filosofia del ragionamento formale, ma abbiamo il coraggio di metterci la faccia e di dire ciò che pensiamo del sistema pubblico italiano.
Lei si è dilungato sul tema degli enti locali, ma per correttezza le fornisco un dato: i Comuni sopra i 5.000 abitanti, nelle quindici regioni a statuto ordinario, hanno un Fondo sperimentale di riequilibrio di 8,7 miliardi. Fra articolo 13, tributo comunale sui rifiuti e servizi (RES) e IMU, credo che tali Comuni faranno gli esattori e dovranno restituire dei soldi allo Stato, perché dove si farà pagare l'IMU e l'ICI prima casa i trasferimenti saranno inferiori.
Questo è il primo problema. Sono felice che sia stata rivista la tassazione diretta dell'ICI, perché si tratta di una riforma strutturale e finalmente, come dice lei - ma dal 2015 - si instaurerà un rapporto in cui i cittadini, oltre che elettori, saranno anche controllori, tuttavia è grave che gli enti locali si trasformino in riscossori e debbano restituire allo Stato le quote riscosse.
Su questo noi ci impegneremo, come parlamentari, con molta forza, per fare dei conteggi precisi con cui oggi la annoierei, compiendo anche delle ricerche a campione sui comuni italiani, perché tutto ciò cessi, altrimenti un altro Barbato andrà a intervistare i consiglieri che prendono due lire e si assumono la colpa, quei consiglieri che hanno il coraggio di lavorare di fronte ai cittadini e dare le risposte ai cittadini.
Su questo dovremo essere netti e precisi. Lei l'ha già detto, ma chiedo alla Corte uno studio ulteriore sul tema del rapporto tra finanza locale e finanza statale, perché, essendo di moda attaccare chi si impegna in politica con serietà, come parlamentare devo stare vicino a quegli amministratori locali che sono costretti a compiere scelte non sempre popolari per mandare avanti il Paese.
Il tema che le pongo è netto: in base a questo meccanismo dell'IMU ci può essere qualche Comune che riscuoterà di più dal Fondo perequativo sperimentale e che quindi dovrà restituire i soldi allo Stato, in quel caso necessario per il fondo perequativo, però non tanto necessario per quella riforma.
Per quanto riguarda il Patto di stabilità, da parte vostra non ho sentito una forte lamentela sulla questione del rapporto tra competenza e cassa, sul tema dell'indebitamento netto e del saldo netto da finanziare. Ci si lamenta tutti che l'artigiano non riscuote i propri crediti con la pubblica amministrazione, che non ce la fa ad andare avanti (questa è una doléance conformista del mondo politico), perché si consente di indicare nel bilancio di competenza certe risorse, per esempio pari a sette, mentre nel bilancio di cassa è possibile pagare somme minori, ad esempio pari solo a quattro, scoraggiando in tal modo gli investimenti degli enti locali e dell'intera pubblica amministrazione.
In questa manovra c'è un elemento strutturale che io condivido, quel miliardo privo di vincoli di destinazione per le regioni, in modo di consentire loro di partecipare finalmente al cofinanziamento dei progetti fuori del patto. Tuttavia vi chiedo, da cittadino che ormai spera di ritornare velocemente ad essere solo cittadino - perché la politica così non è più condivisibile, come anche le posizioni strumentali che sentiamo costantemente su questi temi - se, per quanto concerne il tema del Patto di stabilità, che è basato essenzialmente sull'indebitamento netto, laddove i Comuni subiranno tagli aggiuntivi per altri 1,450 miliardi ed hanno la cassa bloccata per 6,4 miliardi, a causa del meccanismo della percentuale del 15,4 sui 38,6 miliardi della spesa corrente 2006-2007-2008 - non si possa studiare una modifica, che porti finalmente ad unificare gestione di competenza e gestione di cassa, dando certezza a quanto si fa e a quanto si paga.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VI COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANFRANCO CONTE

PRESIDENTE. Chiederei ai colleghi di limitare i loro interventi alle domande, visto che abbiamo gli altri auditi in attesa.


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MASSIMO VANNUCCI. Chiederei anche scusa per alcuni interventi non appropriati, in cui si approfitta della presenza del Presidente della Corte dei conti o del Governatore della Banca d'Italia per parlare di altri. Io sento di chiedere scusa come categoria, come rappresentante di questo Parlamento, poi voi potete essere d'accordo o no, però io formalmente le chiedo scusa.
Lei, presidente, è partito dall'analisi del quadro macroeconomico e ci ha detto che la manovra sistema le cose e fa anche fronte ai maggiori oneri per il più elevato costo medio del debito pubblico, dell'ordine di 10 miliardi nel 2013. Vorrei capire questa affermazione, perché purtroppo essa contraddice un importante documento, la relazione al Parlamento, di cui oggi i giornali danno conto, presentata al Presidente del Consiglio dei ministri il 4 dicembre 2011.
La relazione al Parlamento modifica la nota di variazione, che come sappiamo è del 23 settembre 2011. Con la nota di variazione avevamo fissato la spesa per interessi per il 2011 a 76 miliardi e 593 milioni, ma il Presidente Monti l'aggiorna per il 2011 a 77 miliardi e 324 milioni, un miliardo in più nel 2011.
Ci preoccupa il dato relativo al 2012, per cui avevamo previsto una spesa per interessi di 85 miliardi e 806 milioni (il 5,3 del PIL), che ritroviamo nella relazione del Presidente del Consiglio a 94 miliardi e 214 milioni (5,8 del PIL). Rispetto al 2011, spenderemmo nel 2012 circa 17 miliardi in più di interessi, per superare i 100 miliardi nel 2013 (6 per cento di PIL), e i 105 miliardi nel 214 (6,2 per cento di PIL).
Di fronte a questi dati non c'è manovra che tenga, presidente Giampaolino, lei parla di 10 miliardi nel 2013, ma nel 2013 rispetto al 2007 sono 23 i miliardi in più: da 77 a 100 miliardi. Nutro però dei dubbi su questi dati, non sui suoi, presidente Giampaolino, ma su questi, quindi le chiedo una verifica perché mi domando come sia possibile, considerando quante aste ci sono state, e quanto è stato alto lo spread tra i nostri titoli pubblici ed i titoli tedeschi, che in un anno si registri una spesa per interessi di 17 miliardi in più.
Sarebbe opportuno non mandare questi segnali di assoluta impotenza, perché non ci sarebbero più manovre che tengano, se l'andamento è realmente questo, cioè se dal 23 settembre ad oggi stimiamo 9 miliardi in più di costo di interessi dell'anno prossimo. C'è qualcosa che non funziona.
Se lei mi può rispondere, mi risponda adesso, però le chiederei in particolare di indicarmi, su questa materia del costo del debito e degli effetti registrati nel 2011 e nei prossimi anni - sono sempre ottimista sulla possibilità che le cose cambino - quali siano le reali risultanze.

LINO DUILIO. Le pongo una domanda breve, presidente, per quanto riguarda il gettito atteso dalla misura che riguarda i capitali scudati. Poiché è stata fatta una stima, in via prudenziale, di un gettito scontato del 20 per cento per quanto riguarda questa imposta straordinaria dell'1,5 per cento sui capitali scudati, e poiché la Corte confida che questa valutazione possa essere attendibile, vorrei chiederle se ci possa dire qualcosa di più del suo confidare, perché dalla Corte dei conti ci aspettavamo qualcosa di più.
Essendo stata fatta qualche osservazione da parte del Servizio studi della Camera, questo ha alimentato una discussione complessiva sui mass media nel Paese, per cui ci piacerebbe sapere qualcosa di più in merito, pur prendendo atto che, come lei scrive esplicitamente, questa misura è da giudicare in modo assolutamente positivo - lei la definisce «un bene per l'efficacia delle strategie di contrasto all'evasione» - perché significa cancellare definitivamente quella pratica deteriore dei condoni che ha determinato quanto sappiamo.
Tale affermazione della Corte dei conti, che io condivido, ci da il senso dell'importanza di questa misura, però per quanto riguarda l'apprezzamento degli effetti finanziari, mi piacerebbe sentire qualcosa in più. Grazie.


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

PRESIDENTE. Perché ci serve soprattutto per il prosieguo dei nostri lavori.

ROBERTO SIMONETTI. Vorrei porre una domanda veloce. Per quanto riguarda la quota di competenza statale legata all'IMU non prima casa, il comma 11 dell'articolo 13 afferma che è riservata allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili l'aliquota dello 0,76 per cento, quindi parla non della metà dell'incassato, ma della metà dell'imponibile.
Vorrei sapere, nel caso in cui l'ente locale non incassi effettivamente tali somme, se debba anticiparle e con quali fondi.

MARCO PUGLIESE. Anch'io sarò velocissimo, perché il Presidente ha solo accennato ai fondi FAS. Personalmente, nel corso di un mio intervento in Aula, ho espresso apprezzamento per il Governo Monti perché, al di là dell'equità e del rigore di questa manovra, nell'ambito delle misure di sviluppo di cui il presidente Monti ha parlato agli italiani, finalmente 5,2 miliardi di euro sono stati sbloccati per grandi opere infrastrutturali al Sud. Mi riferisco alla metropolitana di Napoli, alla statale ionica e all'autostrada Palermo-Agrigento.
Le devo porre due domande. In primo luogo vorrei sapere quale sia la reale consistenza dei fondi FAS, come prima ho chiesto al Governatore di Bankitalia la reale consistenza delle riserve auree, perché, amministrando il Paese, vorremmo conoscere l'effettiva consistenza economica dei fondi FAS, cioè dei fondi per le aree sottosviluppate.
Spesso abbiamo dovuto registrare anche utilizzi impropri di questi fondi; sebbene la legge stabilisce che l'85 per cento di questi fondi deve essere investito in grandi opere infrastrutturali al Sud, spesso assistiamo impotenti all'utilizzo di questi fondi, come se si trattasse di una sorta di bancomat che lo Stato utilizza per fare la TAV o per fare altre cose che non è questa la sede per citare.
Vorrei dunque un chiarimento, anche a nome della componente politica del gruppo Misto di cui faccio parte, Grande Sud, rispetto a questo utilizzo improprio e a come si comporti la Corte dei conti rispetto a situazioni di utilizzo improprio dei fondi FAS. Grazie.

IGNAZIO MESSINA. Grazie, Presidente Giampaolino. Sollecitato dalla sua relazione, vorrei fare alcune considerazioni e poi porre una domanda che, seppur generica, credo serva a comprendere l'intero spirito della manovra.
A proposito del mancato adeguamento delle pensioni, lei dichiara che: «la misura resta del tutto slegata dalla logica complessiva di sistema, che impronta gli altri provvedimenti in materia pensionistica», e aggiunge che: «essa appare inoltre criticabile per il fatto di accompagnare altri interventi, che, all'interno dello stesso decreto legge n. 201 del 2011, determineranno un aumento dell'inflazione nello stesso biennio a cui si riferisce la sospensione dell'adeguamento automatico». Mi scuso se leggo la sua relazione, ma preferisco citarla con precisione. Si prevede quindi un aumento dell'inflazione.
Sono stati precedentemente citati i ritardi infrastrutturali e, dall'altra parte, le risorse tagliate. Lei prosegue poi evidenziando il contrario di ciò che il Governo ha voluto propagandare, e cioè l'assenza, in questa manovra, di equità, che è stato un baluardo del Presidente del Consiglio, laddove lei dice successivamente che: «come osservato, l'aumento delle aliquote IVA delle accise sui carburanti si trasmetterà in tempi rapidi sulla dinamica dei prezzi al consumo», il che è una cosa logica, oserei dire banale, ma perché chi la prevede dovrebbe anche conoscerne le conseguenze, «sospingendo una temporanea, ma non trascurabile accelerazione inflazionistica», quindi ancora inflazione.


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Lei afferma ancora: «i trattamenti interessati alla misura si troveranno quindi privi di protezione rispetto a un aumento dei prezzi endogenamente generato dalla manovra, un aspetto di iniquità che sarebbe auspicabile limitare, ricorrendo a forme di copertura alternative che potranno essere indicate nel corso del dibattito parlamentare».
Su questo introduco un elemento più politico che tecnico: sembra che si vada verso una «blindatura» della manovra, per cui nel dibattito parlamentare probabilmente ci sarà una delusione rispetto a questa sua aspettativa, che poi è l'aspettativa di tutti i cittadini normali, non della élite finanziaria, ma del 90 per cento della popolazione che vive e sbarca il lunario.
La cosa che mi preoccupa di più della sua analisi riguarda la componente della crescita rispetto alla manovra, laddove parliamo di una manovra che non deve solo fare cassa, perché, se non mettiamo in moto il Paese, alla fine il problema non si risolve. Quello che era fondamentale in una manovra di questo tipo, messa in piedi da soggetti così altamente qualificati, era proprio dare un contributo innovativo alla crescita e non solo racimolare somme dalle tasche degli italiani.
Lei però dichiara: «per quanto riguarda la componente della manovra destinata al sostegno della crescita, gli interventi di dimensione più rilevante (circa l'80 per cento) si realizzano attraverso operazioni di sgravi o agevolazione fiscale, mentre una quota minore di risorse è assegnata a misure di accelerazione della spesa in conto capitale».
Aggiunge ancora: «ancora molto limitate appaiono le iniziative di riforme senza costi, come liberalizzazioni e revisione degli Ordini professionali», cosa che noi - lo dico da professionista perché sono avvocato - ci saremmo aspettati da un Governo tecnico, perché un Governo politico, magari tirato per la giacca da questo o quell'interesse, non riesce a realizzare riforme concrete che possono essere dolorose, mentre un Governo tecnico è chiamato a fare proprio questo.
Concludo con una domanda generica, puntualizzando quanto ho detto. Vorrei sapere se ritenga che la soluzione adottata, al di là dei singoli interventi, sia utile a superare la crisi che attanaglia l'economia italiana, oppure sia insufficiente, perché non prevede una crescita adeguata e quindi, di fatto, servirà soltanto per tamponare una falla che presto verrà riaperta, e a quel punto non ci saranno più fondi per poterla arginare. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giampaolino per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie innanzitutto per l'attenzione che gli onorevoli hanno voluto dedicare a questo mio intervento, forse troppo lungo.
La Corte tiene molto a questa sua funzione di ausilio al Parlamento, e quindi, seppure nelle poche ore che ci sono state concesse, perché la relazione tecnica è pervenuta solo un giorno prima, si è impegnata a esplicare la sua funzione nei confronti del Parlamento nella sua collegialità e secondo le procedure che assistono questa sua attività, per garantire una funzione di indipendenza e obiettività, nei limiti delle umane cose. Sono quindi grato per l'attenzione che mi è stata dedicata.
Questa annotazione mi consente di inquadrare l'intervento dell'onorevole Barbato, e in un certo senso di separarlo dalla funzione che in questo momento, seppur indegnamente, qui rappresento. Questa è appunto la funzione di ausilio tecnico al Parlamento, pur se, come avranno notato, non ci si è limitati a una stretta rappresentazione o a una anodina lettura del provvedimento, ma si è offerto al Parlamento il contributo della propria esperienza, del precipitato delle attività che la Corte in vario modo svolge, che le consentono di avere esperienze diffuse e variegate, per cui è doveroso rendere partecipe il Parlamento di questo risultato.
La funzione essenzialmente ausiliare alla lettura dei provvedimenti che il Governo offre all'attenzione e alla decisione


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finale del Parlamento potrebbe indurmi a ritenere non strettamente attinenti le domande che lei, onorevole Barbato, mi ha rivolto. Trattasi di fattispecie particolari, alcune di fasi processuali in atto, di cui si dà testimonianza da protagonista, e di talune fattispecie che la Corte conosce.
Questo non deve significare che ad esse non si dia importanza, perché tutte le funzioni della Corte, anche la più alta e la principale che essa in questo momento esplica, cioè di servizio al Parlamento, hanno un momento di chiusura in quello che più richiama l'attenzione della pubblica opinione, vale a dire quella del momento patologico, che trova rimedio nella giurisdizione.
I casi che lei ha citato sono e saranno all'attenzione della Corte, qualcuno di essi ha bisogno di un adeguamento o comunque di una diversa impostazione normativa, come quella della responsabilità degli amministratori delle società partecipate, e peraltro uno dei giudizi più recenti della Corte, di cui già si è avuta una sentenza in primo grado, era riferito alla liquidazione di un noto manager di una grande industria dello Stato. Sono quindi fattispecie che la Corte conosce.
A queste ragioni la Corte attribuisce importanza e non intende mai venir meno, ma, se mi si consente, la mia presenza qui, come quella dei colleghi, è nell'esplicazione di una delle sue principali collocazioni nell'assetto costituzionale.
Sono grato all'onorevole Forcolin per aver richiamato un salto di qualità in merito all'esame della spesa. Senza dubbio la Corte ritiene che il momento di contenimento della spesa debba declinarsi ed esplicarsi proprio nella qualificazione della spesa, e quindi è così che deve essere esercitato il suo contenimento.
Anche nelle audizioni che sono state fatte e nell'attenzione che la Corte ha dato all'assetto federalistico si ritiene che i costi standard siano uno degli elementi ai quali più ci si dovrà rifare, e questo anche per le stesse analisi che la Corte dovrà svolgere, non solo nell'attività di contenimento della spesa, ma anche nell'altra, importantissima funzione, di raffronto tra le diverse gestioni dei protagonisti del sistema federale. Senza dubbio si tratta di un salto di qualità dallo stretto contenimento della spesa al giudizio sulla sua qualità.
L'onorevole Forcolin mi chiedeva un giudizio sul venir meno del Ministero delle riforme, ma mi auguro che, pur venendo meno la struttura, la funzione sia recepita e svolta in altra sede. Per quanto riguarda i 2 milioni di immobili non censiti...

PRESIDENTE. L'onorevole Forcolin chiedeva perché cominciare dai proprietari di casa emersi piuttosto che da quelli che non le hanno neanche dichiarate. Credo che siano ancora in corso delle procedure di emersione che sono state oggetto di precedenti interventi legislativi, ma bisognerà verificare quali risultati abbiano ottenuto.

GIANLUCA FORCOLIN. La mia domanda era attinente al fatto che una maggiore responsabilizzazione dell'ente locale farebbe sì che oggi i sindaci chiederebbero di procedere subito, per recuperare quel sommerso, mentre invece se l'iniziativa arriva direttamente da Roma, dallo Stato centrale, questo incentivo manca e continua la solita calma piatta.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Su questo non si può non essere d'accordo. L'onorevole Nannicini evidenziava la mancanza di copertura e la responsabilità della Ragioneria dello Stato. La sua domanda, onorevole, tocca un punto molto delicato, che in questi momenti la Corte sta vivendo in modo molto vivo.
La Ragioneria dello Stato ha una nobilissima e alta tradizione nel nostro ordinamento, ma, per quanto riguarda la mancanza di copertura, la sensibilità del momento mi induce a pensare anche a quanto previsto in ordine alla legge costituzionale sul pareggio di bilancio, cioè alla necessità che sia un organo esterno, particolarmente strutturato ed eventualmente riformato nella sua configurazione e nelle sue professionalità, a svolgere nella sua


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terzietà, nella sua indipendenza dal Governo e nella sua ausiliarietà nei confronti del Parlamento, questa azione di lettura delle coperture delle spese.
Il dato certo circa la tassazione implica il nostro giudizio favorevole circa il fatto di aver avuto indicazioni non rimesse a future elaborazioni, come in altre manovre avemmo modo di lamentare. La sua domanda impinge sostanzialmente nella problematica del rapporto tra finanza statale e finanza locale. Nel documento più esteso troverà una più diffusa trattazione in materia.
Circa il problema che ha particolarmente interessato la Corte nei mesi scorsi, allorché si è discusso con l'onorevole Giorgetti sulla riforma della legge di contabilità, cioè sulla differenza tra bilancio di competenza e bilancio di cassa, le sue considerazioni non possono non trovarci concordi, e quindi anche noi auspichiamo che questo punto si applichi.
L'onorevole Vannucci sottolineava i 9 miliardi in più di interessi, che determinano costi di responsabilità, ma vorrei che al riguardo rispondesse il collega Pala.

MAURIZIO PALA, Consigliere della Corte dei conti. La risposta è molto semplice: nel paragrafo 2 della relazione che abbiamo depositato quantifichiamo in modo sintetico e rispetto al 2013, che è l'anno in cui è previsto il pareggio di bilancio, la dimensione dello scostamento che si è venuto a determinare dal momento di presentazione della nota di aggiornamento al DEF a quello di presentazione del quadro di finanza pubblica che accompagna questo decreto-legge.
Per quanto concerne il confronto tra il quadro di finanza pubblica a legislazione vigente contenuto nella nota di aggiornamento al DEF e quello che accompagna il decreto-legge all'esame, in termini di disavanzo la differenza è di circa 20 miliardi, che sono attribuibili, in quote pari al 50 per cento per ciascuna delle due componenti, alla perdita di gettito determinata dal peggioramento del ciclo economico e per l'altra metà al maggiore onere di spesa per interessi, che, infatti, nella nota di aggiornamento al DEF è pari a 90,8 miliardi e, nel quadro di aggiornamento che accompagna questo decreto-legge, a 101,3 miliardi.
La Corte non dispone, per quello che riguarda la stima della spesa per interessi, di strumenti sofisticati come il Tesoro o la Banca d'Italia che ci ha preceduto in audizione, ma mi sento di dire che questa valutazione della spesa per interessi dal punto di vista della dimensione, date le circostanze della situazione finanziaria generale, potremmo definirla se non prudenziale - non mi azzarderei a usare questo aggettivo - certamente coerente con uno spread almeno di 500 punti, e quindi certamente non è una sottostima.

PRESIDENTE. È soddisfatto, onorevole Vannucci?

MASSIMO VANNUCCI. Sono soddisfatto perché il dato da lei fornito, relativo a 10 miliardi in più nel 2013, così interpretato, è corretto. La nota di variazione prevedeva un importo pari a 90 miliardi, mentre la relazione al Parlamento del Presidente del Consiglio prevede l'importo di 101 miliardi, quindi è corretta la segnalazione relativa ai 10 miliardi in più.
Mi rimane il dubbio su come sia possibile, se nel 2011 abbiamo speso 77 miliardi per interessi (ormai il 2011 è finito e non abbiamo più fatto le aste), passare nel 2012 a 94 miliardi, cioè 17 miliardi in più. Lo spread è del 5 per cento, ma mi chiedo quanti titoli abbiamo piazzato e a che tasso, perché francamente 17 miliardi in più mi sembrano troppi. Non ho fatto i conti, però varrebbe la pena analizzare il dato.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Possiamo assumere l'impegno di farle avere i dati, ovviamente nei tempi che il Parlamento ritenga necessari.
L'onorevole Duilio si è soffermato sul termine «confida» e vorrebbe che si utilizzasse un termine più tecnico. Vorrei pregare il collega Mazzillo di intervenire, perché questo è stato uno degli aspetti oggetto di discussione all'interno delle sezioni della Corte.


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LUIGI MAZZILLO, Presidente di Sezione della Corte dei conti. Come lei ha evidenziato, prendiamo atto che è stata fatta una valutazione prudenziale, nel senso che la potenziale base imponibile è stata abbattuta del 20 per cento.
Forse questo abbattimento non è sufficientemente prudenziale, se le informazioni sulle quali si basa la stima sono quelle che tutti abbiamo, cioè la relazione al Parlamento del Ministro dell'economia e delle finanze del 18 giugno 2010, in cui viene dato conto della distribuzione per volumi di importo dei rimpatri e delle regolarizzazioni.
Da questa relazione - alcuni dati vengono forniti nel lungo documento che è stato distribuito - emerge che ci sono state adesioni fino a 50.000 euro, che ammontano per numerosità al 20,5 per cento, mentre in termini di valore ammontano all'1 per cento. All'altro estremo, invece, rileviamo che, per le adesioni di valore superiore a 5 milioni, la percentuale delle operazioni è pari all'1,3 per cento, mentre il valore delle operazioni stesse è pari al 29,3 per cento.
Sospettiamo che coloro i quali hanno effettuato il rimpatrio e la regolarizzazione lo abbiano fatto non come persone fisiche, dando il proprio nome e cognome, ma avvalendosi di società interposte, che hanno avuto il tempo di scomparire e, quindi, diventa difficile raggiungerle. Se sono fornite informazioni ulteriori che rassicurino sul fatto che gli aderenti allo scudo sono ancora rintracciabili, la valutazione fornita può andar bene. Noi non abbiamo altri elementi sui quali basarci e, in base agli elementi in nostro possesso, nutriamo alcune perplessità, che abbiamo espresso nel nostro documento.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Sull'utilizzo improprio dei fondi FAS, se mi consente, onorevole Pugliese, vorrei farle avere una scheda ad hoc: si tratta di una fattispecie all'attenzione della Corte, ma sul momento non potrei essere preciso, quindi mi impegno a sottoporle un apposito documento.

MARCO PUGLIESE. La ringrazio.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. L'onorevole Messina mi chiede un giudizio sull'equità, in particolare riguardo all'indicizzazione delle pensioni e all'aumento dei possibili effetti inflattivi dovuti all'aumento sia dell'IVA che delle accise. Abbiamo rilevato, tuttavia, che altre misure sono all'insegna dell'equità: non è dato alla Corte esprimere un giudizio complessivo.
Per quanto riguarda la domanda formulata dall'onorevole Messina, relativa al contributo alla crescita, la Corte, anche in occasione di precedenti audizioni, ha sempre posto l'accento sulla necessità di soffermare l'attenzione sull'elemento della crescita, lamentando, infatti, che ci si fosse sempre attestati, in passato, sul contenimento della spesa e, soprattutto, sull'aumento delle entrate.
Le liberalizzazioni, quando le stesse previsioni hanno riguardato la disciplina delle infrastrutture, hanno sempre deposto ai fini di un acceleramento dello sviluppo. Mi astengo dal pronunciare un giudizio sul fatto se si dovesse o si potesse fare di più, ma non si può non rilevare come una parte rilevante della manovra sia dedicata a queste misure. Grazie.
L'onorevole Simonetti chiedeva un giudizio definitivo sull'IMU. Lascio la parola al collega Flaccadoro.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. In merito all'IMU, il comma 11 dell'articolo 13 stabilisce che la quota dovuta allo Stato deve essere versata contestualmente all'imposta municipale propria, quindi al momento della riscossione.
Certamente, ove rimanessero quote non riscosse, per come è scritta la norma - bisognerà però aspettare le disposizioni di attuazione -, sembrerebbe che l'ente, se non si attiva per recuperare l'imposta dovuta o non ha possibilità di recuperarla, potrebbe essere chiamato a versare la quota che spetta allo Stato.
La norma, ad una prima lettura, contiene una misura di cautela secondo la quale il versamento della quota avviene al momento della riscossione, ma, in linea


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generale, contiene anche una forma di responsabilizzazione. D'altra parte, mi sembra che la responsabilizzazione sulla riscossione delle entrate sia uno degli elementi fondanti di tutta la struttura del federalismo, laddove è necessario richiamare gli enti a una maggiore responsabilità nell'accertamento.
Capisco perfettamente che in alcuni casi potrebbero crearsi discordanze fra le somme individuate in teoria e quelle effettive: la sua osservazione, pertanto, è corretta, anche se per valutarla definitivamente bisogna capire come si darà attuazione a questa norma.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i soggetti auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,55.

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