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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
9.
Martedì 14 giugno 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Tortoli Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE AMBIENTALI IN RELAZIONE ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI

Audizione di rappresentanti di Legambiente, Amici della Terra, Mountain Wilderness e Comitato Nazionale del Paesaggio:

Tortoli Roberto, Presidente ... 3 4 8 11 13 15 17 18
De Pascalis Giovanni, Segretario nazionale del Comitato nazionale del paesaggio ... 8 17
Margiotta Salvatore (PD) ... 13
Molocchi Andrea, Responsabile dell'ufficio studi di Amici della Terra ... 11 16
Nanni Gabriele, Responsabile dell'ufficio energia di Legambiente ... 3 14
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 14 15
Pinelli Carlo Alberto, Presidente onorario di Mountain Wilderness ... 4 17
Tinelli Fabio, Consulente di Mountain Wilderness ... 5 15

Audizione di rappresentanti di Kyoto Club:

Tortoli Roberto, Presidente ... 18 20 22 24
Bratti Alessandro (PD) ... 21
Gamberale Mario, Coordinatore del gruppo di lavoro «Fonti Rinnovabili» del Kyoto Club ... 18 20 22
Margiotta Salvatore (PD) ... 20
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 21

ALLEGATI:
ALLEGATO 1: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Legambiente ... 25
ALLEGATO 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Kyoto Club ... 81
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 14 giugno 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO TORTOLI

La seduta comincia alle 15,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Legambiente, Amici della Terra, Mountain Wilderness e Comitato Nazionale del Paesaggio.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti di Legambiente, Amici della Terra, Mountain Wilderness e Comitato Nazionale del Paesaggio.
Manca per il momento ancora il rappresentante di Amici della Terra, ma iniziamo da Legambiente. Do quindi la parola al dottor Gabriele Nanni, responsabile dell'ufficio energia di Legambiente.

GABRIELE NANNI, Responsabile dell'ufficio energia di Legambiente. Buonasera a tutti. Come Legambiente, sul tema delle fonti rinnovabili con particolare riferimento alle interazioni con il paesaggio abbiamo portato qui oggi un dossier pubblicato la scorsa settimana, che fa il quadro della situazione in particolare sulle linee guida che le regioni avrebbero dovuto adottare entro la fine del 2010. Facciamo un'analisi di quello che è stato fatto e nello specifico di tutte le norme.
Vorrei fare solo una piccola premessa sullo stato dell'arte delle rinnovabili in Italia. Fondamentalmente la diffusione che noi analizziamo tramite i nostri lavori e i nostri contatti con regioni e comuni ci fa dare un giudizio positivo, nel senso che sono tutte fonti in forte crescita quindi con una forte diffusione.
Alcuni dati: nel 2010 le fonti rinnovabili moderne, quindi escluso la geotermia di vecchio stampo e l'idroelettrico storico, hanno raggiunto quasi il 20 per cento dei consumi elettrici delle famiglie (ovviamente solo delle famiglie). A livello di diffusione nei comuni, ormai il 94 per cento dei comuni italiani presenta almeno una fonte di energia rinnovabile, oltre a 20 comuni che sono 100 per cento rinnovabili. A questo si affianca - dal punto di vista ambientalista è fondamentale - un concreto sviluppo dell'occupazione data da questo settore: molte stime segnalano che tra lavori diretti e posti di lavoro dell'indotto siamo attorno a 100 mila occupati.
A questo punto noi affianchiamo una politica di ragionamento, di pianificazione su quella che è la corretta integrazione degli impianti nel paesaggio. Si fanno molte polemiche e si discute molto ad esempio dell'eolico - e dal nostro punto di vista sicuramente dobbiamo mettere molti paletti -, ma per adesso riguarda comunque una piccola porzione di comuni (circa 370 comuni in Italia, compresi i comuni che hanno minieolico e microeolico), quindi ancora non siamo a livelli «di


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diffusione di massa» anche considerando i comuni dove non è giustificato questo tipo di impianti.
Per noi serve assolutamente una corretta politica di burden sharing in questo momento, quindi come già previsto dalla legge n.13 del 2009 suddividere l'onere e l'onore dell'installazione delle fonti rinnovabili fra tutte le regioni italiane, ciascuna - lo sottolineiamo sempre molto volentieri - con la propria specificità. Il territorio deve quindi essere analizzato seriamente da questo punto di vista.
Un altro punto fondamentale per noi è quello della semplificazione, non intesa come libertà di realizzare tutto ciò che si vuole, ma dando norme chiare agli investitori, a coloro che lavorano nel settore. Per questo abbiamo fatto questo lavoro sulle linee guida, perché in questo momento solo in Puglia e in provincia di Bolzano si è lavorato con le linee guida ragionando su tutte le fonti rinnovabili.
Il terzo punto importante è la progressiva ma fondamentale riduzione degli incentivi. Teniamo a specificare che non ci vanno bene dei tagli così netti e drastici agli incentivi come sono stati previsti per quanto riguarda il fotovoltaico, ma che comunque il mercato delle rinnovabili e gli investimenti devono guardare al futuro, ragionando appunto a livello di mercato. È quindi necessario gradualmente e progressivamente dare certezza degli investimenti e al tempo stesso diminuire gli incentivi.
Il quadro delle regioni che abbiamo tirato fuori da una parte è incoraggiante per gli esempi prima citati, perché definendo in maniera chiara quanto, come e dove si possano installare i tipi di vari tipi di fonti rinnovabili si danno certezze e probabilmente si riesce a salvaguardare il paesaggio. In molte altre Regioni, escluse le zone di cui parlavo, si è legiferato solo per fotovoltaico e/o eolico.
Questo quindi è un altro passo chiave, perché a livello regionale sicuramente c'è più conoscenza del proprio territorio. All'interno di questo - altro punto molto importante - ad esempio in Puglia le linee guida hanno disciplinato degli aspetti concreti, che si trovano anche nel nostro rapporto, quali ad esempio i coni visuali per l'eolico.
È necessario quindi stabilire dei criteri per cui non sempre lo stesso tipo di installazione rinnovabile va bene per lo stesso territorio o per un territorio simile. Ci sono casi in cui un crinale collinare boschivo in una determinata zona può accettare un certo numero di pale eoliche di una certa altezza, mentre lo stesso tipo di installazione in altre zone non va assolutamente bene, perché quel tipo di collina non riesce a mitigare l'impatto che comunque è inevitabile almeno in maniera minima. Grazie.

PRESIDENTE. Nell'autorizzare la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante di Legambiente (vedi allegato 1), saluto il dottor Molocchi, responsabile dell'ufficio studi di Amici della terra, che nel frattempo ci ha raggiunto.
Do la parola ai rappresentanti di Mountain Wilderness, a partire dal presidente onorario dottor Carlo Alberto Pinelli.

CARLO ALBERTO PINELLI, Presidente onorario di Mountain Wilderness. Grazie. Sarò molto breve perché lascerò la parola al dottor Tinelli, che riassumerà le posizioni della nostra associazione. Faccio solo una premessa: siamo molto lieti del risultato del referendum sul nucleare, ma abbiamo anche una sottile preoccupazione che questo diventi un alibi per rilanciare la speculazione delle rinnovabili inutili, tra cui fondamentalmente l'eolico, che a fronte della gravissima distruzione del paesaggio italiano produce una quantità irrisoria di elettricità.
Mi fa anche sorridere - lo dico all'amico di Legambiente - la frase «corretta integrazione nel paesaggio» delle pale eoliche, quando associazioni come la sua hanno avallato finora la speculazione selvaggia che ha fatto carne di porco di moltissimi paesaggi italiani. È stata citata la Puglia e io ricordo - lo dico a chi vuole andare


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a vederlo - che Castel del Monte, uno dei monumenti storici più importanti di tutta l'Italia, è circondato da pale eoliche.
Che questa sia una mitigazione dell'impatto mi sembra un po' improbabile, anche perché alcune associazioni hanno sostenuto con una certa faccia tosta che le pale eoliche abbelliscano il paesaggio. Lascio comunque la parola a Fabio Tinelli che entrerà nel merito. Grazie.

FABIO TINELLI, Consulente di Mountain Wilderness. Le politiche del Governo italiano per il raggiungimento degli obiettivi in termini di riduzione delle emissioni e di fonti rinnovabili non possono prescindere da due aspetti fondamentali: la tutela ambientale (paesaggio incluso) e una razionale analisi dei costi e dei benefici che ogni soluzione porta alla collettività.
In merito alle politiche energetiche vogliamo ricordare quanto scritto dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nell'ultimo rapporto sullo stato dell'economia in Italia, di cui una parte abbastanza rilevante tratta delle politiche energetiche.
Il modo più efficiente e meno costoso per ridurre le emissioni di CO2 sono gli interventi di efficienza energetica e l'utilizzo delle rinnovabili termiche. L'utilizzo delle rinnovabili per la produzione di elettricità è uno dei modi più costosi per ridurre le emissioni di gas serra.
I costi legati al sistema di incentivi per le rinnovabili sono molto maggiori delle esternalità, cioè dei costi non riflessi nel sistema dei prezzi, evitate con la mancata produzione da fonte fossile. Il sistema dei certificati verdi genera molti problemi di equità essendo regressivo, ovvero gli aumenti del costo dell'elettricità incidono di più sulle famiglie povere, per le quali il costo dell'energia rappresenta una quota maggiore del reddito.
Le recenti novità normative emanate negli ultimi sei mesi hanno il merito di portare un po' di chiarezza in un settore che è diventato preda di enormi spinte speculative, di intrecci criminali e irregolarità amministrative, un settore - ricordiamo in particolare quello dell'energia eolica non perché abbia qualcosa di negativo in sé, ma perché è stato il primo - in cui gli interessi della criminalità organizzata sono ormai ben radicati, come scrive la Direzione nazionale antimafia nel Rapporto annuale 2010.
In esso si legge: «la Direzione nazionale antimafia, nel corso di una riunione in data 20 maggio, alla quale hanno partecipato diverse Procure distrettuali, ha avviato un monitoraggio dei procedimenti penali pendenti nei vari distretti relativi al settore dell'energia eolica e fotovoltaica, al fine di verificare le infiltrazioni e i condizionamenti della criminalità organizzata. Il quadro emerso è particolarmente allarmante in considerazione del sistema utilizzato da un unico gruppo di soggetti che sviluppano l'intero progetto, dal reperimento delle aree da destinare ai parchi, ai contratti, alle trattative con i locali gruppi criminali, alla procedura di rilascio della concessione e infine alla cessione a multinazionali del settore energetico che necessitano dei cosiddetti certificati verdi». Tale interesse della criminalità a questo non ha ovviamente nulla a che vedere con la bontà o meno delle energie rinnovabili, ma trova terreno fertile nel livello troppo alto degli incentivi, che garantiscono extraprofitti considerevoli.
Vogliamo rilevare anche una tendenza degli ultimi mesi, che vede sempre più frequenti i sequestri di cantieri per una notevole difformità degli interventi effettuati rispetto a quelli autorizzati, segno di una sempre più forte attenzione e vigilanza sociale su questi impianti.
Il decreto legislativo n. 28 del 2011 è sicuramente un passo importante in avanti nella chiarificazione del quadro normativo, ma presenta ancora numerosi punti interrogativi. Sicuramente troppe decisioni importanti, come per esempio quelle sul livello degli incentivi post-certificati verdi sono stati rimandati ad atti successivi non ancora emanati. Ci auguriamo che il livello degli incentivi venga fissato in base alle esperienze del resto d'Europa evitando gli eccessi del passato.


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Se è indubbio che le imprese in Italia soffrano di lungaggini e impedimenti burocratici, non risulta che i tempi di realizzazione delle centrali alimentate da fonti rinnovabili siano significativamente diversi dal resto dell'Europa. Sempre citando il caso dell'eolico, uno studio dell'associazione europea di categoria mostra come gli ostacoli burocratici per l'approvazione di un progetto e per la connessione della rete siano assolutamente in linea con la media europea, anzi leggermente minori.
I costi legati al processo autorizzativo non possono quindi essere invocati a giustificazione di un livello di incentivi molto elevato, anche perché comunque si tratta di una parte marginale dei costi totali di investimento, una parte compresa fra l'1 e il 2 per cento.
Nutriamo forte preoccupazione per la sentenza del TAR della Lombardia, che ha abrogato una misura che avrebbe limitato le richieste di connessione alla rete puramente speculative, il corrispettivo a garanzia della prenotazione introdotto lo scorso anno dall'Autorità dell'energia. Ci auguriamo che misure simili possano essere introdotte con celerità, onde evitare fenomeni di accaparramento di una risorsa scarsa come l'accesso alla rete.
Non si può negare che la continua modifica del quadro normativo - dieci modifiche alle norme negli ultimi dieci anni - rappresenti un fattore di criticità per tutti i soggetti coinvolti (imprese, associazioni e privati).
La recente pubblicazione delle linee guida nazionali ha fissato alcuni importanti paletti nel rapporto tra pubblica amministrazione e società produttrice di energia rinnovabile con l'allegato 2. Il rapporto tra comuni e società eoliche in particolare aveva assunto ormai caratteri patologici, con richieste sempre maggiori da parte dei Comuni, del tutto incompatibili con un'attività che si svolge nel libero mercato, con un aumento dei costi dell'elettricità che venivano scaricati sulle bollette elettriche dei consumatori.
Ci auguriamo che ci sia una pronta vigilanza della magistratura contabile sulle convenzioni tra comuni e imprese, soprattutto per quelle operanti nell'eolica, per cui il livello dei costi era tale da poter promettere molto di più, per verificare la rispondenza delle convenzioni sia a legislazione vigente, sia in base a quanto predisposto dalle linee guida.
Vogliamo fare alcune considerazioni sull'allegato n. 4 delle linee guida pubblicate, che disciplina il corretto inserimento degli impianti eolici sul territorio. Il documento risulta carente sotto molti aspetti e non tiene conto delle recenti risultanze scientifiche sull'impatto ambientale degli aerogeneratori. Dovrebbero essere prescritti studi più approfonditi e misure di mitigazione più restrittive, in particolare per l'impatto sull'avifauna e sulla chirotterofauna, sia per mortalità diretta che per quanto riguarda la perdita di habitat. Programmi seri e indipendenti di monitoraggio degli impianti devono essere svolti su larga scala. La valutazione di impatto acustico dovrebbe tener conto di alcuni aspetti peculiari della sorgente del rumore.
Con riferimento agli impatti cumulativi dei progetti, occorre sottolineare che spesso succede che in alcune zone vengono presentati numerosi progetti contigui e vengono valutati solo singolarmente senza tener conto degli impatti cumulati. Ricordiamo solo quanto è successo nel subappennino dauno tra la provincia di Foggia e quella di Benevento, dove è sorto un immenso parco eolico con migliaia di torri frazionato in decine o centinaia di progetti diversi, il cui impatto ovviamente non è stato valutato cumulativamente.
Altra cosa importante è la distanza minima obbligatoria delle abitazioni maggiore di quella prevista per salvaguardare il clima acustico, come risulta dalla normativa UE, sia per difendere il valore del patrimonio immobiliare, sia per ovvi motivi di sicurezza. Anche la distanza minima dalle strade andrebbe aumentata. Analoghe linee guida andrebbero inoltre predisposte anche per le centrali fotovoltaiche e per le centrali a biomasse. In quest'ultimo caso il focus dovrebbe essere


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sulle modalità di approvvigionamento e sui controlli in fase di esercizio piuttosto che sull'impatto paesaggistico.
Preoccupante è ancora il ritardo delle regioni nel definire le zone di esclusione per gli impianti previste dalle linee guida. Dato l'alto numero di progetti presentati, esiste la quasi certezza che gli interventi normativi per ridurre l'impatto ambientale arrivino troppo tardi, quando ormai i progetti esistenti ma soprattutto quelli autorizzati hanno già saturato sia la capacità di carico ambientale di molti territori del sud e delle isole, sia la capacità di connessione della rete elettrica. L'esempio di Castel del Monte citato dal presidente Pinelli è un classico: le linee guida fatte dalla regione Puglia prevedevano che quello fosse uno dei coni visuali da salvaguardare, solo che gli impianti erano già stati fatti.
Riteniamo necessaria la creazione di un'anagrafe pubblica degli impianti che ricevono contributi a carico dei consumatori, e che i dati statistici della produzione annuale di ogni singolo impianto vengano resi noti. Tali dati sono fondamentali per capire la reale efficacia degli interventi e, visto che l'esistenza di tali impianti è possibile grazie ai contributi pagati dalla collettività, l'interesse alla trasparenza deve prevalere sul segreto industriale.
Per quanto riguarda il contributo alla riduzione delle emissioni, si ritiene che il contributo delle fonti rinnovabili elettriche intermittenti alla riduzione dei gas serra debba essere oggetto di un'attenzione più critica e di un'analisi più approfondita di quanto finora fatto in Italia. Da un lato la scarsa producibilità di tali fonti fa sì che il contributo al soddisfacimento del fabbisogno energetico sia ancora marginale e non possa che rimane tale senza innovazioni tecnologiche che adesso ancora non si intravedono. Ad esempio l'eolico, nonostante una potenza installata in Italia di tutto rispetto pari a circa 6 gigawatt, fornisce solo il 2,5 per cento dell'elettricità e lo 0,8 per cento del fabbisogno energetico totale. In Germania, Paese leader delle rinnovabili con oltre 27.000 megawatt installati e circa 20.000 torri, il fabbisogno coperto con l'eolico è pari solo al 6 per cento del fabbisogno elettrico, che si traduce nell'1,5 per cento del fabbisogno energetico totale. Ancora peggiore la situazione rilevabile per il fotovoltaico.
Le fonti rinnovabili permettono la riduzione dei gas serra solo nella misura in cui l'elettricità prodotta con fonti rinnovabili non venga prodotta da fonti fossili. La quantità di emissioni di CO2 ridotta è minore tanto più pulita è la fonte sostituita, e questo in un sistema con un mix elettrico abbastanza pulito come quello italiano fa sì che la riduzione delle emissioni sia abbastanza bassa rispetto a quello che viene propagandato.
Un ulteriore fattore di criticità è rappresentato dal funzionamento irregolare che questi impianti - che non sono controllabili ma variano in base alle condizioni meteorologiche - inducono nelle centrali termiche presenti nella rete, le quali sono costrette a un funzionamento irregolare come una macchina nel traffico urbano. Sarebbe necessaria quindi un'analisi fondata sui dati reali di emissione e sull'effettivo contributo delle rinnovabili intermittenti alla diminuzione di emissioni.
Per quanto riguarda gli impatti ambientali, le fonti rinnovabili con un carattere diluito e diffuso richiedono un notevole impegno nei territori, e questo è un aspetto critico nel nostro Paese poco vasto, orograficamente complesso e molto abitato, oltre che naturalmente noto per l'eccezionalità dei paesaggi.
Riteniamo che, come è corretto considerare l'esternalità delle fonti tradizionali, non si possa negare nella foga spesso speculativa di installare fonti rinnovabili le esternalità negative di queste ultime (consumo di suolo, trasformazione del territorio, dissesto idrogeologico, impatti diretti e indiretti sulla fauna, perdita di biodiversità, sicurezza delle popolazioni e così via).
Tra le esternalità negative delle fonti rinnovabili intermittenti non si possono dimenticare quelle collegate alle opere necessarie ad integrarle nelle reti destinate ad attenuarne la naturale variabilità. È di


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questi giorni la discussione sulla competenza relativa alla costruzione dei bacini di pompaggio. Queste opere hanno dei costi che sono pagati dalla collettività e non dai produttori, e hanno anche i ben noti costi ambientali del grande idroelettrico come pure i relativi problemi di sicurezza.
Analogo discorso si può fare per le nuove linee di trasmissione necessarie a portare l'energia prodotta al sud e nelle isole verso le zone industriali del Paese, dove la richiesta di elettricità è massima.
Per quanto riguarda l'accettazione sociale, l'informazione, la partecipazione a tali opere, se in linea di principio c'è indubbiamente un sostanziale favore collettivo verso le fonti rinnovabili, la loro applicazione pratica desta numerosi problemi. Questo deriva dalla presentazione eccessivamente bucolica che ne viene fatta dai media, che si scontra con la realtà dell'impatto ambientale, della degradazione paesaggistica, del consumo di territorio, della bassa produzione.
Ad oggi in Italia le opere più contestate sono centrali eoliche, fotovoltaiche e a biomasse. Tra i motivi di questa contestazione vi è in primo luogo la mancanza di una normativa chiara per stabilire zone in cui vietare tali tipi di sviluppo e zone invece vocate. Si è così lasciato spazio a una contrattazione che ha spesso presentato lati oscuri tra pubblici amministratori e sviluppatori centrali, i primi spesso più interessati a fare cassa, con i noti problemi che hanno gli enti locali, i secondi a ottenere autorizzazioni da rivendere piuttosto che a un serio progetto industriale.
Altra forma di contestazione è stato il mancato coinvolgimento delle comunità limitrofe nel processo, in particolare per le centrali eoliche che spesso sorgono sui crinali, tipicamente luoghi di confine. È successo spesso che la decisione venisse presa unilateralmente da un comune a spese della comunità limitrofa, senza che questa ne traesse alcun vantaggio pur dovendone subire gli impatti.
È da augurarsi che la nuova disciplina prevista dall'allegato n. 2 delle linee guida venga applicata in modo da scongiurare queste situazioni, visto che ora la decisione sulla destinazione dei proventi per compensazione è sottratta ai comuni ed è di competenza della Conferenza di servizi. Altro elemento di criticità sempre legato alle centrali eoliche è la possibilità per lo sviluppatore di utilizzare lo strumento dell'esproprio o della minaccia dell'esproprio, per agevolare il processo di contrattazione con i proprietari dei terreni. È evidente che questi ultimi si trovano in una posizione debolissima e spesso sono costretti a cedere il proprio terreno per una somma inferiore al valore che gli attribuiscono. La possibilità di utilizzare l'arma dell'esproprio dovrebbe essere pertanto eliminata o perlomeno limitata a casi eccezionali.
Infine è da rilevare come in Italia siano del tutto assenti forme cooperative di gestione e proprietà delle grandi centrali rinnovabili, che permettano ai soci e ai proprietari dei terreni di partecipare agli utili. È evidente come l'allargamento del numero dei soggetti locali che traggono profitto da un impianto sia un fattore essenziale per migliorarne l'accettabilità sociale.

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor De Pascalis, segretario nazionale del Comitato nazionale del paesaggio.

GIOVANNI DE PASCALIS, Segretario nazionale del Comitato nazionale del paesaggio. Grazie. Vorrei innanzitutto esprimere un sentito ringraziamento alla Commissione Ambiente per l'opportunità data al Comitato nazionale del paesaggio di esprimere le proprie idee rispetto alla questione di cui qui si tratta.
Il Comitato nazionale del paesaggio è nato nel 2001 per rispondere in quel momento all'esplodere di quello che noi abbiamo definito «l'eolico selvaggio», cioè una disseminazione «anarchica», senza regole di giganteschi impianti industriali quali sono le torri eoliche industriali, problema che si è via via aggravato, è ormai sotto gli occhi di tutti, è diventato anche problema giudiziario, problema di


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criminalità organizzata e si è affiancato al problema del fotovoltaico nelle aree agricole.
La questione fondamentale da sottolineare è che a nostro parere lo Stato ha abdicato le proprie competenze. La tutela dell'ambiente, dei beni culturali e del patrimonio storico-artistico è competenza dello Stato, e le riforme costituzionali del 2001 e tutto ciò che è accaduto politicamente negli ultimi anni fortunatamente non hanno cambiato questo principio di fondo: la tutela dell'ambiente e dei beni culturali è competenza dello Stato.
Ci chiediamo quindi perché lo Stato non abbia varato fin dall'inizio, dieci anni fa, delle regole forti, stringenti, minime per l'ubicazione, il posizionamento di questi giganteschi impianti eolici e poi anche per il fotovoltaico, perché non si sia stabilito che i pannelli fotovoltaici dovessero essere installati innanzitutto sui tetti degli edifici e dei capannoni o a copertura dei parcheggi (pensiamo all'enorme estensione di parcheggi di ogni tipo in Italia) comunque nelle aree urbanizzate e non invece nelle aree agricole.
Anticipo subito che noi riteniamo che l'unica eccezione possa essere quella di concedere ai singoli agricoltori di installare un certo numero di kilowatt di fotovoltaico più che altro per integrazione del loro reddito, perché sappiamo che la situazione degli agricoltori non è facile, ma bisogna porre un tetto massimo che dovrebbe essere di poche decine di kilowatt di potenza nominale fotovoltaica. È quindi inaccettabile vedere centinaia di kilowatt o decine o centinaia di megawatt in terreni agricoli quando sappiamo che i terreni agricoli italiani non sono sufficienti per l'alimentazione della popolazione italiana e dobbiamo importare cibo dall'estero cibo.
Vengo soprattutto all'eolico. La tutela dell'ambiente e dei beni culturali è di competenza dello Stato perché l'articolo 9 della Costituzione stabilisce che «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Lo Stato ha lasciato fare alle regioni e le regioni hanno creato un disastro. Come è stato qui ricordato, adesso la situazione della Puglia è sicuramente la più grave, ma questo riguarda tutto il sud Italia, dove peraltro è installato più del 90 per cento di tutto l'eolico italiano, ovvero in Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. La potenzialità eolica industriale italiana è tutta nel sud e nel sud abbiamo assistito a questo disastro.
L'impatto è anche ambientale, il rumore ad alta e a bassa frequenza che gli esseri umani non percepiscono coscientemente ma che colpisce la psiche anche durante il sonno, e poi esiste l'impatto sull'avifauna, in particolare sugli uccelli rapaci che vengono uccisi da queste pale, i pipistrelli soffrono la scomparsa di habitat, l'impatto visivo paesaggistico è fortissimo, tremendo. Abbiamo la prova - ognuno di voi può verificare - che l'impatto visuale di torri eoliche alte 100, 110, 120 metri si proietta fino a 17-18 chilometri di distanza, come ho verificato personalmente e come chiunque può verificare.
Abbiamo decine di torri eoliche a ridosso ad esempio del Parco nazionale dell'Alta Murgia, che ha il suo valore naturalistico fondamentale nella tutela dei rapaci, che sono uccisi dalle torri eoliche. Ecco, sono state installate decine di torri eoliche a poche centinaia di metri dal perimetro del Parco nazionale: perché lo Stato non ha creato una regola su un'area di rispetto di vari chilometri di ampiezza intorno ai perimetri dei parchi nazionali ma anche regionali?
Beni culturali di rilevanza altissima, tra i maggiori in Italia, come Castel del Monte che è stato citato, ma vorrei ricordare l'Acropoli di Lucera, il Castello Federiciano possente e gigantesco a Lucera che adesso ha decine di torri eoliche a pochi chilometri di distanza. Le maggiori aree archeologiche siciliane (i templi di Agrigento, Segesta) hanno torri eoliche in vista a pochi chilometri di distanza. In Molise si sta combattendo da anni una battaglia perché si vogliono installare parchi eolici industriali a ridosso delle due principali aree archeologiche della regione: il tempio


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italico di Pietrabbondante e Sepino, la magnifica Altilia, una città dell'antica Roma.
L'ultima follia è rappresentata dalle decine di torri eoliche intorno al lago di Bolsena, sulle colline che costituiscono l'invaso del lago, un luogo paesaggisticamente veramente importante. A questo punto, quindi, lo Stato dovrebbe varare un piano energetico nazionale: è previsto come anche che ci sia una Conferenza energetica nazionale, ma è una delle tante cose che non vengono fatte e non si capisce perché. Dopo l'esito del referendum pensiamo che finalmente il Governo si deciderà a varare una Conferenza energetica invitando tutti i soggetti coinvolti e poi un piano che dovrà essere discusso e approvato dal Parlamento.
Che cosa dovrebbe stabilire questa strategia energetica? Noi pensiamo che anche le centrali eoliche ormai già approvate, che hanno ricevuto l'approvazione regionale, dovrebbero essere convertite in impianti fotovoltaici, prevedendo naturalmente - questa è la nostra proposta - un incremento nell'incentivazione economica. Il fotovoltaico ha una produzione leggermente inferiore a quella eolica e ha costi più alti. Prevediamo quindi per gli impianti eolici da convertire in fotovoltaico un incremento dell'incentivazione, che quindi crei la possibilità economica di fare questa operazione.
Tuttavia, chiediamo anche che siano smantellate alcune centinaia o migliaia di megawatt eolici già installati perché chiediamo di ritornare alla legalità, cioè di rispettare l'articolo n.9 della Costituzione. Le torri eoliche che la regione Puglia ha permesso di installare a ridosso del Parco nazionale dell'Alta Murgia, a quindici chilometri da Castel del Monte, di fronte all'Acropoli di Lucera, vanno smantellate. Lo Stato si accolli dunque il costo economico da versare comunque ai proprietari di questi impianti eolici, che alla fine potranno essere anche alcune centinaia di milioni di euro ogni anno, ma noi crediamo che dal punto di vista economico complessivo questo sia un investimento assolutamente in attivo, perché il Mezzogiorno d'Italia deve investire nel turismo.
A questo proposito, se mi permettete vorrei ricordare alcune prese di posizione che ricordano l'importanza del turismo in Italia: «La Repubblica riconosce il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico e occupazionale del Paese nel contesto internazionale dell'Unione europea... Anche il Presidente della Repubblica ha rilevato il ruolo fondamentale svolto dall'industria turistica del nostro Paese... Il Ministro delle attività produttive ha rimarcato il grande ruolo che il turismo ha nell'economia nazionale in termini di valore aggiunto».
Il valore aggiunto del turismo è circa il 6-7 per cento del totale. In termini complessivi, comprendendo anche tutti gli investimenti, si arriva addirittura al 15 per cento. Perfino l'Unione europea riconosce come il turismo rappresenti uno dei principali settori dell'economia europea con il suo contributo al PIL. Se anche il turismo in Italia fosse incrementato di 1 punto di PIL che significa 15 miliardi di euro, i costi di poche centinaia di milioni di euro che lo Stato dovrebbe sostenere per porre fine a questa follia di questo dilagare dell'eolico selvaggio in aree assurde, dove non dovrebbe assolutamente essere neppure concepita l'installazione di torri eoliche industriali, sarebbero minimi rispetto ai valori economici in gioco nell'industria del turismo.
Il Mezzogiorno d'Italia è l'area italiana con minore ricavo turistico. I ricavi turistici maggiori sono nel centro e nel nord d'Italia, quindi per il Mezzogiorno sarebbe fondamentale investire nel turismo, mentre invece le regioni del Mezzogiorno permettono il dilagare di questi impianti eolici industriali giganteschi in modo insensato e assurdo, a fronte - è stato detto dai miei amici - di una produzione di elettricità che è minima e comunque non giustifica il danno enorme sul piano ambientale, paesaggistico, culturale e dell'industria turistica. Se facciamo un rapporto costi/benefici, è evidente che stiamo pagando dei costi altissimi a fronte di benefici piccoli, limitati.


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Il nostro auspicio è quindi che l'Italia punti decisamente sull'energia solare in tutte le sue forme: l'energia solare termica per il riscaldamento dell'acqua, il solare fotovoltaico, che però non va installato nei terreni agricoli, salvo limitatissime eccezioni, ma soprattutto sui tetti, la geotermia che sia nella sua versione dolce che nella versione più pesante, cioè gli impianti geotermoelettrici ad alta temperatura, sembra essere - lo dicono tanti esperti - un'enorme risorsa potenziale per l'Italia. Metà o un terzo dell'Italia potrebbe avere nel riscaldamento del sottosuolo un'enorme risorsa energetica sfruttata in modo minimo fino ad oggi, anche se poi noi abbiamo impianti geotermici storici importantissimi.
È necessario quindi puntare su questo e naturalmente prima di tutto puntare anche sul risparmio e sull'efficienza energetica, che è la grande miniera d'oro ancora da sfruttare in vista del 2020. Grazie.

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Molocchi, responsabile dell'ufficio studi di Amici della terra.

ANDREA MOLOCCHI, Responsabile dell'ufficio studi di Amici della terra. Anche per evitare inutili ripetizioni, due sono le cose che vorrei dire. La prima è che la situazione in cui ci troviamo sulle fonti rinnovabili è caratterizzata da due aspetti, un disastro paesaggistico e un disastro economico, a nostro parere dovuti a un problema che è trasversale al modo di fare politica in Italia, ossia la carenza e la mancanza di analisi costi-benefici a supporto della presa di decisioni.
Mentre in altri Paesi innanzitutto dell'Unione europea l'analisi costi-benefici è obbligatoria nel momento in cui si presentano delle proposte legislative che hanno un impatto economico e in Inghilterra, ad esempio, la proposta sugli incentivi per le rinnovabili termiche è accompagnata dal cospicuo documento intitolato La valutazione costi-benefici degli incentivi, questo non accade in Italia. Non è soltanto un problema delle politiche ambientali ed energetiche: è un problema trasversale di come vengono prese le decisioni circa l'allocazione delle risorse pubbliche. Anche quando si parla di incentivi a carico dei cittadini in bolletta si tratta di risorse pubbliche, anzi a maggior ragione quelle sono risorse pubbliche.
L'assenza di competenze istituzionali di carattere tecnico riguardanti l'analisi costi-benefici determina l'assunzione di decisioni fortemente distorsive. Questo è quanto a nostro parere è accaduto anche nella politica di attuazione della strategia europea su energia e clima, che diceva di fare le rinnovabili secondo un obiettivo vincolante, ma anche di fare efficienza energetica.
Oggi ho partecipato a un convegno e la mia relazione riguardava l'applicazione dell'analisi costi-benefici alle option di incentivazione. Non ho ovviamente qui l'opportunità di riepilogare il mio discorso, ma in sostanza tutte le analisi costi-benefici ci dicono che le opzioni più economicamente convenienti e ambientalmente sostenibili seguono una graduatoria, e l'assenza di questa prioritarizzazione nell'attuazione degli obblighi comunitari ha impedito di ottimizzare tutte le politiche in atto.
In particolare, questo si è ripercosso sul fotovoltaico, che nelle slide che proietto sempre nei convegni tra venti opzioni di intervento è quella più onerosa, per la quale i costi-benefici per il sistema Paese non sono massimizzati, ma sono minimi rispetto ad altre opzioni, quindi quelle risorse scarse avrebbero potuto essere meglio utilizzate per altri fini.
Nella tabella allegata al rapporto che qui presento c'è ad esempio un indicatore di numero di occupati per milioni di euro destinati all'incentivazione, e l'indicatore per il fotovoltaico è di 1,3 addetto per milioni di euro, mentre per le politiche di efficienza energetica, secondo le proposte di Confindustria, è nell'ordine di 68 addetti per milioni di euro. Qui non stiamo parlando di un divario del 2-3-4-50 per cento, ma di un rapporto di 68 a 1,3. Lascio perdere i commenti, però è ovvio che qualcosa è mancato. Siamo ancora in tempo


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per riprendere il treno, perché anche l'Europa stessa è rimasta indietro sul treno dell'efficienza energetica.
Voglio ricordare che l'Italia sull'efficienza energetica è messa molto bene. Se ne parla poco, ma negli indicatori di efficienza energetica siamo tra i primi in Europa e quindi in teoria l'Italia dovrebbe essere tra le prime a portare avanti una politica a favore dell'efficienza energetica. Quando si parla di efficienza energetica stiamo parlando non di sacrifici e di riduzione nel consumo delle risorse, ma di accelerazione nella diffusione di tecnologie che innanzitutto sono prodotte dalla nostra industria. Possono essere prodotte anche da altri, ma in certi settori abbiamo dei notevoli vantaggi industriali.
Vengo quindi al secondo punto, quello delle grandi opportunità che abbiamo nel settore delle rinnovabili in cui finora non ci sono stati grandi incentivi: le rinnovabili termiche. Gli Amici della terra hanno organizzato per la seconda volta un convegno chiamato «Conferenza nazionale sulle rinnovabili termiche». Abbiamo voluto definirlo «nazionale» perché cerchiamo di valorizzare tutti i soggetti industriali e sociali che hanno qualcosa da dire su questo tema.
In base alla nostra ultima Conferenza sono emersi dati straordinari, perché innanzitutto criticano i dati ufficiali del Piano nazionale sulle fonti rinnovabili per quanto riguarda le rinnovabili termiche. Siccome attualmente non c'è un sistema di monitoraggio statistico consolidato, che sarebbe a cura del GSE che si sta attrezzando per poterlo fare, i dati del Piano nazionale hanno delle lacune in particolare per la legna da ardere, per la quale non sono contabilizzati gli autoconsumi.
Qualcuno potrebbe ribattere che sono consumi marginali nel fabbisogno energetico nazionale, ma non è vero, perché sono 5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, che equivale al 3 per cento dei consumi finali di energia. Non è poco. La legna da ardere è una fonte rinnovabile basata sulle biomasse.
Il fatto che la valutazione della situazione attuale per quanto riguarda il settore delle biomasse sia fortemente sottostimata incide anche sulla valutazione del potenziale di crescita al 2020 delle rinnovabili termiche. Questa valutazione c'è stata assolutamente confermata da tutte le associazioni che hanno partecipato alla seconda Conferenza nazionale, in quanto aggregando le stime di potenziali delle varie associazioni che si occupano di solare termico, di pompe di calore, di biomasse, di cogenerazione basata sulle biomasse, abbiamo potuto costruire un quadro in base al quale il potenziale di energia rinnovabile nel settore termico è praticamente il doppio di quello stimato nel Piano nazionale.
Dato che le rinnovabili termiche con alcune variazioni costano meno rispetto a quelle elettriche, l'obiettivo da rinnovabili dell'Italia potrebbe essere realizzato in maniera economicamente efficiente e relativamente facile semplicemente spostando le priorità di intervento nel settore delle rinnovabili. La cosa incredibile è che anche fra gli operatori e gli addetti ai lavori pochi sanno quali sono i settori delle rinnovabili termiche in cui c'è il vero potenziale.
È vero che c'è un grande potenziale nella geotermia, ma il vero potenziale delle rinnovabili termiche è nel solare indiretto, ovvero nella possibilità di sfruttare le energie a bassa temperatura presente nell'aria, un'energia infinitamente accessibile, e questa opportunità ci è data dalle pompe di calore aerotermiche.
Ci sono tre tipologie di pompe di calore. Sto ripetendo cose che ho imparato in questi anni occupandomi di questi temi, però ne sono rimasto assolutamente convinto vedendo la già notevole diffusione di queste tecnologie in casi concreti, che fra l'altro noi portiamo anche ai nostri convegni per promuovere le best practice.
Abbiamo tre tipi di pompe di calore: le pompe di calore geotermiche che sfruttano il calore presente nel suolo, che è solo in parte correlato all'energia solare; le pompe di calore idrotermiche, che sfruttano l'energia a bassa temperatura, quindi, se il mare d'inverno rimane a una temperatura di undici gradi, dal punto di vista termo


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dinamico quella è una grossa potenzialità da sfruttare. Molte pompe di calore sfruttano infatti l'acqua di mare in zone climaticamente temperate. Un bacino portuale dove l'acqua ristagna e ha la possibilità di riscaldarsi in misura maggiore rispetto ad altre zone quello è un grosso bacino energetico, che viene sfruttato delle pompe di calore che agiscono sul differenziale di temperature rispetto ai nostri fabbisogni.
La maggiore area di potenziale è l'aerotermico, ovvero l'energia infinitamente accessibile che abbiamo qua fuori. I condizionatori funzionano sulla base di questo principio semplicemente ribaltando il ciclo, per cui invece che rinfrescare riscaldano, ma la macchina è la stessa. È possibile oggi riscaldare non solo i capannoni, non solo i centri commerciali come già avviene, ma nel settore residenziale questa è una possibilità concreta. Il problema è che tutto il sistema, l'architettura del riscaldamento nei nostri edifici va a premiare l'utilizzo delle caldaie a gas, perché così è stato per vent'anni. Il sistema ancora non abilita queste tecnologie ad essere vastamente impiegate.
Se noi guardiamo le valutazioni di potenziale della diffusione delle pompe di calore aerotermiche da qui al 2020, troviamo numeri impressionanti. Vorrei enfatizzare anche un altro fatto: dietro questo mondo delle pompe di calore c'è l'industria italiana, così come in tutta la termoidraulica e la termotecnica. Dietro le fonti rinnovabili noi non abbiamo un'industria da inventarci: abbiamo il nostro tessuto industriale, la meccanica, la termoidraulica e l'elettrotecnica, che ha bisogno di occasioni per riconvertirsi e trasformarsi.
Non andiamo dunque a inventarci nuovi brevetti o nuove necessità occupazionali: noi andiamo a salvaguardare innanzitutto l'occupazione. Pensiamo a industrie come l'Ariston, un'industria tradizionale italiana che adesso ha dei prodotti molto interessanti, innovativi, che però necessitano di sostegno per la loro diffusione. Non volevo fare nomi, ma l'ho citata per dare un'indicazione emblematica delle opportunità che l'Italia ha in questo settore.
Credo che gli obiettivi dell'Europa possano essere raggiunti in un'ottica di efficacia ed efficienza a patto di reimpostare le nostre politiche. Purtroppo abbiamo un Piano nazionale sulle fonti rinnovabili che non solo non è stato sottoposto a valutazione ambientale strategica, e di qui i disastri paesaggistici - ricordo che la valutazione ambientale strategica è un obbligo per il nostro Paese: lo prevede una direttiva attuata in Italia e quindi non è chiaro nemmeno come mai la valutazione ambientale strategica non sia stata realizzata; credo che qualcuno debba risponderne - ma nemmeno a un'analisi costi-benefici. Non c'è una prioritarizzazione in rapporto ai costi e ai benefici per il sistema Paese.
Questo è quello che manca. Siamo ancora in tempo per tappare delle falle, anche se il fatto che il Governo abbia comunque portato avanti il decreto sul fotovoltaico nonostante la legge comunitaria che stabiliva i princìpi per il recepimento delle direttive comunitarie sancisse chiaramente che i provvedimenti attuativi della direttiva sulle fonti rinnovabili avrebbero dovuto rispondere a un'ottica costi-benefici, dimostra come quei principi siano stati completamente disattesi.
Lungi da me l'intento di voler accusare una tecnologia: a noi piacciono tutte le tecnologie, l'importante è che arrechino benefici al Paese, ma il Paese ne deve essere consapevole. Grazie dell'attenzione.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

SALVATORE MARGIOTTA. Vorrei porre solo una domanda di rapidissima esposizione ma forse non di breve risposta al dottor Nanni di Legambiente. Ho molto apprezzato il lavoro che avete fatto evidenziando la situazione nelle diverse regioni.
Anche alla luce dell'esito referendario e quindi della necessità di incentivare ulteriormente


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la costruzione di impianti di rinnovabili e comunque alla luce dell'esigenza di giungere agli obiettivi che l'Unione europea ci indica del 17 per cento di produzione di energia attraverso fonti rinnovabili, vorrei chiederle quali correttivi, se ce ne sono, siano maggiormente necessari rispetto agli ultimi decreti emanati dal Governo in materia. Vorrei sapere inoltre se ritenga le linee guida contenute in questo documento sufficienti a garantire una costruzione virtuosa di impianti eolici in particolare.

GABRIELE NANNI, Responsabile dell'ufficio energia di Legambiente. Dal nostro punto di vista, più che correttivi, come interventi di correzione o magari di emergenza - e qui mi riallaccio al dottor Molocchi -, fondamentalmente manca un sistema di pianificazione in molti settori che riguardano l'ambiente, in questo caso il paesaggio e le rinnovabili.
Gli interventi correttivi dovrebbero riguardare sicuramente una pianificazione chiara, limpida e certa sia dei tipi di rinnovabili, sia degli incentivi che dovranno essere dati anche e non solo al fotovoltaico e all'eolico.
Anche noi spingiamo molto per l'efficienza energetica, in particolare tutto ciò che ruota attorno all'edilizia, e questo è un parametro davvero troppo poco considerato. Ci occupiamo anche di regolamenti edilizi o di leggi regionali che sono intervenute in questo senso e nonostante ci sia una spinta dei comuni anche in questo caso a mettere mano a regolamenti edilizi di vecchio stampo, sono ancora molti i comuni, anche grandi some Milano e Napoli, che, essendo un grande bacino di sviluppo dell'edilizia, fanno continuamente costruire in maniera vecchia e ormai superata dalle conoscenze del singolo utente che andrà ad abitare in quegli edifici. Occorre quindi mettere mano seriamente a ciò tutto ciò che riguarda l'edilizia. L'esempio dell'azienda citata dimostra quanto sia già presente in Italia sotto questo punto di vista e quanto sia «facile» occupare gli spazi che magari non possono essere occupati dalle rinnovabili per i problemi paesaggistici di cui parlavamo prima.
Per quanto riguarda l'altra questione sollevata, abbiamo accolto con favore le linee guida nazionali nella prospettiva di dare norme chiare e di pianificare. Avere una concreta base nazionale su cui intervenire non può che farci piacere.
Nello specifico, anche in base a quello che abbiamo potuto verificare sino a giugno 2011, probabilmente lasciare troppo spazio alle regioni o constatare come alcune abbiano fatto solo in parte alcuni interventi in materia probabilmente non basta. Anche nelle regioni in cui si è affrontato concretamente il problema dell'eolico o del fotovoltaico manca tutta una serie di parametri, una visione d'insieme che probabilmente deve essere stimolata dal contesto nazionale, perché evidentemente nelle singole regioni non si dà sufficiente peso.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Da tutti ho rilevato la necessità di puntare di più sulla questione dell'efficienza nei consumi e probabilmente anche sulle modalità di consumo, quindi su un'educazione assolutamente necessaria, ma credo che l'efficienza bisogna debba essere comunque garantita nelle fonti di produzione di energia. Se in giro per l'Italia abbiamo ancora centrali ad olio pesante - da usare solo in caso di emergenza, però si usano -, credo che anche da questo punto di vista sia necessario rigenerare con queste nuove possibilità di fonti le modalità di produrre energia.
Su questo dobbiamo assolutamente lavorare, perché sono d'accordo sull'efficienza e sulla riduzione nel consumo, ma dobbiamo pensare anche a creare nuova energia e sempre più pulita e più efficiente.
Ho ascoltato in una relazione una nota negativa sulla questione dei sistemi di accumulo di energia attraverso l'idroelettrico, le centrali di pompaggio. Chiedo a voi la conferma di un mio pensiero. Le tecnologie ci permettono di gestire in modo più intelligente la distribuzione attraverso la rete e quindi il consumo, ma è altrettanto necessario accumulare energia.


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Credo che l'accumulo dell'energia attraverso questo sistema o un altro meno pulito delle batterie di accumulo che il mercato ci mette a disposizione non serva solo per le fonti rinnovabili (il solare, l'eolico, queste fonti fluttuanti), perché anche altri sistemi più tradizionali hanno dei tempi di accensione e spegnimento e quindi producono energia, che diversamente sprechiamo o obblighiamo i Comuni a consumare per l'illuminazione pubblica o altre forme di riscaldamento.
C'è un consumo di energia spinta, pur invitando a usare la lavatrice di notte, sebbene provochino fastidio nei condomini. Se potessimo avere energia a costo basso indipendentemente dall'ora in cui dobbiamo consumarla, sarebbe più opportuno.
Rileviamo tutti che il Governo deve lavorare di più anche sul Piano energetico nazionale, ma vorrei chiedere se non riteniate che chiudendo troppo i rubinetti a queste forme di energie rinnovabili pulite non si corra il rischio che poi sul mercato resti il tradizionale con tutti i danni che ne conseguono. Le macchine continuano a girare a gasolio nonostante i morti. Con le centrali nucleari non avrebbero comunque risolto la questione della mortalità o dell'aria sana nelle grandi metropoli.
È opportuno dunque tutelare il paesaggio, però non esageriamo: ci sono delle aree protette, abbiamo individuato i siti di interesse comunitario, le ZPS, abbiamo delimitato le aree da adibire a parchi regionali o di interesse sovracomunale, c'è una serie di parametri scientifici da rispettare, bene, ma, se mettiamo delle barriere geografiche utilizzando solo la bindella... Allora io dico che non ci vedo, ma che anche i non vedenti in Italia hanno comunque diritto alla loro parte di energia! Forse è bene essere severi e rigidi nelle norme, ma anche per quanto riguarda la questione dei tempi io credo che nel frattempo si facciano anche investimenti in altri settori se i tempi si allungano troppo, e quindi poi si cade in quello che oggi è un regime di monopolio sia nella vendita dell'energia elettrica che nella produzione. Quindi, va bene richiamare con severità le cose che non vanno, ma ogni tanto bisogna dare qualche prospettiva di fiducia - non so se condividiate questo -, altrimenti ci limitiamo a spaventare.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

FABIO TINELLI, Consulente di Mountain Wilderness. Ho fatto io l'accenno alle centrali a pompaggio. È ovvio che serviranno, servono già, ma, se servono per le energie rinnovabili, il succo del mio discorso è che il costo e il beneficio di questi interventi dovrebbero essere inclusi nella famosa analisi di cui parlava il dottor Malocchi.
Per rendere un'energia rinnovabile come l'eolico comparabile a una centrale a gas, abbiamo bisogno di questi grandi bacini idroelettrici. Questo ha un costo, che probabilmente dovrà essere pagato dalla collettività con ulteriori forme di incentivi, e ha degli ulteriori benefici, perché permette di rendere migliore questa elettricità, che sarà quindi disponibile non solo quando decide il Signore, ma su richiesta, entro determinati limiti.
Abbiamo già molti di questi impianti in Italia per le scelte di politica energetica, e pongono problemi di sicurezza anche in montagna.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Avete degli esempi in montagna dove...

FABIO TINELLI, Consulente di Mountain Wilderness. No, sono centrali idroelettriche. Potrei citare decine di esempi di sicurezza. Se si andrà avanti con le rinnovabili, queste andranno fatte perché è l'unico modo. L'accumulo tramite batterie non funziona: è troppo costoso. Queste andranno fatte come le stanno facendo altri Paesi, però siamo coscienti di questo: non svegliamoci tra dieci anni chiedendoci chi debba pagarle!
Inoltre, sul fatto che dovrà esserci un aumento della produzione dell'energia rinnovabile, certamente siamo tutti d'accordo


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anche perché l'unica alternativa sarebbe - come è stato fatto notare - continuare ad utilizzare i combustibili fossili. Il punto è però che negli anni scorsi non sono stati messi i dovuti paletti, anche quelli delle aree protette, perché finora non c'era nessuna legge che vietasse di fare qualsiasi tipo di centrale in aree protette o in altre zone come quelle individuate dalle linee-guida. Questa è una delle critiche che facciamo.

ANDREA MOLOCCHI, Responsabile dell'ufficio studi di Amici della Terra. Vorrei rispondere perché tengo a dare una prospettiva positiva nell'ottica che lei diceva. Quando parliamo di analisi costi-benefici intendiamo non qualcosa di generico, ma qualcosa di estremamente tecnico che oggi non si fa in Italia e che in altri Paesi è soggetto a un obbligo. Obbligo non significa che il politico deve decidere solo sulla base di quello che l'analisi costi-benefici dice, ma che decide sulla scorta di qualcosa su cui l'analisi costi-benefici ha dato la necessaria evidenza. È quindi condizione necessaria, ma non sufficiente. Non sostituisce quindi la politica, ma avalla le decisioni della politica con della sostanza.
Credo che l'analisi costi-benefici sia anche un'ottica partecipativa e democratica, che ci evita di trovarci con un accumulo di norme e di vincoli sul nostro territorio, sul nostro paesaggio: è un'ottica alternativa a quella di porre vincoli a tutela, perché nell'analisi dei costi-benefici occorre rilevare anche quali sono le preferenze dei cittadini sotto il profilo economico sulla tutela ambientale.
Sono tecniche di valutazione economica che sostanzialmente si basano su ricerche di mercato, su cui oggi troviamo un'ampia letteratura in ambito accademico e non solo, e che consentono di stabilire quale sia il valore del paesaggio per la popolazione, non solo quella residente, bensì tutta la popolazione che fruisce di quel paesaggio, quindi visitatori, turisti. Sono tecniche ovviamente che richiedono una ricerca, uno sviluppo, una sperimentazione, che però è completamente assente in Italia. La troviamo solo in accademia.
Tu mi dici che quel paesaggio ha un altissimo valore per te, quell'altro mi dice che non è affatto interessato a quel paesaggio: applichiamo queste tecniche e vediamo che cosa ci dicono gli studi e confrontiamoci sulla base di quelle evidenze, che devono necessariamente passare anche attraverso il filtro degli indicatori anche quantitativi.
In tal senso, ad esempio, noi critichiamo il fatto che le linee-guida sul paesaggio siano rimaste linee-guida con criteri esclusivamente qualitativi: non c'è uno straccio di indicatore quantitativo. È mai possibile? Ormai nella valutazione ambientale abbiamo tantissimi indicatori quantitativi. Se io penso al paesaggio, ci sono degli indicatori quantitativi: si chiamano aree di intervisibilità, che definiscono semplicemente da quali punti di vista quella data torre eolica viene vista.
In queste aree di intervisibilità che possono avere una superficie più o meno ampia avremo dei parchi eolici che hanno un'area di intervisibilità pari a cento chilometri quadrati, altri pari a tre chilometri quadrati. Questo semplicissimo indicatore mi consente di dare una prioritarizzazione. Ci sono queste nelle linee-guida? No.
Complico un po' la questione. Queste aree di intervisibilità possono essere parametrizzate sulla base di indicatori di antropizzazione, ovvero di quanto quel territorio viene fruito: non mi basta sapere quale sia l'area di intervisibilità se poi nessuna la frequenta. Si possono applicare quindi criteri come il numero di visitatori o criteri anche molto sofisticati, i cosiddetti veicoli/chilometro, perché gli impatti maggiori si rilevano dove hanno messo gli impianti eolici lungo le autostrade: tutti li vedono.
Ci sono poi situazioni molto preziose di paesaggio, in cui le esigenze di tutela sotto il profilo dei vincoli della normativa sono imprescindibili, ma nelle zone di non così grande pregio naturalistico o fruitivo c'è un'area grigia in cui si possono applicare degli indicatori, ma proprio perché è un'area grigia. Non mancano gli esperimenti


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e la creatività: le aree di intervisibilità non sono una mia invenzione, abbiamo centri di ricerca che hanno fatto degli studi su queste cose (l'Enea, l'RSE). Sono conoscenze che erano a disposizione della politica nel momento in cui queste decisioni sono state prese, quando le linee-guida sono state passate: questi elementi di valutazione scientifici non sono stati utilizzati perché evidentemente qualcuno non voleva che fossero utilizzati, nonostante fossero a disposizione. Grazie.

GIOVANNI DE PASCALIS, Segretario nazionale del Comitato nazionale del paesaggio. Solo per dire che noi non critichiamo tutte le energie rinnovabili, tutt'altro: riteniamo che le energie rinnovabili siano la speranza e il futuro dell'umanità, ma diciamo che le torri eoliche gigantesche industriali, alte tra i cento e i centocinquanta metri non sono adatte all'Italia, anzitutto perché l'Italia è un Paese poco ventoso. Le aree ventose sono l'alta montagna oppure aree come la Sardegna del nord accanto alla Corsica, le Bocche di Bonifacio, o la Sicilia occidentale, aree dove l'economia derivata dal turismo è importantissima, quindi non sono sicuramente adatte.
Non abbiamo i territori sterminati e peraltro anche privi di valore culturale, storico e artistico che si possono trovare in determinate aree degli Stati Uniti d'America, del Canada, della Russia o della Cina. L'Italia è un Paese relativamente piccolo. Se saliamo sulle cime più alte degli Appennini nel centro Italia, vediamo da una parte il mare Adriatico e dall'altro il mar Tirreno. L'Italia è un Paese pieno di centri storici di grande rilevanza culturale e storica. Il paesaggio è parte fondamentale dell'identità culturale nazionale italiana.
Abbiamo a disposizione innanzitutto il risparmio e l'efficienza energetica. Poi abbiamo l'energia solare, l'energia geotermica. L'Italia è uno dei Paesi del mondo che ha più potenzialità geotermica: abbiamo tutta un'area vulcanica, che va dalla Sicilia al Veneto, passando attraverso Napoli e Roma, quindi probabilmente un terzo della popolazione italiana anche soltanto dalla geotermia potrebbe ricavare enormi risorse energetiche. Poi ci sono le biomasse, la legna, il microeolico, cioè generatori eolici piccolissimi, da 2-3 kilowatt, che possono essere messi sul tetto dell'abitazione. Sono molto piccoli: non hanno né rumore, né impatto visuale. Poi c'è la nuova ipotesi di eolico kitegen, aquiloni che volerebbero ad alta quota. Ma le torri eoliche d'acciaio, alte 120-130 metri, hanno un impatto spaventoso sul paesaggio e l'economia del turismo vale cinquanta volte di più del valore che ci possono dare in termini energetici queste torri eoliche.
Anche in questo caso, richiamandomi all'analisi costi-benefici che il mio collega sottolineava come fondamentale - ed è vero - ci sembra che non dovrebbero esserci dubbi, ma purtroppo lo Stato ha abdicato le sue funzioni rispetto all'articolo 9 della Costituzione, che attribuisce allo Stato la tutela dell'ambiente e dei beni culturali, ha lasciato fare alle regioni e le regioni del Mezzogiorno d'Italia hanno creato un disastro in questi ultimi dieci anni, e questa secondo noi, è una situazione oggettiva.

PRESIDENTE. Il disastro era già stato fatto, perché per me le nostre periferie sono peggio delle pale eoliche.

CARLO ALBERTO PINELLI, Presidente onorario di Mountain Wilderness. Questa però non è una giustificazione, perché le pale eoliche si aggiungono a disastri già esistenti. Quel poco che si è salvato adesso lo distruggiamo per avere niente in cambio, perché poi tutto dipende da quello che uno ha in cambio.
Dal momento che abbiamo lo 0,7 per cento di energia dall'eolico e distrugge completamente, cannibalizza l'intero paesaggio centromeridionale, i costi-benefici ci dicono qualcosa. Nessuno è contrario a sacrificare una parte del valore paesaggistico se c'è un reale beneficio. Già ai tempi dei romani le vie consolari hanno modificato il paesaggio, ma con un vantaggio. Venezia era una palude che è stata trasformata per fare una città bellissima, con un


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vantaggio, perché queste persone ci sono andate ad abitare.
Quello che sconcerta è la mancanza di un vantaggio nella distruzione attuale del paesaggio. Il paesaggio è stato distrutto per favorire la speculazione - diciamolo chiaramente - e per favorire anche una visione bucolica, idilliaca, alla quale alcune associazioni ambientaliste erano molto affezionate e dalla quale hanno avuto molta difficoltà ad allontanarsi progressivamente. Noto con piacere che per esempio Legambiente oggi fa un discorso che fino a qualche mese fa non faceva.

PRESIDENTE. Nel ringraziare gli auditi per la disponibilità dimostrata, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Kyoto Club.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti di Kyoto Club.
È qui con noi l'ingegner Mario Gamberale, coordinatore del gruppo di lavoro «Fonti rinnovabili», a cui do la parola.

MARIO GAMBERALE, Coordinatore del gruppo di lavoro «Fonti rinnovabili» del Kyoto Club. Grazie presidente, grazie per l'invito anche a nome del presidente del Kyoto Club, Catia Bastioli, che si scusa di non poter essere presente oggi per impegni precedentemente presi.
L'indagine affronta a trecentosessanta gradi la tematica. Noi abbiamo prodotto una documentazione che illustra in maniera sintetica la cornice in cui interviene il tema dello sviluppo delle rinnovabili.
Per volerci concentrare soltanto sugli aspetti più essenziali e importanti, il tema oggi è particolarmente sentito e importante, al di là degli elementi di cronaca sullo stravolgimento della politica energetica che stiamo vivendo in questi giorni, in virtù di una direttiva comunitaria, la direttiva n. 28 del 2009, recepita dal Parlamento il 3 marzo scorso, che ha nella sostanza approvato il quadro di sviluppo al 2020 delle fonti rinnovabili, identificando un percorso estremamente ambizioso, la cui importanza e portata forse non è stata percepita completamente né dalla politica, né da molti stakeholder sul territorio.
In estrema sintesi, la direttiva e il decreto legislativo che la recepisce parlano di un obiettivo di penetrazione delle rinnovabili nel consumo interno lordo oggi del 17 per cento per l'Italia, il che vuol dire nei fatti più che triplicare la penetrazione attuale di eolico, fotovoltaico, biomasse, energia idroelettrica, geotermoelettrica, di tutte le fonti che possono contribuire al raggiungimento di questo target importante.
Se consideriamo che alcune di queste fonti sono vicine al loro potenziale tecnico (oggi infatti il patrimonio di energia da fonti rinnovabili italiano è al 5,5 per cento circa considerando energia termica elettrica e vicino al 17 per cento per la parte esclusivamente elettrica e gran parte di questo risultato oggi è raggiunto grazie a idroelettrico realizzato dai nostri bisnonni all'inizio del secolo scorso e geotermoelettrico), l'obiettivo di raddoppiare la quota elettrica e triplicare le rinnovabili in generale andrà raggiunto con le cosiddette «nuove rinnovabili», ovvero con tre fonti: solare, eolica e biomasse e biocombustibili, perché le altre obiettivamente sono difficili da sfruttare ancora o perché vicine al potenziale o inesistenti in Italia. Il moto ondoso, gli impianti mareomotori e le maree non sono fonti disponibili nel Mediterraneo: sono tecnologie adatte al Mare del Nord; l'idroelettrico è vicino al 90 per cento del suo potenziale tecnico e la geotermia è molto difficile da investigare e comunque è ben rappresentata in Italia.
Eolico, solare e biomasse e biocombustibili rappresentano quindi il confine dentro cui si possono muovere le politiche di promozione delle rinnovabili nel nostro Paese. Tutte e tre hanno delle difficoltà di attuazione in parte normative, come dimostrano gli incentivi e la loro drastica


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rimodulazione e ridefinizione degli ultimi mesi, percorso avviato con il decreto del 3 marzo e non ancora terminato perché molti provvedimenti dovranno essere emanati nei prossimi mesi, gran parte di questi a settembre, e a sei mesi dalla pubblicazione dovranno essere definiti i nuovi incentivi dei certificati verdi, delle aste per gli impianti sopra i cinque megawatt e gli interventi per il biometano e per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili. È un quadro assolutamente in evoluzione.
Inoltre le difficoltà derivano anche dalla farraginosità e dalla lunghezza delle procedure amministrative. Il tema delle autorizzazioni è stato correttamente citato come uno dei temi focali del problema. L'Italia si differenzia dagli altri importanti Paesi europei che promuovono le rinnovabili non tanto sull'entità degli incentivi, per cui il nostro Governo e Parlamento sono stati sempre generosi, quanto sulle lungaggini relative agli allacciamenti degli impianti alle reti e alle autorizzazioni.
Per darvi una misura, il tempo medio di realizzazione e autorizzazione di un impianto eolico in Germania si misura in mesi, cioè tra i nove e i dodici mesi. In Puglia un impianto eolico impiega mediamente cinque anni, considerando la somma tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione unica, sebbene una legge dello Stato, il decreto legislativo n. 387 del 2003, imponga diciotto mesi come tempo massimo per l'espletamento della conferenza dei servizi in autorizzazione dell'impianto.
È un tema su cui obbligatoriamente bisogna intervenire in primis perché è una mina al raggiungimento degli obiettivi del 2020, per la prima volta sanzionabili dalla Commissione. Tutte le direttive precedenti alla direttiva n. 28 del 2009 erano indicative, ma questa volta il mancato raggiungimento del target di produzione comporterà procedure di infrazione, quindi una particolare gravità in termini di impatto sul nostro sistema.
Il fatto che una legge dello Stato, il recepimento della direttiva n. 77 del 2001 venga completamente disatteso (è il caso dei tempi delle autorizzazioni) è un problema di civiltà da affrontare.
Kyoto Club crede che sia mancato soprattutto un coordinamento istituzionale tra Stato, regioni ed enti locali. Lo Stato, definendo incentivi importanti nell'ambito della liberalizzazione del mercato elettrico e del gas, ha dato un impulso agli impianti definendoli di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza. Le regioni hanno legiferato in termini di autorizzazione ambientale di procedimenti autorizzativi. Sette leggi regionali su otto negli ultimi quattro anni sono state impugnate dal Ministero dello sviluppo economico alla Corte costituzionale e rese praticamente inapplicabili, creando un vuoto legislativo sulle autorizzazioni degli impianti, che ha determinato un danno agli imprenditori che hanno investito in queste applicazioni e al Paese nel non raggiungere gli obiettivi previsti. Sicuramente il tema delle autorizzazioni è un tema centrale.
La relazione affronta il tema del fotovoltaico, che è uno dei temi più caldi della recente dinamica legislativa sulle rinnovabili. Per ragioni di tempo preferirei non affrontarla e affrontare invece un tema che ci sta particolarmente a cuore, che è quello dell'efficienza energetica. Apparentemente non c'entra con il tema dell'indagine conoscitiva, perché si basa sulle rinnovabili, ma viceversa, nonostante la timidezza della Commissione europea sull'efficienza in generale perché purtroppo non ha una lobby che la difende in nessun livello, la direttiva per come è concepita indirettamente promuove l'efficienza energetica negli usi finali, perché tutti gli obiettivi di promozione delle rinnovabili sono sempre una percentuale del consumo interno lordo di energia.
Questo traccia per i Governi una linea di intervento sulla politica energetica, che può andare nella direzione o di promuovere e aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili o di ridurre i consumi, perché l'effetto è lo stesso. In un Paese come il nostro, dove alcuni segmenti sono terribilmente indietro in termini di intensità energetica o meglio di politiche di


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efficienza mai realizzate (mi riferisco ad esempio agli edifici, che rappresentano circa il 45 per cento del consumo interno lordo di energia primaria), quella può essere un'area in cui accelerare i processi di incentivazione, di semplificazione autorizzativa e di promozione di politiche specifiche per la riduzione dei consumi.
L'industria ha fatto molto gli ultimi anni anche perché il costo dell'energia storicamente alto in Italia ha spinto gli imprenditori autonomamente a intervenire sui consumi. Nel settore terziario e nell'edilizia privata questo non è avvenuto. Purtroppo i recenti tagli e la riduzione della detrazione fiscale hanno rallentato e rallenteranno gli interventi di efficienza che avevano avuto un buon riscontro negli ultimi anni con la detrazione fiscale al 55 per cento in tre anni.
Merita un intervento di potenziamento il meccanismo dei titoli di efficienza energetica o certificati bianchi, che oggi è fermo per un deficit di intervento legislativo da parte del Parlamento. Due decreti legislativi, il decreto n. 115 del 2008 e il decreto n. 99 del 2009, hanno programmato un potenziamento di quel meccanismo che non è mai avvenuto. Avrebbe dovuto essere fatto con decreti ministeriali. Il decreto legislativo del 3 marzo scorso ha di nuovo definito questa strada come prioritaria, ma ancora non si vedono i decreti ministeriali attuativi, e questo è un peccato perché il meccanismo è stato citato dalla Commissione europea come un esempio per le politiche europee negli altri Stati. Il fatto che fallisca in Italia potrebbe causare la perdita di un'occasione per dimostrare una volta tanto come un meccanismo ideato, attuato e lanciato in Italia possa essere d'esempio per tanti altri Paesi.
Questo quadro, che era decisamente ambizioso e importante prima degli eventi recenti del disastro nucleare di Fukushima e poi del referendum, oggi impone una rivisitazione della proposta di Piano energetico nazionale, e senz'altro determinerà un'accelerazione delle politiche di incentivazione e regolazione, che è opportuno vengano condivise a livello istituzionale, non calate dall'alto, perché purtroppo il passato ci dice che quando questo avviene intervengono degli elementi che rendono inefficaci le politiche medesime.

PRESIDENTE. Nell'autorizzare la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante di Kyoto Club (vedi allegato 2), do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

SALVATORE MARGIOTTA. Molto rapidamente. Ho apprezzato la parte dedicata alle autorizzazioni e all'efficienza energetica: sono effettivamente due dei temi fondamentali di cui bisogna occuparsi.
In riferimento alle sue considerazioni conclusive, vorrei sapere se l'ingegner Gamberale ritenga che in questo aggiornamento del Piano energetico che necessariamente dovrà essere fatto dal Governo anche a seguito dell'esito referendario, l'ultimo decreto ministeriale relativo alle rinnovabili, che è stato contestato da molti operatori, debba essere ricorretto e in che senso, oppure possa rimanere invariato.

MARIO GAMBERALE, Coordinatore del gruppo di lavoro «Fonti Rinnovabili» del Kyoto Club. Il decreto attua una direttiva comunitaria, ha commesso a nostro avviso una serie di errori non strategici, ma tattici: interrompere improvvisamente gli incentivi al fotovoltaico ha creato un subbuglio nel Paese, poi in parte corretto con il decreto ministeriale del 5 maggio. Fortunatamente, essendo una direttiva comunitaria, il decreto è andato nella direzione di adottarne i princìpi e identificare un quadro legislativo che, se attuato nei tempi corretti, porterà l'Italia a onorare i suoi impegni.
I decreti attuativi che non sono ancora stati emanati dovranno essere sufficientemente ponderati, affinché poi nella pratica l'obiettivo venga raggiunto. Il primo di questi, che è il decreto sul fotovoltaico del 5 maggio scorso, non va in questa direzione: è il primo esempio in cui è stata


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introdotta una serie di limitazioni al mercato del fotovoltaico, che rendono più complicato raggiungere sulla parte solare l'obiettivo del 2020.
In particolare, l'istituzione del registro, che ha introdotto una sorta di meccanismo di gara all'interno di un meccanismo aperto come quello del conto energia, la limitazione delle potenze degli impianti, la riduzione molto veloce degli incentivi e soprattutto l'introduzione di un cap annuo sulla tariffa elettrica di sei o sette miliardi a regime di fatto non consentono di raggiungere l'obiettivo che è indicato sulla carta in 23.000 megawatt di potenza, ma che di fatto è più un auspicio.
Il 3 settembre dovrebbero essere emanati gli altri provvedimenti relativi alle tariffe onnicomprensive su tutte le altre fonti rinnovabili fino a cinque megawatt, le regole per le aste per gli impianti sopra i cinque megawatt, le reti di teleriscaldamento con un fondo di garanzia, gli incentivi sul biometano. Questo è il campo in cui bisognerà intervenire con grande attenzione affinché le regole sposino i princìpi della direttiva.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Nei mesi scorsi il Governo ha adottato dei provvedimenti che non sono andati a sostegno dell'efficienza energetica, penso a quelli in materia di sostegno economico dell'efficienza energetica degli edifici (quindi il 55 per cento e il 36 per cento) e che anche sulle fonti rinnovabili hanno generato panico e dubbi. Credo però che quanto è successo ieri, con i risultati del referendum, abbia spinto Parlamento e Governo a seguire una strada sola. Questo forse renderà più facile il percorso nei prossimi mesi, e auspichiamo che alcune cose vengano raddrizzate.
È però necessario che il Piano energetico sia chiaro, che gli obiettivi si raggiungano anche attraverso l'efficienza nei consumi, che per adesso nessuno sponsorizza più di tanto perché probabilmente non si fa business, ma non è vero neanche questo perché nell'edilizia raggiungere l'efficienza è un modo di fare business.
Ci sono urgenze nel rivedere gli obiettivi del Piano energetico e nel porre dei parametri, perché di fatto nei prossimi mesi discuteremo della prossima finanziaria ed è quando si stimano le risorse che ci si limita o si pongono degli obiettivi. È bene farlo, oltre che sugli obiettivi europei e quindi gli eventuali costi se non si raggiungono, anche sul costo del lavoro, sebbene non rientri nella discussione sul raggiungimento dell'obiettivo 20-20-20, perché dobbiamo anche puntare a valorizzare i nuovi posti di lavoro che si possono creare. Trascuriamo l'unica filiera che offre prospettive e non la mettiamo mai in conto, nei bilanci tra vantaggi e svantaggi. Discutiamo del paesaggio, dei soldi che investiamo, di quanto eventualmente rientra in dodici mesi o nei mesi successivi (IVA, tasse o valorizzazione degli immobili), però non mettiamo mai nel conto il nostro bisogno di creare posti di lavoro in più, perché alla fine è attraverso il lavoro che paghiamo le tasse.
Dobbiamo quindi considerare questa questione degli obiettivi europei non sempre come un costo per l'industria, ma invece come una possibilità di crescita. Non faccio fatica a leggere in positivo questa prospettiva di crescita del mondo del lavoro.

ALESSANDRO BRATTI. Volevo chiedere due cose molto specifiche. Una riguarda il tema dell'utilizzo dei rifiuti soprattutto relativamente alla parte organica, non intesa come la classica termocombustione attuale, che già comunque dà un contributo, ma in termini di utilizzo della parte organica sia attraverso processi fermentativi per produzione di biogas o biometano. Vorrei sapere se rispetto a questo ragionamento come Kyoto club abbiate effettuato qualche stima di contribuzione, che potrebbe essere molto interessante, oltre che sul versante energetico, su quello della riduzione dei rifiuti.
L'altra questione su cui dovremmo riflettere è che giustamente, se da un lato chiediamo una semplificazione autorizzatoria, cosa che peraltro si è si è avuta su alcune questioni, dall'altro, bisogna sempre


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essere attenti alla costruzione di taluni impianti. Faccio riferimento soprattutto alle biomasse, che è una delle tre gambe su cui sviluppare il contributo energetico. Sul fotovoltaico è stata messa una pezza (più male che bene), sull'eolico c'è maggiore attenzione, ma rimane da fare un ragionamento sulla normazione delle biomasse, soprattutto di quelle piccole.
Oggi vi sono numerose autorizzazioni, molto disordinate. Il rischio è che i cittadini non siano favorevoli ad accettare questi impianti, perché è sufficiente che uno non vada bene, che emani cattivo odore, soprattutto il biogas, perché cominci un film che non finisce più. Si pone quindi una necessità di regolamentare, e spetterebbe a noi anche capire la questione dal punto di vista autorizzatorio.
Mi sembra di capire, infatti, che sia più vantaggioso dal punto di vista ambientale bruciare le biomasse dentro l'inceneritore, perché i sistemi di abbattimento sono molto più sofisticati rispetto a un impianto a biomasse che invece produce una certa quantità di polveri e ha sistemi autorizzatori più ampi. Soprattutto nelle nostre zone della Pianura Padana, dal punto di vista energetico la biomassa può essere una buona opportunità, ma dall'altro lato ha una serie di problematiche legate alla qualità dell'aria che non si possono tralasciare.
Vi chiedo dunque come si possa riuscire da un lato a non imbrigliare il mercato e dall'altro a mettere in campo un po' di regolamentazione, per evitare che un aspetto positivo diventi un ulteriore ostacolo alla sua realizzazione.

PRESIDENTE. Do la parola all'ingegner Gamberale per la replica.

MARIO GAMBERALE, Coordinatore del gruppo di lavoro «Fonti Rinnovabili» di Kyoto Club. Quanto alla prima domanda sul tema dell'occupazione, nella documentazione che vi ho consegnato vi è un paragrafo sull'efficienza energetica, in cui è citato un rapporto straordinario di Confindustria. Si tratta di un'analisi dell'offerta da parte delle aziende italiane in termini di efficienza energetica nei vari comparti in cui Confindustria opera, dall'edilizia ai motori elettrici, alle apparecchiature per la climatizzazione.
Confindustria sviluppa un piano straordinario per l'efficienza energetica, indicando oggi 400.000 aziende già coinvolte nel settore. Si tratta quindi di uno degli ambiti dove già esiste un'offerta industriale italiana sul tema e un potenziale di impatto sull'economia di 238 miliardi di euro, andando a toccare tutti i segmenti. Il rapporto è molto voluminoso ed è scaricabile dal sito dell'associazione.
A fronte di questo impatto, sono previsti 1 milione di addetti come potenziale di crescita del sistema, quindi sicuramente, se c'è una priorità, è senz'altro quella, ancor prima delle rinnovabili. Effettivamente, l'efficienza è win-win, non ha controindicazioni, quindi è un tema su cui siamo focalizzati. Il Kyoto club è partner di associazioni internazionali sul tema e segue in particolare l'European Council ùigene Energy Efficient Economy (ECEEE), un'associazione europea in cui è presente una serie di colossi internazionali che operano nel settore industriale dell'efficienza.
Purtroppo, è un tema che in Europa ha ancora un difetto di ascolto da parte delle istituzioni, perché al contrario delle rinnovabili, dove l'industria ha saputo creare una lobby propositiva per spingere norme vincolanti sui Paesi, l'efficienza è rimasta un tema non così legiferato, anche se c'è una serie di proposte e di direttive comunitarie sul tema, che dovrebbero avere vita a breve.
Sul tema dei rifiuti e delle biomasse, la valorizzazione energetica dei rifiuti oggi sconta una normativa tra le più complesse del quadro normativo italiano, almeno per quanto riguarda le energie, perché si intersecano su questo più normative. La normativa energetica e la normativa rifiuti vanno a incastrarsi nelle procedure autorizzative locali.
Cito ad esempio l'olio vegetale esausto, che di fatto è un olio vegetale facilmente combustibile, perché è un olio alimentare che ha avuto un processo di frittura o


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conserva, che viene recuperato e potrebbe essere utilizzato con un processo di semplice filtrazione e centrifugazione come combustibile. Oggi non è una biomassa combustibile, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, quindi per bruciarlo all'interno di un cogeneratore diesel deve essere autorizzato un inceneritore.
Questo vale per numerosi altri ambiti. Le potature urbane come tanti altri scarti rifiuto hanno un percorso molto complesso. Un impianto a biogas oggi, se alimentato da mais coltivato con una filiera dedicata, impattante perché occupa suolo, viene autorizzato come fonte rinnovabile. Un impianto che volesse usare le patate di scarto di un mercato ortofrutticolo, invece, ha dei vincoli spaventosi in termini autorizzativi.
Questo è un tema su cui occorre intervenire, con le dovute cautele, perché chiaramente quando si parla di rifiuti è necessario avere quattro occhi che controllino come il percorso venga seguito. D'altra parte, però, sono risorse disponibili che vengono perse o determinano un impatto, perché degenerando in discarica o in un compostaggio senza captazione determinano gas serra, percolati, metano.
Un problema più semplice, ma comunque complesso sono le biomasse e la loro accettabilità sociale e ambientale. Quanto all'impatto principale degli impianti a biomassa, al di là delle emissioni che possono essere abbattute (più grande è l'impianto e più possono essere efficaci i sistemi di abbattimento), il tema più critico sono senz'altro le filiere.
Effettivamente la risorsa, benché sia rinnovabile, è scarsa, perché determina un impatto importante in termini di uso del suolo. Consideriamo che 1 megawatt a olio vegetale assorbe 2.000 tonnellate di olio all'anno, per le quali servono 4.000 ettari a colza in rotazione con il grano per poter alimentare quell'impianto. Se è alimentato a palma, servono 500 ettari, quindi comunque servono delle estensioni importanti per poter alimentare quella potenza che tutto sommato è limitata.
In presenza di una risorsa scarsa, un principio fondamentale dovrebbe essere quello dell'uso efficiente della risorsa combustibile. Oggi purtroppo gran parte della potenza installata a biomasse, soprattutto a biomassa solida, quella che impiega manutenzione boschiva o short rotation cioè produzioni dedicate, sono impianti di grande taglia, 10, 20, 40 megawatt. È il caso della Calabria e di altre aree del Paese, dove l'assetto degli impianti è esclusivamente elettrico.
Questo vuol dire che il potere calorifico della biomassa, risorsa scarsa, è utilizzato al 19 per cento circa, che è l'efficienza media di conversione degli impianti. Il resto è disperso sotto forma di calore latente di evaporazione. Se dovessimo pensare a un percorso sostenibile per far sì che le biomasse abbiano un ruolo nella generazione e quindi contribuiscano a quell'obiettivo importante, un criterio dovrebbe essere quello di puntare su impianti in assetto cogenerativo o trigenerativo, dove la risorsa viene utilizzata per produrre energia elettrica, ma il calore di recupero è impiegato per sostituire fonti fossili nelle utenze finali.
Questo andrebbe nella direzione di usare meno suolo, meno risorse fertilizzanti e tutti i fattori di produzione dell'agricoltura a parità di servizio reso, e quindi di eliminare una voce di impatto importante che è il metano, il gasolio, il GPL utilizzato alternativamente nelle caldaie.
Nell'ambito della discussione di qualche anno fa, quando nella finanziaria 2008 si proposero gli incentivi che oggi poi sono diventati le tariffe onnicomprensive sulle biomasse, proponemmo in questa Commissione di dare un extraincentivo agli impianti a biomassa che fossero in assetto cogenerativo. Oggi esiste la piccola cogenerazione ad alto rendimento, che è disciplinata da un decreto legislativo.
Nella definizione di nuovi contributi bisognerebbe cercare, se non di vietare gli impianti in assetto non cogenerativo, per i quali c'è una lobby trasversale che comunque si opporrebbe a questo tipo di intervento, almeno di premiare quegli attori che puntano al miglior uso della risorsa e a una maggiore efficienza.


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Parallelamente, sarebbe necessario intervenire sulla legislazione per cercare di semplificare il procedimento autorizzativo, che è veramente molto complesso. Un impianto oggi da 1 megawatt in assetto trigenerativo impiega comunque quasi due anni per poter passare dall'idea alla connessione in rete. Un bel pezzo se lo prende la rete per poterti connettere e dare l'incentivo, però rispetto alla necessità di andare in questa direzione, volendo prendere un pezzettino di quel 25 per cento di nucleare che pensiamo tutti che non possa più essere fatto, bisogna trovare una strada affinché questi impianti si realizzino anche velocemente.

PRESIDENTE. Nel ringraziare l'ingegner Gamberale per la disponibilità dimostrata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17.

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