Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione VIII
15.
Martedì 6 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Tortoli Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE AMBIENTALI IN RELAZIONE ALLA PRODUZIONE DI ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI

Audizione di rappresentanti della Federazione delle Imprese energetiche e idriche (Federutility) e della Federazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale (Federambiente):

Tortoli Roberto, Presidente ... 3 6 9 10 12
Benamati Gianluca (PD) ... 9
Fortini Daniele, Presidente di Federambiente ... 6 8
Guerini Clara, Componente del gruppo di lavoro sulla fiscalità di Federutility ... 11
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 11
Realacci Ermete (PD) ... 8 9
Santini Fabio, Direttore dell'area mercato ed energia di Federutility ... 3 6
Torresin Bruno, Componente del consiglio direttivo di Federambiente ... 10 11

Audizione di rappresentanti di Greenpeace e della Fondazione per lo sviluppo sostenibile:

Tortoli Roberto, Presidente ... 12 18 21
Barbabella Andrea, Responsabile del settore energia della Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 14 20
Onufrio Giuseppe, Direttore esecutivo di Greenpeace ... 12 18
Realacci Ermete (PD) ... 18
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 20

Allegato 1: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Federutility ... 23
Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Federambiente ... 31
Allegato 3: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Greenpeace ... 38
Allegato 4: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Fondazione per lo sviluppo sostenibile ... 40
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 6 dicembre 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO TORTOLI

La seduta comincia alle 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Federazione delle Imprese energetiche e idriche (Federutility) e della Federazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale (Federambiente).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti della Federazione delle Imprese energetiche e idriche (Federutility) e della Federazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale (Federambiente).
Sono presenti l'ingegner Fabio Santini, direttore dell'area mercato ed energia di Federutility, la dottoressa Clara Guerini della A2A, l'ingegner Alfonso Messina, direttore area industriale Reti ACEA. Per Federambiente sono presenti il dottor Daniele Fortini e il dottor Bruno Torresin.
Ringrazio gli auditi per la sollecitudine con la quale hanno accolto l'invito ad essere presenti oggi e do subito la parola all'ingegner Fabio Santini.

FABIO SANTINI, Direttore dell'area mercato ed energia di Federutility. Innanzitutto la ringrazio per aver dato alla Federazione questa opportunità di poter esprimere le proprie considerazioni rispetto a questo importante tema.
Come lei accennava, sono con me l'ingegner Guerini e l'ingegner Messina, rispettivamente di A2A ed ACEA. Personalmente esprimerò alcune considerazioni di carattere generale sul tema della politica ambientale e delle fonti rinnovabili, quindi lascerò a loro la possibilità di intervenire su temi più specifici.
Non può sfuggire che la politica ambientale si intreccia fortemente con la politica energetica in questo momento. Evidentemente l'esito del referendum sul nucleare, che in qualche modo avrebbe individuato delle soluzioni energetiche compatibili quanto meno con l'ambiente, impone anche un ripensamento sulla strategia energetica, quindi sulle conseguenze ambientali che questa avrà.
È chiaro che nell'immediato ci sarà una sostituzione con la fonte energetica più disponibile, che è il gas. In prospettiva, vediamo questa crescita delle fonti rinnovabili - che in questo momento sono oggetto di attenzione non solo da parte del nostro Paese, ma da parte di tutta l'Europa e anche oltre - che per i noti obblighi relativi al Protocollo di Kyoto (il famoso «pacchetto clima-energia 20-20-20») sono attualmente incentivate in tutta Europa, ma in maniera particolare nel nostro Paese.
La crescita delle rinnovabili è stata consistente negli ultimi due anni e noi lo


Pag. 4

consideriamo un elemento molto positivo. Ovviamente quando si parla di rinnovabili si parla di tecnologie diverse. In questo momento, sulle rinnovabili propriamente dette ci possiamo riferire in particolar modo al fotovoltaico e all'eolico, ma ci sono anche altre tecnologie che sono in fase di crescita. Credo che con la crescita che si è registrata nell'ultimo periodo possiamo dire che si è esaurita una prima fase, nella quale l'incentivo necessario è stato particolarmente elevato, tant'è che, anche per le valutazioni che sono state fatte sull'impatto delle fonti rinnovabili sulla bolletta, si è imposto qualche mese fa un ripensamento su questo sistema degli incentivi.
Al riguardo, c'è un primo punto sul quale occorre fare un'osservazione. Gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili necessitano di finanziamenti da parte del sistema bancario per la loro realizzazione. Il cambio in corsa del sistema incentivante va ad impattare ovviamente sui piani di finanziamento, quindi dovremmo evitare, per quanto possibile, questo impatto perché normalmente in questi casi si sconta poi un periodo di stasi degli investimenti, dovuta al fatto che non c'è l'accesso al credito da parte degli istituti finanziari.
Questo, dunque, è stato l'impatto che noi abbiamo osservato nel periodo di incertezza che si è creato quando è stato rimesso in discussione il cosiddetto «terzo Conto energia», cui ha fatto poi seguito il «quarto Conto energia». Tuttora siamo in attesa del decreto sulle rinnovabili termiche, che dovrebbe definire gli incentivi sull'eolico e anche i meccanismi d'asta che sono stati previsti, anche per razionalizzare il sistema di incentivo, sui grandi impianti. Si tratta di elementi importanti, in assenza dei quali gli investimenti son fermi, e questo crea dei problemi da un punto di vista degli obiettivi che noi dobbiamo raggiungere entro il 2020.
Chiaramente, come dicevo, c'è stata una crescita molto forte che però non è stata priva di conseguenze. L'eccessiva accelerazione ha portato, in primo luogo, a un impedimento di uno sviluppo della filiera industriale nazionale. Possiamo dire che questo, forse, è stato dovuto all'alto livello di incentivo, che ha portato a una velocità talmente forte di sviluppo di queste fonti che non si è parallelamente organizzata una filiera industriale nazionale. Questo ha portato a un utilizzo eccessivo, forse, di componentistica prodotta al di fuori anche dell'Europa, non solo del nostro Paese.
Rischiamo, dunque, di perdere un'occasione con una progressione di sviluppo di questo tipo. Da questo punto di vista, va bene una razionalizzazione dei tempi di realizzazione di questi impianti, che devono avere una loro gradualità proprio per consentire all'industria nazionale di poter in qualche modo soddisfare anche le esigenze impiantistiche, in modo tale da produrre delle ricadute positive non solo in termini sia energetici che ambientali, ma anche dal punto di vista industriale.
Naturalmente la crescita delle rinnovabili - lo ripeto, positiva di per sé - non può tuttavia permettere di ignorare i problemi che un'immissione di energia elettrica diffusa nelle reti di distribuzione comporta nei confronti delle reti stesse. Le reti di distribuzione cittadina sono impattate soprattutto dagli impianti fotovoltaici, dato che l'eolico insiste prevalentemente sulla rete di trasporto.
Le reti di distribuzione cittadina sono nate per gestire dei carichi attivi, pochi impianti di produzione e tanti carichi passivi. Il fatto che ci sia un'immissione diffusa di energia comporta non solo un cambiamento radicale nella gestione, ma anche l'esigenza di dover intervenire su queste reti.
Questo è un elemento di cui bisogna tener conto quando si parla di sviluppo e di crescita delle rinnovabili perché non ci può essere crescita delle rinnovabili, con incentivi alle stesse, se non è accompagnata da una crescita, con incentivi, degli investimenti sulle reti distributive.
Un altro elemento che non possiamo non evidenziare riguarda gli oneri introdotti dalle fonti rinnovabili sul sistema nazionale. Si tratta di oneri di sistema che paghiamo tutti, come cittadini, sulla bolletta


Pag. 5

e che non si limitano al sistema incentivante, già particolarmente elevato e adesso in qualche modo sottoposto ad una nuova valutazione, ma si estendono anche ad oneri indiretti, quali ad esempio gli oneri di dispacciamento. Non possiamo non ricordare che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili hanno una priorità di dispacciamento, ma hanno anche un altro inconveniente, ossia sono fonti non programmabili. Insomma, non è detto che quando è necessario il loro utilizzo vi sia la loro disponibilità. Questo comporta l'attivazione di impianti che devono essere nella disponibilità del gestore della rete, con conseguente maggiore onere del sistema. Dobbiamo sapere, insomma, che questo sviluppo comporta degli oneri particolarmente elevati.
Quello che lamentiamo, come Federazione, è l'impatto sugli impianti convenzionali, sostanzialmente quelli a turbogas. Noi rammentiamo che nel primo decennio di liberalizzazione del sistema elettrico sono stati investiti sugli impianti di produzione circa 25 miliardi di euro; un investimento massiccio, dunque, fatto dalle utility, ovviamente dalle grandi utility, come Eni ed Enel, ma anche dalle utility aderenti alla Federazione, come A2A, Acea, Iren e altre.
Questi investimenti sono stati fatti per far fronte a un deficit produttivo forte che aveva portato anche a situazioni di crisi del sistema elettrico, quindi dal «decreto sblocca-centrali» (decreto-legge n. 7 del 2002) in poi gli investimenti sono stati particolarmente accentuati. Ora questi impianti, che sono particolarmente efficienti - abbiamo un parco di produzione tra i più efficienti in Europa - rischiano di stare fermi, anzi stanno fermi, sono sottoutilizzati, lavorano per poco più della metà delle ore per cui sono stati progettati. Dobbiamo ricordare certamente la situazione della crisi industriale che ha portato a una riduzione forte di consumi, che sicuramente ha impattato sulla minore domanda di energia, ma il contributo a questo sottoutilizzo di questi impianti è stato dato anche dallo sviluppo delle rinnovabili.
Questo elemento sicuramente sulle imprese che rappresentiamo ha un forte impatto economico, tanto che l'Autorità ha ritenuto opportuno intervenire con una delibera che, però, avrà effetto dal 2017 (e bisognerà arrivare a quella data) in qualche modo prevede una sorta di capacity payment, sostanzialmente un pagamento della capacità degli impianti che sono a disposizione (sono altri oneri, ovviamente).
Va bene, quindi, la crescita delle rinnovabili - ovviamente non bisogna perdere d'occhio l'aspetto economico - anche perché è un dovere rispetto a quello che ci chiede l'Europa.
C'è un altro elemento che non dobbiamo sottovalutare e che noi forse poniamo anche come prioritario rispetto alle fonti rinnovabili, ed è quello dell'efficienza energetica, di cui si sta dibattendo molto. È un tema più complesso delle fonti rinnovabili perché l'efficienza energetica non ha un'unica definizione e non ha poche tecnologie, ma tante. È difficile trovare le forme di incentivazione giuste, ma in realtà il TEP (tonnellata equivalente di petrolio) risparmiato è quello più conveniente da un punto di vista economico e ovviamente è quello che fa meglio all'ambiente. Quello che viene definito il Negatep dovrebbe trovare dunque un'adeguata incentivazione.
Attualmente in Italia abbiamo due meccanismi che sostengono l'efficienza energetica. Uno è il famoso 55 per cento, che viene continuamente messo in discussione (non so se entrerà nel nuovo decreto-legge, ma so che c'è stato un dibattito forte in Consiglio dei Ministri), ma è un provvedimento che ha dato sempre dei risultati, e non va visto neanche come un onere per il Paese perché ha delle ricadute economiche che qualcuno ha valutato anche in termini positivi. Oltre gli interventi, che peraltro riescono a far emergere un po' il sommerso, si tratta di soldi che vengono in qualche modo recuperati.
Come imprese che aderiscono alla Federazione, in particolare nell'attività di distribuzione di energia elettrica e gas, siamo direttamente coinvolti nell'altro meccanismo, quello dei titoli di efficienza


Pag. 6

energetica (cosiddetti «certificati bianchi»). È un meccanismo importante, che ha dato anch'esso risultati notevoli, ma anche questo rischia di attraversare un momento di crisi. Si tratta di un meccanismo assai complesso, che prevede sostanzialmente l'istituzione di un mercato dei titoli di efficienza energetica. Le aziende di distribuzione hanno cioè un obbligo a produrre dei titoli di efficienza energetica, che possono produrre direttamente, attraverso degli interventi diretti di efficientamento sia nel settore industriale che nel settore civile, oppure acquistare sul mercato da altri soggetti, che sono tipicamente ESCO (Energy Service Company).
Il mercato in questo momento è straordinariamente corto: non si producono titoli a sufficienza. Questo ha indotto l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ad assumere un provvedimento che in qualche modo favorisca la liquidità. Riteniamo che questo provvedimento - le linee guida pubblicate non più di venti giorni fa dall'Autorità - dia una boccata di ossigeno per questo anno, ma in prospettiva lascia in realtà i problemi insoluti.
Cosa bisogna fare, allora, per risolvere questo problema? In primo luogo è necessario definire gli obiettivi sul lungo termine. Noi abbiamo ancora un anno di obiettivi, un arco temporale troppo ridotto per poter pianificare e programmare investimenti. Abbiamo bisogno di un arco temporale che si estenda almeno fino al 2020, con degli obiettivi di efficienza energetica definiti fino a quella data in modo da poter programmare anche gli interventi più strutturali.
Ricorderete che nella prima fase i titoli di efficienza energetica si sono tradotti nel massiccio utilizzo delle lampadine a basso consumo e dei rompigetto. Quella fase è finita, adesso bisogna passare a interventi più strutturali che, però, richiedono investimenti consistenti che devono avere orizzonti temporali più ampi.
In secondo luogo, bisogna valorizzare questi impianti che hanno una valenza strutturale più importante (tanto per citarne uno, ad esempio gli impianti di teleriscaldamento alimentati da centrali a cogenerazione che hanno tra l'altro un beneficio irreversibile) in maniera più adeguata dei 93 euro per TEP risparmiato dati dall'Autorità in questo momento e prevedere per gli interventi diffusi un maggior numero di schede standardizzate che in qualche modo favoriscono anche la capacità di programmazione degli interventi da parte delle imprese.
Sull'efficienza energetica sappiamo che è in corso di elaborazione un ulteriore decreto da parte del Ministero dello sviluppo economico. Lo aspettavamo per settembre...

PRESIDENTE. Mi scusi, ingegnere, abbiamo dei tempi da rispettare.

FABIO SANTINI, Direttore dell'area mercato ed energia di Federutility. Arrivo alla conclusione. Come dicevo, il decreto che aspettavamo per settembre è stato rinviato a gennaio. C'è urgenza di procedere con questo provvedimento.
Non so se i colleghi possono intervenire rapidamente.

PRESIDENTE. Ora ascoltiamo i rappresentanti di Federambiente, poi eventualmente valutare i tempi di cui disponiamo. Tra l'altro, sono cambiati gli orari dell'Assemblea, quindi anche le nostre disponibilità.
Do la parola al presidente Fortini.

DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Grazie, presidente e onorevoli deputati per l'opportunità che ci date di partecipare a questa indagine e per averci invitato a questa audizione.
Federambiente rappresenta le 270 imprese italiane che sono, singolarmente o in forma associata, proprietarie e gestori di 48 dei 51 impianti di termovalorizzazione che insistono sul territorio del nostro Paese. I cinque impianti che sono pianificati e attualmente in fase di costruzione sono ugualmente tutti realizzandi da imprese nostre associate.
Ci siamo permessi di lasciare un breve documento che riepiloga i contenuti dei


Pag. 7

nostri suggerimenti e ciò che possiamo dare come contributo per la riflessione che la Commissione parlamentare sta svolgendo e per la ricognizione che poi darà luogo, immagino, a una relazione. Rimando, quindi, alla lettura di questo documento per gli approfondimenti di quello che richiamo sommariamente nel mio intervento.
Il primo dato che vorrei segnalare alla Commissione è il seguente: le proiezioni che abbiamo condotto sull'anno 2011 ci dicono che avremo alla fine dei dodici mesi circa il 4,5 per cento in meno di produzione di rifiuti urbani rispetto all'anno precedente. Nel 2010 avevamo avuto una riduzione del 2,7 per cento sul 2009; nel 2009 una riduzione dell'1,1 per cento sul 2008. Questo significa che complessivamente, rispetto ai 32,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani raccolti nel nostro Paese nell'anno 2008, adesso siamo poco sopra i 30 milioni di tonnellate.
Il fattore è significativo perché il - 4,5 per cento di produzione di rifiuti urbani segnala l'importanza della crisi economica che nell'anno 2011 ha colpito le famiglie e le imprese del nostro Paese. In realtà, dunque, il dato non segnala una riduzione dei rifiuti per effetto delle buone pratiche ambientali (o non interamente almeno), ma indica che, per effetto della crisi, si riducono i consumi e dunque abbiamo meno rifiuti.
Le nostre previsioni per l'anno 2012 sono ugualmente in decrescita per effetto di quello che si ipotizza essere l'andamento del prodotto interno lordo e quindi dell'economia del prossimo anno.
Ciononostante, purtroppo, ancora nell'anno 2011 si consoliderà quella che è stata una tendenza degli ultimi anni, vale a dire una lenta crescita delle raccolte differenziate e del recupero di materia riciclabile e una dominante modalità di trattamento e smaltimento dei rifiuti riferita alle discariche.
Alla fine dell'anno 2011 avremo il 43 per cento di raccolta differenziata di materiali avviati al recupero di materia e il 13 per cento del totale dei rifiuti prodotti nel nostro Paese avviati a recupero di energia, mentre si conferma un massiccio ricorso alle discariche: il 44 per cento del totale dei rifiuti raccolti in Italia finisce in discarica e nel 90 per cento dei casi si tratta di rifiuti tal quali, cioè che non hanno subìto alcun processo di minimizzazione del potenziale rischio di inquinamento.
Questo è il fattore di maggiore rischio per il nostro Paese, se teniamo conto che la direttiva comunitaria del 2001 imponeva agli Stati membri, entro il 2006, di evitare lo smaltimento in discarica dei rifiuti che non avessero subìto un processo di minimizzazione del rischio. È la direttiva che ha consentito, dal 2006, alla Germania, alla Svezia, alla Danimarca di adeguarsi, quindi consegnare alle discariche soltanto il 4 per cento, mediamente, dei loro rifiuti. Noi, con il nostro 44 per cento, ci segnaliamo come arretrati rispetto agli obiettivi indicati dall'Unione europea in questo settore.
Questo è il motivo per il quale il recupero di energia da rifiuti, accompagnato a un ulteriore rilancio delle raccolte differenziate e delle politiche di riciclaggio di materia, è sinergico alla riduzione della necessità e del fabbisogno di discariche che ancora si mantiene molto elevato.
Segnalo alla vostra attenzione, peraltro, che in uno studio che abbiamo realizzato con Confindustria, insieme a Federambiente, le discariche attualmente autorizzate nel nostro Paese per i rifiuti solidi urbani saranno tutte esaurite nell'anno 2013. Di qui al 2013 gli invasi che attualmente vengono coltivati per accogliere i rifiuti urbani saranno esauriti, ovvero, in caso di invarianza delle tendenze attualmente in corso, se ne dovrebbero aprire di nuovi.
Nuovamente torno a segnalare alla Commissione, come abbiamo fatto tante volte in passato, il pericolo che quando si parla di aprire nuove discariche o di gestire discariche nel nostro Paese le infiltrazioni, i condizionamenti, le pressioni indesiderate sono talmente forti che purtroppo evocano ogni giorno sulla stampa gli accadimenti di cui tutti alla fine ci dogliamo.


Pag. 8


Il recupero di energia, insieme al recupero di materia, è dunque fondamentale e decisivo per determinare la caduta del fabbisogno di discariche. Ecco la ragione per cui noi riteniamo che, a sostegno delle politiche del recupero di energia dai rifiuti - sia di energia elettrica che di energia termica ai fini del teleriscaldamento - vi debba essere una forte politica e una forte volontà nazionale di accompagnamento e di sostegno nel contesto di ciò che legittimamente...

ERMETE REALACCI. Più di quella che c'è?

DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. No, non dico più di quella che c'è, ma nel solco di quello che stabilisce l'Unione europea.

ERMETE REALACCI. All'estero non c'è...

DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Però all'estero c'è un'altra cosa, onorevole, mi permetta. All'estero c'è una tassa sulle discariche, ad esempio in Belgio, da 180 euro a tonnellata. Si può anche conferire in discarica, ma se smaltire nell'inceneritore costa 105 euro, è evidente che si sceglie questa seconda strada.
Comunque sia, siamo d'accordo: o disincentivi da una parte o incentivi dall'altra. Il punto è perseguire l'obiettivo e l'obiettivo è minimizzare l'uso delle discariche, recuperare materia ed energia.
Noi non chiediamo il ritorno agli incentivi CIP6 o a una normativa di sostegno economico speciale. Chiediamo soltanto che quello che oggi c'è, ossia il riconoscimento dei certificati verdi per la frazione biodegradabile dei rifiuti, quindi per la biomassa, venga mantenuto e normato in modo tale che sia utilizzabile pienamente dagli operatori del settore. Per intenderci, il decreto previsto dalla legge finanziaria del 2008 per consentire agli impianti di recupero di energia da biomasse di poter usufruire dei certificati verdi stabiliva nella quota del 51 per cento del totale dei rifiuti trattati l'energia effettivamente incentivabile. La legge finanziaria, tuttavia, rimandava a un decreto nel quale veniva individuato nel Comitato termotecnico italiano il soggetto incaricato di specificare con più dettaglio e con maggiore definizione i quantitativi di biomassa effettivamente presenti all'interno di ogni quantitativo trattato nei termovalorizzatori.
Ovviamente siamo fermi da molti mesi perché tecnicamente è difficile stabilire quant'è la percentuale di biomassa nei quantitativi di rifiuti che ciascun termovalorizzatore tratta giornalmente, tenendo conto del fatto che i rifiuti, per loro natura, sono variabili (in primavera si ha una grande quantità di rifiuti organici e durante l'inverno una quantità minore, in una zona si ha un certo tipo e in un'altra zona di tipo diverso) e, in ogni caso, in ragione dell'abbassamento dei consumi, la frazione biodegradabile percentualmente cresce. Chiaramente all'alimentazione non si può rinunciare, mentre si può rinunciare a beni voluttuari o comunque di un consumo diverso.
Per tale ragione noi chiediamo che si possa definire in modo certo e definitivo che quel 51 per cento previsto dalla legge finanziaria dell'anno 2008 sia mantenuto e assunto come parametro di riferimento del totale dell'energia prodotta dagli inceneritori come effettivamente incentivabile, in ragione del fatto che almeno il 51 per cento dei rifiuti che vengono avviati a combustione è rifiuto organico.
Infine, chiederemo - su questo concludo, per il resto rimandiamo ai documenti consegnati e, se è necessario, può intervenire il dottor Torresin - che venga riconosciuto che gli impianti di termovalorizzazione che sono stati pianificati, anche per la parte finanziaria, in epoca antecedente l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 28 del 2011, possano conservare i piani finanziari a suo tempo pattuiti con gli istituti di credito. Torino ed altre realtà che stanno costruendo impianti hanno pattuito, a valle di gare di evidenza pubblica, quindi non in negoziati occulti, la finanziabilità degli interventi con gli istituti di credito, molto spesso pool internazionali


Pag. 9

di istituti di credito, e sono stati fissati i parametri in ragione del fatto che l'energia prodotta sarebbe stata per una quota incentivata dalla remunerazione dei certificati verdi. Se questo non viene garantito oggi, perché nel decreto si parla solo degli impianti che entreranno in esercizio nel 2013, mentre quelli del 2010 non fossero compresi, evidentemente saremmo esposti a rinegoziare con gli istituti di credito la parte finanziaria e, tenendo conto di come sta andando il mercato del credito a livello europeo, rischieremmo di trovarci da una pianificata tariffa di 98 euro a tonnellata per bruciare i rifiuti in quell'impianto a 120-130 euro a tonnellata. Questo farebbe saltare il piano finanziario con unico esito, quello di aumentare le tasse sui cittadini per poter coprire i costi. Grazie.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti di Federutility (vedi allegato 1) e di Federambiente (vedi allegato 2).
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Intervengo solo per dire che dobbiamo avere tutti il senso della situazione che stiamo vivendo. Penso che quel decreto fosse equilibrato, perché per un lungo periodo abbiamo imbrogliato caricando col CIP6 sulle rinnovabili cose che rinnovabili non erano. Questo non è permesso dall'Unione europea. L'Unione europea ci dice che la quota assimilabile alle rinnovabili può essere incentivata e l'altra no.
È stato fatto un calcolo convenzionale e prudenziale: sappiamo che il 50 per cento è prudenziale a favore della termovalorizzazione, che pure io penso debba essere fatta. Mi sembra complicato dire che quello deve essere bloccato una volta per sempre, anche se può essere una convenzione. Tuttavia, non può essere una legge, perché se poi si scopre che quella percentuale è inferiore stiamo facendo l'ennesima scelta che non funziona.
Quello che può essere utile è capire se i soggetti imprenditoriali che voi rappresentate, dentro questa strategia di promozione delle rinnovabili, al di là di garantire l'incentivazione che già hanno, possono introdurre degli elementi ulteriori di innovazione.
Quali sono i terreni su cui è possibile agire? Per esempio, alcuni dei soggetti pubblici stanno attivando impianti di piccole dimensioni per il recupero territoriale di biomasse o cose simili. Insomma, quali sono le nuove frontiere in cui i soggetti che voi rappresentate possono fornire un contributo? Per il resto, sono d'accordo con quello che diceva il dottor Fortini. Personalmente avrei preferito la linea seguita in altri Paesi, ma capisco che in Italia è impraticabile, poiché nel nostro Paese - Fortini del resto ha amministrato i rifiuti di Napoli, dunque lo sa - non ci sono neanche le discariche. Pertanto, tassare i rifiuti che vengono conferiti in discarica è una scelta che ha una sua ragionevolezza, ma può sembrare un atto un po' retorico.
Non punterei tuttavia a fare richieste che in questo momento non sono esaudibili. Peraltro, non è che quei costi non siano a carico dei cittadini; non li pagheranno sulla tariffa dei rifiuti ma li ritroveranno in bolletta. Invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia.

GIANLUCA BENAMATI. Intervengo velocemente, condividendo molte delle affermazioni del collega Realacci. Per quanto riguarda l'intervento del rappresentante di Federambiente, penso che la questione della termovalorizzazione o comunque del recupero termico in questo Paese sia collegata al tema del superamento delle discariche, un tema estremamente complesso.
Se noi, anche dopo il decreto legislativo n. 152 del 2006, osservassimo la situazione, avremmo qualche problema nel porre i rifiuti da qualche parte. Quindi, lo smaltimento in discarica nel nostro Paese è ancora una realtà.
Vi pongo una questione che riguarda una frase che ho letto nel vostro documento. Uno dei problemi delle discariche


Pag. 10

di questo Paese è il controllo post mortem. Lo è dappertutto, in tutto il mondo, ma nel nostro Paese è più significativo, anche perché la normativa si è fatta stringente e i controlli più severi in un tempo ragionevolmente breve alle nostre spalle.
Nel documento, oltre alle questioni del biogas, del recupero termico eccetera, voi lanciate un'ipotesi dell'utilizzo di queste aree come sistemi energetici mediante l'installazione di fotovoltaico a terra. Siccome anche il nuovo Ministro dell'ambiente ha introdotto il concetto dell'uso delle aree da bonifica come siti su cui intervenire (la discarica ovviamente è un sito particolare), quali possono essere, secondo voi, le misure - magari visti i tempi ristretti ci inviate un documento scritto - di incentivazione e di promozione per andare in questo settore, dal punto di vista autorizzativo e altro?
Inoltre, rivolgendomi agli amici di Federutility, vorrei sottolineare la questione che Realacci sollevava prima. Oggi le fonti rinnovabili sono di moda, poi ci sono tante fonti alternative e le aziende municipalizzate - lo dico per quella che è stata la mia esperienza - le hanno sempre vissute in maniera molto marginale. Oggi, in questo sistema, dal punto di vista dell'innovazione e della promozione, non solo delle più classiche (qui si parlava anche dell'utilizzo termico, di biomasse eccetera), qual è il reale impegno delle grandi utility che sul territorio possono dare non solo un valore economico ma anche un valore di indicazione e - passatemi il termine - di educazione in questo senso? Ci sono già delle indicazioni su quello che i vostri associati stanno realizzando nel concreto per la promozione di questa galassia di possibilità, che peraltro sono state elencate e normate anche nell'ultimo decreto legislativo in termini di incentivi?

PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti di Federutility e di Federambiente per una breve replica.

BRUNO TORRESIN, Componente del consiglio direttivo di Federambiente. Mi bastano pochi minuti per spiegare alcuni concetti.
Quanto al caso Torino - abbiamo rilasciato un documento con slide sintetiche - il nostro è un project financing, ossia una finanza di progetto, che oggi va molto di moda e viene rilanciata. I presupposti della finanza di progetto sono tre, e non possono essere compromessi. In primo luogo, deve essere fissato un indice di bancabilità, perché questo è l'elemento testimoniale affinché gli enti finanziatori manifestino un interesse. Tale indice di bancabilità di norma viene fissato in 1,35, che significa che per ogni euro di debito che devo restituire devo generare un flusso di cassa di 1,35. Nel caso specifico di Torino questo prendeva in considerazione la precedente normativa dei certificati verdi che riconosceva 180 euro per megawattora e l'unica oscillazione era il prezzo della tariffa.
Ora è chiaro che il nuovo decreto legislativo modifica radicalmente questo beneficio, creando un'incertezza al 2016. Come ha detto il presidente Fortini, noi non chiediamo nulla di più: chiediamo soltanto la salvaguardia dei contratti di finanziamento, in particolare il project financing che è stato fatto nella previgente normativa. Tra l'altro, questa è una costante raccomandazione che la Comunità europea rivolge agli Stati membri, ossia di legiferare e modificare la legislazione ponendo attenzione a non introdurre norme retroattive in materia di incentivi e in materia fiscale. Questo, infatti, può dare avvio - come nel caso della società pubblica TRM - a un ricorso alla Corte di giustizia europea che ne annulla l'efficacia.
Come ha detto il presidente, il 51 per cento è un valore convenzionale che noi chiediamo, fino a quando non saranno stabilite delle misurazioni più puntuali che oggi lo stesso Comitato termotecnico non è in grado tecnicamente di implementare nei nostri impianti.
Infine, quando parliamo di discariche oggi ci sono tecnologie e progettazioni ingegneristiche che consentono che questi grandi spazi (cito l'esempio di Basse di Stura di Torino, 1.200.000 metri quadri, una discarica di sessanta anni di vita, 40


Pag. 11

milioni di tonnellate conferite) possano diventare dei siti dove, con tecnologie a rete e a cavo, si possono posare insiemi di pannelli solari senza che subiscano un compromesso per l'assestamento della discarica, che va monitorata e gestita per trent'anni.
Questo può consentire dei ricavi, quindi mitigherebbe il piano di ammortamento per la gestione post mortem per i trent'anni almeno che la legge impone.
Questo è quanto Federambiente fa presente: invece di compromettere - come succede nel nostro territorio, da Cuneo in giù - aree vergini o con vocazione agricola, terreni enormi, utilizziamo queste vecchie discariche, considerato che oggi le tecnologie lo permettono. Grazie.

CLARA GUERINI, Componente del gruppo di lavoro sulla fiscalità di Federutility. Vorrei soltanto aggiungere alcune brevi considerazioni sul ruolo che il teleriscaldamento può svolgere in questo sviluppo, soprattutto in relazione alle rinnovabili di natura termica. Fino a questo momento, il teleriscaldamento nel passato ha sviluppato sistemi che erano prevalentemente associati a impianti di cogenerazione; tuttavia, nel passato recente abbiamo già avuto esperienze di recupero termico dagli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti e oggi ci si sta orientando quanto meno alla verifica e alla ricerca di possibilità di fonti di fornitura di energia termica anche di natura diversa, di recuperi industriali, di energie termiche di risulta.
È chiaro che l'infrastruttura del teleriscaldamento richiede tempi lunghi di realizzazione, perché stiamo parlando sempre di infrastrutture che vengono realizzate in aree urbane densamente popolate, che danno comunque un apporto estremamente rilevante in termini di benefici ambientali e di qualità dell'aria (problemi che assillano prevalentemente le città). Spazi per poter trovare questi recuperi termici, magari di entità minore, di piccole realtà, possono esserci e lo sviluppo associato sarà più o meno rilevante in relazione all'entità dell'incentivo alle FER termiche che verrà definito dal prossimo decreto. Grazie.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Pongo una breve domanda sulla questione dell'inceneritore di Torino. Vedo che sono previsti 90 milioni di capitale sociale da versare, dei quali attualmente sono stati versati 51. Ci sono difficoltà, visto che i soci sono gli enti locali, o c'è disponibilità nei bilanci e quindi è solo un problema temporale di investimenti, per cui nei prossimi mesi comunque i soldi verranno versati?
Mi complimento perché vedo finalmente un investimento di BEI, per la prima volta. Un ministro della Repubblica italiana ci aveva annunciato 10 miliardi di euro e adesso vedo finalmente 180 milioni.

BRUNO TORRESIN, Componente del consiglio direttivo di Federambiente. È chiaro che quel piano finanziario - 90 milioni di equity e 413 milioni di debito - tiene conto dell'incentivo dei certificati verdi sulla base della previgente normativa.
Ora, se dovesse significativamente cambiare, è evidente che probabilmente quei 90 milioni potrebbero crescere. Faccio un richiamo soltanto a BEI perché proprio due giorni fa ci siamo incontrati nuovamente. Una delle condizioni che sottolineo ai parlamentari è la seguente: BEI ha intenzione di depotenziare il proprio interesse verso l'Italia perché lo strumento del project richiede una stabilità normativa, non può essere di tipo normato retroattivamente (e vedo che anche il nuovo Ministro Passera ha fatto questo richiamo).
Se la normativa si stabilizza e non viene resa retroattiva, quindi il legislatore può modificare il quadro degli incentivi, ma per i nuovi progetti in cui gli indici di bancabilità vengono costruiti diversamente, c'è un grande interesse a investire, con una leva che prevede il 17 per cento di capitale pubblico e l'83 per cento di debito.
Come diceva Fortini, si può veicolare un forte interesse di capitale privato attraverso


Pag. 12

banche e BEI purché il legislatore si renda conto che deve dare una certezza all'investitore e che non può cambiare le regole in corso d'opera. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per la disponibilità dimostrata e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Greenpeace e della Fondazione per lo sviluppo Sostenibile.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l'audizione di rappresentanti di Greenpeace e della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Sono presenti il dottor Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace, e il dottor Barbabella, responsabile del settore energia della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ai quali do la parola.

GIUSEPPE ONUFRIO, Direttore esecutivo di Greenpeace. Ringrazio innanzitutto dell'invito che ci avete rivolto. Stiamo vivendo un momento molto particolare, perché ci siamo trovati, con questo dibattito sui nuovi decreti e sulle nuove strategie, all'indomani di un referendum che ha cancellato la prospettiva del nucleare, almeno nel breve e medio periodo, in una situazione nella quale il Governo precedente non ha sostanzialmente coinvolto le associazioni ambientaliste in nessun modo. Quindi, sia l'anno scorso che quest'anno abbiamo visto i decreti passare avendo la possibilità di intercettare soltanto marginalmente il dibattito. Ci troviamo, a fine anno, nella stessa condizione. Il tempo stringe, si arriva a fine anno e i decreti devono ancora uscire.
Vorrei fare una premessa sul contesto nel quale questo dibattito avviene in Italia. Tra pochi giorni avremo la road map europea al 2050, che contiene scenari, a quella data, prevalentemente basati sulle rinnovabili. La Germania ha già deciso uno scenario all'80 per cento, almeno per quanto riguarda l'elettricità, da rinnovabili al 2050 e di sostituire il nucleare con fonti rinnovabili. Questo significa, signor presidente, che noi ci saremmo aspettati, come associazione ambientalista, che il Ministero dello sviluppo economico, all'indomani del referendum e della decisione tedesca, svolgesse una conferenza, magari ascoltando anche gli ambientalisti, ma soprattutto l'industria.
È chiaro, infatti, che nel momento in cui la Germania va in quella direzione un compito di un Governo «normale», di un Ministero dello sviluppo economico «normale» è quello di capire come organizzare la filiera in Italia, considerato il forte interscambio economico esistente tra il nostro Paese e la Germania.
Poiché assistiamo ancora ad attacchi e polemiche sui costi delle rinnovabili, quindi si continua in qualche modo a mettere in discussione questa strategia, vorrei ricordare un'analisi molto recente non di Greenpeace ma dell'industria, di APER, che qualche giorno fa ha presentato un rapporto che si chiama «Energie senza bugie», nel quale si fa un confronto tra i costi effettivi cumulati da qui al 2020 sulle bollette degli italiani e i benefici sia in termini di bolletta - cioè in termini di costi della CO2 evitati, poiché come sapete dal 2013 il costo della CO2 sarà integralmente scaricato sui consumatori - in termini di costi legati all'effetto nel mercato elettrico della presenza di energia già incentivata. In questo senso, si sostiene che il 30 per cento del costo totale degli incentivi viene praticamente restituito attraverso altre forme nella stessa tariffa.
Quello che manca del tutto - credo che sarebbe compito del Parlamento più che nostro riferire al Governo, in una indagine conoscitiva - è una stima, che a me non risulta esistere, ma può darsi che sia un mio limite, del gettito IVA, IRPEF, IRPEG e IRAP che l'intero settore produce. Dal punto di vista strettamente economico, il finanziamento delle fonti rinnovabili è fatto dai cittadini ma produce un gettito netto allo Stato: i costi si pagano sulla


Pag. 13

bolletta, mentre i benefici, che sono di tipo fiscale, stanno sul bilancio dello Stato.
Questa mattina abbiamo dato vita a un'azione di protesta davanti a Palazzo Chigi proprio perché a Durban il Governo italiano, attraverso il Ministro dell'ambiente, continua a presentarsi con una posizione americana, quando in Europa l'obiettivo di confermare Kyoto e di agganciare a Kyoto la Cina e i Paesi emergenti è prioritario. Il nostro Paese, invece, continua a giocare come se fosse una dependance statunitense.
Per noi che siamo presenti, come organizzazione, in 41 Paesi nel mondo, l'effetto serra e il cambiamento del clima è la priorità ambientale più importante in assoluto. Anche negli scenari migliori, ossia di un aumento di soli due gradi della temperatura, la perdita di biodiversità attesa dalla comunità scientifica arriva fino al 30 per cento. Anche quando riuscissimo a frenare l'aumento dell'effetto serra, avremmo comunque dei danni; naturalmente se non freniamo questo aumento, i danni potrebbero essere ancora più catastrofici.
Oltre alla CO2, va ricordato che almeno 48 capoluoghi di provincia, secondo l'ISPRA, sono già fuori legge per le polveri sottili PM10. La normativa sulle PM 2,5 entrerà in vigore nel 2015 e noi abbiamo ancora progetti a carbone, come a Porto Tolle, e di sviluppo delle fonti fossili che hanno un impatto diretto su questi inquinanti, innanzitutto perché sono sorgenti di polveri fini in sé per sé. Inoltre, anche con nuove tecnologie che raggiungono livelli di controllo di questi inquinanti molto più spinti che nel passato, va ricordato che una quota importante (circa un terzo) delle polveri sottili che respirano gli abitanti di Bologna, secondo la Commissione europea, è dovuta alla trasformazione chimica in atmosfera di ossidi di azoto e ossidi di zolfo prodotti molto lontano.
Pertanto, quando guardiamo all'emergenza ambientale che coinvolge l'intero Paese e certamente l'intera pianura padana, senza nessuna eccezione, dobbiamo dire che la produzione da fossili, gli inceneritori che hanno avuto, attraverso il meccanismo del CIP6 un aiuto indebito (quella non è una fonte rinnovabile, ma è una fonte che ha un carico di CO2, per parlare solo di questo, simile a quello delle fonti fossili, a causa della bassa efficienza di questi impianti) hanno un impatto sulla salute che fa parte dell'emergenza che i sindaci ogni giorno si trovano a dover contrastare con misure, come quella delle targhe alterne, che sono palliative - come sappiamo, infatti, le targhe alterne non fermano peraltro la quota del traffico più inquinante, quella commerciale, dei vecchi veicoli diesel - e non possono far nulla contro l'inquinamento che viene da sorgenti più lontane come le centrali.
Nel decreto che si sta discutendo i livelli di riferimento per la produzione da rinnovabili al 2020 finalmente cominciano ad avvicinarsi a una realtà. Voglio ricordare che l'anno scorso abbiamo avuto dal ministero una bozza di piano di azione sulle rinnovabili che prevedeva 119 terawattora al 2020. In realtà, però, la discussione è avvenuta su un'altra bozza, quella finale, dove il totale è stato depurato di 20 miliardi di chilowattora. Oggi si sta tornando a discutere di cifre che sono superiori alla bozza preliminare dell'anno scorso.
Questo modo con cui si procede nel nostro Paese è un modo che noi interpretiamo come una sorta di stop and go e di messaggi costantemente confusi a un settore che, in una situazione in cui il legislatore cambia le norme ogni sei mesi o in cui vengono mandati messaggi contraddittori, non può pianificare sul lungo periodo. Questo ha in primo luogo l'effetto che gli obiettivi arrivano lo stesso; certo, chi interviene dopo può pensare di far pagare ad altri il costo iniziale, per arrivare a tecnologie tali da scontare il proprio ritardo a costi più bassi. Questo è vero se si guarda all'investimento anno per anno, ma è una strategia sbagliata se, come io ritengo sia nell'interesse dell'Italia, si vuole costruire una filiera in questo Paese. In questa situazione, infatti, anche su un aspetto così rilevante e strategico


Pag. 14

per l'Unione europea, avremo un profilo dell'industria più debole di quello che potremmo avere.
Vi è un altro aspetto che riguarda un elemento che noi abbiamo contestato in sede europea e contestiamo anche in sede italiana. In Italia facciamo riferimento alle tabelle della direttiva del 2009 per la definizione di biocombustibili liquidi sostenibili. Voglio sottolineare che in Italia abbiamo una proliferazione di impianti a oli vegetali, i quali sono prevalentemente di importazione da aree sottoposte a deforestazione. Pertanto, la valutazione contenuta nell'allegato 5 della direttiva europea che fornisce le quote standard di effettiva riduzione delle emissioni di CO2 da tipo di filiera non tiene conto però del fatto che, ammesso e non concesso che quei numeri vadano bene anche nel caso dell'Indonesia e della Malesia, dove la piantagione a olio di palma viene fatta deforestando foresta primaria su terreni di torba, che quando vengono preparati per la piantagione vengono incendiati e quindi è come incendiare carbone, il bilancio nel caso di deforestazione in questi Paesi ha una doppia negatività ambientale.
La prima è la perdita di biodiversità, perché una foresta primaria e una piantagione sono due cose diverse dal punto di vista biologico; la seconda deriva dal fatto che, dal punto di vista dell'emissione di CO2 l'uso dell'olio vegetale combustibile è ampiamente peggiorativa perché per poter mandare in produzione l'olio di palma con quelle quote - la Commissione europea fissa un taglio del 29 per cento rispetto al diesel, che è il combustibile di riferimento - non c'è un taglio, ma, se si mette in conto anche la preparazione della piantagione, c'è un effetto negativo netto, per cui l'uso dell'olio di palma per molti anni si traduce in un fattore di emissione netta di CO2.
L'altro aspetto riguarda le richieste formulate da alcuni settori di rimettere in incentivazione la termovalorizzazione. Voglio ricordare che il programma di Governo di centrodestra dell'Inghilterra, su richiesta degli ambientalisti e di Greenpeace in quel Paese, ha messo uno stop ai termovalorizzatori, ha introdotto invece la tecnologia del biogas, quindi la produzione energetica da rifiuti viene fatta attraverso impianti a biogas, cosa che a noi va bene.
Tutto quello che è produzione termomeccanica biologica a freddo che può produrre anche elettricità dal punto di vista proprio del biogas va bene, ma siamo contrari ai termovalorizzatori perché, poiché per il CDR la componente energetica è almeno al 50 per cento legata alle plastiche e questi impianti sono costruiti per abbattere gli inquinanti con efficienze elettriche dell'ordine del 20 per cento, quando va bene, l'effetto netto delle emissioni su chilowattora da termovalorizzatore non è diverso da quello delle fonti fossili, si situa a livello intermedio tra il gas e il carbone.
Non si capisce quindi perché, quando tutta la politica è legata al taglio delle emissioni di CO2, questi impianti che non stanno dentro l'ETS, non stanno dentro alcun meccanismo di controllo vengano addirittura finanziati. Capisco che non si possa proibirli, anche se noi li combattiamo, però mi sembra assurdo che vengano addirittura finanziati!
Dal punto di vista della produzione di biogas, vediamo che anche con i meccanismi attuali la gestione della componente organica dei rifiuti per produrre biogas, che va anche in produzione di elettricità verde, è già dentro i meccanismi, e quindi è opportuno che venga incentivato perché in quel caso la CO2 è tutta di origine biologica. Grazie.

ANDREA BARBABELLA, Responsabile del settore energia della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Grazie, presidente. Ho preparato una presentazione, che vi lascio ed era tarata per mezz'ora, ma abbiamo dieci minuti quindi la presento per titoli.
Faccio parte della Fondazione per lo sviluppo sostenibile fondata da Edo Ronchi, ex Ministro dell'ambiente. Si tratta di una fondazione di imprese che lavorano nella Green economy e quindi la nostra attività è connessa a questo interesse particolare.


Pag. 15


In questo momento, stiamo redigendo una road map per l'Italia, che adesso vi mostro, ma che non ho il tempo di commentare, che parte dal quadro europeo. Volendo delineare le più recenti direttive europee sul tema dell'energia, possiamo dire che l'Europa va verso un sistema integrato a livello europeo, quindi i vari sistemi energetici dei singoli Paesi devono cominciare a essere pensati in un contesto europeo.
In particolare per le rinnovabili questo sarà particolarmente importante per quanto riguarda la produzione elettrica, perché significa andare verso un modello di scambio tra i vari Paesi e quindi anche di compensazione dell'aleatorietà e di tutte quelle cose che sappiamo bene.
La pianificazione energetica è una pianificazione integrata con quella climatica, il pacchetto clima energia del 2007 che ben conosciamo sostanzialmente ci dice che la pianificazione energetica deve essere fatta parallelamente e in maniera integrata con la pianificazione della mitigazione dei cambiamenti climatici, quindi la riduzione delle emissioni.
Rinnovabili ed efficienza energetica sono al centro della politica energetica, di tutte le decisioni del Consiglio e della Commissione europea, e prima di tutto lo sono come fattori di sicurezza energetica e di sviluppo economico, cioè vengono inquadrati in questo contesto.
A questo punto mi aggancio per illustrarvi il lavoro che stiamo facendo, sottolineando come il pacchetto 20-20-20 venga visto in Unione europea semplicemente con una primissima tappa, e in realtà quegli obiettivi di fatto sono già stati superati.
L'ultimo Rapporto dell'Agenzia europea mostra come l'Unione europea abbia già raggiunto e superato il 15 per cento di riduzione delle emissioni su base 90 e raggiungerà con estrema facilità l'obiettivo del meno 20 per cento al 2020. Come sapete, c'è un dibattito aperto sulla possibilità di alzare l'obiettivo del meno 20 per cento al 25 o al 30 per cento.
Recentemente, come evidenziato dal dottor Onufrio, la Commissione ha presentato questa road map europea che va al 2050; è un documento della Commissione e delinea quale dovrebbe essere il percorso delle emissioni per l'Unione europea, per arrivare a ridurre dell'80 per cento, che è la quota indicata dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) come obiettivo al 2050 per i Paesi altamente sviluppati, utilizzando come approccio quello della cosiddetta «convergenza e contrazione», cioè ipotizzando che tutti i Paesi sul lungo periodo arrivino a un livello di emissione uguale in termini pro capite.
Questo è il risultato ripartito per settori, da cui si vede che al 2030 la riduzione totale delle emissioni dell'Unione europea prevista è tra il 40 e il 44-45 per cento, per arrivare all'80 per cento nel 2050. Risulta interessante notare che all'interno del pacchetto è scritto in maniera chiara che, se si darà piena attuazione a tutte le politiche europee in materia di energia, incluse quelle dell'efficienza, il passaggio al 2020 non sarà a meno 20 per cento, ma sarà a meno 25 per cento e addirittura a meno 30, qualora tutta la normativa sull'efficienza energetica venisse implementata.
Noi abbiamo preso questa indicazione europea e l'abbiamo tradotta a livello italiano, quindi vi mostro un draft che deve essere ancora presentato e non è definitivo. Questa è la situazione dell'Italia, che oggi, come la Fondazione aveva anticipato a inizio dell'anno, nel 2010, nonostante la risalita dei consumi e delle emissioni, è ancora al di sotto del target di Kyoto, considerando anche assorbimenti e meccanismi flessibili.
Questa è la proposta che facciamo per il 2030. Adesso procedo velocemente. Questa è l'ipotesi di base di questo scenario, cioè che tutti i Paesi europei arrivino a convergenza delle proprie emissioni al 2030 e poi alle emissioni pro capite a cui devono arrivare al 2050 fissate dalla road map. In questo modo l'Italia è avvantaggiata, perché parte con emissioni pro capite più basse e quindi da qui al 2030 quella che è la linea blu tra le più basse chiaramente deve scendere meno.


Pag. 16


Questo significa che dal 2030 dovrà cominciare a marciare a un ritmo più sostenuto di quello che noi indichiamo qui. Adesso non posso entrare nel dettaglio, ma questo è lo scenario sui consumi finali. Sono indicati due scenari, uno più estremo e uno meno estremo, ovvero uno a 40 e uno a 44 per cento di riduzione delle emissioni a livello europeo al 2030.
Nel primo scenario i consumi finali passerebbero dagli attuali 126 a 121 Mega TEP, mentre in quello verde più estremo ci sarebbero da 124 a 116 Mega TEP. Questo vuole dire semplicemente tra i 24 e i 30 Mega TEP, milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, di misure di efficienza. Oggi ne abbiamo pianificate da qui al 2020 secondo il panel 12, che dovranno però essere implementate.
Questi sono i consumi primari per vettori, che non illustro. Vi dico solo che per fare questo scenario obiettivo al 2030 arriveremo a un mix produttivo, che vedrebbe le rinnovabili a un terzo circa delle fonti energetiche in primaria, e i due terzi sarebbero ancora fossili, con una preponderanza di gas.
Queste sono le emissioni. Attuare questo scenario significherebbe arrivare a livelli di emissione tra i 412 e i 380 milioni di tonnellate di CO2 al netto dei meccanismi flessibili, quindi non sono inclusi, quindi sostanzialmente arrivare tra il 20 e il 27 per cento di riduzione delle emissioni su base 90 per l'Italia, che oggi deve fare il 6,5 per cento, mentre al 2020 il conto è più complesso perché c'è ETS e non ETS, ma l'impegno richiesto è molto basso, cioè dovremmo fare su base 90 fra il 7 e l'8 per cento, quindi non è molto diverso. Il 20 per cento è un impegno comunque significativo, non diciamo di no.
Questa è una sintesi di quello che succederebbe: vediamo che nell'elettrico la quota di rinnovabili oscillerebbe tra il 44 e il 49 per cento sulla produzione al 2030. Ci sarebbe anche una buona penetrazione prevista del CCS sul carbone, altrimenti l'opzione del carbone non potrebbe entrare in questo scenario, e dovremmo arrivare a fare tra 6 e 10 terawattora di carbone in CCS al 2030, e ci sarebbe una buona penetrazione anche della mobilità elettrica, quindi auto e treni, che sarebbe compresa fra gli 8 e gli 11 terawattora al 2030.
Queste slide rimarranno a vostra disposizione, quindi vi prego solo di considerare che si tratta di un draft e quindi lo presenteremo il prossimo anno.
Infine, quattro rapidi punti di raccomandazioni. In questo momento si stanno deliberando i decreti ministeriali attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011, e su questo noi indichiamo quattro punti prioritari. Il primo riguarda non questi decreti, ma un aspetto più generale: prendere spunto dalle indicazioni europee e fare la pianificazione energetica integrata con quella climatica. Noi non lo stiamo facendo, abbiamo due ministeri che si occupano delle due discipline in maniera non pienamente coordinata, abbiamo un panel senza una valutazione sull'emissione di CO2, abbiamo un piano dell'efficienza energetica presentato poco fa dal Governo di quest'anno, che non è del tutto coerente con il Piano nazionale delle rinnovabili, e poi abbiamo tutta un'altra serie di strumenti di pianificazione, che sono quelli sui trasporti, ai quali si richiede un impegno enorme in termini di efficienza, e quello sull'assetto territoriale, che non sono sempre coordinati o non è chiaro in che modo si coordinino con le indicazioni generali.
Questo è il confronto tra i vari Paesi (Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito) sull'impegno messo nei piani di azione delle rinnovabili. Guardando la variazione in percentuale 2010-2020 si constata che l'Italia prevede l'aumento di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili più basso di tutti. Rispetto al 2010, infatti, al 2020 dovremmo fare un più 28 per cento rispetto a quello che già facciamo oggi, contro il più 115 per cento della Germania, il più 90 per cento della Francia e così via.
Questo vuol dire che probabilmente, anche a valle del fatto che non è più aggiornato, il panel andrà aggiornato innanzitutto per tenere conto del fotovoltaico, che non è incluso, e probabilmente sarà anche necessario rivedere l'equilibrio


Pag. 17

tra termico ed elettrico. Abbiamo un panel molto sbilanciato sul termico rispetto ai piani analoghi degli altri Paesi, e secondo noi sarebbe il caso di rivedere anche questa ripartizione.
Secondo punto: va integrata anche la pianificazione territoriale nella pianificazione energetica. La settimana scorsa non siamo potuti venire perché eravamo a Bruxelles, alla cerimonia del Patto dei Sindaci. Le fonti rinnovabili si fanno sul territorio, non si fanno in astratto, sono un sistema di impianti diffusi e per questo serve il coinvolgimento degli enti locali.
A Bruxelles è stato confermato che la nuova programmazione 2014-2020 dell'Unione europea va in questa direzione, introducendo criteri premiali per gli enti locali più virtuosi - lo stanno discutendo e ormai è incluso in questo sistema -, e noi raccomandiamo di approvare quanto prima il meccanismo efficace e vincolante per il burden sharing regionale, perché da lì a cascata si sviluppano gli impegni per gli enti locali, individuare dei criteri premiali in tutti gli incentivi, anche non necessariamente rivolti all'energia.
Bisogna premiare i Comuni virtuosi, quindi bisogna far sì che negli incentivi che vengono dati, nelle assegnazioni dei fondi strutturali (FESR, FSE) che sono ancora nelle regioni e non sono stati spesi, siano inseriti quanto più possibile criteri di premialità e sviluppare le infrastrutture energetiche, quindi reti e accumuli. Senza questi le rinnovabili non andranno lontane.
Terzo punto: rendere più efficienti i procedimenti amministrativi è il terzo punto, su cui non mi dilungo. Devono essere ancora pienamente recepite le linee guida del 2010, ma faccio notare che nelle bozze dei decreti ministeriali attuativi che abbiamo potuto vedere sull'elettrico c'è il discorso delle aste, ma non solo quello: c'è una serie di complicazioni, che vanno contro quello che viene indicato dallo stesso decreto legislativo in cui si indica come prioritaria la semplificazione amministrativa. Stiamo producendo decreti che creeranno maggiori problemi e ostacoli alle imprese.
Il quarto e ultimo punto è far sì che il quadro di incentivazione sia adeguato. Proponiamo quindi solo questi quattro punti e di accelerare quanto più possibile l'emanazione dei decreti, perché siamo in una fase di incertezza e i dati ci dicono che gli investimenti delle imprese italiane già quest'anno si sono spostati all'estero, quindi più aspettiamo e più dilatiamo questo senso di attesa e di incertezza che è deleterio dal punto di vista economico.
Le tariffe incentivanti, come previsto dalle bozze dei decreti in nostro possesso, devono partire dallo stato attuale, cioè dal fatto che esiste un sistema attuale di certificati verdi (che naturalmente cambierà) e che bisogna partire da lì perché, considerando la giustapposizione tra i dati al 2010 e quelli previsti dal panel al 2020, siamo un po' sopra le previsioni in termini di potenza installata (30.000 megawatt contro 27,5), ma questo dipende in parte dal fotovoltaico, un po' dalle biomasse, però siamo in linea.
Il criterio che sembra essere inserito nel decreto ministeriale è il 110-120 per cento in più, cioè possiamo sopportare una crescita delle rinnovabili fino al 20 per cento in più degli obiettivi, quindi siamo in linea. Questo vuol dire anche che le attuali tariffe (fotovoltaico escluso) non stanno facendo esplodere qualche speculazione, cioè siamo abbastanza in linea con gli obiettivi che ci dovremmo dare.
Il terzo punto è quello di prevedere un meccanismo che sia collegato agli obiettivi. Abbiamo degli obiettivi annui e, come è stato fatto per il «Quarto conto energia», quel meccanismo va benissimo e possiamo replicarlo per tutte le altre fonti energetiche, però con un'attenzione: che sia bidirezionale, cioè nel «Quarto conto energia» il meccanismo è solo di taglio: se andiamo sopra il tetto dell'obiettivo annuo, si taglia l'incentivo, ma non è previsto il contrario: se stiamo troppo sotto l'obiettivo, non viene aumentato l'incentivo. Dobbiamo prevedere un meccanismo che lavori in tutte e due le direzioni.
L'ultimo punto è garantire la prosecuzione dell'attività degli impianti esistenti senza fare tagli retroattivi, come in parte


Pag. 18

già si è fatto con il 78 per cento, però stiamo molto attenti perché si rischia di perdere impianti che oggi stanno lavorando, e quello sarebbe il danno maggiore.
Sostenere, come al momento dalle bozze di decreto ministeriale non sembrano esserci, i rifacimenti e le ricostruzioni: si tratta di impianti che aumenterebbero la propria efficienza con spesa inferiore, per cui, invece di finanziare un impianto nuovo, possiamo finanziare il rifacimento, la ristrutturazione o la ricostruzione di un impianto esistente, spendendo meno. Dobbiamo evitare di porre vincoli su questo. Grazie.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti di Greenpeace (vedi allegato 3) e della Fondazione per lo sviluppo sostenibile (vedi allegato 4).
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Sarò telegrafico. Ho visto che i dati vanno molto aggiornati, perché ad esempio sul solare fotovoltaico l'obiettivo al 2015 è sottostimato.
Vorrei sollevare due aspetti, uno per il dottor Onufrio, vista anche la dimensione internazionale di Greenpeace. C'è il problema di garantire stabilità all'innovazione tecnologica nel campo delle rinnovabili con un andamento decrescente dei contributi, e capire quali sono i meccanismi.
La verità è che in Italia abbiamo monetizzato l'inefficienza amministrativa e le complicazioni burocratiche, perché abbiamo dato sicuramente più di quanto veniva dato in altri Paesi, perché questo tendeva a compensare, aprendo però anche lo spazio per speculazioni e per il non consolidamento di una filiera industriale nazionale - quanto il dottor Onufrio diceva prima riguardo alla metabolizzazione di queste cose - a causa di stop and go di questa natura.
Oggi nella bolletta c'è un peso rilevante delle fonti rinnovabili, perché oggi il peso delle fonti in bolletta italiana è paragonabile a quello della Germania, considerando le dimensioni dei due Stati. Vorrei dunque capire se voi abbiate fatto anche delle simulazioni su quali possano essere le strumentazioni minori e anche l'andamento tale da accompagnare pienamente nell'ingresso del mercato le bollette.
Sulla termovalorizzazione concordo abbastanza con le considerazioni del dottor Onufrio, anche se quella fonte di energia è una fonte nazionale, quindi se non riduce la CO2 riduce almeno la dipendenza dai combustibili fossili.
Mi soffermo, invece, sulla notizia che una delle cose provenienti dalla Germania è una formidabile incentivazione con l'obiettivo di arrivare a 6 milioni di auto elettriche nel 2020, che mi sembra un obiettivo francamente ambizioso.
Vorrei capire se questo corrisponda al vero e che giudizio dia Greenpeace di questa partita, come questo si intrecci con la partita delle rinnovabili in Germania.

PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti di Greenpeace e della Fondazione per lo sviluppo sostenibile per una breve replica.

GIUSEPPE ONUFRIO, Direttore esecutivo di Greenpeace. Per quanto riguarda come tener conto delle innovazioni nelle varie fonti, non abbiamo fatto una simulazione, ma vogliamo rilevare qui il fatto che nella proposta di decreto, ammesso che siano quelle che stanno discutendo perché abbiamo visto una versione, si presuppone una caduta della tariffa percentuale del 2,5 per cento all'anno per tutti.
Questo è profondamente sbagliato, perché l'innovazione nel settore fotovoltaico non è confrontabile con quella che può esserci nell'idroelettrico, cioè l'aumento delle efficienze relative e del taglio dei costi per unità di potenza installata nel caso del fotovoltaico ha uno storico e si può vedere bene in quello che è successo negli ultimi dieci o quindici anni, nell'idroelettrico fondamentalmente vi è una curva piatta, perché i miglioramenti delle turbine solo già stati fatti e c'è poco da aggiungere.


Pag. 19


Per le biomasse probabilmente si può fare una cosa intermedia, ma l'idea che si taglino le tariffe in maniera lineare per tutte le fonti è discutibile, e noi continuiamo a dire che un approccio alla tedesca con un feed in dedicato per tecnologia è l'unica cosa che consente di avere una tariffa che segue quel mercato e i cui coefficienti sono legati a un'analisi effettiva del mercato.
Sull'auto elettrica non saprei dire se lo scenario della Germania sia realistico. Posso solo dire che nel nostro scenario europeo al 2050 introduciamo anche noi una quota crescente di elettricità per trasporti: abbiamo due versioni, uno scenario di rivoluzione energetica e uno più spinto. In quello più spinto abbiamo introdotto una quota di rilevante di elettricità per trasporti, però al 2050 l'Europa va al 97 per cento con rinnovabili.
Lo abbiamo preso perché l'industria dice che vuole farlo: non abbiamo un giudizio di Greenpeace sul fatto che l'industria ce la faccia o meno, però, siccome i piani soprattutto di alcune case automobilistiche francesi e di alcuni Governi sono quelli di espandere in prospettiva una mobilità che richiederà una trasformazione culturale oltre che tecnologica, perché si tratta di veicoli che hanno caratteristiche diverse da quelle a cui siamo abituati.
Sappiamo che l'industria automobilistica italiana o italo-americana crede poco all'elettrico e guarda di più al gas, anche perché il mercato di riferimento in questo momento ha un eccesso di offerta di gas, ma al contrario diciamo che esiste la possibilità di andare oltre la road map europea, cioè di andare al 97 per cento del taglio delle emissioni e di utilizzo di fonti rinnovabili, anche considerando che occorre una quota di elettricità crescente per i trasporti.
Anche assumendo, cioè, le assunzioni ottimistiche, non diamo un giudizio di merito perché non ci occupiamo del settore dei trasporti così dettagliatamente, ma prendendo per buone le speranze o la visione di una crescente mobilità per veicoli elettrici, le rinnovabili in Europa, se si fanno investimenti infrastrutturali nelle reti - a luglio abbiamo presentato con Terna il nostro rapporto europeo sulle reti, da cui emerge una cosa molto importante: se l'Europa si integra dal punto di vista della rete elettrica con linee di trasmissione in corrente continua ad alta tensione, le necessità dei singoli Paesi di accumuli sono molto limitate sia per gli accumuli, che per la gestione dei picchi.
Detto in altre parole, un'Europa unita dal punto di vista energetico ottimizzerebbe l'eccesso di produzione eolica dell'Europa del nord con l'eccesso di produzione solare dell'Europa del sud. Da questo punto di vista, ci auguriamo che il progetto europeo rimanga un progetto di riferimento, perché possiamo fare la rivoluzione energetica in Europa, ma arrivare a cifre molto alte nel singolo Paese è difficile perché al 2050 la quota di elettricità da fonti rinnovabili intermittente è molto ampia, quindi o c'è una possibilità di comunicare tra zone diverse dell'Europa e di scambiarsi gli eccessi di potenza istantanea o sarà più difficile raggiungere gli obiettivi.
Per il resto, qualcuno si lamenta anche dell'impatto delle rinnovabili sulla rete elettrica, ma vorrei ricordare che la Spagna ha già superato in alcuni giorni dell'anno il 50 per cento di produzione da fonti rinnovabili intermittenti e non ha una rete elettrica intelligente. Ci sono già oggi capacità di gestione della rete, che consentono di assorbire delle quote molto ampie di fonti intermittenti, perché queste fonti intermittenti sono più prevedibili di quello che sembra.
La statistica ci consente di avere margini molto tranquilli per la gestione. Il lavoro di APER fa una stima dei costi e dei benefici. Quello che manca e che io non ho trovato da nessuna parte è il volume dei gettiti fiscali prodotti da rinnovabili, che sono un'entrata netta dello Stato a fronte di nessun investimento, perché sono i cittadini a pagare.


Pag. 20

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Vorrei solo dire che capisco che Greenpeace, anche in una dimensione internazionale, possa dare più importanza alle rinnovabili elettriche, però considero questa vostra relazione riferita all'Italia eccessivamente sbilanciata sull'elettrico.
L'audizione prima della vostra ha molto bene evidenziato quanto in termini di economicità le rinnovabili termiche e l'efficienza energetica possano contribuire anche in termini ambientali al miglioramento della situazione del nostro Paese. Non so se abbiate delle analisi sull'apporto delle rinnovabili termiche e delle proposte a questo riguardo, perché in termini di costi e benefici, o si comparano le varie fonti tra di loro o altrimenti anche lo studio dell'APER è fine a se stesso, nel senso che è riferito a un comparto specifico e non è rapportato ai benefici che possono provenire da altri comparti.
Sulla questione dell'aria capisco e condivido il fatto che ci sia un'emergenza ambientale, ma credo che sia fondamentalmente un'emergenza di legalità se è vero che nella pianura padana - io sto seguendo in particolare il Veneto -, ma non ci sono i piani dell'aria.
Mi chiedo quindi come si possa trovare una soluzione, se non si rientra nella legalità.
L'ultima questione posta dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile riguardava la necessità di pianificazione territoriale, ma credo che lo sviluppo delle rinnovabili debba essere pianificato anche a livello territoriale, ma non a scapito dell'occupazione di ulteriore territorio.
Credo che la situazione di dissesto idrogeologico del nostro Paese debba porre come prioritaria nello sviluppo in termini industriali in cui appunto si sta prospettando grazie a questo folle sistema di incentivazione un non ulteriore degrado e occupazione del territorio.
Al dottor Onufrio dico anche che per quanto riguarda i ritorni da IRPEF, alcuni studi di Assosolare documentano quanto ha portato questo sistema di incentivazione sotto questo aspetto.

ANDREA BARBABELLA, Responsabile del settore energia della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Grazie, presidente. Quello delle auto elettriche è un argomento complesso e ancora imprevedibile, nel senso che è difficile fare previsioni.
Sul discorso della maturità tecnologica e della sostenibilità degli incentivi, il caso del fotovoltaico è un caso a sé, nel senso che per quanto riguarda tutte le altre tecnologie di cui parliamo ho parlato escludendo sempre il fotovoltaico e non presentano quelle dinamiche né quei rischi.
Si può quindi già immaginare un sistema di incentivi non progressivo come il fotovoltaico, ma più coerente. Ho saltato la slide delle semplificazioni, però il country report dello studio europeo sull'integrazione delle rinnovabili in Italia, che verrà presentato domani, 7 dicembre, indica come barriera principale all'integrazione delle rinnovabili proprio le cause amministrative, le lentezze burocratiche.
Non abbiamo dunque incentivi esplosivi: abbiamo incentivi più alti della media europea, perché abbiamo costi legati al meccanismo di autorizzazione che sono troppo lunghi. Basterebbe che le linee-guida fossero rese attuative dal 2010 (dovevano diventarlo entro 90 giorni, ma pochissime Regioni le hanno recepite) per fare passi avanti.
Infine, non ci sono grossi margini di miglioramento sulle altre fonti, quindi bisogna stare attenti quando prevediamo la progressività delle tariffe che verrà inserita nel decreto ministeriale, prevedendo che alcune fonti come l'idroelettrico potrebbero avere progressività inversa, cioè potrebbero aumentare i propri costi perché la tecnologia è matura, mentre su altre come l'eolico un minimo di progressione si può fare.


Pag. 21


Stiamo attenti però a non fare quello che abbiamo fatto con il fotovoltaico. Con il fotovoltaico abbiamo previsto una progressività molto spinta e questo ha provocato l'ingolfamento nel 2011, perché gli imprenditori hanno paura in quanto sanno che già da metà dell'anno prossimo, cioè dal secondo semestre del 2012 e nel primo semestre del 2013 gli incentivi non saranno più convenienti, quindi loro non potranno più investire.
Stanno quindi ingolfando il mercato e facendo quello stop and go cui accennavamo prima.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per la disponibilità dimostrata e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.

[Avanti]
Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive