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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
19.
Giovedì 15 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO, LA DIFESA DEL SUOLO E IL CONTRASTO AGLI INCENDI BOSCHIVI

Audizione del professor Paolo Pileri del Politecnico di Milano, di rappresentanti dell'Istituto nazionale di urbanistica (INU) e di Legambiente:

Alessandri Angelo, Presidente ... 2 9
Tortoli Roberto, Presidente ... 13 16
Arcidiacono Andrea, Rappresentante dell'Istituto nazionale di urbanistica ... 7
Nucara Francesco (Misto-RRP) ... 5 10 12
Pileri Paolo, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano ... 2 4 5 13 15
Realacci Ermete (PD) ... 4
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 12 15
Zanchini Edoardo, Responsabile per l'urbanistica di Legambiente ... 5 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 15 ottobre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANGELO ALESSANDRI

La seduta comincia alle 12,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Paolo Pileri del Politecnico di Milano, di rappresentanti dell'Istituto nazionale di urbanistica (INU) e di Legambiente.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi, l'audizione del professor Paolo Pileri del Politecnico di Milano, nonché di rappresentanti dell'Istituto nazionale di urbanistica (INU) e di Legambiente.
Do la parola agli auditi.

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. Noi abbiamo preparato una veloce presentazione in PowerPoint, che possiamo lasciare. Presentiamo l'attività che abbiamo realizzato e che poi si è sedimentata in un rapporto che abbiamo con noi, il primo rapporto dell'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, di cui vi lasciamo una copia.
Spiego brevemente il perché di questo Osservatorio, che nasce l'anno scorso dalla collaborazione di tre soggetti, il Politecnico di Milano col Dipartimento di architettura e pianificazione, l'INU (Istituto nazionale di urbanistica) e Legambiente, che, come sapete bene, è un'associazione importante per la difesa dell'ambiente.
La tematica che ci sta a cuore è capire le dinamiche di trasformazione dei suoli, da suoli agricoli a urbanizzati o boscati, da suoli boscati a suoli urbanizzati, e via elencando. Esiste un'attenzione in merito anche a livello internazionale; l'Agenzia europea per l'ambiente dell'Unione Europea ha pubblicato un rapporto importante nel 2006, che si chiama urban sprawl. La sfida ignorata, in cui fondamentalmente mette il punto sull'importanza di conoscere come variano i suoli. Infatti, ogni suolo che cambia il suo uso ha un effetto ambientale molteplice: diminuisce la capacità di sequestro di CO2, diminuisce la capacità di esprimere un livello di biodiversità, cambia il grado di permeabilità del suolo e questa è una questione importantissima, se è vero che, anche con riferimento a recenti fatti di cronaca, le funzioni biologiche e idrogeologiche vedono nell'uso indiscriminato del suolo un importantissimo tassello.
Questo argomento è sostanzialmente ignorato nel nostro Paese. Non esiste un Osservatorio, non esistono cartografie a livello nazionale su questo tema. In questo momento, se voi voleste, per esempio, conoscere qual è la superficie urbanizzata in Italia, fareste molta fatica a saperlo, perché non c'è una cartografia adeguata per avere questo dato. Esiste solo una base


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dati europea, che si chiama Corine-Land cover, che però è come una persona miope, che, non avendo gli occhiali, non riesce a vedere alcune cose. Questa base dati geografica europea non vede, infatti, le «cose» più piccole di venticinque ettari. Voi capite, quindi, che tutto il nostro urbanizzato diffuso non viene assolutamente visto dalle base dati europee, dalle quali viene fuori che abbiamo una superficie urbanizzata bassa.
La verità è che in Italia tutti si occupano di pianificazione territoriale e ambientale. L'uso del suolo è gestito dai comuni, dalle province e dalle regioni che prendono le decisioni di cambiarlo. Tali decisioni avvengono in modo frammentato, certo, ma la loro somma determina trasformazioni dei suoli molto forti.
Abbiamo iniziato questo lavoro un anno fa, con l'ingenuità e la pretesa di rivolgerci a tutte le regioni e a tutti i loro servizi cartografici, domandando la cartografia di uso del suolo su due soglie temporali. È evidente che, se vogliamo capire i consumi e quindi i trend, abbiamo bisogno di averli a un tempo zero (il 1990) e a un tempo due (il 2000): la differenza ci avrebbe fatto capire dove e quanto è aumentata l'urbanizzazione. Occorrono quindi due cartografie. Bene, noi abbiamo contattato tutte le regioni, ma le sole veramente in grado di rispondere sono state solo tre, più la provincia di Torino: questi sono gli unici enti ad avere un loro Osservatorio sul consumo e sull'uso dei suoli.
Spesso ci chiedono perché abbiamo fatto così poco in un anno, però credo che questo sia un primo importante risultato: avere accertato, cioè, che in questo momento, i database sugli usi del suolo in questo Paese sono deficitari; sebbene si tratti di informazioni importantissime per la pianificazione, queste non ci sono, nonostante la pianificazione territoriale vada avanti comunque. Tutti gli 8000 comuni, infatti, continuano a fare i piani regolatori, a prendere decisioni sull'uso del suolo, senza conoscere esattamente - scusate il tono - qual è la superficie urbanizzata e tanto meno dove sia collocata, anche quantitativamente, né quanto sia aumentata nel tempo. Questo è il primo punto.
Un altro punto riguarda l'omogeneità dei linguaggi tecnici. Esiste un organismo interregionale che si chiama CISIS, riportato anche nel rapporto che abbiamo redatto, il cui compito è tentare di uniformare anche i linguaggi. Ogni regione ha il proprio: fate conto, per esempio, che le aree produttive per la regione Lombardia possono essere quelle dove troviamo aree artigianali e industria pesante, mentre per la regione Lazio sono solo le aree artigianali. Si pone quindi un problema di uniformità dei linguaggi, su cui poi si possono svolgere osservazioni congrue. Abbiamo una leggenda, a livello europeo, a cui dovremo tendere ed è importante farlo al più presto, perché, altrimenti, parlando linguaggi diversi, vengono fuori informazioni altrettanto diverse.
La situazione, come avete capito, con tutto il rispetto del caso, appare fuori controllo, anzitutto nel senso della conoscenza. L'ex direttore generale dell'Agenzia europea dell'ambiente sosteneva che non si gestisce ciò che non si misura. Credo che questa espressione, forse un po' ingegneristica, esprime però emblematicamente la situazione per cui, se non conosciamo gli usi del suolo, è difficile poi pensare di gestirli.
L'altra questione riguarda anche il punto di vista culturale, che non è da sottovalutare: non si conosce, non si ha consapevolezza, si trasforma senza eccessive preoccupazioni. Scusate le frasi un po' forti, ma servono a rendere l'idea. Esiste un principio internazionale, il principio di precauzione, che afferma che se non si conosce il danno ambientale che si potrebbe generare non si realizza un'opera. In realtà, molto spesso, purtroppo, non conoscendo, si realizza perché non si conosce.
Con il nostro studio abbiamo definito che cosa intendiamo per consumo di suolo riferendoci al panorama internazionale attualmente più avanzato, e quindi al citato rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente. È in arrivo una direttiva suoli ed è molto probabile che essa si prenderà carico,


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sul piano normativo, di questa definizione. Esiste una metodologia - su cui non mi dilungo - che, a prescindere dalle differenze, fa capire discretamente come ogni singola area si sia trasformata tra un periodo e l'altro.
Vengo velocemente ai numeri, in modo che anche i colleghi possano avere, giustamente, lo spazio per svolgere alcune considerazioni. I numeri sono gli elementi che magari vi rimarranno un po' più impressi, come è accaduto a noi, perché ci hanno dato il polso della situazione. Delle quattro regioni di cui dicevamo, Lombardia, Emilia Romagna, Friuli e Piemonte, in Lombardia avviene che ogni giorno dieci ettari di suolo vengono urbanizzati. Prendendo l'urbanizzazione compiuta tra il 1999 e il 2005 e dividendola i numeri sono quelli che vedete nella slide. Li abbiamo ridivisi molte volte perché sono numeri importanti: fate conto che la Svizzera ha un consumo di circa 8 ettari al giorno e che la Germania ne ha uno inferiore a quello della Lombardia, rapportato agli abitanti. In Lombardia sono circa 5 metri quadri per abitante per anno, mentre in Germania sono 4,5.
La differenza è, inoltre, che gli altri Paesi europei, come Germania, Svizzera, Olanda - nel numero 138 di Urbanistica, rivista dell'INU, forse la più importante, c'è anche un riscontro dell'atteggiamento di altri Paesi europei - sono molto più avanti nelle misure di contrasto, di contenimento dell'uso del suolo, anche sotto il profilo fiscale. Se è vero, quindi, che ci sono consumi simili ai nostri, è vero anche, che nel loro sistema legislativo, il suolo ha già, da parte delle norme, una copertura che da noi non c'è, in quanto il suolo non è considerato ancora appieno nelle questioni urbanistiche ed ambientali.
Questi sono i dati: anche quantitativamente in 6-8 otto anni sono stati persi 26 mila ettari di aree agricole. Fate conto che intorno a Milano un'azienda agricola ha una dimensione di 40-60 ettari. Nel cremonese ce ne sono anche di 250-300 ettari, però è chiaro che una perdita di aree agricole di tale intensità ha ripercussioni non solo sulla capacità di produzione di cibo, ma anche sul tessuto produttivo agricolo. Esiste anche una filiera di problemi che va al di là dell'urbanistica e dell'ambiente, e che va a cogliere questioni che riguardano anche l'imprenditoria agricola.
Anche in Emilia Romagna, in un periodo più grande, di 27 anni - i numeri sono ovviamente più elevati - abbiamo quasi 200 mila ettari. Abbiamo poi il Friuli, una regione totalmente diversa, montana e piccola, e infine il Piemonte. Se noi sommassimo tutto - mi spiace avere solo i dati di una parte del Nord - abbiamo quasi venti ettari al giorno nel bacino più importante, quello padano, che è anche una delle pianure agricole più importanti d'Europa, di suoli che vengono urbanizzati, prevalentemente a scapito dell'agricoltura.
In questa agricoltura ci sono anche prati. Mi piace ricordarlo, perché il prato nelle colture agricole di queste aree del nord del Paese significa, ad esempio, filiera del formaggio e della bresaola. Alcune di queste province hanno consumato in 5/8 anni metà del loro stock prativo, di pianura. Si tratta di un fatto importante, che sfugge, come dicevamo all'inizio, non viene conteggiato e non entra nel sistema di pianificazione.
Abbiamo anche alcuni dati per colpire la Commissione ambiente sulla velocità specifica del fenomeno per abitante.

ERMETE REALACCI. Dal momento che si tratta di archi temporali molto diversi tra di loro, vi è un'accelerazione, una diminuzione - penso all'Emilia, che ha un arco più vasto - che corrisponde ad alcuni archi temporali precisi?

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. Questa domanda mi porta a rispondere che se avessimo una scansione della situazione lo si potrebbe evincere, ma non c'è. Abbiamo un solo dato, al 1976, e un altro riferito al 2003, e quindi siamo limitati. Una conclusione - che posso anticipare - è che la sensibilità di tutti e tre i partecipanti al nostro


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progetto ritiene che la dotazione di questi strumenti conoscitivi andrebbe veramente estesa. Per farmi comprendere meglio, ricordo che in Svizzera viene effettuato un aggiornamento nazionale della cartografia sull'uso del suolo, mi sembra, ogni tre o cinque anni; in Germania ogni tre anni, mentre ogni anno viene realizzata una statistica sui suoli urbanizzati. Questo dà modo di capire anche localmente, geograficamente, come intervenire, il che è importantissimo e fa la differenza.
Con riferimento alla perdita di aree agricole, è evidente che essa è maggiore rispetto a quella delle aree urbanizzate, perché molte aree vengono boscate. Si pone, dunque, anche un problema di molte aree che si imboscano, specialmente in montagna e in collina, e questo poi dà adito anche a problemi idrogeologici. Se è vero, infatti, che, il bosco trattiene l'acqua, è anche vero che il bosco su un ex prato, e quindi su una cotica molto bassa, tende nel tempo, con il suo crescere, a scivolare. Occorrerebbe una manutenzione forestale - su cui sarebbe necessaria un'altra audizione - perché non è così semplice che il bosco sostituisca il prato per trattenere più acqua, è una questione molto delicata.
Lo spirito dell'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, che non esiste e che abbiamo avuto la pretesa di inventare, è anche quello di presentare i numeri in modo ordinato, per province, velocità, ettari/giorno, e anche con indicatori che siano comprensibili. Tutti e tre i promotori dell'Osservatorio sono infatti convinti che nella pianificazione si debbano produrre indicatori ed elementi facilmente trasferibili anche all'ultimo comune italiano, Morterone di 33 abitanti (non so se è l'ultimo o il penultimo), uno spettacolare comune con boschi bellissimi sul lago di Lecco. La comprensione deve essere immediata, in modo che tutti possano agire. Nella nostra presentazione trovate dunque queste tabelle, che avrete modo di poter vedere.
Ho già anticipato alcune conclusioni. Lasciamo che i colleghi le illustrino. Vi è uno scarto molto forte - ci tengo ancora a sottolinearlo - tra pianificazione urbanistica e conoscenza. Ci sono problemi, che ha notato prima l'onorevole Realacci, di intervalli temporali differenti, che rendono problematica la lettura dei dati. Un'altra questione è rappresentata dalle unità territoriali: i dati in questo momento sono forniti per province, ma dovrebbero esserlo per comuni, il che richiede uno sforzo molto forte, nonché unità di ricerca. Questo è stato uno sforzo che abbiamo compiuto totalmente a carico nostro, di INU e di Legambiente.
Guardando al domani, come in tanti altri Paesi europei, ci sarebbe da svolgere un lavoro importante e sistematico, sufficientemente ma non eccessivamente scientifico, perché diversamente diventerebbe patrimonio esclusivo dell'università o degli studi di ricerca, mentre ambiente e territorio - ne sono convinto, come credo anche i miei colleghi - deve essere un patrimonio totalmente condiviso. È quindi importante che sia letto. Ci sono già alcuni soggetti, come il CISIS e l'ISPRA, l'ex agenzia nazionale, che hanno attivato alcune iniziative.
Finisco con questa bella frase, che credo sia importante, che dice: «Non ereditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli». È una frase forse un po' troppo romantica, però il concetto di sostenibilità è incastrato esattamente su questo gioco, sulla proiezione al futuro, che è un grosso impegno. Meglio essere eccessivamente romantici - mi permetto - e poi cascare in piedi che...

FRANCESCO NUCARA. Dipende da che altezza si casca.

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. È vero, per carità! Devo dire però che in questo caso rischiamo di cascare da molto in alto.

EDOARDO ZANCHINI, Responsabile per l'urbanistica di Legambiente. Buongiorno, sono Edoardo Zanchini di Legambiente. Aggiungo molto poco, anche perché quest'audizione riguarda il rapporto sul


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consumi di suolo. Svolgo solo osservazioni su che cosa viene fuori da questo rapporto. Alcuni temi sono già stati anticipati dal professor Pileri.
Il primo punto, che riguarda il Parlamento e Governo nazionale, è prendere atto del bisogno di monitorare quanto sta succedendo, e che qualcuno abbia questa responsabilità. Al momento, nel quadro nazionale dell'attribuzione di poteri nessuno ce l'ha, nessun ministero. Le regioni cominciano a occuparsene, ma nessuno stabilisce le modalità. Questo dipende anche da una questione che conoscete: abbiamo una legge di governo del territorio, una legge urbanistica ormai vecchissima, che deve essere cambiata. La responsabilità del Parlamento è definire una legge di princìpi. Tra di essi vi è quello di introdurre un tema nuovo come quello del consumo di suolo e del suo valore.
Il secondo problema, come si può capire dal quadro di queste dinamiche, è che verosimilmente c'è bisogno di rafforzare le politiche sovralocali. Tutto questo ha anche cause legate al fatto che ogni comune decide sul proprio territorio le dinamiche di consumo di suolo, che poi alla fine si sommano. Gli effetti sono dunque legati alla somma di più comuni che definiscono alcune politiche, che, se fossero coordinate, potrebbero portare a una riduzione di tali fenomeni. Anche in questo caso c'è bisogno che qualcuno provveda a coordinare, mentre a oggi la pianificazione provinciale di area vasta è uno dei punti deboli della situazione pianificatoria italiana.
Il secondo aspetto su cui il Parlamento può intervenire riguarda la fiscalità, la materia economica. Il Parlamento su questo ha una competenza superiore a quella delle regioni, in un momento come questo in cui si sta decidendo del federalismo fiscale. Uno dei temi è quello di premiare chi riutilizza o recupera suoli, chi evita di consumare nuovo suolo. Oggi non c'è nessuna differenza, sostanzialmente, anzi è molto più complicato e oneroso demolire e ricostruire o ristrutturare, compiere operazioni immobiliari che prevedano interventi complessi. È molto più facile acquistare un'area agricola o un prato e costruirci una casa, il che è un errore. Gli altri Paesi europei vanno in questa direzione, anche sulla fiscalità. Questo è il secondo aspetto.
Il terzo è tipicamente ambientale. Il Parlamento ha poteri ben precisi in materia. Bisognerebbe intervenire nella direzione della salvaguardia della biodiversità, del valore dei suoli. Ci sono anche disegni di legge, come quello dei Radicali, che parlano del valore del suolo, a prescindere dal suo consumo. In particolare, c'è un valore che riguarda la CO2, cioè la capacità che i suoli hanno di catturare le emissioni di CO2. Stiamo entrando in uno scenario in cui questo tema sarà sempre più centrale nelle politiche di Governo a livello nazionale e regionale, con una rendicontazione europea, e sapere che qualcuno a Roma, nel Parlamento e poi nelle regioni, legifera su questo punto per fermare il consumo di suolo e gli effetti che esso può avere in termini di CO2 è particolarmente importante e può portare a politiche intelligenti.
Esiste un tema di fondo, che riguarda il paesaggio e l'identità del territorio. Questa analisi è esclusivamente quantitativa. Il danno che si crea con il consumo indiscriminato di suolo avviene in due modi: in primo luogo, in termini di perdita di paesaggi, come valli e pianure. È il caso della Pianura Padana, l'unica di cui ci siamo interessati perché solo su di essa abbiamo dati; nel resto d'Italia non abbiamo idea neanche di come riuscire a reperirli. E in secondo luogo, si pone il problema che il consumo di suolo effettuato in questo modo aumenta i problemi ambientali. Accanto al consumo e all'occupazione di suolo vi è il processo di dispersione insediativa. Si tratta di interventi al di fuori di qualsiasi idea di pianificazione, e che quindi portano ad avere per forza un trasporto su gomma privato, che somma tutti gli effetti ambientali di inquinamento e di necessità di interventi che riparino i danni nella pianificazione.
C'è bisogno di una legge che fermi questo fenomeno. Come Legambiente abbiamo


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appena terminato la raccolta di firme in Lombardia su una proposta di legge di iniziativa popolare, che ormai è agli atti del Consiglio della Lombardia e verrà discusso nella prossima consiliatura. Si tratta, però, di una spinta dal basso; occorre innanzitutto che si capisca che è una questione nazionale molto rilevante per il futuro del nostro Paese, anche in termini di possibilità di crescita economica e di tutela dell'identità del paesaggio di tante parti d'Italia. C'è bisogno, naturalmente, anche di una consapevolezza e anche di interventi normativi a livello nazionale.

ANDREA ARCIDIACONO, Rappresentante dell'Istituto nazionale di urbanistica. Aggiungo solo alcune considerazioni a quanto detto prima di me da Edoardo Zanchini e da Paolo Pileri. Riprendo alcune loro indicazioni e alcuni spunti per cercare di capire, a partire dal lavoro dell'Osservatorio nazionale che con INU, col Politecnico di Milano e con Legambiente abbiamo provato ad avviare, come provare a governare questo fenomeno, ossia contenere il consumo di suolo in termini di governo del territorio e di pianificazione.
Conoscere è fondamentale - su questo non ritorno perché il concetto è stato già espresso molto bene - per poter aggredire il fenomeno del consumo di suolo e poterlo limitare e contenere. Tale conoscenza non può limitarsi a essere solo di tipo quantitativo. I numeri sono fondamentali e il nostro obiettivo come Osservatorio per i prossimi anni è completare l'informazione che noi adesso abbiamo solo per tre regioni, faticando per avere i dati anche delle altre che finora non sono state in grado di fornirceli, e per rendere tali dati sempre più omogenei e confrontabili - ma questo è un altro tema - e anche, soprattutto, per capire le determinanti di questo fenomeno in diversi contesti territoriali. Esso ha forme diverse: quella che ricordava Zanchini, dello sprawl, quella delle aree metropolitane, ma oggi anche quella delle seconde case nei territori turistici di pregio ambientale.
Fenomeni nuovi interessano le aree di seconda e terza cintura delle grandi città, dove i costi delle case sono minori, dove c'è ancora un territorio piacevole e agricolo, dove le giovani coppie o le popolazioni più deboli vanno a vivere perché la casa costa meno. Questi territori sono, per la prima volta, sottoposti a pressioni insediative nuove. Molto spesso chi si occupa di urbanistica ha raccontato la storia recente della pianificazione in Italia come una fase di trasformazione nella quale si trasformano le aree industriali dimesse. Questo, tuttavia, non è vero - e i numeri lo dimostrano - perché la pressione sul consumo di nuovo suolo è ancora molto forte. Noi vogliamo, quindi, legare quest'informazione fondamentale a una conoscenza anche di tipo qualitativo, relativa a quali sono le forme e quali le diverse cause del fenomeno in contesti diversi, e a come provare a governarlo.
Vorrei riprendere alcune considerazioni in merito a quest'ultimo aspetto. Si parte da una premessa che per noi è fondamentale, ovvero l'esigenza di una legge che non sia solo di tipo ambientale, ma che sia capace di stabilire come trattare la questione del consumo di suolo, e sia quindi anche di natura urbanistica, partendo dal concetto che il suolo è una risorsa limitata importante per l'ambiente e per lo sviluppo sostenibile del nostro territorio.
Alcune questioni, dunque, che una legge dovrebbe porre in termini di princìpi - come si diceva prima, sono i comuni che operano e hanno la responsabilità del proprio territorio, e devono avere un supporto legislativo robusto per poter affrontare concretamente tali temi - innanzitutto l'incentivare il riuso delle aree dimesse o sottoutilizzate e dei vuoti urbani, ossia delle aree che si trovano già all' interno dell'urbanizzato.
In altre nazioni questo obiettivo è perseguito con politiche di incentivazione fiscale o di disincentivazione di espansione: se ci si vuole espandere e costruire sul territorio agricolo, si paga molto di più rispetto a chi vuole costruire dentro la città, con forme, fino a quelle più radicali,


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dove non è possibile costruire sulle aree nuove finché non si è esaurito il patrimonio delle aree dismesse. Questo può generare problemi di oligopolio fondiario, perché chi è proprietario di alcune aree ha in mano una leva negoziale molto forte nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ma si tratta di un compito secondo noi preliminare e fondamentale. In Svizzera c'è un monitoraggio di tutte le aree dismesse disponibili. Se non si esauriscono quelle, non si può costruire su nuove aree. Questo è un obiettivo secondo noi importante per governare il fenomeno.
Un altro tema a cui noi, come INU in questo caso, teniamo molto da molto tempo e che riteniamo molto pesante oggi, avendo anche combattuto per una riforma urbanistica che in molte regioni è concreta, come la separazione della dimensione strutturale e strategica della pianificazione da quella operativa, è quello dei diritti che rimangono acquisiti sull'edificabilità dei suoli.
Molto spesso vecchi piani urbanistici prevedevano che determinate aree fossero edificabili, e tale edificabilità rimane come un diritto acquisito dei suoli. Non è così, non è così altrove, e noi crediamo che la legge urbanistica debba finalmente sancire la decadenza dei diritti quando il piano viene cambiato. Esso può confermarli, e se ne assumerà le responsabilità, ma, almeno giuridicamente, questo è un tema che riteniamo importante.
Altre due questioni. Un altro modo, da un punto di vista urbanistico, per governare il fenomeno, è il riutilizzo di suoli già urbani, il che rende forse necessario, in alcuni punti della città o dei territori, densificare, ossia costruire in maniera più intensa e compatta. Questo però richiede alcune attenzioni. Il tema, in questo caso, è che il costruire più densamente - e in alcune città, come Roma, Milano o Napoli si stanno vivendo fenomeni di riuso delle aree dismesse o dei vuoti urbani - deve essere consentito solo dove ci sono servizi pubblici, a partire dai trasporti pubblici. Un problema del consumo di suolo è, infatti, che esso genera problemi ambientali conseguenti, come la diffusione del trasporto privato, perché lo sprawl, cioè la diffusione della costruzione non pianificata nel territorio, rende spesso necessario il ricorso al mezzo privato, determinando fenomeni di inquinamento ambientale. Bisogna che, dove si sceglie di dover costruire, ci sia sempre la compresenza del trasporto pubblico. Occorre dunque prevedere una politica di questo tipo.
L'ultimo tema che vorrei ricordare, e che è già stato anticipato, è quello della fiscalità, anch'esso fondamentale perché tali politiche possono essere praticate con efficacia solo se ci sono leve fiscali locali che i comuni possano utilizzare per incentivare alcune politiche e disincentivarne altre.
Deve essere chiaro, infatti, che a monte di tutto ciò che sta succedendo - prima si chiedeva quando si sono verificate le maggiori accelerazioni di consumo di suolo negli archi temporali che abbiamo esaminato - vi è certamente la difficoltà economica degli enti locali, che ha generato un aumento dell'edificazione, nel momento in cui gli enti locali hanno come unica risorsa gli oneri di urbanizzazione. Essi sono stimolati, guidati, a consumare suolo perché ciò porta oneri e quindi soldi che possono essere utilizzati poi per gestire le città. Talvolta, purtroppo, sono utilizzati anche per le spese comuni, per le quali gli oneri non dovrebbero essere impiegati.
Noi chiediamo, invece, che l'uso della fiscalità permetta ai comuni di avere risorse chiamando in gioco anche regioni e province, e lo stesso decentramento di alcuni oneri, di alcune entrate fiscali che servano ai comuni per poter controllare, senza essere «impiccati» rispetto alle loro risorse finanziarie ordinarie, tali fenomeni, tassando in maniera alta e incrementale: più suolo si usa, più bisogna pagare oneri di scopo per queste trasformazioni.
Occorrerebbe poi usare oneri o risorse finanziarie per generare compensazioni: se si consuma suolo - questo è un tema che Paolo Pileri ha sostenuto recentemente anche in alcune pubblicazioni - bisognerebbe compensare con l'ambiente, con forestazioni,


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con la costruzione di nuove aree naturali. Se si consuma suolo e lo si rende urbanizzato, altrove, nell'interno della stessa realtà territoriale, dello stesso comune, si devono costruire parti naturali che mitighino gli impatti di tale trasformazione.
Questi - e chiudo le mie considerazioni - sono dunque gli obiettivi del lavoro dell'Osservatorio per i prossimi anni: completare il quadro della conoscenza, ma anche indagare e studiare le determinanti, che sono diverse per le diverse realtà del nostro Paese, che le forme di consumo di suolo assumono, in modo da poterle governare. I comuni sono i primi enti, il primo livello chiamato in causa a governare il fenomeno, ma non possono farlo se non hanno alle spalle una legislazione sufficientemente chiara su come intervenire, e se poi non c'è omogeneità nel misurare il fenomeno per poter verificare che le politiche attuate dai comuni siano più o meno efficienti e adeguate.

PRESIDENTE. Prima di passare la parola ai colleghi che intendono intervenire, vorrei svolgere un paio di considerazioni. Io mi trovo gratificato dalle vostre parole, perché da quindici anni conduco una crociata personale in merito. Ho faticato anche all'interno del mio partito a far passare questi temi e a livello nazionale c'è il disinteresse più totale. Io sto ripetendo continuamente che noi abbiamo distrutto tante aree del nostro territorio in maniera scriteriata, anche perché c'era una motivazione industriale, c'era bisogno di sviluppo. Il caso del nord est è emblematico: voi non avete il dato del Veneto, ma sarebbe interessante vedere come e quanto purtroppo si è costruito in maniera incontrollata e indiscriminata. Tuttavia, c'era una motivazione e lo si è fatto.
Io vedo però che tutto ciò non ci ha insegnato niente, perché, ad esempio, proprio nella regione da cui provengo, cioè l'Emilia-Romagna, è disastroso e devastante ciò che sta in tema di approvazione dei piani strutturali comunali (PSC). Noi stiamo attuando determinati interventi, e poi vengono approvati in questi giorni i PSC comunali, che la Regione avalla senza regole e senza avere le logiche per gli interventi. Se una città come Reggio Emilia, che ha 8 mila invenduti attuali, prevede 11 mila nuovi alloggi con aree da edificare, vuol dire che non abbiamo capito assolutamente niente. Se quando si parla della realizzazione del «Passante nord» a Bologna, si considera chi ha comprato le terre - perché questa è la questione alla quale poi arriviamo - e si scopre che si devono percorrere 30 chilometri in più rispetto al «Passante Sud» e, guarda caso, quell'anello di terreni agricoli, se non ricordo male, costituito da 7 mila ettari, viene ad essere ricompreso all'interno del «Passante nord» per diventare domani edificabili. Allora io dico che, in effetti, serve anche un po' di cultura e di coscienza!
Un altro problema è che almeno alcuni dati si riescono a sapere al nord, ma il problema dovrebbe essere trasportato nelle regioni del sud. Su Messina, ad esempio, è inutile che ci raccontiamo storie: lì costruiscono case sotto i costoni franati, nei letti dei fiumi. Sarno non ci ha insegnato niente, perché alla fine ritorniamo sempre al punto di partenza!
Per quanto riguarda le logiche del condono, se è giusto condonare perché, purtroppo, se molto di quanto costruito abusivamente non viene condonato non potrà mai essere sanato, almeno si condoni solo quanto è in sicurezza e non quello che ricade fra le zone a rischio all'interno dei piani di assetto idrogeologico (PAI). In questo senso, dovremmo aprire un altro capitolo, quello sulla responsabilità degli amministratori, che purtroppo non se l'assumono mai. Abbiamo, ad esempio, 4 mila cittadini che abitano stabilmente in villette nella foce del Tevere, e l'anno scorso c'è stata l'alluvione. Tutti sappiamo che tali persone abitano nella foce del Tevere, ma nessuno ha il coraggio di inviare le ruspe per mandarli via. Se esonda il fiume - l'anno scorso ha rischiato di farlo - si tratta di 4 mila persone che finiscono sott'acqua. Poi parleremo di disgrazia. Questo però riguarda tutto l'uso del territorio.


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È giusto dire anche, lo ha ricordato il Ministro Zaia pochi giorni fa, che 100 mila ettari di agricoltura spariscono per la foresta. Noi abbiamo l'effetto opposto rispetto al Brasile. Abbiamo il bosco che mangia agricoltura, perché abbandoniamo il territorio. In una legge complessiva io inserirei anche questo punto, che voi avete in parte citato: il sottobosco viene giù perché nessuno lo pulisce più, i fossi non vengono più curati. Questo riguarda anche la campagna con le bonifiche e la captazione delle falde, dove si vanno a costruire nuovi insediamenti produttivi.
Io ho combattuto una battaglia contro Berlusconi, un anno fa, quando lanciò Milano 2, Bari 2, ossia la voglia di rilanciare l'edilizia costruendo nuove città, il che io ritengo che sia sbagliato, anche se purtroppo - ve lo faccio presente - avviene. Basta leggersi i PSC. Potrebbe essere oggetto di uno studio successivo dell'Osservatorio. Io sostenni che la soluzione fosse quella di ricercare le aree dismesse, che ci sono in tutte le città. Su quelle occorre effettuare bonifiche. Siamo stati a Stoccolma, dieci giorni fa, a vedere Hammarby, che un tempo era un quartiere completamente industrializzato, con acciaierie e altri impianti produttivi, e che oggi costituisce un modello di come sia possibile portare a compimento un'operazione positiva di riqualificazione, ambientale e urbanistica, di una zona industriale urbana dismessa.
Cito solo una dato che mi sembra l'elemento più importante: su 4 miliardi e mezzo di euro di costo dell'operazione, solo 200 milioni sono stati stanziati dal comune di Stoccolma e tutto il resto da privati. Si tratta di un'area, a livello ecologico e ambientale, fruita oggi da 30 mila persone che vivono in un habitat eccezionale, oltre al recupero di un'area degradata. La verità è che da noi parliamo sempre di queste iniziative, ma in effetti poi non si attuano mai.
La Lombardia è l'unica regione in cui una legge regionale avanzata aveva compiuto un passo in avanti, ma non aveva avuto il coraggio di andare fino in fondo. Il sindaco avrebbe dovuto dimostrare di non avere altre aree disponibili, ma ciò non è obbligatorio. Non c'è stato il coraggio di imporlo come veto. Si costruisce, cioè, una nuova area urbanizzata perché si dimostra di aver bisogno di abitazioni e che non ci sono aree da recuperare. Questo sarebbe già un passaggio. La fiscalità, in effetti, può essere una leva ulteriore su cui andare ad agire.
Prima di passare la parola agli altri deputati, vorrei porre una domanda, visto che si tratta di un tema che mi sta a cuore e su cui combatto parecchio: è possibile avere alcuni suggerimenti legislativi da parte vostra, che avete seguito la questione? Noi abbiamo già alcune idee e credo che, ai fini dell'indagine conoscitiva, dovremo provare a proporre qualcosa a livello anche normativo. Credo che ogni suggerimento sia ben accetto. Siamo qua per questo. Spesso il politico pensa di sapere tutto, ma io devo dire che ogni giorno imparo qualcosa di nuovo. È bene riuscire ad ascoltare.
Una copia del rapporto, se è possibile averla anche per gli altri commissari, almeno uno per gruppo, sarebbe utile.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO NUCARA. Chiedo scusa per la battuta sul romanticismo, ma venendo da una terra dove di romantico non c'è niente se non la fame, siamo abituati a evitare di parlarne e ci concentriamo su fatti concreti.
La relazione, nonché gli interventi che l'hanno seguita, sono stati molto interessanti. Se sento parlare di pianificazione mi eccito, vorrei che fosse tutto pianificato nella vita di una famiglia, di una persona e nella vita sociale, ma questo diventa molto più difficile.
Scorrendo le diapositive che ho visto, sono stato colpito da una frase che mi interessa molto, in relazione al lavoro, alla demografia e quindi all'economia. È quello, a mio avviso, il nodo centrale che dovrebbe riguardare la pianificazione, la quale deve interessare un piano regionale. Dovremmo tornare a un documento forse


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obsoleto, però interessante come concetto, ossia al vecchio Piano territoriale di coordinamento, che riusciva a definire, in una regione o comunque in un'area più vasta rispetto ai comuni, ciò che bisognava fare, e questo è superato anche dal punto di vista di altri settori.
Un comune non può mettere nel suo piano regolatore un'acciaieria, un inceneritore o un depuratore al limite con un altro, perché le emissioni dei fumi invadono anche l'altro. Occorre, quindi, una pianificazione che vada al di là del comune e, forse, bisognerebbe abolire metà dei comuni italiani, che sono 8 mila; in Val d'Aosta ce ne sono di 170 abitanti, e non so come riescano a garantire i servizi ai loro cittadini.
Il problema è dunque la pianificazione. L'uso del suolo italiano si è consumato così indistintamente perché abbiamo tre Italie, dal punto di vista territoriale, civile, economico, e soprattutto culturale. La dispersione di suolo inizia negli anni Cinquanta, quando la gente andava a trovare il lavoro dove c'era. Abbiamo avuto per questo un intasamento, un consumo eccessivo del suolo nelle aree industriali del nord del Paese e un depauperamento nell'area meridionale, dove non c'erano industrie. A questo si aggiunge un fatto culturale, ossia che nessun meridionale, me compreso, non pensa alla casa. Ciascuno, in genere, ne possiede due, una sul posto di lavoro - che sia a Torino, a Milano, a Düsseldorf o a Zurigo - e un'altra nel paese da dove è partito. Vi è anche qui un uso sconsiderato del suolo, anche se capisco che l'emigrante voglia tornare a morire nella propria terra. Si pone poi il problema che nessuno costruisce la casa solo per sé, ma per quattro, cinque o sei figli, a seconda di quanti ne ha. In Calabria si vede quindi la cosiddetta architettura incompiuta, con case non intonacate e i ferri di fuori.
Si tratta, quindi, di un problema che va visto sotto diversi aspetti, secondo me, non soltanto - mi sia consentito - sul fatto che il suolo si consuma. Bisogna chiedersi perché si consuma? Ci sono le ragioni economiche di chi si costruisce la casa senza nessun criterio, ma anche il problema dei comuni. Francamente, io ho criticato Bertolaso quando afferma che il problema dei disastri che avvengono è dovuto alle case abusive, che pure ci sono. La mia città ha il più alto tasso di abusivismo del mondo, credo; fino ad alcuni anni fa, prima del condono, era del 95 per cento.
Il problema dell'abusivismo esiste, ma il problema dell'assetto idrogeologico e quindi delle costruzioni che non devono essere realizzate in zone a rischio idrogeologico elevato, è un altro. Non è più un problema solo di licenza edilizia, ma anche della vigilanza che le autorità di bacino dovrebbero effettuare in questo settore. Se noi guardiamo su internet il sito del Ministero dell'ambiente, troviamo in modo puntuale le zone a rischio molto elevato, quelle a rischio elevato, quelle a rischio zero e quelle a rischio medio. È da questo che dobbiamo partire. L'abusivismo edilizio quindi c'entra, ma la cementificazione dei torrenti, che c'è nella mia Calabria e dappertutto, non deriva dalla costruzione abusiva della mia casa: è un altro problema. Ed è proprio dalla cementificazione dei torrenti che nasce l'impoverimento delle falde o il fatto che l'acqua arriva in modo torrentizio, perché il gusto degli ingegneri è quello di vedere che cosa succede alla foce del fiume. Esso, invece, va trattato a monte, come il torrente, che è peggio del fiume dal punto di vista dei disastri che provoca ambientalmente.
Il problema dell'abusivismo esiste - lo ripeto perché non vorrei essere frainteso - ma se il torrente, la fiumara o il fiume diventa una discarica abusiva incontrollata, abbiamo l'effetto Soverato, ossia l'effetto diga che all'improvviso porta via tutto e fa morire le persone. È un problema più complesso.
Riguardo, poi, alla questione del consumo del suolo, sono d'accordo, certo, che il suolo è un patrimonio. Però, le azioni per la preservazione del suolo non possono prescindere dall'esigenza di trovare un punto di equilibrio con la necessità di promuovere lo sviluppo di un territorio... Per esempio, negli anni Cinquanta, il 70


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per cento della popolazione italiana era dedita all'agricoltura, poi la situazione cambiò repentinamente e il 70 per cento si è dedicato all'industria e l'agricoltura è diminuita rapidamente. Oggi forse la maggior parte dei lavoratori in Italia è sul terziario.
Questa evoluzione sociale ha portato a un uso distorto del consumo del suolo. A Gioia Tauro abbiamo devastato una zona dedicata all'agricoltura importante e ricca dei mandarini clementini. Lo stesso vale per Lamezia, pur con minori effetti devastanti, o a Brindisi, con il preteso tentativo di costruire un rigassificatore. Il problema è complessivo, quindi, e non riguarda soltanto l'abusivismo, che pure c'è ed è una questione seria.
Nell'inquadrare il problema del consumo del suolo, secondo me, bisogna avere una visione complessiva dei mutamenti sociali che hanno portato a un uso distorto del suolo e lo stesso vale anche in merito ai fenomeni di rimboschimento e di disboscamento. La Calabria, ad esempio, è una terra di boschi, però non si trovano più operai che ci vogliono lavorare. Gli unici operai che oggi lavorano nei boschi sono romeni e questo cambiamento sociale porta poi ad altri problemi. Secondo me, quindi, il vostro, pur pregevole, lavoro di sintesi dovrebbe essere arricchito per capire meglio che cosa succede nell'evoluzione sociale, economica, culturale e come può cambiare l'uso del suolo in maniera diversa.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO TORTOLI

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Vi ringrazio moltissimo. Ci sarebbe da discutere per ore e ore rispetto alle vostre considerazioni e agli interventi che bisognerebbe attuare. Io cerco di concentrarmi su alcuni punti che penso pertinenti alla vostra relazione, e in particolare su quale aiuto noi parlamentari possiamo darvi. Rispetto alle difficoltà che avete avuto nell'acquisizione dei dati da parte delle varie regioni, la motivazione è la mancanza di una normativa che impegna le regioni a fornire i dati? Le regioni sono tenute ad avere le cartografie di cui avete parlato? È possibile, ed è, quindi, utile, ed eventualmente in che termini, un intervento normativo in questo ambito? Quali altri aiuti e sostegni pensate possano essere utili da un punto di vista istituzionale rispetto al lavoro che state conducendo? Sarebbe importante per noi saperlo.
Sulla questione del governo del territorio forse apro un dibattito più ampio, però ci terrei a conoscere il vostro giudizio sull'attuale distribuzione delle competenze tra Stato, regioni e comuni, se la considerate soddisfacente oppure se, a vostro avviso, per un miglior governo del territorio andrebbe rivisto anche l'aspetto degli assetti istituzionali.
Sulla questione della fiscalità, che io condivido moltissimo come strumento utile a orientare verso un altro modello di sviluppo rispetto a quello che abbiamo conosciuto finora e che ha portato sostanzialmente alla devastazione non solo del territorio, ma di molti altri ambiti del nostro Paese, sono assolutamente d'accordo sull'utilizzo della leva fiscale. Al riguardo, essendo a conoscenza che il professor Pileri ha realizzato un studio sulla compensazione ecologica preventiva, a partire da casi che riguardano altri Paesi, vorrei sapere se ha una proposta in merito applicabile anche al nostro.
Queste sono le questioni che vi volevo porre. Segnalo, infine - su questo punto mi rivolgo alla Presidenza della Commissione ambiente -, che c'è una proposta di legge dei radicali sulla tutela del suolo e mi auguro che, a conclusione di queste audizioni, sia quanto prima calendarizzata. Anche su questo, se avete suggerimenti, in questa o in altre sedi, io sono assolutamente disponibile.

FRANCESCO NUCARA. Vorrei riferire ai cortesi relatori che esiste una cartografia importante, realizzata dalle Autorità di bacino, al Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, che però è statica. Tuttavia, il ministro ha stipulato una convenzione, che costa molti soldi, per


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il telerilevamento in tempo reale. Da esso si possono ricavare indicazioni sul suolo. Se noi guardiamo l'ambiente - voi siete esperti, se guardo io forse ci capisco poco - si vede dove ci sono il bosco, i prati, le costruzioni. Volevo solo condividere questa informazione.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. Ci sono state molte domande e la sintesi sarà difficile. Inizio a rispondere, e i colleghi interverranno se dimentico qualcosa o se hanno considerazioni da aggiungere.
Voglio chiarire che il lavoro che abbiamo presentato, l'Osservatorio sui consumi di suolo, non è esaustivo. Abbiamo cercato di andare a mettere il dito su una lacuna, per dare dimensione a un fenomeno. Ci occupiamo anche di storia dell'urbanistica delle città, ed è sicuramente vero ciò che è stato detto. Come osservava prima il Presidente, alcune domande di sviluppo, di crescita, inizialmente bene - e poi male - organizzate, hanno consegnato oggi un Paese in questo stato. Ormai è passato, e non possiamo che guardare al futuro.
Quello che sicuramente cercheremo di fare - provo poi a rispondere anche alle belle domande su come potete aiutarci, che mi fanno molto piacere - è di cominciare a dare dimensione al fenomeno. In questo momento, in Lombardia - prendiamo il caso di questa regione perché abbiamo il dato - non si sapeva che dieci ettari al giorno venivano urbanizzati. Con tutta l'attenzione che ci può essere - il Presidente ricordava prima una nuova legge sul governo del territorio - e con l'inaspettata iniziale volontà di contenere i consumi di suolo, questo non si sapeva. La necessità dell'Osservatorio era anche di cominciare a dare forma a dati che sfuggono. Questo può cambiare anche le prospettive di azione, l'agenda, le priorità: quando si comincia a vedere che si tratta di dieci ettari al giorno, si fanno due conti - tra aree e aziende agricole -, e si comincia a cortocircuitarle anche con la questione idrogeologica.
A proposito della Germania, il Governo tedesco ha messo sul tavolo l'anno scorso 22 milioni di euro - non credo che noi potremmo chiederne altrettanti - in un progetto che si chiama FINA per dimostrare che esiste un disaccoppiamento tra consumo di suolo e crescita economica. Non è vero che aumentando l'investimento sul consumo di suolo c'è parimenti una crescita economica. Ci sono segnali su questo punto, perché siamo al limite e l'abbiamo anche oltrepassato di parecchio, secondo me.
Sicuramente lavoreremo sul correlare - l'abbiamo in parte già fatto - la situazione demografica e sociale, cogliendo alcuni meccanismi per comprendere e quindi per poter reagire meglio. Riallacciandomi alle domande dell'onorevole Zamparutti, l'Osservatorio è legato all'esistenza dei dati. In materia di cartografia è tutto subdelegato alle regioni, ognuna con i suoi tempi e le sue possibilità. In questo momento tutte dispongono di cartografia sull'uso del suolo, ma alcune hanno assunto la cartografia europea e l'hanno trasportata a livello regionale, col difetto di dato che avevamo prima, mentre altre ne hanno una ormai datata al 1990. Considerando la velocità di trasformazione, capite che un gap di diciotto anni è eccessivo.
Che cosa si potrebbe fare? Si potrebbe immaginare che bisogna investire su un aggiornamento cartografico che abbia una certa temporalità. Esiste, come dicevo prima, un organismo ufficiale, voluto dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, il Centro interregionale per i sistemi informatici, geografici e statistici (CISIS) che si occupa proprio di definire i formati cartografici e le cadenze. Mi risulta, però, che tale organismo sia fermo, perché c'è una carenza molto forte di finanziamenti. Sicuramente la cartografia manca. Si possono quindi esercitare pressioni molto forti perché questo Paese,


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civilmente - perdonatemi l'avverbio -, si doti di cartografia aggiornata anche con una certa cadenza.
Per quanto riguarda i sostegni che si possono dare, si può lavorare sulle base dati, evitando però che questa fantastica autonomia regionale diventi poi l'esercizio di venti linguaggi diversi. Questo è un problema enorme. Non credo che ci si possa permettere di chiamare il fenomeno urbanizzazione in venti modi diversi. Ad esempio, ci sarebbero venti modi di calcolare il consumo o le trasformazioni dei suoli. Non si riuscirebbe a far fruttare quello che spendiamo né a realizzare quello che vogliamo fare. Prima qualcuno affermava che 100 mila ettari sono diventati bosco. Includiamo però anche la boscaglia, il bosco nelle sue fasi pioniere? Noi lavoriamo su questi aspetti e sappiamo che, quando si va nel dettaglio, le differenze sono sostanziali.
Occorre un metodo. La Comunità europea se n'è dato uno: alcuni Paesi, come la Svizzera - sarà un po' démodé - stanno valutando seriamente di rimettere al centro la competenza sugli usi del suolo. Lo Stato federale svizzero tenterà di riprendersi parte delle competenze, perché ha visto che purtroppo - per quanto ho capito - ci sono abusi sugli usi del suolo che si fa fatica a controllare. Parlo di abusi in senso buono. Dal momento che si tratta di un'emergenza e che perdere aree agricole diventa un fatto gravissimo, a questo punto lo Stato federale - come ha ricordato prima Arcidiacono - ha svolto delle ricerche su alcuni Cantoni e ci si è accorti che la disponibilità di aree da riutilizzare è pari al doppio di quella che i comuni dichiaravano; più precisamente, che le aree dismesse riutilizzabili erano pari al doppio di quelle che i comuni dichiaravano. I comuni, in totale autonomia, erano chiamati a dichiarare le aree dismesse che potevano essere riurbanizzate nel territorio svizzero; ne dichiaravano una certa quantità che - non so specificarne i motivi - è risultata molto inferiore alla realtà.
Il Governo tedesco, per quello che so, ha varato una riforma federale, che ha incluso il discorso sul suolo e l'ha legato moltissimo agli effetti ambientali che il suo uso produce. Ad esempio, si sono inventati un'espressione di principio - il Governo federale, come da noi, emana leggi di principio - ossia quella di «ridare alla natura ciò che le viene tolto». Questo ha poi aperto il discorso sulla compensazione.
Vorrei tornare prima sui sostegni. Se devo pensare all'Osservatorio, esso ha bisogno di tutto; è un bambino nato per caso, senza corredo e senza nulla, da un'intesa tra Università, INU e Legambiente e ha vissuto con i finanziamenti e le attività di ricerca che questi soggetti hanno a disposizione. Sarebbe interessante che il progetto potesse avere la forza di servire il Paese in modo più strutturato e sistematico.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con ISPRA, non ha un osservatorio ma una sezione di studi sulle aree urbane. Sono anche personalmente molto amico di alcuni alti dirigenti, che hanno partecipato alla presentazione dell'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo. Si tratta però di una struttura con uno scopo diverso, in quanto osserva la crescita di alcune aree urbane e nulla di più. È vero che esistono le immagini satellitari e che la Protezione civile sta svolgendo alcuni lavori in merito, ma essi non sono al momento accessibili. Sappiamo di queste iniziative, cui però non possiamo accedere. In ogni caso, tenete conto che per passare da un'immagine satellitare a una cartografia il lavoro non è una passeggiata in discesa. Ci sono ovviamente capitolati.
Ce ne stiamo occupando, abbiamo ricevuto un incarico, come università, per costruire la cartografia degli usi del suolo della Lombardia al 2008, a partire dalle immagini spot. Tali immagini costano 150 mila euro, che per un dipartimento è una cifra importante e da sostenere con finanziamenti. Probabilmente a scala nazionale ciò avrebbe costi molto inferiori ed esistono già alcuni dipartimenti della Protezione civile che le hanno acquistate, come ricordavo. Va, però, costruita una cartografia. Forse a livello centrale il servizio


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funzionerebbe meglio, perché coprirebbe tutti i gap, i ritardi, e soprattutto le differenze. Molti di noi si scontrano continuamente, anche tra un comune e l'altro, con differenze di linguaggio, il che procura fermi pazzeschi.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Ma la competenza di chi è?

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. La competenza della cartografia è totalmente delle regioni.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Bisognerebbe, quindi, riassumere una competenza centrale e fornire dei supporti, degli standard.

EDOARDO ZANCHINI, Responsabile per l'urbanistica di Legambiente. Il problema è che, allo stato attuale della legge, non c'è alcun obbligo delle regioni di rendicontare. Il primo punto è che una legge di princìpi deleghi a qualcuno - il ministero, le regioni, i comuni? - di tenere una rendicontazione delle trasformazioni del suolo che sia pubblica e periodicamente aggiornata. Questa è la prima questione. In questo momento nessuno ha questo obbligo. Quando il Comune stila il Piano regolatore, deve normalmente costruire tali cartografie, come è prassi, però non esistendo una scansione o un obbligo, nessuno le mette insieme.

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. Sono due cose diverse, però. La cartografia in senso lato, sugli usi del suolo, rimane di competenza della regione, che è molto sofferente. Come giustamente osservava Zanchini, per quanto riguarda i consumi di suolo non c'è nulla. Anche normativamente occorre una legge che affermi che il suolo, come l'aria e l'acqua, è un bene ambientale. Anche nelle valutazioni ambientali strategiche, lo strumento più importante che abbiamo e che arriva dalla Comunità europea e si applica ai Piani regolatori è il principio che se si occupa il suolo si deve convincere il tecnico incaricato delle VAS che in realtà ciò produce un danno ambientale. Questo non è inscritto nell'ordinamento italiano.

EDOARDO ZANCHINI, Responsabile per l'urbanistica di Legambiente. Aggiungendo su questo, il primo punto è obbligare qualcuno a svolgere tale monitoraggio. Il secondo, per esempio, è inserire il tema dove ci sono valutazioni. Come osservava giustamente Pileri, se nella VAS, che rischia di essere uno strumento totalmente inutile, per come è applicato nelle esperienze di programmi e piani, ci fosse l'obbligo di prevedere gli effetti in termini di consumo di suolo con obiettivi massimi, a quel punto diventerebbe già più efficace. Il problema è che, dal momento che il proponente, ovvero l'ente, si autoindica gli obiettivi e non tiene conto del tema del consumo del suolo, i piani vengono considerati sostenibili.

PAOLO PILERI, Professore di pianificazione territoriale e ambientale presso il Politecnico di Milano. Esiste un altro soggetto che potrebbe occuparsi di questo aspetto, ossia l'ISTAT. L'unico dato che recupera - solo per l'urbanizzazione, però, perché ha il registro sulle aree agricole, ma è un'altra cosa rispetto al nostro discorso - sono le volumetrie, ma anche questo dato, bizzarramente, non è obbligatorio. Peraltro, il dato delle volumetrie non è neanche sempre accessibile al pubblico e, ove lo sia, risulta incompleto: per esempio, se manca Milano il risultato dà volumi molto bassi in Lombardia, perché, non essendo obbligatorio che tutti i comuni forniscano all'Istat i dati sulle volumetrie, questo restituisce un quadro problematico.
L'ISTAT potrebbe farsi carico di ciò, anche perché tutti i comuni stilano il Piano regolatore. Se ci fosse una norma che impone di conoscere la superficie urbanizzata e di restituire su un modulo la superficie che sarà urbanizzabile, ciò consentirebbe sicuramente di avere un quadro della situazione, credo anche con un costo assolutamente contenuto.


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In merito alla compensazione ecologica preventiva, la logica nasce dalla Germania ed è uno degli strumenti - non l'unico, perché i tedeschi su questi temi sono molto avanti - che stanno utilizzando per contenere i consumi di suolo, oltre alla fiscalità, sulla quale puntano anche l'Olanda, la Svizzera e altri Paesi.
La compensazione lavora su un concetto incredibilmente semplice: nel momento in cui si utilizza un metro quadro di superficie libera - ovviamente, c'è alle spalle un inquadramento normativo che stabilisce le funzioni ambientali di un metro di superficie libera (dalla permeabilità alle altre funzioni che loro chiamano paesistico/ecologiche) - si deve dimostrare che non si hanno, come ricordava Zanchini, altre opportunità, oppure che ci sono delle ragioni serie per farlo; inoltre, comunque, ci si deve impegnare a restituire la «sottrazione» ecologica e paesistica, che si va a realizzare costruendo, per esempio, una villetta, un capannone oppure una strada.
Tale restituzione deve avvenire nello stesso comune, non quindi comprando crediti in Sud America o chissà dove. Dal momento che si tratta di un atto di responsabilità, il comune deve quindi individuare, insieme all'Agenzia federale dell'ambiente, aree su cui poter aumentare il valore ecologico, il che vuol dire realizzare siepi, prati, piantumazioni, che abbiano però davvero un valore ecologico, non il filare lungo la strada. Si tratta di un esborso che non avviene solo per gli impianti vegetali, ma anche per le aree: chi costruisce, cioè, deve acquistare aree da altre parti oppure in un deposito del comune, che possiede aree demaniali, e in più realizzarvi sopra del verde. Si tratta chiaramente di una misura che disincentiva l'uso dei suoli agricoli, perché il suo costo si riduce quanto più si utilizzano le aree già urbanizzate da ripristinare.
Questa misura, unita a una politica fiscale decisamente diversa dalla nostra e a un rigore nella valutazione delle disponibilità, fa sì che loro possano prefigurare l'obiettivo, che è stato concretamente fissato, di passare dagli attuali 100 ettari al giorno di aree trasformate - mi piacerebbe comunicare ai colleghi tedeschi con cui mi trovo un dato italiano, ma non sono in grado di farlo - a 50 ettari al giorno nel 2020 e a zero ettari al giorno nel 2050. E questo è stato deciso dal Governo Merkel.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,20.

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