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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
1.
Mercoledì 19 maggio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI INCIDENTI RILEVANTI CONNESSI A DETERMINATE ATTIVITÀ INDUSTRIALI

Audizione di rappresentanti di Confindustria:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3 8 9 10 11
Del Manso Franco, Responsabile area tecnica e sicurezza dell'Unione petrolifera ... 10
Di Somma Maria Rosaria, Direttore generale di Assocostieri ... 10
Fumagalli Romario Aldo, Presidente della Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria ... 3 9 10 11
Realacci Ermete (PD) ... 8 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 19 maggio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANGELO ALESSANDRI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della normativa in materia di incidenti rilevanti connessi a determinate attività industriali, l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
Ringrazio tutti per la presenza e do subito la parola ad Aldo Fumagalli Romario, presidente della commissione sviluppo sostenibile di Confindustria.

ALDO FUMAGALLI ROMARIO, Presidente della Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria. Grazie, presidente. Cercherò di essere sufficientemente sintetico. Lascerò poi agli atti della Commissione un documento scritto, che tenterò di scorrere nelle sue parti essenziali. Dopodiché, ci rendiamo disponibili a rispondere a eventuali domande.
Questo vale per chi vi parla e per i nostri collaboratori, che ringrazio, perché il nostro è il sistema confederale maggiormente coinvolto da questa normativa e io sono qui per cercare di sintetizzare il lavoro svolto in merito da tutta la nostra associazione.
Come sapete bene, le direttive Seveso europee sono tre. La prima è del 1982, recepita da noi con il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, aveva lo scopo di ridurre il rischio a livelli compatibili con un'interazione tra misure preventive e mitigative.
La direttiva Seveso II, recepita da noi con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, estendeva l'applicazione della Seveso I ad alcune categorie e stabilimenti che non vi erano coinvolti e prevedeva obblighi specifici per i gestori degli stabilimenti in Seveso.
Nel 2003, vi è stata poi la direttiva Seveso III, recepita in Italia con il decreto legislativo 21 settembre 2005, n. 238, che apporta alcune ulteriori modifiche al citato decreto legislativo n. 334 del 1999.
A nostro parere, questa serie di audizioni è molto utile e importante, perché è opportuno fare il punto sulla normativa in oggetto per capire se e come possa essere migliorata.
Vorrei svolgere quattro considerazioni di carattere generale e otto di carattere più specifico.
Vengo rapidamente alla prima di carattere generale. In primo luogo, la Seveso è una disciplina a livello europeo, nonché del nostro Paese, di carattere speciale. Vale a dire che è mirata sia nelle sue finalità, sia negli strumenti atti a renderla operativa, su determinate attività e su specifici stabilimenti.
In base alla nostra esperienza, dunque, pensare a un'estensione della Seveso con un'applicazione ad altre tipologie di stabilimenti rischierebbe di farle perdere


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gran parte dei suoi effetti positivi, che derivano proprio dalla sua specificità.
In secondo luogo, come sapete, attualmente la Seveso prevede l'inserimento degli impianti sotto due categorie sostanziali: quelli soggetti a notifica, ex articolo 6 del decreto-legge n. 334 del 1999, e quelli sottoposti al rapporto di sicurezza, ex articolo 8 del medesimo decreto-legge. A nostro parere, è molto importante, anche in questo caso, mantenere questa suddivisione logica all'interno di due categorie importanti.
Passo ora alla seconda considerazione di carattere generale. La nostra esperienza ci porta ad affermare che, anche se è vero che alcuni decreti attuativi del decreto-legge n. 334 del 1999 non sono ancora stati emanati, riteniamo che i gestori dei diversi stabilimenti a rischio di incidente rilevante stiano complessivamente adempiendo ai loro obblighi. Le verifiche e i controlli vengono effettuati dalle autorità competenti e possiamo affermare che ciò avviene sulla quasi totalità del nostro territorio nazionale. Se vogliamo essere più precisi, forse alcune regioni sono un po' meno virtuose di altre, ma nel complesso ci sembra che il sistema funzioni.
Sempre in tema, vorrei segnalare che forse manca ancora un'omogeneità sufficiente dal punto di vista sia dei tempi, sia delle metodologie di effettuazione dei controlli.
In termini di frequenza delle visite ispettive, secondo noi, andrebbe applicato di più il principio di stabilire tale frequenza in relazione, per esempio, a come sono andate le visite ispettive precedenti. Se, infatti, una visita precedente ha mostrato uno stabilimento in ordine, perfetto, si può diradare la frequenza delle ispezioni, magari intensificando quelle in stabilimenti in cui nelle occasioni precedenti siano state identificate situazioni più complesse e difficili. Questa procedura, a nostro parere più virtuosa, è applicata, per esempio, in Germania e in alcune regioni italiane, ma non è sufficientemente utilizzata dappertutto.
Passo alla terza considerazione di carattere generale. Condividiamo il parere della Comunità europea secondo cui la disciplina delle direttive Seveso non necessita di modifiche sostanziali, se non per il fatto di doverla adattare al Sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche, il cosiddetto GHS. Quest'ultima è una modifica conseguente, ma riteniamo che nella sua architettura generale la normativa non necessiti di ulteriori cambiamenti.
Ricordo che si è tenuta una stakeholder consultation nel novembre scorso, condivisa dalla Comunità europea, che chiarisce come sull'implementazione delle direttive Seveso al livello dei diversi Paesi nazionali della comunità, in effetti, il giudizio sia positivo e che l'attuazione e l'applicazione delle direttive sono migliorate in quasi tutti gli Stati membri e necessitano eventualmente solo di piccoli miglioramenti. Condividiamo, dunque, questa osservazione.
La quarta e ultima considerazione di carattere generale che vorrei sottoporvi riguarda il fatto che le aziende sottoposte all'applicazione della direttiva Seveso, quindi a rischio di incidente rilevante, dal nostro punto di vista e per la nostra esperienza, sono molto consapevoli del loro rischio intrinseco e della responsabilità conseguente.
Tali aziende si sono poste da tempo il tema di andare anche oltre la normativa prevista dalle direttive Seveso, cercando di guardare sempre oltre, per una migliore affermazione del principio della sicurezza integrata. Riscontriamo un'attenzione sempre crescente da parte di moltissime aziende virtuose sulla necessità della protezione delle persone, dei beni, della reputazione e del mercato e sono stati messi in campo diversi progetti, programmi e strumenti, anche di carattere volontario, su cui magari mi soffermerò in seguito.
Tengo a precisare che, per esempio, le aziende chimiche e petrolchimiche, che, come vedremo dopo, sono in testa in termini di numero di impianti sottoposti alle direttive Seveso, sono, all'interno del panorama italiano, ma tendenzialmente anche a livello internazionale, quelle che presentano il minor numero di incidenti


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sulle ore lavorate. Non è un caso, dunque, che ci sia una sensibilità maggiore alla sicurezza sul luogo del lavoro proprio in queste aziende.
Vi fornisco un quadro rapido. Anche in questo caso si tratta di fatti che sicuramente conoscete.
In base all'Annuario dei dati ambientali di ISPRA 2009, ci sono circa 1.090 aziende in Italia sottoposte a rischio di incidenti rilevanti. La metà di esse, ovvero 579, sono sottoposte agli adempimenti di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 334 del 1999, cioè devono presentare la notifica, e 511 agli adempimenti di cui all'articolo 8 dello stesso decreto legislativo, ossia al rapporto di sicurezza.
Riporto un esempio personale. Sono anche un imprenditore e vi riferisco che la nostra azienda ha 16 impianti assoggettati alla normativa Seveso, di cui sei sottoposti a notifica e due al rapporto di sicurezza. Di questi, nove si trovano in Italia e sette all'estero in Belgio, Francia, Germania, Olanda e Slovenia.
Diverse aziende, del resto, si trovano ad avere numerosi stabilimenti in giro per l'Europa e sono, quindi, anche in grado di effettuare valutazioni comparative rispetto alle differenze nel modo di trattare il tema nei diversi Paesi.
La presenza degli stabilimenti sottoposti alle direttive Severo è diffusa su tutto il territorio nazionale e, quindi, non c'è alcuna regione che non abbia impianti a rischio di incidente rilevante. I settori più coinvolti sono quello chimico, petrolchimico, i gas liquefatti, gli oli minerali, la galvanotecnica, la produzione di esplosivi e via elencando.
Veniamo ora alle considerazioni specifiche. Innanzitutto, svolgerò un rapido riferimento allo stato dell'arte sui piani di emergenza interni ed esterni e ai rapporti di sicurezza, elementi chiave della normativa applicativa delle direttive Seveso.
Nella nostra esperienza, i gestori adempiono in toto ai loro obblighi sulla redazione dei piani di emergenza e dei rapporti di sicurezza. Un messaggio che possiamo dare è che per alcune tipologie di impianti più complessi, difficili e articolati, secondo noi sarebbe utile trovare una struttura organizzativa delle istruttorie che permetta di velocizzare la valutazione dei rapporti di sicurezza. A volte, infatti, la lentezza nell'istruttoria, dovuta anche alla complessità dell'impianto, crea alcuni effetti negativi a valle.
Per essere espliciti, dico che - come è noto - le conclusioni istruttorie e gli atti adottati dal Comitato tecnico regionale, il cosiddetto CTR, che è alla base della normativa Seveso, devono essere trasmessi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a quello dell'interno, alla regione, al prefetto, al sindaco e al Comando provinciale dei vigili del fuoco come atto prodromico al rilascio poi, da parte di tutti questi enti, di successivi benestare e permessi a valle. È tuttavia evidente che se viene rallentato a monte il processo istruttorio del CTR, allora si rallenta tutto. Uno degli elementi che spesso presenta un maggior grado di difficoltà da questo punto di vista è il rilascio del certificato di prevenzione incendi (CPI) da parte dei vigili del fuoco, il che rappresenta un problema molto grande per le aziende, non dipendente da loro, ma dalle lungaggini burocratiche a monte.
Inoltre, in impianti piuttosto complessi, come quelli del settore petrolifero, ci sono stati forti ritardi nell'esecuzione di progetti e di modifiche anche migliorative degli impianti in relazione alla direttiva Autoil, proprio per un problema a monte di lunghezza dei procedimenti istruttori del CTR.
In merito ai piani di emergenza interni, si pone, inoltre, un problema di criticità sull'applicazione di quanto previsto dall'ultimo decreto 26 maggio 2009, n. 138, emanato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che disciplina le forme di consultazione del personale nell'ambito dell'elaborazione dei piani di emergenza interni, in particolare quando parla della disciplina per le imprese appaltatrici a lungo termine. Reputiamo che non ci siano criteri sufficientemente chiari per come coinvolgere effettivamente tali imprese.


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Riconosciamo, dunque, che sia utile cercare di coinvolgere maggiormente le imprese appaltatrici, però il meccanismo stabilito dalla legge non è sufficientemente chiaro ed è difficile che possa dare un valore aggiunto. Richiamiamo, dunque, il legislatore, anche con il nostro contributo, se necessario, a valutare come migliorare la situazione.
Sui piani di emergenza esterni, invece, vale a dire quelli che devono essere elaborati con la pubblica amministrazione fuori dallo stabilimento, coinvolgendo la cittadinanza, a volte le singole autorità preposte localmente nella redazione di tali piani, o per carenza di conoscenza tecnica specifica, o per altri motivi, assumono decisioni, in termini di distanze di sicurezza, prescrizioni e via elencando, a volte non corrette anche da un punto di vista tecnico o eccessive rispetto ai presunti problemi da circoscrivere.
Inoltre, i piani di emergenza esterni, che dovrebbero coinvolgere tutti i soggetti compresi, talora non vengono elaborati, o vengono elaborati coinvolgendo solo alcuni dei soggetti, mentre sarebbe opportuno che venissero interessati tutti.
Ricordo ancora che molte aziende stanno portando avanti procedure di carattere volontario per migliorare il sistema di gestione della sicurezza imposto dalla normativa Seveso, per esempio con programmi volontari di sistemi di gestione ambientale ISO 14001, con sistemi della sicurezza OHSAS 18001, con sistemi di gestione per la qualità ISO 9000, cercando di dotarsi di un sistema sempre più integrato di sicurezza, controllo e qualità. Detto questo, il punto sostanziale è: queste aziende le vogliamo premiare oppure no? Voglio dire: se ci sono aziende che volontariamente vanno oltre quanto previsto dalla normativa Seveso su questi temi, perché, anche ai fini dell'applicazione di tale normativa, in termini di ispezioni, controlli e rilascio delle autorizzazioni, non teniamo conto di questo sforzo, valorizzandolo con tempistiche più ridotte in termini di frequenza o con percorsi più rapidi nell'ottenimento di nuovi permessi? Questo è un messaggio che vogliamo lasciarvi.
Lo stesso discorso vale per il programma Responsible care, un'iniziativa di dimensione mondiale, che stabilisce le best practice sulla predisposizione di risposte alle emergenze.
Un altro tema è quello della normativa sulla vigilanza, un argomento molto delicato. Le regole di buona amministrazione di un comune dispongono che quando esso deve scavare nelle strade comunali per posizionarvi un cavo elettrico, è opportuno che, se occorre anche cambiare una fogna o installare una linea telefonica, si scavi una volta sola e si faccia tutto insieme.
Vorremmo comunicarvi lo stesso messaggio. Se è prevista un'ispezione del CTR, sarebbe opportuno unirvi anche quella dei vigili del fuoco e di altri enti, che comunque devono effettuare ispezioni. Svolgendole tutte in una volta velocizzeremmo enormemente i tempi di rilascio dei permessi e ridurremmo gli oneri per la pubblica amministrazione.
Mi riferisco soprattutto ai vigili del fuoco e al rilascio del CPI. Se l'ispezione viene effettuata insieme al CTR, ciò costituirebbe un binario che ridurrebbe moltissimo i problemi che oggi le aziende verificano nell'istruttoria CTR e nel rilascio dei CPI da parte dei vigili del fuoco.
Vi segnalo un altro tema molto delicato, che coinvolge probabilmente anche altre Commissioni. Si tratta del problema della stretta competenza comunale di deliberare sulle compatibilità territoriali e sulla pianificazione urbanistica. Molto spesso, infatti, ci è capitato di avere impianti Severo (che non durano due, tre o cinque anni; tendenzialmente, se un'azienda si radica sul territorio e compie investimenti per crescere, vi rimane anche venti, trenta o quarant'anni), in aree industriali nelle quali vengono autorizzate variazioni urbanistiche di carattere commerciale o magari edilizio o edificatorio e, quindi, le aree di fatto industriali, deputate a ospitare impianti di questo tipo, si riducono. In questo modo, spesso si trovano a collidere due interessi, quello dell'azienda


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e quello del territorio. Occorre, quindi, una pianificazione, nei luoghi in cui si trovano impianti Seveso, più attenta a impedire questo accerchiamento da parte delle attività civili, residenziali o commerciali.
Vengo ora al terzo tema, quello del trasferimento delle competenze alle regioni. È auspicabile e necessario che sia chiarito quanto prima il quadro di tali competenze e delle modalità applicative in materia di rischi di incidenti rilevanti, perché vogliamo evitare che, come nel passato, si crei una situazione di stallo delle istruttorie. Occorrono quindi risposte e regole chiare e competenze ben definite, in modo che le istruttorie si possano svolgere rapidamente e non ci sia la possibilità di trincerarsi rispetto all'incertezza della normativa.
Richiamiamo, inoltre, la necessità di un coordinamento tra le regioni, perché uno dei rischi del cosiddetto federalismo, o comunque dell'attribuzione di maggior potere alle regioni, è che poi emergano, su alcune materie delicate come quelle che stiamo trattando, difformità di giudizio e di interpretazione molto forti, a livello delle singole regioni, rispetto anche alla normativa europea. Ci troveremmo, dunque, ad avere un'incertezza del quadro operativo.
Il quarto tema è quello del decreto tariffe. In merito all'eventuale applicazione del sistema tariffario, reputiamo che le tariffe, come sempre, debbano essere sostenibili per i gestori e per gli impianti e determinate molto bene in relazione alla complessità della prestazione dell'ispettore, dell'istruttoria e via elencando. Se si ha un impianto semplice da gestire, limitato e che implica poco lavoro istruttorio di controllo, si devono avere tariffe molto più basse rispetto agli impianti più complessi e articolati. Occorre prestare, inoltre, attenzione al tema della retroattività di tali tariffe, che potrebbe sollevare anche problemi di carattere giuridico molto elevati.
Il quinto tema riguarda il riparto delle competenze in ordine alla vigilanza e al controllo. In un certo senso, l'ho già toccato. Bisogna evitare le duplicazioni di sopralluoghi e ispezioni istituzionali, coordinando lo svolgimento degli interventi previsti dalla normativa vigente. Tutti i diversi soggetti, ISPES, vigili del fuoco, ISPRA, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, CTR dovrebbero cercare di svolgere un lavoro sistematico nei confronti delle aziende.
Vengo agli ultimi tre fronti.
Il sesto punto è lo stato dell'adempimento della normativa da parte dei gestori. In proposito, sosteniamo fortemente che le aziende assoggettate alle direttive Seveso sono tra quelle che hanno un impegno più forte sia in termini di investimento sulle modifiche degli impianti e dei processi, sia di controllo e gestione della sicurezza, sia di coinvolgimento e partecipazione del personale.
Sugli impianti e il processo, le modifiche tecnologiche di processo sono costanti, almeno per come le abbiamo monitorate noi sulle nostre aziende; l'adozione di tecnologie informative computerizzate nelle fasi di lavorazione è ormai prassi comune; l'adozione di tecnologie avanzate sui sistemi di rilevamento di situazioni anomale e di emergenze, come la rilevazione di fughe e via elencando, è anch'essa ampiamente diffusa. Per quanto riguarda, invece, il secondo e il terzo fronte, ovvero il controllo e la gestione della sicurezza e il coinvolgimento e la partecipazione del personale, non è un caso che anche il contratto di lavoro nazionale dei chimici, della petrolchimica e del farmaceutico, che, come abbiamo ricordato, sono i settori più coinvolti nell'applicazione della normativa Seveso, sia forse quello più avanzato nell'evidenziare obblighi, nei confronti dei gestori, dei datori di lavoro e dei dipendenti, di prevedere momenti di formazione specifica sulla sicurezza, sull'ambiente e su tutti gli aspetti relativi al rispetto della normativa Seveso negli stabilimenti.
Quanto alle politiche di informazione e consultazione alla popolazione - questo è il penultimo punto - vi ricordo che la legge affida ai comuni il compito di portare a conoscenza della popolazione le


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informazioni delle schede sui rischi di incidente rilevante nella forma più comprensibile possibile.
Dal nostro punto di vista, ci sembra di poter garantire che i gestori hanno sempre dato un forte aiuto alle autorità pubbliche nell'espletare tale compito. Uno degli esempi è quello di «Fabbriche aperte», un'iniziativa portata avanti da molte aziende di Confindustria, in particolare nei settori che abbiamo citato prima, che cerca di aprire, in alcuni giorni, le aziende alla popolazione e alle autorità locali, proprio perché i cittadini possano toccare con mano come vengono effettuate determinate lavorazioni, anche quando sono a rischio di incidente rilevante, e possano verificare direttamente e ottenere spiegazioni de visu su come operano le aziende stesse.
Passo al nono punto, riservandomi di tornare sull'ottavo alla fine. Il nono punto è la disponibilità di risorse e strumenti da parte degli enti preposti alla vigilanza e al controllo o coordinamento delle strutture. Riportiamo in proposito quello che ci riferiscono i controllori, ossia che vi è una carenza di strutture, di personale e di fondi. È chiaro che saremmo solo più contenti di avere controllori che potessero svolgere meglio il loro mestiere nei nostri confronti.
L'ultimo punto riguarda l'efficacia del sistema sanzionatorio. Il sistema attuale italiano prevede sanzioni penali e amministrative, compresa anche la chiusura dell'impianto, correlate alla gravità delle violazioni.
Da questo punto di vista, voglio solo sottolineare che la normativa italiana è, sotto il profilo penale, sicuramente tra le più dure e penalizzanti e che, a nostro parere, lo è in maniera a volte discutibile. Per alcune fattispecie per le quali in Italia è prevista direttamente la sanzione penale, infatti, in altri Paesi europei - penso alla Germania - c'è prima un richiamo e viene data al gestore la possibilità, entro tempi ristretti, di sistemare il problema. Segue poi la successiva, eventuale, ispezione per verificare se il problema è stato risolto.
Da noi, invece, scattata subito anche la sanzione penale. Per esempio, l'articolo 27 del decreto legge n. 334 del 1999 prevede sanzioni penali immediate per il non tempestivo aggiornamento del rapporto di sicurezza, con arresto fino a tre mesi; per il non tempestivo aggiornamento della politica di sicurezza di cui all'articolo 7, comma 1, è previsto l'arresto fino a tre mesi; per la non attuazione del sistema di gestione di cui all'articolo 7, comma 2, è previsto l'arresto fino a tre mesi (la non attuazione spesso è anche molto opinabile); per il non invio della scheda informativa di cui all'articolo 6, comma 5 - in questo caso, peraltro, l'azienda potrebbe aver notificato alle autorità la scheda, ma si è dimenticata di farlo contestualmente a un'altra amministrazione -, è previsto l'arresto fino a tre mesi.
Mi sembra di poter affermare che basterebbe uno sportello unico che funzionasse e facesse da tramite e si risolverebbe il problema. Anche in questo caso, ci sembra che l'efficacia del sistema sanzionatorio sia forse eccessiva in relazione alla volontà di farlo funzionare veramente e che su alcune materie una «depenalizzazione», in questo caso parziale, potrebbe invece essere una soluzione molto migliore.
In conclusione, ci sembra che il quadro normativo abbia dimostrato, a livello comunitario, di essere efficace e completo. L'Italia si è attestata, in termini di attuazione, su un buon livello, in linea con gli altri Paesi. Vi ho evidenziato i fronti su cui, secondo noi, si può migliorare e siamo a disposizione per portare il nostro contributo in tal senso.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ERMETE REALACCI. Mi concentro soltanto sul sistema sanzionatorio. La relazione è stata completa e seria.
Come sapete, questo argomento è croce e delizia. Condivido le considerazioni svolte su un certo «abuso» di strumenti penali e sul fatto che non si possano porre


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sullo stesso piano mancanze semplicemente di carattere amministrativo o burocratico e violazioni sostanziali della normativa.
È anche vero che il nostro Paese ha un problema serio per quanto riguarda, senza riferirmi in questo caso alle aziende in senso stretto, l'efficacia delle politiche di contrasto dell'irresponsabilità in campo ambientale - la chiamo in questi termini e ne abbiamo parlato in altre occasioni anche con i rappresentanti dell'Unione petrolifera - che attraversa trasversalmente anche il sistema produttivo.
Come sapete, tutta la partita del danno ambientale in Italia è praticamente atrofizzata, non solo perché, a volte, i reati contestati sono eccessivi, ma anche perché arrivare al termine di un processo per danno ambientale è quasi impossibile. Mi risulta che a tutt'oggi sia accaduto solo in due o tre casi. Per il resto, sono immensi capitoli aperti, che non arrivano quasi mai a conclusione.
Vi sono casi addirittura clamorosi. Parlo, per esempio, degli incidenti petroliferi, visto che sono di attualità (la normativa, in questo caso europea, di contrasto è molto debole e gracile). Ricordo un caso concreto, visto che in questi giorni si parla molto delle vicende che riguardano il disastro nel pozzo petrolifero della BP nel Golfo del Messico: ebbene, ricordo che alla fine di tutti i gradi di giudizio i danni pagati per l'incidente della Haven al largo delle coste liguri sono stati un trentesimo, o forse anche meno, di quelli pagati a suo tempo per l'incidente della Exxon Valdez in Alaska, perché quelli per la Haven sono stati di 60 milioni di euro, mentre per la Exxon Valdez erano stati di 3 miliardi di euro, per aver riversato in mare una quantità analoga di petrolio. Onestamente, mi sembra difficile sostenere che le coste dell'Alaska siano più delicate di quelle della Liguria.
Si pone, quindi, un problema di questa natura, su cui sarebbe utile per tutti mettere mano, sfoltendo la parte penale dove essa non ha senso, differenziando in maniera forte fra inadempienze amministrative e inadempienze sostanziali, ma anche garantendo, come forma di deterrenza, che, quando qualcuno effettivamente produce danni per sua colpa, debba sottostare a una forma effettiva di responsabilità.
Credo che una semplificazione e una maggiore efficacia di queste norme sia utile a tutti, anche come contraltare alle altre considerazioni svolte, che mi sembrano tutte di buonsenso, inclusa una valutazione sulla tempestività dei controlli e sull'utilità degli stessi in relazione anche allo stato degli impianti. È chiaro, infatti, che, se un impianto è in buone condizioni o ha dato di suo prova di voler compiere passi avanti nel rispetto della normativa, è più utile concentrarsi su altri più delicati.

PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti di Confindustria per la replica.

ALDO FUMAGALLI ROMARIO, Presidente della Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria. Sulla questione delle sanzioni, riguardo alla normativa Seveso mi sembra che siamo sulla stessa linea, vale a dire che alcune materie potrebbero essere depenalizzate, quando si tratta di parziali inadempimenti amministrativi, pur gravi, a cui si può obbligare a porre rimedio in un tempo relativamente limitato, salvo controprova mediante verifica. Se poi, alla successiva verifica, si constata la reiterazione della violazione, allora può sicuramente scattare la sanzione penale. Mi sembra che su questo punto siamo d'accordo.
Per quanto riguarda un discorso più ampio di regolamentazione del danno ambientale, questo è un tema che anche in altri ambiti, come dimostrato, per esempio, dal problema delle bonifiche, in Italia sta bloccando diversi dossier relativi a leggi e normative.
Abbiamo tenuto, proprio in questa sede, un'audizione sulle bonifiche. Credo che sarebbe opportuno tenere presente il tema della soluzione del danno ambientale anche in connessione con la possibilità di rimettere in moto un procedimento virtuoso di bonifica del nostro Paese.
Riguardo al discorso specifico del petrolifero, non entro nel merito della questione.


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Non so se i colleghi presenti vogliano esprimere un giudizio specifico o fornire una risposta particolare, al di là delle mie personali considerazioni.

FRANCO DEL MANSO, Responsabile area tecnica e sicurezza dell'Unione petrolifera. Sul tema della effettiva responsabilità ci sono alcuni aspetti che vanno considerati: l'identificazione del responsabile, la tutela del proprietario incolpevole e, quindi, l'applicazione di sanzioni effettivamente graduate per chi è responsabile nel campo delle bonifiche e dell'inquinamento, ma anche in quello degli incidenti marini. In quest'ultimo caso, infatti, è difficile identificare il responsabile. Nel caso della Haven è stato più complicato rispetto alla Exxon Valdez.
Su questi aspetti, quando c'è chiarezza nell'identificazione del responsabile e nella tutela dei proprietari incolpevoli, che effettivamente non sono la causa dell'inquinamento, siamo perfettamente disponibili a rivedere la normativa in collaborazione con voi, per identificare gli aspetti e i beni principali da tutelare.

MARIA ROSARIA DI SOMMA, Direttore generale di Assocostieri. Volevo aggiungere soltanto un altro aspetto, che è stato evidenziato dal presidente.
La sanzione penale non deve essere un abuso. Mi pare che sia stato sottolineato il fatto che alla mancanza di interventi con una scala di sicurezza si può porre rimedio e che, però, il ricorso alla sanzione penale, in alcuni casi, sembra effettivamente eccessivo e forse perde anche di efficacia.
Noi industriali non possiamo che chiedere sempre la certezza del diritto e la commisurazione della pena rispetto all'effettivo danno provocato. Poter rivedere il sistema sanzionatorio a seconda delle responsabilità e del danno prodotto non può che trovarci pienamente d'accordo, proprio per dare la giusta punizione e applicare il parametro giusto e uguale per tutti.
Poter contare su riferimenti precisi e corretti, anche nel senso della sanzione amministrativa da applicare, è uno dei cavalli di battaglia di Confindustria. Credo che poterlo riorganizzare e rivedere sia un bene per la pubblica amministrazione, per il Paese e per l'operatore industriale.

ERMETE REALACCI. Temo, però, che l'abuso della sanzione penale sia legato all'assoluta inefficacia di quella amministrativa. I due aspetti sono collegati: se le sanzioni amministrative fossero affidabili, il problema non si porrebbe. Sono due facce della stessa medaglia.

ALDO FUMAGALLI ROMARIO, Presidente della Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria. In Germania o in Belgio, nell'impianto Seveso viene il controllore e, se verifica che documentalmente qualcosa non è a posto, solleva l'obiezione, effettua il controllo, commina una sanzione amministrativa e avverte del suo ritorno dopo 15 giorni per verificare se la situazione è stata sistemata. Se ciò non accade, scatta la sanzione penale e si può star tranquilli che è durissima. Un approccio di questo tipo, a nostro avviso, è più utile.
D'altra parte, in Italia i controlli vengono effettuati. Come ricordavo prima, ormai quasi dappertutto vengono effettuati bene, anche se forse si possono migliorare in alcune regioni. Generalmente, dunque, vengono svolti. Se il controllo è svolto e viene verificato un inadempimento, va bene la sanzione, ma può essere opportuno dare il tempo di mettere a posto tale inadempimento, se non è eccessivamente grave.
Sul danno ambientale, invece, sono d'accordo che sarebbe opportuna una normativa, una legislazione che permettesse di rimettere in moto tante situazioni in questo Paese, purché sia in linea con la normativa europea e rispetti i princìpi che sono stati evidenziati.

PRESIDENTE. Ricordo che la nostra indagine è partita anche a seguito dei fatti verificatisi sul Lambro alcuni mesi fa.
Forse chiederemo aiuto a Confindustria, perché, al termine dell'indagine, vorremmo stilare una mappa delle aziende a


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rischio concentrate sul territorio, per elaborare uno studio, e compiere anche una verifica di quelle che risultano dismesse, ma hanno ancora obblighi cui adempiere.
Nel caso citato, si poneva un problema specifico. Non è ancora chiaro, infatti, come mai ci fossero ancora cisterne piene.
Occorre, pertanto, un aiuto da parte del Parlamento e della politica, ma anche degli operatori del settore per riuscire a dare tranquillità e sicurezza al territorio. Credo che ciò sia indispensabile per tutti e che sia necessario, inoltre, vedere se si può agire a livello normativo.

ALDO FUMAGALLI ROMARIO, Presidente della Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria. Siamo sicuramente disponibili. Mi sembra che già dalla documentazione che abbiamo fornito, tramite i dati di ISPRA, sia ricavabile la mappa esatta di dove si trovano tutti gli impianti e la loro concentrazione. È un problema che si può evidenziare in poco tempo.
Nel caso specifico dell'incidente sul Lambro, mi sembra che la situazione non sia ancora ben chiara, perché l'analisi dell'accaduto è in fase di istruttoria. Al di là dell'atto doloso, non si conosce se la quantità effettivamente sversata di materiale sia superiore o inferiore alla soglia fissata dalla normativa Seveso.
Nell'ambito di tale normativa resta non chiarissimo un aspetto, che peraltro ha riguardato anche questa vicenda, ossia se e quando un gestore che nel suo stabilimento si ritrova con sostanze inferiori, come stoccaggi, alle quantità previste dalla normativa Seveso, possa o meno automaticamente autocertificarsi come non più soggetto a tale disciplina.
Mi sembra che la risposta a questa domanda non sia chiara nella normativa attuale. Non c'è una normativa chiara che definisca che cosa succede se a un certo punto un'impresa riduce lo stoccaggio di una data sostanza. Questo è un elemento su cui una decisione normativa, legislativa, può essere utile a chiarire un aspetto non ancora sufficientemente regolamentato.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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