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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VIII
1.
Mercoledì 30 maggio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO STATO DELLA SICUREZZA SISMICA IN ITALIA

Audizione di rappresentanti dell'ENEA, del professor Giuliano Panza e del professor Antonello Salvatori:

Alessandri Angelo, Presidente ... 3 14 19 21 22
Benamati Gianluca (PD) ... 8 10 20
Clemente Paolo, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali ... 5 19
Martelli Alessandro, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna ... 3 9 10 13 21
Misiti Aurelio Salvatore (Misto-G.Sud-PPA) ... 19
Panza Giuliano, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste ... 8 9 10 19 20
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 20
Salvatori Antonello, Docente di tecnica delle costruzioni, costruzioni in zona sismica e costruzioni speciali civili presso l'Università degli studi de L'Aquila ... 14 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VIII
AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 30 maggio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANGELO ALESSANDRI

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'ENEA, del professor Giuliano Panza e del professor Antonello Salvatori.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia, l'audizione di rappresentanti dell'ENEA, del professor Giuliano Panza e del professor Antonello Salvatori.
Ringrazio tutti per la presenza e cedo subito la parola ai rappresentanti dell'ENEA. Sollecitato dai commissari, vi pongo la richiesta di essere possibilmente sintetici, in modo da lasciare spazio anche per alcune domande e per interloquire con i commissari.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Buongiorno, sono Alessandro Martelli, direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna, nonché, per competenza, ingegnere sismico. Sottolineo ingegnere, perché si fa un po' di confusione ogni tanto tra i sismologi, che sono qui presenti, rappresentati dal professor Panza di Trieste, e gli ingegneri.
L'ENEA si occupa di sismica in termini sia di sismologia, sia di ingegneria sismica. I sismologi sono coloro che definiscono il moto del terreno durante un terremoto, mentre gli ingegneri sono coloro che, utilizzando i dati dei sismologi, devono verificare se le strutture stanno in piedi o no, per intenderci.
L'ENEA si occupa di questi aspetti fin dalla sua istituzione. Ha cominciato con la progettazione sismica e con la verifica sismica degli impianti nucleari tanti anni fa ed è presente con queste competenze sia nel centro di Bologna, sia nel centro della Casaccia, con numerosi esperti. L'ingegner Clemente, che poi continuerà l'intervento da parte dell'ENEA, è il responsabile della sezione della Casaccia, in prossimità di Roma.
Per attualizzare il discorso ricordo che siamo presenti in Emilia-Romagna, nell'area colpita dal terremoto, con squadre integrate nel sistema di protezione civile.
Mi fermerò alla diapositiva che vedete proiettata per svolgere alcune considerazioni. Parlando di sismica, l'aspetto che interessa è il rischio sismico associato alle diverse strutture. Bisogna riconoscere che si tratta della combinazione di tre parametri che coinvolgono competenze diverse.
Il primo, che chiamiamo «H» nella formuletta che vedete, è la cosiddetta «pericolosità sismica», ossia il moto del terreno durante un terremoto. È competenza esclusiva dei sismologi, che hanno una base di preparazione geologica. Sono loro che comunicano agli ingegneri, che poi si occupano degli altri due parametri, qual è il moto del terreno a cui devono far riferimento.


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Il secondo parametro, «V», è la «vulnerabilità», ossia la capacità delle strutture di sostenere, senza crollare o danneggiarsi, il valore di movimento del terreno «H».
Il terzo valore, «W», è anch'esso molto importante, è «l'esposizione», che identifica il valore delle strutture considerate. Se si tratta di un ospedale, è la funzionalità del medesimo durante un terremoto. Non basta che un ospedale non crolli, deve anche poter funzionare. Una scuola è più importante di una struttura normale. Un impianto chimico, se collassasse, potrebbe provocare danni estremamente gravosi per la popolazione e per l'ambiente. Il museo ha le opere d'arte. L'ultimo parametro, «W», è, dunque, l'esposizione, che riassume queste situazioni.
Del parametro H, il primo, parlerà il professor Panza. L'ENEA se ne occupa a sua volta, ma, essendoci suddivisi i compiti, ne tratterà il professor Panza.
Come ingegnere, anche se mi viene attribuito di tutto in questo momento, analizzo i dati dei sismologi. Se sono elaborati da competenti scienziati italiani o stranieri li valutiamo per ciò che interessa a noi, ossia il fatto che le strutture non crollino, che non provochino morti e che non causino danni. Questo è l'obiettivo.
Voglio spendere una parola sul parametro V, la vulnerabilità, perché la vostra Commissione svolgendo un'indagine in merito. Noi abbiamo un Paese in cui il 70 per cento del costruito non è in grado di reggere alle azioni sismiche a cui potrebbe venire soggetto. È un problema enorme da risolvere e da affrontare con urgenza, anzi anche se, è percepito come talmente grande che non facciamo rigorosamente nulla e questo si continua a fare, purtroppo, in ogni terremoto. I risultati sono, oltre alle vittime, che credo siano la conseguenza principale da evitare, dei danni che poi costano tre volte tanto quella che sarebbe stata la spesa, se si fosse affrontato il problema prima.
Finché non si romperà, a mio avviso, questo circolo vizioso, in cui si pensa che il problema sia troppo grande per affrontarlo e, quindi, aspettiamo, spenderemo sempre tre volte tanto. Oggi comincia a essere su tutti i giornali la questione di come si cercherà di recuperare i soldi per pagare i danni in Emilia-Romagna.
Sull'esposizione - poi chiudo e lascio la parola all'ingegner Clemente - voglio spendere una parola importante. Io sono ingegnere chimico di estrazione, quindi, non sto parlando fuori dal seminato. Ho preso poi un PhD in ingegneria nucleare e mi occupo di ingegneria sismica da una vita. Adesso mi hanno chiamato a fare il direttore di centro, ma lo faccio molto part-time, perché voglio mettere a disposizione del Paese le mie competenze.
Quanto all'esposizione, parliamo di problemi legati alla vulnerabilità degli impianti chimici da vent'anni. Da vent'anni ci sono pubblicazioni nel mondo scientifico che mettono in rilievo il problema. La questione è stata segnalata a livello istituzionale con un'interrogazione parlamentare che ha presentato il Presidente Alessandri nel settembre dell'anno scorso, evidenziando il fatto che, quando ancora non c'era alcuna preoccupazione particolare per determinate zone d'Italia, come invece c'è adesso, nel dopo Fukushima tutti si preoccupavano degli impianti nucleari, che noi non abbiamo, mentre non si preoccupavano per nulla degli impianti chimici, che invece abbiamo.
Tali impianti sono più di mille in diverse zone del territorio, ivi comprese zone molto sismiche, tra cui Priolo e Milazzo. Priolo fa parte dell'area che nel 1693 fu rasa al suolo probabilmente dal peggior terremoto noto italiano. Milazzo ha vulcani sommersi davanti e Messina vicino. Non stiamo parlando dunque di zone tranquille.
La Sicilia e la Calabria hanno subìto violenti terremoti nel passato. Il professor Panza parlerà di ciò che è oggetto un po' delle polemiche odierne, in modo tranquillo e pacato, i cosiddetti esperimenti di previsione. Al di là degli esperimenti, queste sono zone che hanno subìto il terremoto e che con tutta probabilità, al di là della validità o meno di questi studi di previsione, ne subiranno un altro prima o


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poi. Se si continua a non fare rigorosamente nulla riguardo a questi impianti, si andrà incontro a grossi problemi.
Chiudo illustrando il problema degli impianti chimici, che fu sollevata con l'interrogazione del presidente Alessandri, nonché in una risoluzione, perché quella interrogazione è stata poi trasformata in risoluzione il 31 gennaio di quest'anno.
Il presidente Alessandri ha spiegato a suo tempo perché l'interrogazione è stata trasformata in risoluzione. È stata trasformata in risoluzione proprio perché sono nate alcune preoccupazioni ulteriori. Al di là del fatto che il problema esiste indipendentemente dalle preoccupazioni attuali dei sismologi, infatti, il punto è che sugli impianti chimici manca una normativa specifica. Esiste per le strutture civili, esisteva per gli impianti nucleari, ma stranamente non esiste per gli impianti chimici. L'aspetto grave è che non sappiamo quanto sia vulnerabile ciò che abbiamo in queste zone, cioè come si comporterà se arriva un terremoto violento. Nessuno sa neanche stabilire come bisogna intervenire.
C'è dunque un primo problema di lungo respiro: bisogna cominciare a mettere le mani a queste strutture ad altissima esposizione. Un altro problema è che, se mai fossero vere alcune preoccupazioni, occorrerebbe un intervento immediato. Se succede un terremoto, come si comporta il sistema di protezione civile, che non è abituato a queste situazioni? È abituato a tirar fuori la gente da sotto le macerie, non certo a fronteggiare conseguenze gravi da parte degli impianti che possono rilasciare sostanze altamente tossiche e infiammabili, le quali cambiano tutto lo scenario.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Dopo l'introduzione dell'ingegner Martelli, preciso che noi non parleremo di pericolosità, perché lo farà il professor Panza in maniera più autorevole di noi, che siamo due ingegneri. Ho comunque previsto due slide, dato che sono responsabile di un laboratorio che si occupa di prevenzione di rischi naturali.
La prima non riguarda l'Italia, ma il Giappone, e ha fatto il giro del mondo l'anno scorso, subito dopo il terremoto dell'11 marzo. È una mappa di pericolosità che i giapponesi hanno preparato nel 1995, da cui si capisce chiaramente che le zone rosse sono quelle in cui loro si aspettavano i maggiori terremoti nei successivi trent'anni.
La mappa è stata elaborata dagli americani, che si sono divertiti a far notare come dal 1995 all'anno scorso i terremoti violenti si sono verificati ovunque tranne che nella zona rossa. Senza polemiche e senza criminalizzare nessuno, è evidente che qualcosa sui nostri studi di pericolosità non va, ma non va a livello mondiale, non è un problema puramente italiano.
Per quanto riguarda l'ENEA, in realtà noi non ci occupiamo più tanto di pericolosità di base e, quindi, di mappe di quel tipo, quanto di studi locali di microzonazione sismica e di risposta sismica locale. Su questo tema siamo inseriti in diversi gruppi di studio. Non sto a elencarli, perché non è l'argomento del giorno.
Tra le richieste avanzate c'era anche quella di capire l'early warning, se sia attuabile, se possa essere applicato e implementato e se possa risultare utile. Parliamo di un'allerta che ci informa pochi minuti prima della scossa che sta arrivando. Ci informa perché i sensori vicini alla zona epicentrale rilevano la scossa e poi inviano segnali di carattere elettromagnetico, molto più veloci delle onde sismiche, a una determinata distanza. Siamo così in grado di avere informazioni con alcuni minuti di anticipo.
Tale procedura non serve a evacuare le città e i quartieri e a far sfollare la gente, però può servire, per esempio, come in Giappone, a bloccare i treni ad alta velocità o gli impianti con alcuni istanti di anticipo rispetto all'arrivo del fenomeno nella sua intensità.
Passiamo alle strutture. L'ingegner Martelli ha già precisato che ci troviamo in un Paese in cui il 70 per cento dell'edificato se verificato che con il terremoto


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di progetto al sito non sarebbe verificato. Chiedo scusa per la ripetizione. Abbiamo un patrimonio edilizio sicuramente datato, anche perché spesso, o quasi sempre, progettato in assenza di norme sismiche o comunque senza le conoscenze opportune per progettare in zona sismica.
Purtroppo, devo anche ricordarlo, altrimenti me lo fareste notare noi, anche edifici recenti, e il terremoto de L'Aquila ne è testimone - per edifici recenti si intendono quelli costruiti dopo gli anni Settanta, Ottanta e Novanta - in realtà non hanno affatto avuto un buon comportamento in occasione dell'evento sismico del 2009 e, quindi, anche le costruzioni recenti, con la normativa e con le conoscenze, non sempre sono stati progettati e costruiti adeguatamente.
Ci sono poi gli edifici storici, per i quali deve essere svolto un discorso a parte. Dobbiamo salvarli, però sono anche molto affollati quotidianamente. Qualcuno sostiene che, se li roviniamo, non saranno più affollati, ed è vero: dobbiamo salvare la testimonianza storica, però sicuramente c'è bisogno anche di interventi e di idee particolari e innovative.
Le costruzioni antisismiche sono oggi regolate da un unico testo, le Norme tecniche per le costruzioni. La prima cosa strana, secondo me, è che si continua a distinguere tra costruzioni normali e costruzioni in zona sismica. In Italia ormai dobbiamo parlare di costruzioni e basta. L'Italia è classificata interamente come in zona sismica.
Si tratta di un unico testo che raccoglie quelle che prima erano tante normative separate. È un impianto piuttosto importante e uno dei più avanzati, anche perché è stato pubblicato pochi anni fa, non solo rispetto a quelli degli altri Paesi europei, ma sicuramente anche a livello mondiale. Non siamo secondi dal punto vista normativo nemmeno al Giappone e agli Stati Uniti, però ci sono alcuni aspetti da migliorare.
Non scendo ovviamente nei dettagli tecnici, ma ci sono alcune definizioni - vi mostrerò un paradosso, sperando di essere chiaro - sulla vita nominale, cioè sulla durata per la quale progettiamo un edificio, una struttura o un ponte. La questione riguarda il modo in cui riduciamo l'azione sismica di progetto. La norma non ci impone di progettare strutture che rimangano integre durante un terremoto, perché in zone ad alta sismicità dovremmo costruire dei bunker, però lo si può fare nelle zone a bassa sismicità e ora vi spiego meglio il motivo.
Parlerò poi dei criteri di adeguamento dell'esistente e aggiungerò alcune considerazioni sulla qualificazione sperimentale dei dispositivi antisismici, su cui ci sono attività già avviate.
Un edificio ha una sua vita nominale e un suo fattore d'uso. Il suo prodotto genera quella che si chiama vita di riferimento, Vr, da cui poi si ricava l'intensità sismica, di cui tener conto nel progetto. Si può ottenere la Vr sia moltiplicando 50 per 2, ragion per cui un edificio che deve vivere cinquant'anni in classe 4, la più grande, con un fattore d'uso 2, ha una Vr di 100, ma anche moltiplicando 100 per 1, se si vuole che un edificio viva per cent'anni. Lo sceglie il proprietario. È un edificio normale, una casa per civile abitazione, ma i due edifici sono uguali da un punto di vista della sicurezza.
È un paradosso, ma il primo deve essere promosso in classe 4 per i primi cinquant'anni e poi declassato in classe 2. La norma lo consente. Nel secondo caso, dopo una gloriosa vita di cinquant'anni in classe 4, l'edificio non va buttato via, ma gli spetta un periodo di prepensionamento di cinquant'anni in classe 2. Chiaramente sto scherzando, non condivido tale sistema, però la norma attualmente consentirebbe di svolgere questi ragionamenti.
Propongo un altro discorso, appuntandomi subito a quest'ultimo diagramma. Se fissassimo, per esempio, un valore di 0,4 dell'azione sismica massima misurata sul plateau, come valore realistico per progettare senza tener conto di alcuno sconto, noi potremmo progettare nel 50 per cento del territorio italiano circa edifici che non si danneggiano. La norma, invece, ci consente - ovviamente il legislatore direbbero


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che la norma consente e non impone, ma di fatto tutti utilizzano questa opzione - di ridurre la misura dell'azione sismica, dal tratto rosso pieno al tratto rosso tratteggiato, sia in zona ad alta sismicità, sia in zona a bassa sismicità. Dove questo spettro è già basso, la norma comunque consente di abbassarlo ulteriormente.
Perché non posso, nel secondo caso, progettare senza alcuno sconto con l'azione sismica reale? Costruirei edifici che non si danneggiano, quindi con danno zero e costi di ricostruzione zero, oltre a quelli di emergenza. Lo si potrebbe applicare anche in metà del territorio italiano. Se poi adottiamo moderne tecnologie, su cui non mi soffermo, come l'isolamento sismico e la dissipazione di energia, siamo in grado di progettare edifici che non si danneggiamo nemmeno in occasione di terremoti violenti nelle zone più pericolose, dove avvengono i terremoti di intensità maggiore.
Quella che vedete, per esempio, è la scuola di San Giuliano di Puglia, dove l'ENEA ha contribuito sia con personale vario, sia in fase di progetto, sia in fase di collaudo. È la prima scuola sismicamente isolata, cui ne sono seguite tante altre. Abbiamo dato dunque un buon avvio, a suo tempo.
Per l'ultimo aspetto cui ho accennato prima è in studio la realizzazione di un'attrezzatura simile a quella che è all'Università di San Diego in California per testare al vero, in scala uno a uno in campo tridimensionale, dispositivi antisismici di grosse dimensioni oppure di moderna concezione. Attualmente in Italia manca infatti un laboratorio in grado di eseguire prove di questo tipo.
Torniamo alla vulnerabilità. La norma non ci consente di intervenire sugli edifici esistenti, se non ci sono segnali evidenti di danno o di degrado, oppure se non andiamo a sopraelevare, ad ampliare o a compiere operazioni strutturali.
Si parlava nel 2003 di opere di interesse strategico e, quindi, di verifica di opere particolari da effettuare in cinque anni. Chiaramente l'iter è stato molto più lungo. Qualcuno l'ha avviato, ma non si è ancora completato.
L'ingegner Martelli ha accennato agli impianti a rischio di incidente rilevante. Ho con me un testo che ho preso da un documento che abbiamo scritto insieme nel 1999. Paventando alcuni scenari, ci preoccupavamo dell'area padana, dove pensavamo che un terremoto come quelli del 1117 o del 1570 avrebbe causato un disastro. La stessa questione si applicava alla Sicilia sudorientale. Parlo del 1999, un bel po' di anni fa.
Il primo caso, come vedete, oggi si è ripetuto, non proprio con lo stesso epicentro, ma con un epicentro non molto distante da quello. Non mi soffermo sugli impianti chimici, perché il collega Martelli ha già esposto la questione.
Quali sono i nostri obiettivi? Sulla pericolosità passo la palla al professor Panza. Sicuramente gli studi locali vanno approfonditi e deve essere svolta una valutazione delle vulnerabilità delle strutture, cominciando da quelle di interesse strategico, ma anche dagli edifici normali. Le strutture vanno monitorate, vanno seguite nel corso della loro vita per compiere una manutenzione. Ci vogliono più manutenzioni e meno nuove costruzioni. Questo deve essere, secondo me, l'obiettivo.
Ovviamente manutenzione significa, a un dato punto, anche demolizione di ciò che non è recuperabile e ricostruzione. Soprattutto, però, impariamo a svolgere la manutenzione di quello che abbiamo e applichiamo, ovunque sia possibile, moderne tecnologie. Anche se costano un po' di più - in realtà, noi abbiamo dimostrato che ciò non è vero per le strutture di nuova realizzazione - sono comunque un investimento importante.
In ENEA, insieme a Federproprietà, Ordine degli ingegneri e URIA, proprio la settimana scorsa, nell'ambito di un seminario avanzato, abbiamo lanciato la proposta di un'assicurazione obbligatoria sui fabbricati. Lo so che è in discussione una questione analoga, ma non è la stessa cosa. Non ci fermiamo tanto sul fatto di sollevare lo Stato dagli oneri


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della ricostruzione, il che mi sembra banale, quanto sul fatto che le assicurazioni saranno costrette a verificare loro stesse la qualità del costruito prima di assicurarlo, anche per fissare il premio di assicurazione. Si tratta di un costo medio stimato. Non solo, una parte di questi fondi potrebbe andare a finanziare un fondo per la sicurezza e, abbiamo aggiunto, anche per l'efficienza energetica destinato a opere preventive sugli edifici. Nel giro di venti o venticinque anni probabilmente, così operando, potremmo migliorare il grado di sicurezza di gran parte del costruito italiano.
Che cosa fare degli edifici che non sono adeguati? So che è una provocazione, ma io obbligherei a mettere davanti all'ingresso un cartello di notifica. Da cittadino, infatti, vorrei sapere se sto entrando in una scuola, in un ospedale o in un edificio pubblico sicuro o no.
Vi ringrazio.

GIULIANO PANZA, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste. Buonasera a tutti. Vi ringrazio per essere disponibili a dedicarci un po' del vostro tempo e della vostra attenzione. In questa prima rappresentazione mostro le mie credenziali. Voi siete parlamentari noti, mentre io sono un professore ignoto e, quindi, devo presentarmi.
Vengo dall'Università di Trieste, sono membro dell'Accademia nazionale dei Lincei, nonché dell'Accademia dei Quaranta, faccio parte del corpo docente onorario della China Earthquake Administration, dell'Accademia delle scienze russa e dell'Accademia del terzo mondo.
Nel 2000, per gli studi di cui parleremo adesso, mi è stata conferita la medaglia Beno Gutenberg, il riconoscimento a livello mondiale più ambito nel campo della sismologia.
Chi era presente alla mia precedente audizione forse ricorda l'immagine che vedete ora. Il problema è il seguente, sintetizzando: senza terremoti e senza vulcani la terra non esiste, così come sine Cerere et Libero friget Venus. Dobbiamo quindi convivere con questi fenomeni.
Quella che avete di fronte è la mappa della pericolosità sismica, cui è stato fatto un breve cenno prima. Il puntino nero è l'epicentro del terremoto dell'Emilia. Come si vede, il puntino cade su una zona verde, che corrisponde a un'accelerazione di progetto, che è poi quel numero che gli ingegneri utilizzano per costruire e per decidere che cosa fare in modo tale che non ci caschi il tetto in testa. Tale accelerazione è espressa in frazioni di g, nella misura corrente, dove g è l'accelerazione di gravità.
Osservate ora la carta nazionale nuova, l'ultimo prodotto elaborato. Si nota come ci mettesse in una data tranquillità, perché 0,15 g come massimo è una sollecitazione sismica che agli ingegneri non crea grossi problemi. Se non è così, l'ingegnere Martelli potrà rettificare. Io non sono ingegnere, a fatica mi sono laureato in fisica.
Vedete ora la stessa rappresentazione, in modo un po' meno colorato, ma il pallino nero è sempre fuori, anche se di poco, dalla zona di pericolosità.
Vediamo ora, invece, quanto si può ottenere (queste carte erano già state pubblicate nel 2011 su riviste internazionali con peer review): il cerchio grigio o azzurro racchiude l'epicentro del terremoto dell'Emilia. In rosso vedete due o tre numeri: PSHA 0,15-0,25, nella carta precedente, NDSHA 0,10-0,35 e osservato 0,25. Credo che i numeri non abbiano bisogno di commento.

GIANLUCA BENAMATI. Professore, mi scusi, invece, ma c'è bisogno che ci spieghi meglio.

GIULIANO PANZA, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste. La carta precedente è la carta su cui si basa la normativa e viene chiamata carta probabilistica. Questa, invece, è la carta neodeterministica, che utilizza non un approccio probabilistico, ma il concetto di terremoti di scenario. In altre parole, l'Italia è stata grigliata, due gradi per ogni punto. All'interno di ogni celletta si è scelto il terremoto più forte di


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cui si ha notizia e in base a esso sono stati eseguiti alcuni calcoli e simulazioni al computer, inserendo sorgenti sismiche all'interno di ciascuno.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Posso svolgere una precisazione da ingegnere? La prima carta probabilistica non è altro che un approccio statistico. In base ai dati storici, elaborando una statistica, si estrapola il dato di progetto. Questo è l'approccio normale utilizzato dalla normativa. Poiché è statistica, se voi avete tanti terremoti piccoli e due grossi, i due grossi non li vedete proprio. Questo è il motivo per cui la normativa sismica per l'Emilia-Romagna prevedeva per il progetto dati molto inferiori a quelli che poi effettivamente sono stati misurati.
Il secondo approccio di cui parla il professor Panza - mi scuso per essermi introdotto nel suo discorso - è, invece, basato sulla fisica dei fenomeni, un approccio totalmente diverso, che non deve essere considerato alternativo, almeno secondo me, anche se ognuno ha il suo parere. Deve essere considerato complementare.
Del resto, queste considerazioni figuravano nella risoluzione Benamati, Ginoble e Alessandri del giugno 2011, laddove si chiedeva di affiancare ai metodi tradizionali anche questi metodi più innovativi, che invece la sismologia ufficiale resiste a considerare. L'abbiamo verificato anche con la Commissione grandi rischi il 4 marzo. Scusa, Giuliano.

GIULIANO PANZA, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste. Meno fatica faccio e meglio è. Se parli tu, non c'è alcun problema.
Volevo richiamare una questione. Nel documento che è stato distribuito, quello chiamato programma, questi elementi sono già descritti. In più, un articolo che ho chiesto alla segreteria di distribuire in aggiunta a queste immagini descrive proprio la metodologia e compie un confronto in dettaglio.
Quanto ha appena osservato l'ingegner Martelli è certamente giusto e rende l'idea. Se si vogliono vedere dati più precisi, c'è questo documento, pubblicato un anno e mezzo fa.
Vedete ora le due carte di nuovo riportate insieme. Credo che, guardandole, si capisca il significato dell'uno e dell'altro metodo. Per questo motivo i due metodi debbono essere, come ha giustamente affermato il collega Martelli, usati insieme e non in alternativa.
Vorrei ora spendere due parole proprio sul concetto, sull'importanza e sul ruolo che questo approccio neodeterministico può avere. Se noi ci mettiamo nella prospettiva dell'uomo, cioè vogliamo difendere l'uomo, il che è bene o male coerente con lo spirito dell'ordinanza del 2003, quella seguita al terremoto di San Giuliano di Puglia, e della successiva normativa, è essenziale che almeno le strutture strategiche pubbliche siano progettate in modo da resistere a futuri forti terremoti. Quando si verifica un terremoto di una data magnitudo, lo stesso genera un moto sismico del suolo che non dipende certamente da quanto un evento di tale magnitudo è sporadico nell'area di studio. Questo è il discorso che svolgeva l'ingegner Martelli adesso. Il fatto che il terremoto venga una volta o dieci volte non cambia nulla. Se viene una volta sola con magnitudo 7, è 7 e non di meno.
Pertanto, i parametri di progettazione antisismica non devono essere scalati in funzione della maggiore o minore sporadicità del terremoto, secondo il concetto probabilistico, ma devono tener conto dei valori di magnitudo congruenti con la storia sismica e la sismotettonica, come previsto nell'approccio neodeterministico descritto nella pubblicazione che vi ho consegnato.
Conseguentemente, per passare da un'ottica focalizzata sulla gestione dell'emergenza a una nuova prospettiva fondata sulla prevenzione, è necessario valutare l'ambito di applicabilità dell'approccio probabilistico. L'approccio probabilistico può essere buono se se ne limita


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l'uso alla classificazione del territorio sulla base della probabilità che in una determinata area un terremoto con una determinata magnitudo possa verificarsi in un determinato intervallo di tempo, per esempio un terremoto disastroso ogni cinquecento anni, un terremoto forte ogni centoquarant'anni e un terremoto frequente ogni settant'anni. In questo modo possiamo distinguere diverse zone nel territorio nazionale. L'Italia meridionale era chiaramente la più pericolosa, perché i terremoti forti sono più frequenti in tale zona che altrove.
Ma tutto ciò non basta. Ora viene il punto importante. Consideriamo due siti possibili sedi di terremoti di una stessa magnitudo, per esempio 7, proni agli stessi effetti, perché, se il terremoto è lo stesso, gli effetti sono gli stessi. Poniamo questa ipotesi semplificativa. A parità di tutte le altre condizioni il sito dove la sporadicità è maggiore - non uso la parola frequenza, perché rende il senso di un evento che avviene regolarmente, mentre il concetto di periodo di ritorno è molto pericoloso; sporadico significa, invece, che l'evento capita ogni tanto e raramente - risulta attualmente preferibile, se si vuole costruire un insediamento nuovo, però, se vuole compiere un retrofitting, ossia una riqualificazione preventiva, si dovrà andare dove i terremoti sono più frequenti. Vedete come la stessa questione possa avere due valenze a seconda dell'azione che si intende compiere in termini di difesa.
Tuttavia, anche se esiste questa differenza, per i parametri di riferimento della progettazione antisismica, cioè i numeri che piacciono agli ingegneri, quali la Design Ground Acceleration, la Peak Ground Velocity e il Peak Ground Displacement - quest'ultimo è importante per tutte le operazioni di difesa in termini di isolamento sismico, in cui l'ENEA ha un ruolo leader a livello mondiale - le quantità che si devono usare devono essere le stesse nei due posti, perché il terremoto da cui ci si deve difendere è di magnitudo 7, non di magnitudo 7 ogni mille anni od ogni cento anni.
Se il terremoto arriva, arriva con magnitudo 7 e, dato che non si sa quando è cominciato il periodo dei mille anni, perché il fenomeno è sporadico, può darsi che ci si convinca in modo errato. Come è stato affermato prima, il terremoto del 1117 è il fratello maggiore di quello che sta avvenendo adesso. Se lo è, forse qualcosa di peggio può anche capitare, ma questo è un discorso puramente speculativo.
La valutazione ovviamente è diversa se ci si pone in una prospettiva puramente attuariale, che può essere soddisfacente per il sistema assicurativo, ma che richiede in ogni caso una caratterizzazione statistica adeguata, la quale non risulta generalmente possibile a causa della scarsità delle osservazioni disponibili.
In Italia abbiamo un problema di questo tipo, che è rappresentato dalla Sicilia. In Sicilia l'informazione che noi abbiamo è tale per cui, invece di quei bei colori, sarebbe meglio mettere tre punti interrogativi, perché i dati disponibili non permettono di stimare il periodo di ritorno, ossia la sporadicità, con un determinato grado di affidabilità.
Ve ne spiego il motivo. Tutto il concetto probabilistico si basa su quella che viene normalmente definita la legge di Gutenberg-Richter, secondo la quale il logaritmo del numero dei terremoti...

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Sono pochi eventi, perché è l'Africa che conta.

GIANLUCA BENAMATI. Presidente, mi posso permettere un'interruzione ai due professori? La loro competenza specifica è molto chiara, ma, poiché siamo un gruppo parlamentare con competenza non di materia, domando se si può semplificare.

GIULIANO PANZA, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste. Lei ha doti predittive, perché avrei risposto tra pochi minuti alla sua domanda.


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Il problema è geologico-tettonico. Non si riesce a fare per una serie di motivi in cui non credo che sia il caso di entrare, ma bisognerebbe andare a estendere l'analisi a un pezzo dell'Africa.
Per risolvere il problema e avere informazioni attendibili, che cosa si può fare e che cosa permette l'approccio neodeterministico? L'approccio neodeterministico permette di elaborare la carta che voi vedete a sinistra, in cui figurano i valori da fornire agli ingegneri. Quelle sono le accelerazioni con cui l'ingegnere può costruire e stare tranquillo.
Nella parte destra ci sono le ricorrenze, ma sono due carte diverse. Non si possono mescolare le une con le altre, perché, se si mescolano le une con le altre, si ottiene un dato come quello del mezzo pollo dove uno se lo mangia tutto, come l'ingegner Martelli, e l'altro, come me, sta a guardare, il che succede molto spesso.
A parte le battute, penso che il problema del Paese sia piuttosto chiaro. In Sicilia non c'è la possibilità di farlo, ma abbiamo un'informazione di altro tipo. L'ingegnere ha almeno un numero, che non è tarato sul fatto che la ricorrenza è bassa.
Le mappe di ricorrenza devono essere considerate e utilizzate solamente in associazione con le mappe relative al moto del suolo e viceversa. È evidente che in Sicilia attualmente non è possibile definire la ricorrenza a causa dell'incompletezza dei dati. Dal punto di vista geologico strutturale sembra, infatti, necessario, per raggiungere un livello di competenza adeguato, estendere la zona verso il Nord Africa.
Ha visto che mi aveva preceduto? Non ho raccontato bugie. Questo problema fondamentale è ignorato dall'approccio probabilistico e le carte di pericolosità sono rese disponibili senza il debito caveat. Sono, quindi, di totale inutilità per una definizione attendibile della pericolosità sismica, oppure, se gli ingegneri sono contenti con quelle, beati loro.
Avrei finito il discorso sull'indipendenza dei fenomeni dal tempo. Mi resta ora una piccola parte sulla previsione, se vi interessa.
Quello che noi sappiamo fare, come è stato riferito chiaramente anche dai mass media, è indicare alcune zone, aree molto ampie di centinaia di chilometri di estensione lineare, con incertezze temporali che vanno dai mesi all'anno e zone in cui la probabilità che i numeri che abbiamo visto prima si verifichino. Normalmente c'è una probabilità normale. Quando siamo in tempo di pace, quando non c'è problema, la carta che avete visto prima è la carta che in qualsiasi momento può essere colpita da quel tipo di segnale.
Se noi combiniamo la possibilità di identificare alcune aree in cui la probabilità di occorrenza del terremoto aumenta rispetto alla probabilità media normale in Italia, la probabilità che si verifichi un terremoto è di un determinato valore. I nostri logaritmi ci indicano che in tale zona la probabilità è aumentata di due o tre volte quella probabilità. Sono sempre numeri bassi, però c'è una variazione.
A quel punto si possono compiere alcune azioni, che sono state discusse in ambito UNESCO. C'è tutto un elenco. Non vorrei leggerle, perché sono nella documentazione allegata.
Per aggiungere un'osservazione banale sulle questioni contingenti di adesso, proviamo a pensare ai depositi di parmigiano. Bastava che le scaffalature fossero opportunamente fissate. Non è una banalità, obietta l'ingegner Martelli, ma bastava farlo. Non salva la pelle di nessuno, però salva pezzi di economia. Tenendolo presente, conoscendo il problema, si può intervenire.
Illustro un altro esempio. L'aceto balsamico - parlo in modo coinvolto perché sono nato da quelle parti e credo che si senta ancora - poteva essere protetto con due materassi sulle botti. Se ci devono stare materassi per sei mesi, sarebbe stato un investimento non tanto costoso.


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Sono azioni banali. Non è successo nulla nelle chiese perché il terremoto è avvenuto la mattina presto e comunque non la domenica, ma, se si fosse verificato in un'ora di messa, sarebbe stato disastroso. Se c'è un allarme del tipo che noi indichiamo, a medio termine, non un allarme rosso tale da evacuare, assolutamente, è follia pensare di poterlo fare, si può indicare a cento, duecento o trecento parroci di celebrare messa fuori dalla chiesa. Nelle chiese ci sono il camposportivo e il sagrato. Quindi, almeno, si potrebbe dire: che indossino l'elmetto e stiano lontani dal campanile.
Sono iniziative che può intraprendere qualsiasi persona, senza spendere soldi. Sono interventi veramente a costo zero, non i costi zero all'italiana per cui alla fine si spende il doppio di quello che era previsto.
Queste sono considerazioni che vi lascio. Sono banalità, però penso che uno sforzo di educazione in questo senso e un'intensa attività in questa direzione potrebbero aiutare.
Vediamo il caso che ci interessa da vicino. Quella gialla è la zona che noi siamo capaci di allarmare. Sono centinaia di chilometri. L'allarme andava fino a settembre. La carta di fianco è il pezzo della carta deterministica, l'NDSHA che abbiamo visto prima, illuminata per il fatto che questa zona era allarmata. Tutto il resto è spento, perché, se non abbiamo allarme, tutto il resto va posto in un livello meno importante di pericolosità. Questo è ciò che si può fare.
È un'area molto grande, è verissimo: nelle singole carte vedete che cosa succederebbe per la regione settentrionale, per la regione centrale e per la regione meridionale. Sono aree molto grandi, però, se noi ci limitiamo alle zone dove l'accelerazione è di 0,2 g, cioè dove ci aspettiamo scosse forti, vedete come si riduce l'Italia settentrionale. Vedete come la zona allarmata rimane molto più grande dell'epicentro, ma di dimensioni molto ridotte rispetto alle carte di prima.
Le carte mostrate prima sono quelle elaborate per completezza, per non nascondere informazioni. Vi trovate l'informazione se volete guardare da 0,2 g in su, come l'evento che è successo. Nell'Italia settentrionale si riduce come vedete.
Nell'Italia centrale si riduce come vedete. A Roma state tranquilli, non ci sono problemi, ci indicano. Io non sarei troppo tranquillo, invece, perché, come dimostrai al Presidente Fini due anni fa, quando venne a Trieste all'inaugurazione dell'anno accademico, di cui svolsi la prolusione, proprio qui a Montecitorio non si deve stare proprio tranquilli. Ve l'ho mostrato anche nella scorsa occasione (Commenti).
Chi ha detto la parola «evacuare»? Io non uso la parola «evacuare» neanche scherzando. A me piace scherzare, ma su fatti del genere no. Non si può pensare di evacuare. La previsione dei terremoti non si può compiere con la precisione con cui si pretenderebbe di elaborare le previsioni del tempo. Quante volte gli albergatori si sono arrabbiati perché è stata effettuata una previsione di pioggia mentre c'era il sole e viceversa. Stiamo molto attenti.
La previsione a breve termine, che è impossibile, e su questo sono perfettamente d'accordo, può essere molto più pericolosa e controproducente di una previsione non effettuata. Poniamo un'ipotesi molto sfortunata (il teorema di Murphy si applica in molti casi e come si dice la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede molto bene): arrivo io, sono il professor Panza, persona autorevole, e comunico che ci sarà un terremoto domani dalle dieci alle undici, di magnitudo 7, proponendo di evacuare. Vengono evacuate poche persone, mille persone, se prendiamo un esempio piccolo. Passa l'allarme, si riporta la gente dentro, io ho sbagliato di mezzora e il terremoto arriva mezz'ora dopo.
Che cosa facciamo? È possibile che accada ed è follia parlare di previsione. Non si può mescolare questo tipo di discorso, che è a medio termine, per cui si possono compiere operazioni banali, come mettere il materasso sulla botte dell'aceto


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balsamico, con quell'altro. È un discorso molto importante, che va tenuto presente.
Per la Sicilia potete vedere la situazione. In caso di forte terremoto connesso con le preoccupazioni a cui faceva riferimento l'ingegner Martelli prima, la carta esiste. È depositata. Spero di essere smentito e che il terremoto non avvenga, per il bene della Patria.
Questa è la visione sinottica degli scenari di pericolosità dipendente dal tempo, se si accende l'Italia del Nord, l'Italia centrale o l'Italia del Sud. Se si accendono tutte, ne deriva un'altra carta. Può capitare che per motivi diversi si allarmino tutte le zone, perché questi allarmi a medio termine sono basati sull'andamento della sismicità, cioè sul flusso dei terremoti piccoli, che possono essere preparatori del terremoto forte.
Tutti questi valori, tutti questi numeri sono ovviamente riferiti al bedrock, cioè a roccia solida. Avete visto adesso nel modenese grossi fenomeni di non linearità di liquefazione delle sabbie.
Che cos'è la liquefazione delle sabbie? Volendo portare un esempio molto banale, in Emilia anche i maschietti preparano le tagliatelle e, quindi, setacciano la farina. Per setacciare la farina si prende la farina, si mette in un setaccio e si compiono movimenti di taglio, trasversali. Se non si compiono questi movimenti, la farina non passa. Nel momento in cui si compiono questi movimenti, la farina da solida diventa liquida, perché passa attraverso un setaccio, esattamente come l'acqua.
Con il terremoto, in zone sature d'acqua, dove ci sono sabbie, si verifica questo fenomeno, per cui le case non si rovinano, ma sprofondano, si perdono uno o due piani. Questi eventi possono succedere.
Questi e altri effetti locali sono molto importanti e penso che, per quanto riguarda L'Aquila almeno, l'ingegner Salvatori potrà fornirvi esempi sulla loro rilevanza. Questi numeri, già di per sé piuttosto allarmanti, possono diventare due volte più allarmanti.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Aggiungo una battuta per chiudere sulla Sicilia, dal momento che c'è una forte polemica in giro anche per dichiarazioni che in parte ho reso e che in parte, molto spesso, mi vengono attribuite.
Avete visto la cartina. È ovvio che un ingegnere come me ha la conoscenza di situazioni di non conoscenza - scusate il bisticcio della parola - della pericolosità di alcuni impianti in Sicilia, come Milazzo e Priolo che abbiamo citato prima, e ciò pone alcuni problemi.
È vero che in un momento del futuro un terremoto, probabilmente di magnitudo maggiore di 7, tornerà, ma, se viene molto presto, ciò mi preoccupa molto. Dovrebbe preoccupare in generale. Bisogna compiere prevenzione se non altro per la nostra discendenza.
È per questo motivo che quell'interrogazione, poi diventata risoluzione, del presidente Alessandri giustamente sottolinea la necessità di cominciare a occuparsi di questo problema. È impossibile che un Paese civile e moderno come il nostro non si preoccupi di una situazione che, a mio avviso, se accadesse un terremoto di quel livello di nuovo in corrispondenza di quegli impianti, potrebbe rappresentare il disastro peggiore del Mediterraneo dal punto di vista ambientale e delle vittime.
Per questo motivo ci preoccupiamo. Per questo non si può stare zitti, il Governo si deve muovere, a mio avviso. Scusate, forse non è il mio ruolo, io sono un cittadino, ma chiedo che il Governo si muova per sviluppare quelle azioni, quali lo sviluppo della normativa, la valutazione della vulnerabilità e, a questo punto, anche un'indagine speditiva delle situazioni di maggior pericolo, perché la Protezione civile sappia come intervenire, se mai qualcosa si verificasse. Non sarebbero soldi, né tempo buttati, perché il problema esiste comunque. Se si prendono i due studi italiani e lo studio russo, sono tre gli studi che allarmano la Sicilia, non uno, ma tre. L'Emilia-Romagna era allarmata da uno studio e dall'altro no e il terremoto è arrivato. A me preoccupa il fatto che ci


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siano tre studi, di cui uno russo, con dati totalmente indipendenti, che mostrano questa situazione di preoccupazione.

PRESIDENTE. Comunico solo che il Ministero dell'interno è stato avvisato della pericolosità degli impianti chimici in prossimità di un eventuale terremoto. È stato avvisato direttamente.

ANTONELLO SALVATORI, Docente di tecnica delle costruzioni, costruzioni in zona sismica e costruzioni speciali civili presso l'Università de L'Aquila. Buongiorno. Sono Antonello Salvatori dell'Università dell'Aquila, docente di costruzioni in zona sismica presso l'Università de L'Aquila.
Mi riallaccio al discorso che hanno svolto prima l'ingegner Martelli, il collega Clemente e il professor Panza, riportandolo più a una visione ingegneristica e a quello che noi dobbiamo cercare di attuare per proteggere il costruito, a tutti i livelli, edilizia residenziale, edilizia pubblica, edilizia industriale e impianti ad alto rischio, come quelli nell'area di Siracusa.
Per riallacciarmi ai discorsi del professor Panza, inizio illustrando brevemente alcune situazioni note ai geofisici e ai geologi sulla situazione dell'area italiana. In particolar modo, vi mostro lo schema delle faglie principali nell'Italia centromeridionale, a partire dall'Emilia e della Pianura Padana per arrivare fino alla Sicilia.
Ci accorgiamo, a parte il colore che rappresenta diversi tipi di movimento fra l'area interna, l'area appenninica e le aree costiere, che qualsiasi settore dell'Italia ha un problema di natura sismica, ovvero che una qualsiasi di queste faglie è capace di generare forti terremoti.
Come ha affermato il professor Panza, non ci interessa la ricorrenza di questi terremoti, ovvero sapere che un terremoto viene sporadicamente, ragion per cui non ne abbiamo notizie. Voi tenete presente che noi traiamo le notizie principalmente dal Catalogo storico dei terremoti, che è sicuramente il più completo al mondo, ma che non va più indietro dell'anno 1000. Abbiamo una catalogazione di massima dei terremoti dell'anno 1000 e una catalogazione un po' più scientifica soltanto degli ultimi due secoli. Ovviamente stiamo parlando della puntura di spillo in una spugna.
Sono dati relativamente piccoli rispetto ai tempi della geologia, ma che ci forniscono indicazioni come quelle che vediamo in questa mappa. Questa è la zona fra l'Emilia, la Toscana e l'Umbria. I dati ci forniscono indicazioni su quelli che possono essere i movimenti e, quindi, la pericolosità sismica di ogni area, pericolosità intesa come capacità di generare forti terremoti.
Normalmente inizio anche i corsi a livello universitario con queste nozioni, per un motivo semplice, ossia per far capire ai futuri ingegneri che, quando loro progettano guardando una normativa - per noi la normativa è rappresentata, per esempio, dalle mappe colorate che abbiamo visto poco fa; le mappe individuano un numero che per gli ingegneri è un livello di accelerazione alla base, ossia la forza con cui viene mossa la struttura durante un terremoto - il numero indicato in realtà non costituisce la verità, ma un minimo, quello che io chiamo il minimo legale. Nel caso in cui un edificio subisca un danno, tale numero è il minimo per cui l'ingegnere sicuramente non passerà guai giudiziari, come sta succedendo in alcuni casi proprio a L'Aquila.
In realtà non è proprio così, perché l'ingegnere deve essere informato sulla reale pericolosità sismica del terremoto e su ciò che propongono i metodi probabilistici o neodeterministici al fine di valutare la pericolosità sismica.
Questo ci pone un problema e, per esempio, il terremoto del ferrarese di ieri e della settimana scorsa l'ha evidenziato molto bene. In un'area dove l'input sismico è stato decisamente sottostimato sono avvenuti crolli e decessi, ma probabilmente, dal momento che si cerca sempre di attribuire la colpa a qualcuno o a qualcosa, la colpa non esiste. Non è fatalità, ovviamente, perché le costruzioni da


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sole non crollerebbero, il problema è che queste costruzioni sono figlie dei loro tempi e di normative palesemente arretrate. Le normative italiane in campo sismico sono state per decenni palesemente arretrate e ancora adesso sono in parte arretrate rispetto a quelle dei Paesi più avanzati. I riferimenti sono gli Stati Uniti, il Giappone e la Nuova Zelanda.
Per esempio, vi illustro brevemente un ingrandimento delle mappe che abbiamo visto prima. Se voi fate riferimento ad alcune strutture note, per esempio in Emilia, vedrete che su queste mappe c'è poco. A mano a mano che scendiamo verso il Meridione, vedete lo scuotimento che si è verificato e l'abbassamento del suolo che si è avuto nel ferrarese a seguito del terremoto della settimana scorsa. L'abbassamento nella zona rossa è di circa quindici centimetri, tanto per darvi un'idea dei parametri ingegneristici che si usano per la progettazione. Tutta quella zona rossa è una zona che si è spostata ed è scesa verso il basso di circa quindici centimetri, in un'area compresa più o meno fra Carpi e Ferrara.
Scendendo verso il Centro Italia - questo è l'Appennino, siamo nella zona dell'Abruzzo - aumenta la conoscenza delle strutture interne, ovvero dei sistemi di faglie interne. Sono faglie note che hanno generato terremoti distruttivi nei secoli passati.
C'è una scarsa conoscenza, però, di quello che c'è sulla costa. Se richiamate la prima mappa che vi ho mostrato, ricorderete che sulla costa c'è un sistema di meccanismi di compressione tale da poter generare eventi anche di magnitudo 7. Penso che il professor Panza concordi.
A mano a mano che andiamo verso Sud - ci spostiamo sull'Irpinia e sul Pollino, dove peraltro è in corso una piccola sequenza sismica - vediamo che ci sono molte strutture note e lo stesso vale per la Sila e per la Sicilia. Per esempio, la struttura in rosso è una struttura che verso la fine del diciassettesimo secolo ha sostanzialmente distrutto metà della Sicilia, a partire dalla Val di Noto per arrivare fino a Piazza Armerina, Enna e Caltanissetta.
Il territorio italiano, Sardegna esclusa, è dunque sismico ed è capace di generare terremoti di magnitudo elevata. Se noi facciamo riferimento ai problemi della magnitudo, la magnitudo per noi ingegneri non è una grandezza molto significativa, mentre lo è per un geofisico. Per me un terremoto di magnitudo 5, 6 o 7, ingegneristicamente parlando, nel senso della protezione delle strutture, ha poco senso. Ha poco senso perché mi interessano altri parametri, che io sono capace di tradurre in numeri e che gli ingegneri correntemente traducono in numeri nel famoso calcolo che rende l'idea dell'adeguatezza sismica di una struttura.
Questo numero è dato, per esempio, dall'accelerazione al suolo, a terra, ovvero dalla forza con cui la struttura viene scossa e dallo spostamento della struttura al suolo. Poi ci sono altri numeri che dipendono dal fatto che il terremoto è comunque una grandezza dinamica e, come tale, va rappresentata. Non entro nel dettaglio, perché è una questione piuttosto complessa.
Su che cosa si basano questi numeri? Si basano sulla mappa che attualmente è in vigore dal 2003 per il territorio nazionale e che si basa non sulla capacità di valutare il movimento di placche della crosta terrestre, quindi sulla capacità di generare forti terremoti, ma su una probabilità di ricorrenza.
Peraltro, volevo specificare che la mappa che vi ha mostrato il professor Panza è una mappa tarata su un periodo di ritorno dei terremoti di circa cinquecento anni, nel senso probabilistico. Gli edifici in Italia non si progettano tutti in questo modo. Un edificio normale, un edificio di abitazione si progetta per questo tipo di terremoto, mentre un ospedale o un centro di protezione civile si progettano per un terremoto più violento, per un terremoto che ha un tempo di ritorno di 2.500 anni. Una scuola si progetta per un tempo di ritorno di poco più di 900 anni.


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A che cosa è associato questo tempo di ritorno? È associato a un input sismico leggermente più alto o più basso, a seconda dei casi. Ciò non dà una reale idea della protezione della struttura. Come avevo osservato anche nella scorsa audizione, noi siamo in questo edificio, un edificio che ha una funzione strategica, e, quindi, il terremoto di progetto sarebbe un terremoto con un tempo di ritorno di 2.500 anni, ma magari l'edificio di fronte, che potrebbe a sua volta creare un rischio, è un edificio che va valutato per un tempo di ritorno molto inferiore, per una forza antisismica molto più bassa.
Tutti questi dati si basano su cataloghi come quello illustrato nel diagramma, che è semplicemente una rappresentazione della conoscenza, in questo caso, di eventi di magnitudo superiore a 6 nel tempo. Il diagramma è completo a partire dalla seconda metà dell'Ottocento: le informazioni sono veramente carenti. Noi non abbiamo una conoscenza reale delle informazioni di questo tipo.
Occorre valutare anche un altro aspetto, in merito al quale mi collego in parte al terremoto de L'Aquila. Le immagini che vi mostro vengono proprio da L'Aquila città e sono legate al concetto di protezione sismica, al concetto di protezione della vita umana e, quindi, anche al concetto ingegneristico e a quello che poi interessa maggiormente lo Stato, il concetto dell'economia e della gestione, sia della prevenzione, sia di un post-terremoto.
Vi porto l'esempio di un quartiere nella periferia nord de L'Aquila, un quartiere ancora adesso, al termine del terremoto, sfollato, vuoto, ancora non abitato, un quartiere di circa 15.000 abitanti. È un quartiere dove la protezione sismica ha funzionato, nel senso che edifici calcolati con le precedenti norme sismiche non a livelli eccelsi hanno subìto alcuni danni, ma non ci sono stati crolli. In tutto il quartiere si è registrata una sola vittima in una vecchia casa e, quindi, il quartiere si è comportato, da questo punto di vista, egregiamente. È questo il concetto che tenta di far passare ancora l'attuale normativa, con riferimento alle norme tecniche emanate nel 2008.
Il problema di questa norma è che la normativa implicitamente continua ad ammettere un danno. Secondo me, ciò può avere un senso nel momento in cui il sisma colpisce aree poco abitate, aree non produttive, ma, nel momento in cui il sisma colpisce una città come L'Aquila oppure una zona molto produttiva come l'Emilia, secondo me, da parte di una nazione civile non si può più accettare che ci sia un danno.
Vedete questi edifici. Sono edifici le cui strutture non hanno subìto danni, ma le cui modalità di comportamento degli elementi secondari, le cortine, le tamponature e i tramezzi, hanno fatto sì che tali edifici siano disabitati e rimarranno disabitati per almeno altri due o tre anni, finché non si riuscirà ad aggiustarli, per elementi che noi ingegneri consideriamo secondari. Per noi il fatto primario è che l'edificio non debba subire danni o comunque che i danni siano limitati.
Che cosa significa questo in termini di costi di assistenza dello Stato? Significa un costo molto elevato per tenere fuori casa, in alloggi di emergenza o in alberghi, 15.000, 20.000 o, come era stato in questo caso, 70.000 persone. Significa sostenere costi di riparazione di queste strutture e di questi edifici, costi diretti molto elevati, che peraltro incidono pesantemente sul bilancio dello Stato. Sono costi dovuti molto spesso alla cattiva costruzione, ovvero alla cattiva esecuzione di dettagli costruttivi che la normativa sismica non tiene in grande considerazione.
Stiamo parlando di edifici nuovi. Vi sto illustrando edifici che hanno dieci anni di età più o meno, edifici molto recenti. Per esempio, a destra si vede una parete interamente crollata. Ho affermato prima che non è successo nulla, ma è chiaro che una parete di quel tipo può tranquillamente uccidere una persona e queste situazioni devono essere normate.
Il problema è questo: la normativa, a mio parere, deve portare il livello di sicurezza degli edifici ad un gradino più


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alto. Non solo deve considerare tutte le considerazioni che non sono state citate prima, ovvero il livello di input sismico deve essere valutato correntemente, non basandosi su un criterio che va bene per le assicurazioni, ossia su un criterio attuariale, ma su un criterio di reale protezione sismica del territorio.
Prima abbiamo svolto una battuta su Roma, ma non è tanto una battuta, come non lo sarebbe su Pescara, su Termoli o su Rimini, zone d'Italia dove le costruzioni, come nell'Emilia, sono figlie di una normativa che non prevedeva il terremoto. Si pone, infatti, anche il problema della prevenzione sismica. Parlerò brevemente poi dell'esistente.
La normativa da questo punto di vista in un Paese moderno, ossia in un Paese dove gli elementi del terziario regolano la vita civile, ossia le comunicazioni, il lavoro e gli uffici, non si può più permettere di tenere intere aree d'Italia bloccate in questa maniera. Anche il fatto di parlare prima del parmigiano e degli scaffali crollati in realtà fa parte tutto dello stesso aspetto.
La normativa deve superare, secondo me, il concetto di accettazione del danno delle strutture. La normativa indica che per un evento forte, per un terremoto di magnitudo 7, noi accettiamo il danno alle strutture, però poi chiediamoci: come mai in Giappone, quando si verifica un evento di magnitudo 7, le strutture non solo non subiscano danni? Come mai la conseguenza peggiore che ciò può comportare è che la metropolitana di Tokyo venga bloccata per un quarto d'ora per le verifiche di rito della funzionalità? Da noi un terremoto di magnitudo 7, in qualsiasi area del Paese, sarebbe estremamente disastroso, non fosse altro per la durata del sisma.
Noi dobbiamo tendere alla massima sicurezza degli edifici e le strade per farlo sono due: o innalziamo la soglia e, quindi, portiamo questo numero di 0,3 g, che può essere anche di 0,5 g, a un livello più elevato, o accettiamo che le strutture non subiscano danni e, quindi, innalziamo anche quello che si chiama lo stato limite di danno. Questo nella normativa si può fare e, quindi, quello che vi ha illustrato l'ingegner Clemente per le zone a più debole sismicità in realtà può essere, a mio parere, esteso anche alle zone ad alta sismicità.
Alcuni edifici realizzati a L'Aquila ne sono la prova, peraltro. Di uno sono felice di essere stato il progettista. Mi riferisco alla nuova sede dell'università per la facoltà di lettere. Sono edifici che superano indenni questi terremoti o edifici in cui la popolazione ha spontaneamente accettato un minimo maggior costo. Non si tratta di un maggior costo, a fronte di una protezione sismica molto più elevata.
È chiaro che non tutta la popolazione è sensibile fino a questo punto. La popolazione non è in grado di valutare il costo e, quindi, dobbiamo darle noi l'input. L'unico input che abbiamo è la legislazione, cioè l'obbligo, perché la popolazione non capisce altro.
Vi cito un esempio. Io sono molto coinvolto in numerose fasi della ricostruzione a L'Aquila. Lo Stato eroga contributi per ripristinare gli edifici, per riparare i danni, ma anche per migliorarli sismicamente, il che è un investimento per i prossimi eventi sismici.
Che cosa vede la gente di questi finanziamenti? La gente non si rende conto del miglioramento sismico, non lo comprende neanche dopo aver subìto un forte terremoto. La gente pensa non dico alla mattonella, ma al cappotto termico, all'isolamento termico, cioè a questioni che sono anche obblighi legislativi, perché sono dettati da alcune leggi del 2006, ma su cui riesce ad avere un contatto più tangibile, perché magari la bolletta energetica diventa più bassa.
Per l'input sismico non è così e, quindi, l'obbligo deve avvenire per mezzo di un decreto o di una legge che lo imponga ai progettisti, in quanto non tutti hanno la stessa sensibilità.
L'altra strategia della protezione assoluta, di cui avevo già parlato, è l'isolamento sismico, ovvero separare il movimento dell'edificio, della struttura, dal movimento del terreno. È fondamentale, perché


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con l'isolamento sismico siamo in grado di proteggere gli edifici pubblici, gli ospedali, i centri di protezione civile, le scuole soprattutto, ma anche gli edifici privati, in maniera pressoché assoluta. La sera dopo l'evento la gente è a casa propria, non è in tenda o a dormire in macchina. È in casa propria, con l'isolamento sismico.
L'isolamento sismico è auspicabile e in alcune zone del mondo è un obbligo. In Martinica, che è territorio francese, per legge le scuole devono essere sismicamente isolate.
Ricordo che in Toscana esiste un problema di protezione sismica delle scuole e che molto scuole sono in corso di isolamento. Per le scuole di San Giuliano di Puglia e de L'Aquila stessa molti edifici sono in corso d'isolamento sismico.
Con l'isolamento noi possiamo evitare tutto ciò - vedete nella slide alcuni crolli di edifici nel centro storico de L'Aquila - perché con l'isolamento sismico, laddove è applicabile, si possono proteggere integralmente strutture esistenti e, quindi, quello che diventa molto complesso, quello che un'assicurazione veramente si rifiuterebbe di assicurare con l'isolamento sismico diventa possibile.
Tanto per darvi un'idea, questa è una parte di una realizzazione che è in corso a L'Aquila, dove è in atto un isolamento sismico di un edificio in muratura esistente tale da portare il livello di protezione di tale edificio da circa zero, che è adesso il livello attuale, a un livello superiore al 100 per cento di quello maggiormente prevedibile per la zona. È un'operazione piuttosto semplice.
Vedete gli edifici dell'Università de L'Aquila, ormai al termine della loro costruzione. Sono edifici in cui le porzioni già costruite con l'isolamento non hanno avuto il benché minimo danno. Vedete alcuni degli isolatori applicati su questa struttura.
Volevo giungere più meno alle stesse conclusioni dell'audizione precedente. È auspicabile da parte del legislatore una maggiore attenzione e, in alcuni casi, quasi un'imposizione di queste tecniche di protezione sismica, perché sono tecniche innovative, ma standard in tutto il mondo, testate non soltanto in laboratorio, ma anche in terremoti reali.
Quando sentite che in Giappone, in Nuova Zelanda o in Cile c'è stato un terremoto di magnitudo 8,8 o 9, cioè eventi che noi non possiamo nemmeno comprendere quanto siano violenti e lunghi, e che gli edifici isolati hanno superato indenni questi terremoti, allora dobbiamo sapere che c'è una strategia che noi possiamo adottare in Italia e io sinceramente mi sentirei d'imporla come obbligo nei nuovi edifici pubblici.
Nei nuovi edifici pubblici, dal momento che esiste questa possibilità, mi sentirei di imporre da normatore l'obbligo di utilizzare il sistema di isolamento, con due attenzioni.
La prima è che isolatori ben progettati proteggano la struttura. Devono essere ben progettati, perché non tutti sono all'altezza di progettarli senza un apposito studio.
La seconda è che devono essere anche ben collaudati, ovvero il ruolo fondamentale è quello del collaudatore. C'è una pecca della normativa rispetto alle ordinanze precedenti, perché le ordinanze prevedevano che il collaudatore di un edificio con isolamento sismico fosse o una persona esperta o una persona che avesse già diretto o progettato opere simili. Questo obbligo, però, è scomparso nell'attuale normativa e io ne auspicherei il reintegro.
Si aggiunge un altro fatto: progettare strutture è un compito specialistico, un compito non semplice. Io insegno questa materia all'università e vi garantisco che per me stesso non è un compito semplice, né è un compito semplice farlo capire agli studenti, anche se, essendo giovani, recepiscono e, quindi, funziona.
Io ho usato sempre questi esempi: se voi dovete affidarvi a qualcuno che vi elabori l'antincendio o la sicurezza in un cantiere, sappiate che esiste l'obbligo di avere un patentino, cioè un'iscrizione in elenchi speciali. Chi effettua il coordinamento per la sicurezza deve essere iscritto in un elenco speciale, altrimenti non lo può effettuare, chi progetta l'antincendio


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in questo edificio deve avere un'iscrizione presso il Ministero dell'interno o non lo può progettare, mentre chiunque può progettare in zona sismica. Ve lo garantisco perché lo vedo a L'Aquila.
Ma non è vero che chiunque può progettare in zona sismica. Mi dispiace, bisogna essere anche cattivi verso molti colleghi, ma non è vero che chiunque può progettare in zona sismica. C'è gente che non ha proprio il concetto di come si progetti in zona sismica. È come se voi volaste su un aereo progettato, invece che da un ingegnere aeronautico, da me o da un geometra, peggio ancora, senza offesa per i geometri.
Il problema è che progettare in zona sismica richiede talmente tanta specializzazione e accuratezza, mentre abbiamo anche molte incertezze, come avete capito. L'incertezza prima è proprio il terremoto, cioè la sorgente che definisce il rischio per l'edificio.
La mia idea è che occorra un patentino speciale anche per progettare in zona sismica, cioè occorre un albo speciale. Non si può permettere a chiunque di farlo, perché è in gioco la vita umana. Lo vedo, vi ripeto, da alcuni interventi che sono in corso in questo momento a L'Aquila, peraltro dopo un terremoto. Ho già espresso le mie critiche a chi, purtroppo, controlla male i progetti: il riferimento non implicito è a ReLUIS, una rete di laboratori universitari, e alla parte economica. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

AURELIO SALVATORE MISITI. Oltre a rivolgere un ringraziamento per la completezza e l'ampiezza delle esposizioni, rilevo che mi sembrava che l'ENEA avesse piuttosto l'obiettivo di garantire la sicurezza degli edifici già esistenti. L'obiettivo è quello di raggiungere la massima sicurezza di questi edifici. Invece mi pare che l'ultimo intervento abbia colmato un po' la questione con l'accenno alla formazione.
Pongo una domanda. Poiché l'Italia è tutta sismica ormai, la formazione di ingegneri civili va ripensata (ed io ne ho laureati diverse migliaia). Lei sostiene che occorre un patentino. Secondo me, non occorre il patentino, ma si dovrebbe rivedere la formazione degli ingegneri, in modo che ci sia una specializzazione. Non si può progettare altrimenti che in zona sismica. Bisogna che ci sia una formazione adatta esclusivamente a questo scopo. Questa è una questione.
Un'altra questione, che invece vorrei sapere dagli scienziati, è la ragione geologica per cui la Sardegna non è sismica.

PAOLO CLEMENTE, Responsabile del Laboratorio ENEA prevenzione e mitigazione effetti rischi naturali. Vorrei svolgere un chiarimento sul discorso. Il problema è che progettano strutture civili non solo gli ingegneri civili, che non sono tutti strutturisti - ci sono anche quelli idraulici e via elencano - ma anche gli architetti.
Ho posto la questione personalmente, credo anche in quest'Aula, a diversi ordini professionali, i quali sostengono che è praticamente impossibile erogare un patentino. Io ho chiesto almeno un elenco, senza valore legale. Quantomeno l'ordine può indicare chi sono coloro che hanno superato un esame di costruzioni in zona sismica. Gli ordini, però, si rifiutano di farlo.

AURELIO SALVATORE MISITI. Non lo fanno perché tutti gli altri sarebbero disoccupati.

ANTONELLO SALVATORI, Docente di tecnica delle costruzioni, costruzioni in zona sismica e costruzioni speciali civili presso l'Università de L'Aquila. C'è stata un'iniziativa dell'ordine di Messina che è stata piuttosto efficace, ma ha avuto la partecipazione di 40 ingegneri su alcune migliaia. Hanno partecipato 40 ingegneri su 3.000. Quei 40 erano preparatissimi, ovviamente, e molto attenti.

GIULIANO PANZA, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste. Il discorso della Sardegna è una domanda estremamente importante,


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perché non sappiamo neanche noi il motivo. La Sardegna è asismica fino a prova contraria. Perché? Perché 20 milioni di anni fa, che in termini geologici sono un'inezia, era attaccata al Golfo del Leone, in Francia. Poi si è staccata.
La Sardegna e la Corsica erano attaccate in un punto e la Sardegna si è staccata. Dato che c'erano le Baleari, e ci sono ancora, quando è avvenuto un movimento verso est, è avvenuto a forma di coltello un po' chiuso. Poi è proseguito, lo spazio si è aperto e l'isola si è messa nella posizione attuale.
In parallelo, ha cominciato ad aprirsi il Tirreno e, quindi, da una parte si spostava in questo senso e dall'altra si è aperto uno spazio e si è venuta a creare una situazione di equilibrio dinamico.
Per questo motivo, la Sardegna è ferma, però, lo ripeto, fino a prova contraria. È in equilibrio dinamico.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Sulle statistiche sono d'accordo. Sono informazioni degli storici. Ci sono alcuni rilevatori, però, che vediamo in televisione quando succedono i terremoti. Si vanno a firmare alcuni rotoli di carta che rilevano il sisma col pennino. Esiste una sufficiente rete dal punto di vista del controllo del territorio o anche su questo lato siamo carenti? Inoltre, le chiedo- è facile accedere a questi dati da parte dell'università e di voi fisici?

GIULIANO PANZA, Professore ordinario di sismologia presso l'Università degli studi di Trieste. L'accesso ai dati attualmente è discreto, ma nel passato ci sono stati serissimi problemi, tant'è vero che per la parte che noi svolgiamo sulla previsione, per la quale abbiamo bisogno di un flusso sismico, ci basiamo su un centro inglese.
Dal punto di vista delle stazioni di osservazione non ce ne sono mai abbastanza, questo è ovvio, però, se io dovessi individuare alcune priorità, pretenderei prima di tutto che si elaborassero i dati che vengono raccolti, li si spremesse bene e che con la torchiatura si facesse la grappa, per così dire.
La strumentazione va migliorata. Sto parlando dei sismografi. Le stazioni GPS potrebbero essere allargate. Ci sono aspetti che potrebbero essere potenziati, però sulla parte di rilevazione del fenomeno, cioè sull'aspetto notarile, che è importante, quello che indica che si sono verificati tanti terremoti in tanto tempo, ci sono dati sufficienti. Può essere opportuno magari porre alcune stazioni in doppia sicurezza, perché, come al solito, la situazione può cambiare, ma non vedo come un problema fondamentale quello della strumentazione sismografica. Vedo, invece, l'importanza dell'uso della spremitura del dato che non viene effettuata, perché - scusate, ma è una colpa di tutti noi - non investiamo in cervelli.

GIANLUCA BENAMATI. Ci sarebbero tanti temi da affrontare, perché in questa lunghissima presentazione sono uscite tante questioni. Non credo che entro le 16.00 riusciremo a trattarli tutti, ma mi soffermo almeno sulle questioni su cui mi interesserebbe avere un approfondimento. Le cito per titoli, poi magari le tratteremo in altra sede e in altra maniera.
Sono state svolte considerazioni di una discreta rilevanza, perché questa indagine conoscitiva avrebbe lo scopo anche di svolgere un ragionamento, raccogliendo tutte le opinioni. Abbiamo sentito il professor Luciano Maiani, per esempio, in occasione di altre indagini conoscitive, in un'audizione relativa a un provvedimento che abbiamo in esame, il quale ha effettuato alcune valutazioni sullo stato della mappatura sismica del nostro Paese.
In questa audizione, tuttavia, è stata presentata una rivalutazione del territorio nazionale rispetto non solo all'analisi probabilistica, ma anche a un'analisi più accurata, accoppiata anche a un sistema di valutazione più ingegneristico, che è quello delle accelerazioni, le quali, da un lato, ci pongono una preoccupazione per il ritorno di fenomeni di grandi dimensioni in alcune aree limitate del nostro Paese e, dall'altro, ci mettono nella condizione di ovviarvi. Questo tema, secondo me, dovrebbe essere approfondito con voi.


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Un altro tema che è stato sollevato è quello della predizione. In effetti, ci sarebbe la necessità di capire anche meglio qual è lo stato del sistema predittivo. Su questa tipologia di fenomeni la Commissione in questi casi è un po' scettica, perché le polemiche che sono intercorse fra gli enti che si occupano di questo tema a livello nazionale nei giorni scorsi e la situazione di grave calamità nazionale che stiamo attraversando ci impongono anche come parlamentari, non come tecnici, di capire se il Governo, lo Stato e noi stessi stiamo trascurando alcune possibilità che ci offrono la scienza e la tecnica per salvaguardare la pubblica incolumità. Nell'ampia presentazione ho inteso alcuni accenni, con riferimenti anche territoriali, ma sarebbe una questione, presidente, che meriterebbe uno specifico approfondimento.
Poiché ci sono tanti temi che stiamo portando avanti, li cito proprio semplicemente. Sono state svolte valutazioni sul patrimonio edificato di «insoddisfacenza», se posso usare questo neologismo, rispetto alle richieste e ai requisiti che porrebbero i sismi che andiamo immaginando.
Loro sapranno che uno dei temi che abbiamo aperto è relativo alla disciplina nazionale, che è originata dal 2003, con l'ordinanza del Presidente del Consiglio di svolgere un censimento. Loro ci comunicano che il 70 per cento del patrimonio nazionale non è a norma. Noi stiamo chiedendo al Governo di indicarci qual è la situazione del censimento delle infrastrutture strategiche e delle opere di pubblico interesse. È un'informazione che vorremmo avere. Voi ci fornite già un'indicazione, ma ci interessa sapere come poi scaturisca.
C'è inoltre nella vostra relazione un riferimento ad una questione che è stata materia di discussione stamattina nelle Commissioni riunite I e VIII, nell'ambito del nuovo decreto-legge di riordino della normativa sulla Protezione civile, laddove abbiamo discusso dei limiti e della possibilità di introdurre un sistema assicurativo a sostegno e a integrazione, o anche in sostituzione, dell'intervento dello Stato.
In questa presentazione ho visto alcune cifre di valutazione di quello che poteva essere il costo di un'operazione di questo tipo. Poiché io presumo, non solo per conoscenza personale, ma anche per ruolo e funzione, che voi siate esperti, vorrei capire, dal momento che uno dei problemi che discutevamo stamani è anche la quantificazione dei costi di un intervento di questo tipo, quali sono le fonti, le origini e come avete determinato una cifra sicuramente accessibile al largo pubblico come quella di 200 euro l'anno, che non era esattamente la cifra che ci immaginavamo noi stamattina.
Ci sono poi le questioni degli impianti. Abbiamo appena discusso, sempre nella nostra Commissione, sulla vicenda di Rivara, dove doveva realizzarsi un impianto di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, in una zona che ha aperto faglie che collegano chilometri.
In buona sostanza, i temi che almeno io avrei sollevato rispetto ai vostri interventi sono molti. Purtroppo, l'audizione si è un po' prolungata; abbiamo apprezzato molto la parte scientifica, ma ci sono alcuni dati che ci state fornendo, che, lo confesso, per il prosieguo di queste audizioni sono rilevanti.
Presidente, la invito a pensare se si possa avere la formulazione di alcune risposte, magari in una breve nuova audizione motivata solo dal fornirci le risposte. Mi rendo conto della complessità della questione anche per gli intervenuti.

PRESIDENTE. La soluzione più semplice è valutare se giovedì prossimo ci sia uno spazio, in base anche ai lavori sul decreto-legge che stiamo esaminando. Vediamo se c'è una disponibilità a svolgere una seconda audizione con le domande dei commissari e le vostre risposte.

ALESSANDRO MARTELLI, Direttore del Centro ricerche ENEA di Bologna. Se posso esprimere il mio parere, secondo me il tema è talmente ampio che le presentazioni non avrebbero potuto essere più brevi di quanto non lo siano state. Altrimenti non si sarebbero svolte considerazioni significative.


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Le domande e i temi aperti sono molti. Da parte nostra, se voi lo ritenete utile e lo desiderate, siamo disponibili a tornare per un secondo tempo della questione. Avendo voi già ascoltato la nostra esposizione, la seconda parte sarebbe interamente dedicata alle risposte puntuali alle diverse domande. Su questo credo che anche i colleghi abbiano la più ampia disponibilità.
D'altra parte, quella che è stato oggi proposta dai partecipanti a quest'audizione è la parte un po' più innovativa rispetto al problema, più innovativa e forse anche più critica, per cui siamo noi a dover fornire più spiegazioni di altri, che, invece, portano avanti un certo discorso da tempo.Più che un testo scritto, che credo sia molto freddo e che non so se lascerebbe una traccia, penso che l'interazione umana sia molto più efficace.
In ogni caso, la nostra disponibilità c'è, ma decidete voi, ovviamente.

PRESIDENTE. Ringrazio, a nome dell'intera Commissione, gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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