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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione XI
15.
Mercoledì 5 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO DEL LAVORO TRA DINAMICHE DI ACCESSO E FATTORI DI SVILUPPO

Audizione di rappresentanti di Confindustria:

Cazzola Giuliano, Presidente ... 3
Moffa Silvano, Presidente ... 8 10
Albini Pierangelo, Direttore relazioni industriali, sicurezza ed affari sociali di Confindustria ... 3 8
Bobba Luigi (PD) ... 8
Cazzola Giuliano (PdL) ... 8
Mazzolari Francesca, Funzionario delcentro studi di Confindustria ... 9

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti di Confindustria ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

[Avanti]
COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 5 ottobre 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIANO CAZZOLA

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
Sono presenti Pierangelo Albini, direttore relazioni industriali, sicurezza e affari sociali, Massimo Marchetti, relazioni industriali, sicurezza e affari sociali, Francesca Mazzolari, centro studi, Patrizia La Monica, direttore rapporti istituzionali, Martina Dezi, rapporti istituzionali.
Avverto che i rappresentanti di Confindustria hanno messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, do loro la parola.

PIERANGELO ALBINI, Direttore relazioni industriali, sicurezza e affari sociali di Confindustria. Ringrazio, a nome di Confindustria, la Commissione per l'opportunità di partecipare a questa indagine. Come ha già avuto modo di notare il presidente, disponiamo di una corposa documentazione che lasceremo per la consultazione.
Il mio intervento cercherà di cogliere i punti essenziali del contributo che ci viene chiesto, con riferimento specifico ai tre focus che l'indagine indica come obiettivi di questa ricerca.
Faccio una premessa di scenario semplicemente per mettere in evidenza il quadro di riferimento complessivo. Di fatto, rispetto a quanto dicono gli economisti, siamo a due anni dal massimo punto di caduta della recessione e vediamo ancora i mercati del lavoro americano, europeo e italiano in evidente difficoltà. Questa situazione sta producendo effetti che sono, con tutta probabilità, destinati a perdurare nel tempo. C'è una debole intonazione nei livelli di attività, possono essere ancora compiuti importanti recuperi perché le imprese hanno fatto ampio ricorso agli ammortizzatori sociali e, come in tutte le situazioni di crisi, ci sono dei fenomeni frizionali sia dal punto di vista del cambiamento della distribuzione settoriale della domanda sia dal punto di vista della modificazione dell'offerta.
Nella documentazione che abbiamo prodotto abbiamo voluto rappresentare questo fenomeno anche dal punto di vista grafico. Se osservate il primo grafico, potete vedere a colpo d'occhio quella che avrebbe potuto essere la traiettoria di crescita della nostra economia se non si


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fossero verificati i fenomeni di crisi che hanno colpito anche il nostro Paese. La linea più bassa rappresenta, invece, quello che ragionevolmente sarà, sulla base delle previsioni al 2016, il trend di crescita del nostro prodotto.
Questo è lo scenario che, in estrema sintesi, ci troviamo ad affrontare. Parlare di mercato del lavoro con questa proiezione costituisce una certa fatica. Anche chi deve proporre qualche soluzione va incontro a scoraggiamento. Tuttavia, il tema ci deve costringere a cimentarci con questo compito.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

PIERANGELO ALBINI, Direttore relazioni industriali, sicurezza e affari sociali di Confindustria. Il primo punto sul quale l'indagine pone l'attenzione è il fenomeno detto dello skill gap, cioè l'obsolescenza professionale delle forze lavoro rispetto alle nuove traiettorie e al cambiamento del mercato. La nostra documentazione contiene alcuni dati che offrono subito l'evidenza della situazione che abbiamo davanti.
La popolazione in cerca di occupazione da almeno sei mesi è cresciuta dal 3,4 per cento della forza lavoro nel 2007 al 5,6 per cento all'inizio del 2011. Questo mette subito in luce una situazione nella quale un primo elemento di criticità è rappresentato dal fatto che le persone fanno più fatica a rientrare nel mercato del lavoro. Contemporaneamente, come si evince dal secondo grafico, esiste una diminuzione anche nella partecipazione.
Questi due fenomeni descrivono la cornice nella quale ci troviamo, una cornice ancora più preoccupante se consideriamo che l'Italia, il secondo Paese per vocazione manifatturiera in Europa dopo la Germania, deve fare i conti con una Germania che presenta dati in controtendenza sia per il tasso di disoccupazione sia per quello di occupazione. L'economia tedesca e le imprese tedesche hanno attraversato la crisi senza perdere occupazione, anzi paradossalmente facendo crescere il loro tasso di occupazione, che era già molto più elevato del nostro. Questo preoccupa perché i tedeschi sono i nostri principali competitor.
Vi sono due fenomeni interessanti per l'indagine che si sta conducendo. Il primo è rappresentato graficamente da una proiezione dei possibili effetti della crisi in termini di ricadute occupazionali sulle imprese appartenenti ai settori del manifatturiero e dell'industria. Questo indicatore mostra che alcuni settori della nostra economia, anche grazie all'utilizzo degli ammortizzatori sociali, non hanno ancora «pagato» il prezzo occupazionale della crisi.
Il secondo dato che emerge è una polarizzazione piuttosto evidente sia verso i profili professionali più elevati sia verso i profili a minore contenuto di professionalità. Come si dice spesso in questi casi, il nostro mercato del lavoro incontra difficoltà settoriali che devono ancora manifestarsi e che in larga parte possono ancora dare luogo a cadute del dato occupazionale.
Questa polarizzazione del mercato del lavoro sulle alte e sulle basse professionalità non trova una risposta, neppure parziale, nel fenomeno dell'immigrazione. In altre parole, non riusciamo a trovare risposte ai bisogni occupazionali che emergono sul territorio nazionale attraverso l'occupazione degli immigrati, che pure presenta un dato in crescita. Dal 2008 al 2010 è, infatti, aumentata di 330 mila unità, compensando il gap negativo nell'occupazione degli italiani.
Tuttavia, il tasso di disoccupazione aumenta anche fra la popolazione cosiddetta immigrata. Il problema è che non riusciamo a soddisfare il nostro mercato del lavoro puntando su una migliore attrattività delle politiche dell'immigrazione. Mi rendo conto che questo ragionamento ha molte implicazioni, non tutte facilmente sintetizzabili in questo intervento, ma facilmente intuibili. Ciononostante, una riflessione sull'attrattiva che il Paese esercita


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rispetto ai flussi migratori, anche con riferimento al mercato del lavoro, ci induce a fare qualche considerazione.
Mi permetterei in questa sede di indicare due aspetti banali, ma utili in questa logica. Si parla dell'attuazione della direttiva sulla blue card, uno strumento che può servire per esercitare maggiore attrattività e favorire l'ingresso in Italia di una popolazione di immigrati dotati di livelli di professionalità più consoni al tessuto imprenditoriale italiano.
Nello stesso tempo, vi è una nuova iniziativa relativa alla direttiva sull'Intra-corporate transferees. È un tema che interessa moltissimo le imprese multinazionali, sia quelle presenti in Italia sia quelle che potrebbero venire a insediarsi in Italia. Una delle difficoltà maggiori che molto spesso incontrano le imprese nei confronti di manager che provengono dagli Stati Uniti o dalla Svizzera, Paesi non appartenenti ad aree meno fortunate del pianeta, è quella di far arrivare in Italia il personale qualificato. Ragionare su questi casi per allargare le possibilità e rendere più facile per questi soggetti, che già operano o che vorranno operare in Italia, la mobilità del personale con alta professionalità potrebbe essere interessante.
Parlando del match fra la domanda e l'offerta, non possiamo trascurare un riferimento al nostro sistema di collocamento. Con il Piano nazionale delle riforme ci siamo posti obiettivi per la crescita dei livelli occupazionali di questo Paese molto ambiziosi. Sono molto meno ambiziosi di quelli che vorrebbe l'Europa, anche per la sostenibilità del nostro welfare. Ma se vogliamo perseguire questi obiettivi, per i quali il fattore della crescita diventa determinante, dobbiamo riflettere anche sul sistema di intermediazione della manodopera.
In Italia abbiamo fatto dei passi avanti importanti in questi anni, per esempio costruendo reti, migliorando i livelli di informatizzazione e dando luogo a iniziative lodevolissime come quella del Cliclavoro, il sistema informatico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che consente un'intermediazione diretta della manodopera.
Probabilmente è arrivato il momento di compiere anche scelte più coraggiose per quanto attiene ai sistemi di collocamento pubblico. Esso potrebbe essere reso meno generalista, indirizzandolo di più verso le fasce deboli e lavorando per progetti e dentro un contesto territoriale più specifico. Si tratterebbe di attribuire al servizio del collocamento pubblico una funzione complementare a quella che già oggi il mercato si dimostra in grado di svolgere. È una scelta che andrebbe fatta anche per economizzare le risorse e rendere più proficuo il match fra domanda e offerta.
Come inciso, aggiungo che ovviamente fra le misure che potrebbero favorire il mercato del lavoro c'è anche l'annosa questione, che noi poniamo sempre, della riduzione della pressione fiscale sulle imprese e del taglio del cuneo fiscale. Pur comprendendo perfettamente la situazione congiunturale che attraversiamo, questo è un tema sui cui sarebbe opportuno riflettere.
Venendo al secondo tema che si chiedeva di approfondire, cioè la formazione professionale, non vorrei annoiarvi con tutta una serie di dati sulla situazione generale. Nella documentazione li troverete ricostruiti in maniera molto più organica di quanto non sia in grado di fare io in questo momento. Certo è che siamo in presenza di alcuni fenomeni che descrivono un contesto sul quale è assolutamente necessario intervenire. In caso contrario, vuoi per i fenomeni di polarizzazione, vuoi perché di fatto queste tendenze non vengono corrette, l'effetto finale sarà un livello di mismatch sempre più elevato.
Alcuni dati devono essere considerati. Quello più generale riguarda la composizione della nostra società: la popolazione invecchia e questo ci mette in difficoltà anche rispetto a tutti gli altri Paesi, il grado di istruzione universitaria è basso, come basso è il numero di laureati in materie tecnico-scientifiche. Altrettanto limitato è il tasso di iscrizione nei percorsi


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di istruzione secondaria di tipo tecnico, che comparato ancora una volta a quello della Germania risulta sfavorevole.
Pur in una situazione di crisi come questa, si evidenziano dei paradossi, perché si registra la mancanza di una serie di professionalità tecniche. Noi avevamo quantificato in 180 mila le figure che mancano nel nostro mercato del lavoro e che le nostre imprese non riescono a trovare. C'è una sorta di scollamento fra gli indirizzi scolastici e della formazione e le reali potenzialità che il mercato del lavoro offre.
Da questo punto di vista va compiuta una scelta radicale. Se vogliamo avvicinare domanda e offerta nel mercato del lavoro, un collegamento più stretto fra la formazione professionale e il mercato è una scelta obbligata. Mi limito a citare le conclusioni del Rapporto sul futuro della formazione in Italia del dicembre 2009, frutto del lavoro di un'apposita commissione ministeriale, dal quale emerge in maniera abbastanza evidente che «i percorsi di istruzione e formazione non sembrano rispondere alle esigenze né degli studenti né delle imprese». C'è un lavoro da compiere sull'orientamento scolastico, da un lato, e sulla formazione professionale, dall'altro.
Va sicuramente considerata anche la necessità di impiegare meglio le risorse cospicue che pure ci sono e che le Regioni hanno messo generosamente a disposizione. Durante il periodo della crisi abbiamo fatto esperienze positive attraverso la gestione degli ammortizzatori sociali in deroga, ma le risorse dovrebbero essere utilizzate in maniera più attenta. L'impressione è che anche l'offerta formativa delle Regioni e gli interventi attuati con i Fondi strutturali seguano la cosiddetta forma «a catalogo» piuttosto che essere faticosamente costruiti sulle esigenze reali del territorio.
Mi rendo perfettamente conto che ci muoviamo su un terreno impervio e complesso, che mette a fattor comune esperienze differenti. Tuttavia, l'esperienza che abbiamo maturato in particolare attraverso la gestione della cassa in deroga, che costringeva a un utilizzo integrato delle politiche passive e delle politiche attive, cioè dei momenti di formazione, per favorire il reingresso nel mondo del lavoro dei giovani, pur con la variabilità che presenta sempre la geografia italiana, ha avuto in molte aree del Paese una buona applicazione e ha dimostrato di essere una strada virtuosa da seguire.
A margine di questi ragionamenti sul mercato del lavoro, sappiamo benissimo che investire e destinare risorse alle politiche passive in un contesto nel quale le risorse sono esigue significa non poterne destinare alle politiche attive. L'integrazione di questi due sistemi, attuata con un'unica prospettiva, consente di compiere scelte più oculate.
Nell'ambito dell'indagine ci viene anche chiesto di mettere in evidenza i contributi che le parti sociali possono dare su questo tema attraverso i fondi interprofessionali. Nel documento troverete una serie di dati, che non mi occorre ricordare. Trovate citato in modo particolare Fondimpresa, il fondo costituito da Confindustria con CGIL, CISL e UIL, che si è impegnato a fornire formazione continua ai dipendenti delle imprese associate a Confindustria.
Come sapete, con la crisi del 2010 il fondo ha cominciato a destinare parte delle risorse anche ai cassintegrati e ai lavoratori in mobilità, una fascia di popolazione per la quale strutturalmente il fondo non era destinato a intervenire. Con senso di responsabilità le parti si sono fatte carico di questo problema e l'esperienza è stata positiva. Ovviamente noi teniamo a preservare l'identità e l'autonomia dei fondi. Ci rendiamo conto che in periodi in cui le risorse sono scarse si guarda con grande interesse ovunque, ma noi riteniamo che queste risorse debbano essere assolutamente preservate per le finalità per le quali sono accantonate.
La finalità di investire sulla formazione continua dei lavoratori non può essere considerata, neppure in un periodo di crisi come questo, una preoccupazione secondaria. Un intervento su questi fondi offrirebbe


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un sollievo marginale, ma non gioverebbe alla costruzione di condizioni di miglior favore per il futuro.
Il documento che vi abbiamo consegnato si conclude con due focus particolari, uno sui giovani e uno sulle donne. Non ci era stato richiesto, ma ormai siamo tutti attenti agli aspetti legati alla parità. Non voglio dilungarmi oltre, anche perché chi mi ha preceduto ha provveduto a fornirvi una notevole quantità di dati. I nostri non sono nuovi o diversi da quelli che sono stati rappresentati alla Commissione. Ho avuto il piacere di leggere altri contributi e li ho trovati molto rispondenti. D'altra parte le fonti a cui tutti si abbeverano sono poche, seppure di assoluto pregio. Mi limiterò a fare due considerazioni, una sui giovani e una sulle donne, restando ovviamente a disposizione per ulteriori chiarimenti. Del resto, ho portato con me una nutrita delegazione di esperti economisti e giuristi.
I giovani sono l'argomento che forse ha più rilevanza dal punto di vista del dibattito politico Ci sono dei dati che alimentano polemiche, ma le polemiche riguardano problemi reali, come il precariato o gli effetti della transizione dei giovani nel mondo del lavoro, che vanno trattati con molta attenzione, ma anche con obiettività. Alcuni numeri sono in controtendenza rispetto a quanto normalmente si legge sui giornali, anche se il fenomeno della disoccupazione giovanile continua a rimanere un problema importante.
Per noi la soluzione è sostanzialmente una. Il nostro problema di fondo si può riassumere in questi termini: i nostri giovani arrivano al mondo del lavoro più tardi che in alcuni altri Paesi, ci arrivano con un bagaglio di esperienze non sempre adatto, ma soprattutto ci arrivano totalmente digiuni da esperienze lavorative. Negli altri Paesi i ragazzi hanno forse più difficoltà nei percorsi universitari e si laureano più tardi, ma durante gli anni degli studi esistono momenti in cui incrociano anche esperienze lavorative. Il mondo del lavoro, quindi, si incrocia prima e lo si incrocia più stabilmente di quanto non succeda da noi.
Dicendo questo, penso come ovvio alla positiva riforma dell'apprendistato. È una scelta precisa che noi condividiamo perché riteniamo che l'apprendistato possa essere lo strumento che, nei suoi tre diversi livelli, consente l'incontro virtuoso fra il mondo della scuola e dell'università e il mondo del lavoro. Adesso occorrerà dare pieno compimento a questa riforma. Se interveniamo nel contempo sui tirocini, sulla limitazione delle forme contrattuali differenti e canalizziamo il mercato del lavoro in quella direzione, il mercato del lavoro su quello strumento deve poter fare affidamento.
Per quanto riguarda le donne, quando parliamo dei dati sull'occupazione femminile registriamo molte differenze rispetto a Paesi più virtuosi del nostro. Consideriamo le differenze generazionali e territoriali e facciamo una fotografia di questo fenomeno in Italia molto accurata. Di contorno, sosteniamo sempre che per favorire l'occupazione femminile occorrerebbe lavorare sul contesto, sui tempi di vita, sui tempi delle città, sui servizi.
Nella documentazione che abbiamo allegato sono riportati alcuni dati interessanti sul tasso di natalità, il tasso di occupazione o il livello dei servizi nel territorio, che sono una chiave di lettura interessante per capire alcuni fenomeni italiani.
Io mi limito a richiamare la vostra attenzione, visto che ho dato questo taglio al mio intervento, sul tema della scolarità. Ci sono due dati che potete apprezzare in maniera molto chiara, cosa studiano le donne in Italia e perché fanno grande fatica, anche e soprattutto nel momento in cui hanno conseguito una laurea, a trovare un'occupazione. Nei dati che forniamo c'è un'evidenza, e cioè che alcune lauree (tecniche e tecnologiche, ingegneristiche o di tipo scientifico) consentono di trovare rapidamente un lavoro, ma anche di conservarlo stabilmente, e di trovare un lavoro di qualità con rapporti che si consolidano più in fretta di altri. È un focus che mi sembrava importante sottolineare.


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Spero di non aver esagerato con la mia dissertazione. Vi ringrazio e rimango a disposizione, insieme ai colleghi, per eventuali approfondimenti.

PRESIDENTE. Ringrazio Pierangelo Albini.
Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni. Raccomando di svolgere brevi e sintetici interventi, considerati i tempi ristretti e i lavori dell'Assemblea.

LUIGI BOBBA. Chiederei un approfondimento sul tema della formazione professionale, che è stato trattato nella prima parte dell'intervento.
Mi sembra che quanto accaduto in questi ultimi due anni non ci rassicuri per il futuro. Da un lato, per finanziare la cassa in deroga è stato sottratto un numero oggettivamente cospicuo di risorse dalla formazione professionale. Dall'altro, prosegue anche in questo anno scolastico 2011-2012 la liceizzazione della scuola secondaria.
Sono due fenomeni che procedono contrariamente rispetto a quanto voi qui auspicate.

GIULIANO CAZZOLA. Unisco i miei ringraziamenti a quelli del presidente.
Volevo chiarimenti rispetto a dati che ho avuto modo di scorrere velocemente. Può darsi che mi si risponda che basterebbe consultare con più attenzione quelli ufficiali e che non sarebbe quindi il caso di domandare. Ma io ho notato alcune cose che hanno colpito la mia curiosità.
In base ai dati, il fenomeno dei NEET è un fenomeno vecchio e non invece fiorito nel giardino di casa negli ultimi anni. Secondo i dati che voi avete fornito, addirittura nel 1998 i NEET erano il 23,4 per cento nell'età compresa fra i 15 e i 24 anni. Nel decennio 1998-2008 questa percentuale diminuisce di otto punti. Nel 2010, invece, risale al 19,1. Io possiedo dati leggermente diversi. A me risulta che nella fascia di età fra 15 e 24 anni i NEET sono il 10,5 per cento, mentre allargando la fascia fino ai 29 anni arriviamo sopra il 20 per cento.
L'altro dato che mi ha colpito sono i tassi di occupazione maschile e femminile del nord (mi riferisco a pagina 18 della vostra documentazione). Sostanzialmente, se le giovani donne al nord nella fascia di età compresa tra 25 e 34 anni hanno un tasso di occupazione del 70,5 per cento e se gli uomini nella stessa fascia di età hanno un tasso di occupazione pari all'86,3 per cento, si rappresenta che nonostante la crisi siamo vicini a standard quasi di piena occupazione, soprattutto per gli uomini. I tassi del nord del Paese sono tassi che nemmeno la Ruhr o la Baviera possono permettersi.
Mi pare che da questi dati emerga con grande evidenza che tutti i problemi della crescita, dell'occupazione e della disoccupazione nelle varie forme e per genere che noi affrontiamo sono essenzialmente una questione meridionale e, quindi, una priorità politica nei riguardi del Mezzogiorno, visto che siamo un Paese unito e vogliamo restarlo.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

PIERANGELO ALBINI, Direttore relazioni industriali, sicurezza e affari sociali di Confindustria. Chiederò alla collega, dottoressa Francesca Mazzolari, di aiutarmi a rispondere sui numeri perché non vorrei dare risposte per le quali sarei poi rimproverato.
Rispondo su alcune questioni. L'utilizzo delle risorse nel finanziamento della cassa in deroga è una vexata quaestio. Mi permetterei di sottolineare - e lo faccio anche quando ci sono colleghi che rappresentano altre categorie datoriali - che l'industria possiede un sistema di contribuzione per il quale versa i contributi per avere le assicurazioni contro la disoccupazione e per l'intervento della cassa integrazione guadagni.
Quando si chiede ad altri settori perché non si dotino di uno strumento del genere, rispondono di non averne bisogno perché sono diversi da noi; quando però si verificano periodi di crisi come questo, attingono a soldi che appartengono alla


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fiscalità pubblica. Bisogna dirselo con molta chiarezza, anche perché nel riparto di competenze, dato il presupposto che si accede alle risorse nel momento in cui si è utilizzato tutto quello che c'era, gli associati di Confindustria - per spezzare una lancia in loro favore - arrivano a essere buoni ultimi. E molto spesso i criteri di ripartizione risentono del fatto che l'Italia è sì un Paese unito, ma verrebbe da dire per caso.
In questo senso, occorrono ragionamenti complessivi. Non basta dire che mancano le risorse, bisognerebbe avere anche l'onestà di dire che, se vogliamo costruire un sistema di welfare più equilibrato che tenga conto di politiche passive e attive e che investa sulle politiche attive, e se vogliamo una copertura universalmente più efficace, tutti dovrebbero sopportarne i costi. Questi problemi esistono e inesorabilmente le risorse vengono meno per ragioni di emergenza.
Credo che correttamente il Governo abbia fatto questa scelta, e le parti sociali sono state molto responsabili. L'utilizzo di ammortizzatori sociali in deroga ha permesso di contenere, anche laddove non esistevano ammortizzatori tradizionali, gli effetti sull'occupazione.
In tema di liceizzazione, pur non essendo io un esperto di riforma scolastica, c'è sempre una dicotomia che colpisce il mondo di Confindustria sul fatto di volere le braccia o i cervelli. Come diceva benissimo l'onorevole Cazzola, in alcune aree del Paese c'è una situazione di quasi piena occupazione, anche se la crisi è passata anche di lì e ha fatto vittime anche da quelle parti, e facciamo fatica a trovare italiani disponibili a svolgere alcuni tipi di attività.
Lì abbiamo, quindi, bisogno di braccia. Ci sono realtà nelle quali oggettivamente la logica, la cultura che ha fatto passare l'idea del lavoro manuale come un disvalore porta a non accettare più tutta una serie di attività che ancora rimangono nel manifatturiero tradizionale. Il concetto: «studia sennò ti mando a lavorare», fa del lavoro un castigo, e il castigo peggiore è lavorare con le mani.
C'è poi una rappresentazione del mondo dell'impresa che non è sempre corretta. Forse anche noi siamo bravi a farci del male in tutte le occasioni che il Signore ci concede. Siamo capaci di prendere i peggiori esempi ed ergerli a regola del manifatturiero italiano.
Questi due aspetti coesistono e l'equilibrio è difficile da trovare. Come dico banalmente ai miei studenti all'università, bisogna fare dei sacrifici, come forse ha fatto la generazione che ci ha preceduto, e cominciare a farli anche a scuola. La scuola è un posto dove bisogna cominciare a fare dei sacrifici, il più grosso dei quali è studiare anziché divertirsi.
Non volendo fare della retorica, chiederei alla collega di aiutarmi.

FRANCESCA MAZZOLARI, Funzionario del centro studi di Confindustria. Riguardo a questo gruppo chiamato NEET (Neither in Education, Employment or Training), l'importanza di cercare di definirne l'entità deriva dal fatto che questa definizione coglie molto più di altri indicatori, quali per esempio il tasso di disoccupazione, le criticità del mercato del lavoro dei giovani. Al di là della ricerca attiva di un lavoro, si coglie la dimensione del fenomeno dell'essere inoccupati non cercando lavoro, cosa che viene persa dall'indicatore tasso di disoccupazione.
Sui numeri citati, ricordo che in effetti nelle elaborazioni del rapporto Censis la quantificazione del gruppo NEET nelle varie classi di età, e in particolare in quella più giovane, risultava inferiore. Tuttavia, sottolineo che l'identificazione del gruppo si basa su alcune caratteristiche; pertanto l'essere, per esempio, occupati in attività di training potrebbe essere definito in modo diverso.
Noi abbiamo utilizzato i dati OCSE per poter confrontare l'Italia con gli altri Paesi e questo è quello che ci risulta. Tra i 15 e i 24 anni l'incidenza nel 2010 risale al 19 per cento rispetto al 15 per cento del 2008. Il fenomeno però si acuisce e diventa ancora più grave quando si guarda alla


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classe di età successiva, quella tra i 25 e i 29 anni, dove l'incidenza dei NEET è addirittura del 27,3 per cento.
Viene sottolineato un aspetto grave dell'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro in Italia. Rispetto agli altri Paesi europei con cui ci confrontiamo, è una criticità in particolare del nostro Paese dovuta probabilmente al fatto che, come ricordava il dottor Albini, i giovani italiani completano gli studi tardi e senza aver avuto esperienze lavorative. Questo rimanda a tutte le problematiche di inserimento di una classe di età che forse in altri Paesi fa registrare tassi di occupazione già più elevati.
Sul confronto specifico tra i numeri, mi riservo di approfondire dove stia la differenza nelle cifre presentate dal rapporto del Censis. L'avevo notata, ma sinceramente non ho studiato da dove derivi. Al di là dei numeri, però, il trend è prima di diminuzione e poi, con la crisi, di aumento. Inoltre, è evidente in Italia l'incidenza più alta dei NEET nelle classi di età più avanzate.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di Confindustria. Se vorrete trasmettere alla Commissione ulteriore documentazione prima che termini il nostro lavoro, ne saremo estremamente lieti.
Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.

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