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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
2.
Martedì 1° dicembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 2422 SBAI RECANTE «MODIFICA ALL'ARTICOLO 5 DELLA LEGGE 22 MAGGIO 1975, N. 152, CONCERNENTE IL DIVIETO DI INDOSSARE GLI INDUMENTI DENOMINATI BURQA E NIQAB» E C. 2769 COTA E ALTRI RECANTE «MODIFICA DELL'ARTICOLO 5 DELLA LEGGE 22 MAGGIO 1975, N. 152, IN MATERIA DI TUTELA DELL'OR DINE PUBBLICO E DI IDENTIFICABILITÀ DELLE PERSONE»

Audizione di rappresentanti di associazioni:

Bruno Donato, Presidente ... 3 15 18 19 21
Bouchaib Gamal, Presidente della Consulta degli stranieri al comune de L'Aquila ... 3 19
Chabib Samira, Presidente di Saadia - Associazione donne marocchine ... 5 21
Dachan Mohamed Nour, Presidente dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia ... 7 18
Dal Lago Manuela (LNP) ... 16
Favia David (IdV) ... 17
Mantini Pierluigi (UdC) ... 17
Mansouri Mustapha, Segretario nazionale della Confederazione della comunità marocchina in Italia ... 8 20
Mechnoune Abdellah, Imam della moschea di Torino, ambasciatore della pace per le Nazioni Unite-sezione dialogo interreligioso ... 9
Mounia Saber, Presidente dell'Associazione in Italia dei minori non accompagnati ... 12 19
Nuzzo Pina, Responsabile nazionale dell'Unione donne in Italia ... 14 20
Pastore Maria Piera (LNP) ... 17
Zaccaria Roberto (PD) ... 15 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 1° dicembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 15,50.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di associazioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito del l'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 2422 Sbai recante «Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab» e C. 2769 Cota e altri recante «Modifica dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, in materia di tutela dell'ordine pubblico e di identificabilità delle persone», l'audizione di rappresentanti di associazioni.
Sono presenti Gamal Bouchaib, presidente della consulta straniera al comune de L'Aquila, Samira Chabib, presidente di Saadia - Associazione donne marocchine, Mohamed Nour Dachan, presidente dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia, Mustapha Mansouri, segretario nazionale della Confederazione della comunità marocchina in Italia, Abdellah Mechnoune, imam della moschea di Torino, ambasciatore della pace per le Nazioni Unite-sezione dialogo interreligioso, Saber Mounia, presidente dell'Associazione in Italia dei minori non accompagnati e Pina Nuzzo, responsabile nazionale dell'Unione donne in Italia.
Ringrazio tutti per aver accettato l'invito.
Do la parola agli auditi per lo svolgimento della loro relazione.

GAMAL BOUCHAIB, Presidente della Consulta degli stranieri al comune de L'Aquila. Signor presidente, onorevoli deputati, sono felice di poter essere qui, questo pomeriggio, a esporre il mio punto di vista sulla questione del burqa e del niqab.
Rinchiuse tra mille cancelli culturali e religiosi, ingabbiate dentro una speranza prostrata da mille e mille traversie, le donne musulmane spesso affondano nella paura quando stringono con mani stanche il vuoto di una società appiattita dal silenzio e da una sordida indifferenza.
Jean Jacques Rousseau, filosofo dell'Ottocento che influenzò con le sue idee sociopolitiche la rivoluzione francese, disse che la libertà non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel non fare ciò che non si vuole fare. Parole sante in un'epoca di grandi cambiamenti, dove la nostra società è in cammino e a guidarci non dovranno essere le ideologie, più o meno apocalittiche o messianiche, ma le bussole della ragione, che dovranno essere orientate sui punti cardinali della libertà e della dignità. Ha senso parlare di democrazia, di società civile e di progresso solo se questi portano ad aumentare le opportunità dell'uomo, ad


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accrescere le sue possibilità di scelta sulla propria vita, sul proprio destino e sul proprio futuro.
Non è democrazia tutto ciò che esula da questo quadro, anche nelle sue forme più subdole e seducenti.
Oggi stiamo scrivendo la storia di questo Paese, che mai è stato minacciato nella sua integrità culturale e identitaria come lo è oggi, in questo quadro mondiale, dove la jihad islamica si sta trasformando in jihad culturale guidata da organizzazioni cosiddette islamiche. Nel nostro Paese si assiste a una tendenza ai neotribalismi e agli integralismi, risultato di esperienze di persone che si trovano dal versante passivo della globalizzazione.
Sotto il burqa ci sono meravigliose donne-madri, castrate dal maschilismo di certi uomini travestiti da signori di religione. Sotto il burqa ci sono bambine nate per aderire a patti culturali che seppelliscono la libertà dell'essere donna. Sotto il burqa ci sono vite spezzate, occhi verdi che non riescono nemmeno a vedere la luce limpida del cielo. Sotto il burqa c'è anche un Islam offeso, perché questo comportamento è puramente maschilista e non religioso, oltre a essere la prova della paura della donna.
Una donna libera, ricordiamocelo, è più forte di mille kamikaze, perché usa l'amore invece dell'odio, crea vite invece di distruggerle, forma un pilastro sociale, politico ed economico di un Paese civile. Ecco perché è più facile, per qualche imbecille - e che Dio mi perdoni l'arroganza - chiuderla dentro una bara che si chiama burqa, per essere seppellita viva.
Non c'è democrazia senza una libertà attiva, non c'è libertà attiva senza diritti e non ci sono diritti senza pari opportunità tra uomo e donna. La proposta di legge Sbai dà a queste donne l'opportunità di sognare e di vedere l'azzurro del mare senza griglie assassine, offre alla donna il diritto di riappropriarsi della propria immagine identitaria senza paura.
L'uguaglianza è utile a tutti. Non è necessario che venga accolta solo in nome di un Dio o di una cultura. Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo, senza cadere in trappole ideologiche o religiose, ma dando senso alla lotta che si è fatta per secoli per arrivare a una creatura meravigliosa che si chiama Costituzione, la stessa che qualcuno cerca di mummificare colpendo il diritto delle donne, ma questo è un desiderio che rimarrà tale, perché saremo a fianco delle donne per i diritti e per la libertà.
Siamo molto accorti, perché oggi l'Islam integralista sta avanzando e sta cambiando volto per non farsi riconoscere, diventando sempre più una jihad culturale sulla quale si apre un dibattito in tutta l'Europa. Non diamo ascolto a fanatici maschilisti che vogliono invadere il territorio e i diritti universali, ma diamo loro una risposta unica, chiara e tonda: non c'è spazio tra noi per chi lede ai diritti delle donne e usa l'Islam per i suoi fini. Affrontare, dunque, la questione femminile con la lente di caricature culturali e comportamentali significa appoggiare il capo sul cuscino del diavolo.
In verità, oggi esiste solo una civiltà, cui tutto il mondo deve tendere e sta tendendo, quella che pone al primo posto il principio della legalità, non i discorsi mendaci e ideologici di una certa cultura della chiusura e dell'isolamento.
Non mi sento rappresentato da alcuna associazione islamica in Italia. Il burqa non può e non deve diventare la normalità di un paese civile. Il concetto chiave è che la legalità deve essere il motore di una società democratica. Se non viene rispettata la legge, come fa qualcuno nelle strade di Torino e di Bologna - basta fare un giro per vedere il burqa dappertutto - tanto vale affidarsi alla buona sorte e che Dio ce la mandi buona.
Quello che conta è che la politica non dimostri la capacità di guardare a un orizzonte dialogante con questo fenomeno, che non è islamico, ma appartiene ad altre etnie. Non lo possiamo far passare sotto la lente islamica, sarebbe un grosso errore. Non vogliamo obbedire ai riflessi pavloviani del «come eravamo», ma vogliamo linee strategiche del «come saremo», del fare futuro e creare una società uguale per tutti.


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Se la politica dialoga con questi fenomeni, come il niqab - ve lo chiedo con una domanda molto semplice - se dà loro spazio, la società civile ci crederà ancora e potrà avere fiducia? Mi pare che la risposta sia difficile da dare.
Tiro le somme di questo discorso: l'Italia di oggi deve essere quella riformista, della legalità, della libertà. Questo è uno dei momenti giusti, cogliamolo.
L'unica mia precisazione, nonché una domanda che vorrei rivolgere a tutti voi, è la seguente. Moltissime di queste donne hanno gravi malattie, anche di allattamento, per mancanza di luce. Vi pare possibile, anche sotto un profilo religioso, inchinarsi e sacrificarle per motivi religiosi? Lascio a ognuno di voi la risposta.

SAMIRA CHABIB, Presidente di Saadia - Associazione donne marocchine. Signor presidente, onorevoli deputati, voglio ringraziare tutti per avermi dato la possibilità di essere ascoltata oggi su un tema che mi è molto caro, come donna e come musulmana.
Oggi sono qui sia come presidente dell'associazione Saadia, sia come ricercatrice presso l'Osservatorio nazionale violenza domestica.
L'obbligo, la richiesta di indossare il burqa per rispettare le norme coraniche è un'imposizione alla quale non aderiscono neppure molti paesi islamici. Il velo integrale è conseguenza di tradizioni locali indipendenti dalle prescrizioni religiose dell'Islam.
Infatti, nelle norme coraniche il verso 59 della Sura 33 recita: «O profeta! Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro mantelli; questo sarà più atto a distinguerle dalle altre e a che non vengano offese». Nel versetto viene affermato che le donne devono essere distinte, ma non obbligate a indossare il burqa, tant'è che le altre musulmane, pur non ricoprendosi di un mantello, non compivano, tuttavia, alcun atto riprovevole.
Ricordiamo che il burqa è di recente introduzione: in Afghanistan, all'inizio del Novecento, fu imposto da re Habibullah alle 200 donne del suo harem, in modo tale da non indurre in tentazione gli uomini quando si fossero trovate fuori dalla residenza reale. Divenne così un capo per le donne dei ceti superiori, affinché fossero protette dagli sguardi del popolo. Fino agli anni Cinquanta era, dunque, una prerogativa dei ceti abbienti. Successivamente, tali ceti iniziarono a non farne più uso, ma nel frattempo il burqa era diventato un capo ambìto anche dai ceti poveri. Nel 1961 venne proclamata una legge che ne vietò l'uso alle dipendenti pubbliche, ma durante la guerra civile venne instaurato un regime islamico radicale e sempre più donne tornarono a indossarlo, fino al divieto assoluto per tutte di mostrare il volto, imposto dal successivo regime teocratico dei talebani.
Prevenire è meglio che curare. Si inizia sempre col dire che si è più vicini ad Allah se facciamo in modo che le nostre mogli, figlie, sorelle si qualifichino, anche esteriormente, attraverso un certo codice di abbigliamento e si comportino di conseguenza.
In altri Paesi, si è iniziato con alcuni gruppi islamici integralisti, che hanno suggerito questa usanza, per poi farla divenire costrizione. Vi è quindi una grande confusione tra ciò che è tradizione e ciò che è religione. In tal senso, la tradizione viene spesso e volentieri, soprattutto da determinati gruppi, elevata a rango di religione. Per questo motivo le donne musulmane diventano sempre di più vittime e oggetti «da usare» e controllare rigidamente.
Tutto questo trova supporto nelle prese di posizione di alcuni imam, che potremmo definire «fai da te» o estremisti, i quali pensano che, laddove impongono con maggiore forza barbare usanze come il burqa e il niqab, si avvicinano con maggiore e più salda fede ad Allah. Perciò le donne non coperte vengono svilite, insultate e di frequente maltrattate, con l'accusa di essere apostate e di essersi convertite a un'altra religione, subendo una fortissima pressione psicologica diretta e indiretta.
All'interno della nostra comunità, c'è sempre più il rischio che le donne subiscano,


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inoltre, diversi tipi di oppressione: per esempio, si minaccia di sottrarre loro i documenti, i figli, e le si accusa di essere diventate occidentali, cristiane.
Ora, in Italia, indossare il burqa o il niqab, essere a volto coperto in luoghi pubblici in modo tale da non essere riconoscibili, è reato. Tali indumenti rappresentano un costume introdotto da frange estremiste, che vogliono fare politica anche attraverso la sottomissione formale del sesso femminile, piegando il credo religioso a un'ideologia che non ha nulla a che vedere con la professione del culto.
È ben vero che tali indumenti sono in uso presso alcune donne immigrate di religione musulmana e italiane convertite all'Islam, ma è falso ritenere che indossarli sia necessario per permettere loro di professare correttamente il loro culto. burqa e niqab non fanno parte della religione musulmana.
Non è mia intenzione affermare che debba essere impedito alla donna di professare liberamente il proprio culto, purché ciò avvenga per convinzione e adesione del tutto libera e personale e nel rispetto delle leggi del Paese di dimora, in questo caso di quelle italiane.
Inoltre, adottare tali indumenti non può e non deve simboleggiare un atto di sottomissione al compagno, al marito, alla famiglia, o alla parte più radicale della comunità, poiché, in questo caso, essi diventerebbero segno evidente di segregazione, annientamento e reclusione in una prigione, le cui sbarre sono rappresentate dal burqa.
Quando si intende parlare di integrazione, è necessario innanzitutto ricordare che la Repubblica italiana è uno Stato nel quale la Costituzione garantisce a ognuno di professare il proprio credo. Tuttavia, è necessario sgomberare il campo da false verità. La religione è un atto di amore e di fedeltà, di adesione a un messaggio di tolleranza, solidarietà e comprensione. Pretendere di travestire la sete di potere e di predominio dell'uomo sulla donna, del fratello sulla sorella, del marito sulla moglie, del figlio sulla madre sotto mentite spoglie religiose è un atto di arroganza che non può essere tollerato.
Per questo oggi diciamo «no» alla cultura dell'odio. Insegnare l'odio, difendere la diffidenza, accrescere e acuire i contrasti rappresenta soprattutto un danno per le seconde e terze generazioni, per i figli che sono nati e crescono a cavallo di due culture, diverse ma non per questo nemiche.
I bambini sono come una pagina bianca su cui è possibile scrivere e disegnare ciò che si vuole. Per questo motivo devono essere educati al rispetto dell'altro, ai valori dell'uguaglianza e della fratellanza. Se viene loro insegnato e inculcato l'odio, se vengono piegati alla cultura della sottomissione, se non apprendono che l'uomo e la donna sono esseri umani uguali di fronte alla legge e a Dio, tutto il nostro Paese correrà gravi rischi di disgregazione e malessere sociale e fallirà gli obiettivi di integrazione che oggi si pone.
È proprio alle nuove generazioni che oggi dobbiamo guardare, insegnando loro la cultura della libertà e della libera adesione ai valori che esse, autonomamente e secondo le proprie sensibilità, sentiranno più prossimi.
Gli estremisti nostrani ed europei hanno tutto l'interesse di fare affermare l'uso del foulard, del niqab, del burqa per fare politica sulla testa delle donne. È un obiettivo programmato e messo a punto a tavolino dopo Khomeini.
Chiedo alla Commissione e al Parlamento italiano, da musulmana che lavora da anni con le donne immigrate, di approvare la proposta di legge contro il burqa e il niqab. Anche se si fosse trattato di indumenti prescritti dal credo religioso, essi avrebbero comunque rappresentato una grave violazione dei diritti umani e del principio di uguaglianza tra uomo e donna, oltre a un danno grave alla salute delle donne, dal momento che provoca un deficit evidente delle vitamine acquisite dalla luce del sole.
Non mi sento rappresentata da nessuna associazione islamica in Italia.


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MOHAMED NOUR DACHAN, Presidente dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia. Nel nome dell'unico Dio, signor presidente e onorevoli parlamentari, innanzitutto vi rivolgo il mio sincero ringraziamento per questo invito, che considero, a nome mio e dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia (UCOII), un onore e un segno tangibile del rispetto e dell'attenzione del Parlamento verso la comunità musulmana d'Italia.
Passo subito a esporre la valutazione dell'UCOII sulle proposte di legge presentate.
L'UCOII non considera il burqa un dovere religioso inderogabile. Esso è un dovere religioso che discende dal generoso Corano e riguarda esclusivamente l'obbligo di indossare un velo che cinga il capo ossia l'hejab, come ha ricordato la mia sorella Samira, della quale approvo la relazione.
Fatta questa premessa, l'UCOII non può mancare di evidenziare come le due proposte di legge, introducendo il divieto di portare il volto coperto a prescindere da esigenze di sicurezza, si pongono in contrasto con la Carta costituzionale e inducono a una pericolosa forma di discriminazione.
Parlando di sicurezza, apro una parentesi e tengo a precisare che niente e nessuno ha mai portato tanto danno all'Islam e ai musulmani quanto il terrorismo.
In uno Stato liberale e laico, nel foro interno, le scelte religiose, qualunque esse siano, devono essere lasciate alla libera scelta dell'individuo. L'attuale legge n. 152 del 1975 contempera in modo equilibrato e rispettoso i princìpi costituzionali della libertà religiosa dell'individuo con quelli di difesa dell'ordine pubblico. Questo fino a oggi è stato sufficiente a soddisfare le esigenze di sicurezza senza dare vita a discriminazioni.
Per la prima volta, ora, una legge dovrebbe vietare espressamente una credenza religiosa. Tale previsione ci pare - qualunque sia la credenza in questione - un abuso e una violazione dei princìpi costituzionali.
A questo proposito, l'UCOII non può che richiamare le pronunce del Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza del 19 giugno del 2008, n. 3076, ha stabilito che l'uso di coprire il volto per motivi religiosi integra un utilizzo che generalmente non è diretto a evitare il riconoscimento, ma costituisce l'attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture.
All'UCOII pare che una legge che proponesse di dichiarare illegale una tradizione e una cultura - come ci ricorda il Consiglio di Stato - sarebbe semplicemente liberticida e anticostituzionale. In ogni caso, nessuno degli aderenti e dei dirigenti dell'UCOII e nessuna donna della seconda generazione in Italia porta un siffatto abbigliamento, che - lo ripeto a chiare lettere - non è rigorosamente necessario.
L'UCOII è preoccupata dal fatto che le proposte di legge in questione avrebbero come conseguenza un'ulteriore emarginazione delle persone che si sentono legate a quella determinata credenza religiosa. Dichiarando illegale il burqa, anziché il dialogo avremo ulteriore segregazione e autosegregazione, con conseguenze ancora peggiori e drammatiche. L'UCOII teme che, a causa del divieto che si vuole introdurre, le pochissime donne interessate scompaiano dai radar delle istituzioni e della società e che di esse non si sappia più nulla.
La nostra società ha bisogno di dialogare. Soprattutto le istituzioni hanno bisogno di conoscere i propri cittadini, i loro problemi e, soprattutto, il loro stile di vita. Solo in questo modo sarà possibile prevenire e combattere ogni forma di abuso, di prepotenza e di imposizione, utilizzando erroneamente la religione all'interno della stessa famiglia.
Una legge che rende clandestina una credenza religiosa sarebbe assolutamente, qualunque essa sia, la migliore alleata dei violenti e dei prevaricatori che abusano della debolezza della donna. Senza libertà, senza dialogo, senza rispetto dell'individuo possono solo nascere rancori, frustrazioni, emarginazioni e, dunque, altra illegalità.


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Gradirei che prestaste attenzione alla seguente considerazione: se un uomo impone con la violenza il burqa alla propria moglie, sarà anche in grado, dopo l'introduzione del divieto previsto dalle due proposte di legge, di imporle la clausura e la reclusione a casa, questa volta con la complicità della legge. Che cosa ne sarà di quella povera donna?
Illustrissimi deputati, l'UCOII rappresenta alla vostra attenzione la necessità di una legge sulla libertà religiosa che sia in grado di dare a ciascuna confessione e a ciascuna credenza il giusto rispetto e le giuste possibilità di espressione. Allo stesso tempo, auspica che sia sanzionata in modo sempre più severo qualunque forma di abuso e di violenza sulle donne commessa per qualsiasi motivo.
L'UCOII ha approvato all'unanimità, nella sua assemblea generale dell'8 luglio del 2007, tenutasi a Bologna, la Carta dei valori, della quale condivide spirito e contenuti, che già al punto n. 26 richiama l'esigenza di superare l'uso del burqa. L'UCOII conferma tale indirizzo e ad esso si richiama integralmente.
La strada intrapresa dalla Carta dei valori, ossia lavorare sul punto culturale, sul primo dei valori condivisi del dialogo, rimane la migliore. L'UCOII auspica che il superamento di tali pratiche venga realizzato senza creare altre aree di illegalità, che servono solo a generare ulteriori frustrazioni e incomprensioni ed è preoccupata che, con queste proposte di legge, si possa arrivare all'inaccettabile conseguenza che le donne sorprese in pubblico con il burqa vengano processate e condannate. Le conseguenze delle proposte di legge sono, infatti, paradossali, perché verranno punite proprio le persone più deboli, quelle che noi tutti vogliamo proteggere, ossia le donne.
Chiudo il mio intervento citando le parole del grande costituzionalista, presidente emerito della Corte costituzionale, professor Valerio Onida, il quale, nel disapprovare ogni invasione dello Stato nel foro interno degli individui, ha scritto: «Lo Stato non può identificarsi in nessuna religione e in nessuna filosofia antireligiosa, deve rispettare la libertà di tutti, individui e gruppi, deve trattare tutti, individui e gruppi, in conformità al principio di eguaglianza, e insieme assicurare il rispetto da parte di tutti delle regole comuni inderogabili».
Nell'auspicio che queste parole possano essere terreno di ispirazione comune, vi auguro un buon lavoro, ringraziandovi a nome mio e dell'UCOII per il vostro prezioso operato, sempre improntato al bene dell'Italia e alla felicità degli italiani.
Con l'occasione, auguro ai fratelli e alle sorelle musulmane presenti buone feste del sacrificio e del pellegrinaggio, terminate proprio ieri e, con fraterna vicinanza, un buon Natale, celebrazione sacra per voi fratelli cristiani. Auguro felice anno nuovo a tutti i cittadini italiani di qualsiasi religione, credenti e laici.

MUSTAPHA MANSOURI, Segretario nazionale della Confederazione della comunità marocchina in Italia. Signor presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per la possibilità di essere ascoltato oggi sul tema del burqa e sul dibattito inerente la modifica dell' articolo 5 della legge del 22 maggio del 1975.
Vorrei esporre l'opinione dell'Islam, perché la maggioranza dei musulmani credono in due pilastri, ossia i due libri, il Corano e l'hadith, che trasmette tutta la vita di Maometto. Gli altri elementi sono tutte interpretazioni dei grandi sapienti.
Riprendo il brano citato da Samira, che recita: «O profeta! Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano dei loro mantelli; questo sarà più atto a distinguerle dalle altre a che non vengano offese. Ma Dio è indulgente e clemente» e vengo alla seconda citazione, che è la seguente: «E dì alle credenti che abbassino gli sguardi e coprano le loro pudenda e non mostrino troppo le loro parti belle eccetto ciò che di fuori appare e pongano un velo sui loro seni».
L'Islam intendeva dire, dunque, che la donna, prima di entrare a pregare, doveva coprirsi i capelli - non il viso e le mani - nonché tutte le parti sensibili sessualmente per non attirare gli uomini, perché stava


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davanti al creatore, davanti a Dio. Sfido chiunque a smentirmi. Mi assumo la responsabilità di ciò che affermo.
Le donne si collocavano, dunque, anche dietro agli uomini per non provocarne la distrazione. Tuttavia, questo si riferisce al luogo di culto. In generale, il testo dice di coprirsi i capelli e di lasciare scoperti il viso, le mani e, per alcuni, i piedi.
L'obbligo di velarsi oggi è una controversia, ma dall'insieme di versetti già esposti del Corano e dell'hadith del profeta, non si trova traccia di essa né tantomeno nei testi degli ulema, gli esegeti che esplicitano e spiegano il significato del testo del Corano. Non c'è nessuna controversia: tutti sono concordi sul velo che copre solo i capelli e lascia il viso e le mani scoperte. Sfido chiunque a contraddirmi. Parlo dell'hadith dei grandi ulema e dei grandi Muftì, che svolgono le ricerche sul Corano.
Il burqa e il niqab sono tradizioni nate negli anni Settanta, con i talebani. Il Corano è un libro che non è stato mai modificato, così come l'hadith. Quindi, la stragrande maggioranza dei musulmani fa capo a tali due libri, mentre il niqab è stato portato dai fratelli musulmani, nati negli anni '70, che hanno voluto diversificare le tradizioni e lo stesso vale per il burqa. Sono due aspetti che non c'entrano nulla con l'Islam. Sono interpretazioni di persone che vogliono manipolarlo per farne una merce di scambio. Questa è la realtà.
Non sono né pro né contro, ma mi baso su quanto dice il libro sacro. Se vogliamo tornare alle radici, questa è la realtà. Neanche la moglie di Maometto ha mai messo il burqa, ma il velo. L'ha detto il profeta e ciò significa che il burqa non fa parte dell'Islam.
Il burqa mi fa paura, perché mi ricorda un episodio molto grave avvenuto in Pakistan: l'anno scorso, durante lo sciopero della Moschea rossa entrarono i militari per sedare la rivolta e il capo dei rivoltosi riuscì a fuggire nascondendosi sotto il burqa delle donne.
Un fatto del genere è inammissibile. Lo dobbiamo prendere in considerazione, onorevoli deputati, visti i tempi che corrono. Noi vogliamo un futuro di convivenza, perché l'Islam è pace, tolleranza, dialogo, fratellanza. Questo va detto e spiegato.
Dobbiamo dialogare con l'altra sponda, con le altre parti, anche con quelli che non voglio definire estremisti, ma che purtroppo l'ignoranza porta all'estremismo. Dobbiamo creare ponti per convincere le persone un po' ignoranti a tornare a vivere la realtà, perché l'interpretazione ci è stata data dal Corano ed è molto semplice. Ho con me tutto il testo e lo metto a disposizione della Commissione, con tutto il repertorio, i versetti e le citazioni sia del Corano, sia di Maometto.

ABDELLAH MECHNOUNE, Imam della moschea di Torino, ambasciatore della pace per le Nazioni Unite-sezione dialogo interreligioso. Signor presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio della possibilità che ci avete dato di parlare di un problema che coinvolge l'opinione pubblica e che interessa da vicino la comunità musulmana in Italia e, soprattutto, i musulmani moderati che combattono l'estremismo e gli estremisti.
È mio dovere soffermarmi su un punto estremamente importante: la comunità musulmana non autorizza alcuno ad arrogarsi il diritto di rappresentare i musulmani in Italia. Per questo motivo, signor presidente e onorevoli deputati, dobbiamo essere precisi e puntuali nel tracciare un discrimine importante, con l'obiettivo di bloccare tutte le persone che hanno sfruttato - ripeto la parola «sfruttato» - l'Islam e i musulmani in Italia per scopi personali e politici e per conto della comunità musulmana.
La settimana scorsa ho sentito telefonicamente alcuni teologi e professori specializzati in campo religioso e li ho informati, dando loro un'idea della vita e della legge in Italia, anche se sono sicuro che siano a conoscenza di ciò che succede in questo Paese, delle problematiche che riguardano la comunità musulmana e delle vessazioni che essa subisce dai suoi stessi appartenenti, portatori di un'ideologia estremista e maschilista.


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Ho posto molte domande, soprattutto in relazione all'abbigliamento e alla questione del burqa, alla nostra cultura e alle nostre tradizioni. Per quanto riguarda la corrente malekita, diffusa in Marocco, le risposte sono state simili a quanto ha affermato il dottor Tantaoui, secondo cui il burqa e il niqab non hanno nulla a che vedere con l'Islam, tutt'altro. La maggior parte degli ulema, i teologi musulmani, hanno concordato su tale affermazione, diversamente dagli ulema delle scuole wahabite, jihadiste e salafite.
Purtroppo, questi adepti hanno molti seguaci, che diffondono l'estremismo e l'esasperazione religiosa sul territorio italiano e fra i giovani, piegando un messaggio di fede a un utilitarismo politico, che mira al predominio e alla conquista del potere, nonché ad accaparrarsi il diritto di parlare per voce di tutta la comunità musulmana, le cui correnti sono numerose e variegate.
Con la comparsa dei salafiti, abbiamo iniziato a vedere per le strade dell'Italia settentrionale - non dico in Iraq, in Marocco o in Afghanistan - gente strana, donne e ragazze che coprono il viso affermando che vestono da musulmane, mentre la verità è che tale abbigliamento è di matrice talebana.
Apro una parentesi. Una volta sono stato all'Università di Milano a parlare del velo e dell'abbigliamento nell'Islam. C'erano tante donne che mi ascoltavano, nonché giovani ragazze musulmane. Ognuna di loro portava un vestito, che riteneva essere quello dell'Islam.
Una donna italiana mi chiesto quale di loro, secondo me, portasse il vero vestito dell'Islam. Sinceramente, ho risposto che nessuna di loro lo portava, perché una indossava il chador iraniano, una non proprio un burqa ma quasi, una il niqab, una il velo con i jeans di una marca conosciuta. Secondo me, nessuna portava il velo dell'Islam.
Ne spiego il motivo, perché, grazie a Dio, non sono un imam fai-da-te: ho studiato il Corano a memoria, ho passato quattro anni in una scuola antica a Fez e tre a Marrakech e ho frequentato l'università a Casablanca. Credetemi, sinceramente mi sono vergognato tantissimo quando sono venuto in Italia e ho visto che alcune persone arabe parlavano pensando di dimostrarmi che cosa fosse l'Islam. Allora quello che ho studiato non è l'Islam, ma il contrario?
C'è confusione, perché ho studiato l'arabo e lo conosco bene. Sono anche uno scrittore e scrivo per diversi giornali arabi. Tuttavia, quando sento un arabo parlare capisco meglio che se fosse stata tradotta la parola per un italiano.
Mi piacciono molte parole che ho sentito pronunciare da alcuni ospiti presenti. Sono veramente meravigliose, ma sinceramente non si dicono nelle moschee. In alcune moschee si predica l'odio e tante altre cose. Credetemi, non ho mai avuto paura: sono stato aggredito, minacciato di morte, cacciato da alcuni centri islamici per la mia posizione di non sputare mai nel piatto in cui mangio.
Inoltre, la verità è che questo abbigliamento è di matrice talebana. È strano, perché il vestito marocchino è bello. Mia madre e mia sorella portano l'abito con jilab, che non nasconde e non copre il viso; poi, a casa, lo tolgono e si vestono normalmente.
Tuttavia, in Italia ho conosciuto tante giovani musulmane e purtroppo anche alcuni imam, alcuni rappresentanti della comunità, che sostengono di rappresentare la comunità - tra parentesi, in questa sede non rappresento alcun musulmano ma ho il diritto di parlare dell'Islam -; alcuni giovani, appena si sposano, prima festeggiano, danzano, e fanno tutto ciò che nell'Islam non è proibito. Dopo una settimana da quando cominciano a frequentare alcuni luoghi di culto radicali, subito la loro signora comincia a vestirsi con un abito - credetemi - che magari è obbligata a indossare. Nell'Islam, però, tale obbligo non esiste. Questa è la realtà.
Questo abbigliamento è di matrice talebana, perché il burqa non è né marocchino né egiziano, né siriano, ma di matrice talebana. Una volta ho visto il tessuto. Volevo solo provarlo, ma quando dormo non posso nemmeno coprire gli


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occhi, perché non riesco a respirare. Pensate che cosa possa significare per una donna portarlo per 24 ore.
L'aspetto peggiore, secondo me, è quando la donna porta il niqab o il burqa anche a casa sua a causa del marito, proprio come li indossa fuori e non ha libertà neanche in casa propria. È come una badante o una colf. È una matrice talebana di indole e di pensiero terroristici.
Il burqa rappresenta un problema molto grave, che dobbiamo combattere, se vogliamo l'integrazione, se volete che prevalga la moderazione e che un domani crescano nuovi cittadini italiani che non portano le armi contro il tricolore, come è successo in Inghilterra. Alcune persone, infatti, pur essendo nate in quel Paese, hanno ricevuto insegnamenti sbagliati e hanno organizzato attacchi kamikaze alla metropolitana di Londra, come ben sapete.
Dobbiamo opporci, contrastando chi vuole imporre il burqa e chi intende indossarlo. Nonostante si tratti di una minoranza non rappresentativa della comunità musulmana, porta con sé un messaggio estremista che non dobbiamo lasciare passare.
Il burqa è una rappresentazione del sadismo in Italia. Non possiamo più perdere tempo, altrimenti le conseguenze potrebbero essere sorprendenti e inaspettate, a partire da una sua massiccia diffusione.
Purtroppo, il Governo italiano non sta offrendo alcun aiuto a noi musulmani moderati, che siamo la maggioranza. Tuttavia, la minoranza sta affermando di parlare a nome di tutta la comunità musulmana.
Stiamo tornando indietro, e non soltanto in Italia. Credetemi, è questa la realtà. Perché dobbiamo essere ipocriti? La verità è che la comunità musulmana sta compiendo migliaia di passi indietro e non in avanti. Si continua, infatti, a ripetere che occorre prestare attenzione e che l'Islam impone numerose proibizioni, come mangiare con la forchetta o altro. Questo non corrisponde alla realtà. Dobbiamo studiare bene l'Islam, mandare i nostri figli a conoscere la realtà e il vero Islam, quello di cui vogliamo parlare.
Noi musulmani moderati chiediamo una legge per vietare sia il burqa, sia il niqab, perché non rappresentano l'Islam. Forse lo rappresentano in Iran, in Afghanistan o in Egitto, ma siamo in Italia, un Paese occidentale. Se oggi non si vieta l'uso del burqa, credetemi: da domani comincerà un passaparola, secondo cui anche gli italiani devono indossarlo. Conosco molte donne italiane convertite all'Islam che, già dal primo giorno, si sentono dire che, essendo diventate sorelle musulmane, devono coprirsi interamente perché Allah non deve vederle come sono.
Dove sono le parole del Profeta? Come si comporta con i miscredenti? Diversamente. Noi chiediamo una legge per evitare il burqa e il niqab e facciamo appello a tutti perché possano essere diffusi i valori di solidarietà, amore e tolleranza che il vero Islam porta con sé. Solo così potremo vivere nella concordia e nella comprensione reciproca.
Dobbiamo rettificare le credenze integraliste ed estremiste che alcuni ignoranti diffondono all'interno di alcune moschee e ciò non può avvenire senza la cooperazione con i giovani coscienti e istruiti, che hanno una conoscenza e una consapevolezza dell'Islam come religione che predica la pace.
In Italia, l'estremismo avanza. Questa è una realtà. È necessario bloccarlo senza indugi, anche perché molti di questi ambigui personaggi predicano in un modo e pensano in un altro. Molti musulmani vivono in Italia, hanno i piedi in questo Paese, ma il cervello e il cuore in Afghanistan, in Iraq, con i kamikaze. Dobbiamo combattere questa realtà. Molti di loro si mostrano remissivi e tolleranti davanti alle telecamere - lo sapete magari meglio di me - ma sono pieni di parole di odio nei loro centri cosiddetti islamici. Ho girato quasi tutti l'Italia e - credetemi - in alcuni di essi non posso neanche mettere piede, perché porto un insegnamento molto diverso da quello che hanno ricevuto qui in Italia. Mi vergogno anche


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quando leggo sulla targa la dicitura «centro culturale». Credetemi: la cultura manca in molti luoghi islamici.
Che cosa intendiamo per cultura? La cultura si dimostra quando entro in un luogo e vedo libri, anche in italiano, che parlano di scienza o della storia del mio Paese, del Marocco.
Una volta ho sentito alcuni giovani musulmani parlare della jihad, del Paradiso. L'obiettivo di un musulmano è andare in Paradiso. Anche il mio lo è, ma non seguendo la strada di diventare un kamikaze. Si può andare in Paradiso anche facendo del bene.
All'epoca di un profeta, c'era un signore che aveva molta sete; ha visto un pozzo, è sceso e ha bevuto. Quando stava per risalire, ha visto un cane con la lingua di fuori e ha pensato che l'animale avesse la sua stessa sete. Così è sceso, ha messo l'acqua nella sua scarpa, è risalito e ha dato da bere al cane. Dio gli ha tolto tutti i peccati. Ebbene, quest'uomo ha fatto forse il kamikaze? No, ha compiuto un gesto piccolissimo. Dio non guarda la barba o il vestito, ma quello che c'è nel cuore.
Il burqa è un indumento medievale e non c'è una parola nel Corano che riporti l'obbligo di indossarlo. Io, che conosco il Corano a memoria - grazie a Dio - posso dire che non c'è neanche un versetto che parli del burqa o del niqab. Si parla dell'hejab, è vero, ma quando Dio ne accenna nel versetto di Al-Ahzab non pone assolutamente un obbligo generalizzato a farne uso. I miei professori, i teologi che mi hanno insegnato la religione islamica sostengono che non sia un obbligo. Se in una casa la mamma porta il velo e la figlia no, non si può affermare che una delle due sia credente e l'altra no. Non è vero e nemmeno giusto.
Il burqa e il niqab non sono dettati dall'Islam e rappresentano una minaccia alla libertà, soprattutto della donna musulmana, nonché grandi ostacoli alla convivenza e all'integrazione che cerchiamo da anni. Per questo, i seguaci di una certa matrice estremista e radicale ci fanno la guerra.
Sono convinto che l'intento di questi adepti, che operano dentro le loro moschee, i loro centri cosiddetti culturali islamici sia quello di limitare la libertà della donna musulmana per impedirle una convivenza pacifica e un'integrazione nella società italiana, minacciando i diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dal suo ordinamento.
Non accettiamo che questi personaggi estremisti si possano appellare a tradizioni medievali per poter sabotare le leggi e la Costituzione italiana e minacciare la pace di una società moderna. La dignità e la libertà della donna devono essere garantite. Salvando le donne, salviamo tutti noi.
Volevo infine affermare che non mi sento rappresentato da nessuno, né da alcuna associazione islamica in Italia. Dico «no» al burqa e al niqab, «sì» alla convivenza e all'integrazione.

SABER MOUNIA, Presidente dell'Associazione in Italia dei minori non accompagnati. Signor presidente, onorevoli deputati, vorrei esprimere il mio ringraziamento per la possibilità di essere ascoltato oggi.
Oltre alla mia esperienza nel campo dell'immigrazione, come presidente di un'associazione che si occupa dei minori non accompagnati in Italia, sono pubblicista presso un giornale in lingua araba distribuito in tutta Italia.
Svolgendo un'inchiesta a livello europeo sull'Islam e i musulmani, mi sono accorto personalmente di una realtà molto diversa da quella che abbiamo sviluppato qui in Italia. Mi sono reso conto che l'Europa non è cosciente di una situazione che le sta sfuggendo di mano e che, ovviamente, non riguarda l'Islam come religione.
Il problema, il nodo fondamentale su cui bisogna lavorare è il pericolo derivante da un estremismo religioso sfuggito da alcuni Paesi arabo-islamici, dove ha perso credibilità. Purtroppo, però, ha trovato terreno fertile per crescere e prosperare all'ombra delle stesse carte costituzionali dei Paesi occidentali.


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L'estremismo e il radicalismo intendono sfruttare i princìpi democratici per acquisire maggiore spazio di manovra e un potere sempre più crescente. Questa non è religione, ma politica e la politica che piega la religione ai propri fini produce danni inauditi, fomenta i radicalismi e tende a introdurre princìpi teocratici che le società occidentali hanno superato, fortunatamente, da molto tempo.
Da questa inchiesta ho tratto molte conclusioni. Innanzitutto, malgrado la diversità delle leggi, delle Costituzioni e dei costumi dei diversi Paesi europei, vi è una chiara tendenza a conquistare culturalmente prima, e politicamente poi, l'Occidente. Belgio e Olanda rappresentano già due punti di arrivo di un lungo percorso legislativo relativo all'esistenza islamica in Europa. Sono, infatti, i primi due Paesi che hanno conosciuto e convissuto con l'estremismo islamico e con l'Islam del XX secolo.
Il Belgio di oggi è veramente sottomesso all'estremismo islamico, scaturito dal riconoscimento dell'Islam come religione di Stato nel 1974 e sviluppato fino all'istituzione di un sistema educativo islamico parallelo a quello dello Stato, dalla scuola materna fino alla maturità. Il Paese subisce oggi un'ondata di estremismo di massa: per le strade di Bruxelles si possono tranquillamente vedere donne che portano il niqab o il burqa, senza nessuna identificazione, fantasmi nel cuore della capitale europea; si possono vedere migliaia di bambine recarsi nelle scuole o nei licei islamici vestite con una tenuta scolastica obbligatoria, formata da indumenti lunghi neri e velo bianco sulla testa, e che imparano a scuola che la sottomissione è una vita normale, che assicura un posto in Paradiso.
L'altro modello è quello olandese, che ha potuto assicurare la massima libertà individuale o personale, preservando l'ordine generale e la sicurezza, nonché il costume sociale locale. Una persona può praticare la sua fede con molta libertà, ma i luoghi comuni e la loro gestione appartengono allo Stato o al Comune. In Olanda gli imam sono laureati in teologia islamica presso l'Università statale; si tratta di imam di seconda generazione, che mantengono un rapporto costante con lo Stato, non solo per gli affari religiosi, ma anche per risolvere i problemi delle comunità e per rappresentare un punto di riferimento e un legame tra lo Stato e il cittadino di fede islamica. Tuttavia ciò non impedisce, purtroppo, che i fratelli musulmani riescano a esercitare un controllo parallelo a quello dello Stato. Non possiamo permettere queste derive.
A tale proposito consegno alla presidenza una documentazione fotografica.
Durante un mio viaggio in Francia, in una moschea nelle banlieu di Parigi, che svolge anche un ruolo di scuola islamica, ho posto una domanda sull'uso del burqa a una maestra di una classe dove le bambine tra i sei e gli otto anni erano tutte velate. Mi ha risposto che avrebbe indossato il burqa, ma che le leggi francesi non glielo consentivano. Ha aggiunto che, comunque, insegnava alle alunne a indossare il velo, in modo che così sarebbero state loro a condurre la battaglia per il burqa, in qualità di cittadine francesi.
Voglio ribadire che il burqa e il niqab, di fatto e senza indugi, sono costumi dettati da correnti culturali radicali, estremiste e maschiliste, che tentano di imporlo come pratica per una corretta professione di fede islamica.
È significativo vedere che, nella maggior parte dei Paesi arabo-musulmani, tali comportamenti vengono stigmatizzati, osteggiati e combattuti, proprio perché quei Paesi sanno bene che cedere terreno su un indumento che diventa un simbolo potentissimo significa accettare l'imposizione di un'identità culturale deviata, che non ha nulla a che vedere con l'Islam. Eppure i nostri Paesi di origine hanno una cultura islamica secolare.
Sarebbe bizzarro avallare in Europa posizioni e usanze che vengono sempre più scacciate dai Paesi arabo-musulmani e sarebbe un errore imperdonabile lasciare che tali estremismi possano trovare terreno fertile nelle istituzioni democratiche dei Paese occidentali. Oggi, di fronte a questi fatti, noi ci accorgiamo del pericolo


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e diamo l'allarme a voi europei, affinché possiate reagire e intervenire. Più passa il tempo, più temo per i miei figli, per me stesso e, soprattutto, per un'Italia che mi ha offerto tanti sogni per il futuro.
Trovo incredibile anche dover essere audito sul tema del burqa in un Paese occidentale, in cui la questione non avrebbe nemmeno dovuto essere sollevata. Sono a favore della libertà religiosa, ma il burqa non ha nulla di religioso e, se anche l'avesse, rappresenterebbe un oltraggio alla dignità della donna.
Un altro punto fondamentale è che non mi sento rappresentato in alcun modo da un'associazione islamica in Italia.

PINA NUZZO, Responsabile nazionale dell'Unione donne in Italia. È un onore per me intervenire in quest'aula. Sono l'unica italiana e rappresentante di un'associazione italiana storica, che a breve compirà 65 anni e che dal 2003 si chiama UDI (Unione donne in Italia). Abbiamo cambiato la declinazione del nostro acronimo proprio perché ci siamo resi conto che il percorso di cittadinanza in questo Paese andava compiuto anche con le donne straniere.
Se noi donne italiane siamo libere non lo siamo per caso, né per concessione, ma perché abbiamo lottato e contribuito alla costruzione della democrazia in tutti questi anni, con battaglie che sono diventate di senso comune tra le donne. Non abbiamo mai affrontato le campagne e le iniziative come questioni relative a una parte delle donne, ma sempre a tutte. Questa è la forza di un'associazione politica apartitica, poiché si può essere politiche senza essere partitiche o di parte.
Perché oggi sono qui? Se penso alle donne che si avvicinano all'UDI o a quelle che cerco di avvicinare, non chiedo mai loro di che partito sono, perché non mi riguarda. Mi interessa, invece, sapere se abbiamo lotte in comune da portare avanti riguardo alla nostra autodeterminazione, rispetto al corpo, alla salute, al lavoro e a tutte le questioni che accomunano la vita delle donne.
Non chiedo neanche - né mi interessa saperlo - se l'onorevole Souad Sbai o Samira Chabib sono musulmane o di un'altra religione. Alle signore presenti non chiederei mai se sono cattoliche o no. Sono donne.
Qual è la differenza? Siamo donne in Italia: sulla mia carta di identità è scritto «Pina Nuzzo, di cittadinanza italiana», non è specificato a quale religione appartengo.
Cominciamo a partire da questo punto e ad affermare che, quando una donna e un uomo stranieri vengono in Italia, a noi non interessa sapere se sono musulmani, ma se sono marocchini, egiziani, turchi e via elencando. Si tratta di un'informazione che mi rende più vicina a loro, perché mi presento con la Carta costituzionale. Io ho lavorato, la mia associazione si è impegnata per averla; anzi, riteniamo che rispetto all'articolo 51 essa non corrisponda neanche a ciò che le donne desiderano, ma non è questa l'occasione per discuterne.
Ci impegniamo, dunque, affinché tale carta rappresenti gli uomini e le donne, anche quelli che vengono in Italia. Il primo aspetto che mi interessa è che vengano rispettati i diritti umani: ogni singolo uomo e ogni singola donna devono essere rispettati in quanto esseri umani e cittadini.
Se entro in una chiesa, italiana, cattolica o altro, è giusto che mi si chieda di mettere un velo in testa, ma se sono per strada e abito in una città devo essere libera di muovermi come credo.
Capisco il discorso del rappresentante dell'UCOII e comprendo anche che, quando le donne non sono libere e sono in un regime di controllo, le si può rendere ancora più schiave. Noi italiani, però, possiamo ricordare benissimo, come anche tutto l'Occidente, che il velo ha sempre rappresentato un tentativo di controllare le donne anche da noi. Pensiamo alle suore di clausura, quando in passato venivano obbligate a entrare in convento per questioni ereditarie. La letteratura è piena di vicende del genere. Ciò non vuol dire, però, che diventare una suora sia sbagliato. Se oggi nel nostro Paese una donna decide di diventare


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suora di clausura, sappiamo che ciò avviene liberamente, perché la religione è tenuta separata da tutte le questioni che riguardano la cittadinanza.
Questo è quanto pretendo, sia per gli uomini, sia per le donne che vengono nel nostro Paese. Gli uomini che vengono da noi devono sottostare alle stesse regole dei nostri: un uomo deve avere una sola moglie e, se decide di non volerla più, o se lei decide di non volere più lui, si separano; se un cattolico non si vuole separare, sono fatti suoi. In quanto cittadino, però, deve avere una sola moglie, perché la bigamia non è consentita per nessuno, neanche per quelli che vengono da fuori.
Qual è il senso che ho tratto dal dibattito odierno? In Italia abbiamo permesso che la politica sia responsabile di aver veicolato parole che non dovevano neanche trovare cittadinanza, perché il problema degli stranieri è stato spesso trattato come una questione di parte, dall'uno e dall'altro fronte.
C'è una parte che ha difeso tutta la questione culturale, per cui era ritenuta un fatto culturale l'infibulazione, poiché si sosteneva che facesse parte di una cultura. Lo stesso valeva per il velo. Abbiamo assistito a queste giustificazioni culturali e a un'accondiscendenza che ha portato a vedere determinate situazioni e a lasciarle accadere, a lasciarle stare.
Dall'altra parte, si è invece usato un modo anche molto aggressivo di trattare la questione.
Il patriarcato si è sempre sedimentato e costruito sul corpo delle donne, però siamo in Italia e abbiamo una democrazia, di cui sono orgogliosa e che la mia associazione ha contribuito a costruire. Chi vive in Italia deve attenersi alle regole di questo Paese, che non obbliga nessuno a mettersi un velo in testa per strada se non lo vuole.
Sappiamo che la volontà di una donna può essere molto condizionata, però uno Stato deve avere chiarezza su questo aspetto. Se non ce l'ha lo Stato, allora non ce l'ha neanche il singolo all'interno della casa e sappiamo bene che cosa può avvenire dentro le case, anche in quelle italiane.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO ZACCARIA. Signor presidente, abbiamo ascoltato con grande interesse le persone che oggi sono presenti in audizione. Ringrazio sia chi le ha segnalate sia loro per quanto ci hanno esposto.
Vorrei che fosse sufficientemente chiaro il concetto, perché forse dai resoconti giornalistici potrebbe non essere tale: non si tratta di sapere se noi condividiamo o meno un fine. Condividiamo il fine, ossia che uno Stato laico possa disporre che in un luogo aperto al pubblico non si circoli con un abbigliamento che può coprire totalmente il viso e non renderlo riconoscibile. È un fine condiviso e risponde a una logica sicuritaria, perché la legge nella quale si sta inserendo la disposizione in oggetto riguarda l'ordine pubblico.
Ci possono essere anche altre ragioni per emanare una legge. Quando, nella passata legislatura, mi sono occupato, come relatore, delle proposte di legge sulla libertà religiosa, avevo inserito nel testo base la questione in un contesto di tipo diverso, non di tipo sicuritario ma nella prospettiva della libertà religiosa.
Quasi tutti voi avete riferito di parlare a titolo personale e di non essere rappresentati da nessuno. Alcuni di voi hanno anche affermato che nel Corano - mi riferisco agli ultimi interventi - non c'è un solo verso che parli del burqa come obbligatorio e che, al massimo, esso può rappresentare una tradizione o un atteggiamento culturale. Avete poi parlato di alcuni movimenti che, invece, lo impongono, secondo voi in maniera discutibile.
Vorrei affermare, con grande chiarezza, che la legge di uno Stato laico non può entrare all'interno di una disputa, anche di elevato valore, che riguarda il mondo islamico e che, naturalmente, può vedere posizioni diverse, per risolvere un problema interno di un movimento o di una religione. Vi sono gli ortodossi - almeno quelli che si considerano tali - che ritengono che non


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sia un vincolo religioso e altri che, invece, possono farlo passare come tale.
Prestate attenzione: noi stiamo ponendo un divieto di usare un certo abbigliamento. Nel momento in cui si pone un divieto - mi rivolgo a Pina Nuzzo, che ha parlato per ultima - non si lascia libero il soggetto di comportarsi come vuole, ma si stabilisce che lo Stato, se interviene, possa imporre, in un luogo aperto al pubblico, di non portare un dato abbigliamento, sia esso il vestito di una monaca di clausura o di semiclausura o qualsiasi altro indumento.
Il punto fondamentale è che, nel momento in cui lo Stato laico disciplina il problema, deve sostanzialmente usare un linguaggio da Stato laico e disporre che qualsiasi abbigliamento che copra il volto, in luogo pubblico o aperto al pubblico, sia esso derivante da ragioni religiose, culturali o etniche sia inammissibile.
Avete sostenuto che il burqa non è un abbigliamento religioso. Se anche una sola persona lo ritenesse tale, come legge di Stato laico, nel porre un divieto a tale tipo di abbigliamento, o dovremmo creare un repertorio incredibile, indicando tutti i tipi di indumenti conosciuti al mondo, oppure semplicemente - come ritengo che faremo al termine dell'indagine conoscitiva e dell'esame delle proposte di legge in materia - dovremmo predisporre una legge secondo la quale, correggendo in parte la giurisprudenza, non costituisce giustificato motivo per circolare in pubblico l'abbigliamento o l'indumento - senza nominare quale - che renda non riconoscibile il volto della persona.
Questa è la legge di uno Stato laico, che non va né contro gli uomini, né contro le donne - difatti, potrebbe trattarsi dell'abbigliamento tipico di una categoria maschile - né contro le religioni, le credenze culturali o le tradizioni. Dobbiamo emanare la legge di uno Stato laico.
Non può essere usata una legge dello Stato per risolvere, eventualmente, un problema interno, pur di grande dignità, di una singola religione, né quello a cui accennava la signora Nuzzo.
Non c'è diversità: è il lessico, il linguaggio a distinguerci.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE JOLE SANTELLI

MANUELA DAL LAGO. Volevo innanzitutto ringraziare i nostri ospiti, che ci hanno esposto le loro idee e ci hanno anche spiegato, in termini piuttosto chiari, per quello che mi riguarda, la loro posizione e soprattutto ciò che recita o non recita il Corano. Rappresento - ne sono cofirmataria - una delle due leggi proposte, per l'esattezza quella dell'onorevole Cota.
Non entro negli argomenti posti dall'onorevole Zaccaria, perché comunque entrambe le proposte di legge si riferiscono a una legge esistente, di cui chiariscono l'interpretazione e l'attuazione, ritenendo che essa non fosse sufficientemente chiara in precedenza in tutte le sedi. Spesso è accaduto, infatti, che alcuni giudici l'abbiano applicata in un modo e altri in uno diverso. Si tratta di proposte di legge esclusivamente di chiarificazione.
Volevo, inoltre, porre una domanda al dottor Dachan.
Pur avendo anche lei affermato che la religione musulmana non prevede l'obbligo né del burqa, né di altro, lei sosteneva che le due proposte di legge sono in contrasto con la Carta costituzionale italiana. Dal momento che questa è una legge di chiarimento dell'applicazione di una legge già esistente, le chiedo se può cortesemente spiegarmi. Era implicito per noi, anche all'interno delle nostre proposte, che nessuno intendesse toccare le libertà religiose di ognuno, che sono sacre.
Questo è uno Stato laico, onorevole Zaccaria, e rispetta tutte le religioni. Noi abbiamo una Costituzione che rispetta la libertà di religione, siamo un Paese cattolico ma rispettiamo tutte le religioni, nonché coloro che, come me, sono poco religiosi e molto laici.
Vorrei capire, eventualmente anche per verificare, in quali punti lei, dottor Dachan, ritiene che le due proposte di legge siano chiaramente in contrasto con la Carta costituzionale, a fronte del fatto che nessuno dei nostri esperti lo ha rilevato.


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MARIA PIERA PASTORE. Vorrei anch'io ringraziare tutti coloro che oggi sono venuti a portarci una testimonianza importante rispetto a un abbigliamento, a un abito che si sta diffondendo anche nel nostro Paese. Ringrazio di cuore ognuno di voi.
Vorrei porre anch'io una domanda al signor Dachan.
Posto che tutti voi avete affermato che né il burqa, né il niqab sono espressione religiosa e che non c'è alcun versetto del Corano che li prescriva, lei però, a un certo punto, ha affermato che, qualora la proposta di legge venisse approvata e quindi si vietasse l'uso del burqa e del niqab, noi condanneremmo, cito testualmente le sue parole, «alla clausura e alla reclusione queste donne con la complicità della legge».
Per come è stata espressa, questa frase ha suscitato la mia curiosità: non si capiva bene se fosse una minaccia, una promessa o un dubbio.
Posto che, come credo, questo Parlamento sia intenzionato, invece, a inserire un divieto di questo genere, nella sua posizione di presidente dell'UCOII, che cosa farebbe per tutelare le donne ed evitare che fossero costrette alla clausura e alla reclusione, magari dai loro mariti o dai loro padri?

DAVID FAVIA. Mi associo, come i colleghi, al ringraziamento a tutti coloro che sono stati auditi oggi dalla Commissione per averci insegnato qualcosa di più sulle loro posizioni.
Acquisisco con molto favore l'unanimità sulla negazione del burqa, sulla contrarietà a tale indumento, che considero tradizionale e non religioso, come tutti voi avete dichiarato. Credo che questa sia un'ottima base di partenza.
Acquisisco molto favorevolmente anche la vostra contrarietà all'integralismo, all'estremismo e il vostro favore a una completa integrazione, che veda, ovviamente, il rispetto delle tradizioni e delle religioni.
Sono molto d'accordo con quanto sosteneva l'onorevole Zaccaria. Ritengo che entrambe le proposte, sia quella a prima firma Cota, sia quella a prima firma Sbai - ne abbiamo già parlato in sede di discussione generale - presentino un'incostituzionalità nel momento in cui usano la parola «religione» nel proprio testo, in maniera meno pesante la proposta Cota, più pesante la proposta Sbai.
Credo che potremmo, anche a seguito di quest'audizione, raggiungere tranquillamente un accordo parlando unicamente di indumenti. Se li leghiamo alla religione, andiamo in contrasto con l'articolo 19 della Costituzione che sancisce la libertà di religione. Sarebbe sbagliato legare la norma al concetto di religione, perché tutti vogliamo arrivare a impedire l'uso di questo indumento, che abbiamo sancito non essere legato alla religione.
Mi auguro che si arrivi a un testo completamente condiviso, in cui non si parli di religione, ma si proibisca il travisamento del volto, di un uomo o di una donna, senza che ciò ingeneri alcun tipo di contrasto.
Ascolterò con molto interesse le risposte alle domande rivolte al dottor Dachan, in quanto credo che l'esempio da lui portato sia concreto e che l'abbia espresso come timore e dubbio, non come promessa né come minaccia. Ritengo che tutti dovremmo essere impegnati nell'impedire che l'impossibilità del travisamento esterno si trasformi anche in una repressione forte, in una violenza privata nel migliore dei casi, o in un sequestro di persona, se vogliamo calcare di più la mano.
Mi auguro, in sintesi, che non tocchiamo il concetto di religione, impediamo il travisamento esterno, ma andiamo anche a scovare e a reprimere ogni tipo di reclusione o segregazione possibile.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

PIERLUIGI MANTINI. L'ultimo intervento del collega Favia, e in parte anche quello del collega Zaccaria, forse più che tesi a porre domande, come sarebbe giusto


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in sede di audizione, indicavano una riflessione che riprenderemo poi in sede opportuna.
Mi limiterò, quindi, a ringraziare tutte le autorevolissime personalità audite, anche perché è veramente importante che dall'unanimità delle voci, dei mondi e delle associazioni della cultura e della religione musulmana venga la condanna dell'uso del burqa e del niqab, come figli di tradizioni estremiste, fanatiche e maschiliste.
Questo fatto mi induce, però, a una riflessione, che riprenderemo nella sede propria, in direzione diversa e quasi opposta a quelle che ho ascoltato da ultimo. Non si tratta di una marginalizzazione del tema: da noi il travisamento è già punito, possiamo poi ragionare se lo sia in modo efficace o meno. Forse è tempo, invece, di associarsi alla condanna che viene dal mondo musulmano maturo, più che moderato - non voglio neanche inserire questa distinzione - nei confronti di determinate pratiche, estranee all'insegnamento religioso del Corano e gravemente incivili nei confronti dei diritti umani fondamentali della persona, in modo particolare delle donne. Forse la legge che faremo avrà un senso non tanto per l'effetto pratico del divieto di travisamento, che è già presente nel nostro ordinamento, ma quanto per una condanna culturale, giuridica e anche morale nei confronti di queste pratiche. Dovremmo avere il coraggio di affermare questo.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

MOHAMED NOUR DACHAN, Presidente dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia. Vorrei rispondere all'onorevole Dal Lago. Il mio intervento è sicuramente in linea con quelli dell'onorevole Zaccaria e dell'onorevole Favia a proposito del contesto dove possiamo arrivare allo stesso scopo evitando di citare la parola religione.
Approfitto di questo intervento per osservare che dobbiamo utilizzare una determinata terminologia se vogliamo rappresentare un ponte tra la nostra cultura e Costituzione italiana e i nuovi immigrati che arrivano e hanno idee non conformi alla Costituzione stessa.
Onorevole Dal Lago, un fatto è comunicare che il burqa è proibito, un'altra proibire a tutti di coprirsi il viso. Riusciamo ad arrivare allo stesso obiettivo senza sollecitare rimostranze. Quando disponiamo che è vietato girare a viso coperto per tutti, musulmani e cristiani, il nuovo arrivato si sentirà un cittadino come gli altri e non farà uscire la moglie col copricapo. Se, invece, gli viene comunicato che sua moglie non può uscire con il copricapo, le imporrà di rimanere a casa.
Dobbiamo educare la gente con un determinato linguaggio, dando loro del tempo.
Ho sollecitato la richiesta del disegno di legge sulla libertà religiosa. Quando questa gente sente che lo Stato si interessa di loro si comporterà meglio. Sono stati citati alcuni casi di fondamentalisti e di moschee e via elencando. Cari onorevoli, se centinaia di migliaia di musulmani sono inseriti, hanno accettato questo Stato, stanno lavorando e studiando, ciò sarà anche merito di qualcuno che li ha aiutati e ha dato loro insegnamenti.
Se verifichiamo le leggi dello Stato, a partire dalla Turco-Napolitano e, prima ancora, dalla legge Martelli, vediamo che pochissime sono state applicate.
L'articolo 8 della Costituzione italiana - molti di voi sono giuristi - recita che lo Stato italiano firma alcune intese con le minoranze religiose secondo i loro statuti...

ROBERTO ZACCARIA. Purché non siano in contrasto con la legge.

MOHAMED NOUR DACHAN, Presidente dell'Unione delle comunità islamiche d'Italia. Purché non siano in contrasto con la legge. Chi si riconosce in questi statuti firmerà con lo Stato italiano, chi non si riconosce è libero. Quando si presenta lo statuto o la bozza di intesa la compatibilità con l'ordinamento italiano viene verificata.


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Se qualcuno non si riconosce in un'associazione, è liberissimo di non farlo, ma ci sono altri che si riconoscono e si organizzano secondo la Costituzione italiana.
Vorrei darvi un esempio, che avevo scritto e poi ho rimosso dal mio intervento. Ho cinque figlie, tutte nate in Italia, laureate o in attesa di laurearsi. Una è medico, un'altra - per quello che ne so - è l'unica ragazza islamica laureata in scienze sociali che porta il copricapo, una è ingegnere informatico, un'altra ancora è una giornalista alla seconda laurea, dopo una prima in scienze religiose. Inoltre uno dei miei figli maschi è ingegnere biomedico e un altro studia economia e commercio. In tutto ho nove figli, ma, per via della crisi dell'occupazione, ne lavora uno solo.
Credo che sia utile dare un esempio positivo. Se io, presidente dell'UCOII, mi presento con figlie che portano solo il copricapo, sono laureate, hanno studiato e nessuno può affermare che non siano religiose e che non rispettino il Corano, credo che, dando questo buon esempio, riusciamo a dividere, se non a far scomparire piano piano, i fondamentalisti del burqa.

SABER MOUNIA, Presidente dell'Associazione in Italia dei minori non accompagnati. Vorrei sapere con quante mogli ha avuto i suoi nove figli.

PRESIDENTE. Anche da noi succede che ci siano tanti figli con diverse mogli.

SABER MOUNIA, Presidente dell'Associazione in Italia dei minori non accompagnati. Siamo venuti in questa sede per rispondere al vostro appello e darvi conferma che il burqa non c'entra affatto con la religione islamica.
Rimane vostro il compito di definire la legge, però, a chiarimento della legge corrente, il burqa non è il casco. Come quest'ultimo viene citato espressamente dalla legge corrente, che ne vieta l'uso nei luoghi pubblici, analogamente occorre definire il burqa. Si tratta di un indumento che copre tutta la donna e dobbiamo specificarlo con un nome. Altrimenti, domani tutti si metteranno il burqa, sosterranno che quello è il loro indumento. Non è stato specificato cos'è il burqa, ma non è il casco.

GAMAL BOUCHAIB, Presidente della Consulta degli stranieri al comune de L'Aquila. Mi associo perfettamente all'ultima osservazione, perché la definizione di «indumento» è troppo generica e una legge deve essere specifica.
All'onorevole Zaccaria vorrei precisare, in merito alla nostra dichiarazione che siamo qui a titolo personale, che non è del tutto vero. Io sono il presidente della Consulta, siamo associazioni e organizzazioni. È vero che alcuni si spacciano per rappresentanti del mondo islamico. Noi non lo facciamo: per onestà intellettuale non rappresentiamo nessuno, se non chi aderisce alle libertà.
Insistiamo sul fatto che tali associazioni non ci rappresentano perché sono secoli - e noi siamo stanchi e stufi di questo - che vanno in giro a parlare per gli altri, in nome di un'arroganza culturale e di un Islam che non è tale.
Questo è molto importante. Quando passiamo il messaggio, io ho affermato di parlare personalmente, ma non tanto come Gamal, quanto in qualità di presidente della Consulta, che ha, al suo interno, cinque associazioni e nove membri, la maggioranza dei quali sono donne, il che fa loro onore.
Da parte mia mi auguro che si arrivi a un livello più alto. Prima ho sentito che si parla di libertà delle donne e poi il dottor Dachan affermava che i mariti le rinchiuderanno. Forse spetta a loro decidere. Siamo alla pazzia se in un Parlamento, ancora nel 2009, stiamo a discutere se una donna possa uscire oppure no. Mi sembra veramente assurdo.
Il legislatore dovrebbe riflettere la società e la società è questa. Abbiamo esempi di sottomissione dalla mattina alla sera in questo Paese: basta girare Milano e andare a vedere. Oggi siamo qui - può darsi che domani non avremo questa possibilità,


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ma ci auguriamo che il dialogo aumenti - proprio per fermare questo massacro alle culture altrui e a chi vorrebbe una vita diversa.
Non andiamo a utilizzare questo, secondo me, piccolo linguaggio, che non è un grande linguaggio giuridico, perché un grande linguaggio giuridico è molto più preciso ed è quello che alla fine metterà un punto fermo sulla questione.
Se non potrà uscire, pazienza, ma sicuramente salveremo cinquantotto milioni di persone da questo orrendo e osceno spettacolo teatrale per le strade. Mi auguro che questo sia l'intento e penso che voi abbiate tutte le capacità, giuridiche o meno, per realizzarlo.
Il terzo aspetto che vorrei annotare è che il signor Dachan prima sosteneva che non esistono donne che indossano il burqa, se non sporadici esempi, mentre poi osserva che quelle che lo fanno saranno messe in carcere. Allora bisogna decidere se esistono o meno. Si debbono chiarire le idee.

MUSTAPHA MANSOURI, Segretario nazionale della Confederazione della comunità marocchina in Italia. Ho ascoltato con molta attenzione l'intervento dell'onorevole Zaccaria. Lei ha ragione sul fatto che lo Stato laico non possa entrare in una disputa. Questa, però, non è una disputa. Se non vado errato, la legge è dell'anno 1975, risale ai cosiddetti anni di piombo, quando la gente usava il casco e il passamontagna, ma non c'era il burqa.
Adesso è arrivato e ce l'hanno imposto, trovando terreno fertile, senza nemmeno considerare lo Stato. Non è una questione solo laica, bisogna collegarla anche con la religione, sebbene quest'ultima non c'entri niente. Tale tradizione è stata portata e imposta da soggetti che si nascondono dietro la religione e lo Stato deve impedirla.
Non rispettano neanche i precetti musulmani antichi e hanno travisato lo stesso Islam, in cui Maometto parla di velo e non di burqa. È quello il problema. Se questa tradizione fosse antica, nel 1975 avrebbe potuto essere citato anche il burqa, al pari del casco e del passamontagna.
Per questo motivo tengo molto che esso sia esplicitamente menzionato, al posto di un generico «indumento», perché qualcuno potrebbe indossare un jilab, un abito lungo e creare confusione. Il burqa è un indumento più specifico, perché tutti sanno che cosa sia, per via della questione dell'Afghanistan e del terrorismo.

PINA NUZZO, Responsabile nazionale dell'Unione donne in Italia. Non vorrei essere portata su un terreno che non mi compete. Non mi metterei mai a parlare del Vangelo, che pure è straordinario. Ci sono contenuti bellissimi anche nella Bibbia, ma non è questo il punto da cui parto per confrontarmi con l'altro o con l'altra.
Vorrei, dunque, ristabilire un punto laico di confronto tra noi in Italia e chi viene da Paesi stranieri. Forse si è perso proprio il senso laico del rapporto e del tipo di ospitalità che vogliamo offrire.
Se ci guardiamo indietro, ci sono questioni - non voglio citare le leggi - come il divorzio e il diritto di famiglia. Quando abbiamo lottato per il nuovo diritto di famiglia, noi dell'UDI siamo state considerate eversive, perché si diceva che mettevamo in discussione addirittura la stabilità della famiglia. In quel momento si ragionava non in termini di Stato laico, ma del prevalere della Chiesa su alcuni concetti.
Noi donne italiane sappiamo di aver compiuto un percorso lunghissimo per distinguere la Chiesa dallo Stato: è bene che la Chiesa ci sia e il Papa è libero di dire tutto quello che crede, però lo Stato italiano deve fare i conti con i cittadini italiani.
Oggi ho sentito continuamente parlare di ciò che è scritto nel Corano, se è giusto o sbagliato: per esprimermi in modo trasgressivo, non me ne frega niente, perché il rapporto che stabilisco con voi non è sulla base del Corano o della Bibbia, ma della Costituzione italiana o comunque della convivenza civile in questo Paese.


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Voglio aggiungere un'ultima considerazione: se siamo arrivati al punto di dover avere una legge - credo che sia responsabilità anche di questo Paese e di chi ci governa o ci ha governato - sarebbe opportuno arrivare a una legge condivisa, perché sulla questione delle donne le leggi di parte sono pericolosissime e porteranno alla previsione che annunciava - non mi interessa sapere come - il presidente dell'UCOII. La percezione che solo una parte di questo Paese si fa carico di una questione come quella delle donne è pericolosa e io, che faccio politica di strada, militante, banale, che non arriva mai da nessuna parte ma parla con le persone, vi assicuro che la gente è molto più avanti su questi temi e ha le idee molto chiare.

SAMIRA CHABIB, Presidente di Saadia - Associazione donne marocchine. Vorrei lanciare un appello.
Come donna musulmana, sono venuta in Italia dal mio Paese, in cui non mi mancava la libertà, per conquistare ancora più libertà. L'ho conquistata anche quando ho ottenuto la cittadinanza italiana e allora mi sono sentita completamente libera.
Trovarmi oggi a discutere una questione che mi ha sempre terrorizzata, quella del burqa e del niqab, mi sta riportando indietro di tanti anni, a tutti gli eventi accaduti in Algeria, dove si sgozzavano le donne che non portavano il velo o il burqa. Non vorrei vivere questo scenario, non vorrei tornare indietro.
Vi chiedo la tutela di migliaia di donne come me, che sono venute in Italia per avere la libertà e la democrazia. Neanche se tornassi indietro mi troverei in una situazione come questa: il mio Paese ha già compiuto molti passi avanti e non si torna indietro. Chiedo a voi di venirci incontro e aiutarci a non cadere nel tunnel, rappresentato dal burqa e dal niqab.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,35.

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