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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
1.
Mercoledì 22 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RECENTI FENOMENI DI PROTESTA ORGANIZZATA IN FORMA VIOLENTA IN OCCASIONE DI MANIFESTAZIONI E SULLE POSSIBILI MISURE DA ADOTTARE PER PREVENIRE E CONTRASTARE TALI FENOMENI

Audizione del Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli:

Bruno Donato, Presidente ... 3 7 10 12 15 16
Bragantini Matteo (LNP) ... 11 16
D'Antona Olga (PD) ... 12
Ferrari Pierangelo (PD) ... 16
Fiano Emanuele (PD) ... 8 15
Manganelli Antonio, Capo della Polizia ... 3 12 15 16
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 7
Santelli Jole (PdL) ... 12
Tassone Mario (UdCpTP) ... 9 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 22 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure da adottare per prevenire e contrastare tali fenomeni, l'audizione del Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli.
Nel dargli la parola, ringrazio, a nome mio e della Commissione, il prefetto Manganelli della disponibilità dimostrata.

ANTONIO MANGANELLI, Capo della Polizia. Grazie, presidente. Ho esaminato il programma dell'indagine conoscitiva e, quindi, i quesiti che mi vengono posti. Pertanto, se il presidente consente, svolgerò alcune riflessioni non scritte.
Innanzitutto, vorrei fare un'osservazione preliminare. Parliamo molto spesso - anche nel programma dell'indagine - di no-Tav, degli incidenti di Roma, dei rifiuti di Napoli e quant'altro, mentre la situazione dell'ordine pubblico, del dissenso e delle tensioni sociali è molto più complessa e abbraccia, probabilmente, ogni provincia del territorio nazionale.
Osservando i dati lo scorso anno abbiamo battuto qualsiasi record di manifestazioni pubbliche. Siamo arrivati a gestire, come forza di polizia e come autorità provinciale di pubblica sicurezza, 10.461 manifestazioni di ordine pubblico. Non mi riferisco agli incontri di piazza occasionali che possono dar luogo a delle contrapposizioni, ma a manifestazioni preavvisate e discusse, in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dal prefetto e dai vertici delle forze di polizia, che diventano, poi, oggetto di un'ordinanza del questore. Nel 2011, abbiamo avuto, dunque, un numero di manifestazioni superiori del 42 per cento - giusto per dare un'idea - rispetto a quello del 2008 o del 2009. Abbiamo avuto, quindi, un forte incremento di questo tipo di eventi, per lo più di carattere sindacale e occupazionale, ma anche riguardanti temi politici e, in minor misura, tematiche di tutela dell'ambiente.
Sempre per la cronaca - visto che è bene ragionare conoscendo ciò di cui si parla - in 187 delle 10.461 manifestazioni vi sono stati degli episodi di effervescenza, che sono andati dai dissensi espressi con fischi o altri segnali fino a piccole cariche di alleggerimento delle forze di polizia o anche a cariche più «muscolari». Tuttavia, mi sembra utile sottolineare che tale dato riguarda l'1,8 per cento dell'intera fenomenologia.
In sintesi, abbiamo registrato oltre 10.000 manifestazioni e solo nell'1,8 per cento dei casi è accaduto qualcosa, mentre le altre hanno soltanto portato alla tutela,


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da parte delle forze di polizia, del diritto a esprimere il proprio dissenso. Peraltro, nella nostra Scuola per la tutela dell'ordine pubblico si insegna che il manifestante non è mai controparte, ma è colui a cui bisogna garantire il diritto alla protesta, ovviamente nell'ambito della legalità. Ecco, proprio questo abbiamo cercato di fare nel gestire queste 10.000 manifestazioni.
Entrando nel dettaglio - come, peraltro, richiesto dalla Commissione - della protesta in Val di Susa e della manifestazione di Roma del 15 ottobre 2011, vorrei dire, specialmente per quello che riguarda la prima, che è stato il momento di maggior effervescenza della piazza e dei manifestanti. Del resto, essendo alcuni anni che ci si confronta con la questione della Val di Susa, è noto che quel territorio ha sempre respinto l'ipotesi di realizzazione di una tratta ferroviaria. L'area della Val di Susa è sempre stata considerata già compromessa dalla presenza di due strade statali, dall'autostrada A32 Torino-Bardonecchia e dalla linea ferroviaria con la Francia, che già esiste. Ciò era noto quando si è cominciato a ragionare su questo ulteriore intervento in Val di Susa. Peraltro, la Val di Susa è storicamente tradizionale terreno di espressioni antagoniste. Difatti, vi sono nati e vi risiedono alcuni personaggi un tempo facenti capo a Prima linea, mentre oggi si registra, nella zona, la presenza piuttosto stabile di personaggi di spicco sia dell'anarchia radicale sia dell'autonomia operaia.
Queste due combinazioni - l'esistenza di un'area antagonista anche piuttosto vivace e di una pregiudiziale opposizione alla realizzazione di una tratta ferroviaria in quella valle - sono il segnale di una possibile continua vitalità di questo dissenso rispetto a chi, invece, pretende di realizzare l'opera. In pochi anni, il territorio è divenuto una sorta di espressione generale antisistema. D'altra parte la storia nasce, ormai sei o sette anni fa, a Venaus già in termini piuttosto vivaci. Invece, le mobilitazioni odierne hanno avuto avvio, in particolare, con l'inizio delle opere di cantierizzazione (il cunicolo esplorativo, i sondaggi e quant'altro) nell'area di Maddalena di Chiomonte. Siamo nel maggio del 2011. La protesta ha assunto la regia dei leader del centro sociale «Askatasuna» di Torino, con il contributo delle frange più estreme dell'anarchia insurrezionale.
Le giornate più critiche sono state - come è noto alla Commissione - a giugno e luglio dello scorso anno, con alcuni scontri e feriti. Per quanto riguarda le forze di polizia, ci furono 220 operatori feriti. Ulteriori illegalità e picchi di tensione si sono registrati tra l'8 e l'11 dicembre 2011. L'apice è stato raggiunto proprio il giorno 8 dicembre, quando sono stati portati ripetuti assalti all'area cantierizzata e si è registrato un blocco prolungato della circolazione veicolare.
Si tratta di antagonisti anarchici italiani. Tornerò più avanti a fare una riflessione sul fenomeno dell'anarco-insurrezionalismo, colpevolmente trascurato in questi anni e poco compreso anche dal punto di vista mediatico, visto che solo per caso non ha portato a dei morti. Del resto, il fenomeno, nella sua dimensione, è mal compreso anche da una legislazione come la nostra che, pur essendo - stando a quanto dicono i colleghi degli altri Paesi - pressoché perfetta, denuncia delle criticità in alcuni settori, come appunto questo.
Il centro sociale «Askatasuna» e i referenti dell'insurrezionalismo anarchico piemontese hanno finora realizzato la funzione di catalizzatore delle istanze antisistema del movimento no-Tav, non sempre, peraltro, in sintonia con la linea strategica da seguire. Vi è stata una forte azione di contrasto, che sta continuando in questi giorni, ragion per cui vi è un movimento di protesta nei confronti del procuratore di Torino che ha portato avanti una linea di reazione molto dura verso coloro che, frattanto, erano stati identificati anche grazie alle telecamere presenti in zona. Sabato scorso c'è stata una manifestazione di solidarietà a Milano. Per il 25 febbraio prossimo se ne prepara un'altra, da Bussoleno a Susa, promossa dal coordinamento dei comitati no-Tav.


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Tutto ciò è prodromo delle prime azioni davvero invasive, vale a dire quelle che porteranno agli espropri. Difatti, finora si è ragionato genericamente della Val di Susa, mentre ora andiamo a esigere i terreni che, peraltro, in questo periodo sono stati anche venduti a centinaia di acquirenti. In pratica, il proprietario di 100 metri quadri ha venduto anche a 100 acquirenti diversi, magari un metro quadro a testa, aumentando i destinatari delle notifiche e, di conseguenza, del dissenso. Fino a oggi ci siamo confrontati con qualcosa di meno rilevante, ovvero con un dissenso generalizzato sull'esecuzione di un lavoro in questa zona del territorio nazionale.
Passando alla manifestazione - poi ritornerò sulla questione dell'anarco-insurrezionalismo - di Roma del 15 ottobre, si trattava di una protesta contro la crisi economica, ed era denominata giornata europea dell'indignazione. In particolare, era indetta dal coordinamento 15 ottobre, composto da sindacati autonomi di base, da varie associazioni, da reti di estrazione progressista, da collettivi studenteschi, nonché da sodalizi antagonisti. Hanno partecipato al corteo circa 80.000 persone, di cui 2.000 identificate come appartenenti all'area antagonista; ancora, di questi 2.000, 400 sono stati identificati come aderenti all'area anarco-insurrezionalista.
L'iniziativa era stata individuata anche per raggiungere l'obiettivo del ricompattamento delle varie frange antagoniste. Tuttavia, già dalle prime riunioni emersero delle profonde differenze di vedute tra le varie aree del dissenso. Prevalsero, infine, le pulsioni violente. Ciò non toglie che è rimasto fermo il dibattito su violenza o non violenza e il desiderio, da parte di una componente, di garantire il dialogo con le istituzioni, e, da parte dell'altra, di essere i falchi della situazione.
Durante quella manifestazione rimasero feriti oltre 100 appartenenti alle forze di polizia. Mi colpì in quell'occasione che molti partecipanti ai disordini fossero minorenni - sedicenni, diciassettenni, cioè, liceali -, che è difficile catalogare in un'area antagonista. A chi appartengono i sedicenni? Si può affermare che appartengono all'anarchia? Direi certamente di no; direi, piuttosto, che appartengono a un mondo in cui non hanno ancora strutturato, probabilmente, la propria adesione a questa o a quell'area. Per contro, in questo caso, sono stati in prima linea nel colpire, per esempio, un blindato dell'Arma dei carabinieri, quindi nell'essere poi arrestati e subire un processo penale.
Noi forze di polizia abbiamo preferito non agire immediatamente per non esaltare i momenti di tensione legati alla piazza e all'ordine pubblico, ma abbiamo identificato attraverso le telecamere e denunciato all'autorità giudiziaria oltre 300 partecipanti alla manifestazione. Per la cronaca, ma anche perché è un fatto abbastanza nuovo per noi, sono risultati estranei i collettivi studenteschi universitari, i Cobas e i gruppi provenienti dal nordest (per intenderci, quelli assimilabili all'area che un tempo veniva definita «della disobbedienza»).
Vorrei fare qualche riflessione su quest'area antagonista, come viene richiesto nei quesiti del programma dell'indagine. Occorre, tuttavia, fare un passo indietro, cosa che non sarà difficile perché, mediaticamente, non è stato ancora fatto. In sostanza, il passo indietro significa tornare al luglio del 2001, quindi al G8 di Genova. In quell'occasione, si registrarono dei fortissimi contrasti all'interno dell'area antagonista, che evidenziarono, all'epoca, delle profonde spaccature, che non si sono sanate con il tempo. Continua il dibattito tra violenza e non violenza, come le posizioni antitetiche sui metodi di lotta da usare tra chi persegue e chi, invece, respinge il dialogo con le istituzioni; proseguono delle forti rivalità riguardo soprattutto all'assunzione della leadership.
È rimasta, insomma, una forte carica di aggressività anti-istituzionale e bisogna dire che, dai servizi investigativi messi in campo in quei giorni dall'Arma dei carabinieri e dalla Polizia, è emerso che proprio la manifestazione del 15 ottobre, nei desiderata dei manifestanti, avrebbe dovuto portare a una sorta di ricompattamento tra le varie aree antagoniste. In


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sostanza, si sperava che quella manifestazione fosse l'occasione di ricompattare le opposte visioni del problema. Tuttavia, l'obiettivo di unire nella protesta mondo studentesco, mondo del precariato e mondo dei lavoratori e realizzare un'unica leadership non è stato raggiunto in quella sede. Abbiamo visto, infatti, che la trasposizione nelle pratiche di piazza del pensiero anarco-insurrezionalista ha rovinato tutto, non solo per noi e per i cittadini, ma anche per chi tendeva a utilizzare quella manifestazione per ricompattare la protesta.
Vorrei notare che alcune pratiche di guerriglia sono state mutuate dal repertorio classico militare (l'uso, per esempio, di arieti e di catapulte) e da quello rivoluzionario (come l'incursione «mordi e fuggi»). È inutile parlare di ordine pubblico e della sua gestione quando quella manifestazione ha avuto scarsa vitalità sotto questo aspetto, visto che, in quella circostanza, si sono espresse delle frange rivoluzionarie che hanno adottato il tipico sistema rivoluzionario del «mordi e fuggi», scappando in mezzo ai manifestanti pacifici, rendendo difficile - se non impossibile - la loro identificazione e il loro fermo nell'immediato.
Del resto, quando i rivoltosi, soprattutto anarco-insurrezionalisti, che, tra l'altro, nel numero di 400 rappresentano un problema importante nell'ambito delle manifestazioni di ordine pubblico, si vanno a rifugiare nel popolo pacifista che sta manifestando appunto pacificamente, fanno sì che le forze di polizia debbano individuarli in mezzo a questo popolo, coinvolgendo, magari, la suora che sta in prima fila e che, suo malgrado, prende la prima manganellata. Ecco, questa è la storia dell'ordine pubblico che, purtroppo, viviamo anche sotto questi aspetti, alcuni dei quali drammatici.
Un dato che è emerso costantemente nelle ultime manifestazioni riguarda i minorenni, numerosi antagonisti non organizzati e non strutturati e soprattutto anarco-insurrezionalisti. Da tempo mi sto interessando a questo fenomeno, che è alimentato da persone che hanno imparato a strumentalizzare il malcontento e che intervengono su tutti i temi antisistema (occupazionali, scolastici e così via) con una capacità «guerrigliera» di una certa rilevanza. Spesso arrivano nella città dove si svolge la manifestazione vestiti in un certo modo, dopodiché partecipano alla manifestazione vestendosi in modo diverso; non si lasciano identificare con persone che hanno precedenti o che sono note per queste vocazioni; non si armano, come facevano un tempo, per cui fermarli lungo la strada significa non trovare bulloni, spranghe, coltelli, benzina o corpi contundenti in genere perché trovano tutto pronto nella sede di arrivo, come nel caso di «Askatasuna» a Torino o di «Acrobax» a Roma, come abbiamo investigativamente - e spero, in prospettiva, processualmente - provato.
Pertanto, rendere difficile la propria identificazione e raggiungere i luoghi di incontro con mezzi propri e non più in gruppi come un tempo - cosa che facilitava ovviamente il controllo - mette le forze di polizia nelle condizioni di non poter utilizzare i sistemi di prevenzione vetusti che, francamente, io stesso non mi sentirei di incoraggiare. È chiaro che stiamo parlando del fermo di polizia e di quegli strumenti di prevenzione che consentono di fermare le persone, di interrogarle e poi di rilasciarle magari il giorno dopo, quando la manifestazione è finita. Se si vuole, questo rende possibile la prevenzione. Tuttavia, se questo non si vuole, è inutile chiedersi come mai la polizia non ha fatto prevenzione. Lo sapevamo che arrivavano gli anarchici, ma certamente non potevamo bloccarli a Torino, quando si preparavano per venire a Roma alla manifestazione. Forti del fatto che indossano vestiti diversi da quelli con cui arrivano, che arrivano scaglionati, non organizzati in gruppo e disarmati, ci mettono infatti nelle condizioni di non poter fare niente, se non prendere atto della loro esistenza. Solo successivamente possiamo anche prendere atto che hanno commesso dei reati. Non a caso, in quella circostanza, ne abbiamo denunciato circa 300.


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In conclusione, il problema più serio è combattere l'anarco-insurrezionalismo, inteso anche come organizzazione leader di un movimento antagonista ormai clamorosamente spaccato e fatto di opinioni e gesta contrapposte, ma che vede, comunque, in questa componente la sua parte forte. L'anarco-insurrezionalismo, a differenza della mafia, è molto più gentile nei nostri confronti perché ci racconta quello che ha fatto e che farà. Siccome, in questo momento, ci sta dicendo che sta per fare salti di qualità - nello specifico, si parla di assassinio - dobbiamo capire che fino ad oggi ciò non è accaduto solo perché abbiamo avuto fortuna. Infatti, se salta una pentola a pressione o si mette una bomba in un giardino, provocando l'intervento delle forze di polizia, per poi far scoppiare, due minuti dopo, un'altra bomba nelle vicinanze, è evidente che si intende colpire coloro che sono intervenuti. Peraltro, in Grecia l'assistente del Ministro dell'interno ha ricevuto un plico ed è morto.
Certo, potremmo dire che siamo in Italia, quindi non c'entra la Grecia, ma non è così. Infatti, un'altra interessante novità è che la Federazione anarchica informale (FAI) - cioè aggregazione di anarchici di casa nostra - ha ritenuto di aderire a una proposta dell'omologa organizzazione anarchica greca, la Cospirazione delle cellule di fuoco, che ha offerto all'organizzazione italiana e di altri Paesi di formare una sorta di network internazionale piuttosto agguerrito che potesse mettere in piedi delle violente azioni antisistema (le definiamo in questo modo per indicare il tradizionale desiderio anarchico). L'organizzazione anarchica italiana ha, quindi, aderito a questo network e vi sta partecipando.
L'aspetto singolare è che, fin da bambini, abbiamo imparato che l'anarchismo è caratterizzato dallo spontaneismo, ragion per cui sembra difficilmente collocabile all'interno di un'associazione; un anarchico che partecipa a un'organizzazione criminale, terroristica o quant'altro sembra quasi un ossimoro. Purtroppo, questa considerazione vale anche per la magistratura italiana; infatti, una cosa è perseguire un'associazione mafiosa, che ha delle sue caratteristiche di rigore nella gerarchia e nel ruolo che ogni componente assume; un'altra è perseguire un'organizzazione anarchica, che è tale solo fino a un certo punto. In effetti, nulla vieta al singolo membro dell'organizzazione anarchica di prendere delle iniziative spontanee.
Per questa ragione, parlando con i procuratori più versati, che hanno seguito questo campo con particolare cura, ho verificato se ci fossero gli spazi per immaginare un'altra figura normativa, accanto all'associazione per delinquere, all'associazione di stampo mafioso e alla banda armata, per perseguire questa speciale associazione, che è a metà tra l'organizzazione che attribuisce ruoli cogenti e l'associazione, che rende forte in virtù dell'appartenenza a essa, ma non ordina di compiere una certa azione, che è realizzata spontaneamente dal soggetto.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.

PIERLUIGI MANTINI. Vorrei porre al prefetto Manganelli una domanda forse parzialmente fuori tema, sebbene tutti i temi riguardanti la sicurezza siano tra loro collegati.
Alla luce dei fatti di Milano - mi riferisco, in particolare, alla morte del vigile in funzione di pubblica sicurezza e all'omicidio avvenuto con un uso increscioso delle armi, episodi che hanno, naturalmente, modalità diverse - abbiamo maturato l'idea che occorra un'iniziativa, forse anche normativa, non essendo sufficienti solo le indicazioni e le circolari interne, sull'uso delle armi da parte della polizia locale in funzione, appunto, di forza di ordine pubblico e di sicurezza.
È un tema che meriterebbe diverse riflessioni, ma, naturalmente, lei le conosce tutte. Vengo, dunque, alla domanda. Al di là della collaborazione, che c'è a tutti i livelli, e al fatto evidente che l'uso delle armi in quella funzione rappresenta solo un'extrema ratio, non crede che sia utile


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un intervento ulteriore, anche dal punto di vista normativo, affinché non abbiano a ripetersi queste perdite di vite umane? Personalmente, equiparo i due episodi, anche se naturalmente vi sono delle differenze. In un caso, si trattava di un vigile urbano che pensava di fronteggiare una situazione che - credo - un agente addestrato non avrebbe mai tentato di affrontare. Nell'altro, vi è stato un uso dell'arma da fuoco con un eccesso forse colposo. A ogni modo, questo si vedrà nel processo.
La domanda è, quindi, quali suggerimenti può darci e se, anche sul piano normativo, non sia il caso di distinguere meglio il tipo di collaborazione tra i diversi livelli.

EMANUELE FIANO. Ringrazio il prefetto Manganelli. Peraltro, oggi è la seconda volta che abbiamo occasione di incontrarci; nella prima abbiamo parlato della violenza negli stadi. Prendo spunto proprio dalla questione degli stadi per complimentarmi per i risultati ottenuti in questi anni nel contrasto agli incidenti legati al tifo sportivo, che sono molto diminuiti.
Ho ascoltato la sua relazione sulla questione specifica del contrasto all'attività violenta di alcuni gruppi nel corso di manifestazioni di piazza. Personalmente, signor prefetto, ho l'impressione che si debba affrontare questo tema con una riflessione strutturale e non contingente sulla questione del modello di sicurezza che vogliamo in questo Paese. Non credo che la capacità della polizia di Stato di affrontare questi temi dipenda unicamente dalla vostra straordinaria competenza, né da questo o quell'aggiustamento legislativo singolo. Penso, invece, che, a integrazione e a supporto delle parole che lei ha detto, si debba affrontare la questione del modello di sicurezza che vogliamo in questo Paese.
D'altronde, presidente Bruno, mi auguro che proprio in questa Commissione sarà possibile affrontare, attraverso un idoneo gruppo di lavoro o un apposito comitato, un ragionamento di ripresa e di riforma della legge 1o aprile 1981, n. 121, a trent'anni dalla sua approvazione.
Anche con riferimento alle manifestazioni che lei ha citato, penso che occorra un ragionamento sulla razionalizzazione del nostro modello di organizzazione delle forze dell'ordine, in particolare riguardo alla scelta del modello di coordinamento tra le varie forze che si occupano di ordine pubblico, alla sovrapposizione tra le competenze di alcune di queste, alla proliferazione di forze dello Stato che si occupano di ordine pubblico al di là del mandato originario, e anche - pur considerando che siete servitori dello Stato, in qualsiasi condizione veniate messi - alla situazione che consegue agli ingenti tagli che, negli anni scorsi, hanno inciso sul bilancio del comparto sicurezza e difesa dello Stato che, nonostante l'abnegazione e il coraggio delle donne e degli uomini che lei guida, porta inevitabilmente conseguenze strutturali di adeguamento rispetto a questo. Mi auguro, quindi, che potremmo parlarne proprio in questa Commissione.
Tra l'altro, aggiungo alle sue parole quelle molto preoccupate del procuratore capo di Torino, Caselli, che ho letto ieri in un'intervista al Corriere della Sera, sull'emergenza e la pericolosità di alcune frange del dissenso politico, in particolare inerenti alla vicenda del movimento no-Tav, che stanno attaccando e minacciando, appunto, il giudice Caselli, a cui va tutta la nostra solidarietà. Infatti, anche le parole che lei, signor prefetto, ha pronunciato qui oggi - in una sede tanto autorevole - mi pare richiamino a un salto di qualità della pericolosità di alcune delle frange di cui ci stiamo occupando.
Vorrei, comunque, rivolgerle una domanda specifica. Per molti anni e con un successo quasi pieno, il nostro Paese ha combattuto il terrorismo politico che si era concretizzato e strutturato in alcune organizzazioni ben note, come le Brigate rosse, sia a sinistra sia a destra. Pur comprendendo la sua natura intrinsecamente e geneticamente anarchica, mi è difficile capire perché non si ha un livello di altrettanta profonda capacità di repressione


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dell'attività illegale e violenta di questa presunta Federazione anarchica informale che forse, per alcuni versi, ha rappresentato un marchio utilizzato da gruppi a struttura diversa, che si riconoscono, però, in un unico modello.
Ciò vale ancora di più oggi, visto che lei dice - con grande preoccupazione di tutti noi - che proprio questi gruppi anarco-insurrezionalisti, che per molti episodi riportiamo a quella sigla, stanno per compiere un salto di qualità che va verso una violenza politica che sfocia nell'omicidio, anche in correlazione con altri gruppi del panorama internazionale. Del resto, lei ha usato parole molto chiare. Senza contare che nella storia del terrorismo di questo Paese è già successo che proprio dalla Grecia venissero connessioni molto pericolose. In sostanza, chiedo di capire - non so se è questa la sede appropriata - in maniera più approfondita perché non si riesce a disarticolare o a colpire questa sigla, la FAI, com'è accaduto per altre organizzazioni drammaticamente famose in passato.
Vorrei anche dire che trovo una certa somiglianza - la storia non si ripete mai uguale - tra una certa omogeneità politica di alcune forze parlamentari che nel recentissimo passato si sono contrapposte legittimamente, ma che oggi si vedono affiancate nel sostegno a un governo tecnico - dico così per capirci - e il salto di qualità di frange extraparlamentari. Infatti, è già successo nella storia di questo Paese che partiti importanti e rappresentanti la stragrande maggioranza della popolazione italiana si siano accordati per sostenere dei governi in momenti particolarmente difficili, mentre frange estreme prendevano il sopravvento su elementi di antagonismo.
Concludendo, signor presidente, credo che sia urgente svolgere in questa sede quella riflessione di sistema che ho richiamato, tenendo conto che alcuni degli strumenti a cui accennava il prefetto Manganelli potrebbero già essere oggetto di un'innovazione legislativa. Tra l'altro, ricordo che, poco prima della crisi di governo, il Ministro Maroni - è qui presente Alfredo Mantovano, nostro collega, nonché allora sottosegretario - aveva preannunciato al Parlamento e già iniziato a discutere, anche con lo stesso Prefetto Manganelli, un pacchetto di misure discendente alle ipotesi di lavoro di innovazione legislativa del Governo, proprio in conseguenza di alcune delle manifestazioni di cui abbiamo parlato.
Per esempio, si parlava di alcune disposizioni oggi presenti nella disciplina dell'ordine pubblico utilizzate per il contrasto alla violenza negli stadi o che da lì derivano. Personalmente, ho delle remore sulla trasposizione del Daspo (divieto di accedere alle manifestazioni sportive) nella gestione dell'ordine pubblico dei cortei politici; l'arresto differito è invece una disposizione che - come dicemmo all'epoca al Ministro Maroni a nome del nostro partito - sarebbe utile nella gestione dell'ordine pubblico di alcuni cortei perché permetterebbe, attraverso la ricostruzione videografica di alcuni episodi, l'arresto successivo. D'altronde, si erano fatte anche altre ipotesi tecniche che, laddove il Governo lo proponesse, potrebbero essere percorse anche oggi.
Credo, comunque, che debba essere avviata una discussione strutturale complessiva sul tema, a trent'anni da quella grande riforma di riorganizzazione della struttura decisionale delle forze dell'ordine attuata con la legge n.121 del 1981. Mi auguro, quindi, che le forze politiche avranno il coraggio di riprendere in mano la questione con proposte innovative.
Rinnovo, infine, la mia domanda al prefetto circa i motivi per cui non si sia ancora riusciti a disarticolare la Federazione anarchica informale che appare, nelle sue parole di oggi, più pericolosa e preoccupante rispetto a quanto potevamo pensare fino a questo momento.

MARIO TASSONE. Innanzitutto, debbo ringraziare il prefetto Manganelli della sua esposizione. Proprio dalle sue considerazioni traggo qualche sollecitazione per porre delle questioni. Non c'è dubbio che il contributo che ci attendiamo, e che ritengo ci sia stato dato, è capire il perché


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di alcune vicende e se qualcosa non ha funzionato. Credo, peraltro, che abbiamo programmato quest'indagine conoscitiva e queste audizioni proprio per evitare di fare delle narrazioni e per capire, invece, cosa non ha funzionato, cosa si può fare, se c'è una debolezza nelle norme oppure qualche disomogeneità nelle forze in piedi a contrastare questi fenomeni laceranti nei confronti della nostra società.
Conosciamo quanto è accaduto in Val di Susa riguardo al movimento no-Tav e sappiamo quali sono le forze in campo, ma bisognerebbe capire quali sono le forze anche economiche che muovono e hanno mosso questo tipo di realtà e se si tratta soltanto di rappresentanti locali della comunità montana o dei comuni interessati o se è coinvolta anche qualche componente che ha impresso alla protesta una direzione o una sollecitazione impropria.
Non c'è dubbio che la realtà da monitorare sia vasta in relazione a ciò che è accaduto a Roma, ma anche a Genova - cui, opportunamente, il prefetto Manganelli faceva riferimento - perché conoscere approfonditamente ciò che è successo in quella circostanza può costituire un'esperienza utile a contrastare e a ridimensionare alcuni fenomeni attuali.
È stata, del resto, anche già rilevata la questione della legge n. 121 del 1981. All'epoca, il problema riguardava la titolarità del coordinamento delle forze in campo, cosa che si è risolta sul piano normativo. Vorrei capire se tutto questo ha funzionato a Roma e in altre circostanze, visto e considerato che i disordini hanno riguardato una minima percentuale di eventi. Come ha ricordato il prefetto, su 10.000 manifestazioni solo l'1,8 per cento ha fatto registrare qualche elemento di difficoltà nel mantenimento dell'ordine proprio delle manifestazioni pacifiche.
Vorrei, inoltre, capire cosa è cambiato dagli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, quando vi erano manifestazioni di partito o sindacali, allorquando dei gruppi di ordine pubblico isolavano i facinorosi. Anche nel passato, c'era stato, peraltro, qualche tipo di collaborazione tra questi gruppi e le forze autoctone proprie della CGIL o del Partito comunista. Dico questo per avere un riferimento storico che fa parte della nostra conoscenza e della nostra vita vissuta. Il problema è la prevenzione, anche se certamente la questione del coordinamento delle forze di polizia rimane in piedi in tutta la sua complessità.
Del resto, signor prefetto, è vero che questi facinorosi sono in abito civile, quindi passano attraverso i filtri e le griglie; tuttavia, questo ragionamento deve andare oltre e riguardare la prevenzione e l'investigazione, anche alla luce di quanto previsto dalla legge n. 121 del 1981. Per esempio, nella lotta alla criminalità organizzata vi sono le intercettazioni; ciò nonostante, non ho mai abbandonato l'idea che si potesse e mettere in piedi, anche in questo ambito, un'investigazione e un'azione delle forze di polizia. Oltretutto, nel 1981 abbiamo introdotto il grado degli ispettori, che sono proprio coloro che devono avere competenza soprattutto in ordine alle investigazioni.
Volendo fare un passo in avanti, vorrei chiederle se c'è una linea che va dalla Grecia verso i Balcani, giungendo fino al centro Europa, cioè se vi è un coordinamento tra queste forze estremiste, variamente denominate, per far sì che si possano collegare le diverse conoscenze. Inoltre, vorrei capire in questa situazione qual è il ruolo dell'AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e dell'AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna). Si parla, per esempio, dell'arrivo dei black bloc, che restano tali anche se arrivano in abiti civili.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, vorrei ricordarle che nel nostro programma di audizioni abbiamo inserito sia il capo dell'AISE che quello dell'AISI.

MARIO TASSONE. Certamente. Vorrei, tuttavia, sapere dal prefetto se vi è un rapporto tra loro. D'altronde, in alcune manifestazioni i black bloc si sono identificati attraverso delle divise. Dico questo dando certamente atto alle forze di polizia del loro impegno. Ciò nonostante, vorrei dire con estrema chiarezza che sono convinto


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che la dedizione delle forze dell'ordine non sia stata adeguatamente supportata dal coordinamento e dal governo degli uomini in piazza.
Un'ultima battuta riguarda il problema posto dall'onorevole Mantini. A questo proposito, ascolteremo nel corso dell'indagine conoscitiva anche rappresentanti delle polizie municipali. Chiedo, però, una sua valutazione sul coordinamento non soltanto tra la Polizia di Stato e i Carabinieri, ma anche con la Guardia di finanza, il Corpo forestale e i vari organi di polizia del nostro Paese. Questo coordinamento funziona realmente o meno? Ecco, credo che questo sia un dato sul quale concentrare certamente la nostra attenzione.

MATTEO BRAGANTINI. Ringrazio anch'io il prefetto della sua presenza. Arriverò subito al dunque, anche perché ritengo che fare discussioni e analisi sociologiche sul perché ci siano tanti giovani coinvolti in questi episodi o sul perché vi siano certi collegamenti porterebbe via giorni interi. Peraltro, è sempre esistita una tendenza da parte dei giovani di essere contro il sistema; o dovremmo piuttosto capire perché oggi vi è la spinta a essere violenti, lasciandosi trascinare facilmente. Forse una volta vi era una cultura della società e dell'appartenenza che, sebbene si volesse essere ribelli e «fare le rivoluzioni», generava comunque un senso del limite, che, da giovane, ritengo si stia perdendo.
Arrivo subito alle domande. Vorrei, innanzitutto, capire se in queste associazioni anarco-insurrezionaliste vi sono solo giovani o, come ho capito io, anche molti «vecchi», cinquantenni o sessantenni, che un tempo erano comunisti per poi trasformarsi prima in ambientalisti e poi in insurrezionalisti, non esitando a cercare anche altri sistemi. Non vorrei sbagliarmi, ma ho visto, in altri Stati, la tendenza da parte di queste persone a diventare persino terroristi islamici. Insomma, terrei a capire se queste persone, provenienti dalle esperienze degli anni Sessanta, Settanta e primi anni Ottanta, sono ancora inserite e, eventualmente, quanto contano oppure se contano, ma non appaiono per svolgere, furbamente, il ruolo di opinion leader nascosti.
In secondo luogo, vorrei capire quanto incide l'infiltrazione delle frange del tifo violento in questi gruppi, visto che mi sembra questa sia una loro caratteristica rilevante, nonché degli stranieri non inseriti che utilizzano le manifestazioni in cui ci sono dei violenti per esprimere il loro disagio e la loro rabbia verso un sistema che non riesce a integrarli, non potendo accogliere tutti.
Ancora, vorrei sapere perché, dal G8 di Genova, nelle ultime manifestazioni - pur con qualche interruzione, come nella manifestazione dei no global a Firenze - non ci siano dei servizi d'ordine interni agli organizzatori che possano contrastare questi «mordi e fuggi». Il servizio d'ordine del vecchio Partito comunista, di altre forze politiche o dei sindacati isolavano e rimandavano indietro questi personaggi, quindi la polizia poteva fermarli. Ecco, mi chiedo perché non si può più fare questo o costringere chi organizza le manifestazioni a dotarsi di un servizio interno proprio per evitare le infiltrazioni dei violenti, magari provvedendo anche con nuovi strumenti normativi.
In ultimo, le chiedo dei consigli in merito a ulteriori strumenti normativi, ma anche tecnici. Vedo, per esempio, che in altri Paesi stanno utilizzando nuove forme di armi «non letali» (schiumogeni, colle, sistemi elettrici, proiettili di gomma che rilasciano una specie di vernice; in America e in Israele stanno sperimentando anche le onde elettromagnetiche per contrastare le folle). Ecco, vorrei sapere se stiamo almeno ipotizzando questo utilizzo. È ovvio che c'è un problema di fondi, ma occorre anche capire se ci sono delle controindicazioni. Nello specifico, si è visto che le colle potrebbero creare un occultamento delle vie respiratorie, diventando, quindi, potenzialmente letali. In sintesi, vorrei sapere se stiamo partecipando anche noi agli studi in merito a questi nuovi sistemi.


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OLGA D'ANTONA. Ringrazio e saluto il prefetto Manganelli. Concordo l'esigenza - espressa dai colleghi - di un coordinamento delle forze di polizia. Sono, però, sollecitata a porre una domanda proprio dalla relazione del dottor Manganelli, nella quale egli considerava praticamente perfetta - ripeto le sue parole - la legislazione riguardo all'ordine pubblico, lamentando delle criticità relativamente alla questione degli anarco-insurrezionalisti. Vorrei, allora, sapere, quali sono gli strumenti legislativi - visto che questo è il nostro mestiere - di cui il prefetto sente l'esigenza rispetto a questo tema.
Inoltre, un'altra domanda che vorrei porle, prefetto Manganelli, sempre sollecitata dalla sua relazione, riguarda il fatto che i manifestanti arrivano alla spicciolata, individualmente, senza una divisa e disarmati, trovando in loco gli strumenti come mazze, bastoni, materiale incendiario e quant'altro. Non sarebbe, allora, molto più facile un'azione preventiva per verificare se in loco non siano stati lasciati questi strumenti e queste armi proprie e improprie, individuando chi le mette a disposizione e dove?

JOLE SANTELLI. Nella sua relazione il prefetto Manganelli ha parlato di un'interlocuzione con alcuni uffici giudiziari più sensibili al tema per immaginare una nuova figura normativa associativa che si collocasse all'interno delle fattispecie oggi esistenti, quindi fra l'associazione a delinquere e la banda armata. Non ho capito, però, come questa discussione si sia conclusa, vale a dire se effettivamente avete ritenuto praticabile un'idea di questo genere o meno. In particolare, non ho capito se questa è la conseguenza di una difficoltà operativa da parte delle forze dell'ordine e delle procure nel vedere verificati i propri provvedimenti in termini giudiziari.

PRESIDENTE. Do la parola al prefetto Manganelli per la replica.

ANTONIO MANGANELLI, Capo della Polizia. Partirei proprio dall'ultima questione. In merito alla domanda dell'onorevole Santelli sulla nuova norma, vorrei dire che ne abbiamo parlato tra colleghi e con alcuni magistrati esperti dell'antiterrorismo. Personalmente, stavo svolgendo un lavoro di valutazione con Pietro Saviotti, che purtroppo è scomparso di recente.
Riallacciandomi alla domanda fatta dall'onorevole D'Antona, in Italia abbiamo un impianto normativo invidiato nel mondo per quel che riguarda l'antimafia, l'antiterrorismo, nonché per gli strumenti apprestati per dare maggiore smalto proprio all'antimafia e all'antiterrorismo. Penso, per esempio, ai collegamenti in videoconferenza nei processi, alle misure di prevenzione che altri Paesi non comprendono neanche culturalmente. Noi aggrediamo ricchezze in esito a un procedimento non soltanto penale, ma anche legato alla presunta pericolosità del soggetto, cosa che nella maggior parte dei Paesi europei ed extraeuropei non si riesce neppure a capire. I tedeschi e gli americani vengono a lezione da noi su questi temi. Credo, quindi, che spesso sia un vezzo dire che manca la norma e che il Parlamento debba legiferare. Onestamente, devo riconoscere che il Parlamento ha fatto tutto e più di quello che gli era stato richiesto.
Riguardo, invece, al problema dell'anarco-insurrezionalismo si sta verificando un fenomeno nuovo perché - ripeto - l'anarchico si sta collocando nell'ambito di un'associazione. Noi abbiamo, ovviamente, la possibilità di perseguire le associazioni attraverso le fattispecie dell'associazione per delinquere, della banda armata, dell'associazione di tipo mafioso e quant'altro. Nessuna di queste, però, si attaglia alla figura dell'anarco-insurrezionalista, essendo tutte forme organizzative che presuppongono una qualche soggezione del membro dell'associazione rispetto all'organizzazione stessa. In pratica, il membro dell'associazione fa quello che «mamma» associazione gli dice di fare. Viceversa, con l'anarchico non funziona in questo modo; egli può fare quello che dice l'associazione, ma anche agire in maniera


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spontanea, ragion per cui la difficoltà nel contrastare l'anarco-insurrezionalista - rispondo, così, anche alla domanda dell'onorevole Tassone - risiede nell'esigenza di dover contrastare necessariamente il reato base. In sostanza, occorre trovare l'anarco-insurrezionalista che sta mettendo un ordigno esplosivo accanto alla prefettura di Nuoro per contestargli il possesso dell'esplosivo e l'atto materiale che compie. Tuttavia, se agisce in nome di un'organizzazione, non abbiamo gli strumenti per contestarglielo.
Nessuno crede che sia facile, né vorrei che la Commissione intenda questa riflessione come una lamentela da parte mia per la mancanza della norma. Personalmente, ero ancora vicecapo della Polizia quando ho cominciato a studiare questo problema, ma ancora non ho trovato la ricetta. Pertanto, non posso dire al legislatore di fare in fretta a cercare una ricetta che, personalmente, da tecnico, non ho trovato. A ogni modo, è un problema che andrebbe in qualche modo affrontato.
L'onorevole Bragantini chiede se nelle associazioni anarchiche siano presenti solo giovani o anche «vecchi». Ebbene, ci sono gli uni e gli altri, anzi i «vecchi», che conosciamo da vent'anni e costituiscono gli anarchici storici del nostro Paese, ci sono tutti. Mi ha colpito, però, la presenza di giovani che mi sembravano un po' disarmati dal punto di vista della cognizione delle cose. Peraltro, non è neanche difficile fare le indagini, visto che anche i «vecchi» si firmano, scrivono le e-mail, navigano su internet, dove spiegano perché fanno parte di queste associazioni. Insomma, ci raccontano la loro presenza; non siamo bravi noi a scoprirla.
Su queste organizzazioni incide anche il tifo violento e ringrazio l'onorevole Bragantini per avermi posto la domanda. Effettivamente avevo omesso di dire che anche negli incidenti di Roma vi sono state persone che non hanno una formazione ideologica politicamente connotata, ma appartengono alle tifoserie ultras, specialmente a quella romanista, e sono vicine alle posizioni della sinistra antagonista, come il gruppo dei Fedayn. Inoltre, sempre in quell'occasione, abbiamo individuato anche elementi appartenenti ad altre tifoserie ultras, per esempio quella napoletana. Del resto, siamo riusciti a identificare molti dei partecipanti agli scontri attraverso le immagini televisive e delle microcamere anche perché abbiamo avuto modo di fare confronti con il mondo delle manifestazioni sportive, nel quale queste persone erano più note rispetto al contesto di cui stiamo parlando.
L'onorevole Tassone mi chiede perché non c'è più il servizio d'ordine da parte degli organizzatori. Direi che non c'è più chi produceva il servizio d'ordine; insomma, non c'è più chi «tiene la piazza». Infatti, quando il corteo era organizzato da partiti o da sindacati che veramente gestivano la piazza, questi erano in grado di garantire, con un proprio servizio d'ordine, l'esito non cruento della manifestazione. Questo non esiste più nemmeno in partiti molto più a sinistra o molto più a destra del Partito comunista, quindi dobbiamo fare da noi.
Riguardo alla nostra partecipazione agli studi su altri tipi di armi, devo rispondere affermativamente. Si va dai proiettili di gomma, agli idranti con la vernice, al capsicum che dà maggiore virulenza al lacrimogeno. Tuttavia, le difficoltà sono molte perché le relazioni di chi è preposto a studiare questi strumenti, come le commissioni del Ministero della salute, frequentemente concludono sostenendo che, nello specifico, il capsicum fa male. Del resto, evidentemente nessuno ha mai immaginato di usare una sostanza a questo fine perché fa bene. È chiaro che si tratta di una carica di aggressività che si aggiunge a quella del gas lacrimogeno.
Vi è un giro di autorizzazioni, comunque vi sono anche altre cose che stiamo facendo. Personalmente, credo poco ai proiettili di gomma e alle armi alternative, non credendo alle armi in genere. Pertanto, ritengo che l'idrante che possa unidirezionare il lacrimogeno o meglio ancora la vernice colorata siano i sistemi migliori, anche rispetto al gas che quando viene espulso fa il suo mestiere, arrivando fino


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al quinto piano e facendo piangere la vecchietta che sta affacciata, non può essere diretto.
Il mio orgoglio è che, nel periodo del mio mandato, abbiamo aperto la Scuola di formazione per la tutela dell'ordine pubblico, che ci sta dando molte soddisfazioni perché la stiamo gestendo, costruendo e portando avanti con la partecipazione non di professori, bensì di funzionari del territorio, di dirigenti, ufficiali dei carabinieri, funzionari di polizia, che vengono dalla strada, e soprattutto con un grande aiuto dei video di televisioni private, pubbliche o di telecamere posizionate nelle varie zone. Difatti, dal video riusciamo a tirar fuori le buone pratiche e anche a individuare le cose che sono state fatte, ma non si devono fare. Questo metodo ci sta orientando bene e sono soddisfatto di come l'Arma dei carabinieri e la Polizia di Stato si muovono in relazione all'ordine pubblico, cioè con molta serenità e con una percentuale piuttosto minima di interventi non ortodossi. Del resto, quando si parla di 10.400 manifestazioni e si dice che nell'1,8 per cento dei casi c'è stata qualche agitazione, significa che, tutto sommato, si riesce a svolgere questi servizi nel modo più sereno possibile.
L'onorevole Mantini parlava dei morti di Milano. In sostanza, diceva che i vigili urbani, se usano la pistola, devono avere qualcuno che glielo insegna e che serve una legge nuova sulla polizia locale. Credo, però, che questo sia già alla vostra attenzione poiché il disegno di legge sulle polizie locali, in questo momento, è all'esame del Senato. È, quindi un provvedimento che è già stato confezionato, anche se probabilmente avrà bisogno di qualche correttivo. A suo tempo, del resto, l'ha seguita l'onorevole Mantovano. Insomma, ha una struttura che risponde proprio alle domande che mi sono state poste. Convengo, pertanto, che, nel momento in cui evolve il concetto di polizia locale dalla paletta e dalla contravvenzione alla gestione di un'arma, è evidente che il processo debba essere accompagnato, normativamente, da un indirizzo preciso e, organizzativamente, da un addestramento e da una formazione adeguata.
L'onorevole Fiano ha parlato della legge n. 121, che reputa un'ottima legge, anche se forse è venuto il tempo di affrontarla e di modificarla. Sono d'accordo con entrambe le affermazioni. Anzi, proprio perché è vera la prima, guai a metterci mano senza avere il coraggio e l'idea precisa degli obiettivi. Se fosse una legge da «buttar via», direi di farlo e cambiarla con la prima che ci capita. Tuttavia, siccome è una grande legge, può essere - se mi consentite il paragone - equiparata alla Costituzione, quindi, prima di cambiarla, bisogna pensarci bene. La legge n. 121 mi emoziona per l'ammirazione che nutro per persone che trent'anni fa avevano il coraggio di pensare quello che noi non abbiamo ancora il coraggio di dire. Infatti, vogliamo cambiare la legge n. 121, ma non abbiamo ancora il coraggio di dire che cosa non funziona in questa legge.
Quando se ne parlerà, potrà essere effettivamente implementato il sistema di sicurezza con un valore aggiunto, costituito da un miglior coordinamento, da una maggiore capacità di incidenza delle forze di polizia e anche da una maggiore chiarezza su chi deve fare che cosa. Siamo un Paese che riguardo alla disponibilità economica si può consentire tutto quello che ha? Ecco, forse dobbiamo guardare la questione anche sotto questo aspetto. Noi, come forze di polizia, non siamo né in imbarazzo né in difesa.
Anche l'onorevole Fiano parlava della modifica normativa a proposito dell'associazione anarchica e delle dichiarazioni di Caselli che confermano l'importanza di questo tema. Non ci fasciamo la testa, però. Stiamo affrontando il problema dell'anarco-insurrezionalismo con competenza e con grande capacità investigativa. Anche se non faccio più l'investigatore, posso garantire che i carabinieri e i poliziotti che sono addetti al settore antiterrorismo, nella parte che si occupa dell'anarco-insurrezionalismo, sono molto bravi. Abbiamo sventato molte azioni;


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siamo molto «sul pezzo»; abbiamo arrestato molte persone. Vi è, però, certamente quel limite di cui dicevo prima, cioè quello di poter colpire il singolo reato base, ma non l'associazione. Tuttavia, può darsi anche che un domani troveremo il modo di colpire non colui che ha messo l'ordigno esplosivo, ma quei venti che avevano condiviso il disegno generale da cui scaturisce l'ordigno stesso.
Devo dire all'onorevole Fiano che non possiamo lamentare di non essere oggi in grado di disarticolare la FAI perché, in linea di massima, sappiamo chi sono, dove vanno, li preveniamo, li fermiamo; insomma, facciamo tutto ciò che è tecnicamente possibile sul piano preventivo e repressivo. Si sappia, però, che ciò che è tecnicamente possibile da un punto di vista repressivo è ciò che oggi il magistrato ci consente, vale a dire il perseguimento del reato base, non di quello associativo. D'altronde, personalmente, devo convenire con il magistrato.

PRESIDENTE. Mi scusi, prefetto. L'onorevole Fiano ha chiesto di intervenire per chiedere un'ulteriore precisazione. Gli do la parola.

EMANUELE FIANO. Signor prefetto, siccome tutte le agenzie di stampa e tutti i siti dei quotidiani italiani riportano le sue parole riguardo al fatto che gli anarco-insurrezionalisti sono pronti a uccidere, le chiederei, vista l'enfasi che tali affermazioni hanno avuto nel Paese, di chiarirci meglio il taglio delle sue parole. Condivido tutto quello che ha detto finora, ma, a parte il fatto di minacciare di uccidere nei loro scritti, siamo di fronte a un'organizzazione che ha una struttura organizzativa capace di far corrispondere a una minaccia degli atti concreti?

ANTONIO MANGANELLI, Capo della Polizia. Innanzitutto, devo dire che loro hanno scritto questo e noi l'abbiamo intercettato. In secondo luogo, hanno aderito a un'organizzazione internazionale che ha già ucciso. C'è - ripeto - un'adesione della FAI italiana a un network internazionale, promosso dall'associazione greca a cui aderiscono numerosi Paesi europei ed extraeuropei, organizzazione internazionale che ha già ucciso. In terzo luogo, finora gli anarchici italiani non hanno ucciso solo per caso.

PRESIDENTE. Mi pare che la chiarezza del Capo della Polizia sia lampante. È stato giusto lanciare questo messaggio, se lo ha ritenuto. Peraltro, le sue considerazioni sono condivisibili.

ANTONIO MANGANELLI, Capo della Polizia. Certamente non lancio allarmi in sede di audizione parlamentare, ma racconto fatti che ci risultano sulla base del nostro lavoro.
Vengo per ultimo alla domanda dell'onorevole Tassone in merito agli incidenti della Val di Susa. Che cosa non ha funzionato? Ecco, ci siamo posti questa domanda fin dal primo momento perché nessuno di noi è rimasto soddisfatto di come sia andata quella vicenda.
Vorrei precisare che ho fatto riferimento a Genova per quanto riguarda non le strutture di polizia, ma quelle antagoniste. Insomma, è l'area antagonista che non ha imparato niente da Genova e che cerca, fin da allora, un equilibrio e una propria linea, che sia quella del falco o della colomba, del dialogo e della mediazione o dell'aggressione, ma le frizioni e i dissensi al suo interno non trovano soluzione da Genova in poi. Viceversa, noi abbiamo imparato molto da Genova. Abbiamo istituito la Scuola di formazione per l'ordine pubblico e abbiamo imparato a valorizzare molto di più la mediazione e il dialogo di piazza.
Cosa non ha funzionato nella manifestazioni in cui si sono verificati degli incidenti? Evidentemente, non ha funzionato la prevenzione. Nel caso di Roma, pur sapendo che sarebbe arrivato un certo numero di anarchici e che ci sarebbe stata una componente importante giunta anche da Oltralpe, le modalità dell'arrivo, della loro interazione nella piazza, ma soprattutto di manifestazione dell'aggressività, non ci hanno consentito di fare prevenzione,


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se non rischiando di mettere in serio pericolo i cortei pacifici. Stiamo parlando di 80.000 persone, tra le quali erano infiltrati 2.000 soggetti che non potevamo gestire secondo le modalità tipiche dell'ordine pubblico perché andavano affrontati come guerriglia urbana. Si tratta - è evidente - di due mestieri e di due modi diversi di aggredire e frenare chi porta la strumentalizzazione e l'aggressione in piazza.
Dagli anni Cinquanta, quando esistevano i gruppi di sicurezza, a oggi è cambiato - come ho già detto - che non c'è più chi «ha la piazza», come dicevamo in gergo. Se, per esempio, ti rivolgevi all'onorevole Bertinotti, sapevi che in quel momento «aveva la piazza». Ho fatto un nome importante e pesante della sinistra italiana, ma sono anni che non abbiamo più esponenti della sinistra, della destra o del sindacato i quali possano dare garanzie che in una certa area non accadano problemi.

PIERANGELO FERRARI. Lei è cortese a dire persone, ma dovremmo dire partiti, che non ci sono più.

MATTEO BRAGANTINI. Di sinistra e di destra.

ANTONIO MANGANELLI, Capo della Polizia. Del resto, non ci sono più neppure ammortizzatori sociali che non siano partiti, come le parrocchie o le associazioni cattoliche. Rispetto agli anni Cinquanta sono cambiate molte cose, quindi non possiamo contare né su un partito, né su persone autorevoli della stessa area che ha organizzato il corteo per poter disporre di un ammortizzatore di eventuali tensioni che dovessero nascere. Insomma, ci arrangiamo con i mezzi che abbiamo.

PRESIDENTE. Ringrazio il prefetto Manganelli della chiarezza della sua esposizione e della cortesia nel rispondere alle domande dei colleghi. Auguriamo a lui e al Corpo che rappresenta un buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.

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