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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
8.
Giovedì 6 dicembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RECENTI FENOMENI DI PROTESTA ORGANIZZATA IN FORMA VIOLENTA IN OCCASIONE DI MANIFESTAZIONI E SULLE POSSIBILI MISURE DA ADOTTARE PER PREVENIRE E CONTRASTARE TALI FENOMENI

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del COCER del Corpo della guardia di finanza:

Bruno Donato, Presidente ... 3 5
Pollastrini Barbara, Presidente ... 23 26 31
Bartoloni Bruno, Rappresentante del COCER del Corpo della guardia di finanza ... 5
Chianese Vincenzo, Rappresentante della Federazione UIL Polizia-ANIP ITALIA SICURA ... 11
Citarelli Stefano, Rappresentante della CGIL-CFS ... 26
Cortesi Piergiorgio, Rappresentante della CISL-FNS per il Corpo forestale dello Stato ... 28
Cotticelli Saverio, Rappresentante del COCER dell'Arma dei carabinieri ... 3 5
Fiano Emanuele (PD) ... 23
Giardullo Claudio, Rappresentante del SILP per la CGIL ... 17
Letizia Enzo Marco, Rappresentante dell'Associazione Nazionale Funzionari di Polizia e del SIAP ... 14
Maccari Franco, Rappresentante della Federazione COISP ... 9
Mazzetti Valter, Rappresentante dell'UGL ... 22
Moroni Marco, Rappresentante del SAPAF ... 29
Romano Felice, Rappresentante del SIULP ... 19
Tanzi Nicola, Rappresentante del SAP ... 12
Tassone Mario (UdCpTP) ... 25
Violante Massimiliano, Rappresentante della UIL-CFS ... 30
Vitelli Giancarlo, Rappresentante della CONSAP ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 6 dicembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del COCER del Corpo della guardia di finanza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure da adottare per prevenire e contrastare tali fenomeni, l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del COCER del Corpo della guardia di finanza.
Sono presenti rappresentanti del COCER dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della guardia di finanza; rappresentanti delle seguenti organizzazioni sindacali della Polizia: CONSAP, Federazione COISP, SAP, SIAP-ANFP, SILP, UGL e UIL; rappresentanti delle seguenti organizzazioni sindacali del Corpo forestale dello Stato: CGIL, CISL, Federazione Sindacale Forestale (Fe Si Fo), SAPAF, Sindacato Nazionale Forestale, UGL e UIL.
Ringrazio gli intervenuti per la loro disponibilità a nome mio e a nome della Commissione.
Prima di dare loro la parola, ricordo che la seduta deve avere termine intorno alle ore 16. Gli interventi dovranno, quindi, essere contenuti in un tempo massimo di 5 minuti per permettere a tutti i rappresentanti delle organizzazioni sindacali e dei COCER di intervenire.

SAVERIO COTTICELLI, Rappresentante del COCER dell'Arma dei carabinieri. Ringrazio per l'invito di oggi, che ci offre un'ulteriore opportunità di parlare di un problema molto sentito in questo momento dal personale dell'Arma dei carabinieri.
I recenti scontri di piazza oggetto della presente audizione hanno impressionato l'opinione pubblica, ma non meravigliano noi. In duecento anni di storia abbiamo affrontato una serie di episodi anche più gravi, e quindi abbiamo un'esperienza e una professionalità consolidata che ci ha portato ad adottare delle tecniche operative che hanno fatto leva soprattutto sulla prevenzione.
I nostri uomini sulla strada sanno che le manifestazioni non sono tutte violente e che, al contrario, la violenza è l'eccezione di una regola che porta il diritto di manifestare a una fase di sacralità assoluta. In una democrazia, la dimostrazione è il mezzo più ampio per dimostrare il proprio dissenso.


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In tale quadro, i nostri reparti operano da tempo seguendo procedure che fanno del dialogo e dell'apertura verso i dimostranti la loro ragion d'essere. Naturalmente, le manifestazioni evolvono e il quadro attuale, composto di difficoltà economiche complessive e altro, contribuisce talvolta a far sì che avvengano degli scontri.
Circa la dinamica delle galassie antagoniste che in questo momento si sono evidenziate per episodi di violenza, i due grossi gruppi, l'area dell'antagonismo, che fa capo al circuito dei centri sociali, ai collettivi studenteschi universitari di destra e di sinistra, ai gruppi estremisti marxisti leninisti, e l'area nebulosa dell'anarco-insurrezionalismo che, come abbiamo potuto accertare recentemente, ha una proiezione e dei contatti internazionali, negli ultimi tempi hanno complicato il quadro della situazione, per cui abbiamo assistito a una serie di episodi che hanno visto scontri piuttosto accesi causati da alcune frange dei dimostranti; è bene, infatti, sottolineare che non è mai stata una marea di dimostranti a compiere atti di violenza, ma solo sparuti gruppi che si sono infiltrati in queste manifestazioni - talvolta spontanee e talvolta organizzate - e hanno dato luogo a incidenti.
La dinamica di questi incidenti, come i mass media hanno evidenziato, ha dimostrato come i facinorosi, coloro che erano andati per commettere violenza, fossero attrezzati. Si trattava di un piano coordinato, avevano una serie di attrezzature predisposte prima per creare e fomentare i disordini e portarli alle estreme conseguenze. In questo quadro, la reazione dei nostri ragazzi è stata esemplare e non ci sono stati, almeno per quanto ci riguarda, episodi riprovevoli.
Abbiamo un servizio di controllo dei nostri uomini consolidato nel corso degli anni dall'esperienza. Provvediamo a mettere in opera formazioni operative in cui privilegiamo l'esperienza; mettiamo i giovani accanto ai vecchi, coloro che conoscono la piazza e che sono in grado, quindi, di agire insieme usando il principio della massa - che in piazza è fondamentale -, vale a dire non isolarsi e insieme fronteggiare la minaccia o l'aggressione.
I mezzi in dotazione, soprattutto quelli per tenere a distanza la folla, non sono particolarmente efficaci. Disponiamo soltanto di lacrimogeni e di qualche idrante. Sotto il profilo della protezione individuale non abbiamo invece difficoltà. Recentemente, il Comando generale ha adottato una serie di attrezzature che si è rivelata eccezionale. Un nostro militare colpito alla schiena da un sampietrino, che avrebbe potuto spezzargli la schiena, per fortuna ha subìto solo contusioni; sotto il profilo dell'equipaggiamento individuale e di quello dei mezzi, pur se perfettibili, il nostro personale è quindi assolutamente ben dotato.
Riguardo agli strumenti legislativi che sarebbe opportuno adottare, mi rifaccio a quanto è stato già detto nel corso delle precedenti audizioni: pur in mancanza di una giurisprudenza consolidata circa il riconoscimento e l'associazione per delinquere con finalità di terrorismo, ex articolo 72 del codice penale, abbiamo avuto due sentenze favorevoli, nei tribunali di Terni e Perugia, ma sarebbe auspicabile un orientamento consolidato che riconoscesse, nei confronti di gruppi organizzati che fanno della violenza di piazza il loro modus operandi, l'adozione di questa previsione normativa. Circa l'arresto differito di 48 ore, vediamo con grande favore questa norma che consente, a disordini cessati, di procedere nei confronti dei facinorosi.
Naturalmente, qui sottolineiamo come i servizi di ordine pubblico siano disagiati e sottopongano il nostro personale a uno stress continuo. Il servizio di ordine pubblico si sa quando inizia, ma non quando finisce. Spesso si tratta di reparti che si muovono da un capo all'altro d'Italia per rinforzare le piazze più grosse, e quindi ci sono problemi di accasermamento, di sussistenza e di alimentazione di questi uomini e di questi mezzi. Tuttavia, il nostro personale è molto motivato, confida nell'organizzazione, nel sostegno e nella comprensione di quanti si rendono conto delle difficoltà che questo servizio comporta.


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PRESIDENTE. Mi scusi, generale. Nel corso del dibattito nato dall'indagine conoscitiva è emerso il problema dell'eventuale identificazione. Gradiremmo che ogni rappresentante dei COCER e delle organizzazioni sindacali si esprimesse brevemente su questo punto.

SAVERIO COTTICELLI, Rappresentante del COCER dell'Arma dei carabinieri. Signor presidente, il problema è che abbiamo strumenti tecnologici adeguati, strumenti di ripresa fotografici e così via, ma sono travisati. L'antagonista sa che disponiamo di questi strumenti e, di conseguenza, si maschera, spesso non è del luogo.

PRESIDENTE. Mi scusi, forse ho posto male la domanda. Mi riferivo al problema dell'identificazione delle forze dell'ordine.

SAVERIO COTTICELLI, Rappresentante del COCER dell'Arma dei carabinieri. Chiedo scusa, signor presidente, ora ho compreso la questione. A questo riguardo, qualche perplessità esiste. Non abbiamo nessuna preclusione preventiva, non abbiamo nulla da nascondere. I nostri uomini sono in divisa, e quindi facilmente identificabili; tuttavia potrebbe sembrare, in questo momento un'iniziativa unilaterale perché dovrebbero essere identificabili anche gli altri e, magari, anche prima.

BRUNO BARTOLONI, Rappresentante del COCER del Corpo della guardia di finanza. Parlo a nome del Consiglio, col quale abbiamo predisposto un documento che consegniamo alla Presidenza.
Ringraziamo, in primo luogo, il presidente e la Commissione per aver ritenuto opportuna la nostra audizione su questo delicato tema, sul quale già le amministrazioni hanno avuto modo di esprimere la loro opinione.
Come finanzieri, entriamo quotidianamente in contatto con i cittadini, non tanto quando vanno a manifestare nelle piazze, ma soprattutto quando espletano le funzioni normali della loro vita, quando si muovono come contribuenti, utenti dei servizi pubblici, risparmiatori, imprenditori, lavoratori; per questo riteniamo di avere un buon punto di osservazione della realtà del nostro Paese.
La nostra impressione è che ci sia una profonda preoccupazione sulla situazione del Paese, che deriva da una profonda crisi economica che mette a rischio il progresso sociale. Questa riflessione deve anche guidarci nell'illustrazione del contesto in cui si è chiamati a concorrere con le altre forze di polizia per garantire l'ordine e la sicurezza pubblici.
Al di là di qualsiasi volontà di inquadrare complessivamente il contesto in cui ci muoviamo, crediamo però di dover indicare alcuni temi di riflessione. Esistono dei rilevanti squilibri nei sistemi economici, c'è un'ampliarsi della diseguaglianza sociale e il crescere della disoccupazione, un'inadeguata regolamentazione delle attività economiche - questo è vero non solo nel nostro Paese, ma nel contesto internazionale - e un'inadeguatezza dei sistemi di tassazione, un insufficiente livello di legalità che alimenta un sentimento di risentimento e sfiducia, un'azione della criminalità organizzata anche nella sua dimensione economica.
Un altro aspetto che ci riguarda anche come Consiglio, è, sostanzialmente, uno svilimento del ruolo di mediazione delle parti sociali, che in questi anni non sono più riuscite a fungere da ammortizzatore tra i diversi interessi in campo, oltre a una mancanza di mobilità sociale. Di fatto, i giovani non hanno una prospettiva certa.
Quanto all'aspetto prettamente economico di cui abbiamo avuto già modo di parlare al Ministro Grilli, non esiste solamente un problema di controllo della spesa pubblica, ma un problema di insufficienza di gettito nelle casse pubbliche e questa minore disponibilità di denaro pubblico impedisce l'attuazione di politiche anticicliche rispetto al ciclo economico.
Facciamo riferimento al fatto che, a regolamentazione vigente e senza violare le norme, alcuni soggetti, soprattutto coloro che sono in grado di sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione, si sottraggono al pagamento delle imposte


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in maniera adeguata rispetto alla loro capacità contributiva di cui alla nostra Costituzione.
Non è un problema italiano, ma internazionale. I Parlamenti d'Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti stanno discutendo di questo. Abbiamo avanzato questa nostra opinione in sede di intervento con il Ministro Grilli e appurato che anche in questo Parlamento si comincia a discuterne e che la stampa se ne sta occupando. Non è un problema di elusione e di evasione, ma di regole, per cui occorre ricercare ricchezza laddove la ricchezza oggi è prodotta e non è assoggettata a tassazione.
A fianco di questo aspetto di insufficienza di gettito, occorre anche una riflessione in ordine alla ripartizione del carico tributario, che viene immediatamente dopo. Questo oggi incide prevalentemente su alcune categorie: lavoratori dipendenti, pensionati, piccola e media impresa, professionisti non globalizzati e proprietari di immobili. Queste sono le categorie di soggetti che, di fatto, alimentano il bilancio pubblico.
Occorre, come ha dichiarato recentemente il direttore generale della Banca d'Italia, non solo a livello italiano ma a livello europeo e sicuramente anche più ampio, riallocare il carico fiscale, ridurre le imposte sul lavoro e le imprese e trovare i fondi altrove, cioè attraverso una riduzione della spesa improduttiva e un contrasto all'evasione, e, se possibile, occorre caricare le quote più alte della tassazione su chi ha di più.
Inoltre, serve un intervento che calmieri prezzi e tariffe, soprattutto rispetto a situazioni di sproporzione tra dividendi e retribuzione per prestazioni sul mercato di imprese che operano in situazione di scarsa concorrenza. Anche i servizi pubblici essenziali vanno, a mio avviso, ripensati.
Accanto al problema di insufficienza di gettito che alimenta la diseguaglianza e il disagio sociale, esiste un problema di legalità, di cui l'evasione fiscale è uno degli aspetti più evidenti, più diffusi socialmente. Crediamo che, in una situazione in cui i margini si stanno fortemente riducendo, il sentimento dei cittadini nei confronti di questo fenomeno sia ormai abbastanza chiaro.
Nondimeno, abbiamo i fenomeni di corruzione e di frodi, di infiltrazione della criminalità organizzata, che devono essere tenuti in assoluta considerazione, in particolar modo la dimensione della criminalità organizzata italiana, che è l'organizzazione che meglio di ogni altra nel nostro Paese ha saputo cogliere lo spirito dalla globalizzazione, e quindi è riuscita crescere in questi anni e oggi è in grado, sicuramente, di mettere a rischio anche la nostra democrazia.
Dopo questa premessa sul contesto sociale, andando nel concreto del tema dell'ordine pubblico, temiamo che il disagio economico sia il collante che possa mettere in relazione la ciclica protesta giovanile - per certi casi potremmo dire fisiologica all'interno di una società - con coloro che non sono più giovani, cioè coloro che sono stati recentemente giovani, ma non hanno trovato uno sbocco lavorativo ed economico, e il bisogno delle famiglie, ossia di coloro che perdono il lavoro.
Su questa miscela che si sta creando diventa molto difficile demandare la risposta esclusivamente alle forze di polizia. Quando siamo in piazza, probabilmente stiamo gestendo il sintomo, ma ormai non siamo più in condizioni di gestire le cause di quello che avviene davanti a noi, quindi la risposta non può che passare dalle politiche che i Parlamenti devono sviluppare soprattutto in ambito europeo.
Non siamo, però, solo preoccupati della piazza, ma del rapporto quotidiano con il cittadino. Casi come quelli avvenuti recentemente nei confronti di strutture e personale di Equitalia, situazioni dolorosissime, come i suicidi di imprenditori e di lavoratori in difficoltà, che si susseguono in questo periodo confermano la nostra impressione di un palpabile stato di tensione derivante dalla situazione di precarietà economica nella cittadinanza con la quale entriamo in rapporto.


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Siamo assolutamente convinti che il dialogo sia la migliore via che possiamo seguire nella relazione col cittadino. Siamo profondamente convinti che l'ascolto sia lo strumento che, più di altri, possa garantire un risultato importante alla nostra azione. Si possono compiere atti molto lesivi della libertà personale delle persone con un arresto, un sequestro, senza per questo venir meno, oltre che alle regole, a un principio di umanità.
Esiste però oggi nelle piazze un problema concreto di chi dialogare non vuole. Questo non può essere taciuto. Se si va in montagna con biglie e altri oggetti, che si vuole utilizzare per offendere, probabilmente nulla si ha a che vedere con la legittima espressione della protesta di chi, evidentemente, ha delle ragioni da far valere anche in quel contesto.
Se allora, da un lato, va sempre garantito il diritto dei cittadini a manifestare, di certo queste persone vanno immediatamente isolate e perseguite a termini di legge anche attraverso lo strumento dell'arresto differito, del quale siamo assolutamente convinti che possa essere una misura cautelare utile. Siamo, altresì, convinti che, laddove anche al nostro interno fossero commessi degli abusi, questi debbano essere perseguiti a norma di legge, senza nessuna difesa corporativa.
Se, però, valutiamo uno degli aspetti ai quali lei stesso, presidente, ha fatto riferimento, cioè quello dell'identificazione, crediamo che un solo aspetto estrapolato da un contesto di una valutazione comparativa tra più ordinamenti non sia la via migliore per capire se una cosa è giusta o sbagliata. Cito l'esempio molto concreto della polizia inglese, che è tranquillamente disarmata; credo, invece, che mandare una pattuglia disarmata a Scampia sarebbe un non senso culturale oltre che organizzativo.
Non abbiamo una pregiudiziale in un senso o nell'altro, ma qualsiasi decisione deve essere assunta attraverso una valutazione complessiva del contesto sociale, organizzativo e anche delle dinamiche di sviluppo della protesta e degli atti illeciti rispetto ad altre realtà.
Crediamo, però, soprattutto che, anche a fronte di una decisione favorevole che vada in questa direzione, debba essere valutata anche un'altra serie di aspetti concreti che devono controbilanciare altri aspetti. Siamo arrivati, ad esempio, all'assicurazione per la responsabilità per i danni provocati a terzi per l'uso di armi o oggetti a offendere soltanto nel 2005, e questo nell'ambito del processo di concertazione del nostro contratto di lavoro; questo la dice lunga su quelle che erano le difficoltà di far capire esattamente qual è il nostro lavoro.
Il nostro concetto di specificità, inoltre, fa fatica a essere affermato. Qualche anno fa abbiamo assistito all'equiparazione della nostra malattia a quella di tutti gli altri dipendenti pubblici: il controsenso era che la persona colpita dal sasso in piazza il giorno dopo avrebbe chiesto visita e, mettendosi in malattia, avrebbe visto decurtata la propria retribuzione perché era un assenteista. Su questo si è dovuto intervenire e, anche in questo caso, in fase di concertazione abbiamo dovuto dare copertura, con soldi, tra l'altro, di un contratto di copertura, a ben 5 milioni di euro perché era stata anche quotata la malattia nell'ambito della correzione dei conti pubblici.
Infine, un ulteriore aspetto riguarda la tutela legale. Come è noto alla Commissione, il COCER risponde a una regolamentazione ormai datata, del 1978, in cui si prevedeva questo strumento giuridico - definire lo strumento giuridico era un po' un problema all'epoca - come un organo affiancato della gerarchia. Di fatto, oggi, se si vuole garantire effettiva tutela ai militari, occorre anche agire giuridicamente e questo nelle norme non è scritto espressamente.
Segnaliamo alla Commissione che il nostro Consiglio di base di Torino è riuscito a costituirsi parte civile per gli scontri in Val di Susa. Il giudice ha ritenuto valida la sua costituzione. Peraltro, non si è potuto applicare in questa sede la norma sulla tutela legale, per cui si è dovuto ricorrere alle collette per pagare la costituzione di parte civile. Anche questo è un aspetto


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che va valutato, cioè obblighi, oneri, responsabilità, ma anche garanzie.
Anche sull'aspetto della tutela legale c'è molto da fare perché oggi, seppur riconosciuta la possibilità di ricorrere all'Avvocatura dello Stato in taluni casi, in molti altri la persona deve anticipare le spese di giudizio, che talvolta sono molto onerose, e un ristoro eventuale a valle rientra in certi limiti, per cui non è garantito il ristoro delle spese di giudizio.

GIANCARLO VITELLI, Rappresentante della CONSAP. Buongiorno, signor presidente, e grazie dell'invito.
Andiamo subito al punto focale che lei, Presidente, ha prima richiamato. La CONSAP è contraria ai codici identificativi sul casco in quanto, a nostro avviso, diventerebbe un formidabile strumento di ritorsione cieca e gratuita. Esempi non mancano. Citerò gli ultimi due che hanno avuto una cassa di risonanza nazionale sui mezzi di comunicazione di massa.
Uno è il caso mandato in onda dalla trasmissione Chi l'ha visto? di colleghi ingiustamente e vigliaccamente additati al pari di una sottospecie umana per aver portato via un povero bambino alla madre, quando la situazione era ben diversa e vedeva, tra l'altro, la presenza sul posto di psichiatri e assistenti sociali inviati direttamente dal giudice, unitamente alla presenza del papà del bambino; l'altro è il caso dei lacrimogeni sparati dal Ministero della giustizia, immediatamente strumentalizzato dai quotidiani.
Purtroppo, in una logica di guerriglia urbana, la manganellata in più può scappare. Ovviamente, gli eccessi sono sempre e comunque da condannare, ma riteniamo che la marchiatura sul casco non sia una strada percorribile in quanto esiste un deficit di legiferazione in materia di ordine pubblico. Mancano, per l'appunto, alcune norme essenziali in materia di ordine pubblico, come l'arresto differito.
Inoltre, onestamente, crediamo di aver sempre avuto il numero di codice, signor presidente, e sono i 160 anni di storia patria al servizio del Paese sul terreno della sicurezza pubblica, del soccorso e della solidarietà. Questo è il nostro codice identificativo.
Vogliamo, invece, proporre come sindacato, nell'ottica di svelenire il clima di contrapposizione e di conflitto che si è creato, un esercizio elementare di democrazia. In tutta Europa le grandi manifestazioni di massa si dirigono verso le sedi del Governo, del Parlamento; così ad Atene, piazza Syntagma, così a Madrid, così a Londra. È naturale perché il popolo, ovviamente, manifesta contro il Governo, contro il potere: perché in Italia dovrebbe essere diverso? È un diritto elementare praticato in tutte le capitali del mondo.
Nel momento in cui tutti ci criminalizzano e ci accusano, noi proponiamo l'accesso libero alle vie e alle piazze adiacenti i palazzi delle istituzioni affinché i manifestanti possano liberamente esprimere il loro dissenso - ovviamente in forme civili, senza scudi o caschi di sorta - sotto le finestre dei rappresentanti del popolo. Del resto, non si può rifiutare ciò che si concede nel resto d'Europa.
Mossi da un reale spirito e da un atteggiamento democratico, non vogliamo sentir parlare di arresti preventivi di ventennale memoria, e siamo invece convinti che l'unica strategia possibile sia il dialogo tra le parti. Il dialogo, infatti, è una strategia.
Siamo preoccupati, signor presidente, perché ogni giorno tocchiamo con mano, nelle sue varie forme, le umiliazioni e le demotivazioni che serpeggiano tra il personale, con il suo corredo di annunci e smentite in ordine alle varie problematiche che ancora sono aperte nel nostro comparto. Percepiamo immediato il rischio di questo magma incandescente di rabbia, protesta e voglia di cambiamento essendo le forze dell'ordine, per loro stessa definizione, un termometro sufficientemente preciso dell'innalzamento della temperatura in ordine ai conflitti sociali che si determinano nel Paese.
Vorremmo evitare, signor presidente, per non ricadere negli errori del passato, di essere il solito calderone in cui tutte le pulsioni confluiscono. Non ci piacciono le dietrologie, ma è una tecnica ben consolidata


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nel nostro Paese. È dietro le contrapposizioni totali tra «poveri cristi» che si consolidano gli apparati di potere, siano essi economici, finanziari e politici.
Intravediamo certi disegni di continuità col passato e che ancora oggi continuano a essere funzionali a un certo tipo di sistema. Diversamente, come spiegarsi tutta questa rabbia, questo livore nei confronti delle forze dell'ordine? Servono forse un altro Antonio Marino o un altro collega Annarumma, da una parte, e, magari dall'altra, un Ovidio Franchi o un Alfio Tondelli? Mi riferisco, in particolare, ai fatti di Reggio Emilia del luglio del 1960, così come a quelli di Avola, in Sicilia, del dicembre del 1968, che furono storicamente alla base della saldatura tra lotte di operai e studenti.
Ecco perché siamo preoccupati. Ci sono troppe similitudini con pagine drammatiche della storia del nostro Paese in quanto le grandi manifestazioni studentesche cariche di rabbia sociale, le nostre cariche e la possibile saldatura come in passato della mobilitazione studentesca con il movimento operaio, prima o poi innescherà un'esplosione sociale.
Noi siamo dei semplici poliziotti, abbiamo giurato fedeltà allo Stato in quanto democratico e legalitario, non siamo schiavi o servi di politici di destra o sinistra e siamo al servizio soltanto della legge e dei cittadini.
L'altra proposta che vogliamo avanzare - vogliamo annunciarlo in quest'Aula benché non sia la sede appropriata, ma a cui riconosciamo un tocco di sacralità - sempre nell'ottica, come dicevo, del dialogo da ricercare, è la richiesta di essere convocati quanto meno alla vigilia di grandi eventi di massa come rappresentanze sindacali, unitamente ai rappresentanti sindacali, ovviamente, delle confederazioni sindacali di CGIL, CISL, UIL presso il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Questo è, infatti, come recita la legge n. 121 del 1981, un organo consultivo la cui composizione, oltre al questore, al comandante dei Carabinieri e altri, è allargabile anche a soggetti estranei alla stessa amministrazione.
In questo modo, all'azione sindacale riconosciamo un valore concreto in termini morali, etici e sociali, proiettato a svilire sempre la guerra e quell'odio che serpeggiano e che troppo spesso è vomitato a dosi massicce nei confronti di uomini che sono lì a difendere e garantire le libertà costituzionali.

FRANCO MACCARI, Rappresentante della Federazione COISP. Di solito, non ringrazio perché ritengo sempre che il dialogo sia un dovere da parte di chi ha rappresentanze così alte; ma siccome questo è un consesso molto interessante, ringrazio di questo invito e mi richiamo, però, al preciso ordine del giorno perché, diversamente, si rischia di infarcirlo di una serie infinita di argomentazioni.
L'ordine del giorno qui richiamato riguarda la natura, la composizione, le dinamiche, l'effettiva portata del rischio del fenomeno di cui si discute. Mi perdonerà, presidente, ma prendo spunto, stravolgendo anche quello che avevo intenzione di dire - ricordo che ho consegnato alla Presidenza un documento scritto - dal simpatico - non me ne voglia il generale dei Carabinieri - fraintendimento che c'è stato quando il presidente ha chiesto se ci fosse stata una valutazione sull'identificazione. Il generale, con assoluta buonafede, ma anche dimostrando di rappresentare esattamente le circostanze, ha risposto che era di difficile attuazione l'identificazione di chi manifesta perché si coprono con caschi, passamontagna, usano biglie, manganelli, scudi, parastinchi e qualunque altro bardamento che, teoricamente, non sarebbe da manifestazione.
Il malinteso era quasi ovvio. Dico con tutta la forza possibile e immaginabile che è illogico, invece che rappresentanti del popolo pensino prima a identificare un'eventuale pecorella smarrita o qualcuno che può aver commesso un atto illegittimo - fatto assolutamente possibile visto che scopriamo gente che compie atti di terrorismo, mafiosi, per cui figuriamoci se sia difficile scoprire un poliziotto che, eventualmente, possa aver compiuto un atto riprovevole - qualcuno che asseritamente


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alzi il manganello in maniera esagerata.
Parlo con questo tono perché penso che il problema sia proprio qui dentro. La rappresentanza posta in essere alle manifestazioni è la risposta alle istituzioni. Da lì nasce tutto il resto. Abbiamo, purtroppo, verificato sulla nostra pelle che manca il dialogo. Tocchiamo tutti i giorni l'assoluta mancanza di dialogo, come è già stato richiamato dai colleghi che mi hanno preceduto e che ringrazio per aver toccato tutti incredibilmente questo punto, evidentemente più sentito da parte di chi rappresenta le forze di polizia che da chi, invece, rappresenta il popolo.
Una manifestazione si sviluppa e si organizza perché c'è qualcosa su cui si vuole porre l'accento e protestare: può essere un posto di lavoro, la scuola, qualsiasi argomentazione. Io ricordo esattamente le circostanze di un anno fa, a seguito degli incidenti qui a Roma, in cui eravamo con 102 feriti a terra: in quel momento le telecamere si sono accese a favore. Purtroppo, si spostano, e quindi di colpo possiamo diventare carnefici o vittime, da elogiare o da condannare. Due giorni fa dovevamo essere noi i torturatori, come avessimo organizzato noi la manifestazione. Ebbene, l'anno scorso i rappresentanti del popolo italiano hanno dichiarato che chi manifesta non merita di essere cittadino italiano, che dovrebbero essere «presi a calci in culo». Queste erano le parole di un ministro della Repubblica, non dell'ultimo uomo della strada.
Solo un partito ha tentato un dialogo, il Partito Democratico, e ha coinvolto e convocato i sindacati di polizia a dialogare con i manifestanti, cioè gli studenti, dopo che avevamo avuto 102 feriti, e i sindacati di polizia hanno accettato questo invito. Due giorni dopo il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha convocato una delegazione per ascoltare le problematiche dei ragazzi che volevano esprimere il loro disagio.
Non sta a me giudicare la validità delle ragioni per cui si organizzano le manifestazioni, ma credo con tutta la forza possibile di cittadino italiano e rappresentante di una parte delle forze della Polizia di Stato di poter asserire assolutamente che qui la politica e i partiti, o quasi tutti - comunque, certo non si può fare di tutta l'erba un fascio - hanno fallito totalmente il primo punto della loro missione, che è quella di dialogare, ascoltare il disagio.
Se non si ascolta, diventa tutto un problema di ordine pubblico, ci si trova davanti un'esasperazione - arriviamo al nocciolo della questione - e ai «panettoni», che saremmo noi, cioè le forze di polizia, sono dati due strumenti: la pistola col colpo in canna o le mani nude. Lasciamo perdere i lacrimogeni, che sono sciocchezze. Due strumenti abbiamo per difendere la legittimità, le istituzioni, chi le rappresenta, soprattutto chi deve avere il diritto di manifestare la propria rabbia, certamente rimanendo nell'ambito della legalità e della legittimità delle azioni che devono porre in essere e il rispetto della legge.
Noi abbiamo una pistola, che non usiamo e voglia Dio che mai dobbiamo usarla e non è giusto farlo, e le mani. Si predispone un esercito piccolo o grande non per dei manifestanti, ma per una fetta di esagitati di professione militarmente organizzati, che fanno gli addestramenti. Non si vorrà certo pensare che si trovino gli scudi per strada, casualmente, e si raccolgano come un sampietrino?
Li preparano, si addestrano in strutture che conosciamo, ma su cui, paradossalmente, le leggi attualmente in vigore, ma soprattutto la res publica, il sentire comune, non ci consente di intervenire: i centri sociali. Se ci si permettesse un giorno di entrare solo per una verifica, saremmo additati alla pubblica gogna per una settimana, come è avvenuto per lo pseudo lancio dei lacrimogeni dal Ministero della giustizia.
Non si è fatta una valutazione attenta, ma in realtà non si è fatto un minimo di valutazione e si è immediatamente scagliato contro di noi un sistema assolutamente riprovevole concatenato di organi di informazione, partiti interi. Gli attacchi alle forze di polizia non sono stati che un


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sistema per raccattare voti e questo è inammissibile perché è sotto gli occhi di tutti che si rischia di mettere a repentaglio l'incolumità personale e fisica di coloro che manifestano in quanto aizzati per trovare riscontro nell'ambito di un consenso popolare elettorale. È vergognoso per chi dovrebbe rappresentare il popolo inteso in senso lato.
Certo, chi non siede in Parlamento magari si sente anche meno responsabile, ma ritengo che chiunque - anche noi, che nel nostro piccolo rappresentiamo il nostro settore - dovrebbe stare bene attento alle parole che usa. A mano a mano che si sale nella rappresentatività, credo che usare espressioni - mi spiace ripetere, ma ribadisco che si tratta di termini adoperati da ministri della Repubblica - ingiuriose nei confronti di persone che manifestano sia quanto di più deleterio possa accadere e che scateni quanta più rabbia immaginabile, che poi si manifesta nei confronti di chi, come noi, sta davanti a loro.
È comprensibile, quindi, che noi ci indigniamo nel momento in cui il problema dei problemi è diventato il «numeretto» da marchiare come fossimo delle mucche. Ci indigniamo del fatto che da sei anni chiediamo uno spray antiaggressione e ancora non ci viene consegnato lo strumento più banale che ci consentirebbe di allontanare non solo il facinoroso, ma anche, purtroppo, come ci capita nella nostra professione, gi ubriachi, i malati di mente, in quel momento instabili mentalmente, pericolosi, con una pistola, con un coltello in mano o con qualsiasi strumento atto a offendere. Non ci viene consegnato perché da sei anni stanno valutando gli effetti nocivi del capsicum. Peccato che dal 9 gennaio 2012 sia in libera vendita per chiunque e chiunque possa portarlo. Lo usano addirittura nelle manifestazioni contro di noi.
È un paradosso, un'illogicità che porta noi a commettere illegittimità. In questa sede, sono io a denunciarlo: chiunque o quanti abbia a cuore la nostra professione, purtroppo, si sta attrezzando, da anni sicuramente per tante cose, dai giubbetti proiettile ai parastinchi, che compriamo noi, alle tute e quant'altro, e adesso compreremo anche gli spray. È illegittimo? Come si diceva una volta, meglio un brutto processo che un bel funerale.
Questo, però, non dovrebbe essere rappresentato da un rappresentante sindacale - si scusi il bisticcio di parole - ma dal rappresentante del popolo che sta mancando in due occasioni: nell'ascoltare chi manifesta e nell'ascoltare chi difende le istituzioni democratiche. È una miscela pericolosissima, con sopra la ciliegina della ricerca del numeretto per sviare l'attenzione, mentre il nocciolo della questione è tutt'altro ed è una disattenzione totale, colpevole e riprovevole dei rappresentati del popolo che oggi non fanno il loro lavoro per il settore di cui sto parlando.

VINCENZO CHIANESE, Rappresentante della Federazione UIL Polizia-ANIP-ITALIA SICURA. Siamo in un momento piuttosto delicato - non serve che siamo a noi a dirlo - per la vita sociale del Paese, in cui si sono imposte scelte epocali al Governo della Repubblica che non sono state, a nostro modo di vedere, assunte con tutta la necessaria ricerca del consenso delle parti sociali, giungendo così a determinare una situazione di conflittualità all'interno delle categorie dei lavoratori, che ogni giorno sempre più perdono il lavoro, ma anche degli imprenditori, che ogni giorno sono costretti a chiudere a causa di una crisi non tanto economica quanto finanziaria. Il fenomeno non può non determinare un'impennata del malcontento, del disagio sociale ed economico.
Accanto alla legittima protesta, ai fenomeni spontanei di ribellione, ci sono sempre, come è a tutti noto, coloro che sono pronti a strumentalizzare questi fenomeni. La strumentalizzazione andrebbe molto più consapevolmente individuata e condannata e, probabilmente, è proprio dalle istituzioni che dovrebbe arrivare una maggiore consapevolezza della necessità di evitare che ciò che è lasciato, nelle piazze, al contrasto delle forze dell'ordine dovrebbe, invece, essere affrontato in altre sedi e con altri strumenti.


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Pertanto, la sensazione è dell'impunità di persone che si organizzano militarmente per determinare deliberatamente situazioni di turbativa dell'ordine pubblico con rischi gravissimi per l'incolumità dei poliziotti. A fronte di ciò non si riceve la sensazione di tutela dei diretti protagonisti, cioè coloro che sono costretti - posso usare parole di autorevoli esponenti - a sobbarcarsi problematiche non di polizia, ma sociali.
La sensazione di non aver ricevuto l'attenzione necessaria, la difesa necessaria, è in tutti noi presenti. Qualcuno lo manifesta in un modo, altri in un altro. I poliziotti subiscono essi stessi la crisi, ma sono visti da taluni come protervi difensori di un sistema di cui, invece, sono essi stessi vittime. I nostri figli frequentano le scuole raggiunte dai tagli che colpiscono gli insegnanti e tutto l'apparato dell'istruzione. Nessuno, dunque, come poliziotti, carabinieri, finanzieri, forestali, tutti gli addetti alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, avverte sulla propria pelle la crisi e può sentirsi idealmente in sintonia con coloro che manifestano in piazza pacificamente. Siamo visti, invece, come gli aggressori di queste persone.
Come qualcuno ha già sottolineato prima di me, sembra che tutto il problema si riduca alla ricerca del poliziotto, del carabiniere, del finanziere che può aver perso la testa e sbagliato in quel momento. La sensazione che passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa è proprio questa; quindi questo non è il momento per far passare un segnale del genere di marcarci in modo che possiamo essere individuati. Individuiamo comunque quelli che dobbiamo, come abbiamo sempre fatto e faremo sempre, se il problema è quello.
Se il problema, invece, è cercare di sviare l'attenzione della gente per far sì che si pensi che il problema è la polizia, mentre la polizia non è altro che l'argine rispetto al debordare di altri problemi, non possiamo accettarlo.

NICOLA TANZI, Rappresentante del SAP. Ringrazio per la possibilità di quest'audizione. Ho consegnato un documento. Devo obbligatoriamente perdere pochi istanti per ricordare la legge n. 121 del 1981 e chi è l'autorità nazionale in Italia di pubblica sicurezza e chi è l'autorità provinciale e locale di pubblica sicurezza perché ho la sensazione che su questo ci sia un po' di confusione.
Indipendentemente dalla storia di ognuno, la responsabilità di tutto quello che succede nelle piazze grava sulla pubblica sicurezza, sulla Polizia di Stato e sui suoi rappresentanti, talvolta anche sbagliando, come è successo. Qualcheduno, infatti, ha fatto riferimento ai lacrimogeni, ma si addita per delle responsabilità senza sapere né da dove sono partiti né chi li ha sparati e questo, per quanto ci riguarda, è gravissimo.
Chi mi ha preceduto ha parlato di fenomeni sociologici che conosciamo tutti: i centri sociali, gli anarchici insurrezionalisti, l'ala NO TAV violenta e così via. Anche il nostro sindacato si è organizzato e ci siamo costituiti come parte civile nel processo NO TAV, aiutando i colleghi perché lo Stato è carente in questo settore.
Anche noi pensiamo al dialogo, pensiamo che in questa situazione il Parlamento non può trascurarlo. Siamo carenti, siamo in asfissia di risorse, di uomini e di mezzi, come è stato già evidenziato, combattiamo una guerra impari con chi si infiltra nelle manifestazioni perché vuole delinquere, non per il diritto costituzionalmente garantito di manifestare.
Diversamente, però, da chi mi ha preceduto, devo ricordare comunque che non sono trascurabili alcuni aspetti. Rappresento il secondo più grande sindacato autonomo in Italia della Polizia di Stato e ho voluto improntare la mia relazione diversamente, partendo dalla parte finale del programma dell'indagine conoscitiva della Commissione, dove si parla di misure da adottare per prevenire e contrastare il fenomeno in questione.
I recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta insorti nell'ambito delle ultime manifestazioni pubbliche rendono necessario procedere alla creazione, da una parte, di strumenti normativi nuovi e, dall'altra, alla rivisitazione


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di quelli esistenti al fine di prevenire e reprimere ogni qualsivoglia azione violenta nei confronti delle forze dell'ordine, delle istituzioni, dei dimostranti pacifici e dei cittadini.
La necessità di apprestare gli strumenti giuridici necessari per neutralizzare l'azione di soggetti facinorosi che si annidano nelle manifestazioni pubbliche di carattere pacifico deve conseguire l'ulteriore primario obiettivo di salvaguardare il diritto costituzionale di riunirsi e di manifestare liberamente e pacificamente e di tutelare la dignità e l'incolumità dei dimostranti pacifici, dei cittadini che assistono alle manifestazioni pubbliche autorizzate, oltre che la tutela dei beni pubblici coinvolti nell'evento.
Al fine di indicare le possibili misure di repressione, prevenzione e contrasto dei fenomeni di protesta organizzate in forma violenta, quest'organizzazione sindacale segnala la necessità di innovare e rafforzare la vigente legislazione con gli strumenti giuridici appresso indicati: la creazione di una fattispecie delittuosa di natura associativa, onde poter reprimere in nuce il pericolo di consumazione di gravi delitti a danno della collettività e delle istituzioni.
L'efficacia dimostrata dalle vigenti norme del codice penale e da quelle contenute nella legislazione speciale per la lotta a fenomeni delittuosi di tipo associativo portano, infatti, a ritenere quanto mai utile oggi la creazione di una fattispecie delittuosa di associazione con la finalità di compromettere e pregiudicare l'ordine pubblico, l'incolumità e la sicurezza dei cittadini onde paralizzare l'azione di quei gruppi organizzati, il cui solo fine è di creare disordine.
La previsione, inoltre, di uno specifico reato associativo in relazione ai fenomeni di piazza consentirebbe alle forze di polizia di potere operare in modo più efficace tanto nella fase di repressione quanto in quella di prevenzione. Difatti, nel nostro ordinamento giuridico non si rinvengono oggi strumenti per prevenire la commissione dei singoli reati, come lesioni personali, danneggiamento e così via, consumati nel corso di manifestazioni pubbliche, che non rappresentano altro che la realizzazione di un disegno criminoso a monte.
La nuova fattispecie delittuosa di natura associativa offrirebbe, inoltre, un'indubbia utilità anche sotto il profilo preventivo potendosi ipotizzare, nei confronti dei condannati o anche denunciati per tale delitto, la diretta applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali di cui al nuovo codice antimafia. Mi riferisco al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dove si parla di avviso orale, fogli di via obbligatori e così via. È, necessaria, ancora, la rimodulazione delle fattispecie di reato indicate di seguito e con conseguente aggravamento quantitativo e qualitativo della sanzione correlata.
Attualmente l'articolo 5 della legge n. 152 del 1975, la cosiddetta legge Reale, prevede il divieto di uso di caschi protettivi o di mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico, e, in caso di violazione, la sanzione dell'arresto da 1 a 2 anni e l'ammenda da 1.000 a 2.000 euro. La fattispecie in esame consente l'arresto in flagranza facoltativo. Detta disposizione andrebbe raccordata con le disposizioni del vigente codice di procedura penale, che invece prevedono l'arresto facoltativo in flagranza solo per i delitti, previsti dall'articolo 230 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale e dall'articolo 381 del codice di procedura penale. Occorrerebbe che la fattispecie in esame fosse considerata delitto e sanzionata con la pena della reclusione.
Inoltre, sarebbe opportuno prevedere un'aggravante specifica e conseguente aumento di pena nell'ipotesi in cui il travisamento avvenga nel corso di manifestazione pubblica. Stesso discorso valga per il reato relativo al possesso di oggetti atti a offendere, previsto dall'articolo 4 della legge n. 110 del 1975, sanzionato oggi con l'arresto e l'ammenda; introdurre aggravanti specifiche, come prevedere lo specifico aggravio di pena nell'ipotesi in cui la violenza sia perpetrata o minacciata ai danni dei partecipanti alla manifestazione


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o dei cittadini che vi assistono, nell'ipotesi di lesione personale cagionata a pubblico ufficiale in servizio d'ordine pubblico in occasione di manifestazioni pubbliche, nelle ipotesi di danneggiamento connesse o commesse in occasione delle manifestazioni pubbliche, ovvero per impedire o interrompere lo svolgimento delle stesse.
Sotto il profilo procedurale, sarebbe auspicabile la previsione per la fattispecie di reato consumato in occasione di manifestazioni pubbliche della possibilità di accedere sempre al giudizio direttissimo nonché la possibilità di considerare comunque sussistente lo stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale, e quindi di ricorrere all'arresto differito nei confronti dell'autore dei reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazione pubblica, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto in flagranza ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale.
Quando, nell'ipotesi in cui non è possibile procedere immediatamente, per ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica e sulla base di documentazione videofotografica, emergono inevitabilmente il fatto e l'autore, dopo la visione bisognerebbe andare anche oltre i limiti temporali attualmente previsti per detta misura precautelare perché colui che si travisa sicuramente scompare dalla circolazione per qualche giorno e rende inutile il provvedimento.
Sarebbe necessario, inoltre, apprestare adeguate funzionali garanzie a tutela degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza impiegati in servizio d'ordine pubblico nelle manifestazioni pubbliche autorizzate attraverso il richiamo integrale alle disposizione previste dagli articoli 27 e seguenti della legge Reale che rimandano al procuratore generale presso la corte d'appello il vaglio preventivo delle notizie di reato a carico degli operatori in servizio di ordine pubblico.
Signor presidente, con la vecchia legislatura avevamo raccolto 50.000 firme, le avevamo consegnate al Senato sotto la voce «garanzie funzionali per gli operatori delle forze di polizia». Nel nostro settore, un'iscrizione al registro degli indagati comporta un danno enorme, a differenza che per il resto del pubblico impiego. Significa blocco economico, della carriera e essere sottoposto a una gogna mediatica, per cui è opportuno che una figura super partes vagli tale iscrizione. Naturalmente, chi ha sbagliato deve pagare.
Non vi è dubbio che l'introduzione degli strumenti giuridici repressivi testé indicati consentirebbe anche una più efficace applicazione delle vigenti misure di prevenzione nonché la possibilità di prevedere, a carico dei facinorosi, nuove e ulteriori misure preventive inibitorie ritagliate sul modello del vigente Daspo, secondo lo schema allegato.
Sappiamo che il Daspo contiene dei princìpi di illegittimità costituzionale: abbiamo provveduto ed è allegata alla nostra relazione una modifica del Daspo nel tentativo di rispettare i princìpi costituzionali, ma offrendo all'autorità locale di pubblica sicurezza il potere di inibire la presenza nelle manifestazioni specifiche di certi soggetti con la ferma convinzione che i suggerimenti esternati costituiranno oggetto di attenta e ponderata considerazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BARBARA POLLASTRINI

ENZO MARCO LETIZIA, Rappresentante dell'Associazione Nazionale Funzionari di Polizia e del SIAP. A questa Commissione va il mio ringraziamento come segretario nazionale dell'Associazione nazionale funzionari di polizia per quest'opportunità, ma porto i ringraziamenti anche di Giuseppe Tiani, segretario del Sindacato italiano appartenenti Polizia, il SIAP, che oggi non è potuto intervenire. Sono, dunque, portavoce di entrambe le associazioni.
Per andare direttamente al cuore del problema che riguarda la vostra indagine, occorre sottolineare che le sempre più frequenti degenerazioni delle manifestazioni di protesta in atti violenti sono oramai sotto gli occhi di tutti. Sempre più


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spesso si verificano fenomeni di guerriglia urbana e il rapporto di forza tra i cosiddetti antagonisti violenti e le forze dell'ordine sta mutando decisamente a sfavore delle forze di polizia.
La valenza del confronto oramai sempre più frequentemente tende ad attestarsi sul rapporto di uno a uno, vale a dire che dieci operatori di polizia possono far fronte solo a dieci manifestanti, che si approcciano o cercano lo scontro con le forze di polizia, equipaggiati con protezioni al corpo e al capo a mezzo di caschi da motociclista, maschere antigas, armati con bastoni, spranghe, bombe molotov, fionde, fumogeni, grossi petardi, bombe carta arricchite con schegge metalliche e tondini.
La situazione è, quindi, critica. Dobbiamo prenderne coscienza. Tutti i reparti delle forze dell'ordine sono al limite della loro operatività. Non possono fare più di quanto fanno oggi all'interno delle piazze.
Abbiamo assistito a una buona formazione da parte del personale impiegato nelle manifestazioni di ordine pubblico. Questa formazione è entrata in profondità nella cultura dei poliziotti, dei carabinieri e della Guardia di finanza, le tre forze che intervengono. Delle immagini che tutti abbiamo visto stigmatizzare da parte degli organi di stampa e della televisione sul poliziotto che ha sbagliato inferendo una manganellata al manifestante a terra, nessuno ha evidenziato la fase successiva in cui i colleghi alzavano il manganello nei confronti del proprio collega e lo tenevano fermo.
Questa è una dimostrazione di come la cultura sia entrata in profondità tra i poliziotti, che sanno, che conoscono bene gli errori. Questo è un punto che ho visto nessuno ha evidenziato. Anni fa era impensabile che assistessimo a scene del genere. Chi ha sbagliato è stato identificato subito e questo va detto con chiarezza.
Ritornando alla questione dei mezzi e degli strumenti a nostra disposizione, dobbiamo ammettere che non siamo più in condizione di andare oltre perché il numero degli operatori feriti è sempre più crescente, come il danneggiamento dei mezzi in dotazione e le ritirate strategiche da parte dei nostri reparti impiegati.
Vi invito ad acquisire ai vostri atti le immagini che sono state registrate da TeleRoma 56, una emittente locale di Roma, in occasione della manifestazione del 14 dicembre 2010, dove si vede chiaramente che tutti i nostri reparti, che dovevano entrare in piazza del Popolo, hanno avuto per quasi mezz'ora grosse difficoltà. Erano, infatti, respinti dalla forza d'urto e si vedono chiaramente in quelle immagini indietreggiare Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza. Non potevano resistere a quella forza d'urto con l'equipaggiamento e gli strumenti di difesa attualmente in dotazione.
La stessa cosa è capitata il 15 ottobre 2011: a piazza San Giovanni, con gli stessi mezzi, nonostante l'utilizzo degli idranti, non si riusciva minimamente a respingere l'attacco dei manifestanti, che solo quando hanno incendiato l'automezzo dei Carabinieri, erto a vessillo o a simbolo di una conquista, hanno interrotto le ostilità. Questo è il punto.
Queste manifestazioni dimostrano con grande chiarezza che il nostro equipaggiamento e i mezzi di difesa sono assolutamente inidonei a far fronte a un reale attacco. I nostri sono impropriamente definiti mezzi di reparti antisommossa, ma se ci fosse realmente una sommossa, signor presidente, credo che non saremmo in grado di resistere. Questo è il punto fondamentale. I nostri mezzi e il nostro equipaggiamento sono assolutamente inadeguati perché tutto è basato, come è stato sottolineato da chi mi ha preceduto, sull'uso del manganello e sulla resistenza allo scontro fisico a fronte dell'utilizzo di spranghe, bastoni e quanto di più possa offendere il personale.
Arriviamo alla domanda che prima ci rivolgeva il presidente. Le condizioni di pericolo e la consapevolezza di non poter controllare gli eventi connessa alla scarsità dei mezzi e delle forze impiegate nelle manifestazioni sono fattori stressanti che negli scontri e nelle azioni di dispersione della folla violenta possono generare, in


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alcuni operatori delle forze dell'ordine, comportamenti che oltrepassano i confini dell'etica professionale rispetto alla funzione istituzionale per reazione alle violenze subite.
Gli studi condotti sullo stress da ordine pubblico concludono che quanto meno un evento è controllabile, tanto più sarà vissuto come stressante nelle reazioni emotivo-comportamentali. I professionisti del disordine conoscono bene questo meccanismo psicologico e, infatti, le loro provocazioni sono tese a indurre negli operatori comportamenti errati per filmarli e strumentalizzarli nei social network, ponendo in essere un'evidente manipolazione anche dei media con il chiaro fine di cercare sia il consenso alle proprie tesi e azioni che nuovi soggetti disposti a esercitare la violenza nelle manifestazioni.
Il modo per prevenire i comportamenti errati di alcuni agenti non può, certamente, essere il codice identificativo; vanno create, invece, le condizioni attraverso strumenti tecnologici e normativi in cui l'agente impiegato in ordine pubblico si senta tutelato in un contesto di legalità e non di scontro fisico con i violenti.
A tale scopo, servono strumenti idonei di difesa che evitino il più possibile il contatto fisico tra forze dell'ordine e i violenti, supportati da una tecnologia che consenta di filmare gli eventi e identificare i responsabili delle violenze. Servono, inoltre, norme che consentano l'arresto differito dei teppisti e, eventualmente, il divieto limitato nel tempo di partecipare a manifestazioni pubbliche per tutti coloro che hanno commesso gravi e reiterate violenze durante manifestazioni pubbliche nonché norme, nell'ottica del contrasto, che favoriscano la collaborazione degli organizzatori dei promotori delle manifestazioni alla sicurezza per le stesse manifestazioni con servizi d'ordine propri. In un certo senso, dovremmo mutuare la figura dello steward oggi adottato negli stadi anche per le manifestazioni pubbliche.
Tutti noi conosciamo bene il servizio d'ordine della CGIL, come quello della CISL, della UIL, della FIOM: bastano pochissimi uomini per gestire quelle manifestazioni e, di solito, non succede nulla perché il loro servizio d'ordine funziona. Dobbiamo trovare un sistema affinché nelle manifestazioni il promotore si assuma non tanto la responsabilità, ma insieme a noi parte della garanzia della sicurezza di quella manifestazione.
Dei mezzi a disposizione si è già detto: la carica di alleggerimento oggi non serve più di fronte a una violenza forte, così come il classico lacrimogeno. Tutti abbiamo dovuto assistere a tre giorni di gogna mediatica per tutte le forze dell'ordine, in particolare per la Polizia di Stato, per i suoi funzionari e per le autorità di pubblica sicurezza, vale a dire il questore di Roma, per quel lacrimogeno praticamente rimbalzato - i fatti lo hanno accertato - su un cornicione in un lancio corretto, alto. Non è più possibile andare avanti in un questo modo.
Registrata questa debolezza, occorre, appunto, dotare di mezzi selettivi che possano colpire direttamente i violenti, con l'utilizzo, ad esempio, di proiettili di gomma, utilizzati dagli altri reparti antisommossa in Spagna, in Francia, nella stessa Inghilterra e anche oltre oceano.
Signor presidente, non possiamo aspettare, per risolvere questi problemi e mettere distanza tra le forze dell'ordine e i manifestanti, un altro caso Raciti, che in questi giorni non ho sentito ricordare. Raciti è morto in un servizio di ordine pubblico e il suo caso è la dimostrazione concreta che gli strumenti e l'equipaggiamento a disposizione non sono assolutamente idonei. Dobbiamo aspettare un'altra morte per adeguare i nostri mezzi e le nostre normative? Il sacrificio di Raciti è servito proprio ad adeguare la normativa negli stadi e a combattere la violenza e ha visto un sacrificio che, fortunatamente, ha portato anche a un successo. Dobbiamo sacrificare qualcun altro? Non ci è bastato quel sacrificio?
Servono, sicuramente, scudi più resistenti, anche con materiali più leggeri, esattamente del tipo di quello dei caschi utilizzati dai motociclisti. Servono fucili marcatori, utilizzati soprattutto oltre oceano, per prendere il violento che è


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stato marcato con vernice speciale. È molto importante, indubbiamente, l'utilizzo delle microtelecamere per documentare interventi di ordine pubblico o altre azioni particolarmente sensibili e a rischio al fine di evitare riprese parziali o mistificatorie e di predisporre prove inconfutabili per l'autorità giudiziaria. L'ordine pubblico si governa anche attraverso la comunicazione.
Signor presidente, uno dei nostri grandi alleati in piazza San Giovanni, che rese ben chiaro chi fossero in quel momento i cattivi e chi stava difendendo le istituzioni, furono le trasmissioni televisive in diretta, che permisero anche agli stessi manifestanti di capire immediatamente cosa succedeva.
Ricordiamo che per un certo periodo abbiamo assistito al fenomeno per cui nelle manifestazioni, proprio in Val di Susa, i manifestanti e i violenti attaccavano proprio le troupe televisive, che erano testimoni scomodi della loro attività.
Se le troupe televisive hanno scelto nuovamente di attenzionare esclusivamente il comportamento degli agenti di polizia o di uno solo, sulle migliaia di poliziotti impiegati in servizi di ordine pubblico, allora dateci le telecamere perché ci occuperemo noi dell'informazione, quella corretta, vera, che descriva gli eventi.
Al riguardo, va detto che gli studiosi che esaminano il rapporto tra Polizia e giornalisti hanno ben evidenziato che tale rapporto, in tema di criminalità, è di connivenza, essendo gli uni ausiliari degli altri, mentre nelle manifestazioni quegli stessi attori diventano concorrenti. I poliziotti vedono la loro immagine demolita dai media perché i giornalisti ricercano sistematicamente gli errori, il gesto violento, condannando il poliziotto, l'intera struttura e l'autorità a un ruolo non vero di oppressore.
Su questo tema, il Comitato dei ministri del Consiglio europeo nel 2001, con la raccomandazione n. 10, al punto 19, ha previsto espressamente che siano istituiti orientamenti professionali per i contatti con i media da parte delle forze di polizia in quanto, se la richiesta di informazione ha sempre rappresentato per le forze di polizia un aspetto basilare del loro lavoro, una loro corretta gestione riveste, soprattutto oggi, un'importanza fondamentale per tutti.
È, quindi, evidente che la Polizia e le forze dell'ordine vadano aiutate a migliorare le questioni di informazioni in tema di ordine pubblico, terreno sul quale non sono in gioco solo le libertà personali, ma anche i diritti di partecipazione politica, ossia l'essenza stessa del sistema democratico. Dotare la Polizia di strumenti tecnologici permetterebbe di mostrare all'opinione pubblica la verità su certi eventi e sarebbe il miglior contributo per l'ordine pubblico del futuro.

CLAUDIO GIARDULLO, Rappresentante del SILP per la CGIL. Nei cinque minuti che ci sono stati assegnati farò qualche brevissima considerazione su quattro temi che penso possano essere interessanti dal punto di vista dei quesiti che ci sono stati posti. I quattro temi sono: il modello di ordine pubblico, l'arresto differito, il Daspo nelle manifestazioni politiche e nelle manifestazioni in genere e i codici identificativi.
Sul modello di ordine pubblico, pensiamo che si possano realizzare gli obiettivi che qualunque tipo di servizio di ordine pubblico ha istituzionalmente: garantire la legalità e i diritti delle persone, sia di chi intende manifestare pacificamente - un diritto costituzionalmente garantito - sia di chi non vuole partecipare né subire conseguenze negative dalla manifestazione; tutelare le istituzioni e le sedi in cui sono rappresentate e svolgono la propria attività.
Giudichiamo che l'insieme dei numerosi obiettivi di un servizio di ordine pubblico si possano realizzare anche non attraverso una legislazione di carattere speciale eccezionale. Riteniamo, infatti, che con la legislazione esistente questi obiettivi possano essere raggiunti, soprattutto attraverso due tipi di scelte, la prima delle quali riguarda le risorse. Non è indifferente, infatti, per qualunque servizio di


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ordine pubblico una proporzione corretta rispetto alle condizioni di rischio, al momento politiche.
In relazione alle risorse, negli ultimi anni non possiamo che lamentare una progressiva riduzione delle risorse delle forze di polizia. Non mi dilungo perché sono noti i tagli effettuati, in particolare dal Governo precedente e poi anche da questo, quindi non in discontinuità con quello precedente, rispetto ai corpi di polizia.
Il secondo fattore determinante è quello del modello vero e proprio. Noi pensiamo che, tra i principali obiettivi dei servizi di ordine pubblico, la prevenzione sia il fattore vincente e che qualunque Governo debba avere chiara questa idea che può essere realizzata, per esempio, col dialogo tra le forze di polizia e gli organizzatori di manifestazioni pacifiche. Proprio attraverso il dialogo sarà possibile raggiungere certi risultati.
La terza questione, tutt'altro di secondaria importanza, è quella della formazione. La formazione è lo strumento, la risorsa strategica attraverso cui, in un modello di prevenzione, questi obiettivi del servizio di ordine pubblico possano essere raggiunti. La formazione, però, è esattamente la prima voce che in questi anni è stata tagliata, appunto a seguito dei tagli complessivi alle risorse alle forze di polizia. Credo che queste siano le direttrici fondamentali per raggiungere gli obiettivi che qualunque Governo dovrebbe porsi nella garanzia dell'esercizio di un diritto costituzionale e la legalità nel territorio.
Sugli altri argomenti, partendo dall'arresto differito, come dicevo all'inizio, riteniamo che già a legislazione esistente si possano raggiungere quegli obiettivi. Sull'arresto differito, non posso nascondere qualche perplessità di carattere costituzionale. La flagranza differita è un istituto in deroga, prevista soltanto, come sappiamo, per le violenze attuate nell'occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Credo - non ho la pretesa di essere all'altezza di un ragionamento di tipo giuridico - che il bene tutelato non sia, da questo punto di vista, secondario e che esista la compressione di un diritto. Ho la sensazione che nel nostro Paese il Parlamento abbia consentito una deviazione rispetto ai princìpi generali. Faccio notare che mi sembrerebbe difficile che quella stessa tutela possa essere estesa anche ad altri campi.
Al di fuori di casi di violenza e persino di gravissimi reati, infatti, non si consente la flagranza differita. Una persona che commette una rapina, e della quale esiste una ripresa video o fotografica, non può essere arrestata al di fuori della flagranza; con l'arresto differito, invece - parlo di arresto, saranno altri gli istituti di procedura penale, anche per reati gravissimi contro la persona - con riferimento alle violenze, da accertare ovviamente caso per caso, in manifestazioni politiche o sindacali abbasserebbe, a mio avviso, l'asticella delle tutele su diritti costituzionalmente garantiti e questo potrebbe segnare un cammino accidentato e pericoloso. Come ribadisco, infatti, la possibilità di risolvere i problemi con la legislazione vigente esiste.
Col Daspo si avrebbe addirittura un istituto che consente il fermo di una persona nella forma aggravata, in particolare, rispetto a quanto previsto per le manifestazioni sportive. Si consentirebbe che una persona resti in un ufficio di polizia nel corso dello svolgimento di una manifestazione politico-sindacale o altro. In questo caso la perplessità si trasforma in una quasi certezza che il diritto di manifestare, di esercitare un diritto garantito, potrebbe essere soffocato e compresso.
Oltretutto, vorrei spendere solo poche parole sull'alone di efficacia, di utilità, nel compiere un passo indietro rispetto alla questione dell'arresto differito: persino in campo sportivo, esso non è considerato dagli operatori così efficace, specie con riferimento ai professionisti della violenza, che sanno perfettamente che nei due giorni successivi alla violenza non devono essere reperibili e, trascorse le 48 ore, l'arresto non si può effettuare.
È già, dunque, poco utile, se non in qualche caso, esattamente quelli che non


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riguardano i professionisti della violenza, ma quelli della violenza occasionale, che sono stati così stupidi da farsi beccare da una videoripresa e rimangono a casa nelle 48 ore successive. I professionisti non rimangono a casa, non si fanno trovare. Credo che a maggior ragione un professionista della violenza politica, se dovesse essere introdotto un istituto di questo tipo, nelle 48 ore successive a quella violenza, non si farebbe trovare da nessuna parte. L'utilità di questo istituto, quindi, è più teorica che pratica.
Quanto ai codici identificativi, non ho alcuna difficoltà ad affermare che siamo assolutamente contrari. Quel codice aumenterebbe in modo esponenziale il rischio professionale di ogni operatore delle forze dell'ordine impegnato in ordine pubblico. Si porrebbero, infatti - ma si sono create, ho un'esperienza personale, che per brevità non racconto - in ordine pubblico condizioni per cui un singolo operatore, dal più giovane al responsabile dell'ordine pubblico, potrebbe essere oggetto di «attenzioni particolari» da parte di chi non vuole manifestare pacificamente, ma ha altri obiettivi.
Pensiamo che per raggiungere l'obiettivo della trasparenza, fondamentale in uno Stato democratico anche da questo punto di vista, non si debbano mettere tutti gli operatori di polizia impegnati sul versante dell'ordine pubblico nelle condizioni di correre un rischio maggiore, che qualche volta potrebbe essere serio, alla propria incolumità personale. Esistono altre strade, la prima delle quali è quella di fare leva sulla capacità delle amministrazioni e dei corpi di sapersi guardare dentro e avere la capacità di individuare quelli - pochi, fortunatamente, secondo le statistiche e anche secondo l'opinione pubblica - che sbagliano e devono essere chiamati a rispondere anche per tutelare i moltissimi che svolgono con scrupolo il proprio lavoro.
Va migliorata la capacità dei corpi e delle amministrazioni di sapersi guardare dentro ed essere più efficaci anche da questo punto di vista, ma mi sembrerebbe ingeneroso e pericoloso che, per non migliorare questa capacità, si debba, invece, esporre la maggior parte degli operatori di questo settore a rischi non strettamente connessi alla loro funzione.

FELICE ROMANO, Rappresentante del SIULP. Ringrazio la presidenza e la Commissione per averci dato l'opportunità di offrire il nostro contributo su una questione molto importante, che io ritengo essenziale, vitale per una democrazia, nel momento in cui si discute di due aspetti fondanti e fondamentali della vita di un Paese democratico: il diritto alla sicurezza e, nello stesso tempo, la tutela della libertà di ogni singolo individuo.
Cercherò di attenermi agli spunti e alle domande che ci sono state inviate rispetto all'esigenza di questa Commissione di audire le rappresentanze sindacali ai fini della stesura del documento finale.
Non vi è dubbio che la composizione sociale e la natura di questi gruppi che chi mi ha preceduto ha opportunamente definito «professionisti del disordine», sono ben identificate e albergano nell'estremismo antagonista o nell'area anarco-insurrezionalista, trasversale, però, poiché l'estremismo antagonista è sia di destra sia di sinistra. Esso ha come comune denominatore la ragione di non riconoscere più nelle istituzioni e nella politica la capacità di offrire le risposte appropriate alle esigenze relative alla rivendicazione e fruizione dei diritti fondamentali di cittadinanza in una democrazia.
Ritengo - lo dico anche per sgombrare il campo da ogni dubbio anche rispetto ad altre questioni che pure qui ho sentito - che la fruizione di un diritto in democrazia non possa mai, e sottolineo mai, passare attraverso la violazione di una regola, di una norma o, peggio ancora, attraverso l'uso della forza e della violenza, a prescindere da chi utilizza questi mezzi per affermare un principio.
Ecco perché oggi come primo sindacato, lo storico sindacato, ancora oggi il più grande e più rappresentativo del comparto sicurezza, ho il dovere di rappresentare a questa Commissione delle fortissime preoccupazioni in ordine alla carenza


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di risorse, strumentali e di equipaggiamento. Ho sentito i colleghi di altre forze di polizia e sono contento per loro del fatto che vivono una condizione molto più favorevole di quella della Polizia di Stato. Siamo, infatti, oggi costretti - lo denuncio davanti a questa Commissione perché so che si farà carico di rappresentarlo al Parlamento - a usare gli scudi di circa 30 anni fa, quelli rettangolari, perché non ci sono i soldi per comprarli e poiché in ogni manifestazione sono stati puntualmente spaccati scudi con i lanci dei sampietrini; questi vecchi sono pericolosi per l'operatore perché non sono dotati di quel meccanismo di sgancio che consente all'operatore aggredito di non farsi spezzare il braccio e lo costringe a lasciarlo, a differenza di quelli di ultima generazione.
Tralascio tutto l'aspetto sui mezzi, che pure è stato affrontato. Signor presidente, voglio sottolineare, in sostanza, che la nostra richiesta oggi non è una rincorsa ad armarci di più. Non sarà chi mostra più scudi, più manganelli o più possibilità di scontro fisico con le controparti che avrà ragione in questo contesto.
La nostra preoccupazione rispetto a queste aree identificate come dell'estremismo antagonista e anarco-insurrezionalista è che oggi quelle file si stanno ingrossando velocemente di altri soggetti estranei a quelle culture, ma che vedono in quel modus di operare lo strumento per reagire alle difficoltà presenti al momento: per ragioni diverse nel mondo del lavoro, per la perdita dei posti di lavoro, oppure per la grave crisi economica, per la difficoltà di arrivare a fine mese, oppure per quanto sta accadendo nella scuola.
Chi parla fa parte di quei genitori che hanno dovuto procedere a una colletta per far accendere i termosifoni nelle scuole spenti a causa dei tagli. Io capisco i giovani che protestano in piazza perché non vedono in quella scuola lo strumento di emancipazione e di preparazione alle sfide che la vita metterà loro di fronte. Ecco perché invocano lo Stato, che oggi invece si presenta estremamente debole per l'aggressione costante e, per certi versi, anche sovversiva alla politica, perché in realtà è quella che occupa e dà vita alle istituzioni.
Dico con grande senso di responsabilità, benché sia stato ricordato, ma forse non sottolineato abbastanza, che questi professionisti del disordine, dai quali nelle ultime occasioni abbiamo visto addirittura mettere in atto tecniche militari che richiedono mesi di addestramento, come la testuggine, sono sempre gli stessi: quelli che compaiono in Val di Susa, a Roma, a Reggio Calabria, in tutte le parti del Paese e anche oltre i confini, compreso per ultimo Lione.
Questo significa, in sostanza, che qualcuno in una qualche maniera finanzia quest'attività. Ecco perché siamo molto preoccupati, signor presidente, giacché per le oggettive condizioni di mancanza di forte credibilità delle agenzie di rappresentanza - istituzioni, politica, sindacati e altro - oggi con la grave crisi queste fasce, note e dedite da tempo alla violenza, possano ingrossarsi con altri cittadini che, pur non condividendo quelle ideologie, intravedono però nel metodo che quelle frange violente portano avanti uno degli strumenti per affermare il loro diritto a farsi sentire da un Paese che oggi ha difficoltà ad ascoltarli.
Il problema del numero identificativo sul casco non va affrontato in termini di essere favorevoli o contrari, non è solo questione di esporre i poliziotti. Non siamo contrari solo perché espone il collega a ritorsioni, come già avviene adesso. Qualche buontempone della mia organizzazione ha fatto notare che è come se chiedessimo un numero identificativo per le auto di scorta con cui accompagniamo le persone sottoposte a tutela; chi ce l'ha con quelle persone, conosciuto il numero, saprebbe perfettamente che su quel numero viaggia il presidente Tizio, con l'altro l'onorevole Caio e così via.
Questa discussione è inverosimile. Oltretutto, emerge - è questa l'amarezza che oggi ho il dovere di rappresentare a questa Commissione - che chi propone queste misure ha fatto saltare il patto di fiducia


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in base al quale i servitori dello Stato agiscono in nome e per conto delle istituzioni. Questo è il vero problema.
Dobbiamo fidarci delle articolazioni di questo Stato, premettendo che chi sbaglia va censurato e deve pagare. Non sono qui per rivendicare giustificazioni. Potrei dirvi che i poliziotti lavorano 18-20 ore in ordine pubblico, dalle quattro del mattino a mezzanotte, senza mangiare, con tutti gli attacchi che sono stati già rappresentati. Voglio parlare, invece, del rapporto di fiducia verso le istituzioni e di chi ha dato la propria vita al servizio dell'interesse del Paese. Di questo stiamo parlando. Il problema non è il numero identificativo.
Concludo, signor presidente, perché ho consegnato anche una nota scritta. Concordiamo sull'intervento dell'arresto differito per un motivo semplicissimo e fornisco alcuni dati. Prima del sacrificio del collega Raciti - il fenomeno parte da lontano - la violenza si sfogava negli ultimi dieci anni all'interno degli stadi. Questo Paese riteneva che, trattandosi di arene chiuse, con i gladiatori, i tifosi violenti, e i punching ball - gli appartenenti alle forze di polizia - che consentivano un equilibrio con lo sfogo sociale rispetto a chi, «molto ben pagato», 1.000 euro al mese, si faceva aggredire, tutto fosse normale, fino al sacrificio del collega Raciti.
In seguito, il Parlamento ha varato, certo per una condizione straordinaria, ma nella legittimità costituzionale, l'intervento dell'arresto differito e vengo ai dati: nel 2010, nelle manifestazioni sportive in Italia abbiamo avuto circa 190 feriti, tra i tifosi 62; nel 2011, 63 appartenenti alle forze dell'ordine feriti, 77 tra i tifosi; nel 2012, al 15 novembre, 26 appartenenti alle forze dell'ordine, 35 tra i tifosi. Il trend è in netto calo e questo significa che quello strumento normativo, non chi spara di più, ha avuto il suo affetto.
Quanto ai dati delle manifestazioni politico-sindacali e quelle di piazza: 2010, 283 feriti per le forze di polizia, 95 tra i manifestanti; 2011, 711 tra le forze dell'ordine, 122 tra i manifestanti. Il 2012 non è che l'assaggio di quello che avverrà nel 2013, essendo, oltretutto, venuto meno il luogo, la camera di compensazione del dialogo, della prevenzione, della gestione dei conflitti sociali che tutti invochiamo e sui quali il nostro modello della sicurezza è stato costruito.
Abbiamo costituito una scuola ad hoc dell'ordine pubblico in cui i poliziotti vanno a scuola, quando possono. Purtroppo, per mancanza di fondi, solo il 10 per cento ha potuto partecipare a questi corsi di aggiornamento, con psicologi, sociologi, dove ci confrontiamo con tutta la società civile. Il nostro vero obiettivo è evitare la guerra. Nel momento in cui avviene lo scontro, abbiamo già perso. Possiamo valutare in che termini, ma abbiamo già perso.
Tornando alle cifre, per il 2012 abbiamo 541 feriti tra gli appartenenti alle forze dell'ordine perché mancano le camere di compensazione dei conflitti sociali. Voglio rappresentare a questa Commissione che oggi il Consiglio dei ministri voleva varare - non so se l'abbia già fatto - la cancellazione di ben 40 prefetture, 40 questure, ossia 40 istituzioni deputate al dialogo, alla gestione e alla mediazione dei conflitti sociali prima che questi sfocino in piazza.
Tutto sta avvenendo nel silenzio più assoluto. I sindacati di polizia hanno dovuto tassarsi per acquistare due pagine di giornale per informare il Paese. Diversamente, nessuno dice nulla. Ecco perché siamo favorevoli all'arresto differito, signor presidente: il trend che ho riportato rispetto alle manifestazioni sportive è stato determinato dal fatto che nella folla i tifosi violenti non hanno più trovato l'immunità grazie all'anonimato poiché, attraverso le riprese, nei due giorni successivi siamo riusciti spesso a identificare e arrestare i facinorosi.
Siamo convinti che questo, insieme a un richiamo di responsabilità a tutti gli attori sul campo dell'ordine pubblico, ossia non solo le forze di polizia, ma gli organizzatori e i partecipanti, a un senso di responsabilità più forte e al rispetto delle regole, sia la strada giusta e non certo il codice identificativo. Serve, invece,


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la dotazione, di strumenti da utilizzare in piazza, come gli idranti o gli schiumogeni, finalizzati non ad armarsi di più, ma ad allungare lo spazio tra gli appartenenti alle forze di polizia e i manifestanti. Ribadisco, infatti, che la guerra, una volta che si è verificata, è già persa.

VALTER MAZZETTI, Rappresentante dell'UGL. Mi associo ai ringraziamenti per averci convocato e per ascoltarci su un tema così delicato e pregnante, soprattutto per quanto riguarda gli operatori della sicurezza.
Per rimanere nei cinque minuti che il presidente aveva inizialmente assegnato a ognuno di noi in modo che tutti possano esprimere la propria opinione, mi associo apertamente e vivamente a quanto è stato sinora detto in maniera anche sapiente dai colleghi che mi hanno preceduto. Eviterò, quindi, qualsiasi analisi di natura politico-sociologica sul fenomeno e proporrei più che altro una visione forse un po' più pragmatica.
Innanzitutto, è scontato che il disagio sociale si sfoghi nella piazza e che aumentando il disagio sociale, aumentano i problemi nella piazza. Spesso i poliziotti, gli operatori della sicurezza si trovano a rivestire un ruolo di sfogo sociale. Da una parte, quindi, c'è lo Stato, dall'altra ci sono i manifestanti.
Logicamente, quando si parla di manifestanti, si parla di quella galassia di antagonisti organizzati, strutturati e spesso supportati da uffici legali, come ricordava Romano, e che si ritiene siano anche sovvenzionati perché estremamente organizzati nelle loro iniziative.
I numeri in parte sono stati forniti. Per capire il fenomeno, credo si debba avere un dato: nel 2011, le manifestazioni di spiccato interesse sono state circa 10.500; sono stati 450.000 gli operatori della sicurezza impegnati; a fronte di questo, penso che sia stato molto esiguo il numero degli operatori che possono avere, in qualche modo, abusato. Parlare, quindi, oggi di identificativo - mi riallaccio a uno dei temi dell'indagine - come se fosse la panacea del problema mi sembra veramente bizzarro.
Qui si parla di un'eccessiva sovraesposizione degli operatori. Per capire a chi serve l'identificativo sui caschi - mi rifaccio sempre, quindi, a quel gruppo, a quelle fortunatamente minoritarie frange di delinquenti organizzati e strutturati nelle manifestazioni - basta cliccare su qualsiasi motore di ricerca sull'espressione «caccia allo sbirro». Da diverso tempo si cerca di identificare. Sono chiamati manganellatori, servitori dello Stato. Da anni si cerca di identificare residenze, abitazioni, stili di vita degli operatori della sicurezza più di altri impegnati. Qui sorge un altro problema.
Come dicevo, in maniera estremamente pragmatica, voglio portare un esempio perché si comprenda. Tralasciando per un momento anche quella che potrebbe essere la cattiva fede di chi ha interesse anche a comprimere lo stato psicologico dell'operatore della sicurezza, ma soffermandomi sulla buona fede, prendiamo il caso di quando durante una qualsiasi manifestazione, nel corso della quale dei violenti desiderano assaltare qualche palazzo del potere, questi si vedranno frapposta la forza dell'ordine e si vedranno respinti anche con forza - giustamente, io dico - dagli operatori di polizia; questi signori si sentiranno ingiustamente attaccati, ingiustamente manganellati, ingiustamente respinti.
Chi dovesse ricevere una manganellata e il giorno dopo andare in pronto soccorso, supportati da un referto medico, potrebbero sporgere denuncia contro, ad esempio, l'operatore col numero di casco 113; mediamente, dopo sei mesi di attività di indagine, questo operatore si vedrebbe arrivare un avviso di garanzia: con quale possibilità di difesa?
Si è parlato prima della tutela legale completamente inesistente per quanto riguarda questi settori. Si è detto anche cosa può comportare un eventuale avviso di garanzia, un'eventuale indagine, l'eventuale rinvio a giudizio di un operatore, che si troverebbe quindi sospeso dal servizio


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con 7-800 euro, mezzo stipendio, a doversi rivolgere a un proprio legale di fiducia e a difendersi da un'accusa che in questo caso i giuristi chiamerebbero una sorta di prova diabolica di discolpa. Nel corso di una manifestazione, infatti, avverranno anche fino a dieci cariche - si parlava di alleggerimento - e sarebbe ben difficile riuscire a individuare quella incriminata.
Quando si parla di sovraesposizione, al di là del fatto che si possa addivenire all'identificazione e ad altro, il problema è proprio come si intende esporre l'operatore della sicurezza oggi nel corso di una manifestazione. Come sottolineava Felice Romano, c'è il rischio che sia saltato il patto di fiducia. L'operatore oggi non si sente affatto tutelato dallo Stato, per cui siamo sicuramente favorevoli a che sia individuata - tornando ancora al tema dell'incontro odierno - una figura delittuosa associativa nei reati attinenti all'ordine pubblico, così come saremmo favorevoli, anche al fine di scongiurare i travisamenti e l'utilizzo di caschi nelle manifestazioni, come già da tempo vieta la legge n. 152 del 1975, a inasprire ulteriormente le sanzioni. Diversamente, si rischia di trovarci di fronte a norme in bianco.
L'arresto differito come misura può lenire, ma sicuramente non è la panacea. Il punto, infatti, è riuscire a riconoscere e a individuare questi antagonisti e gruppi violenti. Certamente, se conducono le azioni coi caschi, con le sciarpe, col volto travisato, un arresto dopo 48, 70 ore, una settimana, diventa difficile. Sono tutti fenomeni legati tra loro.
Come si ricorda, c'è una carenza di risorse, di mezzi e di uomini. Il primo intervento di oggi ha in parte elogiato anche, finalmente, l'utilizzo di alcuni equipaggiamenti. Per noi gli equipaggiamenti sono eccessivamente carenti per chi sorveglia le manifestazioni con reparti mobili, precipua attività istituzionale, ma lo sono ancor più per quella gran parte di operatori che, comunque, svolge quotidianamente servizi di ordine pubblico cosiddetti territoriali e che non ha alcun equipaggiamento del genere. Fanno ordine pubblico come si farebbe la volante, la pattuglia appiedata, quindi senza alcun mezzo.
Abbiamo dovuto, quindi, rispolverare gli scudi rettangolari di 30 anni fa, mentre questo materiale andrebbe cambiato costantemente perché, come qualsiasi materiale, questo soprattutto è soggetto a un decadimento. Basta una biglia, un salto per rompere completamente quegli scudi, quel materiale plastico, anche in danno del collega perché può diventare un'arma contro di lui. Sicuramente, dunque, servono risorse, strutture, un equipaggiamento più idoneo.
Infine, la ragione per cui siamo contrari all'identificativo non è che abbiamo qualcosa da nascondere. Siamo nettamente contrari per la sovraesposizione che ci sarebbe al riguardo. Ovviamente, fa più notizia - lo comprendiamo - per la stampa e i mass media criticare l'operato di un singolo operatore, magari ripreso in un frammento con una fotografia mentre sta alzando il manganello anziché parlare delle centinaia di feriti che ci sono quotidianamente ogni anno nelle forze dell'ordine.
Concludo con una nota di colore. Si parlava dell'utilizzo di idranti: quelli a disposizione anche in Val di Susa sono stati rotti e non ci sono i soldi per ripararli, per cui attualmente non ne abbiamo.

PRESIDENTE. Chiederei la cortesia di poter dare la parola per pochissimi minuti all'onorevole Fiano e all'onorevole Tassone, che devono recarsi in Aula.

EMANUELE FIANO. Anzitutto, ringrazio l'onorevole Tassone per essere stato colui che ha richiesto alla I Commissione l'avvio di questa esaustiva panoramica di audizioni nel mondo del comparto sicurezza sul tema delle manifestazioni, delle questioni di ordine pubblico proprio in ragione della celebre manifestazione - qui citata più volte - dell'ottobre dell'anno scorso di piazza San Giovanni. Ringrazio anche molto tutte le rappresentanze sindacali presenti, il COCER dei Carabinieri e della Guardia di finanza.


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Mi rammarico, invece, che, purtroppo, pochi colleghi siano intervenuti, i migliori ovviamente essendo presenti. Credo che abbiamo fatto molto bene e sono contento di aver chiesto ai colleghi della Commissione e alla presidenza di poter svolgere questa audizione. Mi rammarico solo che l'iniziativa non sia stata presa prima.
Questa nostra discussione sulla questione di ordine pubblico è stata sollevata qui da autorevoli rappresentanti e cade nel mezzo di un panorama molto difficile di provvedimenti che ineriscono il campo della sicurezza. Qui si è citato un piano del Governo per decisioni che riguardano la ricollocazione o la chiusura di presìdi di sicurezza, questure e prefetture, in ordine a un provvedimento, che però non è ancora legge, di taglio o di accorpamento delle province.
È in corso di discussione in Parlamento un provvedimento che riguarda l'armonizzazione di trattamenti previdenziali dei comparti sicurezza e difesa del soccorso pubblico. Abbiamo, infatti, proprio in quest'Aula qualche notte fa prodotto finalmente uno sblocco del turnover di assunzioni per i comparti sicurezza e difesa e soccorso pubblico.
Lo ricordo perché, come si è reso evidente da numerosi interventi, le questioni dell'ordine pubblico sono composte da molti fattori. Alcuni di questi riguardano provvedimenti di legge o legislazione vigente, altre le dotazioni materiali, alcune l'insieme delle condizioni materiali di operatività di questi operatori, e quindi anche le condizioni dei provvedimenti di legge che prima ho citato.
In generale, a me pare - mi auguro che il prossimo Parlamento vorrà parlarne - che qui sia stata posta una questione di ordine generale: quale modello di ordine pubblico sia necessario per il Paese a fronte di un dato di cambiamento del modello di violenza politica. Quest'ultimo, come sempre succede nella storia della comunità civili, cambia con l'evolversi del tempo.
In questo Paese, infatti, c'è stata violenza politica negli anni Sessanta, negli anni Settanta, negli Ottanta, nei Novanta, con elementi di continuità, ma con modelli differenti. Qui si è citato a lungo nei vari interventi il modello dell'antagonismo, dell'anarchismo, dei centri sociali. Tali modelli non sono uguali a quelli del terrorismo brigatista o dell'estrema destra conosciuti negli anni passati. Ritengo che in questo campo la riflessione parlamentare sia stata per adesso troppo ridotta, seppure siamo a oltre trent'anni dalla legge fondamentale di riorganizzazione della sicurezza, la n. 121 del 1981.
Il primo punto, quindi, è una questione di modello. Così come abbiamo preso spunto dall'indagine di questa Commissione per cercare di comprendere le ragioni di episodi anche gravi che hanno riguardato manifestazioni nella città di Roma, ci siamo poi soffermati, e questo è stato lo spunto per richiedere quest'audizione, sulla questione dei codici identificativi. È del tutto evidente che non si può partire da quel punto per ragionare sul modello di ordine pubblico.
Inoltre, a me è parso di sentire nei vari interventi - non avevo dubbi in proposito - la consapevolezza dell'elemento fondamentale, sia nelle rappresentanze sindacali sia nei COCER, rappresentato dalla necessità di modelli non violenti, non repressivi, che sia fatta prevalere l'anticipazione dei fenomeni di violenza rispetto alla repressione di piazza e la consapevolezza di gestire le questioni che riguardano la violenza politica salvaguardando la non compressione dei diritti costituzionali, pur nella necessità di imporre una tutela dei beni e delle persone.
È qui il nodo che dobbiamo, a mio avviso, esaminare e che io non credo che esamineremo in questa legislatura. Peraltro, c'è stata nei giorni scorsi un'urgenza che sembrava legata a questo codice identificativo, ma che non è nata in Parlamento, non da rappresentanti parlamentari o dei partiti.
A prescindere da questa ipotetica urgenza, credo che qualche innovazione legislativa - si è parlato, in particolare, dell'arresto differito - sia possibile, ma che sia fondamentale che il Parlamento, assieme a queste rappresentanze ma soprattutto


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la politica affronti, in generale, la questione del modello di ordine pubblico di fronte a nuovi fenomeni di violenza.
Credo che l'audizione di oggi non possa che essere l'inizio di un dialogo. Di fronte ai tanti problemi esistenti e che riguardano, complessivamente, la sfera del modello di sicurezza per il Paese, il Parlamento, le rappresentanze delle forze dell'ordine, l'amministrazione e il Governo non possono essere compartimenti stagni dove ognuno decide secondo le proprie priorità.
Il discorso deve essere corale perché i rappresentanti e gli operatori delle forze dell'ordine non devono sentirsi isolati. D'altra parte le forze politiche hanno il dovere di ascoltare il Paese ogni volta che c'è una percezione, magari sbagliata, che ci sia una compressione dei diritti. Credo che tutti quelli che hanno parlato qui oggi e noi rappresentanti di partiti abbiamo la percezione che il tema della violenza in rapporto alla crisi sociale ed economica del Paese sia in crescita, ma su questi temi l'idea è che siamo salvaguardati, sicuramente, sul fronte della consapevolezza anche da chi in piazza scende per difendere le istituzioni e il diritto a manifestare.

MARIO TASSONE. Si è lavorato intensamente da qualche mese e credo che questo incontro, avvenuto per sollecitazione del collega Fiano, dia il senso di un lavoro significativo.
Siamo partiti in sordina, ma voglio dire anche alle rappresentanze, sia COCER sia sindacali, che da noi sono venuti tutti; sono stati scandagliati problemi e temi - lo dico senza infingimenti, ovviamente senza nessuna venatura polemica - tra quelli che avete portato. Diversamente, saremmo tutti addomesticati, come se ci trovassimo nel circuito trionfalistico in cui ovattare o coprire le realtà. Credo non serva a nessuno.
Credo - se ci sono questi problemi che io conosco in parte o in gran parte, ma certamente in termini minimali rispetto alle vostre cognizioni - che questi aspetti devono essere, nella normale vicenda di un rapporto anche sindacale o di rappresentanza, quanto meno perlustrati. Non c'è dubbio, ad esempio, che il problema dell'equipaggiamento, dei mezzi, che avete sempre evidenziato, come noi alle grandi scadenze parlamentari, vada recuperato pienamente.
Quanto all'identificativo, qualcuno ha detto chiaramente che è frutto della sollecitazione di circoli che conoscete meglio di me e forse sarebbe anche il caso di fare giustizia di certi tentativi. Questo rappresenterebbe anche il tentativo di procedere a un'inversione dell'onere della prova, che guarda caso dovrebbe essere rivolto anche alle forze dell'ordine.
Qualcuno ha, inoltre, rilevato un dato molto importante: noi ci troviamo di fronte a un'applicazione dalla legge n. 121 del 1981. Vorremmo, ad esempio, saperne di più della questione del coordinamento. Nei lavori preparatori della legge n. 121 si è molto discusso su chi avesse responsabilità nella piazza e ci sono state polemiche, qualche distinguo; poi si è trovata la soluzione, non indolore in quel dibattito parlamentare del 1981, del capo dalla Polizia come capo del dipartimento della sicurezza e dell'ordine pubblico.
Vorremmo capire se questo tipo di coordinamento funziona, se esiste questo tipo di integrazione. Il problema vero è questo. Ci siamo trovati in questa manifestazione coi black bloc, questo reparto mobile di «pronto intervento» che si sposta da una parte all'altra, dall'Europa centrale alla Torino-Lione e scende in Sicilia, risale a Roma: è possibile che con le forze dell'ordine, quantitativamente non modeste, non si è potuto ambire a un circuito sul piano della prevenzione per un contrasto o un isolamento reale e ritrovarsi, invece, queste situazioni e a mettere in pericolo ragazzi addetti all'ordine pubblico, che finiscono col subire percosse e tutto il resto che avete denunciato anche in relaziona agli stadi? La domenica mandavamo i ragazzi a prendere i pugni dei tifosi come se fosse un lascito.
Ritengo che su questo si debba impegnare, come sottolineava anche l'onorevole Fiano, il lavoro che sarà affidato alla prossima legislatura. Noi consegneremo


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al Parlamento un lavoro ben fatto e ritengo che la vostra audizione sia anche uno dei momenti più importanti di questo percorso, senza voler lavare la faccia a nessuno.
Bisognerebbe, inoltre, che ognuno di noi si spogliasse anche dalla verve sindacalista. In fondo, le forze dell'ordine sono le istituzioni, è il Paese. Qui molte volte ci confondiamo tra l'antistato e lo Stato.
A mio avviso, i criminali sono, anzitutto, criminali e, come ho cercato di convincere anche i colleghi dell'antimafia, lo Stato deve essere presidiato e, soprattutto, rafforzato giorno per giorno nella misura in cui ognuno di noi, chiamato a svolgere il proprio posto di responsabilità, è convinto di rendere un servizio nei confronti delle istituzioni.
Deve esserci, infatti, anche questo convincimento perché non si può «fregare» il compagno - mi scuso per l'espressione. Debolezze ce ne sono dappertutto, ognuno pensa ai propri affari, mentre serve un trasporto di solidarietà e di maggiore sensibilità. Parliamo, infatti, di sensibilità e di cultura.
Io sono colpito quando sento che gli aggiornamenti si realizzano al 10 per cento, mentre la legge n. 121 del 1981 era tutta aggiornamento, formazione, preparazione, specializzazione, investigazione, prevenzione per capire come muoversi, quale dovessero essere la dislocazione e l'articolazione delle forze dell'ordine. Così non va. Non possiamo avere in ogni paese due stazioni dei Carabinieri e il commissariato della Polizia di Stato con la metà degli effettivi e, ovviamente, la metà degli strumenti e dei mezzi operativi.
Bisogna trovare un momento di razionalizzazione per coprire e per capire anche, per esempio, cosa fa il servizio di informazione, che tipo di supporto offre in termini seri. Siccome sono servizi segreti, nessuno sa quello che fanno, e nessuno deve saperlo: questo non è giusto perché non può esserci chi va in piazza a prendere le botte e chi, invece, siede al coperto del segreto istruttorio. Qui non c'è nessun segreto istruttorio da coprire e da salvaguardare.

PRESIDENTE. Anche io volevo unire il mio personale ringraziamento all'onorevole Tassone per essersi fatto promotore di quest'indagine conoscitiva.
Riprendiamo le audizioni con l'intervento del rappresentante della CGIL-Corpo forestale dello Stato.

STEFANO CITARELLI, Rappresentante della CGIL-CFS. È chiaro che ci troviamo adesso a stringere un po' gli interventi. Siamo abituati, nei direttivi della nostra organizzazione, a regolare gli interventi sui tempi che ci diamo all'inizio. Comprendo che chi è intervenuto prima di me si sia allargato nei tempi perché le cose da dire sono tante, ma forse un po' più di autodisciplina avrebbe consentito a tutti di esprimersi più a lungo.
Non mi dilungo, quindi, su alcune considerazioni politiche, che pure avrei voluto porre, ma certo alcune vanno esplicitate. È chiaro che l'acuirsi della situazione dell'ordine pubblico e dell'emergenza su questa questione deriva sicuramente in parte dalla crisi economica che stiamo attraversando. In fondo, queste situazioni sono presenti in tutti i Paesi, ma anche il deficit di attenzione al dialogo da parte di questo Governo ha il suo ruolo.
Non dimentichiamo, ad esempio, che sull'importante riforma delle pensioni questo Governo non ha avuto alcun tipo di confronto con i sindacati, mentre lo ha avuto, intelligentemente, coi sindacati del comparto sicurezza, sicuramente insufficiente per noi, ma comunque è stata una mossa intelligente che spero trovi qualche capacità di ascolto. In ogni caso, questo atteggiamento acuisce alcuni fenomeni e a volte crea il pericolo di un congiungimento tra interessi colpiti e situazioni drammatiche con quelle frange più violente che qui sono state definite anche di professionisti.
In tempi passati, un attacco molto più grave, quello della fine degli anni Settanta allo Stato, è stato proprio battuto quando si è creata una sinergia tra interessi sociali importanti e lavoro delle forze dell'ordine, isolando così alcuni elementi di professionismo volti a destabilizzare la nostra Re


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pubblica. Questi pericoli esistono: se bisogna mettere in campo tutti gli elementi necessari, cominciamo allora a farlo.
Prima di ogni cosa, iniziamo col dialogo. È stato qui riportato l'esempio di un dialogo organizzato da un partito tra studenti e rappresentanti delle forze dell'ordine, che ha funzionato ed è stato importante. Quando il Partito Democratico ha organizzato quell'evento, in qualche maniera ha ricevuto ascolto, da un lato, la parte impegnata nella difesa dell'ordine pubblico, e quindi dell'istituzione, dall'altro, quella parte di un movimento, in questo caso gli studenti, che fanno fatica oggi a far sentire la loro voce, come spesso accade anche ai lavoratori colpiti dalla crisi, che avviene non per scelte dei lavoratori stessi.
Se, inoltre, va ammodernato tutto l'impianto della difesa strumentale per stare in piazza, non possiamo fare a meno di pensare alla questione delle risorse. Capisco che il momento sia difficile, ma non si può pensare solo ai tagli e forse andrebbero utilizzate in maniera più intelligente e razionale le risorse.
Il Corpo forestale vive una realtà di forte sotto organico, di vacanza di organico. Dal territorio è sottratto, con la stessa istituzione delle sezioni di polizia giudiziaria, quasi il 3 per cento del personale che già vi operava; non con questi numeri, avverrà altrettanto con le procure antimafia. Abbiamo, allora, un problema di risorse umane, assolutamente insufficienti non solo per tutto ciò che la legge n. 36 del 2004 ci assegna, ma a far fronte anche ai compiti istituzionali primari del Corpo forestale dello Stato.
Per questo, siamo stati molto critici quando la nostra amministrazione ci ha impegnati in operazioni di ordine pubblico. Non si tratta di un principio astratto, ma anche del fatto che, ad esempio, in alcune questioni addirittura si rovesciava l'immagine che del Corpo forestale ha la cittadinanza nel suo complesso. Queste sono, in ogni caso, valutazioni di tipo politico che tralascio perché servirebbe altro tempo per parlarne, ma in qualche maniera è stato mandato personale non preparato, male addestrato. Non possiamo assolutamente permetterci un reparto mobile, non possiamo avere una preparazione permanente, non abbiamo mezzi adeguati. C'è un problema assoluto di risorse. Per questo siamo stati contrari, e lo siamo ancora, all'impiego del Corpo forestale se non in situazioni di forte emergenza.
Dico chiaramente che in alcune situazioni le forze di polizia si sono dovute trovare come compito non dico primario, ma a volte importante, quello di difendere gli appartenenti del Corpo forestale dello Stato perché era inadeguata la loro presenza. Mi riferisco soprattutto a Napoli e all'emergenza dei rifiuti.
Mentre andrebbe vista - è un nostro compito istituzionale, sicuramente rafforzato, ma sempre tramite scelte politiche e risorse - tutta la questione di prevenzione e intelligence che su quella questione andava pensata a monte, come non è stato fatto, secondo noi, anche per una certa scelta politica.
Delle forze dell'ordine, chi opera sul campo sa benissimo distinguere tra chi è portatore di situazioni drammatiche e chi, invece, agisce con tutt'altri princìpi e maniere. Il problema è che, se il dialogo non va avanti, rischiamo che le forze dell'ordine possano avere addirittura in certi casi una certa e giusta simpatia con chi manifesta in piazza, soprattutto se le questioni sociali sono le medesime che attraversano gli stessi lavoratori del comparto.
Sulla questione dell'identificazione non concordo, ma credo che sia un falso problema perché l'identificazione è già possibile. Noi siamo a favore di una cultura garantista, per cui è giusto che si identifichi chi sbaglia. Il problema è di scelte politiche. Nel passato chi ha sbagliato, seppure isolato, è stato coperto o addirittura promosso, per cui è chiaro che la scelta va fatta alla fine di un percorso di scelta politica importante. Chi sbaglia deve pagare e questa consapevolezza è il risultato di una cultura che, per fortuna, io vedo sta molto cambiando.
Gli stessi interventi di oggi di tutte le forze sindacali tendono un po' ad accentuare


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la questione anche del dialogo con le forze sociali, ciò che in un passato neanche tanto lontano non trovavo negli interventi. Questo significa che, effettivamente, una cultura di tipo garantista avanza. Certamente, però, se abbiamo di fronte forze politiche che sappiano ascoltare la drammaticità della situazione sociale del Paese, è più facile affrontarla e farla prevalere. Diversamente, a mio avviso, rischieranno di trovare spazio certe idee sia in chi manifesta sia in chi difende l'ordine pubblico, che da questa cultura si allontaneranno sempre di più.

PIERGIORGIO CORTESI, Rappresentante della CISL-FSN per il Corpo forestale dello Stato. Quello fino ad ora descritto dai colleghi è lo spaccato eloquente dell'argomento di cui stiamo trattando. Viviamo un periodo difficile, come sappiamo tutti, in cui i professionisti del disordine cavalcano il malessere sociale, ma grazie anche all'inerzia e alla mancanza di forti e adeguati strumenti di attenuazione di quello che, appunto, è questo malessere.
Certo, non è una novità perché non da oggi il problema esiste. Si perpetua da tempo. Intanto, ci si affida a slogan mediatici, naturalmente di facile strumentalizzazione e interpretazione, che lasciano l'evoluzione delle situazioni al caso, al buonsenso e alla capacità degli operatori e di chi, sostanzialmente, li gestisce.
Spesso si dimentica che l'attività di ordine pubblico si svolge per garantire, appunto, l'ordine e la sicurezza dei cittadini, sia che partecipino alle manifestazioni, sia che frequentino o abitino in luoghi in cui avvengono queste manifestazioni, naturalmente senza preconcetti rispetto all'appartenenza politica, sociale, religiosa o altro. L'operatore non deve guardare a questi aspetti, ma semplicemente svolgere il suo lavoro.
Servono, allora, professionalità, formazione, addestramento, equipaggiamenti adeguati. Su questo noi insistiamo. La legge n. 121 del 1981 prevede la concorrenza del Corpo forestale dello Stato in attività di ordine pubblico, ma di fatto partecipiamo attivamente e ormai costantemente. Parliamo di TAV, di discariche in Campania e piccoli grandi eventi: siamo quotidianamente impegnati in queste attività e, per le quali, naturalmente, avremmo dovuto disporre di strutture operative specifiche.
In ogni regione, l'amministrazione ha previsto di creare unità composte di 10 elementi per compiere questo tipo di servizio, ma queste unità sono state formate solo parzialmente. Col passar degli anni, tra pensionamenti, anzianità e blocco del turnover ci siamo trovati a non averne quasi più sul territorio, per cui l'amministrazione è costretta a prendere saltuariamente personale dai diversi uffici e mandarlo a svolgere certi servizi. Quando, infatti, si richiede personale, le amministrazioni periferiche intervengono e, per fare un favore al prefetto o all'autorità competente, non negano l'utilizzo di questi uomini.
Fino a qualche anno fa avveniva il passaggio delle dotazioni individuali di protezione, quindi dalla Calabria andavano in Lombardia, dalla Lombardia alla Sicilia e i dipendenti erano costretti addirittura a indossare il casco dei colleghi calabresi. Adesso qualcosa è cambiato, ma il problema esiste ancora, per cui riteniamo sia fondamentale procedere a creare, appunto, queste strutture con le risorse economiche, umane e strumentali necessarie. Va rivisto, quindi, il sistema attuale, non più sostenibile perché, a parlar chiaro, intervengono quattro forze di polizia e ciò crea un problema di organizzazione a livello sia nazionale sia territoriale. Ognuna opera con proprie convinzioni e tipologie di addestramento, come è stato sottolineato anche da altri colleghi. È necessaria uniformità di addestramento, di formazione. Il blocco del turnover non ci consente, naturalmente, di disporre delle risorse umane necessarie.
Quanto, invece, ai temi relativi all'identificazione, al fermo preventivo e all'arresto differito, non crediamo che si possa affrontare la questione con un sì o con un no. Sono questioni molto delicate; quindi serve un approfondimento, che naturalmente va fatto con le rappresentanze del personale e in tempi abbastanza celeri.


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Non so se la situazione attuale ci faccia sperare bene, ma l'auspicio è che qualcosa all'interno della compagine politica possa portarsi avanti. Le soluzioni devono essere efficienti ed efficaci, altrimenti non si tratta che di discussioni inutili.

MARCO MORONI, Rappresentante del SAPAF. Per brevità, parlerò anche a nome dei colleghi del FESIFO e dell'UGL del Corpo forestale.
Molti degli argomenti sono stati toccati, ovviamente, dagli interventi precedenti. Sono quasi tutti condivisibili sotto certi punti di vista, ma vorremmo comunque rimarcare alcuni aspetti.
In primis, anche noi, sentendo anche tutti gli interventi, abbiamo cominciato a porci una questione cui inizialmente non eravamo preparati. Temo che l'indagine conoscitiva per la quale siamo oggi auditi da parte di questa Commissione tenga conto di alcuni aspetti sociali molto importanti - tra l'altro qui richiamati, come problemi finanziari o legati al lavoro - ma non tenga conto, o perlomeno non so in che termini, dell'aspetto sociale di chi la mattina, oltre ad avere tutti questi problemi, connessi a stipendi e a lavoro e ad altro, si alza e deve indossare una divisa, un elmetto, uno scudo, un manganello e andare dall'altra parte.
Questo è un timore, ma spero che non sia così e sarei contento di essere smentito. Si tratta di un aspetto molto importante. Vorrei ricordare, infatti, in modo che possa rimanere impresso, che quel collega si alza la mattina, si veste con l'uniforme che gli è fornita e che spesso non è adeguata, per 1.400-1.450 euro al mese. Spesso ha la famiglia lontana perché il trasferimento ha proprio lo scopo di consentirgli di esercitare quel tipo di funzione di ordine pubblico.
L'aspetto sociale, psicologico di queste persone dovrebbe, a mio avviso, avere una serie di valenze, per cui credo che qualcheduno possa tranquillamente pensare che il problema, come è stato già detto, non è assolutamente l'identificazione delle forze dell'ordine. Mi sono permesso di porre questa piccola valutazione, questa piccola richiesta alla Commissione perché ritengo che possa essere importante per cercare di capire da che punto di vista si pongono determinate questioni.
Come è stato già ricordato, il Corpo forestale dello Stato, di cui rappresentiamo come sigle una buona parte, ovviamente è impiegato in maniera non continuativa, ma in fase di collaborazione per l'ordine e la sicurezza pubblica, come ha ricordato il collega del SAP, che rappresenta coloro che, in materia di ordine e sicurezza pubblica, sono i principali attori nell'ordinamento italiano.
Tuttavia, proprio perché siamo impiegati in maniera non continuativa, dobbiamo lamentare alcune questioni. La prima tra tutte è quella del dialogo sociale che nella nostra società moderna, o postmoderna, come alcuni la definiscono, sicuramente viene sempre meno. Vorrei citarvi un aneddoto che può dare il senso effettivo di questo discorso.
Quando i forestali, insieme ai colleghi delle altre forze di polizia, hanno presidiato i territori di Terzigno nell'ambito delle manifestazioni effettuate dalle popolazioni campane per l'apertura di una nuova discarica in un parco, le stesse popolazioni vedendo i forestali si sono ancor più indignate per il fatto che proprio noi, che avremmo dovuto difendere il parco, fossimo andati lì a fare da scudo contro di loro.
Probabilmente, con un dialogo sociale si sarebbe potuto anche far capire certe cose. Quei forestali, peraltro sono stati impegnati con merito e dissento un po' dal collega che sosteneva che chi picchia poi viene premiato. Non mi sembra che siano queste le circostanze, per lo meno non nel Corpo forestale.
Potrete, inoltre, ben capire che, se gli attori principali dell'ordine e della sicurezza pubblica oggi lamentano addirittura una carenza di dispositivi di sicurezza adeguati e a norma - gli scudi di 30 anni fa sicuramente non sono a norma, quindi sono fuori da ogni legge - immaginatevi cosa possiamo pensarne noi. Lamentiamo a nostra volta una carenza sia nell'ambito dei dispositivi individuali di sicurezza sia,


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e soprattutto - mi permetto di sottolineare - in quello della formazione. Lo stesso segretario del SILP ha lamentato questo aspetto, che ritengo che sia importantissimo.
Per chi deve occuparsi di ordine pubblico, la formazione è fondamentale: è, probabilmente, uno dei pochissimi aspetti in cui gli operatori di polizia sono direttamente interessati non in quanto operatori di polizia, ma proprio per le loro azioni, le loro capacità. Se in una squadra uno solo manganella, non è colpevolizzata quella squadra, ma quella persona, quindi la formazione in questi settori è sicuramente molto più importante che in altri.
L'ultimo aspetto che mi permetto di sottolineare è quello della tutela legale. Partendo sempre dall'esempio iniziale, immaginatevi come possa sentirsi lo stesso operatore che la mattina sa che deve indossare dispositivi di sicurezza per rispondere al suo datore di lavoro, che gli chiede di fare ordine e sicurezza pubblica sapendo che, pur non sbagliando, qualcheduno potrà indicare che lui ha sbagliato. Dovrebbe difendersi con i citati 1.400 euro al mese, con cui deve far studiare i figli all'università, pagare l'affitto, le bollette e così via.
Poste tutte queste riflessioni, forse se ne deduce che il problema nasce dalle istituzioni che non riconoscono i loro servitori in maniera adeguata, gli operatori chiamati a svolgere un certo tipo di lavoro. Diversamente, una buona parte del problema sarebbe sicuramente risolto.
Ringrazio per l'audizione lei, presidente, e tutti i componenti della Commissione.

MASSIMILIANO VIOLANTE, Rappresentante della UIL-CFS. Mi associo ai ringraziamenti, soprattutto per aver convocato anche noi rappresentanti sindacali del Corpo forestale dello Stato.
Mi preme ribadire un concetto che hanno già evidenziato i colleghi che mi hanno preceduto, cioè che il Corpo forestale, soprattutto per quanto riguarda l'ordine pubblico, soprattutto un tipo di ordine pubblico che prevede l'impiego di dispositivi di sicurezza e simili, svolge certe attività da tempi recenti. È subito dopo la legge di riforma del 2004, infatti, che ha cominciato a contribuire in maniera più decisiva a questo tipo di attività, con tutte le difficoltà del caso.
Il collega Cortesi ricordava che i colleghi impiegati nell'ordine pubblico sono stati costretti più volte a scambiarsi i dispositivi di sicurezza perché non ce ne erano a sufficienza per tutti: questo, purtroppo, mi risulta ancora avvenga, per cui immaginiamoci cosa accadrebbe se si decidesse di apporre una sigla su un casco: non si saprebbe neanche a chi apparterrebbe.
L'onorevole Tassone ha evidenziato alcuni aspetti sui quali concordo, soprattutto per quanto riguarda il modello di sicurezza che ci si pone. Gli aspetti fondamentali sono due. Anzitutto, c'è quello della prevenzione, che avviene attraverso l'intelligence, un aspetto in cui forse siamo carenti in generale. Le infiltrazioni di cui se si è parlato, oltretutto, sono di natura nazionale e transnazionale, per cui l'obiettivo principale sarebbe quello di prevenire attraverso l'individuazione dei soggetti, sempre gli stessi e in alcuni casi anche ben conosciuti.
L'altro aspetto, che tutti hanno evidenziato, è quello del dialogo. L'operatore di polizia che sta in ordine pubblico a difendere le istituzioni è visto come il nemico da abbattere. Si innescano meccanismi di isteria di massa, per cui basta che qualcuno accenda la miccia e tutti sono coinvolti con meccanismi sociologici che andrebbero studiati e approfonditi. Fondamentale, quindi, è la tutela dell'operatore impiegato in questo tipo di attività.
Per quanto riguarda il Corpo forestale dello Stato, mi associo a quanto illustrato dai colleghi: avremmo bisogno di una maggior formazione del personale, che è stato formato presso la Polizia di Stato, ossia l'organo preposto all'ordine pubblico, come qualcuno ha ribadito e mi fa piacere ricordare. L'aggiornamento dovrebbe essere continuo, in progress perché a causa del turnover e di altre misure sono vengono impiegati spesso colleghi che non sono stati formati in maniera adeguata.


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PRESIDENTE. Vorrei ringraziare tutti anche a nome del presidente Bruno. Ricordo che chi non lo ha ancora fatto può inviare la propria relazione. Mi rivolgo soprattutto a quanti non sono riusciti a intervenire oggi.
Il 31 dicembre si chiuderà l'indagine conoscitiva. Il materiale raccolto nelle audizioni è ricchissimo. Ascolteremo prima del 31 dicembre la Ministra dell'interno, con la quale concluderemo il ciclo di audizioni.
In seguito, sarà stesa una relazione che, come spiegava l'onorevole Tassone, sarà il contributo molto serio - vi assicuro e, se posso dire, sentito e voluto - al prossimo Parlamento da parte di questa Commissione grazie all'ascolto di così autorevoli interlocutori.
Lasciatemi aggiungere che quanto avete illustrato mi ha colpito. Ho assistito anche alle altre audizioni, ho letto i materiali che non ho potuto sentire direttamente: soprattutto, mi ha colpito la qualità, la grande competenza di tanti rappresentanti anche oggi, unita a quella dimensione di passione civile che è un elemento in più, senza il quale è difficilissimo, per chiunque oggi si trovi ad assumere compiti di responsabilità, corrispondere alle domande, alle esigenze, ai bisogni di una democrazia come la nostra, che ha grandi energie ma che, come avete osservato, contiene anche non poche malattie.
Aggiungo semplicemente che mi unisco a quelle sottolineature che non ritengo mai formali né rituali in incontri come questi e che tendono a mettere in evidenza come sia indispensabile trovare oggi sempre un equilibrio tra i diritti. Diritti sono quelli umani, del rispetto di ogni persona, e quelli che a loro volta ritengo diritti, da parte di tutti voi, a vedere riconoscimento nel valore del lavoro e della professione di chi svolge, come voi, un mestiere, ma nel senso più alto del termine, indispensabile per la sicurezza, la coesione, il dialogo e molto a rischio.
Capivo cosa intendete quando parlavate di disperazioni sociali che riguardano tanti, lavoratori, studenti, ma anche chi deve tutelare la sicurezza. Capisco anche il grido di dolore che avete lanciato all'attuale Governo e al Parlamento sul tema delle risorse. Capisco quelle sottolineature sul fatto - lo diceva l'onorevole Tassone - che solo il coordinamento tra i vari livelli istituzionali può dare qualche risposta al nostro Paese.
Davvero, quindi, non ritenete rituale l'espressione di questa volontà di ascoltarvi tutti né il nostro grande ringraziamento.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,45.

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