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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
10.
Martedì 22 gennaio 2013
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RECENTI FENOMENI DI PROTESTA ORGANIZZATA IN FORMA VIOLENTA IN OCCASIONE DI MANIFESTAZIONI E SULLE POSSIBILI MISURE DI PREVENZIONE E DI CONTRASTO DI TALI FENOMENI

Esame ed approvazione del documento conclusivo:

Bruno Donato, Presidente ... 2 5
Fiano Emanuele (PD) ... 5
Naccarato Alessandro (PD) ... 2
Tassone Mario (UdCpTP) ... 3
Vanalli Pierguido (LNP) ... 4

ALLEGATI:
Allegato 1: Proposta di documento conclusivo ... 7
Allegato 2: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Centro Democratico: Misto-CD; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Italia Libera-Liberali per l'Italia-Partito Liberale Italiano: Misto-IL-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

[Indietro]
COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 22 gennaio 2013


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ALLEGATO 1


Indagine conoscitiva sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure di prevenzione e di contrasto di tali fenomeni.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. Oggetto e svolgimento dell'indagine conoscitiva.

L'Ufficio di presidenza della Commissione Affari costituzionali, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 12 gennaio 2012, ha convenuto di proporre alla Commissione di svolgere una indagine conoscitiva «sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure di prevenzione e di contrasto di tali fenomeni».

Acquisita l'intesa con il Presidente della Camera ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, la Commissione, nella riunione del 18 gennaio 2012 ha deliberato in senso favorevole allo svolgimento dell'indagine, fissando la conclusione al 31 luglio 2012. Tale termine è stato prorogato, nella seduta del 31 luglio 2012, al 31 dicembre 2012. In data 4 dicembre 2012 la Commissione ha deliberato un'integrazione del programma dell'indagine conoscitiva.

L'indagine conoscitiva si è proposta di fare luce sui fenomeni di protesta organizzata in forma violenta contro forze dell'ordine, istituzioni e privati da parte di gruppi anonimi che a questo scopo si infiltrano in manifestazioni e cortei promossi da dimostranti pacifici, come avvenuto in Valle di Susa il 3 luglio 2011 e a Roma il 15 ottobre 2011.
Le finalità dell'indagine conoscitiva sono state, in particolare, quelle di approfondire i seguenti profili:
la natura, la composizione sociale, le motivazioni, l'organizzazione, l'effettiva coesione interna e il grado di pericolosità dei gruppi in questione;
le dinamiche che hanno portato negli ultimi anni a una crescita di questo tipo di protesta;
l'effettiva portata del rischio che questo fenomeno diventi in futuro endemico, con evidenti ripercussioni non solo sulla sicurezza dei cittadini, ma anche sulla vita democratica del paese, della quale manifestazioni e cortei pacifici costituiscono un aspetto fisiologico;
le misure da adottare per prevenire e contrastare il fenomeno in questione.

L'attività conoscitiva è consistita nello svolgimento di audizioni e nell'acquisizione di documentazione. Il programma ha previsto l'audizione del Ministro dell'interno, dei responsabili delle forze di Polizia preposte al mantenimento dell'ordine pubblico, del Direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), del Comandante della polizia municipale di Roma, e di rappresentanti del Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS). Il programma è stato successivamente integrato con la previsione dell'audizione di rappresentanti di organizzazioni sindacali delle forze di polizia e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza.

In particolare:
il 22 febbraio 2012 si è svolta l'audizione del Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli;
nella seduta del 14 marzo 2012 la Commissione procedeva all'audizione del Comandante generale dell'Arma, dei carabinieri, Generale di Corpo d'Armata, Leonardo Gallitelli;


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nella seduta del 18 aprile 2012, ha avuto luogo l'audizione del Comandante generale della Guardia di finanza, Generale di Corpo d'Armata, Nino Di Paolo;
il 9 maggio 2012 è stato audito il Capo del Corpo forestale dello Stato, ingegner Cesare Patrone;
nella seduta del 23 maggio 2012 la Commissione procedeva all'audizione del Direttore dell'agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), generale Giorgio Piccirillo;
nella seduta del 10 ottobre 2012 ha avuto luogo l'audizione del Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS), dottor Giuseppe Roma;
nella seduta del 28 novembre 2012 la Commissione ha proceduto all'audizione del Comandante generale del corpo di polizia locale di Roma capitale, Carlo Buttarelli;
nella seduta del 6 dicembre 2012 la Commissione ha audito i rappresentanti di organizzazioni sindacali delle forze di polizia e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza. Sono intervenuti Saverio Cotticelli, rappresentante del COCER dell'Arma dei carabinieri; Bruno Bartoloni, rappresentante del COCER del Corpo della Guardia di finanza; Giancarlo Vitelli, rappresentante della CONSAP; Franco Maccari, rappresentante della Federazione COISP; Vincenzo Chianese, rappresentante della Federazione UIL Polizia-ANIP ITALIA SICURA; Nicola Tanzi, rappresentante del SAP; Enzo Marco Letizia, rappresentante del SIAP-ANFP; Claudio Giardullo, rappresentante del SILP per la CGIL; Felice Romano, rappresentante del SIULP; Valter Mazzetti, rappresentante dell'UGL; Stefano Citarelli, rappresentante della CGIL-CFS; Piergiorgio Cortesi, rappresentante della CISL-FNS per il Corpo forestale dello Stato; Marco Moroni, rappresentante del SAPAF, intervenuto a nome anche del FESIFO e dell'UGL - Corpo forestale dello Stato; Massimiliano Violante, rappresentante della UIL-CFS;
infine, nella seduta del 19 dicembre 2012 ha avuto luogo l'audizione del Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri.

2. Il quadro normativo.

Lo svolgimento di manifestazioni in luoghi pubblici è disciplinato da norme che attengono alla pubblica sicurezza. La disciplina riguarda tanto le attività di polizia, volte ad assicurare la sicurezza attraverso il rispetto delle norme di legge, quanto le attività finalizzate alla prevenzione di eventi che possano arrecare danno ai cittadini.
Dal punto di vista dei soggetti cui sono assegnate funzioni di pubblica sicurezza, tale disciplina fa riferimento al personale che espleta funzioni di polizia, espressamente individuato dalla legge 1o aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza).
L'articolo 16 della citata legge stabilisce che, ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla polizia di Stato sono forze di polizia, fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze, l'Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza e il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica; sono altresì forze di polizia e possono quindi essere chiamati a concorrere nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato (ai sensi della legge n. 36 del 2004 il Corpo forestale è una Forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile che, oltre alle proprie specifiche competenze, concorre nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi della legge n. 121 del 1981).
Nel corso dei dibattiti promossi in occasione delle audizioni svolte, più volte la discussione si è incentrata sulla materia del coordinamento delle Forze di Polizia in ossequio alla necessità di rispondere ad una sempre più avvertita esigenza di razionalizzazione delle potenzialità strutturali ed operative delle singole Forze, ottimizzando l'impiego e la distribuzione delle rispettive risorse ed integrando l'organizzazione e l'attuazione dei rispettivi servizi alla stregua di una comune e sistematica pianificazione.
Per quanto rileva in questa sede, si rammenta che, nell'ambito dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza è istituito, ex articolo 4 della legge n. 121 del 1981, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza


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che provvede, tra l'altro, al coordinamento tecnico-operativo delle Forze di Polizia; accanto a questo, l'Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia (articolo 6-12), come ufficio di staff del predetto Dipartimento, rappresenta il centro nevralgico di tutto il sistema di coordinamento disegnato con la legge n. 121 del 1981, sia per il carattere integralmente interforze sia per il particolare modus operandi a stretto e diretto contatto con Comandi e Direzioni Centrali delle singole Forze di Polizia sia per la speciale collocazione ordinamentale all'interno dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza.
Avuto ancora riguardo anche alle istanze emerse nell'ambito dell'indagine, si segnala che altri soggetti titolari del potere di coordinamento contemplati dal Capo I della legge n. 121 del 1981 sono il Prefetto e il Questore, entrambe autorità provinciali di pubblica sicurezza, la prima con una responsabilità di tipo politico/amministrativa, la seconda di tipo tecnico/operativa (invero, al fine di esercitare in maniera piena le proprie funzioni, entrambi devono essere tempestivamente informati dai responsabili locali dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza su quanto, comunque, abbia attinenza con l'ordine e la sicurezza pubblica nella provincia).
Infine, si ricorda che, per esigenze di coordinamento, è stato emanato il decreto ministeriale 28 aprile 2006 (Riassetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia) che interviene sull'assetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia, in coerenza con l'evoluzione del quadro normativo di settore, nella cornice unitaria della responsabilità generale in materia di ordine e sicurezza pubblica affidata al Ministro dell'interno dalla legge n. 121 del 1981.
Dal punto di vista dell'attività di regolamentazione dell'ordine pubblico, è bene aver presente che la polizia di sicurezza si concreta essenzialmente in un'attività di prevenzione, tendente a impedire il compimento di atti contrastanti con l'ordinamento giuridico (leggi, regolamenti e provvedimenti delle autorità) oppure in grado comunque di infrangere l'ordinata e sicura convivenza civile (tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica).
Per tale materia, la legge di riferimento, oltre alla citata legge 1o aprile 1981 n. 121, espressamente richiamata anche dall'articolo 160, comma 2, del decreto legislativo n. 112 del 1998, è ancora costituita dal Testo unico delle leggi di sicurezza (Regio Decreto 18 giugno 1931 n. 773, il cosiddetto TULPS, e dal relativo regolamento di esecuzione (Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635). Questa normativa, introdotta nell'ordinamento anteriore alla Costituzione, ha subìto, però, numerose e profonde modifiche sia a seguito di pronunce della Corte costituzionale, che per opera di successive leggi, soprattutto nel campo della polizia amministrativa. Esiste, poi, una copiosa stratificazione normativa di carattere speciale riguardante temi specifici quali armi, associazioni segrete, criminalità, ordine pubblico, mafia, stupefacenti ecc.; l'intero impianto normativo sopra menzionato si colloca nell'ambito delle tutele apprestate in tema di libertà di riunione ex articolo 17 della Costituzione. Infatti, è alla luce di tale disposizione che devono essere lette e interpretate tanto la legislazione ordinaria quanto la normativa secondaria e le numerose direttive e circolari amministrative in materia.
Più specificamente, la prevenzione attuata attraverso la polizia di sicurezza si fonda sostanzialmente su due ordini di interventi. Il primo di essi è rappresentato dalle attività finalizzate al riscontro e alla ricerca di situazioni «oggettive» di pericolo o di inizio di attività criminose, funzionali alle attività di controllo a tutela dell'ordinato vivere civile e della pubblica incolumità: operazioni di vigilanza, imposizione di obblighi vari, autorizzazioni, licenze o atti di rimozione di divieti di competenza del prefetto o del questore, e, in alcuni casi, anche del sindaco quale autorità locale di pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000, il Testo unico degli enti locali, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge n. 92 del 2008.


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L'altro ordine di interventi si fonda, invece, su presunte condizioni «soggettive» di pericolosità, che il decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), collega a categorie di persone considerate pericolose per la pubblica sicurezza sulla base di un giudizio di valore delle stesse, che è di competenza dell'autorità di polizia. Gli interventi nei confronti di siffatte persone si concretano in misure di prevenzione, in genere limitative della libertà personale. Il quadro di tali misure, originariamente delineato dal TULPS come sistema di misure di polizia applicate dalla polizia stessa, è stato oggetto di notevoli mutamenti ai fini del suo adeguamento ai principi costituzionali, soprattutto a quelli che esigono la garanzia giurisdizionale.
Con particolare riferimento alla tematica trattata dall'indagine conoscitiva si ricorda che l'articolo 17 della Costituzione prescrive che le riunioni si svolgano pacificamente e senz'armi prevedendo che siano soggette a preavviso alle autorità ove si tengano in luogo pubblico. Se tutte le riunioni sono tutelate nella misura in cui si non risultino lesive dell'ordine pubblico in senso materiale (e, quindi, si connotino per l'assenza di violenza fisica e di disordini), per quelle in luogo pubblico, che avvengono in ambiti ai quali tutti possono liberamente accedere senza soggiacere a particolari condizioni o possedere specifici requisiti, si pone l'ulteriore problema della tutela della sicurezza e dell'incolumità dei terzi non partecipanti.
L'autorità di pubblica sicurezza assiste alle riunioni per mezzo dei suoi funzionari ed agenti (articolo 22 del Regio Decreto n. 635 del 1940) e quando, nei casi sopra ricordati, occorre sciogliere una riunione pubblica o un assembramento, invita i partecipanti a disciogliersi (articolo 22 del TULPS); qualora rimangano senza effetto anche le intimazioni a disciogliersi ovvero queste non possano essere fatte a fronte di una rivolta od opposizione, l'autorità di pubblica sicurezza ordina che la riunione o l'assembramento siano disciolti con la forza. All'esecuzione di tale ordine provvedono la forza pubblica e la forza armata sotto il comando dei rispettivi capi (articoli 23-24 del TULPS). A tal proposito occorre menzionare l'impiego dei reparti mobili della Polizia di Stato, strutture operative utilizzate come risorsa di pronto impiego per la tutela dell'ordine pubblico, i quali, ai sensi del decreto ministeriale 11 febbraio 1986, sono suddivisi in nuclei e squadre. Con una nota del 18 luglio 2012, il Ministero dell'Interno ha formulato una bozza di decreto ministeriale concernente l'organizzazione e le dotazioni di personale dei reparti mobili, nella quale fra l'altro, all'articolo 1, è prevista l'abrogazione del decreto dell'11 febbraio 1986. La bozza prevede anche un aumento del personale in organico (da 4700 a 6000 unità) e una rimodulazione del numero di nuclei presenti nelle quindici sedi dei reparti attualmente in funzione a livello nazionale.
Il quadro normativo che fa da sfondo alle manifestazioni pubbliche comprende, inoltre, le disposizioni di cui alla legge 22 maggio 1975 n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, la cosiddetta legge Reale) che, all'articolo 5, come modificato dal decreto-legge n. 144 del 2005, punisce il travisamento operato attraverso l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo (è facoltativo l'arresto in flagranza). In aggiunta si ricorda che l'articolo 4 della legge 18 aprile 1975 n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) oltre a recare il divieto generale, salvo autorizzazioni previste dal TULPS, di portare fuori della propria abitazione armi o altro oggetti atti a offendere proibisce di portare i medesimi oggetti nelle riunioni pubbliche anche alle persone munite di licenza.
Avuto riguardo alle manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili, infine, merita citare la direttiva del Ministro


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dell'interno del 26 gennaio 2009, la quale, dopo aver affermato che l'esercizio del diritto di riunione deve svolgersi nel rispetto di altri diritti costituzionalmente garantiti e delle norme che disciplinano l'ordinato svolgimento della convivenza civile, ha definito i criteri che devono orientare le decisioni di Prefetti e Questori in materia. Tali limiti potranno operare specialmente quando ci siano state precedenti manifestazioni, con stesso oggetto e organizzazione, che abbiano turbato l'ordine e la sicurezza pubblica.
Ai sensi dell'articolo 1, della legge n. 121 del 1981, la direttiva è stata emanata per le pubbliche manifestazioni, con l'invito ai Prefetti a stabilire regole - d'intesa con i Sindaci - e sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, per sottrarre alcune aree alle manifestazioni; prevedere, ove necessario, forme di garanzia per gli eventuali danni e per prevedere altre indicazioni per lo svolgimento delle manifestazioni. Tali determinazioni (da condividere il più possibile con le forze politiche e sociali) troveranno forma in un apposito provvedimento del Prefetto, inizialmente anche in forma sperimentale.

3. Caratteristiche e grado di pericolosità dei gruppi violenti e rischio che il fenomeno diventi endemico.

I dati acquisiti nel corso dell'indagine denotano che, a fronte di più di 10.000 manifestazioni annue svoltesi in ciascuno degli anni 2011 e 2012, si sono registrate criticità più o meno acute in un numero circoscritto di casi (187 nel 2011 e 398 nel 2012).
Il panorama antagonista, come ricordato dal Direttore dell'AISI, è riconducibile a tre principali componenti: un'area moderata attestata su posizioni pacifiche e non violente, intenzionata a canalizzare la conflittualità sociale in azioni di protesta diversificate e in manifestazioni nei territori, con l'obiettivo di avviare un'ampia mobilitazione popolare, considerata massima espressione di democrazia partecipativa; una componente in posizione intermedia, che predilige interventi finalizzati a ottenere visibilità e consenso, determinata, pertanto, a innalzare il livello della protesta, ma senza il ricorso ad azioni estreme, che considera controproducenti per l'immagine del movimento; e, infine, una componente radicale, in cui confluiscono trasversalmente gruppi marxisti-leninisti, militanti autonomi e frange anarco-insurrezionaliste, determinati a esprimere la propria indignazione con ogni mezzo, non escludendo il ricorso a pratiche violente e distruttive.
Le audizioni dei responsabili delle forze di polizia e dei servizi di sicurezza interni, nonché del Ministro dell'interno, hanno permesso di ottenere un quadro dettagliato di quest'area radicale del movimento di protesta che ha dato vita a episodi di violenza nel corso di manifestazioni come quella di Roma del 15 ottobre 2011 o quelle NO-TAV della Val di Susa del 3 luglio 2011.
L'area radicale è ad esempio molto radicata in Val di Susa, dove sono presenti stabilmente personaggi di spicco sia dell'anarchia radicale che dell'autonomia operaia e dove il centro sociale «Askatasuna» e i referenti dell'insurrezionalismo anarchico piemontese hanno avuto un ruolo predominante nel catalizzare le istanze antisistema del movimento No-TAV.
La pericolosità dell'infiltrazione di quest'area radicale all'interno di manifestazioni consiste, come rilevato dal Capo della Polizia, nel fatto che i suoi esponenti ricorrono ad una organizzazione da autentica guerriglia: arrivano nella città dove si svolge la manifestazione vestiti in un certo modo e partecipano alla manifestazione vestiti in un altro. Non giungono armati in quanto spranghe, coltelli, e via dicendo, vengono collocati sul posto in precedenza. Usano tecniche di scontro mutuate dal repertorio militare classico (l'uso di arieti e catapulte) e da quello rivoluzionario (l'incursione «mordi e fuggi»), allo scopo di trasformare le manifestazioni medesime in una vera e propria guerriglia che mette in difficoltà i tutori dell'ordine pubblico. La pratica del


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«mordi e fuggi», in particolare, consente di colpire obiettivi e di fuggire poi in mezzo ai manifestanti pacifici, rendendo così difficile l'identificazione dei responsabili da parte delle forze dell'ordine.
Dall'indagine è emerso anche come la frammentarietà dell'organizzazione di manifestazioni come quella di Roma del 15 ottobre 2011 (promossa da più soggetti contemporaneamente) ne renda difficile la gestione da parte degli organizzatori medesimi, a differenza di quanto avveniva per le manifestazioni sindacali o politiche delle organizzazioni di massa della seconda metà del secolo scorso.
Nell'analizzare nello specifico la composizione e i gruppi dell'area antagonista radicale, come è emersa dall'indagine conoscitiva, è prima di tutto da rilevare la presenza, in essa, del circuito dei centri sociali, il quale è tipicamente strutturato sul territorio in modo flessibile e informale, nel senso che è lasciata ai militanti la piena libertà sul proprio territorio di decidere le modalità di intervento ritenute più opportune a dar voce al dissenso, come sancito nel febbraio 2009 a Bologna dall'Assemblea nazionale del Global meeting network.
È emerso altresì che il numero dei centri sociali è di circa 350, con picchi di presenza nel Lazio, 59 centri; in Campania, 56 centri; e in Lombardia, 46 centri. Il loro impegno sul territorio è in chiave antimilitarista (opposizione alla costruzione della base NATO a Vicenza), ambientalista (opposizione alla ferrovia ad alta velocità Torino-Lione) o genericamente antirepressiva (opposizione ai CIE, i centri di identificazione ed espulsione).
Spesso i centri sociali saldano la loro lotta con quella dei collettivi studenteschi e universitari, che fondano la loro protesta nella resistenza contro la riforma del sistema scolastico ed universitario. Pure in questo caso si tratta di una galassia eterogenea, che vede anche la presenza di gruppi di estrema destra, come Blocco studentesco e Lotta studentesca.
A tal proposito è emerso - in particolare dall'audizione del Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri - come la destra radicale riservi una particolare attenzione al sociale e al mondo del lavoro, alle problematiche della casa, dell'occupazione giovanile e del precariato. L'interesse della destra radicale per tali obiettivi ha determinato una sorta di invasione in ambiti di protesta tradizionalmente ritenuti tipici dei movimenti di estrema sinistra, fattore che crea situazioni di conflitti anche violenti tra le due aree. Anche nell'estrema destra si configura poi una contrapposizione, quanto alla interpretazione della lotta al sistema, tra gruppi violenti e gruppi più propensi a cercare una vicinanza con ambienti «ufficiali» che rappresentino le loro motivazioni di protesta.
Permangono all'interno dell'area antagonista gruppi che si ispirano a una matrice marxista-leninista e che ripropongono la contrapposizione di classe con riferimento al sociale e al mondo del lavoro, tentando di inserirsi strumentalmente - ma al momento senza successo - nelle vertenze occupazionali, soprattutto nel Centro-Nord.
Il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha osservato come, nonostante permanga in questi ambienti una certa suggestione del passaggio alla lotta armata, non sia stato rilevato alcun segno di operatività di quella frangia che, semplificando, può essere definita «brigatista».
Un altro aspetto rilevato nel corso dell'indagine è la partecipazione alle manifestazioni di protesta di frange violente del tifo calcistico organizzato. Ad esempio, negli incidenti di Roma del 15 ottobre 2011 sono stati coinvolti soggetti senza una formazione ideologica politicamente connotata, ma appartenenti a gruppi ultras vicini alla sinistra antagonista, come i Fedayn, gruppo della tifoseria romanista, o facenti parte di altre tifoserie come quella napoletana.
Ma la componente di cui tutti i responsabili delle forze di polizia hanno sottolineato la rilevanza nell'area radicale, il ruolo trainante e la pericolosità è quella dell'anarco-insurrezionalismo, individuata nelle cellule che si riconoscono nella o si richiamano alla Federazione Anarchica


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Informale (FAI). In particolare il Capo della Polizia ha tenuto ad osservare come quello dell'anarco-insurrezionalismo sia un fenomeno che, con riguardo alla sua pericolosità, è stato sottovalutato e poco compreso anche mediaticamente. Si tratta di un fenomeno che - secondo quanto affermato dallo stesso Capo della Polizia - in Italia solo per puro caso non ha ancora fatto registrare morti, come avvenuto in altri Paesi, come la Grecia.
Un elemento caratterizzante delle cellule anarco-insurrezionaliste, nonché un indice della loro pericolosità, è la loro transnazionalità. La FAI partecipa al Fronte rivoluzionario internazionale, promosso dall'omologa organizzazione greca Cospirazione delle Cellule di fuoco, che si ripromette di mettere in atto violente azioni antisistema. L'azione delle cellule della FAI e delle sue consociate a livello internazionale non si esaurisce nella violenza esercitata durante manifestazioni di piazza, ma si estrinseca anche in azioni dirette, portate avanti da gruppi affini o anche da individui singoli con attentati (ad esempio quelli del dicembre 2011 alla Deutsche Bank di Francoforte e alla sede romana di Equitalia con il ferimento del direttore generale o l'attentato dinamitardo del marzo 2012 all'agenzia del Monte dei Paschi di Siena, rivendicato da un gruppo denominato Nucleo sociale, affine alla FAI). È da rilevare che, se in un primo momento gli attacchi anarco-insurrezionalisti erano indirizzati a colpire obiettivi dell'apparato istituzionale degli Stati, con l'acuirsi della crisi economica gli obiettivi degli attentati sono diventati anche i centri del potere economico-finanziario, ritenuti responsabili del disagio delle fasce popolari più deboli.
Le caratteristiche della FAI e delle sue cellule sono non solo lo spontaneismo - tratto classico dei movimenti di matrice anarchica - ma anche l'esistenza di una struttura che però non evolve mai in un'organizzazione gerarchica. Anzi, nell'anarco-insurrezionalismo viene consigliata l'impermeabilità di tale struttura, sino alla necessità che i militanti non si conoscano tra loro: aspetto questo sottolineato dal Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e che richiama tecniche utilizzate da gruppi di altra matrice negli anni settanta. Questo, come rileva sempre il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, porta a rinvenire due volti nel militante anarco-insurrezionalista: uno palese nella partecipazione alle manifestazioni di protesta di massa e uno occulto che si esprime nella azioni dirette.
Dall'indagine conoscitiva è emerso come non sussistano forme di reclutamento e addestramento, nel senso tradizionale, dei militanti anarco-insurrezionalisti. Il Comandante generale dell'arma dei Carabinieri ha osservato come il reclutamento avvenga su un'adesione individuale, spontanea, che parte dalle forme di ribellismo, tipiche dell'anarchismo. Rilevante, in quest'ambito, il ruolo comunicativo di internet, dove il militante può reperire documenti e manifesti programmatici dell'anarchismo insurrezionale, ma anche (come riferito dal Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri) istruzioni su come confezionare un ordigno esplosivo.
La composizione conosciuta dell'area anarco-insurrezionalista, come evidenziato in particolare dal Capo della Polizia, è fatta di militanti «storici» dell'anarchismo, noti da molto tempo alle forze dell'ordine, ma anche di numerosi giovani, anche minorenni, come si è potuto constatare con l'identificazione dei soggetti responsabili degli episodi violenti della manifestazione di Roma del 15 ottobre 2011.
Nella sua audizione del 22 febbraio 2012 il Capo delle Polizia ha chiarito che l'area anarco-insurrezionalista, secondo quanto annunciato dai suoi componenti, è pronta ad uccidere anche in Italia. Nella sua audizione del 14 marzo 2012, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, riferendosi ad azioni dirette contro le persone, ha sottolineato la fondatezza dell'allarme avanzato dal Capo della Polizia.
La fondatezza delle preoccupazioni manifestate dai vertici della Polizia e dei Carabinieri ha trovato riscontro in fatti


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successivi. Il 7 maggio 2012 un dirigente del gruppo Ansaldo, Roberto Adinolfi, è stato ferito a Genova in un attentato compiuto con armi da fuoco e rivendicato dal nucleo Olga, aderente alla FAI. A questo attentato ha fatto riferimento nell'audizione del 23 maggio 2012 il direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), sottolineando come l'episodio di Genova e l'innalzamento del livello di intervento con il ricorso alle armi era già annunciato nei documenti dell'organizzazione FAI dei mesi precedenti. Il direttore dell'AISI ha citato anche un documento proprio del nucleo Olga, nel quale venivano criticate come sterili le manifestazioni di alcuni gruppi insurrezionalisti in Val di Susa.
Lo stesso direttore dell'AISI ha sottolineato come, con il passaggio all'azione diretta armata delle cellule della FAI, azione che necessita di organizzazione e premeditazione, anche in contrasto con la stessa logica d'essere dell'anarchismo, si sia creata un'area grigia con spunti ideologici inneggianti alla violenza diretta e personale che è difficile da distinguere come area di transizione tra il fenomeno brigatista e il fenomeno anarchico. Il direttore dell'AISI ha evidenziato come il documento rivendicativo dell'attentato di Genova faccia riferimento ad esponenti di gruppi terroristici attivi negli anni settanta e ottanta e come inoltre l'attentato sia stato salutato con favore dai circuiti di ispirazione brigatista.
Va però registrato che nell'audizione conclusiva dell'indagine conoscitiva, il 19 dicembre 2012, il Ministro dell'interno, nel rassicurare che sarà tenuta alta la guardia con il monitoraggio delle frange più estremiste dell'antagonismo sociale e dell'eversione anarco-insurrezionalista, ha osservato che, in ogni caso, i segnali a disposizione del Ministero non vanno, allo stato attuale, oltre una generica situazione di preoccupazione. Questo, ad avviso del Ministro, si deve sia ai risultati dell'attività investigativa che all'impegno delle realtà sociali e politiche che si sono opposte con fermezza all'infiltrazione dei violenti.
Col riguardo, infine, al rischio che il fenomeno dell'infiltrazione di gruppi violenti in manifestazioni di protesta diventi endemico, l'indagine conoscitiva ha messo in rilievo come tale rischio esista. Da più parti, compresi i rappresentanti sindacali delle forze di polizia, si è tuttavia evidenziato come esso sia collegato all'evoluzione della crisi economica e sociale, che ha comportato, ad esempio, un incremento considerevole del numero di disoccupati. In particolare il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha osservato come un aumento delle aree di marginalità e delle condizioni sfavorevoli di vita possano rappresentare un humus di coltura di deviazioni di tipo violento. Lo stesso Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha espresso l'avviso che l'aumento di una deriva violenta dipenda essenzialmente dal perdurare delle condizioni di crisi e della conseguente conflittualità sociale che può divenire strumento di estensione delle aree di protesta. A sostegno di quest'ipotesi ha portato la comparsa sullo scenario delle proteste sociali di movimenti estemporanei, come, ad esempio, gli Indignati, i Pastori sardi, la Forza d'Urto e il Movimento dei Forconi. A suo avviso, tali movimenti possono divenire terreno di coltura per radicalizzare la lotta e la protesta in forma violenta.

4. Le dinamiche che hanno portato negli ultimi anni a una crescita del fenomeno.

Per quanto riguarda le dinamiche che hanno portato negli ultimi anni a una crescita di questo tipo di protesta, occorre partire, sotto il profilo temporale - come evidenziato dal Capo della Polizia nella sua audizione - dal luglio del 2001, quando si è svolto il G8 di Genova, in cui si registrarono dei fortissimi contrasti all'interno dell'area antagonista, che evidenziarono, all'epoca, delle profonde spaccature, che non si sono sanate con il tempo, nel senso che è continuato il dibattito tra fautori del ricorso alla violenza e sostenitori della protesta non violenta.
Nel corso dell'indagine conoscitiva è stato evidenziato infatti come, dopo i fatti


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di Genova del 2001, vi sia stata una sorta di riflessione nell'area anarco-insurrezionalista su come si dovesse procedere per far prevalere l'ideologia anarco-insurrezionalista all'interno del movimento antagonista, il che ha determinato una fase di pressoché totale inattività fino al 2009.
Nel 2009 sono iniziati i fermenti internazionali del movimento anarco-insurrezionalista, che hanno risvegliato anche l'organizzazione italiana, con le prime buste e attentati esplosivi, in un crescendo legato soprattutto alla corrispondenza internazionale fra la Federazione Anarchica Informale e la Cospirazione delle cellule di fuoco o le similari organizzazioni spagnole e francesi.
Si è quindi arrivati progressivamente ad un momento in cui non solo il movimento si era trasformato dall'interno, ma si è trovato anche in un contesto socio-economico assolutamente favorevole all'esaltazione di questo tipo di reazione. Sommando i due fattori, - è stato evidenziato - si è giunti alla decisione di una frangia del movimento anarco-insurrezionalista di passare all'azione diretta.
Il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha, a sua volta, richiamato l'attenzione sulla data del 14 dicembre 2010, quando i collettivi studenteschi universitari si resero interpreti di manifestazioni di protesta a Roma, saldandosi anche con la partecipazione dell'area antagonista e degli stessi anarco-insurrezionalisti.
Il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha infatti ricordato come quella data fu, con elevata probabilità, il primo dei momenti significativi della saldatura sul territorio, come dimostra anche l'adozione di tecniche di vera e propria guerriglia urbana che si sono riviste in dimensioni ancora più ampie in occasione della manifestazione del 15 ottobre 2011 contro la crisi economica. Tra le decine di migliaia di manifestanti pacifici a Roma vi erano circa 2.000 soggetti dell'area antagonista, tra cui sono stati identificati circa 400 persone dell'area anarco-insurrezionalista tra cui anche appartenenti a gruppi delle tifoserie violente. L'epilogo furono gli scontri in piazza San Giovanni ed è ricordato da tutti l'incendio del blindato dei carabinieri.
Nella comune valutazione delle forze dell'ordine, durante quella manifestazione non mancarono neanche processi di emulazione: sono stati, infatti, identificati giovani, soprattutto minorenni, che non avevano alcun significativo precedente di militanza, ma che sono stati coinvolti nei disordini, diventando essi stessi attori di devastazione e di saccheggio.
Giova altresì tenere in considerazione che, a monte delle manifestazioni del dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011, com'è stato ricordato, c'era stato un ampio dibattito tra le varie componenti della protesta: accanto alle componenti antagoniste, maggiormente orientate a un profilo più basso, c'era la componente anarco-insurrezionalista, che era decisamente per lo scontro aperto contro le istituzioni.
È stato quindi rilevato nel corso delle audizioni come dai servizi investigativi sia emerso che proprio la manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma, nei desiderata dei manifestanti, avrebbe dovuto portare a una sorta di ricompattamento tra le varie aree antagoniste.
È stato peraltro sottolineato, nell'audizione del Capo della Polizia, come l'obiettivo di unire nella protesta il mondo studentesco, il mondo del precariato e il mondo dei lavoratori e di realizzare un'unica leadership non sia stato raggiunto in quella occasione, in primo luogo per la trasposizione nelle pratiche di piazza del pensiero anarco-insurrezionalista.
Il dibattito avviato negli ambienti antagonisti all'indomani della manifestazione di Roma - come evidenziato dal Direttore dell'AISI - ha messo in luce dissidi e divergenze in merito a modalità e strategie della protesta, determinando la sostanziale spaccatura del movimento e inficiando i tentativi di conferire spessore e unitarietà alla mobilitazione anticrisi.
È inoltre emerso chiaramente che ci si trova di fronte a fenomeni più ampi di quelli tipicamente italiani, anche grazie alle tecnologie e ai social network: basta


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fare riferimento ai movimenti spagnoli o soprattutto a quelli greci, ma anche a quelli degli Stati Uniti.
Molte manifestazioni hanno affrontato tematiche di interesse dei movimenti dell'area antagonista, tentando di inserirsi nell'azione di protesta innalzandone il livello di conflittualità. Al riguardo, le questioni maggiormente sentite sono quelle ambientali - in particolare, quelle riguardanti la realizzazione delle grandi opere, specie la linea ferroviaria TAV Torino-Lione - e quelle connesse alle rivendicazioni studentesche.
La mobilitazione contro il treno ad alta velocità in Val di Susa, com'è noto e come è stato ribadito nel corso dell'indagine, continua a rappresentare un focolaio di tensione a livello territoriale. Avvenimenti come gli arresti di attivisti e di sostenitori NO TAV e soprattutto l'incidente occorso a un militante storico del movimento, caduto da un traliccio, hanno fornito nuovo impulso alla mobilitazione, innescando disordini e scontri e favorendo lo sviluppo della protesta sull'intero territorio nazionale.
Le suddette manifestazioni di dissenso, anche violento, restano dunque a livello locale fino a quando non trovano un motivo di aggregazione che giustifichi l'estensione della protesta sul territorio nazionale, come accaduto - per esempio - dopo la ricordata caduta dal traliccio di un militante del movimento NO TAV, che ha prodotto blocchi e agitazioni in tutte le città italiane. La lotta contro l'alta velocità, già connotata in chiave ambientalista e antigovernativa, ha assunto, pertanto, anche un significato antirepressivo, acquisendo una valenza generale.
In tale contesto è stato evidenziato, dal Direttore dell'AISI, il ruolo trainante delle frange insurrezionaliste, che hanno partecipato attivamente alle proteste NO TAV, determinate a estendere l'ambito contestativo della mobilitazione contro l'alta velocità al tema della crisi economica, ampliandone l'asserito portato insurrezionale.
È stato ricordato come si aggiunga agli obiettivi da colpire tutta la galassia Finmeccanica, che in questa circostanza viene a essere indicata in tutte le sue componenti come obiettivo fondamentale quanto meno dell'attacco ideologico, ferme restando le vecchie caratteristiche dell'aggressione ideologica anarco-insurrezionalista, diretta contro le Forze dell'ordine e l'apparato giudiziario, alle strutture di sfruttamento delle risorse energetiche, alle Forze armate, alle imprese e agli armamenti, alle forniture belliche, agli istituti di credito, alle strutture di gestione e indirizzo della politica economica, agli enti finanziari, alle banche, agli uffici di esazione, a tutto il mondo che, in questo momento di particolare congiuntura economica, viene a essere considerato privilegiato.
È stato poi proprio nell'ambito delle ultime manifestazioni organizzate dagli studenti che il movimento antagonista, nelle sue diverse anime più oltranziste - costituite, oltre che dai cosiddetti «ex disobbedienti», dal settore autonomo e dagli anarco-insurrezionalisti - è riuscito a infiltrarsi e a condizionare fortemente le modalità di protesta coinvolgendo gli stessi studenti nel compimento di azioni di maggior impatto, con la deviazione dal percorso autorizzato del corteo ovvero l'occupazione di immobili o sedi ferroviarie.
Nelle successive manifestazioni di piazza, anche se non sono mancati momenti di fermento che hanno potuto determinare condizioni di criticità, va tuttavia evidenziato che l'ala oltranzista - quella che ricerca sistematicamente lo scontro fisico fine a se stesso - ha limitato i propri segnali di presenza in manifestazioni di carattere locale, come quelle in Val di Susa, rifuggendo dai grandi eventi di portata nazionale.
È stato quindi ribadito dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, come l'eterogeneità di obiettivi sta sostanzialmente confermando che, oltre ai tradizionali obiettivi simbolo - le forze armate, le forze di polizia, le rappresentanze dei Paesi accusati di perseguitare i militanti, contro i quali sono stati già compiuti numerosi attentati - compaiono ora i centri del potere economico finanziario, ritenuti dagli anarco-insurrezionalisti i responsabili


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dell'attuale crisi, e quindi del disagio delle fasce popolari più deboli. Ne sono un esempio Equitalia e l'agenzia del Monte dei Paschi di Siena.
Sempre per quanto attiene alle dinamiche, vanno tenute in considerazione, come chiarito nel corso dell'indagine conoscitiva, le differenze con i fenomeni terroristici brigatisti, ad esempio, ma anche della destra, degli anni Settanta e Ottanta: ci si trova certamente di fronte a un fenomeno nuovo per la stessa natura ideologica dell'anarchismo o dell'anarco-insurrezionalismo, sulle cui origini e sulla cui linea ideologica occorre svolgere attente riflessioni e andare, per quanto possibile, a fondo. Come è stato ricordato, l'obiettivo dell'anarco-insurrezionalismo non è certo quello di costruire un modello e un mondo nuovi, quanto piuttosto quello di colpire con azioni individuali, distruggendo e uccidendo: e forse in questa radice è stata individuata una delle maggiori difficoltà a contrastarne la struttura, che non è, come altre in passato, tesa a costruire un'organizzazione che prenda il predominio.
Inquadrando il tema delle dinamiche in termini più generali, con riferimento anche ai soggetti partecipanti alle proteste in questione, è stato evidenziato, nel corso delle audizioni, come - per quanto attiene le dimensioni e le caratteristiche della protesta in Italia - dagli esiti di una recente indagine del CENSIS chiamata «dell'antagonismo errante degli italiani», emerge la crescita di un fenomeno sociale di protesta allargata a diversi strati della popolazione, non limitata solo ai giovani o agli studenti. È un fenomeno che, stando allo studio condotto da tale istituto di ricerca nel luglio del 2012, coinvolge quasi il 18 per cento della popolazione maggiorenne: in sostanza, circa 9 milioni di persone, nell'ultimo anno, sono state coinvolte in manifestazioni di protesta.
L'incremento maggiore ha riguardato, in particolare, due fasce, sia quella dei laureati, che passano dal 16 al 24 per cento - quindi vi è un 8 per cento in più di italiani laureati che ha partecipato a manifestazioni - sia quella delle persone con il minor grado di istruzione, cioè che non ha neppure la licenza elementare, nella quale si passa dal 5 al 9 per cento, arrivando quasi al raddoppio.
In conclusione, dal quadro delineato nel corso dell'indagine conoscitiva emerge, in particolare, come le matrici del fenomeno della protesta violenta siano riconducibili, in primo luogo, alla crisi economica, che certamente acuisce le ragioni della protesta; accanto a ciò, le questioni maggiormente sentite sono quelle ambientali e quelle connesse alle rivendicazioni studentesche, connesse spesso a riforme altamente contestate, nonché, infine, contestazioni dell'autorità costituita che traggono origine, sullo sfondo, da ideologie di matrice politica. Vanno altresì tenute in considerazione le recenti pulsioni rivendicative, soprattutto da parte di alcune categorie interessate dai provvedimenti di liberalizzazione, tra cui la protesta degli autotrasportatori in Sicilia, innescata dal movimento dei Forconi e da Forza d'urto.
Nel corso dell'indagine svolta è stato ribadito altresì come il disagio sociale scaturito dalla crisi economica abbia spesso acuito i momenti di tensione e conflittualità con le stesse forze di polizia, offrendo terreno fertile a tentativi di strumentalizzazione.
Lo stesso Ministro dell'interno ha ricordato come, all'inizio del suo mandato, abbia manifestato alle Camere la fondata preoccupazione che la crisi economica, che attanaglia strati significativi della popolazione, possa essere l'innesco di manifestazioni di piazza aperte all'insidia di elementi disturbatori intenzionati a fomentare il dissenso e a far sì che esso possa assumere le tinte più violente e più fosche. Occorrono dunque - come sottolineato dal Ministro - moderazione, senso di equilibrio e di responsabilità, senza i quali il Paese rischierebbe di andare incontro a derive demagogiche alimentate da oblique intenzioni e non dal sincero spirito democratico di confronto, anche aspro, che può e deve caratterizzare la dialettica tra società civile e istituzioni. È altresì emersa con fermezza, in particolare nel corso dell'audizione dei rappresentanti


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sindacali delle forze di polizia e dei COCER, l'esigenza di promuovere forme costanti ed attente di dialogo sociale la cui mancanza dà luogo a fenomeni di aggressività sempre più difficili da contrastare da parte delle sole forze dell'ordine operanti in occasione di manifestazioni.

5. Conclusioni: criticità e punti di forza del sistema di prevenzione e di contrasto. Ipotesi di modifica del quadro normativo vigente.

I caratteri del fenomeno analizzato nel corso dell'indagine e le informazioni e le valutazioni raccolte consentono di trarre alcune conclusioni sui punti di forza del sistema attualmente applicato per prevenire e contrastare il fenomeno delle manifestazioni in forma violenta e di mettere a fuoco alcune criticità e possibili linee di intervento.
Innanzitutto, l'entità del fenomeno, come rappresentato e analizzato dai diversi organi dello Stato intervenuti nel corso dell'indagine, appare significativa e meritevole della massima attenzione sul piano qualitativo e delle dinamiche, ma circoscritta sul piano della frequenza e della diffusione.
I dati relativi al 2011 fanno registrare un totale di 10.461 manifestazioni oggetto di preavviso e di esame in seno al Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, con un incremento del 42 per cento rispetto alle manifestazioni dello stesso tipo registrate nel 2008 e nel 2009. Allo stesso tempo, solo nell'1.8 per cento dei casi ci sono stati «episodi di effervescenza», come li ha definiti il Capo della Polizia, che sono andati dai semplici fischi a scontri con le forze dell'ordine.
I dati relativi al 2012, forniti nell'audizione del dicembre scorso dal Ministro dell'interno riferiscono di un totale di più di 10.000 manifestazioni del tipo sopra descritto, a fronte delle quali solo 398 hanno fatto registrare criticità più o meno acute, dato che rappresenta meno del 4 per cento del totale. Si rileva un aumento rispetto al 2011, ma si tratta di un dato comunque rassicurante, a giudizio del Ministro.
Si può quindi affermare che, pur in presenza di un livello elevato di attenzione e di vigilanza, il fenomeno oggetto di indagine da parte della I Commissione è da considerarsi al momento circoscritto e affrontato in modo complessivamente idoneo dalle forze dell'ordine e dagli apparati di sicurezza.
Questi risultati sono il frutto di alcune linee di intervento elaborate e applicate alla luce delle esperienze del passato, a partire dalle vicende del G8 di Genova del 2001.
In particolare, l'attività di prevenzione e la formazione del personale costituiscono i pilastri su cui si fonda una attività di contrasto delle manifestazioni in forma violenta da un lato efficiente, dall'altro pienamente rispettosa della libertà di riunione e di manifestazione garantita dalla Costituzione.
La Scuola per la tutela dell'ordine pubblico, istituita con decreto del Capo della Polizia del 24 ottobre 2008, mira a garantire, come hanno sottolineato il Ministro dell'interno, il Capo della Polizia, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, e i rappresentanti dei Cocer e dei sindacati intervenuti, una adeguata formazione professionale a tutti gli operatori delle forze dell'ordine. Una formazione che, rispetto alla gestione di un fenomeno così delicato e complesso per il sistema democratico come le manifestazioni di piazza, sia in grado di mettere al centro il diritto costituzionale a manifestare e a protestare nel rispetto della legalità. La Scuola, che ha un approccio didattico incentrato sull'apprendimento dalle buone pratiche e sulla messa a punto dei comportamenti errati da evitare, consente di individuare, grazie anche all'insegnamento di persone che hanno maturato una diretta esperienza sul campo, tecniche idonee ad affrontare situazioni di particolare difficoltà e complessità operativa, con l'obiettivo di circoscrivere il contrasto verso i soli manifestanti violenti e in modo da evitare il più possibile il contatto fisico con i manifestanti.
La formazione del personale costituisce un punto centrale, perché punta sulla


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piena affermazione del ruolo delle forze di polizia non come strumenti di repressione ma come presìdi a tutela dei diritti dei cittadini.
È questo un punto di particolare rilevanza, perché, oltre ad essere fondamentale nella gestione concreta di situazioni assai difficili, rappresenta un traguardo irrinunciabile per ogni democrazia evoluta.
Peraltro, con riferimento all'attività di formazione, è emersa una criticità con riguardo alle risorse disponibili, che hanno finora consentito solo ad una limitata percentuale dei contingenti in servizio di frequentare i corsi della Scuola.
Con riferimento alla strumentazione in dotazione alle Forze di Polizia, alcune organizzazioni sindacali hanno sottolineato la necessità di garantire al personale mezzi più moderni, volti in particolare a evitare il contatto diretto con i manifestanti violenti. In particolare, si è fatto riferimento alla necessità di poter fare affidamento su strumenti di protezione adeguati e di poter disporre di idranti più efficienti.
Risultano allo studio da parte delle forze di polizia nuovi tipi di armi e nuovi strumenti, come i proiettili di gomma e il capsicum che dà maggiore virulenza al lacrimogeno. Ma è emersa in generale una cautela su questi mezzi che possono risultare particolarmente tossici o colpire anche persone estranee.
Ad ogni modo tanto i responsabili delle forze dell'ordine, quanto i Cocer e le organizzazioni sindacali hanno convenuto sul carattere secondario di queste soluzioni a fronte della rilevanza della attività di prevenzione e soprattutto di formazione del personale.
In questo ambito di riflessione, è stata esaminata anche la proposta di applicare sui caschi o sulle divise degli agenti impiegati nel servizio di ordine codici identificativi che ne permettano la identificazione per agevolare le indagini in caso di scontri tra polizia e manifestanti. Tale ipotesi ha ricevuto critiche unanimi da parte dei rappresentanti dei Cocer e delle organizzazioni sindacali, perché potrebbe diventare strumento di ritorsione e di aumento esponenziale del rischio professionale degli operatori delle forze dell'ordine. Anche il Ministro dell'interno ha affermato che si tratta di materia delicata e complessa e che va in ogni caso salvaguardata, accanto al fondamentale diritto dei cittadini di manifestare, la garanzia che gli operatori possano svolgere il loro rischioso e gravoso compito in condizioni di serenità.
Il secondo punto cardine è quello della prevenzione. Su questo piano, da un lato è emerso che gli apparati dello Stato possiedono un quadro informativo molto ampio e molto analitico delle dinamiche che sottostanno ai fenomeni indagati.
Le informazioni sono numerose e la conoscenza dei fenomeni risulta approfondita e costantemente aggiornata e richiede sempre più l'utilizzo di sofisticate applicazioni informatiche, per poter comporre i dati disponibili in una visione d'insieme.
Rimane, inoltre, valido il ricorso alle tecniche del contatto confidenziale e dell'infiltrazione nelle organizzazioni da parte di personale degli apparati di sicurezza.
Grazie a questa attività è possibile individuare le situazioni di maggior rischio ed è possibile seguire l'evoluzione dei movimenti che promuovono manifestazioni in forma violenta.
Vi sono tuttavia delle caratteristiche che riguardano sia la struttura dei movimenti sia le loro tecniche di azione, come sopra si è visto, che spesso rendono difficoltoso tradurre operativamente le informazioni in tecniche preventive.
Come si è accennato, il fatto che, soprattutto negli ambienti anarco-insurrezionalisti, si adottino tecniche di mimetizzazione nelle fasi antecedenti le manifestazioni (giungere nella città ospitante in ordine sparso e con abbigliamento ordinario, senza portare con sé strumenti di offesa, che vengono fatti trovare in loco) non consente di attivare i tradizionali sistemi di prevenzione, peraltro controversi, fra i quali il fermo di polizia, che un tempo consentiva di bloccare in anticipo i manifestanti violenti.


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Il fenomeno dell'anarco-insurrezionalismo impone, inoltre, alcune riflessioni sull'adeguatezza del nostro sistema legislativo di prevenzione e repressione, nonostante esso, sia giudicato assai positivamente - come ricordato dal capo della Polizia di Stato - dalle forze di polizia degli altri Paesi, con particolare riguardo alla lotta alla mafia e al terrorismo. È emerso dall'indagine che il fenomeno dell'anarco- insurrezionalismo presenta caratteri difficilmente riconducibili alle fattispecie di reato esistenti dell'associazione a delinquere, dell'associazione di stampo mafioso e della banda armata. Il Capo della Polizia ha profilato l'utilità di riflettere su una nuova eventuale fattispecie di reato che tenga conto del carattere spontaneistico e non gerarchico del fenomeno, configurando una nuova associazione nella quale l'elemento organizzativo si coniughi con una modalità di azione nella quale è il singolo aderente ad agire spontaneamente e non per ordine del vertice dell'organizzazione.
Nel corso delle audizioni, è stato osservato da diversi deputati come la scarsa strutturazione dei movimenti anarco-insurrezionalisti, poco inclini, per loro natura o per cultura politica, a strutturarsi in organizzazioni vere e proprie, renda difficile il ricorso a reati di tipo associativo che consentono di irrogare pene più severe. Alcuni commissari hanno, in particolare, sottolineato che si è assistito negli ultimi anni, ad esempio sul versante della Federazione anarchica informale, ad arresti che hanno poi portato a condanne piuttosto lievi, perché i reati ascrivibili erano limitati e in ogni caso non riconducibili a fattispecie associative.
Peraltro, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha sottolineato la efficace applicazione in alcune circostanze della fattispecie dell'articolo 270-bis del codice penale (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico) e l'esigenza di riflettere su nuove ipotesi di reato evitando, tuttavia, di ritagliare eccessivamente le fattispecie sui casi specifici, perché in tal modo si rischia di ridurre il grado di astrattezza della fattispecie e quindi di ridurne l'applicabilità. Inoltre, il direttore dell'AISI ha messo in luce come negli ultimi tempi il movimento anarco-insurrezionalista stia compiendo un salto di qualità che lo porta ad una maggiore organizzazione, che potrebbe rendere più agevole l'applicazione di fattispecie di reato di tipo associativo già disciplinate.
In ogni modo, su questo aspetto è emersa una generale condivisione sulla necessità di riflettere nella prossima legislatura sulla opportunità di intervenire eventualmente con nuove fattispecie di reato.
Un altro aspetto su cui si è registrata una certa convergenza è quello che riguarda l'introduzione dell'arresto in flagranza differita, che consentirebbe di intervenire sfruttando le registrazioni effettuate nel corso di manifestazioni e contribuirebbe a rafforzare l'attività di repressione del fenomeno. A Roma, in occasione della manifestazione del 15 ottobre 2011 sono stati identificati e denunciati oltre trecento partecipanti, grazie all'utilizzo dei filmati.
Non altrettanto convergenti sono state, invece, le opinioni sulla introduzione di un istituto analogo al DASPO (divieto di accedere alle manifestazioni sportive) in caso di manifestazioni a carattere politico. Il DASPO, nella legislazione vigente, è un provvedimento inibitorio adottato dal questore volto ad impedire al tifoso violento l'accesso agli impianti sportivi, così da contenerne le potenzialità criminose.
Il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha sottolineato la rilevante differenza tra l'applicazione dell'istituto in relazione a uno stadio - un luogo chiuso e al quale si accede con un biglietto - e la sua applicazione in relazione ad una piazza in cui si svolge una libera manifestazione: potrebbe trattarsi di una generalizzazione penalizzante, difficile da attuare e in ogni caso non facilmente compatibile con un diritto incomprimibile come quello sancito dall'articolo 17 della Costituzione. Dubbi di costituzionalità


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sono stati sollevati in riferimento all'estensione del DASPO anche dal Ministro dell'interno.
Infine, un punto di particolare rilevanza è risultato quello del coordinamento tra le diverse forze di polizia e tra queste e i Servizi di sicurezza.
Se da una parte, alcuni commissari hanno rappresentato l'esigenza di riflettere sul modello di organizzazione delle forze dell'ordine e più in generale sull'assetto normativo contenuto nella legge n. 121 del 1981, è emerso dalle audizioni un quadro positivo in ordine alla intensità, alla sistematicità dei rapporti di collaborazione fra i diversi organi coinvolti nell'attività di prevenzione e di contrasto dei fenomeni indagati.
Il Capo della Polizia e il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri hanno sottolineato con forza la positività e l'utilità della stretta e costante collaborazione fra le forze di polizia, così come il direttore dell'AISI ha affermato che esiste una istanza di coordinamento ben funzionante presso il Ministero dell'interno, denominata CASA, Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, nel quale siedono le Agenzie di informazione e le Forze di Polizia e nella quale avviene una osmosi fra il patrimonio informativo delle singole organizzazioni. Esiste, in ogni caso, ha assicurato il direttore, una costante attività informativa nei confronti degli organi governativi. Il direttore dell'AISI ha inoltre assicurato che il DIS (Dipartimento informazioni per la sicurezza) sviluppa in maniera continua e permanente la propria attività di coordinamento fra le Agenzie, mentre ha sottolineato come, pur a fronte di un costante raccordo fra le due Agenzie, AISI e AISE (Agenzia Informazioni Sicurezza Esterna), la materia oggetto dell'indagine rientra nella competenza dell'AISI, risultando, pertanto, assolutamente limitate le esigenze di coordinamento.
In conclusione, si è registrato sia negli interventi dei soggetti ascoltati in audizione sia negli interventi dei deputati, un ampio e generale consenso sulla necessità di tenere alta l'attenzione sui fenomeni indagati e sull'esigenza che il Parlamento, attraverso i diversi organi a ciò preposti, mantenga una conoscenza costante delle dinamiche in atto e possa eventualmente mettere a punto nella prossima legislatura, se lo riterrà, gli interventi volti a rafforzare l'attività di prevenzione e di contrasto di ogni forma di violenza nell'ambito delle manifestazioni, consentendo al personale delle forze di polizia di svolgere con professionalità, competenza ed equilibrio il proprio compito di tutela dell'ordine democratico a garanzia del libero esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini.


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ALLEGATO 2


Indagine conoscitiva sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure di prevenzione e di contrasto di tali fenomeni.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. Oggetto e svolgimento dell'indagine conoscitiva.

L'Ufficio di presidenza della Commissione Affari costituzionali, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 12 gennaio 2012, ha convenuto di proporre alla Commissione di svolgere una indagine conoscitiva «sui recenti fenomeni di protesta organizzata in forma violenta in occasione di manifestazioni e sulle possibili misure di prevenzione e di contrasto di tali fenomeni».

Acquisita l'intesa con il Presidente della Camera ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, la Commissione, nella riunione del 18 gennaio 2012 ha deliberato in senso favorevole allo svolgimento dell'indagine, fissando la conclusione al 31 luglio 2012. Tale termine è stato prorogato, nella seduta del 31 luglio 2012, al 31 dicembre 2012. In data 4 dicembre 2012 la Commissione ha deliberato un'integrazione del programma dell'indagine conoscitiva.

L'indagine conoscitiva si è proposta di fare luce sui fenomeni di protesta organizzata in forma violenta contro forze dell'ordine, istituzioni e privati da parte di gruppi anonimi che a questo scopo si infiltrano in manifestazioni e cortei promossi da dimostranti pacifici, come avvenuto in Valle di Susa il 3 luglio 2011 e a Roma il 15 ottobre 2011.
Le finalità dell'indagine conoscitiva sono state, in particolare, quelle di approfondire i seguenti profili:
la natura, la composizione sociale, le motivazioni, l'organizzazione, l'effettiva coesione interna e il grado di pericolosità dei gruppi in questione;
le dinamiche che hanno portato negli ultimi anni a una crescita di questo tipo di protesta;
l'effettiva portata del rischio che questo fenomeno diventi in futuro endemico, con evidenti ripercussioni non solo sulla sicurezza dei cittadini, ma anche sulla vita democratica del paese, della quale manifestazioni e cortei pacifici costituiscono un aspetto fisiologico;
le misure da adottare per prevenire e contrastare il fenomeno in questione.

L'attività conoscitiva è consistita nello svolgimento di audizioni e nell'acquisizione di documentazione. Il programma ha previsto l'audizione del Ministro dell'interno, dei responsabili delle forze di Polizia preposte al mantenimento dell'ordine pubblico, del Direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), del Comandante della polizia municipale di Roma, e di rappresentanti del Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS). Il programma è stato successivamente integrato con la previsione dell'audizione di rappresentanti di organizzazioni sindacali delle forze di polizia e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza.

In particolare:
il 22 febbraio 2012 si è svolta l'audizione del Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli;
nella seduta del 14 marzo 2012 la Commissione procedeva all'audizione del Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Generale di Corpo d'Armata, Leonardo Gallitelli;


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nella seduta del 18 aprile 2012, ha avuto luogo l'audizione del Comandante generale della Guardia di finanza, Generale di Corpo d'Armata, Nino Di Paolo;
il 9 maggio 2012 è stato audito il Capo del Corpo forestale dello Stato, ingegner Cesare Patrone;
nella seduta del 23 maggio 2012 la Commissione procedeva all'audizione del Direttore dell'agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), generale Giorgio Piccirillo;
nella seduta del 10 ottobre 2012 ha avuto luogo l'audizione del Direttore generale del Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS), dottor Giuseppe Roma;
nella seduta del 28 novembre 2012 la Commissione ha proceduto all'audizione del Comandante generale del corpo di polizia locale di Roma capitale, Carlo Buttarelli;
nella seduta del 6 dicembre 2012 la Commissione ha audito i rappresentanti di organizzazioni sindacali delle forze di polizia e di rappresentanti del COCER dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza. Sono intervenuti Saverio Cotticelli, rappresentante del COCER dell'Arma dei carabinieri; Bruno Bartoloni, rappresentante del COCER del Corpo della Guardia di finanza; Giancarlo Vitelli, rappresentante della CONSAP; Franco Maccari, rappresentante della Federazione COISP; Vincenzo Chianese, rappresentante della Federazione UIL Polizia-ANIP ITALIA SICURA; Nicola Tanzi, rappresentante del SAP; Enzo Marco Letizia, rappresentante del SIAP-ANFP; Claudio Giardullo, rappresentante del SILP per la CGIL; Felice Romano, rappresentante del SIULP; Valter Mazzetti, rappresentante dell'UGL; Stefano Citarelli, rappresentante della CGIL-CFS; Piergiorgio Cortesi, rappresentante della CISL-FNS per il Corpo forestale dello Stato; Marco Moroni, rappresentante del SAPAF, intervenuto a nome anche del FESIFO e dell'UGL - Corpo forestale dello Stato; Massimiliano Violante, rappresentante della UIL-CFS;
infine, nella seduta del 19 dicembre 2012 ha avuto luogo l'audizione del Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri.

2. Il quadro normativo.

Lo svolgimento di manifestazioni in luoghi pubblici è disciplinato da norme che attengono alla pubblica sicurezza. La disciplina riguarda tanto le attività di polizia, volte ad assicurare la sicurezza attraverso il rispetto delle norme di legge, quanto le attività finalizzate alla prevenzione di eventi che possano arrecare danno ai cittadini.
Dal punto di vista dei soggetti cui sono assegnate funzioni di pubblica sicurezza, tale disciplina fa riferimento al personale che espleta funzioni di polizia, espressamente individuato dalla legge 1o aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza).
L'articolo 16 della citata legge stabilisce che, ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla polizia di Stato sono forze di polizia, fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze, l'Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza e il Corpo della guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica; sono altresì forze di polizia e possono quindi essere chiamati a concorrere nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato (ai sensi della legge n. 36 del 2004 il Corpo forestale è una Forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile che, oltre alle proprie specifiche competenze, concorre nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi della legge n. 121 del 1981).
Nel corso dei dibattiti promossi in occasione delle audizioni svolte, più volte la discussione si è incentrata sulla materia del coordinamento delle Forze di Polizia in ossequio alla necessità di rispondere ad una sempre più avvertita esigenza di razionalizzazione delle potenzialità strutturali ed operative delle singole Forze, ottimizzando l'impiego e la distribuzione delle rispettive risorse ed integrando l'organizzazione e l'attuazione dei rispettivi servizi alla stregua di una comune e sistematica pianificazione.
Per quanto rileva in questa sede, si rammenta che, nell'ambito dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza è istituito, ex articolo 4 della legge n. 121 del 1981, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza


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che provvede, tra l'altro, al coordinamento tecnico-operativo delle Forze di Polizia; accanto a questo, l'Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia (articolo 6-12), come ufficio di staff del predetto Dipartimento, rappresenta il centro nevralgico di tutto il sistema di coordinamento disegnato con la legge n. 121 del 1981, sia per il carattere integralmente interforze sia per il particolare modus operandi a stretto e diretto contatto con Comandi e Direzioni Centrali delle singole Forze di Polizia sia per la speciale collocazione ordinamentale all'interno dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza.
Avuto ancora riguardo anche alle istanze emerse nell'ambito dell'indagine, si segnala che altri soggetti titolari del potere di coordinamento contemplati dal Capo I della legge n. 121 del 1981 sono il Prefetto e il Questore, entrambe autorità provinciali di pubblica sicurezza, la prima con una responsabilità di tipo politico/amministrativa, la seconda di tipo tecnico/operativa (invero, al fine di esercitare in maniera piena le proprie funzioni, entrambi devono essere tempestivamente informati dai responsabili locali dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza su quanto, comunque, abbia attinenza con l'ordine e la sicurezza pubblica nella provincia).
Infine, si ricorda che, per esigenze di coordinamento, è stato emanato il decreto ministeriale 28 aprile 2006 (Riassetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia) che interviene sull'assetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia, in coerenza con l'evoluzione del quadro normativo di settore, nella cornice unitaria della responsabilità generale in materia di ordine e sicurezza pubblica affidata al Ministro dell'interno dalla legge n. 121 del 1981.
Dal punto di vista dell'attività di regolamentazione dell'ordine pubblico, è bene aver presente che la polizia di sicurezza si concreta essenzialmente in un'attività di prevenzione, tendente a impedire il compimento di atti contrastanti con l'ordinamento giuridico (leggi, regolamenti e provvedimenti delle autorità) oppure in grado comunque di infrangere l'ordinata e sicura convivenza civile (tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica).
Per tale materia, la legge di riferimento, oltre alla citata legge 1o aprile 1981 n. 121, espressamente richiamata anche dall'articolo 160, comma 2, del decreto legislativo n. 112 del 1998, è ancora costituita dal Testo unico delle leggi di sicurezza (Regio Decreto 18 giugno 1931 n. 773, il cosiddetto TULPS, e dal relativo regolamento di esecuzione (Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635). Questa normativa, introdotta nell'ordinamento anteriore alla Costituzione, ha subìto, però, numerose e profonde modifiche sia a seguito di pronunce della Corte costituzionale, che per opera di successive leggi, soprattutto nel campo della polizia amministrativa. Esiste, poi, una copiosa stratificazione normativa di carattere speciale riguardante temi specifici quali armi, associazioni segrete, criminalità, ordine pubblico, mafia, stupefacenti ecc.; l'intero impianto normativo sopra menzionato si colloca nell'ambito delle tutele apprestate in tema di libertà di riunione ex articolo 17 della Costituzione. Infatti, è alla luce di tale disposizione che devono essere lette e interpretate tanto la legislazione ordinaria quanto la normativa secondaria e le numerose direttive e circolari amministrative in materia.
Più specificamente, la prevenzione attuata attraverso la polizia di sicurezza si fonda sostanzialmente su due ordini di interventi. Il primo di essi è rappresentato dalle attività finalizzate al riscontro e alla ricerca di situazioni «oggettive» di pericolo o di inizio di attività criminose, funzionali alle attività di controllo a tutela dell'ordinato vivere civile e della pubblica incolumità: operazioni di vigilanza, imposizione di obblighi vari, autorizzazioni, licenze o atti di rimozione di divieti di competenza del prefetto o del questore, e, in alcuni casi, anche del sindaco quale autorità locale di pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000, il Testo unico degli enti locali, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge n. 92 del 2008.


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L'altro ordine di interventi si fonda, invece, su presunte condizioni «soggettive» di pericolosità, che il decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), collega a categorie di persone considerate pericolose per la pubblica sicurezza sulla base di un giudizio di valore delle stesse, che è di competenza dell'autorità di polizia. Gli interventi nei confronti di siffatte persone si concretano in misure di prevenzione, in genere limitative della libertà personale. Il quadro di tali misure, originariamente delineato dal TULPS come sistema di misure di polizia applicate dalla polizia stessa, è stato oggetto di notevoli mutamenti ai fini del suo adeguamento ai principi costituzionali, soprattutto a quelli che esigono la garanzia giurisdizionale.
Con particolare riferimento alla tematica trattata dall'indagine conoscitiva si ricorda che l'articolo 17 della Costituzione prescrive che le riunioni si svolgano pacificamente e senz'armi prevedendo che siano soggette a preavviso alle autorità ove si tengano in luogo pubblico. Se tutte le riunioni sono tutelate nella misura in cui si non risultino lesive dell'ordine pubblico in senso materiale (e, quindi, si connotino per l'assenza di violenza fisica e di disordini), per quelle in luogo pubblico, che avvengono in ambiti ai quali tutti possono liberamente accedere senza soggiacere a particolari condizioni o possedere specifici requisiti, si pone l'ulteriore problema della tutela della sicurezza e dell'incolumità dei terzi non partecipanti.
L'autorità di pubblica sicurezza assiste alle riunioni per mezzo dei suoi funzionari ed agenti (articolo 22 del Regio Decreto n. 635 del 1940) e quando, nei casi sopra ricordati, occorre sciogliere una riunione pubblica o un assembramento, invita i partecipanti a disciogliersi (articolo 22 del TULPS); qualora rimangano senza effetto anche le intimazioni a disciogliersi ovvero queste non possano essere fatte a fronte di una rivolta od opposizione, l'autorità di pubblica sicurezza ordina che la riunione o l'assembramento siano disciolti con la forza. All'esecuzione di tale ordine provvedono la forza pubblica e la forza armata sotto il comando dei rispettivi capi (articoli 23-24 del TULPS). A tal proposito occorre menzionare l'impiego dei reparti mobili della Polizia di Stato, strutture operative utilizzate come risorsa di pronto impiego per la tutela dell'ordine pubblico, i quali, ai sensi del decreto ministeriale 11 febbraio 1986, sono suddivisi in nuclei e squadre. Con una nota del 18 luglio 2012, il Ministero dell'Interno ha formulato una bozza di decreto ministeriale concernente l'organizzazione e le dotazioni di personale dei reparti mobili, nella quale fra l'altro, all'articolo 1, è prevista l'abrogazione del decreto dell'11 febbraio 1986. La bozza prevede anche un aumento del personale in organico (da 4700 a 6000 unità) e una rimodulazione del numero di nuclei presenti nelle quindici sedi dei reparti attualmente in funzione a livello nazionale.
Il quadro normativo che fa da sfondo alle manifestazioni pubbliche comprende, inoltre, le disposizioni di cui alla legge 22 maggio 1975 n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, la cosiddetta legge Reale) che, all'articolo 5, come modificato dal decreto-legge n. 144 del 2005, punisce il travisamento operato attraverso l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo (è facoltativo l'arresto in flagranza). In aggiunta si ricorda che l'articolo 4 della legge 18 aprile 1975 n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) oltre a recare il divieto generale, salvo autorizzazioni previste dal TULPS, di portare fuori della propria abitazione armi o altro oggetti atti a offendere proibisce di portare i medesimi oggetti nelle riunioni pubbliche anche alle persone munite di licenza.
Avuto riguardo alle manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili, infine, merita citare la direttiva del Ministro


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dell'interno del 26 gennaio 2009, la quale, dopo aver affermato che l'esercizio del diritto di riunione deve svolgersi nel rispetto di altri diritti costituzionalmente garantiti e delle norme che disciplinano l'ordinato svolgimento della convivenza civile, ha definito i criteri che devono orientare le decisioni di Prefetti e Questori in materia. Tali limiti potranno operare specialmente quando ci siano state precedenti manifestazioni, con stesso oggetto e organizzazione, che abbiano turbato l'ordine e la sicurezza pubblica.
Ai sensi dell'articolo 1, della legge n. 121 del 1981, la direttiva è stata emanata per le pubbliche manifestazioni, con l'invito ai Prefetti a stabilire regole - d'intesa con i Sindaci - e sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, per sottrarre alcune aree alle manifestazioni; prevedere, ove necessario, forme di garanzia per gli eventuali danni e per prevedere altre indicazioni per lo svolgimento delle manifestazioni. Tali determinazioni (da condividere il più possibile con le forze politiche e sociali) troveranno forma in un apposito provvedimento del Prefetto, inizialmente anche in forma sperimentale.

3. Caratteristiche e grado di pericolosità dei gruppi violenti e rischio che il fenomeno diventi endemico.

I dati acquisiti nel corso dell'indagine denotano che, a fronte di più di 10.000 manifestazioni annue svoltesi in ciascuno degli anni 2011 e 2012, si sono registrate criticità più o meno acute in un numero circoscritto di casi (187 nel 2011 e 398 nel 2012).
Il panorama antagonista, come ricordato dal Direttore dell'AISI, è riconducibile a tre principali componenti: un'area moderata attestata su posizioni pacifiche e non violente, intenzionata a canalizzare la conflittualità sociale in azioni di protesta diversificate e in manifestazioni nei territori, con l'obiettivo di avviare un'ampia mobilitazione popolare, considerata massima espressione di democrazia partecipativa; una componente in posizione intermedia, che predilige interventi finalizzati a ottenere visibilità e consenso, determinata, pertanto, a innalzare il livello della protesta, ma senza il ricorso ad azioni estreme, che considera controproducenti per l'immagine del movimento; e, infine, una componente radicale, in cui confluiscono trasversalmente gruppi marxisti-leninisti, militanti autonomi e frange anarco-insurrezionaliste, determinati a esprimere la propria indignazione con ogni mezzo, non escludendo il ricorso a pratiche violente e distruttive.
Le audizioni dei responsabili delle forze di polizia e dei servizi di sicurezza interni, nonché del Ministro dell'interno, hanno permesso di ottenere un quadro dettagliato di quest'area radicale del movimento di protesta che ha dato vita a episodi di violenza nel corso di manifestazioni come quella di Roma del 15 ottobre 2011 o quelle NO-TAV della Val di Susa del 3 luglio 2011.
L'area radicale è ad esempio molto radicata in Val di Susa, dove sono presenti stabilmente personaggi di spicco sia dell'anarchia radicale che dell'autonomia operaia e dove il centro sociale «Askatasuna» e i referenti dell'insurrezionalismo anarchico piemontese hanno avuto un ruolo predominante nel catalizzare le istanze antisistema del movimento No-TAV.
La pericolosità dell'infiltrazione di quest'area radicale all'interno di manifestazioni consiste, come rilevato dal Capo della Polizia, nel fatto che i suoi esponenti ricorrono ad una organizzazione da autentica guerriglia: arrivano nella città dove si svolge la manifestazione vestiti in un certo modo e partecipano alla manifestazione vestiti in un altro. Non giungono armati in quanto spranghe, coltelli, e via dicendo, vengono collocati sul posto in precedenza. Usano tecniche di scontro mutuate dal repertorio militare classico (l'uso di arieti e catapulte) e da quello rivoluzionario (l'incursione «mordi e fuggi»), allo scopo di trasformare le manifestazioni medesime in una vera e propria guerriglia che mette in difficoltà i tutori dell'ordine pubblico. La pratica del


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«mordi e fuggi», in particolare, consente di colpire obiettivi e di fuggire poi in mezzo ai manifestanti pacifici, rendendo così difficile l'identificazione dei responsabili da parte delle forze dell'ordine.
Dall'indagine è emerso anche come la frammentarietà dell'organizzazione di manifestazioni come quella di Roma del 15 ottobre 2011 (promossa da più soggetti contemporaneamente) ne renda difficile la gestione da parte degli organizzatori medesimi, a differenza di quanto avveniva per le manifestazioni sindacali o politiche delle organizzazioni di massa della seconda metà del secolo scorso.
Nell'analizzare nello specifico la composizione e i gruppi dell'area antagonista radicale, come è emersa dall'indagine conoscitiva, è prima di tutto da rilevare la presenza, in essa, del circuito dei centri sociali, il quale è tipicamente strutturato sul territorio in modo flessibile e informale, nel senso che è lasciata ai militanti la piena libertà sul proprio territorio di decidere le modalità di intervento ritenute più opportune a dar voce al dissenso, come sancito nel febbraio 2009 a Bologna dall'Assemblea nazionale del Global meeting network.
È emerso altresì che il numero dei centri sociali è di circa 350, con picchi di presenza nel Lazio, 59 centri; in Campania, 56 centri; e in Lombardia, 46 centri. Il loro impegno sul territorio è in chiave antimilitarista (opposizione alla costruzione della base NATO a Vicenza), ambientalista (opposizione alla ferrovia ad alta velocità Torino-Lione) o genericamente antirepressiva (opposizione ai CIE, i centri di identificazione ed espulsione).
Spesso i centri sociali saldano la loro lotta con quella dei collettivi studenteschi e universitari, che fondano la loro protesta nella resistenza contro la riforma del sistema scolastico ed universitario. Pure in questo caso si tratta di una galassia eterogenea, che vede anche la presenza di gruppi di estrema destra, come Blocco studentesco e Lotta studentesca.
A tal proposito è emerso - in particolare dall'audizione del Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri - come la destra radicale riservi una particolare attenzione al sociale e al mondo del lavoro, alle problematiche della casa, dell'occupazione giovanile e del precariato. L'interesse della destra radicale per tali obiettivi ha determinato una sorta di invasione in ambiti di protesta tradizionalmente ritenuti tipici dei movimenti di estrema sinistra, fattore che crea situazioni di conflitti anche violenti tra le due aree. Anche nell'estrema destra si configura poi una contrapposizione, quanto alla interpretazione della lotta al sistema, tra gruppi violenti e gruppi più propensi a cercare una vicinanza con ambienti «ufficiali» che rappresentino le loro motivazioni di protesta.
Permangono all'interno dell'area antagonista gruppi che si ispirano a una matrice marxista-leninista e che ripropongono la contrapposizione di classe con riferimento al sociale e al mondo del lavoro, tentando di inserirsi strumentalmente - ma al momento senza successo - nelle vertenze occupazionali, soprattutto nel Centro-Nord.
Il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha osservato come, nonostante permanga in questi ambienti una certa suggestione del passaggio alla lotta armata, non sia stato rilevato alcun segno di operatività di quella frangia che, semplificando, può essere definita «brigatista».
Un altro aspetto rilevato nel corso dell'indagine è la partecipazione alle manifestazioni di protesta di frange violente del tifo calcistico organizzato. Ad esempio, negli incidenti di Roma del 15 ottobre 2011 sono stati coinvolti soggetti senza una formazione ideologica politicamente connotata, ma appartenenti a gruppi ultras vicini alla sinistra antagonista, come i Fedayn, gruppo della tifoseria romanista, o facenti parte di altre tifoserie come quella napoletana.
Ma la componente di cui tutti i responsabili delle forze di polizia hanno sottolineato la rilevanza nell'area radicale, il ruolo trainante e la pericolosità è quella dell'anarco-insurrezionalismo, individuata nelle cellule che si riconoscono nella o si richiamano alla Federazione Anarchica


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Informale (FAI). In particolare il Capo della Polizia ha tenuto ad osservare come quello dell'anarco-insurrezionalismo sia un fenomeno che, con riguardo alla sua pericolosità, è stato sottovalutato e poco compreso anche mediaticamente. Si tratta di un fenomeno che - secondo quanto affermato dallo stesso Capo della Polizia - in Italia solo per puro caso non ha ancora fatto registrare morti, come avvenuto in altri Paesi, come la Grecia.
Un elemento caratterizzante delle cellule anarco-insurrezionaliste, nonché un indice della loro pericolosità, è la loro transnazionalità. La FAI partecipa al Fronte rivoluzionario internazionale, promosso dall'omologa organizzazione greca Cospirazione delle Cellule di fuoco, che si ripromette di mettere in atto violente azioni antisistema. L'azione delle cellule della FAI e delle sue consociate a livello internazionale non si esaurisce nella violenza esercitata durante manifestazioni di piazza, ma si estrinseca anche in azioni dirette, portate avanti da gruppi affini o anche da individui singoli con attentati (ad esempio quelli del dicembre 2011 alla Deutsche Bank di Francoforte e alla sede romana di Equitalia con il ferimento del direttore generale o l'attentato dinamitardo del marzo 2012 all'agenzia del Monte dei Paschi di Siena, rivendicato da un gruppo denominato Nucleo sociale, affine alla FAI). È da rilevare che, se in un primo momento gli attacchi anarco-insurrezionalisti erano indirizzati a colpire obiettivi dell'apparato istituzionale degli Stati, con l'acuirsi della crisi economica gli obiettivi degli attentati sono diventati anche i centri del potere economico-finanziario, ritenuti responsabili del disagio delle fasce popolari più deboli.
Le caratteristiche della FAI e delle sue cellule sono non solo lo spontaneismo - tratto classico dei movimenti di matrice anarchica - ma anche l'esistenza di una struttura che però non evolve mai in un'organizzazione gerarchica. Anzi, nell'anarco-insurrezionalismo viene consigliata l'impermeabilità di tale struttura, sino alla necessità che i militanti non si conoscano tra loro: aspetto questo sottolineato dal Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e che richiama tecniche utilizzate da gruppi di altra matrice negli anni settanta. Questo, come rileva sempre il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, porta a rinvenire due volti nel militante anarco-insurrezionalista: uno palese nella partecipazione alle manifestazioni di protesta di massa e uno occulto che si esprime nella azioni dirette.
Dall'indagine conoscitiva è emerso come non sussistano forme di reclutamento e addestramento, nel senso tradizionale, dei militanti anarco-insurrezionalisti. Il Comandante generale dell'arma dei Carabinieri ha osservato come il reclutamento avvenga su un'adesione individuale, spontanea, che parte dalle forme di ribellismo, tipiche dell'anarchismo. Rilevante, in quest'ambito, il ruolo comunicativo di internet, dove il militante può reperire documenti e manifesti programmatici dell'anarchismo insurrezionale, ma anche (come riferito dal Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri) istruzioni su come confezionare un ordigno esplosivo.
La composizione conosciuta dell'area anarco-insurrezionalista, come evidenziato in particolare dal Capo della Polizia, è fatta di militanti «storici» dell'anarchismo, noti da molto tempo alle forze dell'ordine, ma anche di numerosi giovani, anche minorenni, come si è potuto constatare con l'identificazione dei soggetti responsabili degli episodi violenti della manifestazione di Roma del 15 ottobre 2011.
Nella sua audizione del 22 febbraio 2012 il Capo delle Polizia ha chiarito che l'area anarco-insurrezionalista, secondo quanto annunciato dai suoi componenti, è pronta ad uccidere anche in Italia. Nella sua audizione del 14 marzo 2012, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, riferendosi ad azioni dirette contro le persone, ha sottolineato la fondatezza dell'allarme avanzato dal Capo della Polizia.
La fondatezza delle preoccupazioni manifestate dai vertici della Polizia e dei Carabinieri ha trovato riscontro in fatti


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successivi. Il 7 maggio 2012 un dirigente del gruppo Ansaldo, Roberto Adinolfi, è stato ferito a Genova in un attentato compiuto con armi da fuoco e rivendicato dal nucleo Olga, aderente alla FAI. A questo attentato ha fatto riferimento nell'audizione del 23 maggio 2012 il direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), sottolineando come l'episodio di Genova e l'innalzamento del livello di intervento con il ricorso alle armi era già annunciato nei documenti dell'organizzazione FAI dei mesi precedenti. Il direttore dell'AISI ha citato anche un documento proprio del nucleo Olga, nel quale venivano criticate come sterili le manifestazioni di alcuni gruppi insurrezionalisti in Val di Susa.
Lo stesso direttore dell'AISI ha sottolineato come, con il passaggio all'azione diretta armata delle cellule della FAI, azione che necessita di organizzazione e premeditazione, anche in contrasto con la stessa logica d'essere dell'anarchismo, si sia creata un'area grigia con spunti ideologici inneggianti alla violenza diretta e personale che è difficile da distinguere come area di transizione tra il fenomeno brigatista e il fenomeno anarchico. Il direttore dell'AISI ha evidenziato come il documento rivendicativo dell'attentato di Genova faccia riferimento ad esponenti di gruppi terroristici attivi negli anni settanta e ottanta e come inoltre l'attentato sia stato salutato con favore dai circuiti di ispirazione brigatista.
Va però registrato che nell'audizione conclusiva dell'indagine conoscitiva, il 19 dicembre 2012, il Ministro dell'interno, nel rassicurare che sarà tenuta alta la guardia con il monitoraggio delle frange più estremiste dell'antagonismo sociale e dell'eversione anarco-insurrezionalista, ha osservato che, in ogni caso, i segnali a disposizione del Ministero non vanno, allo stato attuale, oltre una generica situazione di preoccupazione. Questo, ad avviso del Ministro, si deve sia ai risultati dell'attività investigativa che all'impegno delle realtà sociali e politiche che si sono opposte con fermezza all'infiltrazione dei violenti.
Col riguardo, infine, al rischio che il fenomeno dell'infiltrazione di gruppi violenti in manifestazioni di protesta diventi endemico, l'indagine conoscitiva ha messo in rilievo come tale rischio esista. Da più parti, compresi i rappresentanti sindacali delle forze di polizia, si è tuttavia evidenziato come esso sia collegato all'evoluzione della crisi economica e sociale, che ha comportato, ad esempio, un incremento considerevole del numero di disoccupati. In particolare il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha osservato come un aumento delle aree di marginalità e delle condizioni sfavorevoli di vita possano rappresentare un humus di coltura di deviazioni di tipo violento. Lo stesso Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha espresso l'avviso che l'aumento di una deriva violenta dipenda essenzialmente dal perdurare delle condizioni di crisi e della conseguente conflittualità sociale che può divenire strumento di estensione delle aree di protesta. A sostegno di quest'ipotesi ha portato la comparsa sullo scenario delle proteste sociali di movimenti estemporanei, come, ad esempio, gli Indignati, i Pastori sardi, la Forza d'Urto e il Movimento dei Forconi. A suo avviso, tali movimenti possono divenire terreno di coltura per radicalizzare la lotta e la protesta in forma violenta.

4. Le dinamiche che hanno portato negli ultimi anni a una crescita del fenomeno.

Per quanto riguarda le dinamiche che hanno portato negli ultimi anni a una crescita di questo tipo di protesta, occorre partire, sotto il profilo temporale - come evidenziato dal Capo della Polizia nella sua audizione - dal luglio del 2001, quando si è svolto il G8 di Genova, in cui si registrarono dei fortissimi contrasti all'interno dell'area antagonista, che evidenziarono, all'epoca, delle profonde spaccature, che non si sono sanate con il tempo, nel senso che è continuato il dibattito tra fautori del ricorso alla violenza e sostenitori della protesta non violenta.
Nel corso dell'indagine conoscitiva è stato evidenziato infatti come, dopo i fatti


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di Genova del 2001, vi sia stata una sorta di riflessione nell'area anarco-insurrezionalista su come si dovesse procedere per far prevalere l'ideologia anarco-insurrezionalista all'interno del movimento antagonista, il che ha determinato una fase di pressoché totale inattività fino al 2009.
Nel 2009 sono iniziati i fermenti internazionali del movimento anarco-insurrezionalista, che hanno risvegliato anche l'organizzazione italiana, con le prime buste e attentati esplosivi, in un crescendo legato soprattutto alla corrispondenza internazionale fra la Federazione Anarchica Informale e la Cospirazione delle cellule di fuoco o le similari organizzazioni spagnole e francesi.
Si è quindi arrivati progressivamente ad un momento in cui non solo il movimento si era trasformato dall'interno, ma si è trovato anche in un contesto socio-economico assolutamente favorevole all'esaltazione di questo tipo di reazione. Sommando i due fattori, - è stato evidenziato - si è giunti alla decisione di una frangia del movimento anarco-insurrezionalista di passare all'azione diretta.
Il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha, a sua volta, richiamato l'attenzione sulla data del 14 dicembre 2010, quando i collettivi studenteschi universitari si resero interpreti di manifestazioni di protesta a Roma, saldandosi anche con la partecipazione dell'area antagonista e degli stessi anarco-insurrezionalisti.
Il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha infatti ricordato come quella data fu, con elevata probabilità, il primo dei momenti significativi della saldatura sul territorio, come dimostra anche l'adozione di tecniche di vera e propria guerriglia urbana che si sono riviste in dimensioni ancora più ampie in occasione della manifestazione del 15 ottobre 2011 contro la crisi economica. Tra le decine di migliaia di manifestanti pacifici a Roma vi erano circa 2.000 soggetti dell'area antagonista, tra cui sono stati identificati circa 400 persone dell'area anarco-insurrezionalista tra cui anche appartenenti a gruppi delle tifoserie violente. L'epilogo furono gli scontri in piazza San Giovanni ed è ricordato da tutti l'incendio del blindato dei carabinieri.
Nella comune valutazione delle forze dell'ordine, durante quella manifestazione non mancarono neanche processi di emulazione: sono stati, infatti, identificati giovani, soprattutto minorenni, che non avevano alcun significativo precedente di militanza, ma che sono stati coinvolti nei disordini, diventando essi stessi attori di devastazione e di saccheggio.
Giova altresì tenere in considerazione che, a monte delle manifestazioni del dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011, com'è stato ricordato, c'era stato un ampio dibattito tra le varie componenti della protesta: accanto alle componenti antagoniste, maggiormente orientate a un profilo più basso, c'era la componente anarco-insurrezionalista, che era decisamente per lo scontro aperto contro le istituzioni.
È stato quindi rilevato nel corso delle audizioni come dai servizi investigativi sia emerso che proprio la manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma, nei desiderata dei manifestanti, avrebbe dovuto portare a una sorta di ricompattamento tra le varie aree antagoniste.
È stato peraltro sottolineato, nell'audizione del Capo della Polizia, come l'obiettivo di unire nella protesta il mondo studentesco, il mondo del precariato e il mondo dei lavoratori e di realizzare un'unica leadership non sia stato raggiunto in quella occasione, in primo luogo per la trasposizione nelle pratiche di piazza del pensiero anarco-insurrezionalista.
Il dibattito avviato negli ambienti antagonisti all'indomani della manifestazione di Roma - come evidenziato dal Direttore dell'AISI - ha messo in luce dissidi e divergenze in merito a modalità e strategie della protesta, determinando la sostanziale spaccatura del movimento e inficiando i tentativi di conferire spessore e unitarietà alla mobilitazione anticrisi.
È inoltre emerso chiaramente che ci si trova di fronte a fenomeni più ampi di quelli tipicamente italiani, anche grazie alle tecnologie e ai social network: basta


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fare riferimento ai movimenti spagnoli o soprattutto a quelli greci, ma anche a quelli degli Stati Uniti.
Molte manifestazioni hanno affrontato tematiche di interesse dei movimenti dell'area antagonista, tentando di inserirsi nell'azione di protesta innalzandone il livello di conflittualità. Al riguardo, le questioni maggiormente sentite sono quelle ambientali - in particolare, quelle riguardanti la realizzazione delle grandi opere, specie la linea ferroviaria TAV Torino-Lione - e quelle connesse alle rivendicazioni studentesche.
La mobilitazione contro il treno ad alta velocità in Val di Susa, com'è noto e come è stato ribadito nel corso dell'indagine, continua a rappresentare un focolaio di tensione a livello territoriale. Avvenimenti come gli arresti di attivisti e di sostenitori NO TAV e soprattutto l'incidente occorso a un militante storico del movimento, caduto da un traliccio, hanno fornito nuovo impulso alla mobilitazione, innescando disordini e scontri e favorendo lo sviluppo della protesta sull'intero territorio nazionale.
Le suddette manifestazioni di dissenso, anche violento, restano dunque a livello locale fino a quando non trovano un motivo di aggregazione che giustifichi l'estensione della protesta sul territorio nazionale, come accaduto - per esempio - dopo la ricordata caduta dal traliccio di un militante del movimento NO TAV, che ha prodotto blocchi e agitazioni in tutte le città italiane. La lotta contro l'alta velocità, già connotata in chiave ambientalista e antigovernativa, ha assunto, pertanto, anche un significato antirepressivo, acquisendo una valenza generale.
In tale contesto è stato evidenziato, dal Direttore dell'AISI, il ruolo trainante delle frange insurrezionaliste, che hanno partecipato attivamente alle proteste NO TAV, determinate a estendere l'ambito contestativo della mobilitazione contro l'alta velocità al tema della crisi economica, ampliandone l'asserito portato insurrezionale.
È stato ricordato come si aggiunga agli obiettivi da colpire tutta la galassia Finmeccanica, che in questa circostanza viene a essere indicata in tutte le sue componenti come obiettivo fondamentale quanto meno dell'attacco ideologico, ferme restando le vecchie caratteristiche dell'aggressione ideologica anarco-insurrezionalista, diretta contro le Forze dell'ordine e l'apparato giudiziario, alle strutture di sfruttamento delle risorse energetiche, alle Forze armate, alle imprese e agli armamenti, alle forniture belliche, agli istituti di credito, alle strutture di gestione e indirizzo della politica economica, agli enti finanziari, alle banche, agli uffici di esazione, a tutto il mondo che, in questo momento di particolare congiuntura economica, viene a essere considerato privilegiato.
È stato poi proprio nell'ambito delle ultime manifestazioni organizzate dagli studenti che il movimento antagonista, nelle sue diverse anime più oltranziste - costituite, oltre che dai cosiddetti «ex disobbedienti», dal settore autonomo e dagli anarco-insurrezionalisti - è riuscito a infiltrarsi e a condizionare fortemente le modalità di protesta coinvolgendo gli stessi studenti nel compimento di azioni di maggior impatto, con la deviazione dal percorso autorizzato del corteo ovvero l'occupazione di immobili o sedi ferroviarie.
Nelle successive manifestazioni di piazza, anche se non sono mancati momenti di fermento che hanno potuto determinare condizioni di criticità, va tuttavia evidenziato che l'ala oltranzista - quella che ricerca sistematicamente lo scontro fisico fine a se stesso - ha limitato i propri segnali di presenza in manifestazioni di carattere locale, come quelle in Val di Susa, rifuggendo dai grandi eventi di portata nazionale.
È stato quindi ribadito dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, come l'eterogeneità di obiettivi sta sostanzialmente confermando che, oltre ai tradizionali obiettivi simbolo - le forze armate, le forze di polizia, le rappresentanze dei Paesi accusati di perseguitare i militanti, contro i quali sono stati già compiuti numerosi attentati - compaiono ora i centri del potere economico finanziario, ritenuti dagli anarco-insurrezionalisti i responsabili


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dell'attuale crisi, e quindi del disagio delle fasce popolari più deboli. Ne sono un esempio Equitalia e l'agenzia del Monte dei Paschi di Siena.
Sempre per quanto attiene alle dinamiche, vanno tenute in considerazione, come chiarito nel corso dell'indagine conoscitiva, le differenze con i fenomeni terroristici brigatisti, ad esempio, ma anche della destra, degli anni Settanta e Ottanta: ci si trova certamente di fronte a un fenomeno nuovo per la stessa natura ideologica dell'anarchismo o dell'anarco-insurrezionalismo, sulle cui origini e sulla cui linea ideologica occorre svolgere attente riflessioni e andare, per quanto possibile, a fondo. Come è stato ricordato, l'obiettivo dell'anarco-insurrezionalismo non è certo quello di costruire un modello e un mondo nuovi, quanto piuttosto quello di colpire con azioni individuali, distruggendo e uccidendo: e forse in questa radice è stata individuata una delle maggiori difficoltà a contrastarne la struttura, che non è, come altre in passato, tesa a costruire un'organizzazione che prenda il predominio.
Inquadrando il tema delle dinamiche in termini più generali, con riferimento anche ai soggetti partecipanti alle proteste in questione, è stato evidenziato, nel corso delle audizioni, come - per quanto attiene le dimensioni e le caratteristiche della protesta in Italia - dagli esiti di una recente indagine del CENSIS chiamata «dell'antagonismo errante degli italiani», emerge la crescita di un fenomeno sociale di protesta allargata a diversi strati della popolazione, non limitata solo ai giovani o agli studenti. È un fenomeno che, stando allo studio condotto da tale istituto di ricerca nel luglio del 2012, coinvolge quasi il 18 per cento della popolazione maggiorenne: in sostanza, circa 9 milioni di persone, nell'ultimo anno, sono state coinvolte in manifestazioni di protesta.
L'incremento maggiore ha riguardato, in particolare, due fasce, sia quella dei laureati, che passano dal 16 al 24 per cento - quindi vi è un 8 per cento in più di italiani laureati che ha partecipato a manifestazioni - sia quella delle persone con il minor grado di istruzione, cioè che non ha neppure la licenza elementare, nella quale si passa dal 5 al 9 per cento, arrivando quasi al raddoppio.
In conclusione, dal quadro delineato nel corso dell'indagine conoscitiva emerge, in particolare, come le matrici del fenomeno della protesta violenta siano riconducibili, in primo luogo, alla crisi economica, che certamente acuisce le ragioni della protesta; accanto a ciò, le questioni maggiormente sentite sono quelle ambientali e quelle connesse alle rivendicazioni studentesche, connesse spesso a riforme altamente contestate, nonché, infine, contestazioni dell'autorità costituita che traggono origine, sullo sfondo, da ideologie di matrice politica. Vanno altresì tenute in considerazione le recenti pulsioni rivendicative, soprattutto da parte di alcune categorie interessate dai provvedimenti di liberalizzazione, tra cui la protesta degli autotrasportatori in Sicilia, innescata dal movimento dei Forconi e da Forza d'urto.
Nel corso dell'indagine svolta è stato ribadito altresì come il disagio sociale scaturito dalla crisi economica abbia spesso acuito i momenti di tensione e conflittualità con le stesse forze di polizia, offrendo terreno fertile a tentativi di strumentalizzazione.
Lo stesso Ministro dell'interno ha ricordato come, all'inizio del suo mandato, abbia manifestato alle Camere la fondata preoccupazione che la crisi economica, che attanaglia strati significativi della popolazione, possa essere l'innesco di manifestazioni di piazza aperte all'insidia di elementi disturbatori intenzionati a fomentare il dissenso e a far sì che esso possa assumere le tinte più violente e più fosche. Occorrono dunque - come sottolineato dal Ministro - moderazione, senso di equilibrio e di responsabilità, senza i quali il Paese rischierebbe di andare incontro a derive demagogiche alimentate da oblique intenzioni e non dal sincero spirito democratico di confronto, anche aspro, che può e deve caratterizzare la dialettica tra società civile e istituzioni. È altresì emersa con fermezza, in particolare nel corso dell'audizione dei rappresentanti


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sindacali delle forze di polizia e dei COCER, l'esigenza di promuovere forme costanti ed attente di dialogo sociale la cui mancanza dà luogo a fenomeni di aggressività sempre più difficili da contrastare da parte delle sole forze dell'ordine operanti in occasione di manifestazioni.

5. Conclusioni: criticità e punti di forza del sistema di prevenzione e di contrasto. Ipotesi di modifica del quadro normativo vigente.

I caratteri del fenomeno analizzato nel corso dell'indagine e le informazioni e le valutazioni raccolte consentono di trarre alcune conclusioni sui punti di forza del sistema attualmente applicato per prevenire e contrastare il fenomeno delle manifestazioni in forma violenta e di mettere a fuoco alcune criticità e possibili linee di intervento.
Innanzitutto, l'entità del fenomeno, come rappresentato e analizzato dai diversi organi dello Stato intervenuti nel corso dell'indagine, appare significativa e meritevole della massima attenzione sul piano qualitativo e delle dinamiche, ma circoscritta sul piano della frequenza e della diffusione.
I dati relativi al 2011 fanno registrare un totale di 10.461 manifestazioni oggetto di preavviso e di esame in seno al Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, con un incremento del 42 per cento rispetto alle manifestazioni dello stesso tipo registrate nel 2008 e nel 2009. Allo stesso tempo, solo nell'1.8 per cento dei casi ci sono stati «episodi di effervescenza», come li ha definiti il Capo della Polizia, che sono andati dai semplici fischi a scontri con le forze dell'ordine.
I dati relativi al 2012, forniti nell'audizione del dicembre scorso dal Ministro dell'interno riferiscono di un totale di più di 10.000 manifestazioni del tipo sopra descritto, a fronte delle quali solo 398 hanno fatto registrare criticità più o meno acute, dato che rappresenta meno del 4 per cento del totale. Si rileva un aumento rispetto al 2011, ma si tratta di un dato comunque rassicurante, a giudizio del Ministro.
Si può quindi affermare che, pur in presenza di un livello elevato di attenzione e di vigilanza, il fenomeno oggetto di indagine da parte della I Commissione è da considerarsi al momento circoscritto e affrontato in modo complessivamente idoneo dalle forze dell'ordine e dagli apparati di sicurezza.
Questi risultati sono il frutto di alcune linee di intervento elaborate e applicate alla luce delle esperienze del passato, a partire dalle vicende del G8 di Genova del 2001.
In particolare, l'attività di prevenzione e la formazione del personale costituiscono i pilastri su cui si fonda una attività di contrasto delle manifestazioni in forma violenta da un lato efficiente, dall'altro pienamente rispettosa della libertà di riunione e di manifestazione garantita dalla Costituzione.
La Scuola per la tutela dell'ordine pubblico, istituita con decreto del Capo della Polizia del 24 ottobre 2008, mira a garantire, come hanno sottolineato il Ministro dell'interno, il Capo della Polizia, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, e i rappresentanti dei Cocer e dei sindacati intervenuti, una adeguata formazione professionale a tutti gli operatori delle forze dell'ordine. Una formazione che, rispetto alla gestione di un fenomeno così delicato e complesso per il sistema democratico come le manifestazioni di piazza, sia in grado di mettere al centro il diritto costituzionale a manifestare e a protestare nel rispetto della legalità. La Scuola, che ha un approccio didattico incentrato sull'apprendimento dalle buone pratiche e sulla messa a punto dei comportamenti errati da evitare, consente di individuare, grazie anche all'insegnamento di persone che hanno maturato una diretta esperienza sul campo, tecniche idonee ad affrontare situazioni di particolare difficoltà e complessità operativa, con l'obiettivo di circoscrivere il contrasto verso i soli manifestanti violenti e in modo da evitare il più possibile il contatto fisico con i manifestanti.
La formazione del personale costituisce un punto centrale, perché punta sulla


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piena affermazione del ruolo delle forze di polizia non come strumenti di repressione ma come presìdi a tutela dei diritti dei cittadini.
È questo un punto di particolare rilevanza, perché, oltre ad essere fondamentale nella gestione concreta di situazioni assai difficili, rappresenta un traguardo irrinunciabile per ogni democrazia evoluta.
Peraltro, con riferimento all'attività di formazione, è emersa una criticità con riguardo alle risorse disponibili, che hanno finora consentito solo ad una limitata percentuale dei contingenti in servizio di frequentare i corsi della Scuola.
Con riferimento alla strumentazione in dotazione alle Forze di Polizia, alcune organizzazioni sindacali hanno sottolineato la necessità di garantire al personale mezzi più moderni, volti in particolare a evitare il contatto diretto con i manifestanti violenti. In particolare, si è fatto riferimento alla necessità di poter fare affidamento su strumenti di protezione adeguati e di poter disporre di idranti più efficienti.
Risultano allo studio da parte delle forze di polizia nuovi tipi di armi e nuovi strumenti, come i proiettili di gomma e il capsicum che dà maggiore virulenza al lacrimogeno. Ma è emersa in generale una cautela su questi mezzi che possono risultare particolarmente tossici o colpire anche persone estranee.
Ad ogni modo tanto i responsabili delle forze dell'ordine, quanto i Cocer e le organizzazioni sindacali hanno convenuto sul carattere secondario di queste soluzioni a fronte della rilevanza della attività di prevenzione e soprattutto di formazione del personale.
In questo ambito di riflessione, è stata esaminata anche la proposta di applicare sui caschi o sulle divise degli agenti impiegati nel servizio di ordine codici identificativi che ne permettano la identificazione per agevolare le indagini in caso di scontri tra polizia e manifestanti. Tale ipotesi ha ricevuto critiche unanimi da parte dei rappresentanti dei Cocer e delle organizzazioni sindacali, perché potrebbe diventare strumento di ritorsione e di aumento esponenziale del rischio professionale degli operatori delle forze dell'ordine. Anche il Ministro dell'interno ha affermato che si tratta di materia delicata e complessa e che va in ogni caso salvaguardata, accanto al fondamentale diritto dei cittadini di manifestare, la garanzia che gli operatori possano svolgere il loro rischioso e gravoso compito in condizioni di serenità.
Il secondo punto cardine è quello della prevenzione. Su questo piano, da un lato è emerso che gli apparati dello Stato possiedono un quadro informativo molto ampio e molto analitico delle dinamiche che sottostanno ai fenomeni indagati.
Le informazioni sono numerose e la conoscenza dei fenomeni risulta approfondita e costantemente aggiornata e richiede sempre più l'utilizzo di sofisticate applicazioni informatiche, per poter comporre i dati disponibili in una visione d'insieme.
Rimane, inoltre, valido il ricorso alle tecniche del contatto confidenziale e dell'infiltrazione nelle organizzazioni da parte di personale degli apparati di sicurezza.
Grazie a questa attività è possibile individuare le situazioni di maggior rischio ed è possibile seguire l'evoluzione dei movimenti che promuovono manifestazioni in forma violenta.
Vi sono tuttavia delle caratteristiche che riguardano sia la struttura dei movimenti sia le loro tecniche di azione, come sopra si è visto, che spesso rendono difficoltoso tradurre operativamente le informazioni in tecniche preventive.
Come si è accennato, il fatto che, soprattutto negli ambienti anarco-insurrezionalisti, si adottino tecniche di mimetizzazione nelle fasi antecedenti le manifestazioni (giungere nella città ospitante in ordine sparso e con abbigliamento ordinario, senza portare con sé strumenti di offesa, che vengono fatti trovare in loco) non consente di attivare i tradizionali sistemi di prevenzione, peraltro controversi, fra i quali il fermo di polizia, che un tempo consentiva di bloccare in anticipo i manifestanti violenti.


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Il fenomeno dell'anarco-insurrezionalismo impone, inoltre, alcune riflessioni sull'adeguatezza del nostro sistema legislativo di prevenzione e repressione, nonostante esso, sia giudicato assai positivamente - come ricordato dal capo della Polizia di Stato - dalle forze di polizia degli altri Paesi, con particolare riguardo alla lotta alla mafia e al terrorismo. È emerso dall'indagine che il fenomeno dell'anarco- insurrezionalismo presenta caratteri difficilmente riconducibili alle fattispecie di reato esistenti dell'associazione a delinquere, dell'associazione di stampo mafioso e della banda armata. Il Capo della Polizia ha profilato l'utilità di riflettere su una nuova eventuale fattispecie di reato che tenga conto del carattere spontaneistico e non gerarchico del fenomeno, configurando una nuova associazione nella quale l'elemento organizzativo si coniughi con una modalità di azione nella quale è il singolo aderente ad agire spontaneamente e non per ordine del vertice dell'organizzazione.
Nel corso delle audizioni, è stato osservato da diversi deputati come la scarsa strutturazione dei movimenti anarco-insurrezionalisti, poco inclini, per loro natura o per cultura politica, a strutturarsi in organizzazioni vere e proprie, renda difficile il ricorso a reati di tipo associativo che consentono di irrogare pene più severe. Alcuni commissari hanno, in particolare, sottolineato che si è assistito negli ultimi anni, ad esempio sul versante della Federazione anarchica informale, ad arresti che hanno poi portato a condanne piuttosto lievi, perché i reati ascrivibili erano limitati e in ogni caso non riconducibili a fattispecie associative.
Peraltro, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ha sottolineato la efficace applicazione in alcune circostanze della fattispecie dell'articolo 270-bis del codice penale (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico) e l'esigenza di riflettere su nuove ipotesi di reato evitando, tuttavia, di ritagliare eccessivamente le fattispecie sui casi specifici, perché in tal modo si rischia di ridurre il grado di astrattezza della fattispecie e quindi di ridurne l'applicabilità. Inoltre, il direttore dell'AISI ha messo in luce come negli ultimi tempi il movimento anarco-insurrezionalista stia compiendo un salto di qualità che lo porta ad una maggiore organizzazione, che potrebbe rendere più agevole l'applicazione di fattispecie di reato di tipo associativo già disciplinate.
In ogni modo, su questo aspetto è emersa una generale condivisione sulla necessità di riflettere nella prossima legislatura sulla opportunità di intervenire eventualmente con nuove fattispecie di reato.
Un altro aspetto su cui si è registrata una certa convergenza è quello che riguarda l'introduzione dell'arresto in flagranza differita, che consentirebbe di intervenire sfruttando le registrazioni effettuate nel corso di manifestazioni e contribuirebbe a rafforzare l'attività di repressione del fenomeno. A Roma, in occasione della manifestazione del 15 ottobre 2011 sono stati identificati e denunciati oltre trecento partecipanti, grazie all'utilizzo dei filmati.
Non altrettanto convergenti sono state, invece, le opinioni sulla introduzione di un istituto analogo al DASPO (divieto di accedere alle manifestazioni sportive) in caso di manifestazioni a carattere politico. Il DASPO, nella legislazione vigente, è un provvedimento inibitorio adottato dal questore volto ad impedire al tifoso violento l'accesso agli impianti sportivi, così da contenerne le potenzialità criminose.
Il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri ha sottolineato la rilevante differenza tra l'applicazione dell'istituto in relazione a uno stadio - un luogo chiuso e al quale si accede con un biglietto - e la sua applicazione in relazione ad una piazza in cui si svolge una libera manifestazione: potrebbe trattarsi di una generalizzazione penalizzante, difficile da attuare e in ogni caso non facilmente compatibile con un diritto incomprimibile come quello sancito dall'articolo 17 della Costituzione. Dubbi di costituzionalità


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sono stati sollevati in riferimento all'estensione del DASPO anche dal Ministro dell'interno.
Infine, un punto di particolare rilevanza è risultato quello del coordinamento tra le diverse forze di polizia e tra queste e i Servizi di sicurezza.
Se da una parte, alcuni commissari hanno rappresentato l'esigenza di riflettere sul modello di organizzazione delle forze dell'ordine e più in generale sull'assetto normativo contenuto nella legge n. 121 del 1981, è emerso dalle audizioni un quadro positivo in ordine alla intensità, alla sistematicità dei rapporti di collaborazione fra i diversi organi coinvolti nell'attività di prevenzione e di contrasto dei fenomeni indagati.
Il Capo della Polizia e il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri hanno sottolineato con forza la positività e l'utilità della stretta e costante collaborazione fra le forze di polizia, così come il direttore dell'AISI ha affermato che esiste una istanza di coordinamento ben funzionante presso il Ministero dell'interno, denominata CASA, Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, nel quale siedono le Agenzie di informazione e le Forze di Polizia e nella quale avviene una osmosi fra il patrimonio informativo delle singole organizzazioni. Esiste, in ogni caso, ha assicurato il direttore, una costante attività informativa nei confronti degli organi governativi. Il direttore dell'AISI ha inoltre assicurato che il DIS (Dipartimento informazioni per la sicurezza) sviluppa in maniera continua e permanente la propria attività di coordinamento fra le Agenzie, mentre ha sottolineato come, pur a fronte di un costante raccordo fra le due Agenzie, AISI e AISE (Agenzia Informazioni Sicurezza Esterna), la materia oggetto dell'indagine rientra nella competenza dell'AISI, risultando, pertanto, assolutamente limitate le esigenze di coordinamento.
In conclusione, si è registrato sia negli interventi dei soggetti ascoltati in audizione sia negli interventi dei deputati, un ampio e generale consenso sulla necessità di tenere alta l'attenzione sui fenomeni indagati e sull'esigenza che il Parlamento, attraverso i diversi organi a ciò preposti, mantenga una conoscenza costante delle dinamiche in atto e possa eventualmente mettere a punto nella prossima legislatura, se lo riterrà, gli interventi volti a rafforzare l'attività di prevenzione e di contrasto di ogni forma di violenza nell'ambito delle manifestazioni, consentendo al personale delle forze di polizia di continuare a svolgere con professionalità, competenza ed equilibrio il proprio compito di tutela dell'ordine democratico a garanzia del libero esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini.

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