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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione I
13.
Mercoledì 26 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI

Audizione di esperti della materia:

Bruno Donato, Presidente ... 3 22 24
Capriglione Francesco, Professore ordinario di diritto dell'economia ... 3
Clarich Marcello, Professore ordinario di diritto amministrativo ... 5
D'Alberti Marco, Professore ordinario di diritto amministrativo ... 18
De Minico Giovanna, Professore associato di diritto costituzionale ... 7
Dugato Marco, Professore ordinario di diritto amministrativo ... 9
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 23
Lolli Alessandro, Professore ordinario di diritto amministrativo ... 12
Pajno Alessandro, Presidente di sezione del Consiglio di Stato ... 13
Rossi Giampaolo, Professore ordinario di diritto amministrativo ... 16
Tassone Mario (UdC) ... 22
Zaccaria Roberto (PD) ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 26 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti della materia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle Autorità amministrative indipendenti, l'audizione di esperti della materia.
Ringrazio gli intervenuti e do loro la parola, a partire dal professor Francesco Capriglione, professore ordinario di diritto dell'economia.

FRANCESCO CAPRIGLIONE, Professore ordinario di diritto dell'economia. Il mio intervento sarà rivolto ad alcune puntualizzazioni sulle amministrazioni di controllo del mercato finanziario.
Al riguardo, ritengo opportuno muovere dalla considerazione che la recente crisi finanziaria - i cui effetti negativi, come è noto, hanno colpito l'intero pianeta, ma soprattutto alcuni Paesi dell'Europa - condiziona il futuro delle amministrazioni di controllo del mercato finanziario. In particolare, dalla crisi sono emersi una chiara insufficienza della supervisione bancaria, ed i limiti del meccanismo «comitologico» volto a raccordare gli interventi delle autorità europee nella ricerca di adeguate forme di coordinamento. Sicché la futura regolazione delle amministrazioni di controllo del mercato finanziario non potrà prescindere da valutazioni afferenti le conseguenze della crisi.
In tale premessa, con riguardo poi al fenomeno delle autorità amministrative indipendenti, la letteratura ha già ampiamente chiarito come queste siano destinatarie di una «delega» da parte dello Stato per l'assolvimento di particolari funzioni soprattutto di regolazione di determinati settori dell'ordinamento. Recentemente la dottrina ha ravvisato, nella fattispecie, l'esistenza di una vera e propria riserva d'amministrazione oggettiva, che incide sul ruolo e sull'attività di siffatte amministrazioni.
Per quanto riguarda, in particolare, le autorità di controllo del mercato finanziario, la problematica è stata incentrata sulla valutazione del rapporto di «direzione politica - attività amministrativa» che fin dalla legislazione degli anni Trenta ha caratterizzato il rapporto la struttura del settore bancario. La riflessione è stata, altresì, rivolta alla valutazione della proliferazione, iniziata a partire dalla metà degli anni Settanta, di organismi indipendenti di controllo del mercato finanziario, donde l'orientamento del dibattito sulla scelta tra modello ad autorità unica ovvero a pluralismo autoritativo.
La presenza di più autorità ha indotto a ritenere superato lo schema ordinatario incentrato su un'autorità unica, identificando nella collaborazione tra le autorità il criterio di coordinamento operativo. In


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tal senso orientano l'articolo 7 del Testo unico bancario, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e l'articolo 4 del Testo unico sull'intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in essi trova infatti conferma l'opzione normativa per un modello che riconduce a unità giuridica l'attività pubblica connotata da pluralismo istituzionale. Va sottolineato, peraltro, che detto schema evidenzia anche la riferibilità a una logica funzionale, la quale trova espressione nella competenza per finalità assegnata alle diverse autorità. Meritevole di considerazione appare inoltre la circostanza che nella originaria formulazione del disegno di legge sulla tutela del risparmio fosse stata ipotizzata, in vista di una completa attuazione del modello di vigilanza per funzioni, la soppressione di COVIP e ISVAP. Nel corso dell'iter parlamentare tale previsione venne soppressa, rinviando a tempi futuri l'aggiornamento della regolazione su questo punto, ma lasciando nel nostro ordinamento un modello sostanzialmente ibrido.
Occorre tener presente poi la particolare posizione della Banca d'Italia. Nel riferimento all'articolo 47 della Costituzione, detta Autorità in letteratura è stata considerata un organo della «costituzione materiale» e se ne è qualificata la figura alla stregua di istituzione di Governo a legittimazione tecnica. Nel riferimento alla disciplina speciale, la Banca d'Italia evidenzia una neutralità tecnica pienamente corrispondente al conseguimento di sempre più elevati livelli di indipendenza, dalla stessa progressivamente realizzati nel tempo. Tuttavia, la legge 28 dicembre 2005, n. 262, sembra aver segnato una battuta d'arresto in questo processo, atteso che la nomina del Governatore è subordinata alla proposta del Presidente del Consiglio; tale normativa, peraltro, sul piano delle concretezze, riscontra un iter applicativo virtuoso.
A ben considerare, ancora oggi, valutando il disposto degli articoli 2 e 4 del Testo unico bancario, - nei quali si fa riferimento a un'«alta vigilanza» del CICR sul credito e sul risparmio, - appare indubbio che la Banca d'Italia non può essere considerata a pieno titolo un'amministrazione indipendente, anche se alcuni studiosi, come Merusi, la definiscono un'amministrazione quasi indipendente.
Con riguardo al mio personale convincimento, nel corso di un'audizione tenuta anni addietro alla Camera, ho sostenuto la tesi che nel nostro sistema la mancata riferibilità al CICR, ossia alla politica, rende priva di legittimazione l'azione della Banca d'Italia, in quanto nell'ordinamento finanziario italiano manca la presenza di un adeguato meccanismo di check and balances, che nei Paesi anglosassoni assicura la dialettica necessaria al funzionamento della democrazia di mercato.
Tale ordine di valutazioni, peraltro, alla luce delle modifiche recate all'architettura di vertice dell'ordinamento finanziario europeo, sembra dover mutare. Infatti, se si tiene conto che nel nuovo quadro regolamentare di tale ordinamento oggi troviamo due organismi, la SRC e la EBA, che sono facoltizzate all'emanazione di standard di vigilanza, appare indubbio che nella sostanza la funzione del CICR risulta svuotata di contenuti, sicché oggi può dirsi che forse sono maturi i tempi per un cambiamento istituzionale del regime normativo concernente il ruolo e la posizione del Comitato suddetto.
Conseguentemente, ferme restando l'esigenza di conservare a tale autorità politica il potere di emanare «atti di direzione», detta forma di intervento dovrebbe rivestire carattere generale ed essere riferibile a materie non disciplinate a livello comunitario. In altri termini, il potere d'intervento del CICR dovrebbe essere disancorato dal rapporto con la Banca d'Italia, la quale conseguentemente cesserebbe di versare in una posizione di soggezione rispetto al CICR.
Un ultimo problema riguardante la posizione della Banca d'Italia è quello della definizione del suo assetto proprietario. La legge n. 262 del 2005 ha optato per un rinvio della fase disciplinare, che ad oggi non è stata ancora realizzata. La soluzione di tale problematica non potrà prescindere dal fatto che nello Statuto del Sistema


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europeo delle banche centrali e nello Statuto della stessa Banca centrale europea si raccomanda agli Stati membri l'impegno al rispetto dell'indipendenza delle banche centrali nazionali. Conseguentemente, qualsivoglia orientamento disciplinare venga assunto in materia non potrà venir meno il rispetto dell'indipendenza della Banca d'Italia.
Pertanto, la tesi dottrinale di relegare in un ambito esclusivamente pubblico la proprietà delle quote della Banca d'Italia sembra caratterizzarsi per astrattezza, in quanto supportato dalla considerazione secondo cui diversamente verseremmo in presenza di una situazione di controllori e controllati, realtà che non ha alcun riscontro fattuale nella struttura e nella funzione della Banca d'Italia, nella quale la governance è nettamente distinta dall'esercizio delle sue funzioni istituzionali.
Analogamente, ritengo inaccettabile la tesi che vuole ricondurre la proprietà della Banca d'Italia esclusivamente alle fondazioni bancarie, che, tenuto conto della prevalente allocazione di queste nell'area del centro-nord, appare contraria al principio della perequazione posta a base della riforma del Titolo V della Costituzione.
Voglio aggiungere in conclusione che l'azione della Banca d'Italia appare conforme alle nuove tecniche di regolazione dei rapporti economici. La Banca d'Italia, che ha assunto, a seguito della legge sul risparmio, una nuova organizzazione interna, superando il previgente modello gerarchico-funzionale, oggi si avvale delle tecniche di ricorso all'autonomia privata a fini di regolazione. La procedura della consultazione preventiva dei soggetti destinatari delle regole, introdotte dalla legge n. 262 del 2005, attesta la validità di un sistema che fonda sulla partecipazione dei medesimi destinatari delle regole la formazione delle stesse.
Analogamente appare orientata a cogliere l'innovazione dei processi ordinatori l'interazione tra la Banca d'Italia ed il neo costituito Arbitro Bancario Finanziario: viene infatti ricondotto, per tal via, alla nominata autorità lo svolgimento di un'«attività giustiziale», che (per stessa ammissione dei suoi esponenti) deve ritenersi volta ad un più compiuto esercizio dei propri compiti istituzionali.

MARCELLO CLARICH, Professore ordinario di diritto amministrativo. Ringrazio innanzitutto per questo invito, che considero un riconoscimento e un onore e al quale cercherò di adempiere con il maggiore impegno possibile.
In previsione di questa audizione ho trasmesso alla Presidenza uno studio scritto insieme ai colleghi Guido Corso e Vincenzo Zeno-Zencovich, che analizza in modo ripartito i problemi e alcune soluzioni. Lo studio è abbastanza aggiornato nell'impostazione generale e, quindi, vi rinvio per quanto riguarda la cornice generale, limitandomi essenzialmente a quattro osservazioni.
La prima concerne l'esigenza o meno di istituire nuove autorità in aggiunta a quelle che sono state istituite nel corso di questi anni. Personalmente ritengo che il sistema di autorità manchi di alcuni tasselli importanti, che riguardano essenzialmente il settore idrico, riguardo al quale sono già state avanzate diverse proposte, e soprattutto il settore dei trasporti, dove si avverte effettivamente l'esigenza di una regolazione indipendente, come dimostrano anche le recenti vicende dell'apertura del mercato del trasporto ferroviario.
Il secondo punto riguarda i criteri di nomina e l'indipendenza, sui quali ho visto soffermarsi l'attenzione anche di molti presidenti auditi nel corso di questa indagine conoscitiva. Ritengo che l'indipendenza dei componenti delle autorità sia un elemento che deve essere valorizzato, perché l'esperienza di questi anni, soprattutto nel momento delle nomine, non sempre, almeno per quanto si avverte nella comunità scientifica e nel dibattito tra gli operatori, sembra aver rispecchiato tale criterio.
È estremamente difficile trovare un procedimento di nomina che risolva una volta per tutte questo problema, però la prima scelta che dovrebbe essere compiuta è precisare se si tratta di un atto politico o di un atto amministrativo. A seconda


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della qualificazione, infatti, scattano alcune conseguenze, come, per esempio, l'obbligo di motivazione della scelta del nominando e la giustiziabilità del provvedimento di nomina in caso di assenza di requisiti.
Se si opta per l'atto politico, come è attualmente, perché la giurisprudenza non si è ancora mai pronunciata su questo punto, è evidente che anche i parametri di competenza e di indipendenza stabiliti dalla legge hanno soltanto un valore indicativo e non vincolante in senso proprio.
Molti commentatori e studiosi si soffermano sull'esigenza di aumentare la trasparenza del procedimento di nomina. A tal fine si suggerisce il metodo delle audizioni e della pubblicazione del curriculum.
Se mi posso permettere di aggiungere un suggerimento che non è ricompreso nello studio consegnato alla presidenza, credo che potrebbe essere utile anche acquisire, se si andasse verso una maggiore procedimentalizzazione, un parere delle associazioni delle imprese vigilate. Penso, per esempio, al modello degli Stati Uniti, dove, per quanto riguarda i giudici della Corte Suprema - è un contesto ovviamente diverso, ma alcuni stimoli possono essere omologhi - i candidati devono ottenere un parere dell'associazione degli avvocati e, quindi, del foro al massimo livello.
Poiché in molti casi le associazioni di categoria delle imprese regolate sono piuttosto semplicemente identificabili, come l'ABI o l'ANIA, forse anche un concorso di una valutazione tecnica sui requisiti di professionalità potrebbe essere utile.
Il terzo punto riguarda i procedimenti, che sono già oggi aperti a un maggiore grado di garanzia e di trasparenza per le imprese. Nel settore delle autorità finanziarie è stato già introdotto il principio della separazione tra le funzioni istruttorie degli atti e la funzione decisionale dei collegi. L'esperienza sembra dimostrare che il modello rafforzi le garanzie delle imprese e dei privati e che, quindi, potrebbe essere perfezionato ed esteso anche alle autorità per le quali non vige l'obbligo legislativo.
In contemporanea, proprio in un'ottica di indipendenza e di terzietà, potrebbero essere anche rafforzati i poteri dei dirigenti preposti ai singoli uffici, in modo tale che l'istruttoria venga attivata e gestita dalle strutture amministrative e burocratiche, garantendo anche continuità nel tempo, e che la funzione decisionale finale avvenga in una sede collegiale di tipo imparziale.
Infine, un ultimo suggerimento, che raccoglie proposte emerse nel dibattito svolto in diverse occasioni, è il rafforzamento di alcuni poteri delle autorità cosiddette indipendenti. Mi riferisco, in particolare, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in relazione alla quale si lamenta o comunque si osserva che il contributo sotto forma di segnalazioni e pareri al Governo, al Parlamento e ai Consigli regionali in molti casi non trova un effettivo seguito a livello di procedimento legislativo.
Una proposta che è stata formulata e che credo dovrebbe essere attentamente valutata è se attribuire all'Autorità garante della concorrenza e del mercato il potere di sollevare le questioni di costituzionalità delle leggi che violano l'articolo 41 della Costituzione e le regole sulla concorrenza, un principio che ormai, anche in seguito ai procedimenti di adesione all'Unione europea, è da ritenersi costituzionalizzato.
In conclusione, come giudizio sintetico, ritengo che il modello delle autorità indipendenti, che non ha ancora una grande tradizione nel nostro sistema, vada mantenuto e rafforzato. Si è già verificata una tendenza all'omologazione quasi spontanea, leggina per leggina, dei diversi modelli, come, per esempio, la collegialità introdotta nella Banca d'Italia, che è un'autorità indipendente, inserita in questo contesto, per quanto abbia una fortissima integrazione comunitaria, o ancora la durata del mandato, che in alcuni casi è stata omologata su quella che io ritengo la misura corretta, cioè sette anni senza la possibilità di rinnovo e aggiungerei anche


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senza la possibilità di trasferirsi e di essere nominati in altra autorità omologa, in modo da evitare che si creino un ruolo o una carriera dei componenti delle autorità.
In ogni caso credo che il modello vada preservato e potenziato e che ha rappresentato senz'altro una novità istituzionale che deve mantenere la sua caratterizzazione in conformità a ciò che succede anche in altri ordinamenti, soprattutto a livello europeo.

GIOVANNA DE MINICO, Professore associato di diritto costituzionale. Grazie al presidente e alla Commissione per avermi invitata.
Nell'ambito delle questioni indicate dal programma dell'indagine conoscitiva, che ho letto con molta attenzione, ho selezionato quella della regolazione delle autorità indipendenti, che esaminerò in parallelo con il potere di regulation delle corrispondenti European independent authority.
Per brevità, sintetizzo il mio discorso in tre punti. Nel primo tratterò l'identità della funzione regolatoria, nel secondo la sua compatibilità con l'ordinamento costituzionale, nonché con quello europeo, e nel terzo, nel caso in cui tale compatibilità non dovesse essere individuata, i rimedi per ricondurre a legittimità il potere in oggetto.
Parto dal primo tema, l'identità della funzione regolatoria delle autorità indipendenti. Esse sono state definite, soprattutto dalla dottrina francese, che prima di noi ha studiato l'argomento, come soggetti che rendono una prestazione di garanzia. La prestazione di garanzia, secondo una definizione non mia, ma che risale al Ferrari, consiste nell'evitare che un evento temuto si verifichi. Qual è l'evento temuto al quale le nostre autorità provvedono? Fondamentalmente è il rischio che sulle libertà le regole siano dettate dal decisore politico, ossia che siano obbedienti al comando politico di maggioranza. A questo rischio il legislatore fa fronte con un rimedio uguale e contrario al rischio, spostando il focus della regolazione dal decisore politico a un soggetto che per collocazione istituzionale deve disobbedienza all'indirizzo politico, qualora un indirizzo sia stato impartito, ovvero le autorità indipendenti.
Esse, quindi, non renderanno una regolazione obbediente alla politica, ma una regolazione aporosa, insensibile alla volontà di maggioranza. Come affermano studiosi francesi come Chevallier, le libertà fondamentali sono valori sensibili e, come tali, verrebbero a essere compromesse da una lettura politica. Vedremo nel prosieguo del mio intervento che, comunque, la dottrina francese ha compiuto molti passi in avanti rispetto a questa sua posizione iniziale.
Che cosa fanno le autorità indipendenti sulle libertà fondamentali? Abbiamo sentito prima dal collega Capriglione in che consista il ruolo della Banca d'Italia. Io porterò un esempio di tipo diverso, con riferimento all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che proprio in questi giorni sta elaborando le regole da assegnare alle reti di nuova generazione. Le opzioni in gioco sono tre: non regolarle affatto, perché potrebbero rappresentare il nuovo mercato, incentivando così l'investimento, regolarle con le vecchie norme o assumerne altre intermedie, tali da coniugare valori contrastanti, precisamente gli investimenti e la promozione della concorrenza.
Le regole delle autorità sono, quindi, tutt'altro che tecniche, anche se una parte della dottrina ha sostenuto a lungo che la tecnicità di tali regole assorbisse il momento decisionale. Residua, però, un'ampia sfera di discrezionalità, che io definisco politica, in capo alle autorità indipendenti, dovendo appunto stabilire una misura diretta a conciliare valori contrapposti, ossia a stabilire fino a che punto si estende una libertà costituzionale e da quale momento in poi tale libertà retrocede, aprendo lo spazio a un valore opposto. Si tratta della realizzazione della massima coesistenza tra valori confliggenti, che, a mio giudizio, è proprio l'ubi consistam della prerogativa politica.
Se è vero, allora, che il rischio era quello di affidare le libertà al decisore


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politico, credo che da questo pericolo siamo andati incontro a un altro evento forse peggiore del pericolo scampato. Ci sono, cioè, regole politiche che fanno riferimento a un criterio autoreferenziale che le autorità si danno e del quale non rispondono dinanzi ad alcun consesso politico. In pratica, è vero che la forma dei loro atti è quella del regolamento, ossia dell'atto secondario, però si tratta di una secondarietà soltanto potenziale, nel senso che, mancando una legge intesa come disciplina sostanziale che già regola la materia, tali regolamenti fanno da legge a se stessi e, in più, da atti implementativi. Siamo, quindi, in presenza di un regolamento molto particolare, che formalmente è secondario, ma che sostanzialmente interviene a livello quasi primario.
Siamo in presenza, a mio giudizio, di una rottura di diversi princìpi costituzionali. Uno è il principio di gerarchia. Si tratta di una secondarietà solo potenziale, infatti, perché non si è secondi se chi deve venire per primo non ha parlato, e in questo caso vi è l'omissione piena del legislatore, che si limita a stendere un nudo elenco di valori, ma non anche a stabilire un minimo di disciplina.
Si lede poi la riserva, perché sulle libertà fondamentali vi è riserva di legge, ancorché relativa, mentre in questo caso, come ripeto, il legislatore si astiene dal parlare per primo e, quindi, l'avvio del processo politico è in via iniziale promosso dalle autorità, ma anche compiuto dalle medesime. Tutto il cerchio inizia e si chiude, quindi, in capo alle autorità.
Chiaramente si viola anche il principio di democraticità, perché si crea un canale di formazione della decisione politica alternativo a quello unico indicato nell'articolo 1 della Costituzione. Si fuoriesce, cioè, dal raccordo corpo elettorale-Parlamento-Governo. Non è a costo zero il fatto che il legislatore abbia con broad delegation affidato ampi poteri regolatori alle autorità. Qualcuno ha pagato per questo spostamento e, in questo caso, il prezzo è stato pagato dall'asse Parlamento-Governo.
Vediamo brevemente se possono esserci criteri suppletivi all'articolo 1 che legittimino la decisione politica delle autorità, pur esonerandole da responsabilità. Ometterò il riferimento ad alcuni criteri come la tecnicità delle decisioni o la partecipazione dei regolati che potrò approfondire successivamente, se ci sarà il tempo.
Mi soffermo fondamentalmente sull'argomento comunitario. Si è detto che le autorità esistono a livello comunitario. È vero, a livello comunitario esistono queste sorelle delle autorità amministrative europee, ma le autorità indipendenti europee, dalla decisione del caso Meroni del 1958 fino alle ultime istituite, cioè quelle sui mercati finanziari - il riferimento è al grande pacchetto dei Regolamenti del 2010, ma anche all'autorità sulle TLC, il BEREC del 2009 - o non sono affatto titolari di poteri regolatori o prendono parte a una regolazione rispetto alla quale la parola ultima e definitiva rimane in capo alla Commissione. Le autorità della macro e microvigilanza sui mercati finanziari propongono, infatti, un regolamento che, dopo un ping pong con la Commissione, questa approverà in via definitiva dando forma all'atto e assumendosene la responsabilità politica.
In termini di ordinamento europeo non c'è stata una fuga dalla responsabilità. Il principio dell'institutional balance è rispettato. Non c'è trasferimento di fette di potere decisionale fuori dal triangolo Parlamento-Consiglio-Commissione, perché non si vuole uno spostamento di responsabilità, come mostrano chiaramente gli atti europei. Come può, dunque, un sistema che vieta ciò al suo interno imporlo al nostro e renderlo compatibile con l'ordine costituzionale?
Il secondo argomento, parimenti di diritto comunitario, presenta un elemento, invece, a mio giudizio, più fondato. Si afferma che quasi tutti i poteri regolatori, a partire da quelli della CONSOB e dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, nascono da atti comunitari, da regolamenti o direttive. Ciò è indubbio e non lo si può contestare. Chiediamoci allora se può il diritto comunitario imporre


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sull'ordinamento interno un polo di produzione normativa sostanzialmente primario atipico, non previsto in sede costituzionale e che rompe con l'articolo 1 della Costituzione, perché, come abbiamo ricordato, crea un punto di fuga dalla responsabilità politica.
Il giudizio non è mio, ma della Corte costituzionale, che da anni ci insegna che il diritto comunitario è sì prevalente sul nostro ordinamento, ma che la sua non è una prevalenza assoluta, ma relativa. Prevale, cioè, a condizione che i princìpi fondamentali siano rispettati. L'ha affermato anche nel 2009 il tribunale costituzionale tedesco sul Trattato di Lisbona.
Certamente, qualunque significato si voglia attribuire all'articolo 1, io ritengo che sia indubbia un'accezione minima, quella della introduzione esclusiva di un canale ascendente e discendente di formazione dell'indirizzo politico che è un raccordo chiuso, ossia corpo elettorale-Parlamento-Governo. Il diritto comunitario non può pertanto distruggere l'articolo 1.
Un ultimo argomento è il seguente avanzato da taluni studiosi: potrebbe questa legittimazione fondarsi in una previsione in sede costituzionale? Per previsione in sede costituzionale io non intendo un'elencazione di tutte le autorità - il riferimento è tanto alla Commissione D'Alema, quanto al progetto di revisione costituzionale del centrodestra - bensì di una costituzionalizzazione del principio, vale a dire di porre in Costituzione il minimo indispensabile al fine di bloccare la discrezionalità politica del legislatore e di lasciarla aperta sul se istituire le autorità e quando istituirle. Porre in Costituzione ciò può servire a conferire alle autorità un potere normativo sostanzialmente primario, una sorta di regolamento pseudo-indipendente?
Il discorso è identico a quello che ho svolto per il diritto comunitario. Il potere di revisione - entra in gioco l'articolo 138 della Costituzione - può compiere determinati atti, ma non può fare tutto. Si utilizza uno strumento per conseguire un risultato che esula dalla sua disponibilità giuridica.
Rivedere la Costituzione significa mantenersi su una linea di continuità con l'architettura costituzionale preesistente e i limiti, scritti o non scritti, della Costituzione assumono certamente l'articolo 1 come la pietra angolare del nostro ordinamento. Non può, quindi, il potere di revisione legittimamente creare un canale che si sostituisce e azzera il circuito politico-amministrativo. Non di revisione si tratterebbe, ma di un atto illegittimo di un potere costituente, che, a Costituzione esistente, non è dato, da qui la sua illegittimità.
Come ricondurre a legalità il sistema? A mio giudizio, lo si può fare attraverso l'applicazione di una regola molto semplice, ovvero «a ciascuno il suo», vale a dire attraverso rispettivamente la restituzione al soggetto politico, cioè all'assemblea parlamentare, del compito di dettare un principio di disciplina sulle libertà fondamentali nel rispetto della riserva di legge e l'assegnazione al potere regolamentare delle autorità di un compito di attuazione più ampio dell'esecuzione.
Del resto, la giurisprudenza francese, che non conosce la riserva di legge, ha creato proprio questa figura intermedia, che ben concilia rappresentanza politica con autonomia del soggetto neutrale.

MARCO DUGATO, Professore ordinario di diritto amministrativo. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione. Anche per me, è un onore essere qui. Mi permetterò di svolgere considerazioni molto brevi e più disorganiche rispetto ad alcune molto brillantemente svolte dai colleghi che sono intervenuti prima di me.
Non mi sono posto il problema di un percorso giuridico da costruire, ma sono partito, invece, dall'analisi della tenuta del sistema delle autorità indipendenti fino a ora, riconoscendo innanzitutto che è un sistema, cioè che non si tratta di singole autorità. Benché nate come tali, in realtà esse hanno costruito un ambito di esercizio di funzioni amministrative, non solo regolative, sostanzialmente parallelo al meccanismo classico funzione-rappresentatività-responsabilità.


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Da questo punto di vista, la tenuta del sistema, secondo me, presenta un paradosso. Se è vero che il sistema ha tenuto, è anche vero che ha tenuto per ragioni opposte, con riferimento a determinati argomenti e soprattutto alle singole autorità amministrative.
Nel caso, per esempio, della creazione di un sistema di responsabilità, ovviamente diversa rispetto alle classiche responsabilità degli eletti e cioè degli organi politici e delle autorità politiche, il sistema ha tenuto, ma più per virtù dei componenti delle autorità, che non per l'esistenza di un sistema di regole certe, che mi pare, proprio con riferimento al rapporto funzione-responsabilità, non brillante e forse non esaustivo.
Ci sono stati, invece, altri casi in cui sono state le regole a tenere e meno i comportamenti delle autorità. Mi riferisco, per esempio, ai casi di conflitto di attribuzioni o di sovrapposizione di competenze. Si tratta di un sistema che, dal punto di vista delle regole giuridiche, dà sufficiente certezza, ma dal punto di vista dei comportamenti recentemente non ha dato la medesima certezza.
Mi riferisco, per esempio, al rapporto fra l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell'ambito del settore dei servizi pubblici locali, in cui - è esperienza di questi ultimi tempi - la competenza dovrebbe essere serenamente attribuita, come lo è dalla legge, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. È in atto, invece, da parte del settore regolazione, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, una vera e propria attività di rilevazione a tappeto su tutti gli esercenti, le attività, la conformità, l'in-house providing e via elencando.
Dal punto di vista giuridico, esaminata la tenuta, che merita forse un intervento del legislatore in alcuni ambiti, secondo me, ricorrono spesso nel dibattito e sono stati molto opportunamente ricordati in precedenza alcuni pseudo-problemi.
Il primo di questi pseudo-problemi è quello dell'aggancio costituzionale non solo di singole autorità, ma anche e soprattutto di indirizzo al legislatore per l'istituzione di autorità. Secondo me, si tratta di un problema non problema, in primo luogo perché moltissime di queste autorità presentano un aggancio europeo, come è stato molto opportunamente ricordato. L'istituzione in sede nazionale di queste autorità è sostanzialmente l'adeguamento dell'ordinamento a prescrizioni e a previsioni comunitarie.
In secondo luogo, dei due sistemi di costituzionalizzazione delle previsioni sulle autorità amministrative indipendenti ipotizzati più volte, sia quello per così dire soft, cioè quello di una prescrizione di massima legittimazione, sia quello più puntuale, ossia quello di meccanismi per l'attivazione incombenti sul Parlamento, sono stati molto brillantemente posti in evidenza tutti i limiti e i rischi e l'assenza sostanziale di virtù o di vantaggi.
Il secondo problema, cui faceva riferimento molto brillantemente il professor Clarich, è quello dei meccanismi di nomina. Non è un falso problema, anzi, è un problema molto rilevante, soprattutto ai fini della garanzia dell'indipendenza, però non è risolvibile in nessuno dei modi che sono stati avanzati con un meccanismo di individuazione. La cattura da parte dei regolati è un fenomeno non ovviabile da procedure di nomina differenti da quelle attualmente esistenti.
Il sistema delle candidature, che più volte è stato avanzato, presenta come grande svantaggio, ricordato anche nei lavori dell'indagine conoscitiva, che ho esaminato, il sostanziale disincentivo alla presentazione di candidature forti, perché evidentemente determina, in primo luogo, un'esternazione di una volontà e, in secondo luogo, il rischio molto concreto che a tale esternazione da parte di persone di rilievo consegua la mortificazione della non individuazione. Anche il sistema di auditing è un sistema che ha molti pregi, ma moltissimi difetti.
È molto rilevante l'affermazione del professor Clarich circa la consultazione


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presso le categorie dei regolati. Può sembrare un assurdo, ma la verità è che i regolati sono normalmente coloro che meglio conoscono i rischi di cattura delle singole persone, che sono molto note, per esperienza professionale e scientifica, nell'ambito destinato a essere il loro ambito operativo.
Si poneva anche un problema relativo alla giustizia sui provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti. Mi pare essere diventato a sua volta un vecchio problema o che sia stato risolto in gran parte dalla sostanziale unità di giurisdizione amministrativa, oggi portata quasi integralmente al Tribunale amministrativo del Lazio con l'intervento della legge 18 giugno 2009, n. 69, ossia con l'estensione della conoscenza al merito da parte dell'autorità in tutto il sistema delle sanzioni delle autorità amministrative indipendenti. Non so come sarà esercitato tale ruolo dal TAR del Lazio, che mi pare ancora un po' timido nell'uso della giurisdizione di merito, ma è una risposta, secondo me, molto rilevante, che fa sempre più assomigliare la conoscenza sui provvedimenti sanzionatori di queste amministrazioni al processo delle sanzioni depenalizzate della legge 24 novembre 1981, n. 689, uno dei processi che fondamentalmente hanno dato miglior prova di sé nel nostro ambito.
Individuo ora alcuni temi, dei quali alcuni attuali, sull'esistente, e alcuni pro futuro nei lavori del Parlamento.
Il primo è che mi pare oggi evidente la forte specificità di ciascuna di queste autorità. L'idea, presente anche in un tentativo di Commissioni molto recenti che hanno lavorato su questo tema, di trovare un ordinamento e un orientamento unitario su una figura tipo di autorità amministrativa indipendente è sempre fallita e, secondo me, fatalmente, col complicarsi della tecnica e il dividersi dei settori, è destinata a fallire ancor di più nel futuro prossimo.
Ciò pone anche un problema molto rilevante su un altro tema che è stato posto in evidenza, quello del passaggio da autorità ad autorità, un passaggio di cui sono stati illustrati in dottrina i rischi e talvolta anche le virtù, ma che riguarda anche il personale tecnico. Poiché si è molto avanzata l'idea di un ruolo unico del personale tecnico e dei funzionari delle autorità amministrative indipendenti, a mio avviso, anche in questo caso, la specificità forte non trae giovamento dall'istituzione di un ruolo unico.
Esiste, invece, un problema molto rilevante di distribuzione delle funzioni fra il collegio, cioè l'autorità in sé, e i funzionari. Le indagini statistiche e l'indagine della prassi in merito dimostrano come la decisione in alcuni ambiti delle autorità sia sostanzialmente in capo ai funzionari e come la quantità di decisioni in cui il collegio si discosta dalla proposta che deriva dall'istruttoria dei funzionari si attesta sotto il 5 per cento complessivamente. Potrebbe essere forse l'avvio di una distinzione sostanziale dei compiti, almeno fra funzioni di regolazione in senso proprio e funzioni di sanzione, che potrebbero essere diversamente allocate.
È necessario poi trovare un problema di risoluzione dei conflitti da autorità ad autorità, che oggi è quello dei conflitti di competenza, il quale, sempre nel caso molto concreto dei conflitti attuali fra l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, si dimostra non avere un luogo di soluzione. Non è un luogo giurisdizionale - raramente le autorità confliggono davanti a un giudice - ma è un luogo che deve esistere. Può darsi che questo tema richieda un intervento rapido, perché determina una grandissima incertezza sulla regolazione e da parte dei mercati.
Esiste, infine, un problema sul finanziamento, che sempre più si palleggia fra le due esigenze di non far gravare i bilanci delle autorità sulla fiscalità generale e di evitare un incentivo alla sanzione in ragione dell'autofinanziamento dalle sanzioni da parte delle autorità amministrative indipendenti.
Credo che ci sia anche oggi - è l'ultimo punto che affronto - un problema di rientro del modello alla sua origine storica,


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quella tipicamente anglosassone, che è stata anche posta in grande evidenza con riferimento alla SEC e agli interventi FSA e a quanto sta accadendo. Mi riferisco a un ritorno a funzioni propriamente regolatorie e tecniche.
Si è verificata, invece, recentemente, da parte del legislatore e non su avocazione della competenza da parte delle autorità amministrative indipendenti, l'introduzione di alcuni elementi di giudizio politico. Il riferimento è, per esempio, al parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella scelta o nell'attivazione dei modelli di in-house providing nella gestione dei servizi pubblici locali. Lo stesso fastidio che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha mostrato nell'esercitare questa funzione - è un parere obbligatorio, non vincolante - derivava dal fatto, a quanto l'autorità stessa ha rilevato, che essa prevede una parte tecnico-regolativa molto forte, ma che la scelta del modello gestorio è una scelta politica che l'autorità non intende svolgere o che non si sente di svolgere in maniera compiuta.
La considerazione conclusiva è che, secondo me, più che un'idea di revisione del modello generale, sia necessario, come è stato rilevato, intervenire su alcuni buchi legislativi attuali, rappresentati da alcuni settori non regolati, come quelli dell'acqua, dei trasporti e, per la verità, anche dei rifiuti, sostanzialmente di tutti i sistemi che vanno verso una forte evidenza dell'importanza delle reti nella gestione.
Questo problema potrebbe essere risolto in tre vie: con l'attribuzione di una competenza ad autorità già esistenti, un percorso che si è tentato in alcune iniziative legislative precedenti, oppure attraverso l'istituzione di nuove autorità di regolazione, come quella dei trasporti della precedente legislatura, oppure ancora attraverso l'istituzione di un'unica nuova autorità dedicata ai servizi a rete, che abbia articolazioni differenti al proprio interno.
Faccio anche presente che in alcuni settori emerge un problema molto rilevante di concorrenza di competenza Stato-regioni, che potrebbe portare non solo a un'articolazione orizzontale per materia, ma a un'articolazione verticale per territorio a un'autorità che abbia sue funzioni e competenze decentrate.

ALESSANDRO LOLLI, Professore ordinario di diritto amministrativo. Ringrazio anch'io la Commissione per l'invito a partecipare. Ho cercato di sviluppare un breve intervento sui problemi fondamentali, tentando di dare al tema un approccio di problem solving.
Il primo problema è quello istituzionale, il tema delle nomine delle autorità indipendenti. In merito voglio rilevare, è noto alla Commissione, che esiste già una legge quadro, la legge 14 novembre 1995, n. 481, la legge istitutiva delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, come l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, il cui primo articolo prevedeva appunto una legislazione quadro. Non ha avuto un grande successo, perché queste autorità hanno una valenza settoriale, sono tecniche e, quindi, finiscono per avere un senso ed esaurire il proprio significato nel singolo settore in cui operano. Esiste, dunque, un profilo istituzionale, come ricordavo, che tutto sommato finora si è rivelato meno interessante.
Vi è poi un profilo operativo, che, invece, ritengo molto più interessante. Ci sono settori che si stanno aprendo alla concorrenza, come i rifiuti, le acque e i trasporti, e che non sono regolati. In questi settori si rischia di assistere a notevoli distorsioni del mercato.
Nel settore dei rifiuti il gestore degli impianti determina il prezzo; nel settore delle acque si pone il problema degli interventi sulla rete, che oggi sono difficilmente possibili, non venendo effettuati i controlli sull'inquinamento delle reti idroigieniche perché si sa che sarebbero fuori norma; infine, si pone il problema dei trasporti, soprattutto a livello nazionale, più che locale. Si tratta di tre settori sui quali un intervento è piuttosto urgente.
Come è noto alla Commissione, è già stato compiuto un intervento del legislatore nel Codice dell'ambiente, che ha restituito


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il compito all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti. È un intervento non riuscito, perché tale autorità aveva semplicemente il compito di inviare report al Parlamento, un compito di osservazione e poco più. Tale intervento ha visto poi l'attribuzione dei compiti di questa autorità all'Osservatorio nazionale sui rifiuti e al Comitato nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, strutture ministeriali che non svolgono regolazione.
Sta diventando imbarazzante la situazione di questi mercati. È interessante vedere anche come rispondono i regolatori locali alle esigenze del mercato. Penso, ad esempio, alla prima gara sulla gestione dei rifiuti che sta partendo a Firenze. Effettivamente si incontrano difficoltà a stabilire che cosa scrivere nel bando, come regolare il servizio, come coinvolgere i soggetti proprietari degli impianti in un sistema di gestione che finora si è limitato alla raccolta, in un contesto dove tutti conosciamo le problematiche sui rifiuti, perché sono sui mass media.
Questo è un punto sul quale, lasciando stare il profilo istituzionale, ogni soluzione presenta vantaggi e benefici. La soluzione attuale tutto sommato non è criticabile né ha creato particolari problemi. È vero che il potere tecnico è una sorta di quarto potere dello Stato, dopo l'amministrativo, il giudiziario e il legislativo, però ha una forte connessione con il potere politico. È vero che ha una rilevante autonomia, però, come dimostra in qualche modo il caso Fazio e come anche il professor Clarich ha rilevato in altre occasioni, queste autorità rispondono, oltre che al soggetto politico, anche al mercato e alla collettività locale. Quando operano in modo non corretto ci sono pressioni e sistemi che consentono comunque, senza ritornare al principio del contrarius actus, che non è stato messo in discussione, di poter intervenire sulle stesse.
Concludendo, esistono un profilo istituzionale che, secondo me, ha una sua importanza, come dimostrato dai fatti e dall'esito della legge del 1995, significativa ma limitata, e un problema più specifico, inerente il supporto che un'autorità regolatoria dei servizi pubblici potrebbe dare alle autorità locali.
Nessuno pensa di emettere bandi a livello centrale. Sulla delocalizzazione delle autorità e su una strutturazione verticale anche per i problemi di finanza pubblica mi sentirei più perplesso. Penso più a una testa centrale, a un'autorità regolatoria in grado, però, di dare un contributo di studio, tecnico, alle autorità locali di regolazione, quelle che primariamente devono occuparsi, sia pure aiutate, della regolazione del mercato.
In questa prospettiva vorrei ricordare anche l'interesse che per un'autorità di questo tipo potrebbe avere, almeno in parte, l'integrazione dei membri da parte di soggetti di nomina regionale per consentire una voce dei regolatori minori anche all'interno del regolatore nazionale.
Come portare avanti tale percorso, a mio avviso più rilevante, sul piano programmatico? Probabilmente lo si può fare non attraverso l'istituzione di una nuova autorità, che comporta costi fissi significativi, ma forse attraverso la realizzazione - tale soluzione è echeggiata nelle audizioni precedenti - di divisioni all'interno delle autorità già esistenti.
Penso all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che già oggi disciplina un servizio pubblico locale come quello della distribuzione del gas. Già oggi si è posto il tema dell'ammortamento degli impianti, dei costi storici, degli standard di servizio e delle tariffe. Pensare ad alcune divisioni all'interno di quest'autorità, senza creare un soggetto nuovo e inevitabilmente molto costoso, che si avvalgano dell'esperienza dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas per operare anche in altri settori mi sembra un'idea che potrebbe essere meritevole di considerazione.

ALESSANDRO PAJNO, Presidente di sezione del Consiglio di Stato. Anch'io, come i colleghi che mi hanno preceduto, vorrei ringraziare la Commissione per l'invito a prendere la parola in quest'audizione e vorrei collocarmi da una prospettiva che tenga conto del fatto che buona


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parte delle questioni sono state già evidenziate negli interventi precedenti.
In tali interventi si evidenziano anche due grandi linee di pensiero, due grandi profili culturali che si intravedono, pur nella loro differenza. Da una parte, vi è un profilo che vede nell'istituzione e nella crescita delle autorità indipendenti un sistema che incrementa la qualità dell'azione amministrativa e della garanzia nei confronti del cittadino, dall'altra, vi è una linea che, pur rispettando tale indicazione, sottolinea invece la necessità di un rapporto diverso nel rapporto fra Parlamento e autorità.
Tutto il dibattito sulle autorità indipendenti è inframmezzato da questi due profili. Da una parte, si cerca, giustamente e, secondo me, doverosamente, di identificare i punti di difficoltà e di crisi delle autorità per intervenire, ma, dall'altra, dietro la soluzione che spesso per ciascuno di questi punti di crisi viene evocata c'è una Weltanschauung, una visione della realtà, un modo di concepire i rapporti tra Stato e cittadino, tra poteri pubblici, Governo e amministrazione, nonché fra Parlamento e amministrazione.
Il tema delle autorità riguarda soggetti indipendenti, ma non è neutrale all'interno del sistema delle grandi scelte, perché si incrocia con il modo con cui il sistema politico si va sviluppando. In una linea di tendenza che veda, per esempio, sviluppare il sistema politico secondo linee che influenzano e incrementano la qualità e la quantità del bipolarismo, il ruolo delle autorità dovrebbe normalmente aumentare, perché in un sistema bipolare il ruolo degli arbitri e della dimensione arbitrale dovrebbe crescere. Nelle soluzioni che verranno assunte occorre tener conto di questo tipo di prospettive.
Per quanto mi riguarda, non faccio mistero del fatto che ritengo preferibile una linea di pensiero che veda affermarsi in modo strategico il sistema delle autorità indipendenti, perché credo che la dimensione dell'indipendenza delle autorità sia una dimensione di garanzia oggettiva del rapporto tra cittadino e pubblici poteri. Più il sistema politico e istituzionale generale va verso il bipolarismo, più essa diventa indispensabile. Se, per esempio, si dovesse realizzare, come si può pensare, una forma di organizzazione diversa dello Stato su base federale, la questione della distinzione del sistema amministrativo dalla politica diventerebbe molto più importante. In questo quadro l'incremento dell'indipendenza diventa una questione fondamentale.
Credo che si debba partire da un fatto: quello delle autorità indipendenti è ormai un sistema. Che piaccia o non piaccia il punto di fatto, esiste ormai un sistema delle autorità indipendenti. Ciò non significa che tutte le autorità indipendenti siano tributarie di un unico modello e di una dimensione generale o che siano sempre suscettibili di una trattazione generale, ma non possiamo non tener conto del fatto che questo sistema esiste e che vede ormai in alcuni settori strategici del sistema-Paese l'intervento di queste autorità. È un sistema non più soltanto nazionale, ma europeo; l'insieme delle autorità indipendenti è ormai inserito in un network europeo. Intervenire in questo network eliminando elementi o modificandone la filosofia significa in sostanza intervenire addirittura sulla capacità del sistema Italia di dialogare e di integrarsi adeguatamente in questo sistema europeo.
È stato sostenuto in dottrina, per esempio, che la qualità dell'indipendenza delle autorità è stata più fortemente promossa dalla dimensione europea che dai legislatori nazionali e che la dimensione europea ha incrementato in modo significativo queste autorità, che traggono la loro garanzia non tanto da una nuova previsione costituzionale quanto dall'aggancio alla dimensione europea.
Si tratta, inoltre, di un sistema che ha ormai una sua giurisprudenza. È stata ricordata poco fa l'idea che si è formato un sistema e che esiste una continuità tra il modo di lavorare delle autorità e la crescita del sistema della giurisprudenza su tali autorità, non solo perché il modello con cui molte di esse lavorano è paragiurisdizionale, ma anche perché il dato di fondo, che mi pare si potesse vedere in


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prospettiva nell'intervento di Marco Dugato, è l'incremento della discrezionalità tecnica all'interno del giudice, che comporta una qualità sempre più forte, almeno in prospettiva, del sindacato sul provvedimento dell'autorità.
Infine, si pone chiaramente il tema del rapporto con il sistema dell'amministrazione ministeriale tradizionale. Quali che siano le scelte che si compiranno in merito alle autorità indipendenti, non si può continuare a pensare di doppiare i sistemi amministrativi, ossia, da una parte, a costruire sistemi di autorità indipendenti e di amministrazione indipendenti e, dall'altra, a lasciare inalterato il sistema delle amministrazioni ministeriali.
È chiaro che, se funzioni di regolazione e di garanzia vanno in capo al sistema delle autorità indipendenti, tali funzioni non possono più o non devono essere più in prospettiva esercitate da amministrazioni di tipo ministeriale. Questo punto è estremamente importante, perché purtroppo nella linea di tendenza del sistema amministrativo italiano c'è la consuetudine di costruire nuovi soggetti e nuove istituzioni, dimenticando però di svuotare e di depotenziare quelle preesistenti, visto che il saldo delle funzioni rimane uguale.
Quali sono le questioni che, conclusivamente, nella prospettiva di una riforma delle autorità indipendenti e di un intervento legislativo sulle autorità indipendenti possono essere esposte, a mio avviso, con chiarezza? Innanzitutto non bisogna caricare i problemi delle autorità indipendenti di quelli che non appartengono loro, ma eventualmente alla provvista delle risorse. In altri termini, distinguerei innanzitutto il problema delle autorità indipendenti da quello del personale delle autorità indipendenti medesime.
Spesso abbiamo motivato la scelta a favore di una legge generale sulle autorità indipendenti, in realtà, per risolvere un problema non di funzioni, ma legato alla garanzia della nomina o allo stato giuridico del personale. Sono problemi che possono essere agevolmente risolti con una legge generale, assicurando una parità di trattamento ai componenti e ai dipendenti delle autorità indipendenti, ma che non riguardano affatto il sistema delle funzioni, né leggi generali sul sistema delle funzioni delle autorità indipendenti, che, a mio modo di vedere, sono molto più complesse, proprio perché è più articolato tale sistema delle funzioni.
Che cosa si può fare, allora? Innanzitutto si può cercare di provvedere, come è stato ricordato, all'istituzione di autorità nei settori in cui è più forte oggi il bisogno di una regolazione, come l'acqua e i trasporti. Qui le scelte sono due: o estendere la competenza di autorità esistenti o istituirne di nuove. Forse nell'attuale fase, caratterizzata da problemi di finanza pubblica, sarebbe più ragionevole utilizzare le autorità che ci sono, incrementandone la competenza per risolvere il problema, almeno per una fase transitoria.
La seconda questione è che cosa occorre fare con riferimento ai procedimenti delle attività. È difficile pensare a una legge generale sui procedimenti, proprio perché il nostro legislatore ha scelto il modello polifunzionale delle autorità. Le autorità si occupano al loro interno di attività piuttosto diverse: l'Antitrust si occupa di adjudication, sostituisce amministrazioni tradizionali attraverso provvedimenti autorizzativi, come le autorizzazioni alla concentrazione, si occupa anche della pubblicità ingannevole e del conflitto di interessi.
In una condizione di questo genere pensare a norme generali sui procedimenti delle autorità è, secondo me, un'opera destinata a non andare in porto. Si può, eventualmente, pensare a introdurre alcune discipline generali per singoli settori, che riguardano determinati modelli di attività, come per l'attività regolatoria o per l'attività legata all'adjudication, quando l'autorità si comporta come un giudice o esercita altri poteri, tipizzando l'attività di questi soggetti e contemporaneamente fornendo alcune disposizioni generali per i singoli settori, ma non per tutto il sistema.
La terza questione, centrale, è quella dell'indipendenza dell'autorità. Il dato fondamentale è che le procedure di nomina, nonché quelle successive alla scadenza


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dell'incarico debbano essere tali da assicurare per quanto possibile tale indipendenza. Da questo punto di vista, effettivamente potrebbe scegliersi uno dei modelli possibili.
In pratica, esiste una linea di tendenza per privilegiare il modello previsto per l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che realizza un punto di equilibrio tra l'intervento del Governo e del Parlamento, però l'elemento dell'indipendenza è assolutamente essenziale.
L'indipendenza non si garantisce soltanto con una formula legata alla nomina, ma esiste un problema di effettività e manutenzione dell'indipendenza stessa. Essa si realizza anche attraverso interventi che assicurino la qualità dei componenti che vengono indicati, perché esiste un rapporto fortissimo tra indipendenza dell'autorità e qualità tecnica dei suoi componenti. Laddove la qualità tecnica dei componenti è destinata a diminuire, diminuisce anche l'aspettativa di indipendenza nei confronti di questi soggetti. Non si può ridurre la questione dell'indipendenza solo alla questione della nomina de futuro o dei comportamenti successivi all'assolvimento. Bisogna pensare che in concreto questa indipendenza va assicurata con scelte opportune.
Da ultimo - il dato va sottolineato - non esiste indipendenza che non sia anche indipendenza finanziaria e, quindi, se si vuole incrementare il sistema delle autorità indipendenti, occorre incrementare anche la qualità della loro indipendenza finanziaria, possibilmente mescolando i sistemi di finanziamento delle autorità e non garantendoli soltanto attraverso un unico sistema, perché ciò può diventare un modo per controllare il funzionamento e la quota dell'indipendenza delle autorità.
Concludo con l'indicazione di mantenere sempre un rapporto tra la questione dell'organizzazione delle autorità e del sistema amministrativo generale. Dobbiamo pensare che il sistema amministrativo è tendenzialmente una realtà unitaria; non possiamo considerarlo come un sistema che si doppia e si divide.
Questa è una ragione in più per non emanare una legge generale sulle autorità indipendenti nel senso di una legge volta a delineare un modello astratto delle autorità indipendenti. Il rischio, in questo caso, sarebbe quello di contrapporre un modello amministrativo di autorità indipendente a un modello ministeriale di attività amministrativa e di concentrare l'indipendenza soltanto sulle autorità indipendenti, mentre il valore dell'indipendenza va rafforzato e attribuito anche nelle amministrazioni basate sul tradizionale modello ministeriale. Tale indipendenza va garantita dall'autorità con la tecnicità dei propri funzionari e in tal senso è implicita una scelta con riferimento al sistema amministrativo generale.

GIAMPAOLO ROSSI, Professore ordinario di diritto amministrativo. Avendo studiato per tanti anni gli enti pubblici, avverto ora che si sta ripetendo per le autorità indipendenti la vicenda che abbiamo vissuto proprio per gli enti pubblici. Questi organismi nascono non a seguito di un disegno armonico generale, ripetuto e stabile nel tempo, ma di alcune pulsioni particolari e spesso di esigenze effettive. Nascono, quindi, ciascuna per soddisfare un'esigenza specifica e vengono disciplinate con modalità spesso diverse l'una dall'altra.
A questo punto il legislatore, come è già avvenuto per gli enti pubblici, si pone il problema di razionalizzarle. Tale problema va affrontato cercando, però, di capire se una disciplina organica si rende necessaria per rimuovere difformità occasionali o se può finire, invece, per rafforzare diversità che vanno conservate, perché le funzioni delle autorità sono diverse.
La prima osservazione da svolgere è che non esiste un modello. Spesso, si argomenta, e io stesso userò questa improprietà, come se esistesse un modello di autorità amministrativa indipendente e si sapesse che cos'è esattamente.
Non esiste - nell'appunto che ho consegnato alla presidenza illustro come il riferimento al modello americano sia improprio - un simile modello e se ne è


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avuto conferma anche nel corso di questa audizione. La Commissione ha sentito due colleghi, entrambi validissimi, affermare l'uno che la Banca d'Italia è autorità amministrativa indipendente e l'altro che non lo è. Nessuno dei due sbaglia, ma ciò significa che a monte vi è una diversa idea di che cosa siano tali autorità.
Volendo, quindi, con molta approssimazione raggruppare le figure che oggi si connettono a questo nome, in genere si distinguono in due megatipologie, quelle di garanzia e quelle di regolazione.
Le prime presuppongono l'esistenza di un mercato in ordine al quale il pubblico potere ha essenzialmente una funzione di controllo e il fine di garantirne il buon funzionamento. Si assume, a ragione o a torto, che l'interesse pubblico venga automaticamente garantito dal mercato e che, quindi, se ne debba assicurare il buon funzionamento.
La figura tipica è quella dell'Antitrust, ma, come la Commissione sa, vi si connettono anche, benché le differenze siano evidenti, la Banca d'Italia, la CONSOB e l'ISVAP. Per queste figure il problema principale che si pone è che l'ambito dei loro poteri è diverso dall'ambito delle esigenze che dovrebbero soddisfare. Il mercato non è più nazionale, il che non le delegittima. La stessa Antitrust, però, ha dovuto all'inizio faticare non poco per trovare un ambito di operatività effettiva, che ha poi conquistato.
Credo che per queste autorità l'utilità indubbia della loro funzione si concretizzerà sempre più nel collegamento con le altre autorità nazionali e nell'essere parte quanto meno di un organismo europeo. Il mercato non è più nemmeno solo europeo, ma quello europeo presenta specificità particolari.
Per le autorità di regolazione dei servizi pubblici il mandato istituzionale non mi sembra sufficientemente univoco. Da un lato, esse devono accompagnare e favorire la liberalizzazione del settore - energia elettrica, poste, trasporto ferroviario, telecomunicazioni - ma, dall'altro, devono assicurare la soddisfazione del pubblico servizio.
Questo secondo profilo comporta una chiara inerenza di scelte politiche, che coinvolgono l'interesse degli utenti, ma perfino interessi di politica estera: pensate alla penetrazione di imprese comunitarie e di fondi sovrani nei servizi essenziali. È chiaro che vi deve essere a monte nella politica una scelta univoca ed essenzialmente politica, che non sempre è stata assunta in maniera consapevole.
L'attuazione di essa può essere demandata a tali autorità, ma sono necessarie una scelta politica e una divisione di ruoli ben chiara, altrimenti la politica, pensando che queste autorità le tolgano spazio, non le elimina, ma finisce per depauperarle, impedendo loro di tenere consulenze. Non è questa la soluzione.
Anche per le autorità di regolazione di servizi è di vitale importanza - ormai è anche dovuta sulla base della normativa - la progressiva integrazione a livello europeo. Come è stato ricordato giustamente, resta anche aperta la questione del raccordo con le competenze regionali in materia.
Se assumiamo tale difformità funzionale delle diverse figure, non possiamo suggerire una normativa uniforme, anche se ciò non esclude alcune norme di carattere generale o almeno criteri meno occasionali per alcuni profili chiave. Se si condivide l'idea che tali autorità vadano istituite o mantenute in vita quando davvero assolvono a una funzione separata dall'indirizzo politico e di elevata tecnicità, si dovrebbero adottare procedure meno eterogenee soprattutto nella nomina dei membri e idonee a garantirne l'indipendenza.
La garanzia dell'indipendenza, a mio avviso - è stato affermato anche dal collega Pajno - sta soprattutto nella modalità della nomina, perché l'indipendenza, prima ancora di essere una condizione giuridica, è una qualità delle persone. Inevitabilmente, quindi, è connessa alla loro elevata professionalità.
Se si esaminano le procedure di nomina dei membri attualmente in vigore, si vede che quasi per ogni autorità sono stati adottati un criterio e una forma diversi: il


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decreto del Presidente della Repubblica su designazione dei Presidenti delle Camere, metà dei componenti eletti dalla Camera e metà dal Senato con voto limitato, la nomina da parte del Governo su proposta del ministro, ma con parere vincolante delle Commissioni espresso a maggioranza dei due terzi, decreto del Presidente della Repubblica previa delibera del Consiglio dei ministri su proposta di un ministro, previo il parere favorevole delle Commissioni parlamentari.
Le scelte sono state occasionali, ma forse si può intravedere una chiave di lettura, che non sta tanto nella nomina parlamentare o governativa, quanto nel tipo di raccordo che determina con le forze politiche. Una nomina parlamentare con voto limitato determina inevitabilmente, come è stato per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, una grande vicinanza con le parti politiche che nominano i membri. Il suggerimento è quello di adottare, se si vuole l'indipendenza delle autorità, la formula che richiede un ampio consenso delle forze parlamentari.
Un'eventuale revisione della disciplina delle autorità dovrebbe, a mio avviso, basarsi sull'antico adagio pieno di saggezza in base al quale entia non sunt multiplicanda sine necessitate, anche perché a volte lo si fa impoverendo le amministrazioni, dal momento che la provvista di personale e l'elevata retribuzione consente di attrezzare rapidamente, ma sempre con alcuni anni di tempo, un ufficio, il che è più difficile nell'amministrazione diretta.
Occorre probabilmente sfoltire le autorità nel numero o, quanto meno, nelle funzioni. Un esempio un po' provocatorio può essere quello dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, che ha eccessivamente allargato il proprio ambito di operatività a discapito dell'effettività della tutela. Oggi la privacy è il bene meno tutelato che esista, come sappiamo, e quindi, più che occuparsi di ogni possibile eventuale profilo, sarebbe bene concentrarsi su alcuni obiettivi e renderli effettivi. Ciò non vuol dire indebolire l'autorità, ma rafforzarla.
Se non è opportuna, a mio avviso, una disciplina unitaria, tanto meno lo è prevedere una copertura costituzionale delle autorità. Non ce n'è bisogno, perché, al di là di alcune opinioni dottrinali più che legittime e autorevoli, la legittimità costituzionale delle autorità non è mai stata messa in dubbio. Se il problema è quello di garantire la separazione dalla politica, non la si ottiene con una norma costituzionale. Tanto meno si ottiene un indebolimento delle autorità attraverso una norma costituzionale. Il legislatore ha in mano la possibilità, se volesse, di indebolirle come vuole.
In conclusione, sarebbe difficile configurare tale norma in modo che non si presti a equivoci o a trabordanze proprio per l'elevata eterogeneità delle funzioni, che non possono comunque assorbire quelle che restano di natura politica.

MARCO D'ALBERTI, Professore ordinario di diritto amministrativo. Il programma di questa indagine conoscitiva è molto ampio. Toccherò soltanto alcuni punti, partendo dal quadro comunitario dell'Unione europea per poi arrivare al quadro nazionale. Quella comunitaria è una premessa d'obbligo, perché, come cercherò di spiegare, ci servirà anche sul piano pratico per vedere quali possano essere le iniziative da prendersi a livello parlamentare nazionale.
Il quadro comunitario certamente vede un potenziamento delle autorità indipendenti fino al recentissimo cosiddetto pacchetto sulla vigilanza finanziaria europea. Come è avvenuto questo potenziamento delle autorità indipendenti? Innanzitutto l'Antitrust, che è stata citata da alcuni colleghi prima di me, ha avuto un Regolamento comunitario, il n. 1 del 2003, che riguarda tutte le autorità Antitrust, il quale prevede il potenziamento dell'indipendenza delle autorità nazionali di Antitrust.
Il Regolamento ha previsto che le autorità nazionali Antitrust in Europa debbano essere o amministrazioni o giudici, il che è significativo, perché, se sono giudici, hanno l'indipendenza del giudice, mentre,


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se sono amministrazioni, è implicito, ma altrettanto chiaro, che debbano essere amministrazioni assimilabili allo status di giudici e, quindi, allo status di indipendenza di un giudice.
Inoltre, a seguito del citato Regolamento del 2003, è stata istituita la Rete europea della concorrenza, formata dalla Commissione europea e dalle autorità di concorrenza dei diversi Stati membri dell'Unione. Questo significa che per i cartelli e per i casi Antitrust di rilievo comunitario ciascuna autorità nazionale decide ormai sotto gli occhi di tutti, della Commissione e delle altre 26 autorità nazionali di concorrenza. Scelte partigiane, particolaristiche e politiche in materia Antitrust non sono, dunque, più facili da compiere e non dovrebbero essere consentite.
Il secondo settore sul quale vorrei soffermarmi è quello del Sistema europeo delle banche centrali per la politica monetaria, formato, come sappiamo, dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. È un sistema che si incentra a sua volta sul valore dell'indipendenza, perché - esiste una norma ancor più importante di quella sulla concorrenza, l'articolo 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - nessun membro della BCE o delle banche centrali nazionali può accettare o sollecitare istruzioni dagli organismi comunitari o dai Governi nazionali. Ciò significa che la politica monetaria viene attuata in indipendenza rispetto alle istruzioni, per citare il trattato, dei Governi nazionali e di organismi politici di qualunque natura.
Il terzo esempio riguarda le comunicazioni elettroniche. Anche in questo caso ci sono state diverse direttive importanti - siamo a un livello meno nobile rispetto a quello del Trattato, al diritto comunitario secondario, se così si può chiamare - che dal 2002 a oggi hanno sempre più rafforzato a livello comunitario l'indipendenza delle autorità nazionali di regolazione delle comunicazioni elettroniche, come la nostra AGCOM. La stessa sorte è toccata, anche in questo caso con direttive più o meno coeve, al settore dell'energia e del gas.
Infine, torno all'esempio che citavo all'inizio, cioè al pacchetto comunitario entrato in vigore il 1o gennaio del 2005 in materia di vigilanza finanziaria europea con il nuovo Comitato europeo per il rischio sistemico e con le tre autorità di vigilanza sulle banche, sulle assicurazioni e sui valori immobiliari, le tre autorità indipendenti di vigilanza finanziaria europee.
Alcune norme dettagliate, che non sto a citare, stabiliscono l'indipendenza a livello europeo di queste autorità, nonché l'indipendenza delle autorità nazionali che ne fanno parte.
Se questo è il modello comunitario, è chiaro che esiste un favor a livello comunitario per il valore dell'indipendenza, almeno in questi settori, elemento utile dal punto di vista pratico per il discorso che andrò a svolgere a breve.
Come possiamo chiudere la riflessione sull'ordinamento comunitario? L'ordinamento comunitario sottolinea il valore dell'indipendenza, che è fondamentale al fine di realizzare gli obiettivi dell'Unione europea contro possibili resistenze particolaristiche o nazionali degli Stati, affidando a organismi indipendenti la gestione della politica monetaria, delle telecomunicazioni, dell'energia e della concorrenza.
Se osserviamo bene, sono tutti settori trasversali e orizzontali, perché la concorrenza riguarda tutti i mercati: l'energia serve a tutte le imprese, come anche le telecomunicazioni e il gas. Questo sottolinea il valore dell'indipendenza, che si afferma in mercati trasversali.
Veniamo alla situazione interna. Noi abbiamo - lo si coglieva già dagli interessanti interventi che mi hanno preceduto - una pretesa tutta italiana, che è quella di emanare la legge quadro sulle autorità indipendenti. È una pretesa che sussiste ormai da diversi anni e che è stata ripetuta, in formule diverse l'una dall'altra, da Governi di diversa ispirazione politica, ma comune alla cultura istituzionale italiana. Discutiamone un attimo. Emanare una legge quadro sulle autorità indipendenti contrasta immediatamente con quanto affermava il professor Rossi pochi minuti fa:


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non esiste un modello di autorità indipendente ed è, pertanto, difficile elaborare una legge unificante. Il collega citava l'esempio degli enti pubblici, materia sulla quale ha scritto libri di fondamentale importanza: non abbiamo mai avuto una legge quadro come tale sugli enti pubblici. Abbiamo avuto una legge sul parastato, ma non una legge che avesse la pretesa di rappresentare il quadro di tutto e lo stesso discorso vale per le autorità indipendenti.
Il secondo motivo che ci deve far riflettere, sul piano del diritto comparato, è che una simile legge non esiste in alcun Paese al mondo.
Si potrebbe emanare forse una legge che sistemi alcune questioni comuni, come quella delle nomine o del numero dei componenti delle autorità: ci sono nove componenti all'AGCOM, cinque all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alla CONSOB e ne abbiamo avuti due fino a pochi mesi fa all'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Quando studiavamo giurisprudenza ci si diceva che due non fanno un collegio, ma dal momento che è stato fatto e che il Consiglio di Stato l'ha approvato, evidentemente la regola è cambiata. Da due a cinque o a nove, però, c'è una bella differenza. Potrebbero essere cinque dappertutto, seguendo il modello americano. Questa potrebbe essere una razionalizzazione.
Forse anche le procedure di nomina potrebbero essere razionalizzate. Ancora una volta mi rifaccio alle parole del professor Rossi e ai diversi sistemi che lui ha indicato con grande precisione.
Che cosa fare in una legge? Preciso innanzitutto che quella della nomina è una questione che con la legge non si risolve. Il problema delle deviazioni e delle turbative politiche sulla nomina non si risolve con una norma di legge, sia pure confezionata nel migliore dei modi, ma si può intervenire in parte.
Prima di arrivare ai meccanismi di legge occorre una vera cultura dell'indipendenza. Recentemente, in un lavoro curato insieme al presidente Pajno, ho citato un esempio, che vorrei ripetere qui, sull'autorità di concorrenza inglese. In tale autorità sono stati nominati in anni recenti da un ministro della Regina due membri, uno francese, Frédéric Jenny, e uno irlandese, John Fingleton, uno degli economisti industriali più importanti d'Europa. Questo fatto ci deve far riflettere: un ministro della Regina della Corona inglese nomina un francese e un irlandese. Conosciamo bene la storia dei contrasti religiosi e politici tra l'Inghilterra e l'Irlanda, da un lato, e tra l'Inghilterra e la Francia, dall'altro, eppure, in nome dell'indipendenza, hanno scelto i migliori, stranieri, di Paesi storicamente rivali. Credo che la Francia, gli Stati Uniti e anche il nostro Paese debbano imparare da questa esperienza.
Venendo a quel poco che si può fare con le norme - un tentativo si può sempre compiere - forse un meccanismo sarebbe proprio quello di stabilire un numero di cinque membri designati o dal Governo o dai Presidenti delle Camere in funzione di equilibrio e poi di prevedere comunque una seria hearing dinanzi alle Commissioni parlamentari competenti. Dovrebbero essere poi richiesti requisiti soggettivi legati alla specifica materia di cui si tratta. Non bastano l'esperto o il professore universitario di ruolo in generale, ma, se si tratta della materia finanziaria, occorre l'esperto in vigilanza finanziaria, come è previsto, d'altra parte, dal Regolamento n. 1093 del 2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, che potrebbe essere preso a modello e che istituisce l'Autorità bancaria europea.
In tale Regolamento il Presidente è nominato dopo una designazione particolare, perché viene dal Consiglio delle autorità di vigilanza. Dopo la designazione, che da noi potrebbe essere governativa o dei Presidenti delle Camere, il designato deve emergere da una procedura di selezione aperta. Le candidature si possono presentare; in Inghilterra l'avviso esce sull'Economist. Da noi questo meccanismo di trasparenza mi pare non sia molto usato.
Dopo questa procedura di selezione avviene la designazione, dopodiché si tiene la hearing dinanzi al Parlamento europeo,


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nel nostro caso dinanzi al Parlamento nazionale, il quale fino a un mese dopo la designazione può sempre ascoltare e riascoltare il candidato scelto e opporsi alla sua designazione. Questo potrebbe essere un modello, cui andrebbe però aggiunta la più importante e preliminare cultura dell'indipendenza.
Per il resto, credo che non ci siano troppe questioni comuni. I procedimenti non possono essere toccati con una legge unitaria, perché i procedimenti che si seguono per decidere nelle diverse autorità sono diversissimi: c'è chi utilizza procedimenti normativi o amministrativi generali, come la CONSOB e la Banca d'Italia, se la vogliamo considerare tra le autorità indipendenti - il dibattito su questo punto è aperto - e altre autorità, come l'Antitrust, che non seguono procedimenti normativi, ma quasi giurisdizionali.
Che legge unitaria si può emanare in materia? Se vogliamo fare una mescolanza di aspetti eterogenei, facciamo pure, ma non mi sembra il caso. Anche per i finanziamenti ci sono specificità particolari per ciascuna autorità.
Forse proprio un controllo parlamentare sostanziale potrebbe essere pensato come linea unitaria unificante. Anche in questo caso mi rifaccio a un esempio straniero. Dopo i collassi finanziari di questi ultimi anni, in Inghilterra, che è stata particolarmente colpita dalla crisi finanziaria, la Financial Stability Authority, un organismo a metà tra la nostra CONSOB e la nostra Banca d'Italia, è stata messa pesantemente in discussione dal Parlamento britannico, ha rischiato di essere chiusa. Sono state tenute audizioni su audizioni per chiedere spiegazioni ai membri della Financial Stability Authority su che cosa fosse accaduto.
Questo potrebbe essere un sentiero da percorrere anche da noi. È stato affermato più volte che la relazione tra autorità indipendenti e Parlamento non si può esaurire nella cerimonia annuale che si tiene alla Sala della Lupa. Deve essere un rapporto maggiore e più continuativo.
Per il resto credo che dobbiamo procedere caso per caso, ma c'è un ultimo problema che vorrei toccare e che so sta a cuore a molti componenti della Commissione, ossia il perimetro delle autorità indipendenti, la loro delimitazione: vanno ridotte, vanno mantenute, vanno aumentate? Che cosa deve succedere?
Il Consiglio di Stato francese esattamente dieci anni fa sostenne che l'eterogeneità e la moltiplicazione sono una ricchezza istituzionale, però erano dieci anni fa. Oggi, nel 2011, in periodo di crisi finanziaria, non so che cosa direbbe. Sulla moltiplicazione dovremmo stare forse un po' più attenti e dovrebbero farlo anche loro.
Che cosa emerge dal quadro comunitario che ho cercato di tracciare all'inizio? Forse ci sono alcune autorità indipendenti necessarie, che sono quelle che costituiscono ormai un vincolo comunitario, come l'Antitrust, la Banca d'Italia, se la vogliamo considerare nel nostro novero, la CONSOB e a mio avviso anche l'ISVAP, perché il modello europeo della vigilanza finanziaria conferma che la vigilanza sulle assicurazioni deve avere autonomia rispetto a quella sulle banche e sui valori mobiliari. D'altra parte, che le assicurazioni abbiano una loro peculiarità rispetto alle banche è noto a tutti. Si aggiungono poi le Autorità per l'elettricità e il gas, per le telecomunicazioni e le radiotelevisioni. Sono necessarie, è importante mantenerle e potenziarle.
Per il resto credo che il perimetro, per una ragione logica ed evidente, non si possa dettare in una legge quadro unitaria una volta per tutte. Se affermiamo che le autorità sono cinque, sei o sette, l'anno dopo per un'eventuale esigenza potrebbero diventare otto. Sarebbe una legge quadro destinata a essere modificata il giorno dopo.
Di volta in volta, a seconda delle necessità, si vede ciò che serve, come è successo per la nascita di queste autorità. Esse non sono nate con una legge organica, ma ciascuna è nata quando serviva: la CONSOB nel 1974 per tutelare i risparmiatori, l'Antitrust nel 1990 per tutelare la concorrenza e poi le autorità dei servizi


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pubblici per tutelare gli utenti con riguardo all'elettricità, al gas e via elencando.
Così come sono nate, quando è necessario si riformano, come è stato per la legge sul risparmio, che nel 2005 ha dovuto rafforzare i poteri della Banca d'Italia e della CONSOB, in seguito a quello che era accaduto, e come è successo per l'Antitrust, che è stata riformata di volta in volta a seconda delle esigenze. Anche in questo modo si capirà se istituirne di nuove o se accorparne altre, usando magari quelle preesistenti.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO ZACCARIA. In seguito a tutto ciò che è stato osservato, ritengo che la Commissione possa escludere la possibilità di emanare una legge generale uguale per tutti. Già da prima non ci pensavamo, poiché l'idea era in realtà quella di individuare alcuni nodi.
Diversi intervenuti hanno parlato di poteri delle autorità. Il problema è quello dei doveri, con riferimento al concetto di indipendenza e al rapporto con Governo e Parlamento. Soprattutto il Parlamento si rende conto di avere assai pochi poteri nei confronti di queste autorità, mentre certamente soffre della sottrazione di scelte discrezionali di cui parlava qualcuno degli auditi.
Credo che il punto sia molto delicato. Il Governo, allo stato della legislazione vigente, spesso, attraverso i meccanismi delle nomine, ha un maggior peso rispetto al Parlamento.
Il problema consiste nel come costruire un rapporto che vada al di là della relazione annuale. Credo che si potrebbe cominciare da un potere ispettivo, di interrogazioni, dal momento che queste autorità spesso operano senza che si possa entrare nei loro meccanismi.
L'Inghilterra può compiere interventi più autorevoli come maggioranza parlamentare, ma, se noi vogliamo configurare un rapporto che non sia di separazione, occorre anche un potere ispettivo, altrimenti è difficile emettere giudizi, se non si ha la possibilità di conoscere. In molti casi, come sapete meglio di me, per il ritmo che hanno queste autorità, tale potere non sussiste.
Dopodiché, apprezzo tutto ciò che è stato osservato dai nostri ospiti sui criteri di nomina. L'ultima osservazione del professor D'Alberti è giustissima. Ha asserito che è difficile farlo per legge, ma che la legge aiuta. Oggi si parla di criteri di riconosciuta competenza. Ditemi voi che cosa significa. Tutti sono di riconosciuta competenza, purché abbiano due o tre amici che sostengono che sono bravi. Secondo me bisogna compiere alcuni passi avanti proprio nella direzione indicata dagli esperti intervenuti.
Anche in merito agli ordinamenti interni, non alle procedure e ai procedimenti, che rispondono a logiche particolari, a volte non si capisce proprio perché ciascuna autorità debba avere un assetto diverso dalle altre dal punto di vista delle strutture che le assistono. Alcune sono sovrabbondanti e altre un po' sottodimensionate. Il nostro obiettivo non è quindi una legge comune, ma una legge cornice.
Anche sul discorso del numero, assistiamo a interventi normativi che a distanza di quindici giorni modificano decreti precedenti. Se anche il numero volesse aumentare, si fa presto a fare una novella che lo modifichi. Se, però, io domandassi adesso a ciascuno di voi quante sono le autorità indipendenti, non tutti darebbero la stessa risposta. Il problema, dunque, si pone.

MARIO TASSONE. Svolgo soltanto poche battute, perché il tema sarà recuperato e riproposto con molta attenzione.
Si parla di autorità indipendenti. Tali autorità hanno assunto sempre ruoli e compiti polifunzionali, di controllo, di garanzia, spesso anche amministrativi e di gestione, ragion per cui ovviamente si pone la difficoltà di capire qual è il confine che separa l'amministrazione dalla garanzia o dalla regolazione.


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Il professor Pajno parlava della tutela dei poteri forti e poi svolgeva anche un assunto e soprattutto una riflessione molto forte e intensa rispetto all'attuale sistema politico del nostro Paese: più diminuisce il peso della politica, più c'è un bipolarismo che ridimensiona e soprattutto che fa naufragare la politica, più si individuano alcune esigenze e aumenta nel campo dell'economia il numero delle authority.
Le autorità, però, sfuggono dal controllo della politica, anche nei tempi normali. Sono sottoposte all'esecutivo e svincolate da un controllo da parte del Parlamento. Il dato delle autorità diventa, quindi, un termine estremamente difficile da cogliere e da comprendere.
Se dobbiamo elaborare una nuova legislazione, credo che lo si debba fare in termini complessivi. Esistono diverse autorità, ciascuna delle quali è un potere a parte. Sono esse stesse poteri forti, svincolate dalla politica e dal controllo, pur avendo come premessa la tutela dell'interesse della collettività.
Ritengo, però, che certamente questo sia un discorso da definire, soprattutto in riferimento alle strutture interne e a rendite di posizione svincolate da ogni controllo e da una visione strategica. Manca una visione strategica; le autorità non sono un insieme in alcun disegno strategico complessivo all'interno del nostro Paese. È una riflessione un po' amara, ma evitiamo di girare attorno alle questioni: quando c'è una situazione difficile, una rendita di posizione da assicurare, ci inventiamo un'authority.
Il professor D'Alberti citava le autorità essenziali. A queste se ne sono accumulate molte altre, ragion per cui l'Italia rischia di diventare un Paese di authority e, quindi, ovviamente la centralità della politica va a svanire.

LINDA LANZILLOTTA. Svolgo una notazione sulla questione delle procedure di nomina. Diverse opinioni, da quella del professor D'Alberti a quella del professor Clarich, mettono a confronto le due idee, proponendo che ci sia un meccanismo di competizione o di cooptazione. Penso che inevitabilmente prevarrà quello della cooptazione.
Noto che esiste una regressione molto grave nelle procedure e nei criteri di selezione e che si sta introducendo un altro principio, che a mio avviso dovrebbe essere oggetto almeno di una norma in materia di ineleggibilità, che riguarda i percorsi di carriera all'interno delle autorità, i quali si scontrano con il principio di specializzazione a cui faceva riferimento il professor D'Alberti.
Il punto, come mi sembrava che sottolineasse la professoressa De Minico, è che, mentre a livello europeo rimane il profilo dell'autorità prevalentemente di regolazione di singoli casi e interessi, da noi, invece, soprattutto in alcuni settori - penso a quello delle telecomunicazioni e a quello dell'energia - ci sono competenze sempre più regolatorie e che attengono sempre più a scelte di carattere strategico nei settori fondamentali delle politiche pubbliche e delle politiche di sviluppo.
Le questioni che poneva l'onorevole Tassone dell'ambito e dell'equilibrio tra i poteri di indirizzo politico e i poteri di alta amministrazione o di esercizio della discrezionalità rispetto ad ambiti specifici sono rilevanti. Ricordo un inciso della legge relativa all'Autorità per l'energia elettrica e il gas che faceva riferimento all'esercizio in materia tariffaria, tenuto conto di indirizzi generali di politica economica, che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas non ha mai accettato che venisse effettivamente applicato. L'autorità non ha mai accettato, cioè, che potesse esserci in materia tariffaria un indirizzo macroeconomico, ritenendo che la propria competenza non potesse essere in alcun modo condizionata. Lo stesso discorso vale per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Alcune scelte incidono fortemente nella materia politica.
La mia riflessione attiene a questo tema. Visto che il Parlamento, al di là della delegittimazione del suo ruolo, che ci auguriamo possa rafforzarsi in futuro, è svuotato dall'alto verso l'Unione europea, dal basso verso il sistema regionale locale, di lato da quello delle autorità, si tratta di


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capire che influenza possa ancora esercitare sulle grandi scelte di politica economica.
Il tema esiste ed è molto importante. A me sembra, ma non sono sufficientemente aggiornata negli studi, che quanto meno nei Paesi dell'Europa continentale il ruolo di indirizzo delle autorità politiche sia ancora molto forte e che, quindi, noi, in ragione di un processo anche di delegittimazione delle istituzioni politiche e di non riconoscimento all'amministrazione pubblica della capacità di esercizio indipendente o comunque non soggetto all'indirizzo politico di alcune funzioni, abbiamo potenziato tali autorità forse più di quanto non sia avvenuto in Francia o in Germania.
Penso che la riflessione vera, al di là della questione di norme comuni in materia prevalentemente di nomine e composizioni e per quanto riguarda gli apparati di supporto, sia quella che verte sul rapporto tra autorità e indirizzo politico.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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