Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissioni Riunite
(I e III)
10.
Mercoledì 4 maggio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO

Audizione del rabbino Andrew Baker, Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 8 9 12
Baker Andrew, Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo ... 4 10
Corsini Paolo (PD) ... 8
Pianetta Enrico (PdL) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI)

Comitato di indagine sull’antisemitismo

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 4 maggio 2011


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 9,05.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del rabbino Andrew Baker, Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'antisemitismo, l'audizione del rabbino Andrew Baker, rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo.
Siamo molto contenti, oggi, di dare il benvenuto, nell'ambito del nostro Comitato di indagine sull'antisemitismo, al rabbino Andrew Baker, che ricopre anche la carica di direttore per gli affari internazionali dell'American Jewish Committee, un organismo di estrema importanza.
Il rabbino Baker è fra i più autorevoli esperti di antisemitismo in Europa e si è lungamente occupato della restituzione dei beni espropriati agli ebrei durante la Shoah, circostanza che ci sembra di grande importanza e di estrema attualità. Si è molto occupato, altresì, dei Paesi dell'est a seguito del crollo dell'Unione sovietica, è stato il delegato del Governo americano alla prima Conferenza OSCE sull'antisemitismo di Vienna nel 2003 e ha partecipato alla riunione di Berlino, alla quale partecipavo anch'io come delegata del Governo italiano. Quella è stata la prima occasione in cui ci siamo incontrati; ci siamo poi visti in numerose occasioni, in cui ho avuto modo di verificare il grande impegno del rabbino.
L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha un approccio globale alla sicurezza, che comprende anche i temi dei diritti umani, della tutela delle minoranze e della democratizzazione. A partire dal 2002, all'interno dell'Organizzazione si è sentito il bisogno di una maggiore attenzione in relazione alla crescita dell'antisemitismo nei Paesi membri, che purtroppo è stata notata in maniera del tutto evidente. Si è quindi decisa l'istituzione della figura del Rappresentante personale della Presidenza per il contrasto all'antisemitismo, per assicurare visibilità politica alle azioni da intraprendere e, nello stesso tempo, operare in maniera flessibile.
Voi tutti sapete che cos'è l'OSCE. L'Organizzazione conta 56 membri, situati in Europa, Asia centrale e Nord America, e può svolgere un ruolo efficace per affrontare la situazione del Medioriente, potendo contare sul rapporto di cooperazione con alcuni Paesi della regione, quali Israele, Egitto e Giordania.
Segnalo che nello scorso mese di marzo la Presidenza dell'OSCE ha organizzato un incontro svoltosi a Praga sul tema dell'antisemitismo nel discorso pubblico. In tale occasione, il nostro ospite ha espresso forti preoccupazioni, constatando che spesso,


Pag. 4

anche quando la leadership politica riconosce come inaccettabili i discorsi antisemiti, non vi è sufficiente azione di contrasto e aggiungendo che i media svolgono un ruolo significativo in questo contesto come attori e diffusori dei messaggi antisemiti. È lo stesso discorso che abbiamo sentito pronunciare dal Premier del Canada, quando ci siamo recati, insieme all'onorevole Corsini, alla conferenza dell'ICCA (Coalizione interparlamentare per la lotta all'antisemitismo).
Mi piace, infine, ricordare che predecessore di Andrew Baker nell'incarico di rappresentante speciale è stato Gert Weisskirchen, già membro del Bundestag, che come me è componente del Comitato direttivo della stessa coalizione interparlamentare e che sarà presto audito dal nostro Comitato.
Con grande piacere do la parola al rabbino Baker.

ANDREW BAKER, Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo. Grazie. È un grande onore essere qui con voi per partecipare al vostro impegno su questa questione. Il vostro impegno è noto in Europa, ma ne abbiamo sentito parlare anche negli Stati Uniti.
Dieci anni fa - tanto per tracciare il contesto - di che cosa avremmo parlato? In Europa e negli Stati Uniti magari si poteva ritenere che l'antisemitismo fosse un problema consegnato alla storia. Senz'altro sussistevano preoccupazioni in ordine agli elementi populisti di destra e gruppi neonazisti, gli skinhead, però con la sensazione che ci fosse una tendenza verso la riduzione. Dieci anni fa, quando ci si preparava alla Conferenza dell'ONU a Durban sul razzismo, noi sapevamo che c'erano state delle riunioni preparatorie nel precedente mese di ottobre a Strasburgo, dove si riunirono le comunità europee, quelle ebraiche e altre per far confluire le loro preoccupazioni e le loro priorità in vista della Conferenza di Durban. Da parte dei gruppi ebraici si pose l'accento, in quella sede, sugli elementi estremisti di destra nelle diverse società. Certo, c'erano preoccupazioni in ordine alla negazione dell'Olocausto, non come dibattito su fatti ormai storici ma come un'altra forma di antisemitismo, come un modo concreto di attaccare la comunità ebraica. Ma queste erano quasi le uniche preoccupazioni che sussistevano all'epoca. C'era stata un'interruzione brusca del processo di pace nel Medio Oriente, ma non si comprendeva quali sarebbero state le ripercussioni.
Soltanto pochi mesi dopo, alla Conferenza di Durban, ci siamo trovati improvvisamente di fronte a un grosso problema. Le ONG ebraiche e altri soggetti preoccupati dell'antisemitismo si sono trovati, a Durban, quasi in stato di assedio. I Paesi che si erano visti qualche mese prima a Teheran alla conferenza regionale, proposero di nuovo la vecchia equazione sionismo uguale razzismo. Durban non sarebbe stata, quindi, la sede adatta per parlare di antisemitismo o anche per parlare in maniera seria di razzismo. Tutta la Conferenza è stata in qualche maniera «sequestrata», «deragliata», con conseguenze di cui ci occupiamo a dieci anni di distanza.
Nei mesi successivi a Durban, nel 2002, nel 2003, cosa abbiamo visto? In diversi Paesi europei c'è stato un enorme aumento dell'incidenza di episodi antisemiti, con attentati contro obiettivi ebraici spesso perpetrati dalle comunità arabe e musulmane, in diverse città europee.
All'inizio i Governi erano un po' restii a riconoscere questi come episodi di antisemitismo; in diverse sedi c'era, piuttosto, una tendenza a minimizzare o giustificare questi episodi, considerandoli magari una reazione alla crisi nel processo di pace o al conflitto in Medio Oriente. Dunque, comunità ebraiche, in diversi Paesi occidentali, che non avevano più difficoltà per quanto riguarda la loro collocazione all'interno della società, per la prima volta in decenni si sono trovate in una situazione di incertezza non soltanto a causa dell'aggressione fisica, ma piuttosto di un diverso clima attorno a queste comunità, una diversa atmosfera nell'atteggiamento nei confronti di Israele e, quindi, anche nella percezione delle comunità ebraiche a


Pag. 5

seguito di una visione sempre più negativa dello Stato di Israele, man mano che il conflitto si accendeva e che le prospettive di un accordo di pace iniziavano a sfumare.
È stato in questo quadro che l'OSCE si è delineata come una sede veramente significativa e importante per affrontare e discutere di questa nuova dimensione dell'antisemitismo. Era ormai chiaro, dopo Durban, che l'ONU non poteva più offrire una tribuna per una discussione seria e oggettiva. L'OSCE, che abbraccia 56 Paesi, opera sulla base del principio del consenso e senz'altro non è sempre facile prendere decisioni, ma con un certo sforzo nel 2002 si decise di organizzare la prima Conferenza di un organismo internazionale dedicata esclusivamente all'antisemitismo, la Conferenza di Vienna del 2003.
In quell'occasione, per la prima volta abbiamo visto l'inizio del dibattito su queste nuove forme di antisemitismo e anche sul riproporsi di alcune delle vecchie forme di antisemitismo, cioè quanto vedevamo in Europa occidentale, in gran parte forse innescato dal conflitto mediorientale, però con sfumature e differenziazioni per quanto riguarda i Paesi dell'Europa centro-orientale.
Dopo la caduta del comunismo, la rinascita della democrazia e l'apertura delle società, abbiamo visto il ripresentarsi di alcune forme tradizionali di antisemitismo, addirittura radicate nel cristianesimo: i vecchi stereotipi degli ebrei così come rappresentati in opere antisemite come Mein Kampf o nei Protocolli degli anziani di Sion. Questi stereotipi iniziavano di nuovo a circolare nelle nuove società aperte dell'Europa orientale. Le comunità ebraiche di questi Paesi, che in realtà sono oramai una pallida ombra di quello che erano prima dell'Olocausto, erano impegnate nel tentare di ottenere la restituzione dei beni ebraici confiscati dai nazisti o nazionalizzati dal comunismo, impegno che è tuttora in corso. Questi sforzi hanno provocato reazioni antisemite, con una certa incertezza, da parte dei governi, sul modo di affrontarle.
Arriviamo a Vienna, alla Conferenza dell'OSCE, con diversi temi sul tappeto. Va detto che tutte queste questioni sono state, in qualche maniera, poste dalle varie delegazioni. Forse, però, l'aspetto più importante è emerso da parte della delegazione tedesca, del professor Gert Weisskirchen, mio predecessore e membro di quella delegazione, che ha preso l'iniziativa dicendo che la Germania aveva intenzione di organizzare una conferenza di follow-up, che poi si è svolta a Berlino nel 2004. Dobbiamo sottolineare che quella Conferenza è stata di altissimo livello e ha visto la partecipazione della maggior parte dei Governi dei Paesi OSCE. Gli Stati Uniti vi erano rappresentati da Colin Powell; Joschka Fischer, Ministro degli esteri tedesco, ha presieduto la Conferenza, che è stata aperta dal Presidente tedesco e poi chiusa dal Cancelliere.
La Conferenza si è conclusa con la Dichiarazione di Berlino, che esprimeva la presa di posizione dei 55 Paesi OSCE partecipanti. Nella Dichiarazione si affermava esplicitamente che l'antisemitismo aveva assunto nuove forme e nuove manifestazioni, con un chiaro riferimento a ciò che si era sviluppato a seguito del conflitto mediorientale, quindi non soltanto come fattore che aveva innescato degli episodi antisemiti, ma un processo di demonizzazione di Israele che metteva in dubbio la sua legittimità, andando molto al di là dei parametri di quella che è una robusta critica della politica e delle politiche e che ora per la prima volta è stato identificato come una forma di antisemitismo.
La Dichiarazione di Berlino ha anche affermato che gli incidenti nel Medio Oriente, e quindi anche in Israele, non possono mai essere addotti a giustificazione dell'antisemitismo. Quella fu una dichiarazione importante, una reazione a quello che stava accadendo in vari Paesi, in cui governi, leader politici e altri sembravano suggerire che, poiché la gente era motivata dagli sviluppi nel Medio Oriente, le motivazioni che determinavano attacchi fisici contro obiettivi ebrei potevano essere spiegate, se non addirittura giustificate.


Pag. 6

L'OSCE, invece, disse che le cose non stavano così, definendo una serie di impegni accettati dai Governi, nel campo dell'istruzione, della scuola, per quanto riguarda l'Olocausto e la sua commemorazione, la raccolta e il monitoraggio dei dati sull'antisemitismo e i crimini fondati sull'odio, assegnando all'ODIHR (Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell'uomo) la specifica responsabilità di lavorare nel campo della sensibilizzazione e della proposta di validi modelli legislativi e anche della formazione delle forze di polizia nel contrastare i crimini fondati sull'odio. È stata davvero una tappa importantissima per quanto riguarda l'impegno internazionale di contrasto all'antisemitismo.
Dopo la Conferenza fu quindi istituita la figura del Rappresentante personale della Presidenza, con responsabilità nel campo dell'antisemitismo (incarico che adesso rivesto dopo il professor Weisskirchen), parallelamente a incarichi relativi alla discriminazione contro i musulmani e al razzismo e alla xenofobia contro i cristiani ed altre religioni.
Il fatto di spingere l'OSCE verso una maggiore attenzione all'antisemitismo - sottolineo un elemento un po' ironico - ha portato anche ad ampliare la sua attenzione verso tutte le forme di contrasto alla discriminazione e all'intolleranza. L'ODIHR ha un intero dipartimento che si occupa di tutte queste tematiche.
Dopo le Conferenze citate, il Cento di monitoraggio europeo (EUMC) avviò la prima indagine sull'antisemitismo nell'Unione europea, che all'epoca comprendeva quindici Paesi membri - siamo più o meno ai tempi della Conferenza di Berlino - con due dimensioni: da un lato, raccogliere i dati disponibili a livello di sondaggi di opinioni o di informazioni raccolte da diversi Paesi, e dall'altro interviste e colloqui con i rappresentanti delle comunità ebraiche in diversi Paesi dell'UE, quindi due filoni paralleli. Il primo filone ha portato a un quadro di luci ed ombre per quanto riguarda i diversi Paesi, mentre le interviste con i leader ebraici, secondo me, in realtà hanno portato elementi di grande preoccupazione, in quanto da esse trasparivano un'ansia e un'angoscia che non vedevamo da decenni, forse addirittura dai tempi della guerra.
Non voglio dire, in nessun modo, che i problemi fossero oggettivamente analoghi a quelli del passato, ma lo era il modo in cui le preoccupazioni venivano espresse. Infatti, le persone che erano sopravvissute all'Olocausto e avevano di fatto ricostruito la loro vita in questi Paesi si stavano chiedendo se avessero fatto la cosa giusta, non soltanto a causa dell'aumento oggettivo degli attentati e degli episodi antisemiti - peraltro, i governi hanno aumentato la sicurezza e questi episodi si sono ridotti - ma per gli atteggiamenti che iniziavano a circolare nelle società. Ciò creava un disagio: magari c'era un eccesso di sensibilità, che però leggeva e percepiva qualcosa di diverso nel clima complessivo. Una delle cose che l'EUMC riconobbe fu che, pur avendo persone addette al monitoraggio dell'antisemitismo nei Paesi dell'UE, almeno la metà di queste persone non disponeva di una definizione di cosa fosse l'antisemitismo. Quindi, dopo aver consultato autorevoli studiosi di antisemitismo, ONG eccetera, l'EUMC mise a punto una definizione operativa dell'antisemitismo, con il concorso di tutti i soggetti interessati. Parlo di una definizione che potesse essere utilizzata dalle comunità, dai governi, dalle forze di polizia e che creasse una cornice per inquadrare i propri sforzi, per verificare gli episodi, non tanto per analizzare le motivazioni degli atti o degli oratori.
Abbiamo visto, quindi, che avevamo di fronte a noi una forma di antisemitismo legata al conflitto in Medio Oriente e allo Stato di Israele. La definizione operativa dell'EUMC suggerisce che se qualcuno accusa Israele di essere uno Stato razzista, utilizzando terminologie che ricordano il nazismo e applicandole a Israele o agli israeliani, allora quella non è semplicemente una critica, questo è antisemitismo. La definizione suggerisce anche che le critiche in sé non sono da vedere come una forma di antisemitismo. Questa definizione è servita da base per diversi governi,


Pag. 7

per le iniziative dell'ODIHR di formazione delle forze dell'ordine che si occupano di antisemitismo e crimini di odio. Anche l'ODIHR ha concorso ad un'ampia diffusione di questa definizione, che poi è stata anche fatta propria dalla coalizione interparlamentare, dal Governo statunitense (in particolare dal Dipartimento di Stato) e anche da altri Paesi. Questo è un altro passo importantissimo nella definizione e comprensione del problema.
Qual è oggi la situazione? Da un lato, si tende a credere che, organizzando una conferenza (o addirittura due), il problema sia risolto e si possa andare oltre, ma in realtà non è così. Abbiamo affrontato alcune componenti del problema, i governi hanno assunto degli impegni che non sempre rispettano, quindi noi dobbiamo esercitare pressione, ma qui siamo di fronte a un problema profondamente radicato e antico. Stiamo realizzando progressi, ma siamo ben lungi dal poter riposare sugli allori. Molti hanno detto che l'antisemitismo è la forma più antica di odio, addirittura possiamo farla risalire a fatti biblici, con diverse analogie. A volte si parla dell'antisemitismo come di un virus, che si sposta e non può essere debellato, ma noi dobbiamo quantomeno attenuarne gli effetti. I Governi in diverso modo hanno rafforzato la propria azione, anche sulla base degli impegni dell'OSCE.
Prima di concludere, così che si possa avviare il dibattito, vorrei porre l'accento su alcuni aspetti. In diversi Paesi europei vi sono elementi delle comunità musulmane ed arabe che continuano ad essere problematici per quanto riguarda gli attacchi alle comunità ebraiche. Non intendo dire in nessun modo che le comunità arabe o che i musulmani in generale rappresentino una minaccia o un problema, ma questo riguarda alcuni elementi di quelle comunità. Dobbiamo in qualche modo definire delle strategie opportune.
Io sono qui in veste di rappresentante dell'OSCE. La mia precedente visita ufficiale, nel mese di marzo, si è svolta nei Paesi Bassi. In quel Paese c'è una piccola comunità ebraica: 50.000 ebrei che si sono ristabiliti nei Paesi Bassi dopo l'Olocausto (si parla di una comunità che era stata decimata dall'Olocausto) e sono in una situazione di positiva stabilità. Tuttavia, in questi tempi c'è stato un aumento di incidenti, provocati da elementi della comunità marocchina, che ha raccolto la viva attenzione dei leader politici. Qualcuno ha messo l'accento sul fatto che non è sicuro camminare in alcuni quartieri di Amsterdam, come ebreo ben riconoscibile, magari ebreo ortodosso. In Parlamento è stato organizzato un dibattito sull'antisemitismo. Qualcun altro ha detto che gli ebrei partiranno da quel Paese per questo motivo. Magari non succederà, però c'è ansia e angoscia, e questo vale anche per altre comunità.
Dunque, cercare di gettare dei ponti tra comunità ebraiche e comunità arabe e musulmane è importantissimo, ma non è facile. Gli atteggiamenti nei confronti di Israele possono essere problematici. Una fondazione politica tedesca, all'inizio dell'anno, ha pubblicato un'indagine condotta in otto Paesi, fondata su questa domanda: lei è d'accordo o non è d'accordo sul fatto che, considerando le azioni dello Stato di Israele, è comprensibile che la gente non ami gli ebrei? Nei Paesi Bassi il 41 per cento ha risposto di sì, quindi c'è una commistione tra i due aspetti. Questo emerge in tutti i colloqui con i leader ebraici. È difficile accettarlo, però dobbiamo far fronte a questo aspetto. Anche la retorica pubblica animata - come sottolineato durante la recente conferenza di Praga sull'antisemitismo nella dialettica pubblica - può creare problemi di sicurezza per quanto riguarda queste piccole comunità ebraiche. Lo abbiamo constatato in Svezia, dove il 25 per cento del bilancio della comunità ebraica viene speso in misure di sicurezza. Anche nei Paesi Bassi le comunità ebraiche sostengono di aver bisogno di un milione di euro solo per proteggere le loro istituzioni. In altri Paesi, i governi non hanno urgenza di erogare assistenza, in alcuni casi ovviamente a causa dei vincoli economico-finanziari, ma - dobbiamo essere sinceri - anche per un fatto di correttezza politica: se lo fanno


Pag. 8

per le sinagoghe devono farlo anche per le moschee, anche se la misura del dispositivo di sicurezza sarebbe molto diversa.
L'Olocausto rimane ancora un aspetto significativo nell'Europa orientale, dove venti anni fa ci sono state pressioni sui governi affinché affrontassero le conseguenze della loro storia, in maniera aperta e critica, cosa che non era stata fatta alla fine della guerra o anche, nei Paesi baltici, prima della fine della guerra, quando questi Paesi furono annessi all'Unione Sovietica, e soltanto venti anni fa hanno avuto per la prima volta la possibilità di guardare in faccia il proprio passato.
Molti di questi Paesi si sono impegnati seriamente, ma non è un percorso facile e i successi sono stati parziali. Questo impegno ha provocato quasi una reazione di antisemitismo nei media, anche di fronte al tentativo di recuperare beni confiscati, che provoca appunto reazioni contrarie.
Altri Paesi dell'Europa occidentale, che hanno avuto maggior tempo per fare i conti con la propria storia, il successo non è stato completo - non dico a voi, che sapete molto meglio di me quello che l'Italia ha fatto o deve ancora fare, nel fare i conti con questa parte della propria storia - ad esempio Francia e Austria, Paesi che sono stati complici dell'Olocausto, soltanto nel 1995 hanno riconosciuto formalmente la loro complicità. In alcuni Paesi, in cui c'è ancora questa forma di correttezza politica (political correctness), le comunità ebraiche che ancora ricordano anche personalmente l'Olocausto oggi si trovano a porsi interrogativi sulla loro collocazione nella società, sulla loro sicurezza, sulla misura in cui la loro posizione è riconosciuta dai governi.
Il direttore della Fondazione Anna Frank, ad Amsterdam, mi ha detto che la comunità olandese in realtà avrebbe bisogno di cosiddette «misure di fiducia», cioè forme di riconoscimento da parte del Governo di quanto sia importante garantire la sicurezza e la stabilità di queste comunità ebraiche. In qualche modo, l'impegno del Governo in tal senso avrebbe un effetto positivo sull'immagine del Governo stesso.

PRESIDENTE. Ringrazio il rabbino Andrew Baker. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PAOLO CORSINI. Innanzitutto sento di dover ringraziare il rabbino, anche a nome del gruppo, del Partito democratico.
Ho trovato particolarmente stimolante e interessante la sua esposizione, che ha fornito una serie di dati che certamente contribuiscono a un chiarimento e a un'illuminazione del problema che stiamo affrontando. Anzi, ritengo che la sua comunicazione sia stata estremamente utile anche in vista conclusiva della proposta di documento conclusivo che, sotto la regia dell'onorevole Nirenstein, questo Comitato sottoporrà alle Commissioni I e III.
Ho segnato due o tre interrogativi che sento di sottoporre alla sua attenzione. In primo luogo, lei ha toccato un tema rispetto al quale, per quanto io abbia interloquito con quanti si sono succeduti in questo Comitato e per quanto mi sia sforzato di leggere, non sono ancora in grado di darmi una risposta precisa. Sostanzialmente l'interrogativo è il seguente: è possibile definire un limite che segna il punto al quale può arrivare una critica politica all'attività del Governo israeliano? Parlo di una critica politica che reputo possa essere legittima, sia in linea di principio che in linea di fatto. È possibile, dunque, stabilire un limite oltre il quale questa critica politica sfocia in un illegittimo e ingiustificabile antisemitismo? La critica politica al Governo israeliano da taluni viene utilizzata come una sorta di giustificazione e da altri come una sorta di pretesto. Se noi disponiamo di una definizione di massima di che cosa intendiamo per antisemitismo, questa definizione è applicabile a questo terreno di discussione? Questa è la prima osservazione.
In secondo luogo, più che porre una domanda vorrei esprimere due constatazioni. Mi pare che siamo in presenza di un fenomeno particolarmente preoccupante che diversifica le modalità di manifestazione del razzismo rispetto al passato: spesso si constata come antisemitismo e


Pag. 9

islamofobia procedono di pari passo. Questo, soprattutto considerando l'articolazione pluralistica della società italiana, per quanto riguarda il nostro Paese è un fenomeno estremamente preoccupante, perché definisce modalità e pratiche razzistiche che hanno conseguenze anche nel discorso pubblico e nelle scelte quotidiane. Quindi, condivido perfettamente la sua convinzione che non sia sufficiente l'attività promossa da agenzie educative e formative, ma sia indispensabile accompagnare la lotta al razzismo, all'antisemitismo e all'islamofobia anche con iniziative dei governi. Sotto questo profilo, mi pare - detto da me, che sono rappresentante dell'opposizione, la cosa non è assolutamente sospetta - che le audizioni che abbiamo avuto con ministri del Governo italiano siano rassicuranti.
Infine, quello che lei ci ha detto sui Paesi Bassi - credo che la collega Nirenstein possa confermare quanto sto per dire - coincide esattamente con quanto abbiamo appreso dai rappresentanti di questo Paese alla conferenza di Ottawa, in merito cioè all'insorgenza o meglio la diffusione di un antisemitismo estremamente preoccupante, che è non soltanto una modalità di espressività pubblica, ma si traduce in iniziative particolarmente aggressive, spesso ai limiti della violenza. Credo che sia opportuno richiamare l'attenzione degli organismi comunitari europei e dell'opinione pubblica sul pericolo che questo fenomeno rappresenta.

ENRICO PIANETTA. Anche io voglio ringraziare il rabbino per la sua illustrazione così ampia e precisa, che è partita dalla Conferenza di Durban.
Giustamente il rabbino sottolineava che fino ad allora sembrava che la situazione non fosse così grave, ma a Durban è esplosa. Si è trattato in quell'occasione - c'ero anche io - di una Conferenza contro Israele, contro gli Stati Uniti, forse contro l'Occidente. Si parlò allora di sionismo e di razzismo, identificandoli, e di colonialismo. Poi ci sono stati la Conferenza Durban 2 e il Rapporto Goldstone. Siamo dunque in presenza di una situazione che vede nell'antisemitismo il punto di riferimento di una strategia e di un atteggiamento che ovviamente l'OSCE fa bene a valutare, anche attraverso i suoi tre rappresentanti (mi riferisco anche al rappresentante personale per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un'attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni, Massimo Introvigne).
Indubbiamente, quello che lei ha delineato in maniera precisa e completa è un complesso veramente preoccupante. Senza voler fare considerazioni che, del resto, lei ha già fatto, le rivolgo una domanda che ho posto anche ad altre persone che abbiamo audito. Dal suo punto di vista, quindi dal punto di vista dell'OSCE, quali sono le considerazioni e valutazioni che il Parlamento italiano può svolgere in ordine all'antisemitismo e a questa realtà che indubbiamente deve preoccupare tutti gli animi democratici? Quando c'è antisemitismo, infatti, si creano le condizioni per destabilizzare la società, per rendere precaria al suo interno la convivenza. Quali sono, dunque, in base alla sua esperienza, i suggerimenti e le valutazioni che noi possiamo recepire anche nella nostra relazione? Lei ha sottolineato, per esempio, la questione della formazione. Noi abbiamo compreso quanto sia importante la formazione, perché credo che questi fenomeni debbano essere contrastati immediatamente, ma anche in una prospettiva generazionale. Un Parlamento deve costruire anche in una dimensione che va oltre l'aspetto contingente e immediato.
Credo, quindi, che le considerazioni che lei ci vorrà fornire possano essere per noi molto utili per dare un apporto attraverso la nostra relazione conclusiva.

PRESIDENTE. Prima di dare volentieri la parola al rabbino Andrew Baker per le risposte, vorrei porre a mia volta una domanda, non senza aver prima ringraziato la rappresentante dell'American Jewish Committee, la signora Lisa Billig, e Rosita Sorte, dell'OSCE che accompagnano il rabbino, per essere presenti alla nostra audizione.


Pag. 10


Condivido perfettamente la sua analisi circa lo spostamento dell'antisemitismo su temi prevalentemente legati alla questione dello Stato di Israele - non ci ritorno sopra, perché ne abbiamo qui parlato in ore e ore di audizioni - e le sono particolarmente grata del racconto che ci ha voluto dedicare, relativo ai vari step compiuti nel corso del tempo nell'Europa e nel consesso internazionale per cercare di capire questo nuovo fenomeno. Direi che questo è un elemento che ci aiuta a sentirci all'interno di una corrente di cambiamento, di cui speriamo che il Parlamento italiano possa far parte con la sua documento conclusivo di questa indagine. Del resto, il nostro scopo è questo. A noi piacerebbe molto dare indicazioni pratiche.
A me sembra che ci siano due elementi centrali nelle nuove manifestazioni di antisemitismo. Il primo è senz'altro l'incitamento, cioè l'utilizzazione dei grandi mezzi di comunicazione di massa per diffondere voci false, tendenziose, aggressive e molto spesso tipicamente legate agli stereotipi classici dell'antisemitismo (il blood libel, il controllo del mondo da parte degli ebrei e via dicendo). Questo è un fenomeno così evidente che io mi domando se non si potrebbe tentare in ambito internazionale di muoversi, nei confronti di questo incitamento, anche a livello legislativo.
Cito un esempio: questa mattina sentivo alla radio israeliana un'intervista a un palestinese sull'unificazione fra Fatah e Hamas, che è in corso - io dico purtroppo - in queste ore al Cairo. Quando è stato chiesto al rappresentante di Hamas come abbiano potuto lodare Bin Laden, rimpiangerlo e condannare l'Amministrazione americana per averlo perseguito fino a conseguire la sua uccisione, egli ha risposto tranquillamente, sui canali della radio israeliana, che non dovrebbe parlare così chi propaganda e diffonde l'uccisione di bambini come una delle proprie bandiere fondamentali. L'intervistatore era stupefatto, naturalmente, ed ha chiesto il motivo di tale affermazione. La risposta è stata che si tratta di un fatto palese e che tutto il mondo sa che Israele, durante le sue operazioni, in particolare durante la guerra di Gaza, prende come obiettivo i bambini, quindi gli israeliani sono molto peggio di Bin Laden.
Di fronte a questa accusa, che dai tempi della morte di Mohammed al-Dura è diventata un leitmotiv della propaganda anti-israeliana, l'intervistatore non aveva armi nelle sue mani poiché il terreno dell'incitement è talmente scivoloso da confondersi continuamente con il diritto a una libera opinione. Che cosa si può fare contro l'incitement? È possibile affrontarlo sotto un profilo di azione politica internazionale?
L'altra questione che ci siamo sforzati di affrontare e su cui abbiamo lavorato molto, pur senza arrivare a una conclusione reale, riguarda l'antisemitismo on line. Abbiamo visto che questa è stata una fonte di diffusione micidiale e che vi sono state difficoltà terribili a bloccarlo: non basta chiudere un sito, perché questo verrà riaperto immediatamente altrove, in Australia piuttosto che a Bangkok. Non vi è la possibilità di intervenire legalmente, nemmeno con le più vaste connessioni di sicurezza internazionale. Vorrei sapere se al riguardo l'OSCE, che forse potrebbe averne gli strumenti, sta fornendo qualche indicazione.

ANDREW BAKER, Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo. Grazie di queste domande e di queste riflessioni così profonde. Da parte mia, farò del mio meglio per tentare di dare una risposta.
Onorevole Corsini, quanto al limite di cui lei parlava tra la critica legittima a Israele e l'antisemitismo, dobbiamo essere molto cauti nell'etichettare un discorso come antisemita. Dobbiamo lasciare un ampio spazio, ben definito, alla critica, anche aspra e vigorosa. Tuttavia, quando si mette in dubbio il diritto di esistere di Israele, questa è cosa diversa dalla critica. Credo che la maggior parte delle persone si accorga quando si arriva a questo


Pag. 11

punto. Magari una linea precisa è difficile da definire, ma il momento in cui si travalica quella linea è individuabile.
Non ho qui la copia della definizione operativa di antisemitismo, che comunque è stata tradotta anche in italiano e spero venga distribuita ai membri del Comitato e della Commissione. Quanto alla discriminazione antisemita e discriminazione anti-mulsumana, certamente l'OSCE deve affrontare entrambe, ma sono due fenomeni alquanto diversi. L'antisemitismo ha caratteristiche peculiari e dobbiamo esserne consapevoli.
In Spagna sono stati condotti sondaggi di opinione con percezioni molto negative contro i musulmani e contro gli ebrei. Ad esempio, in un'indagine condotta dal Ministero dell'istruzione, il 50 per cento degli adolescenti interpellati ha dichiarato di non volersi sedere accanto a un ebreo a scuola. La comunità ebraica in Spagna è piccolissima, poiché parliamo di 35-40.000 ebrei su una popolazione di 44 milioni, dunque sarebbe veramente difficile trovare un ebreo accanto a cui sedersi a scuola.
Inoltre, sono emersi atteggiamenti negativi contro i musulmani, delle cui comunità si percepiva la crescita nella società. Ci sono discriminazioni ai danni dei musulmani per quanto riguarda il lavoro, la disponibilità di alloggi, come è successo a tante altre comunità - comprese quelle ebraiche - in molti Paesi, anche negli Stati Uniti.
Qual è, invece, la fonte dell'antisemitismo in persone che hanno una percezione negativa degli ebrei pur non conoscendo un solo ebreo? Quello che la gente sa degli ebrei non proviene da fonti dirette, ma dai mass media. In Spagna molti ci hanno detto che dato che i media danno una rappresentazione così negativa soprattutto del conflitto mediorientale, la gente - soprattutto i giovani - non riesce a distinguere tra l'immagine del soldato israeliano aggressivo e l'ebreo immaginato.
Come affrontare queste percezioni? Onorevole Nirenstein, questo mi conduce alla sua domanda relativa al contrasto all'incitamento. Il ruolo dei media è indubbio. Al riguardo potrei citare tanti aneddoti. Alcuni anni fa il professor Weisskirchen ha organizzato un seminario a Berlino e una delle organizzazioni tedesche si occupava dell'informazione diffusa dai media o anche delle immagini diffuse a mezzo stampa in Germania.
All'epoca si parlava della guerra in Iraq, del coinvolgimento statunitense. Ebbene, un articolo parlava dei neoconservatori americani come una forza che aveva spinto gli Stati Uniti verso la guerra in Iraq, sottolineando che alcuni di questi neoconservatori erano ebrei. Se ne può discutere; molte delle figure più significative, all'epoca, nella politica americana non erano certo ebrei. Comunque questo articolo, in cui si sottolineava che i neoconservatori guerrafondai erano ebrei, era stato pubblicato in un grande organo di stampa tedesco con una foto di George Bush circondato da un gruppo di rabbini ultraortodossi alla Casa Bianca. Quale può essere il rapporto tra questi rabbini chassidici e i neoconservatori che hanno la loro agenda di guerra in Iraq? Ovviamente non c'è nessun collegamento possibile, però nella foto si vedono gli ebrei accanto al Presidente.
Credo che questo esempio ci spieghi bene in che modo, in questo caso, un organo di stampa di larghissima diffusione, non tanto con la redazione dell'articolo ma con la scelta delle immagini riesca a influenzare i propri lettori. Naturalmente non abbiamo soltanto la stampa «rispettabile», poiché Internet ha creato una galassia di siti per la diffusione di odio a vario titolo. Ad esempio, nei Paesi Bassi coloro che seguono in maniera professionale gli sviluppi su Internet affermano che quello che prima aveva la forma di manifestazioni evidenti e pubbliche di antisemitismo (scritte per strada, i cosiddetti «graffiti»), insomma tutto ciò che veniva fatto in pubblico, si è trasferito sulla rete.
Ovviamente è un problema molto difficile da affrontare. Negli Stati Uniti, che sono membro di pieno diritto dell'OSCE e dove c'è una fortissima tutela della libertà di espressione, è difficile pensare a un


Pag. 12

intervento normativo. Si può pensare, invece, alla definizione di buone pratiche, le famose best practices, incoraggiare i provider a monitorare, verificare, vagliare meglio quello che viene diffuso attraverso i loro server e oscurare quei siti che sono veicoli di espressione brutale di odio. In alcuni casi, i provider si sono conformati volontariamente e nei Paesi Bassi, nel 90 per cento dei casi in cui si è intervenuto per oscurare un sito o per far fronte a un discorso fondato sull'odio, è accaduto su base volontaria.
Mi è stato chiesto cosa può fare il Parlamento italiano e cosa possono fare in generale le persone di buona volontà. Dobbiamo reagire rapidamente e in maniera molto esplicita a ogni manifestazione di antisemitismo. Dobbiamo renderlo un tabù, qualcosa che non ha diritto di cittadinanza nella dialettica pubblica. Quindi, i parlamentari possono guidare attraverso il loro esempio. Potrebbe sembrare semplicistico dire che per reagire a discorsi fondati sull'odio bisogna pronunciare un contro-discorso, un discorso antitetico, ma questa è una risposta. Non si può trovare soltanto una soluzione così immediata, dobbiamo affrontare questo problema nel lungo periodo, pensando alle nuove generazioni. Non possiamo limitarci all'informazione e all'educazione sull'Olocausto, ma dobbiamo cercare di creare una comprensione della collocazione storica e attuale delle comunità ebraiche, cercando di trasmettere un'immagine positiva, fondata sul fatto che le società diversificate sono più ricche, grazie all'apporto di diverse minoranze.
I governi senz'altro possono approvare delle norme contro i discorsi fondati sull'odio e contro l'incitamento all'odio, e alcuni lo hanno fatto. Dobbiamo però vedere anche qual è stato l'effettivo successo di questi interventi normativi. Non posso riportare adesso un'esperienza statisticamente fondata, ma piuttosto aneddotica. Comunque, ho visto che i Paesi che hanno ottime leggi spesso sono più restii ad applicarle di fronte al caso concreto. Ad esempio, quando c'è una denuncia contro un editore o contro un giornale questi procedimenti giudiziari magari durano anni prima che si arrivi a una sentenza, e anche nel caso in cui c'è una condanna vediamo che la sanzione è così modesta da far nascere dubbi sul suo valore di deterrente.
A volte i dirigenti politici utilizzano - magari in buona fede o per cercare una scusa - il fatto che la questione è sub iudice come pretesto per non prendere posizione. Questo danneggia molto quello che dovrebbe essere uno sforzo corale per far fronte a questa problematica.
Dunque, senz'altro la strada normativa è importante perché deve definire i crimini fondati sull'odio, magari inasprendo anche le sanzioni per gli autori di questi crimini, ma io credo che creare una coscienza più generale sia la nostra responsabilità collettiva.

PRESIDENTE. Ringrazio il rabbino Baker per l'interessantissima esposizione e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,05.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive