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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(I e III)
12.
Mercoledì 15 giugno 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO

Audizione del professor Gert Weisskirchen, membro del Comitato direttivo dell'Inter-parliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA):

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 5 8 11
Boniver Margherita (PdL) ... 5
Corsini Paolo (PD) ... 7
Pianetta Enrico (PdL) ... 6
Volpi Raffaele (LNP) ... 7
Weisskirchen Gert, Membro del Comitato direttivo dell'Inter-parliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA) ... 3 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.


I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 15 giugno 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 9,05.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Gert Weisskirchen, membro del Comitato direttivo dell'Inter-parliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'antisemitismo, del professor Gert Weisskirchen, membro del Comitato direttivo dell'Inter-parliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA).
Accolgo con particolare piacere il mio amico professor Weisskirchen, con cui ho lavorato insieme sui temi dell'antisemitismo, che rappresenta sempre un punto di equilibrio e di saggezza grazie alla sua esperienza personale e politica. Già membro del Bundestag, è stato il primo Rappresentante personale della Presidenza dell'OSCE per il contrasto all'antisemitismo, incarico ora ricoperto dal rabbino Andrew Baker, recentemente audito dal nostro Comitato. Fu per merito del professor Weisskirchen che fu organizzata a Berlino la prima grande Conferenza internazionale sull'antisemitismo, che segnò un'autentica rivoluzione, una svolta nella coscienza di questo fenomeno a livello europeo.
Voglio segnalare - il tema è stato spesso all'attenzione dei nostri lavori - che in un suo intervento di poco precedente la decisione di effettuare la nostra indagine, il professor Weisskirchen ha ribadito l'importanza di trovare una definizione condivisa di antisemitismo, tema su cui abbiamo lavorato parecchio nelle nostre molteplici audizioni. Le audizioni sono state dodici, e aspettiamo ancora quella del Ministro Maroni, ma dal punto vista teorico quella del professor Weisskirchen conclude i lavori di un anno e mezzo molto intenso, che pensiamo porterà a delle conclusioni politicamente utili.
Questa definizione condivisa di antisemitismo aiuterebbe a superare i limiti territoriali nel riconoscimento del fenomeno, al fine di poter perseguire con efficacia, i crimini di stampo antisemita.
Purtroppo abbiamo tempi molto più limitati di quelli che sarebbero necessari ai nostri temi e all'importanza del nostro interlocutore. Alle 10, infatti, è previsto il voto in Aula.
Chiedo, quindi, al professor Weisskirchen di dare inizio alla sua relazione.

GERT WEISSKIRCHEN, Membro del Comitato direttivo dell'Inter-parliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA). Innanzitutto ringrazio l'onorevole Nirenstein e gli illustri parlamentari per questa possibilità di discutere assieme un grave problema che affligge le nostre società e, soprattutto nel cuore dell'Europa, i Paesi impegnati nella lotta all'antisemitismo.


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Questo Paese, che ha da poco celebrato il suo centocinquantesimo anniversario, e la Germania, si sono trovati a confrontarsi con l'antisemitismo nel corso della loro storia. Adesso stanno crescendo nuove forme di antisemitismo. È un fenomeno che comunque conosciamo dalla fine del XIX secolo in forme estremamente pericolose, ma la nostra lotta non si è conclusa.
Basta guardare i diversi settori e segmenti della società europea, in cui troviamo più o meno questo quadro: l'élite politica è molto netta nella propria opposizione all'antisemitismo, ma se scendiamo ad altri segmenti della società riscontriamo la persistenza di pregiudizi.
L'OSCE e tutti gli altri strumenti a nostra disposizione per la nostra azione politica sono impegnati nella lotta all'antisemitismo. Questo è un lato della medaglia, ma d'altro canto vediamo problemi sempre più marcati in una serie di Paesi.
Per citare un esempio, l'Ungheria ha una situazione preoccupante, poiché sta rinsaldandosi una nuova forma di alleanza; all'interno di segmenti importanti della società vediamo questo pregiudizio, ma ci sono anche effetti di contagio, tanto che all'interno del ceto politico del Paese, all'interno della classe dirigente, e soprattutto all'interno di uno dei partiti di destra di orientamento populista, il partito Jobbik, c'è un chiaro atteggiamento antisemita. Il nuovo Governo sta in qualche maniera cercando un accomodamento con questo movimento populista e questo è molto pericoloso.
Potrei citare altri esempi in Europa: anche nei Paesi Bassi cresce la tendenza verso l'antisemitismo, quindi dobbiamo prendere coscienza di questo problema. So che l'onorevole Nirenstein nel Parlamento italiano è una delle figure di maggiore spicco per quanto riguarda la lotta contro l'antisemitismo.
In secondo luogo, a settembre di quest'anno si terrà l'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Sappiamo anche la Palestina sta cercando di ottenere il riconoscimento dell'Assemblea generale dell'ONU come soggetto statuale. Di per sé questo non è un problema, perché la decisione è di competenza del Consiglio di sicurezza e sono abbastanza certo che verrà posto il veto contro questa iniziativa dell'Assemblea generale. Ciò nonostante, da un punto di vista politico, potremmo trovarci di fronte a un'iniziativa di questo tipo, con una dichiarazione dell'Assemblea generale, e questo potrebbe far sì che i diversi movimenti antisemiti in tutto il mondo potrebbero avvalersi di questa dichiarazione per attaccare lo Stato ebraico di Israele.
Quindi, come politici, dobbiamo pensare a delle misure preventive. Se poi ci fosse questa dichiarazione da parte dell'Assemblea generale cosa dovremmo fare? Innanzitutto esprimo un suggerimento: i Parlamenti dell'Europa dovrebbero intervenire in via preventiva rafforzando la posizione dei Governi europei.
In Germania c'è stata una netta dichiarazione da parte del Cancelliere nel senso di non accettare una tale iniziativa da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, ma piuttosto di elaborare una «contromossa». Il Parlamento tedesco sta riflettendo sulla possibilità di elaborare una risoluzione per esprimere con chiarezza l'opposizione del ceto politico tedesco rispetto a una tale iniziativa.
Dunque, se ci fosse un orientamento comune all'interno dei diversi Parlamenti dei Paesi europei nel senso di adottare una posizione ufficiale analoga, questo corroborerebbe la posizione dei diversi Governi. So, ad esempio, che all'interno del Governo italiano c'è l'intenzione di assumere una posizione molto chiara e molto netta, ma nei diversi Paesi europei - è noto - la situazione può essere diversa. Ad esempio, in Francia e nel Regno Unito le cose non sono così chiare. Nei Paesi scandinavi andiamo anche un po' oltre.
Come parlamentari, quindi, dovremmo elaborare una strategia. Questo è il primo suggerimento che offro alla vostra riflessione, esortandovi ad adottare iniziative parlamentari.
In secondo luogo, perché non cercare di collegare questi spunti con la società civile, con i gruppi attivi al suo interno


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impegnati su questo fronte? Ad esempio, c'è un gruppo che sta lavorando alla pubblicazione di un appello su scala europea per cercare di prevenire questi sviluppi.
Credo che ci sia un'ottima giustificazione per questo tipo di iniziative. Se si vuole avere un'autentica pace tra Israele e Palestina, sarebbe opportuno evitare passi unilaterali e rimanere in un quadro multilaterale. Questa è un po' la storia di tutti i processi di pace da cui abbiamo tratto insegnamento: la via da perseguire è quella multilaterale.
Avendo tutti i dati e tutti gli elementi - il processo di Oslo e via dicendo - per creare un nuovo movimento verso la pace tra Israele e Palestina sarebbe opportuno ricordare ai diversi soggetti coinvolti che è necessario un quadro multilaterale, con un negoziato serio almeno tra le due parti del conflitto. D'altro canto, l'iniziativa unilaterale di dichiarare o di riconoscere uno Stato palestinese senza aver verificato i criteri della statualità non è l'impostazione ottimale. Lavoriamo, dunque, insieme per elaborare un percorso positivo, quanto meno per attenuare la conflittualità nella regione.
In terzo luogo, io ritengo che l'Unione europea e i Paesi dell'Unione dovrebbero essere molto più attivi rispetto alla rivoluzione araba. Ovviamente è necessario mantenere un certo distacco, forse anche un certo scetticismo per quanto riguarda gli sviluppi sul terreno nel Maghreb. Detto ciò, dobbiamo riconoscere che stiamo vivendo un momento particolarmente significativo e se l'Unione europea, con i diversi strumenti a sua disposizione - soprattutto penso alla politica europea di vicinato - potesse aggiornare questi strumenti e adeguarli alla situazione, offrendo alle società civili dei Paesi del Maghreb una concreta possibilità di operare con strumenti concreti per il percorso di democratizzazione delle istituzioni, credo che questa sarebbe una concreta possibilità per evitare che queste risoluzioni abbiano uno sbocco analogo a quello che c'è stato in Iran.
In tal senso, dobbiamo offrire alle società civili di questi Paesi la possibilità di agire all'interno di un contesto democratico, magari non identico a quello europeo, ma adeguato alla situazione di questi Paesi. Questa è la svolta cui porta questo processo e sinceramente non mi pare che l'Unione europea finora si sia dimostrata particolarmente attiva finora.
Prevedo, quindi, e auspico che i Parlamenti nazionali sollecitino i loro Governi ad agire e trovare il modo per rafforzare il cambiamento nel Maghreb.
Questo potrebbe costituire una strategia comune di iniziative parlamentari che ci consenta di essere attivi e mettere a frutto le opportunità che abbiamo di fronte. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio molto il professor Weisskirchen che ha dato un'apertura internazionale nuova per queste nostre audizioni, che finora hanno puntato molto di più sul fenomeno dell'antisemitismo in sé.
Il professor Weisskirchen ha allargato il quadro a come agire rispetto alle rivoluzioni arabe, evidentemente prendendo in considerazione il fatto che quel mondo è uno dei principali focolai esistenti, forse il più grande, di antisemitismo, e il problema del riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, di uno Stato palestinese proclamato unilateralmente.
Inoltre, egli ha sottolineato anche il problema dei grandi movimenti antisemiti che nascono in Ungheria e in altri Paesi, che sono di nuovo istituzionalizzati in partiti e che si cerca di compiacere.
Mi pare che questi tre elementi allarghino il nostro punto di vista.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARGHERITA BONIVER. Grazie mille per questa introduzione di grande spessore e molto concreta, che ha riguardato un ventaglio di problematiche. Non si tratta solo di antisemitismo, ma anche di quello che ragionevolmente si può immaginare succederà all'interno dell'ONU a settembre: naturalmente nel Consiglio di sicurezza saranno soltanto gli Stati Uniti


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che di sicuro porranno il veto all'autoproclamazione dell'indipendenza, o una qualche forma simile, da parte dei palestinesi. Tuttavia, visto che c'è un grandissimo numero di Paesi membri dell'ONU che hanno già dichiarato di essere pronti a sostenere questa dichiarazione di indipendenza, potrebbe anche venire fuori uno schema del tipo di Taiwan, per intenderci: una qualche agenzia dell'ONU (evidentemente non il Consiglio di sicurezza) potrebbe cominciare a dare corpo a questo evento.
Credo che, comunque, si debba essere ragionevolmente preparati a un evento del genere, poiché è nell'aria, è nell'ordine delle cose, evidentemente non soltanto perché c'è uno stallo nel negoziato diretto, ma per una serie di eventi concatenati, soprattutto legati alle cosiddette «rivoluzioni arabe» e al cambiamento molto drammatico, ad esempio, della politica internazionale da parte dell'Egitto, non soltanto con l'apertura del valico di Rafah, ma anche con il riconoscimento di Hamas eccetera. È evidente che anche il «nuovo» Egitto scaturito da piazza Tahrir potrebbe certamente rivoluzionare i vecchi equilibri in Medio Oriente.
D'altro canto, abbiamo anche la palpabile certezza che con queste rivoluzioni ci sarà una crescita inevitabile anche di partiti islamici. Succede in Egitto, sta succedendo in maniera più soft in Tunisia e in molti altri Paesi. Insomma, alle prime elezioni che si dovrebbero tenere in autunno sia in Tunisia che in Egitto, per rimanere soltanto in una fascia di Paesi la cui evoluzione conosciamo meglio, molto probabilmente ci sarà una forte riuscita dei partiti islamici. Dovremmo darlo assolutamente per scontato, quindi considerare a cascata una serie di circostanze ed essere aware, cioè consapevoli, che molto probabilmente tutto questo succederà. Dobbiamo, dunque, attrezzarci innanzitutto cercando di essere utili non soltanto alla causa israelo-palestinese, ma alla causa della democrazia. Malgrado una lettura non entusiastica delle cosiddette rivoluzioni nel Maghreb e nel nord Africa, tuttavia il messaggio più forte che ancora viene fuori dalle popolazioni è una necessità imperiosa di democrazia.
Qui dovrebbe entrare in gioco molto vigorosamente l'Europa - condivido al riguardo la sua pacata delusione - che per una serie di motivi non lo fa ancora, non perché non vuole ma probabilmente perché non può. Lei ha citato la politica di vicinato, ma è anche per il fallimento di questa politica, e soprattutto per l'inesistenza dell'Unione per il Mediterraneo, quella faraonica organizzazione voluta da Sarkozy-Mubarak, per intenderci, che in realtà non ha mai funzionato, che ancora non si capisce quale tipo di ruolo l'Europa deve svolgere.
Comunque, è inutile fare l'elenco dei difetti dell'Europa. L'Unione europea rimane ancora - speriamo per sempre - un vero e proprio faro non soltanto di civiltà e democrazia, ma anche di concrete misure per aiutare questi Paesi, a condizione che essi siano in grado di chiedere aiuto. Gli aiuti economici che sono stati dati fino adesso da parte dell'Unione europea sono scarsi (circa 250 milioni); quelli dichiarati a Deauville sono molto più consistenti (25 miliardi di euro per l'economia di alcuni Paesi del Maghreb). Questo, però, evidentemente non basta. È necessario che ci impegniamo molto, se ci viene richiesto, nell'institution building - questo sarebbe esattamente il nostro compito - e contemporaneamente cerchiamo di creare una sorta di circolarità.
Noi siamo - parlo soprattutto come italiana - Mediterraneo, guardiamo con grandissimo favore a quello che potrebbe succedere di positivo in questi Paesi, quindi dobbiamo essere assolutamente al loro fianco.

ENRICO PIANETTA. Ringrazio molto il professor Weisskirchen per lo squarcio ampio che ci ha voluto dare, soprattutto quando ha particolarmente evidenziato un antisemitismo che è originato e attivato da un qualche cosa che è anti-Stato ebraico come fonte di propagazione dell'antisemitismo.


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Ieri ero a Milano, dove si sta svolgendo una settimana bellissima dedicata ai rapporti tra lo Stato di Israele e l'Italia, il cui programma evidenzia tutti i rapporti di collaborazione scientifica, culturale, economica tra i due Paesi. Ebbene, in un contesto così costruttivo, che sottende un ulteriore miglioramento dei rapporti già ottimi tra i nostri due Paesi, ho visto anche piccole manifestazioni contro lo Stato di Israele che promuovono quel germe di azione anti-Stato ebraico che sfocia inevitabilmente, anche per una disattenzione, per un'ignoranza, per una superficialità delle considerazioni, nella promozione dell'antisemitismo. Indubbiamente dobbiamo eliminare questo germe.
Sebbene il professore sia stato già molto esaustivo, vorrei comunque rivolgergli una domanda che riguarda questi movimenti nei Paesi nordafricani che, subito dopo il colonialismo, sono stati caratterizzati da regimi antidemocratici, regimi forti, che in qualche modo sono stati accettati per una dimensione e per una caratterizzazione di stabilità. È vero che l'Europa può svolgere un ruolo, come lei, professore, e Margherita Boniver avete sottolineato. Come vede questo processo di tendenza democratica? Come possiamo aiutarlo, quali condizioni possiamo creare?
Inoltre, questo processo può innescarne uno di esistenza di Israele all'interno di confini sicuri e riconosciuti, in un contesto diverso rispetto a quello che ha caratterizzato la vita di questo dopoguerra in quei Paesi? Credo, proprio in relazione alla dimensione ampia che lei, professore, ha voluto darci, che approfondire questo aspetto possa essere un grande contributo per realizzare e promuovere la nostra attività parlamentare.

RAFFAELE VOLPI. Intervengo solo per ringraziare il professore per gli spunti che ci ha riferito. A differenza dei colleghi, non faccio parte della Commissione esteri, ma della Commissione affari costituzionali, quindi depongo una riflessione che credo valga all'interno nello stesso modo in cui lei ha portato il problema Europa all'esterno.
Le questioni che lei ha già evidenziato per alcuni Paesi europei stanno rendendo difficile non solo per questa problematica, ma anche per altre, la possibilità di svolgere un ragionamento di coesione anche all'interno dell'Europa, per guardarsi dentro e non solo fuori.
I colleghi hanno parlato come lei di politiche di grande prospettiva. Ho ascoltato con interesse perché dall'esperienza degli altri cerco di imparare, e qui ho dei grandi maestri, ma credo che l'Europa abbia bisogno di svegliarsi al suo interno. Pertanto, oltre alle politiche comuni che deve mettere in atto oltre le proprie frontiere, l'Europa deve sviluppare politiche di sicurezza interna che in questo momento non ci sono. Questo vale per altre situazioni, ma anche per questa.
La ringrazio per il contributo.

PAOLO CORSINI. Innanzitutto mi devo scusare con il nostro ospite per il ritardo della mia presenza dovuto al traffico di Roma. Mi fa molto piacere incontrarla nuovamente qui dopo averla conosciuta e apprezzata ad Ottawa, dove ho avuto modo di conoscere la sua misura, il suo equilibrio e la conoscenza approfondita che lei ha dei problemi di cui anche questa mattina ha parlato.
Ho ascoltato soltanto la fase conclusiva del suo intervento, allorquando lei ha richiamato la situazione del Maghreb e si è interrogato circa le possibili evoluzioni di quel quadro. Non c'è dubbio che forse non siamo ancora in grado di dare un'interpretazione sufficientemente definita di quel che è avvenuto, ossia dire se si tratta di ribellioni, di rivolte, di rivoluzioni e quindi di cambiamenti radicali.
Peraltro, la storia non è nuova ad astuzie che smentiscono le attese positive. Ricordo che quando cadde lo Scià di Persia tutti auspicavamo un'evoluzione in senso liberaldemocratico sia delle forme di governo che dell'organizzazione sociale di quel Paese, ma ci siamo trovati Khomeini, poi Khamenei e adesso Ahmadinejad.


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È difficile, quindi, oggi preconizzare quali saranno i possibili sviluppi. Peraltro, le situazioni sono differenziate, diverso il peso del ruolo dell'esercito, delle tradizioni politiche, degli orientamenti culturali, delle aperture nei confronti dell'Occidente.
Non c'è dubbio che c'è una qualità nuova del problema che scaturirà, io credo, soprattutto dall'evoluzione egiziana. Al di là del giudizio che possiamo dare sul dispotismo di Mubarak - Gheddafi è certamente un dittatore, Mubarak è stato certamente un despota - non c'è dubbio che la politica estera di Mubarak era improntata a una volontà di contemperamento e di equilibrio, in modo particolare nei confronti di Israele.
Quel che avverrà oggi in Egitto e quale sarà l'evoluzione, tenuto conto anche del peso e del ruolo di questo grande Paese, è del tutto imperscrutabile e questo ci lascia molto preoccupati, innanzitutto perché potrebbe esserci un rovesciamento della posizione tradizionale, in secondo luogo perché la situazione si è modificata alla luce dell'accordo tra Hamas e Abu Mazen. Ma si può definire accordo stabile quanto è avvenuto?
Ho visto che anche i miei colleghi hanno colto un aspetto che in qualche misura preoccupa anche me: non c'è dubbio che, nell'ambito del tema che stiamo affrontando, l'atteggiamento antisemita a sfondo razziale, che costituisce una delle caratteristiche di fondo dell'antiebraismo, oggi in qualche misura fa pendant con una discriminazione che viene posta nei confronti dello Stato di Israele in quanto Stato ebraico. Quindi, i due temi si sovrappongono e tra loro si mescolano, e questo complica ulteriormente la questione.
Ha fatto bene, professore, a richiamare - da quel che ho capito, perché purtroppo non ho sentito questa parte del suo intervento - anche il tema del ruolo dell'ONU e delle prospettive che si apriranno in relazione a questo riconoscimento di tipo unilaterale che mi lascia estremamente perplesso. Premesso che io sono assolutamente favorevole all'attuazione pratica della teoria «due Stati due nazioni», non c'è dubbio tuttavia che se questa teoria viene agita nei termini di un disequilibrio iniziale, essa non favorisce un'evoluzione positiva del problema, che io vedo debba essere positiva tanto per le garanzie non dico di esistenza, che neppure si deve discutere, ma di sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi cittadini, quanto di diritto all'esistenza dello Stato palestinese. Ma questo è un modo sbagliato di porre il problema, se lo si fa in termini unilaterali e in termini di mortificazione dell'altra parte.
Di qui le grandi responsabilità anche del Governo italiano e del nostro Paese. Come lei sa, io spero che la situazione politica italiana si rovesci rapidamente, ma questo è negli auspici di un esponente dell'opposizione. Al di là di questo, io spero che anche su questo tema una scelta qualificante della politica estera del nostro Paese scaturisca da un atteggiamento comune delle Assemblee parlamentari e che l'Europa assuma un atteggiamento comune di fronte a questa questione.
Infine, sono anch'io molto preoccupato perché l'evoluzione politica di alcuni Paesi - penso ad alcuni Paesi che si affacciano sul Baltico e in particolar modo all'Ungheria - lascia presagire un revival di razzismo antisemita estremamente pericoloso, che va fronteggiato con molta determinazione sia in termini politici che in termini culturali.

PRESIDENTE. Svolgo una breve osservazione prima di dare la parola al professor Weisskirchen per le conclusioni.
Sono molto contenta che abbiamo affrontato il tema della cosiddetta «primavera araba», perché mi sembra molto importante - lo dico in senso pratico e immediato - che questa faccenda venga menzionata nelle nostre conclusioni dei lavori. Se oggi non l'avessimo sollevata, non ne avremmo mai parlato, così come non avremmo parlato del riconoscimento unilaterale il quale, a sua volta, ha un riflesso importantissimo sulla percezione mondiale degli ebrei, di Israele, dello Stato ebraico, quindi può avere un significato di forte spinta all'antisemitismo.


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Accolgo, per quello che mi riguarda - e ci lavorerò, spero insieme al professor Weisskirchen e a tutti i colleghi che vorranno farlo - l'idea di una comune posizione europea. Noi possiamo benissimo costruire un appello, una presa di posizione di parlamentari di tutta Europa, che chieda ai propri Governi di ipotizzare presso l'ONU la ripresa di colloqui bilaterali, con un apporto multilaterale, fra palestinesi e israeliani, e di non rispondere positivamente alla richiesta palestinese. Possiamo spiegarlo intanto dal punto di vista della Comitato di indagine sull'antisemitismo - e questo può essere nel nostro documento conclusivo - e come presa di posizione più larga europea. Accolgo, dunque, questo punto.
In secondo luogo, sono state molto ben poste da tutti i colleghi - e il professore ci darà le sue risposte - le domande su come possiamo aiutare il processo. Dal mio punto di vista di osservatrice maniacale delle questioni mediorientali, quello che posso dire è che tutto quello che vedo non va nella direzione della diminuzione dell'antisemitismo in questi mondi in sommovimento. Semmai è il contrario. Quello che sta accadendo è che, in primo luogo, Hamas - organizzazione antisemita che chiede nella sua carta di fondazione, tuttora fortemente in auge, di uccidere tutti gli ebrei del mondo - e Fatah hanno fatto un'alleanza alla quale nessuno si è veramente contrapposto in maniera determinante sostenendo che non si può fare un'alleanza con un'organizzazione genocida antisemita. Ed è quello che sta succedendo.
Inoltre, l'Iran può continuare tranquillamente nelle sue tesi antisemite senza che nessuno dica una parola e fermi il suo lavoro di costruzione del suo potere nucleare accompagnato da minacce. In più, in tutti questi altri Paesi la situazione è peggiorata, non migliorata. L'Egitto rischia di mettere in crisi il trattato di pace che è il perno dell'equilibrio mediorientale. Tutti i candidati alle elezioni - nessuno escluso, laici e religiosi - hanno detto che rivedranno il trattato di pace israelo-palestinese. Questo è un fatto orribile di cui bisogna tenere ben conto.
L'alleanza musulmana ha già detto che siccome nessuno vuole Israele nell'area sarebbe meglio che Israele si levasse di torno. Lo ha detto palesemente, mentre prepara le sue liste per le prossime elezioni, in cui si suppone che prenderà, in Egitto, almeno il 30 per cento. Mi fermo qui, ma purtroppo di episodi di questo tipo, di legittimazione dell'antisemitismo nel Medio Oriente in fiamme, ce ne sono tanti.
Cosa dovremmo fare noi? Il mio suggerimento è che dovremmo porre condizioni. Noi siamo per il Piano Marshall, per aiutare, per intervenire il più possibile, ma dovremmo farlo in maniera condizionata, ovvero porre alcuni temi fondamentali. Ad esempio, sul tema dell'eguaglianza fra sessi, se vogliono il nostro aiuto noi siamo pronti a darglielo, ma devono sapere che l'Occidente è pronto a dare un aiuto soltanto se le donne non saranno obbligate ad andare in giro con il burqa e potranno guidare l'automobile.
Un'altra condizione è che, ad esempio, il canale di Suez non venga usato a scopi contrari a un utilizzo a noi conveniente nel Mediterraneo. Ci mancherebbe altro! Allora forse aiutiamo l'Egitto a diventare un ponte per il passaggio delle navi iraniane? Dio ci salvi da questa ipotesi!
L'ultimo punto dovrebbe essere quello di mantenere la pace con Israele: se vogliono il nostro aiuto devono accettare la presenza dello Stato ebraico in Medio Oriente e optare per la pace con Israele; se hanno questa presa di posizione l'Europa è pronta ad aiutarli. Io credo che questa sia una posizione politicamente molto corretta e molto legittima, che certo va approfondita e sviluppata.

GERT WEISSKIRCHEN, Membro del Comitato direttivo dell'Inter-parliamentary Coalition for Combating Antisemitism (ICCA). Ho una forte sensazione, anzi la convinzione che se tutte le diverse tesi qui addotte potessero essere in qualche maniera ricomposte all'interno di un quadro strategico, sarebbe oltremodo convincente.


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Questi spunti, se verranno messi a verbale, potrebbero essere la base di un appello europeo fondato e articolato nelle diverse argomentazioni che sono state qui sviluppate.
Per quanto riguarda i problemi interni, se non saremo in grado di dare una nuova risposta europea alla questione dell'immigrazione, saremo destinati al fallimento. In futuro non potremo limitarci a puntare il dito contro le persone che soffrono dicendo loro che devono cavarsela da soli. Quindi, occorre una posizione fondata sulla solidarietà europea. Se l'Italia ha un problema di immigrazione, la questione deve diventare una questione europea. Tutti i Paesi europei debbono concorrere alla definizione di una nuova politica.
Laddove fosse il Regno Unito a trovarsi più esposto, anche in quel caso dobbiamo andare al di là dei confini nazionali e adottare un approccio europeo.
Credo che questo sia uno degli elementi decisivi per quanto riguarda le sfide per l'Europa, quindi si tratta di andare al di là degli orientamenti nazionali. Se falliamo in questo, in tutti i Paesi europei andremo incontro a tendenze verso la rinazionalizzazione, che sono già percepibili. Questi sono i problemi interni all'Unione europea. Tutte le altre questioni - la crisi finanziaria in primo luogo - debbono sfociare verso un'Unione europea più forte.
In secondo luogo, mi chiedo e vi chiedo perché l'Unione europea non dovrebbe essere pronta ad offrire a Israele, qualora lo desideri, la possibilità - non so quando, ma è un'idea da sviluppare - di diventare membro di pieno diritto dell'Unione europea. Riflettiamoci. Questo ovviamente rafforzerebbe l'impegno dell'Unione europea come garante per lo Stato di Israele, in un senso molto concreto, non soltanto rafforzando il benessere e la prosperità di quel Paese. Del resto, se guardiamo i dati economici vediamo che Israele è senz'altro una delle economie più forti nella regione. Questo è un altro spunto: accogliere Israele come membro di pieno diritto dell'Unione europea.
In questo caso, tutto lo scenario cambierebbe radicalmente, con conseguenze molto chiare, perché dovremmo modificare, ad esempio, la nostra politica nei confronti della Turchia, che dovrebbe anch'essa entrare nell'Unione. Questo diventa necessario perché, dopo la vittoria di Erdogan, se ci chiediamo come possiamo far sì che questa vittoria venga in qualche modo europeizzata, questo sarebbe l'unico modo di inglobare e ancorare la Turchia all'Unione, aprendole questa strada verso la modernità, di cui la Turchia ha tanto bisogno.
Nei Paesi del Maghreb se si chiede alle persone per strada qual è il modello a cui guardano, magari non tutti risponderanno il Regno Unito, ma la maggior parte della gente risponderà la Turchia, che è il ponte culturale tra Europa e mondo arabo.
Questo è il secondo elemento su cui, secondo me, dovremmo impegnarci in maniera più coesa: rafforzare la Turchia. I problemi interni alla Turchia sono molto delicati: si tratta di un Paese che si trova sull'orlo, perché la Turchia ha di fronte a sé anche l'opzione di estraniarsi dall'Europa, ma questa opzione va preclusa. Quindi, nel tracciare una nuova strategia politica dobbiamo tenere presenti anche tutti questi aspetti.
Lei ha parlato di Mediterraneo, il mare nostrum, come dicevano i latini, ma questa frase ha un sapore coloniale. Se, invece, intendiamo creare nuovi percorsi di civiltà, senz'altro il Mediterraneo è stata una culla di civiltà e dato che Israele è collocato in questa posizione unica, dobbiamo tracciare una prospettiva diversa affinché il Mar Mediterraneo diventi veramente un mare comune, vissuto come tale sulle sue diverse sponde.
Non c'è alternativa. Noi dobbiamo mettere a frutto questi movimenti rivoluzionari. Ovviamente, come sempre ci sono possibilità e rischi, ma in politica è sempre così: qualsiasi decisione, in politica, deve tendere verso un punto di equilibrio. Ovviamente si deve scegliere il meglio, cioè le opportunità, piuttosto che concentrarsi sui rischi. Quindi, se c'è una vera possibilità di dare sostegno a queste rivoluzioni, non in


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maniera coercitiva, ma rafforzando, all'interno della rivoluzione, quelle forze che tendono verso la democrazia, dobbiamo farlo. In caso contrario, si aiutano in maniera indiretta quegli elementi, all'interno dei movimenti rivoluzionari, che invece perseguono obiettivi sbagliati.
Questo è il nostro dovere attuale: dobbiamo dare alle forze che lottano per la democrazia una possibilità concreta. Onorevole Nirenstein, sono d'accordo con lei quando afferma che l'unico modo è fissare delle condizioni nel momento in cui si offre assistenza (infrastrutturale, ad esempio, anche per quanto riguarda la creazione di mezzi di comunicazione democratici).
Ma ovviamente si pone il quesito di come verificare la condizionalità. Al riguardo, condivido pienamente le tre condizioni che l'onorevole Nirenstein ha delineato.
Per concludere, vorrei incoraggiare i parlamentari italiani a cercare di allacciare contatti con i loro colleghi in altri Parlamenti europei, dicendo loro che è il momento di agire. È possibile che le rivoluzioni, la primavera araba, vadano nella direzione sbagliata - nessuno può dirlo - ma se noi non cogliamo questo impulso lo perderemo per sempre.
La nostra responsabilità, dunque, è agire e farlo ora, ovviamente senza cadere nell'utopia, ma cercando di individuare i prossimi passi realistici da compiere insieme. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Weisskirchen per l'interessantissima audizione e tutti i colleghi intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10.

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