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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
1.
Giovedì 21 luglio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE CODICE DELLE LEGGI ANTIMAFIA E DELLE MISURE DI PREVENZIONE NONCHÉ NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE ANTIMAFIA (ATTO N. 373)

Audizione del professore Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale presso l'Università di Palermo, del dottor Antonio Balsamo, magistrato della Corte di cassazione, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane, nonché di rappresentanti delle associazioni: Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Fondazione Rocco Chinnici, Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus e Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2 6 8 10 12 16 17 20
Balsamo Antonio, Magistrato della Corte di cassazione e componente della Fondazione Rocco Chinnici ... 2 17
Campinoti Andrea, Presidente di Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie ... 12
Chinnici Giovanni, Coordinatore del comitato di studi della Fondazione Rocco Chinnici ... 6 18
Ferranti Donatella (PD) ... 16
Garavini Laura (PD) ... 17
Iannazzo Antonino, Vicepresidente diAvviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie ... 19
Lo Monaco Vito Lucio, Presidente del Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus ... 10 18
Paolini Luca Rodolfo (LNP) ... 16
Pati Davide, Rappresentante legale di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie ... 8 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 21 luglio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professore Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale presso l'Università di Palermo, del dottor Antonio Balsamo, magistrato della Corte di cassazione, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane, nonché di rappresentanti delle associazioni: Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Fondazione Rocco Chinnici, Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus e Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia (Atto n. 373), l'audizione del professor Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale presso l'Università di Palermo, del dottor Antonio Balsamo, magistrato della Corte di cassazione, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane, nonché di rappresentanti delle associazioni: Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Fondazione Rocco Chinnici, Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus e Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie.
Avverto che il professore Giovanni Fiandaca ha comunicato di non poter partecipare alla seduta odierna per ragioni di carattere personale, ma ha sottoscritto un documento che ci ha fatto pervenire, presentato dal Centro studi e iniziative culturali Pio La Torre. Tale documento sarà messo a disposizione dei commissari e sarà considerato il contributo da parte del prof. Fiandaca.
Vorrei ringraziare ovviamente tutti i nostri ospiti che sono presenti e che hanno immediatamente dato adesione a questo incontro e voglio svolgere un'ultima precisazione a livello organizzativo. Dopo la vostra breve relazione seguiranno domande dei commissari e poi avrete di nuovo la parola.
Faccio, altresì, presente che chi non ritiene di poter rispondere oggi ad una richiesta di approfondimento può riservarsi di farlo in seguito, rinviando la risposta ad un documento scritto e tenendo tuttavia presente che la Commissione entro giovedì prossimo deve concludere l'esame.
Do la parola al dottor Antonio Balsamo, magistrato della Corte di cassazione e componente della Fondazione Rocco Chinnici, che ringrazio particolarmente per la presenza e che prego di svolgere la sua relazione.

ANTONIO BALSAMO, Magistrato della Corte di cassazione e componente della Fondazione Rocco Chinnici. Rivolgo un sincero ringraziamento alla Commissione per questa occasione di confronto.


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In effetti, tutto il diritto della criminalità organizzata italiana si è sempre costruito sulla base di un dialogo tra politica e giustizia. Gli aspetti qualificanti del nostro sistema di contrasto alla criminalità organizzata, ivi compreso l'articolo 416-bis, sono il frutto di un rapporto di sinergia tra istituzioni.
Abbiamo visto come sia particolarmente importante questo dibattito sullo schema di decreto legislativo, che concentra su di sé forti attese. Innanzitutto è uno dei pochi atti in questa legislatura approvati all'unanimità dal Parlamento e noi crediamo che ciò abbia un significato politico molto forte. È chiaro che le leggi si possono benissimo emanare anche a maggioranza, però il fatto che il Parlamento decida di approvare all'unanimità proprio il codice destinato a regolamentare la futura attività di contrasto alla criminalità organizzata è un preciso messaggio che si lancia alla criminalità organizzata.
In secondo luogo, ci sono alcune potenzialità positive nella stessa idea di un Codice antimafia. Uno degli inconvenienti che noi abbiamo sempre rilevato nell'ambito, per esempio, del contrasto ai patrimoni mafiosi è l'applicazione a macchia di leopardo di determinati strumenti, come le misure di prevenzione patrimoniali sul territorio nazionale. Ci sono regioni in cui si effettuano moltissimi sequestri e confische e altre in cui non se ne effettua quasi nessuno, pur in presenza di strutture sociali ed economiche assolutamente analoghe. Evidentemente c'è un bisogno di conoscibilità del testo legislativo e di formazione degli operatori che può ricevere un forte impulso dal Codice antimafia.
Il terzo aspetto, secondo me, importante è che si tratta potenzialmente di un testo destinato a circolare a livello internazionale e a servire da modello per tutti i Paesi che hanno bisogno, anche in vista dell'adesione all'Unione europea, di particolari riforme normative in tema, per esempio, di criminalità organizzata e di corruzione. Spesso si tratta di requisiti per l'ingresso nell'Unione europea che troverebbero il proprio naturale modello nel nostro Codice antimafia.
Proprio per queste ragioni, proprio perché si tratta di un codice che accentra su di sé attese molto forti, riteniamo doveroso segnalare alcune criticità che rischiano di depotenziare fortemente l'azione di contrasto alla criminalità organizzata. Su queste, peraltro, proprio all'insegna del dialogo, crediamo che sia possibile un dibattito con l'elaborazione di possibili interventi correttivi.
Oltre che in proprio io intervengo anche per la Fondazione Rocco Chinnici e sono molto onorato di essere qui insieme a Giovanni Chinnici, del quale ho conosciuto il padre prima di entrare in magistratura. Ho contribuito anche a elaborare il testo che presenterà il Centro Pio La Torre. Per molte questioni mi richiamo, dunque, agli elaborati rispettivamente della Fondazione e del Centro, però ritengo che alcuni profili debbano essere focalizzati.
Innanzitutto, per quanto riguarda il procedimento di prevenzione patrimoniale, si è introdotto un regime «privilegiato» per questo strumento, ritenendo che possieda una particolare modernità. Personalmente sono convinto che siano molto significative alcune tendenze della legislazione più recente, come quella di applicare la misura patrimoniale disgiuntamente da quella personale, e penso che ciò equivalga ad assimilare il nostro sistema a quello dei procedimenti in rem conosciuti negli ordinamenti anglosassoni e, quindi, ad agevolarne la circolazione sul piano della collaborazione giudiziaria internazionale.
Si pone il grosso problema dell'esecuzione della confisca di prevenzione all'estero, con un'evoluzione verso forme di intervento in rem, incentrate sulla pericolosità del patrimonio e non solo del soggetto. Ciò può rappresentare un fattore di impulso alla collaborazione giudiziaria internazionale.
Devo anche registrare che nella regolamentazione prevista dallo schema di decreto legislativo c'è un punto sicuramente


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molto rischioso, quello della previsione di termini massimi di durata del procedimento di primo grado e in grado di appello.
Questi termini, che apparentemente sembrerebbero adeguati - si tratta di un periodo di un anno e sei mesi, prorogabile di un altro anno per ciascuno dei gradi di giudizio - in realtà sono del tutto irrealistici, perché, per avere svolto questa attività per diversi anni, posso assicurarvi che nessun procedimento di prevenzione di grosse dimensioni si è mai concluso entro tali termini.
La ragione è che occorre ricostruire l'evoluzione economica di patrimoni stratificatisi nel corso del tempo, per i quali l'istruttoria è estremamente complessa, perché comprende audizioni di pentiti, la necessità di fare ricorso molto spesso a perizie, magari affidandole a esperti della Banca d'Italia, un lavoro di approfondimento istruttorio assolutamente incompatibile con questo termine.
Peraltro, finora i procedimenti di prevenzione patrimoniale si sono svolti sempre nel segno dell'effettività delle garanzie. È stato l'aspetto focalizzato da tutte le Corti europee nel ritenere che si tratti di uno strumento coerente e compatibile con la tutela internazionale dei diritti fondamentali. Nell'effettività del procedimento di prevenzione c'è comunque una reale possibilità di esplicazione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio.
Mi chiedo, però, se, in presenza di un termine perentorio a pena di inefficacia rispettivamente del sequestro e della confisca per il secondo grado di giudizio, non ci sia il rischio di un accertamento sommario, di una sostanziale paralisi del diritto di difesa, della fine di quel clima di effettiva collaborazione nell'interesse della giustizia che ha caratterizzato l'evolversi del diritto della prevenzione patrimoniale. Esso è sempre stato caratterizzato da una grande serenità di rapporti tra accusa, difesa e organo giudicante, dalla possibilità di sviluppare nel modo più compiuto le proprie rispettive possibilità processuali e dal rispetto assoluto dei reciproci ruoli.
Io credo che si possano produrre in questo modo nel procedimento di prevenzione patrimoniale, strumento importantissimo per ristabilire la libertà di concorrenza e i criteri ordinatori del sistema economico, gli stessi inconvenienti che abbiamo già individuato a proposito del processo breve.
La questione è ancora più preoccupante se si riflette sul fatto che si tratterebbe dell'unica misura cautelare reale che sarebbe sottoposta a un termine di durata nel nostro ordinamento. Anche questo aspetto pone forti problemi di legittimità costituzionale, se si tiene conto, altresì, della tutela di interessi forti di dimensione non solo costituzionale, come la dimensione orizzontale della libertà di iniziativa economica, ma anche europea, come la libertà di concorrenza, che sta sullo sfondo del sistema della prevenzione patrimoniale.
Le soluzioni praticabili, ad avviso della Fondazione Rocco Chinnici, sarebbero due. La prima è quella di eliminare completamente la previsione di questo termine di durata, che è propriamente la soluzione più coerente.
Si pone sicuramente un problema di compatibilità con la legge delega, però è vero che non tutte le previsioni della legge delega sono state attuate. Faccio riferimento, per esempio, al tema dell'esecuzione all'estero della confisca di prevenzione, su cui non si riscontra alcuna previsione nello schema di decreto legislativo. Non credo che il fatto che ci sia una mancata implementazione di questo aspetto della legge delega sia, in realtà, difforme rispetto alla mancata implementazione di altri profili.
In subordine ci sarebbe un'ulteriore soluzione pensabile, che è quella di ricondurre questo termine di durata alla stessa sfera applicativa che esso ha al momento attuale. Nella legislazione vigente esiste un termine del sequestro di prevenzione, che però opera soltanto nel caso in cui la misura patrimoniale venga applicata disgiuntamente dalla misura personale.
Senza modificare in alcun modo la legge delega e senza porre alcun problema


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di compatibilità, si potrebbe pensare a una riduzione nell'ambito di operatività di questo termine di durata del giudizio alla sola ipotesi di applicazione disgiunta della misura patrimoniale rispetto a quella personale.
Un secondo profilo che io credo vada segnalato, sempre a proposito della regolamentazione del procedimento di prevenzione, è la mancata previsione delle modalità dell'istruttoria. In buona sostanza, attualmente la legge rinvia alla disciplina prevista per il procedimento di esecuzione, che tutto sommato contempla l'elasticità delle forme con il rispetto del principio del contraddittorio.
Probabilmente sarebbe utile prevedere, per fini di certezza del diritto, altrimenti si porrebbe immediatamente il problema della disciplina applicabile con un vistosa incertezza giuridica, o un rinvio alle norme sul procedimento di esecuzione o anche un'introduzione espressa a proposito della regolamentazione nello svolgimento del procedimento di prevenzione, sia personale, sia patrimoniale, un elemento che riproduca il testo dell'articolo 666 del Codice di procedura penale, laddove esso fa riferimento alle modalità di assunzione della prova. Si tenga presente che il procedimento di prevenzione, a mio parere, è uno di quelli caratterizzati dal massimo di introduzione della prova. Non è affatto un procedimento scritto, ma è un procedimento che è e deve rimanere caratterizzato da un forte ruolo dell'oralità e del contraddittorio.
Ci sono poi alcune parti mancanti nel Codice antimafia. Su di esse non mi trattengo più di tanto, ma vorrei segnalare che esistono alcune indicazioni in atti normativi europei - a proposito, per esempio, della punibilità dell'autoriciclaggio, vorrei ricordare la terza direttiva europea antiriciclaggio - che sicuramente non sono state implementate in occasione del Codice antimafia, come pure sarebbe stato possibile.
C'è poi un problema di coordinamento nel potere di proposta della misura di prevenzione patrimoniale tra gli organi appartenenti all'esecutivo e l'autorità giudiziaria, su cui si soffermerà meglio il presidente del Centro Pio La Torre, perché si tratta di un apposito oggetto del documento elaborato.
Infine, si pone un ultimo tema, che mi limito ad accennare, perché ne discuterà con maggiore approfondimento l'avvocato Giovanni Chinnici, che è quello della tutela dei terzi. In realtà, è sempre stata una grossa lacuna legislativa, sulla quale era assolutamente necessario un intervento.
Io, però, ho una sensazione, sempre nata sulla base dell'esperienza applicativa, per cui si prevede, a proposito di aziende in sequestro, una triplice regolamentazione.
Essa si articola, come primo passaggio, nella sospensione di tutti i rapporti contrattuali pendenti, il che sembrerebbe applicabile persino ai rapporti di lavoro. Innanzitutto, quindi, si blocca l'attività dell'impresa.
Il secondo passaggio è la formazione dello stato passivo per un'impresa attiva. Io non ho mai visto formato uno stato passivo per un'impresa attiva.
Il terzo passaggio, ancora più allarmante, è la liquidazione dei beni sempre in una impresa attiva.
Mi chiedo se, in presenza di questo tipo di regolamentazione, che peraltro entra in piena contraddizione con lo scopo assegnato all'amministrazione giudiziaria di agire secondo criteri di economicità, con il fine di incrementare il valore economico dei beni sequestrati, anche una multinazionale riuscirebbe a resistere e a continuare la sua attività, una volta sottoposta a un sequestro di prevenzione.
Il problema è molto grosso. Comprendete le ricadute occupazionali che si possono verificare e soprattutto il tema importante della destinazione a fini sociali dei beni confiscati, un tema su cui si gioca il consenso dei cittadini e la legalità.
Noi siamo riusciti a trasformare il procedimento di prevenzione patrimoniale non solo in uno strumento di contrasto delle basi economiche del crimine organizzato, ma anche in un modello di reinserimento di imprese e beni in circuiti economici leciti per far sì che la popolazione


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si rendesse conto che il delitto non paga e che è possibile un diverso modello di sviluppo.
In una situazione del genere io penso che ci siano fortissimi rischi di avviare le imprese sequestrate non verso la continuità, ma verso una liquidazione e una successiva vendita, con un fondamentale depauperamento.
Teniamo presente, peraltro, che, fino a quando siamo nell'ambito di un sequestro, senza che sia intervenuta ancora la confisca definitiva, sarebbe possibile, senza alcun dubbio, la restituzione del bene perché si ritengono insussistenti i presupposti della confisca. Verificatisi questi danni, una volta liquidata una impresa, chi potrà mai risarcire il soggetto sottoposto a un procedimento di prevenzione conclusosi con una restituzione dei beni, che diverrebbe, a questo punto, solo virtuale?
Per converso, se invece i beni venissero confiscati, mi domando se questa disciplina della tutela dei terzi non ne agevolerebbe uno svuotamento, con un gravissimo pregiudizio nei confronti dello Stato.
Anche in questo caso sono possibili soluzioni tecniche differenti. Una prima soluzione è quella di modificare completamente il Titolo IV, per esempio stralciandolo e demandandone l'elaborazione a un intervento normativo successivo, preceduto da un dibattito tra le diverse categorie interessate.
Un'altra potrebbe essere quella di differire tutto questo procedimento di verifica dei crediti non nell'ambito della stessa procedura, mentre è in corso, ossia mentre è ancora in atto il sequestro, ma al momento della confisca definitiva. Potrebbe essere una soluzione che riuscirebbe a rendere maggiormente compatibili i diversi interessi in gioco.
Mi fermo, perché non vorrei anticipare temi che formeranno oggetto dell'esposizione degli altri convocati per l'audizione. Penso che con il metodo del dialogo sia possibile far sì che questo Codice antimafia diventi realmente ciò che tutti ci attendiamo, ossia un grosso modello a livello internazionale e un modello che ci aiuterà a perfezionare e non a ridimensionare il contrasto delle organizzazioni criminali.

PRESIDENTE. Grazie, dottor Balsamo, per la sua consueta chiarezza ed efficacia.
Do la parola all'avvocato Giovanni Chinnici, coordinatore del comitato di studi della Fondazione Rocco Chinnici.

GIOVANNI CHINNICI, Coordinatore del comitato di studi della Fondazione Rocco Chinnici. Grazie, presidente. Desidero rivolgerle una parola di ringraziamento a nome della Fondazione Rocco Chinnici per il coinvolgimento in questa fase importante e delicata di studio di questa normativa.
La Fondazione Rocco Chinnici da alcuni anni svolge un'attività di ricerca in ambito economico, mirante soprattutto a individuare le conseguenze e l'impatto della criminalità organizzata sulle economie siciliane e del Sud d'Italia.
In questo senso abbiamo ritenuto, nei pochi giorni che abbiamo avuto a disposizione dal momento della convocazione, di sentire alcuni componenti della Commissione che avessero estrazione diversa. Come poi lei avrà modo di vedere, il documento che abbiamo ritenuto di sottoporre alla vostra attenzione è stato curato, oltre che dal Presidente Balsamo, che è un magistrato, anche dall'avvocato Di Legami, che è un amministratore giudiziario, e anche da un imprenditore, Massimo Plescia, il quale ha fatto parte del Centro studi di Confindustria, oltre che, molto più modestamente, dal sottoscritto.
Questa scelta ci ha consentito di avere una pluralità di punti di vista e soprattutto di sentire anche il polso del mondo imprenditoriale, il quale viene interessato direttamente dagli effetti di queste norme, soprattutto in contesti come quello del Sud d'Italia, in cui molto spesso le aziende che formano oggetto di iniziative dell'autorità giudiziaria, e segnatamente di misure di prevenzione, sono spesso realtà importanti per il tessuto economico locale, come è stato accennato molto efficacemente dal Presidente Balsamo. Si tratta molto spesso anche di realtà importanti


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dal punto di vista lavorativo, che danno sostegno a diverse famiglie all'interno delle comunità.
L'aspetto che si ritiene importante è che l'impatto della normativa e delle misure di prevenzione sul tessuto economico non sia di carattere negativo. In questo senso la sensazione che si ha, leggendo soprattutto le norme contenute nel Titolo IV, quelle rivolte alla tutela dei terzi, è che, se da un lato si è voluto dare giustamente prevalenza alle esigenze della giustizia penale miranti a ottenere la sostanziale e irreversibile deprivazione del patrimonio nei confronti del soggetto prevenuto, dall'altro è necessario, però, tarare meglio la possibilità per l'amministratore giudiziario, che subentra all'imprenditore nella gestione dell'azienda, di continuare a gestire l'azienda stessa, salvaguardando il patrimonio economico che essa costituisce per il tessuto locale e di porre in essere tutte le operazioni, spesso complesse e dai tempi quasi sempre molto stringenti, che un imprenditore è tenuto a compiere nella sua normale attività.
Al contrario, si sono individuate norme che hanno uno spirito prettamente liquidatorio. Si tende non tanto a salvaguardare il patrimonio dell'azienda e la sua valenza economica, quanto a liquidarla e, quindi, a espellerla dal tessuto economico, con meccanismi di salvaguardia dei terzi creditori alcune volte, per la verità, interessanti. Nell'insieme ci sembra che non ci sia un'attenzione alla continuazione dell'attività di azienda.
La casistica è vasta dalle nostre parti. Si ricordano, per esempio, manifestazioni di piazza contro determinati magistrati che avevano emesso misure di prevenzione, perché si attribuiva loro il torto di aver creato un vuoto nell'economia locale e di avere interrotto rapporti di lavoro.
Tra gli articoli che sembrano in contrasto con questa idea di continuazione dell'azienda vi è soprattutto l'articolo 70, quello che prevede la liquidazione dei beni aziendali e che di fatto, almeno per come l'abbiamo letto, sembrerebbe impedire all'amministratore di poter continuare l'attività aziendale. Tutti i beni dell'azienda in mancanza di liquidità, ivi compresi i beni strumentali, dovrebbero essere, infatti, liquidati perché il ricavato ne sia destinato al soddisfacimento dei creditori, il che - è di tutta evidenza - impedirebbe la normale continuazione dell'attività di impresa.
L'articolo 66, in base alla lettura che ne abbiamo fatto, imporrebbe addirittura la sospensione immediata di tutti i rapporti contrattuali. Basti immaginare la molteplicità di rapporti contrattuali che un'azienda intrattiene, a cominciare, come è stato giustamente rilevato. Sembrerebbe che anche i rapporti di lavoro ricadano sotto questa previsione.
Tutti i rapporti dovrebbero essere sospesi e interrotti, salvo poi essere sottoposti a esame da parte del giudice, con i tempi che sarebbero necessari per portarlo avanti. Ciò determinerebbe, credo che sia intuitivo, un fermo che nella stragrande maggioranza dei casi comporterebbe l'impossibilità per l'azienda di andare avanti e, quindi, la sua definitiva chiusura.
Pensando, invece, alle problematiche che spesso sono state incontrate dagli amministratori giudiziari, bisognerebbe al contrario cercare di rafforzare gli aspetti e le parti della normativa che favoriscono la continuazione dell'attività.
Per esempio, mi pare interessante l'articolo 64, che introduce un principio di prededuzione per i debiti assunti in pendenza di sequestro. Tuttavia, sarebbe probabilmente interessante rafforzarlo con la previsione della possibilità di assumere obbligazioni specifiche e di poter gravare magari alcuni cespiti aziendali con l'autorizzazione del giudice, eventualmente anche sentito il parere dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, per compiere, per esempio, operazioni di finanziamento specifiche.
È una difficoltà in cui molto spesso, o quasi sempre, gli amministratori giudiziari si trovano, perché non riescono a ottenere fidi dalle banche, in quanto esse sanno di non poter contare alla fine su un patrimonio


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responsabile, posto che i beni aziendali vengono poi destinati al soddisfacimento dei creditori pregressi.
Sarebbe interessante probabilmente, proprio per favorire la gestione e possibilmente anche il rilancio dell'azienda, perché no?, come è successo per alcune realtà oggetto di sequestro, dare all'amministratore giudiziario alcuni strumenti che gli consentano di svolgere tale attività.
Ovviamente rinvio alla relazione per gli aspetti di dettaglio, però, come è stato già anticipato dal Presidente Balsamo, l'idea che ci è venuta in mente è quella di rinviare a un esame più approfondito l'intero Titolo IV. Ci rendiamo conto che ciò comporta tempi che potrebbero non essere compatibili con quelli del decreto, però ci sono anche altre idee che si è ritenuto di sottoporre all'attenzione dell'onorevole Commissione, per vedere quanto meno di contenere gli effetti negativi di cui si è parlato.
Peraltro, mi è sembrato molto interessante che dal punto di vista del mondo imprenditoriale sia stata mossa un'osservazione. Mentre la normativa prevede meccanismi che di fatto consentono, se non addirittura impongono all'amministratore giudiziario, in pendenza di sequestro, di sciogliere, interrompere e risolvere i contratti, è stato fatto notare che, al di fuori delle misure di prevenzione, l'imprenditore privato non ha alcuna possibilità di risolvere contratti con soggetti che vengano indicati, a causa, ad esempio, del diffondersi di notizie di stampa in ordine all'imputazione o a un rinvio a giudizio, come mafiosi o comunque vicini ad ambienti di tipo mafioso. Non abbiamo avuto il tempo il svilupparla, però è un'indicazione che ci è sembrato giusto sottoporre.
Altre indicazioni venute dal mondo imprenditoriale riguardano la documentazione antimafia e segnatamente la possibilità per le associazioni di imprenditori di poter accedere al Centro unico di documentazione, operazione che attualmente non è prevista, ma che consentirebbe alle associazioni di continuare l'opera importante che è stata svolta in questi ultimi anni di moralizzazione del ceto imprenditoriale e di contribuire a una migliore diffusione della cultura della legalità all'interno del mondo economico e imprenditoriale del Sud, che, come sappiamo, non è particolarmente diffusa.
Per il momento interromperei la mia esposizione, rinviando al documento che abbiamo depositato e rimanendo a disposizione per eventuali richieste. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei.
Do la parola a Davide Pati, rappresentante legale di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.

DAVIDE PATI, Rappresentante legale di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Grazie, presidente. Porgo a lei e ai componenti della Commissione i saluti di don Luigi Ciotti e il ringraziamento per questa opportunità di esprimere un parere sul Codice delle leggi antimafia, un codice la cui legge delega, approvata all'unanimità nell'agosto dello scorso anno, era stata salutata molto positivamente da parte della nostra associazione, così come alcuni punti delle riforme contenute nei pacchetti sicurezza che si sono succeduti dal 2008 fino al 2010, con l'obiettivo di rendere più efficace l'aggressione dei patrimoni delle mafie. Fu espressa una valutazione positiva anche su questi interventi legislativi, da ultimo la legge che ha istituito l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
In merito al Codice antimafia in questi giorni abbiamo raccolto informazioni e abbiamo anche partecipato a diversi incontri che sono stati organizzati e promossi. Abbiamo condiviso con operatori del settore, forze di polizia, magistratura e sindacati, alcune preoccupazioni rispetto a come è stato impostato il testo del Codice antimafia, partendo da una valutazione di positività della proposta, per raggiungere un risultato di potenziare quel sistema giuridico complessivo nato con la legge Rognoni-La Torre.
In merito al libro I, per esempio, rispetto all'articolo 2, che riprende i contenuti


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dell'articolo 416-ter, merita una valutazione il fatto che lo scambio di voto contro denaro non è più attuale. Pochissimi riscontri nella realtà sono stati effettuati rispetto a una mera elargizione di denaro. Riconsiderare questo strumento, uno strumento importantissimo nel recidere i legami fra mafia e politica, è molto importante rispetto a tutti i reali rapporti di scambio che si verificano in occasione di consultazioni elettorali di diverso livello. Questa è la prima osservazione.
Rispetto al libro II, l'articolo 56 parla della restituzione dei beni confiscati, prevedendo la possibilità che la stessa possa avvenire per equivalente, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali e sociali, in caso di revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione.
Su questa previsione della mera possibilità di restituire beni per equivalente desta preoccupazione la precarietà che di fatto ne può derivare per le assegnazioni che sono state effettuate in questi anni di beni confiscati per scopi sociali. La restituzione per somma equivalente, secondo noi, va prevista non come mera possibilità, ma come unica soluzione, proprio per salvaguardare le esperienze positive di riutilizzo dei beni confiscati che sono state effettuate con l'impegno delle prefetture e oggi dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata nel nostro Paese.
Rispetto all'articolo 58, sempre del libro II, che riguarda la destinazione dei beni e delle somme, riteniamo importante che le somme di denaro confiscate, quindi le liquidità, i proventi derivanti dall'utilizzo dei beni per finalità economiche o dall'ipotesi residuale di vendita dei beni immobili, possano essere utilizzate dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata per il proprio funzionamento e per la gestione degli altri beni immobili e aziendali, ossia per la ristrutturazione di questi beni e per garantire la continuità di impresa delle aziende che vengono sequestrate e confiscate.
È importante che questi fondi, queste liquidità, vengano destinati per garantire la possibilità di avere esperienze di riutilizzo dei beni confiscati. I fondi che il Ministero dell'interno ha stanziato, grazie ai finanziamenti comunitari, tramite il Programma Operativo Nazionale «Sicurezza per lo Sviluppo Obiettivo Convergenza 2007-2013» (il cosiddetto «PON» sicurezza), non sono sufficienti per garantire la possibilità di utilizzare per finalità sociali i beni confiscati. È necessario, secondo noi, che questi fondi, queste somme, queste liquidità possano essere utilizzati per gestire i beni che hanno necessità di essere ristrutturati e riconvertiti.
Soprattutto per le aziende si dispone, al comma 8 dell'articolo 58, che le aziende possano essere affittate, vendute o liquidate e, in caso di affitto, a titolo gratuito. A tal proposito vorrei svolgere una precisazione. L'esperienza ci ha insegnato che nessun contratto di affitto a titolo gratuito è mai stato effettuato. Delle 1.400 aziende confiscate dal 1982 a oggi solo pochissime, meno di dieci, sono state affittate.
Nell'ultimo caso che abbiamo seguito con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di affitto di un'azienda - una cooperativa di lavoratori di un'azienda di calcestruzzi in provincia di Trapani - il notaio si è rifiutato di firmare un contratto di affitto a titolo gratuito perché le norme del codice non lo prevedono.
Occorre, quindi, riformulare quella parte, togliendo anche le parole «senza oneri a carico dello Stato», perché proprio le somme confiscate alla mafia devono essere utilizzate per garantire la continuità di impresa e, quindi, dare gambe ai progetti economici e sociali di riutilizzo dei beni confiscati e permettere che fra i possibili affittuari delle aziende possano figurare anche le cooperative sociali, che in questi anni hanno dimostrato, utilizzando terreni e beni, di essere un volano di economia pulita e anche di grande


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coinvolgimento sul territorio di altri operatori economici, in diversi settori e filiere produttive. Occorrerebbe dare loro la possibilità di diventare affittuarie di aziende confiscate.
Depositiamo un testo con maggiori dettagli sulle nostre osservazioni. Concludo affermando che sicuramente il lavoro che porterà all'approvazione del Codice delle leggi antimafia deve tener conto di una complessiva riforma della normativa in materia di criminalità organizzata e di illegalità nel nostro Paese. Penso al recepimento delle disposizioni dell'Unione europea in materia di aggressione ai patrimoni di mafia, come la decisione quadro sul mutuo riconoscimento dei provvedimenti definitivi di confisca - il dottor Balsamo parlava dell'autoriciclaggio - e soprattutto a tutta la legislazione in materia di tutela e di riconoscimento dei familiari delle vittime innocenti delle mafie, cui si deve un effettivo riconoscimento in sede civile, armonizzando le diverse norme esistenti in materia di antiracket e di antiusura, rafforzando la legislazione premiale introdotta con le ultime norme inserite nel pacchetto sicurezza e introducendo i delitti contro l'ambiente e tutti i benefici previsti per i testimoni di giustizia, che, seppur pochi ancora oggi, hanno dimostrato di essere un modello di cittadinanza responsabile e civile nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Do la parola a Vito Lucio Lo Monaco, presidente del Centro studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus.

VITO LUCIO LO MONACO, Presidente del Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus. Anch'io ringrazio il presidente e la commissione per averci invitato ad illustrare le nostre elaborazioni, pur nel breve tempo in cui è stato possibile metterle a punto.
Abbiamo infatti ricevuto notizia del testo presentato al Governo il 25 giugno e il 7 luglio abbiamo avuto il tempo di svolgere una nostra iniziativa, che ha prodotto sia il materiale che è stato consegnato, ossia la rivista online «A Sud'Europa», che abbiamo stampato in quell'occasione, sia un appello che è stato sottoscritto da ANM, ARCI, Centro Pio La Torre, Articolo 21, CGIL, CNA, Confindustria Gruppo Abele, Legacoop e Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, con un concorso di elaborazione e di impegno che noi rassegniamo in questa sede anche con un ulteriore documento, che è stato presentato stamattina dal Centro Pio La Torre e che è stato elaborato con la collaborazione di Giovanni Fiandaca, assente per motivi di famiglia, dal dottor Balsamo, insieme a Pace, Teresi e Barcellona.
Questo vasto schieramento di forze si pronuncia su un punto. Dal momento che sto parlando alla fine, vi risparmio la ripetizione delle considerazioni già svolte, sulle quali concordo pienamente.
Una prima osservazione che noi avanziamo concordemente è che la legge delega impegnava il Governo a presentare un decreto legislativo sulla ricognizione della normativa penale, processuale e amministrativa sull'armonizzazione di queste norme e sul coordinamento di questa normativa.
Secondo noi, il decreto legislativo non risponde in modo esaustivo ai tre criteri. Noi sottolineiamo in modo particolare, un po' per la nostra storia e per la nostra origine culturale, anche una preoccupazione fortissima, che è condivisa da tutti, soprattutto sul Titolo I.
Delle centinaia di norme del Codice penale se ne estraggono soltanto dieci e, quindi, non c'è una ricognizione della normativa penale, né processuale, in questo caso. Di questi dieci norme si riprende anche l'articolo 416-bis oltre al 416-ter. Non si abrogano formalmente, ma all'articolo 130 è citato il fatto che d'ora in poi si possono citare soltanto gli articoli 1, 2, 3 e 7 del presente codice. Si tratta di un'abrogazione surrettizia, ovvero di una cancellazione dalla memoria legislativa di questo Paese di una legge che ha reso onore allo Stato e a questo Parlamento, che l'ha varata.


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Lo vogliamo sottolineare alla commissione e a tutte le forze politiche, perché il decreto legislativo crea una confusione e un indebolimento di norme penali che hanno costruito la storia dell'antimafia di questo Stato. Il ruolo svolto dalla legge Rognoni-La Torre, lo ricordo a me stesso naturalmente, è quello di aver tipizzato il reato di associazione di stampo mafioso e di aver individuato e penalizzato il rapporto mafia - politica e la confisca obbligatoria dei beni.
A questo punto, se non riusciamo ad avere un'evoluzione della legge Rognoni-La Torre, bisogna mettere da parte queste dieci norme, accantonarle, eliminare magari lo stesso termine «codice» - è una questione metodologica, su cui gli esperti di diritto hanno molto da dire e noi abbiamo raccolto alcune osservazioni - perché forse è meglio parlare di un testo unico delle misure di prevenzione. Mi pare la soluzione più corretta, perché il decreto legislativo tutto sommato compie una raccolta delle misure di prevenzione, che vanno ovviamente adeguate, integrate, modificate e possibilmente innovate, come è già stato chiesto.
Poiché sulle misure di prevenzione il decreto legislativo opera una ricognizione, introducendo alcune novità, ciò dovrebbe consentire uno spazio per poter emanare un testo che alla fine sia accettabile e che non complichi la vita agli operatori, ai magistrati e agli operatori del diritto.
Noi abbiamo chiesto sempre tutti insieme, come movimento sociale antimafia, di semplificare le procedure e le misure di prevenzione. Nel codice, invece, introduciamo una norma quasi di confisca breve, per esempio, fissando il termine, come è stato spiegato da Antonio Balsamo, in due anni e mezzo.
Se ci si trova, come in tutti questi anni, grazie all'internazionalizzazione delle imprese mafiose e alla loro finanziarizzazione, davanti a complesse aziende che hanno rapporti multiformi e internazionalizzati, quel termine è assolutamente insufficiente, come è giustamente stato documentato, nonché sulla base dell'esperienza personale. Immaginate che cosa avverrebbe se dovessimo avere una gestione sulla base di questa legge, quale sarebbe il ritorno sull'opinione pubblica nazionale. Sarebbe devastante.
Noi abbiamo sempre chiesto che bisogna impedire con procedura snella e virtuosa la vendita dei beni confiscati. È stato affermato - e noi l'abbiamo scritto in forma anche più tecnica - che agli articoli 69 e 70 sembra esserci un'altra scelta, che non è quella del riuso dei beni confiscati da riconsegnare alla società alla quale sono state sottratte, ma quasi di una loro destinazione alla vendita fin dall'inizio. Io credo che la commissione debba prendere atto di questo punto.
Si può opinare che esistono limiti anche nella stessa legge delega che è stata varata, ma i limiti possono essere superati sulla base di un'intesa politica, come il Parlamento sa fare nei momenti più alti della sua vita. In questo caso la concertazione aiuterebbe il Parlamento, perché la concertazione con i magistrati, con gli esperti, con gli studiosi, con le associazioni antimafia, nel loro mondo variegato e con la loro molteplice esperienza del bene confiscato e con le diverse mobilitazioni, darebbe un contributo importante.
Il nostro obiettivo è migliorare la legislazione antimafia e soprattutto colpire il rapporto strutturale che la mafia - intendendo Cosa nostra, 'ndrangheta, camorra e via elencando - ha instaurato e le reti transnazionali che essa ha costruito sul piano economico e finanziario, soprattutto con pezzi della politica e delle istituzioni.
Il punto è questo ed esalta una carenza. Un codice che si vuole definire antimafia non prevede, infatti, nulla sulle norme di incompatibilità e di ineleggibilità, anche dopo le recenti vicende che coinvolgono il mondo politico nazionale. Non prevede i nuovi reati dell'autoriciclaggio e tutti i reati connessi all'ambiente e alle altre fenomenologie criminose che si sono manifestate in questi anni, come l'immigrazione e le tratte. Sulla non omogeneizzazione alla legislazione europea è stato richiamato l'autoriciclaggio, ma anche lo scambio di reciprocità con gli altri Paesi


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europei sui beni confiscati. Praticamente non rafforziamo lo strumento di lotta contro le organizzazioni criminali.
Noi abbiamo svolto alcune osservazioni a proposito anche di altri aspetti. Non richiamo quelli che già sono stati citati e che sono contenuti nel nostro testo, al quale rinvio.
Conferire a più organi dello Stato la potestà di proporre misure di prevenzione senza prevedere alcun coordinamento tra queste, per cui ci sono il questore, il direttore della DIA, tutte le procure che si esprimono sullo stesso soggetto e sullo stesso patrimonio, comporta che possiamo avere cinque proposte convergenti, ma anche divergenti, come è avvenuto anche in alcuni casi. Mentre l'uno sta indagando, l'altro può emanare il decreto di sequestro, sconvolgendo ovviamente la procedura di indagine in corso. Urge pertanto l'obbligo di un coordinamento.
L'ultimo aspetto, con una considerazione di carattere più generale storico-politica, è che, se noi, presidente, smettessimo di considerare le organizzazioni mafiose soltanto come organizzazioni puramente criminali che hanno un rapporto con la politica - nessuno più lo nega, grazie a Dio o a tutti i morti che ci sono stati nel corso di questi anni, perché fino a poco tempo fa storicamente veniva negata anche l'esistenza stessa della mafia - ma cominciamo a considerarle, come storicamente si è determinato, come un braccio storico illegale di una parte minoritaria della classe dirigente di questo Paese, economica, politica e sociale, come ci ha mostrato nel corso di questi anni, dall'Unità d'Italia, tutta la storia di questo Paese, probabilmente non avremmo difficoltà a capire perché questa parte della classe dirigente non abbia accettato né le regole dello Stato liberale del Regno d'Italia, né le regole della Repubblica democratica di questo Paese.
È un fenomeno intrinseco e non estraneo. Se fosse estraneo, basterebbero le forze di repressione. Non si capisce perché, malgrado la repressione accresciuta nel corso di questi anni, alla fine il fenomeno si riproduca sul territorio con la stessa intensità, anzi, con una contraddizione che voi stessi avete notato, ossia che, mentre fino ad alcuni decenni fa sembrava localizzato in alcune parti del Paese, oggi invece è diffuso nel Paese. Ciò non avviene da alcuni anni, ma da alcuni decenni. Mentre si verifica, cioè, un indebolimento sul territorio di origine, si attua un rafforzamento sul territorio nazionale e anche su un territorio più ampio.
La questione non può essere risolta solo con una interpretazione culturalista - bisogna cambiare la cultura della gente - né solo con un'ipotesi di sviluppo economico, perché la mafia è frutto dello sviluppo, anche se poi produce il ritardo di sviluppo di questo Paese, e questa è la contraddizione che abbiamo vissuto, capace, come è, di operare solo sul mercato protetto o con la violenza o con le politiche piegate a interessi di gruppi occulti e palesi, che si possono chiamare P2, P3 o P4. Alla fine tutto si riconduce a questo ragionamento.
Noi lanciamo un ultimo appello al Parlamento perché accolga e valorizzi quanto l'antimafia sociale e politica ha prodotto in tutti questi anni, soprattutto dal 1982 a oggi, dalla legge Rognoni-La Torre, alla legge n. 109 del 1996, all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola ad Andrea Campinoti, presidente di Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie.

ANDREA CAMPINOTI, Presidente di Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie. Buon pomeriggio a tutti. Ringrazio il presidente e i membri della commissione per l'occasione che ci hanno dato di espletare il nostro punto di vista su questo testo, che è all'ordine del giorno della nostra audizione.
Il nostro lavoro e il nostro punto di vista, nonché la relazione che volevo svolgere intorno a questo tema, vengono molto contratti, perché condividiamo sostanzialmente


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ciò che è stato affermato da coloro che ci hanno preceduto.
Soffermerò, quindi, le mie brevi riflessioni solo sulle questioni che ci riguardano più direttamente in quanto associazione di enti locali e di regioni che si occupa di contrasto alle mafie e di diffusione della cultura della legalità.
Innanzitutto richiamo alcuni aspetti che ci riguardano in merito alle politiche di prevenzione dell'infiltrazione delle mafie nell'azione della pubblica amministrazione e nell'azione che gli enti locali possono compiere e realizzare nel territorio per il contrasto alle mafie e per il prosciugamento del consenso di cui le mafie godono in alcuni territori e in alcuni ambienti professionali e sociali.
In merito al tema dei comuni sciolti per sospette infiltrazioni mafiose, ci sono due articoli all'interno del codice che riguardano la possibilità di accesso alla stazione appaltante unica da parte o del commissario o dell'amministrazione che viene eletta immediatamente dopo il decreto di scioglimento e l'obbligo da parte di questi enti di effettuare la verifica per tutti i contratti che vengono stipulati ai sensi della normativa per l'informazione sulle aziende con cui si vanno a stipulare i contratti.
È una questione importante, che condividiamo, ma vogliamo sottolineare due o tre aspetti. Sono aspetti che non hanno a oggetto questi due articoli, ma che, secondo noi, sarebbe opportuno inserire.
Il primo è la qualità dei commissari che vanno a gestire l'ente durante il periodo conseguente il decreto di scioglimento. Sarebbe opportuno che fosse creato un apposito albo di funzionari formati per questo scopo. È evidente che, dopo il decreto di scioglimento, sarebbe opportuno che l'azione di quell'ente locale, anche da un punto di vista di governo, avesse un impulso e si mostrasse concretamente che l'atto, che è comunque un atto forte da parte dello Stato, di scioglimento della rappresentanza politica e istituzionale di un ente in un certo senso vedesse lo Stato che interviene non solo nell'azione di risanamento, ma anche in quella di premialità. Coloro che subentrano e governano bene dovrebbero avere la possibilità di poterlo fare con risorse aggiuntive e anche con alcune regole più attente per quanto riguarda il bilancio e il funzionamento di tali enti.
Ci sono già alcune attenzioni in tal senso per quanto riguarda tutte le misure di finanza degli enti locali, però, a nostro modo di vedere, sarebbe particolarmente importante che questo aspetto fosse potenziato. La questione della creazione di un albo dei commissari e della loro formazione per noi è particolarmente importante.
Sempre nell'ottica dei comuni sciolti, svolgo una notazione di dettaglio, ma per noi molto importante. Il sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia sono parte del Comitato per l'ordine e la sicurezza a livello della prefettura. Essendo questo un procedimento che passa anche da quel luogo, a nostro avviso, richiederebbe un intervento da parte del legislatore, perché sarebbe più opportuno che la politica a livello locale fosse lontana da tale scelta.
L'altra questione che vogliamo sottolineare riguarda la gestione dei beni immobili confiscati. Noi ci siamo sempre dichiarati contrari alla vendita dei beni immobili e cogliamo questa occasione per ribadire la nostra contrarietà. Così come asseriva Davide Pati di Libera, vediamo con grande preoccupazione l'istituto della restituzione per equivalente, fino ad arrivare a una totale contrarietà rispetto a quanto previsto dall'articolo 56, laddove si dispone che, se da parte dell'autorità giudiziaria si prevede la restituzione per equivalente a colui che è stato oggetto della confisca, chi poi tira fuori i soldi sia l'istituzione assegnataria del bene, in questo caso l'ente locale. Per quanto ci riguarda questa situazione avrebbe effetti devastanti, considerando anche da un punto di vista delle risorse il quadro entro il quale si muove sempre di più l'azione degli enti locali sui territori. Chiediamo, dunque, con forza che questo passaggio sia eliminato.


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L'altra parte riguarda la capacità che gli enti locali possono avere di investire sui beni immobili confiscati alle mafie. È evidente che, in una situazione di mancanza di risorse e di limiti importanti che ci vengono imposti dal Patto di stabilità interno, il fatto che le risorse che si investono vengano computate ai fini del Patto di stabilità per il saldo degli enti locali purtroppo genera una situazione in cui, se qualcuno non si vuole impegnare, può trovare un argomento per non farlo.
Come associazione di enti locali, che su questo tema mette la faccia e si impegna, noi crediamo che debba essere creato il clima esattamente opposto, cioè che nessun amministratore locale possa avere un alibi per affermare che non si impegna per il riutilizzo a fini sociali dei beni immobili confiscati alle mafie presenti nel suo territorio.
Da questo punto di vista, oltre alle norme che riguardano il Patto di stabilità e i saldi per gli enti locali e soprattutto la parte degli investimenti, riprendendo anche in questo caso una considerazione di Davide Pati, noi pensiamo che sarebbe opportuno non lasciare soli gli enti locali nell'investimento per il riutilizzo dei beni.
Ci sono risorse che vengono dal PON e risorse che si possono reperire in tante altre maniere. È evidente che c'è sempre una prima linea costituita dal bilancio dell'ente locale e teniamo presente che il nostro Paese è composto, come sapete benissimo, per la stragrande maggioranza di enti locali di piccole e piccolissime dimensioni, che hanno una grandissima difficoltà, anche nel caso in cui si vogliano impegnare, ad avere le risorse per poterlo fare.
Da questo punto di vista ciò che veniva sottolineato attraverso l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ossia la possibilità di poter utilizzare le somme che vengono confiscate anche a tal fine, per quanto ci riguarda sarebbe veramente importante, proprio per poter espletare al meglio l'azione di governo a livello territoriale da parte degli enti locali.
Il passo successivo è la costituzione degli enti locali nel giudizio contro processi di racket e processi che vedono interessate le cosche a livello locale. In merito lamentiamo una difficoltà vera, cioè il fatto che non ci si possa sostanzialmente più vedere riconosciuto il danno che una comunità subisce dalla presenza del racket o delle mafie in un territorio.
I comuni che si costituiscono, così ci riferiscono i nostri soci, quando va bene, si vedono riconosciuta solo la spesa legale della costituzione in giudizio. Noi riteniamo che sarebbe particolarmente importante, così come avveniva precedentemente in una modifica introdotta, se non vado errato, nel pacchetto sicurezza del 2009, avere la possibilità di un ristoro delle comunità in quanto tali rispetto ai danni che subiscono dalla presenza delle mafie e, in maniera più specifica, per quanto abbiamo visto nel corso degli anni, dai reati consumati dal racket.
È una questione importante, perché un sindaco e un'amministrazione locale che ci mettono la faccia, se possono vedere ristorato e riconosciuto il danno subìto dalla propria comunità possono intervenire su un quartiere che è stato particolarmente oggetto del dominio, della signoria, della violenza e della presenza delle mafie.
Con i soldi che si possono recuperare si possono compiere interventi di riqualificazione urbana, di animazione, di attività socializzanti, di assistenza sociale e tutto ciò che consente di riaffermare lo Stato di diritto per le persone, per i luoghi e per le comunità che sono state oggetto della violenza delle mafie.
Un altro passaggio per noi piuttosto importante riguarda tutto ciò che in questo codice viene riferito alla certificazione antimafia da parte dei soggetti che partecipano alle gare e ai bandi della pubblica amministrazione e, in maniera specifica, degli enti locali.
In generale, per il nostro modesto parere, ci sembra piuttosto ben congegnato, ma noi vorremmo, sulla base della nostra esperienza, che tiene conto del fatto che la stragrande maggioranza dei comuni è di piccole e piccolissime dimensioni e che la


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stragrande maggioranza degli appalti viene assegnata su basi d'asta particolarmente basse - si tiene conto in generale delle gare che vengono svolte a evidenza pubblica - nonché sulla base delle evoluzioni normative rispetto alle procedure ristrette che possono compiere le pubbliche amministrazioni con i procedimenti concorsuali per l'assegnazione di opere pubbliche e servizi, sarebbe importante studiare norme per cui si possano sempre creare in maniera maggiore situazioni di white list, cioè di aziende che si qualificano non solo per la certificazione antimafia legata alla comunicazione o all'informazione antimafia, ma anche per la loro capacità di corrispondere a un codice etico, al rispetto delle normative sull'ambiente e sui lavoratori.
Tali aziende dovrebbero avere la possibilità, soprattutto per le procedure ristrette, di poter accedere a liste di imprese che accettano un livello superiore di qualificazione, non solo sulla normativa antimafia, ma anche, per esempio, relative alle Stazioni Uniche Appaltanti (SUA). Per le amministrazioni locali ciò sarebbe particolarmente importante.
Analogamente, noi riteniamo che sia importante andare avanti - da questo punto di vista avremmo voluto anche una situazione di premialità che avrebbe favorito il lavoro sui territori - nella logica delle stazioni uniche appaltanti per quanto riguarda gli enti locali sui territori.
Svolgo solo una battuta in merito alla possibilità degli enti locali di sviluppare azioni in sinergia. Noi vediamo con un po' di preoccupazione tutto ciò che sta avvenendo in generale rispetto alla disciplina degli enti locali per quanto riguarda la limitazione della loro capacità di poter operare congiuntamente attraverso consorzi e strutture di questo tipo.
Ho vicino a me il sindaco di Corleone e conosco l'esperienza di Consorzio sviluppo e legalità. Ci sono altre esperienze consortili in merito alla gestione dei beni confiscati alle mafie, che hanno dato uno straordinario contributo aggiunto e una grande capacità di lavorare, al di là dell'esperienza del sindaco e dell'assessore che si impegnano.
La capacità degli enti locali di poter costruire consorzi per quanto riguarda la disciplina di settore degli enti locali viene, però, fortemente limitata e condizionata. Sarebbe importante per noi che si tenesse conto anche più in generale della normativa che sta intorno agli enti locali, perché talvolta con una normativa generale che riguarda la vita degli enti locali si possono inficiare alcune buone azioni che vengono realizzate sui territori.
Procedo velocemente alla conclusione con due battute. È già stata toccata e sollecitata la questione dell'articolo 416-ter e della necessità che venga ampliato non solo alla dazione di denaro, ma anche allo scambio. Noi su questo tema siamo particolarmente d'accordo e vorremmo anche che ci fosse un maggior coraggio da parte del legislatore sull'individuazione di nuove e più severe norme rispetto all'incandidabilità e all'ineleggibilità dei rappresentanti istituzionali a tutti i livelli, ma soprattutto al livello degli enti locali, che sono quelli che subiscono maggiormente la pressione.
Noi sosterremo qualsiasi azione, anche la più coraggiosa, per andare oltre il mero codice di autoregolamentazione delle forze politiche fino ad arrivare ad alcune norme vere e proprie che limitino la partecipazione di singoli cittadini che sono sottoposti o a misure di prevenzione o a misure più pesanti nella loro qualifica di rappresentanti istituzionali. Pensiamo, e l'abbiamo già scritto anche in un documento, che debbano essere previste anche sanzioni sotto il profilo amministrativo, per esempio nei termini di rimborso delle spese elettorali, ai partiti che non rispettano il codice di autoregolamentazione.
Da questo punto di vista guardiamo con un po' di preoccupazione a ciò che è contenuto nel disegno di legge anticorruzione licenziato dal Senato, se non vado errato, che, se non abbiamo capito male, delega la questione al Governo.
Noi vorremmo che questo tema fosse oggetto di un dibattito e di un confronto in sede parlamentare, che vedesse il coinvolgimento


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anche da parte degli enti locali. In generale noi pensiamo che il testo sul contrasto alla corruzione che è stato licenziato dal Senato e che noi riteniamo non sufficiente, anche se non è all'oggetto, dovrebbe entrare a far parte del Codice antimafia. Alla fine, se si parla delle misure di prevenzione dell'infiltrazione della criminalità organizzata nell'azione della pubblica amministrazione, per quanto ci riguarda come associazione il tema della corruzione, della concussione e di tutte le figure di reato che, come sappiamo tutti, consentono il patto tra mafia, politica e mondo degli affari, dovrebbe a pieno titolo far parte del Codice antimafia. Grazie dell'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie a tutti. Non so se, dopo questa approfonditissima ed estesa relazione da parte dei diversi gruppi, residuino alcuni dubbi. Faccio presente che sono stati consegnati alcuni documenti che sono a vostra disposizione e che saranno ovviamente distribuiti in fotocopia, compreso quello del prof. Fiandaca.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

DONATELLA FERRANTI. Anche noi siamo in fase di approfondimento. Oggi sono stati svolti interventi molto dettagliati. Devo ringraziarvi, perché avete affrontato in modo coordinato le diverse problematiche poste da questo testo.
Noi abbiamo tempi stretti, anche in vista del termine per l'esercizio della delega, che scade ad agosto, e a me interessa soltanto avere un chiarimento. Abbiamo capito gli aspetti fondamentali che dobbiamo assolutamente correggere. Avevamo chiesto anche la presenza del Governo in fase di audizioni, ma purtroppo ciò non è accaduto. Confidiamo, però, in ogni caso anche nell'attività della relatrice, affinché ci possa essere un'interlocuzione effettiva con il Governo. Noi esprimeremo un parere, che sarà sicuramente sottoposto a condizioni, ma che in ogni caso auspichiamo che sia recepito, altrimenti i vostri contributi non avrebbero un esito.
Avrei bisogno di alcune delucidazioni in più per la parte che ha trattato il dottor Pati, quando ha fatto riferimento alla destinazione dei beni e, in particolare, alla questione che riguarda l'affitto e la destinazione dei proventi. Volevo un chiarimento ulteriore rispetto al suggerimento che voi esprimete sotto questo profilo.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Per pura coincidenza volevo anch'io chiarimenti sulla stessa questione. Innanzitutto ringrazio per il taglio estremamente pratico delle relazioni, che poi è quello che interessa per capire le sensibilità che avete portato in questa Commissione. Mi chiedevo, però, se su 1.400 aziende dal 1982 a oggi solo dieci sono state affittate, le altre in che condizioni sono?
Passo a un secondo dato. Tutti più o meno hanno esposto dubbi sull'opportunità di vendere. Il motivo immagino che sia perché i beni sono riacquistati attraverso prestanomi dalle stesse persone, che poi attuano nuovamente le stesse attività.
Il dubbio che avevo già espresso in precedenza è quale sia l'alternativa. Si concedono questi beni a un ente territoriale, ma gli stessi soggetti, per altro verso, recuperano l'utilizzo di questi beni. Non avviene poi, come hanno peraltro sottolineato alcuni episodi di cronaca, che gli stessi personaggi, essendo di fatto molto forti, mentre le associazioni son più deboli o facilmente infiltrabili, rientrano in scena e non si riesce comunque a ottenere un risultato?
Il dubbio è questo e lo pongo a voi, che avete una conoscenza più diretta del territorio: in merito alla vendita, è vero che un bene può essere acquistato con un prestanome dai medesimi soggetti, però un domani potrebbe essere di nuovo confiscato. Nel frattempo, però, si ottiene un risultato immediato, una liquidità che può essere subito trasferita ai territori, mentre l'altro è un percorso che va garantito nel tempo. Vorrei capire se l'alternativa sia agevolmente praticabile.
Ancora, mi esprimo sull'albo dei commissari e sulla loro formazione. È un problema di incapacità ad assumere questo


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particolare ruolo da parte delle persone che finora l'hanno svolto o che si apprestano a farlo, oppure di oggettiva difficoltà, perché, quando si va su quei territori, che, come è stato giustamente osservato, non sono più limitati alla parte del Sud d'Italia, ma spaziano in tutto il Paese e anche all'estero, è impossibile operare? È un problema di formazione o proprio di oggettiva impossibilità di operare in quelle zone, indipendentemente dalle capacità?
Concludo con l'ultimo punto. Può essere ipotizzabile una task force temporanea di soggetti che vengano proprio da fuori a gestire e che, quindi, siano meno inclini a condizionamenti di tipo politico e anche a intimidazioni? Immagino una task force di persone capaci di gestire l'azienda agricola, che temporaneamente operino per un periodo congruo, in modo da essere più facilmente immuni da eventuali condizionamenti. Vorrei il vostro parere di esperti. Grazie.

LAURA GARAVINI. Mi astengo dallo svolgere un intervento che, invece, sarebbe automatico svolgere dopo gli autorevoli interventi degli auditi, che ringrazio anche per i dettagliati contributi che ci hanno portato.
Volevo un'ulteriore loro valutazione su aspetti che evidentemente hanno ritenuto meno prioritari rispetto a quelli che ci hanno sottolineato. Li ringrazio per questa prima esposizione, ma, partendo dal presupposto che il testo che ci viene proposto non va a trattare elementi chiave, come, per esempio, una norma di riferimento generale sui testimoni di giustizia oppure sulla questione delle intercettazioni oppure ancora su aspetti tecnici come quello della videoconferenza, che effetti potrebbe avere ciò dal punto di vista meramente operativo?

PRESIDENTE. Le risposte ovviamente devono essere contenute in una sintesi. Do la parola agli auditi per la replica.

ANTONIO BALSAMO, Magistrato della Corte di cassazione e componente della Fondazione Rocco Chinnici. Forse posso rispondere all'ultima domanda dell'onorevole Garavini. Come è stato rilevato dal presidente del Centro Pio La Torre, la prima parte del Codice antimafia consiste in buona sostanza nel prelievo o nella duplicazione di determinate norme tratte da altri codici e nel loro inserimento nel nuovo testo normativo.
Da un lato, quindi, non avviene ciò che avrebbe potuto avvenire, perché uno degli obiettivi del codice era quello dell'armonizzazione della normativa sul piano sia interno, sia internazionale, il che sicuramente resta in larga misura inattuato, e, dall'altro, sussiste sempre il rischio che, togliendo la norma da un contesto, si producano effetti non prevedibili in un primo momento, ma che poi sul piano interpretativo predeterminano conseguenze preoccupanti.
Personalmente sono convinto, per esempio, che questa potesse essere l'occasione per una specificazione della disciplina della collaborazione con la giustizia in riferimento alle vicende patrimoniali. È una questione che molti magistrati avvertono. La domanda è se debbano esserci incentivi alla collaborazione con la giustizia che passino anche attraverso la valorizzazione del contributo dato alla decifrazione dei rapporti tra criminalità organizzata ed economia.
Su questo punto io credo che ci sia molto da costruire e che il Codice antimafia potesse essere, proprio perché si occupa principalmente di questo aspetto, l'occasione per verificare la possibilità di introdurre nuove norme sulla collaborazione con la giustizia che ci potessero far comprendere meglio questa realtà, che - stiamo attenti - molto spesso sfugge al quadro della deposizione tipica del collaborante. Esso è focalizzato normalmente sugli aspetti più eclatanti di criminalità, per intenderci i fatti di sangue, mentre questo complesso intreccio di interessi leciti e illeciti non sempre emerge nelle collaborazioni. Probabilmente da questo punto di vista era un'occasione importante, che avrebbe potuto essere valorizzata.


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Allo stato, nelle norme che vengono introdotte non vedo una specifica portata pregiudizievole, ma noto molte parti mancanti nel Codice antimafia e soprattutto credo che siano indispensabili alcuni interventi correttivi. Proprio questo sganciamento dal contesto più generale di determinate disposizioni determina la necessità di introdurre alcune norme di coordinamento.
Una, cui avevo già accennato, è quella che riguarda la fase istruttoria nel procedimento di prevenzione. Probabilmente si proporrà una questione analoga con riferimento alla confisca penale, di cui singole parti vengono riprese e inserite nel libro I, che mantiene, quindi, anche per questo motivo, una sua problematicità.

VITO LUCIO LO MONACO, Presidente del Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre onlus. Volevo rispondere a una richiesta di chiarimento a proposito dei beni confiscati. Si chiedeva, nel caso in cui venissero destinati alla vendita, quale sarebbe l'effetto. Naturalmente il pericolo è che tornino nelle mani dei mafiosi attraverso prestanome. Sarebbe difficile accertarlo, però, se non dopo lunghissimi riscontri.
Noi proponiamo, in sintonia con l'insieme del movimento antimafia, che i capitali confiscati siano destinati esclusivamente al recupero dei beni confiscati e alla dotazione di capitale agli enti gestori dei beni confiscati, siano essi enti pubblici o cooperative sociali.
Il nostro è un Paese gravato da debiti enormi, ma credo che non si risolva il problema del debito pubblico introducendo i soldi in un fondo generale, un pentolone generale del Ministero dell'economia e delle finanze, che contribuisce a risolvere altre questioni, ma non credo che avrà decurtato il debito pubblico di questo Paese. Invece, il segnale che i beni siano restituiti ai territori e agli enti gestori a cui vengono assegnati credo sia un elemento non solo simbolico, ma anche concreto di efficacia antimafia.
Il terzo aspetto è quello di mantenere le intercettazioni e di maneggiarle con cura, perché il contrario non ne favorisce l'uso. Oggi da recenti vicende giudiziarie si vede che i soggetti indagati usano Skype e posta elettronica segretata attraverso password che conoscono soltanto loro. Se non ci fossero le intercettazioni, come si potrebbero scoprire, con i tradizionali mezzi, le comunicazioni tra i gruppi di mafia e i loro sodali istituzionali e politici?

GIOVANNI CHINNICI, Coordinatore del comitato di studi della Fondazione Rocco Chinnici. Per quanto riguarda la vendita degli immobili confiscati, esprimo una mia opinione personale, basata più sulle mie esperienze professionali che non sulle attività legate alla fondazione.
Io non sono contrario alla vendita dei beni confiscati, per due ordini di ragioni: talvolta si tratta di beni che non è possibile destinare a scopi socialmente utili o la cui destinazione a tali scopi risulta antieconomica.
Porto un esempio concreto su un enorme complesso immobiliare costituito da immobili di tipo residenziale. Alcuni sono stati dati come alloggi per le forze dell'ordine, ma molti altri, poiché non era possibile destinarli, sono rimasti a invecchiare e a deperire, con eventuali costi necessari per la loro manutenzione.
Potrebbe essere estremamente opportuno inserire meccanismi di preselezione dei possibili acquirenti, meccanismi che si potrebbero immaginare come una preventiva iscrizione a una sorta di albo di soggetti che presentano una documentazione relativa ai loro redditi e alla loro situazione patrimoniale, con la quale sono tenuti a giustificare preventivamente i proventi attraverso i quali acquisiscono l'immobile. Ciò forse consentirebbe di effettuare una selezione preventiva degli offerenti e, quindi, di evitare che si tratti di prestanome, di soggetti che rientrano in possesso dei beni confiscati ai privati. Indubbiamente sarebbe da immaginare.
Per quanto riguarda la formazione degli amministratori giudiziari, in realtà non ero stato io a parlare di questo tema, però effettivamente, pensando soprattutto all'impostazione liquidatoria data dallo


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schema di decreto legislativo, sembra di essere più di fronte a curatori fallimentari con un orientamento alla liquidazione del patrimonio che non ad amministratori che devono, invece, avere caratteristiche più che altro di tipo imprenditoriale.
A me è capitato spesso di parlare con amministratori giudiziari e ho visto che il più delle volte si tratta di avvocati o di dottori commercialisti. Molti di loro, quelli che hanno iniziato tanti anni fa a svolgere questa attività, hanno sviluppato nel tempo anche capacità imprenditoriali, mentre altri no, perché magari hanno avuto meno occasioni di cimentarsi su questi temi.
In un'impostazione, secondo me auspicabile, di mantenimento dell'azienda sarebbe indubbiamente importante anche investire in una formazione degli amministratori giudiziari con un contenuto di tipo imprenditoriale.

DAVIDE PATI, Rappresentante legale di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Su 1.400 aziende confiscate alle organizzazioni criminali circa 1.000 sono chiuse, liquidate, fallite, circa 300 sono ancora in gestione all'Agenzia, mentre le altre 100 sono state vendute o affittate a titolo oneroso o gratuito, con le note che avevo citato prima rispetto all'affitto a titolo gratuito.
La previsione di destinare le somme delle liquidità confiscate ai mafiosi e i proventi che derivano dall'utilizzo di quei beni per rendere effettiva la gestione delle aziende e per ristrutturare e riconvertire i beni immobili confiscati è una priorità che Libera consegna a questa commissione.
Rispetto alla vendita, come Libera, insieme a tante associazioni noi ci opponemmo, un anno e mezzo fa circa, alla previsione di vendita incondizionata di beni immobili confiscati prevista dalla legge finanziaria del 2010. La legge che ha introdotto l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ha posto poi alcuni paletti significativi, che riducono fortemente la possibilità che i mafiosi possano entrare, anche per interposta persona, in possesso di quei beni confiscati.
La delusione di un'aspettativa che in noi era nata con l'approvazione all'unanimità della legge delega sicuramente nasce anche dal fatto che nel Codice antimafia, e non solo in tale testo, non si tiene conto di tutta una riforma complessiva della normativa antimafia nel nostro Paese, come ricordava l'onorevole Garavini, soprattutto quella in tema di testimoni di giustizia.
Quella che il Parlamento ha adesso è un'occasione unica di rendere più organica e forte e di potenziare la legge Rognoni-La Torre, nonché di diventare un esempio, ancor di più per gli altri Paesi a livello non solo europeo, ma anche mondiale, nella lotta alla mafia.

ANTONINO IANNAZZO, Vicepresidente di Avviso pubblico - Enti locali per la formazione civile contro le mafie. Noi, come esperienza personale, ribadiamo ancora una volta il no alla vendita dei beni confiscati. Il percorso della riconfisca non ci convince in ordine a due passaggi.
Il primo è rappresentato dai tempi che occorrono per la riconfisca del bene, che deve passare da un sequestro alla confisca e poi all'assegnazione. Noi abbiamo sul nostro territorio un esempio classico, la Cantina Kaggio. Sono 21 anni che stiamo dietro alla questione e a tutt'oggi non siamo riusciti a darle una collocazione e una funzionalità.
È possibile che ci siano infiltrazioni nell'assegnazione dei beni confiscati, ma l'esperienza che abbiamo svolto con il Consorzio sviluppo e legalità nell'Alto Belice - Corleonese ha dimostrato che un fortissimo raccordo con le prefetture e con gli organi di polizia del territorio può tranquillamente arginare e, quando c'è, eliminare il tentativo di infiltrazione.
Abbiamo avuto esempi proprio diretti di familiari o di mafiosi veri e propri che abitavano questi beni e li abbiamo fatti uscire. Col metodo più corretto che una pubblica amministrazione deve seguire abbiamo fatto uscire i fratelli di Provenzano da Vicolo Colletto e vi abbiamo realizzato


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il Laboratorio della legalità. Se l'ha fatto il comune di Corleone, lo può certamente fare qualsiasi altro comune d'Italia.
Sulla vendita molti di questi beni hanno una vocazione tale che non sarebbero nemmeno appetibili sul mercato. Un appezzamento di terreno in un agro di Corleone, che difficilmente può avere una vocazione, se non quella agricola, da chi può essere comprato, se non dal prestanome di un mafioso?
Sulle aziende il problema è ancora più complicato, perché, oltre a investire l'aspetto della patrimonialità dell'azienda, investe anche i lavoratori dell'azienda. Dobbiamo sconfiggere l'idea che la mafia dà loro il lavoro e lo Stato lo leva.
Per concludere, io credo che sia un elemento importantissimo il fatto che la Camera dei deputati e il Parlamento nel loro complesso discutano di questo aspetto, ma voglio aggiungere un passaggio a quanto ha affermato il presidente Campinoti, che condivido su tutto, in merito agli appalti pubblici e alle white list.
Purtroppo, come sindaco, mi è capitato di dover rescindere i contratti in danno per le infiltrazioni mafiose dopo la stipula dei contratti stessi. Non è affatto piacevole vedere una comunità martoriata dalla mafia una prima volta e successivamente una seconda perché viene bloccata la realizzazione dell'opera pubblica, dal momento che i mafiosi condizionano la realizzazione dell'opera.
Un'idea che abbiamo avuto è stata quella di richiedere alle imprese che dovessero essere giudicate organiche o infiltrate successivamente all'aggiudicazione dei lavori, anche sotto soglia - applichiamo un protocollo che si chiama Carlo Alberto Dalla Chiesa, a prescindere dai tipi di lavoro - una garanzia perché restituiscano questi soldi alla comunità.
Bloccare un'opera pubblica con un'infiltrazione mafiosa, come ci è capitato, e andare a riappaltare nuovamente l'opera con prezziari che si aggiornano, con spese di aggiudicazione e con uno strascico di carattere giudiziario - non di rado ci vediamo condannati sulla scorta di informazioni della prefettura, che poi in sede giudiziaria e soprattutto civile non vengono riscontrate - non dovrebbe accadere.
Credo che sia anche questo il luogo dove poter inserire una disposizione, ove possibile, che pensi anche alla realizzazione dell'opera. Riconfiscare un bene equivale a realizzare per la seconda volta una stessa strada. È come se lo Stato realizzasse una prima strada male e la dovesse rifare di nuovo. Se una strada deve essere realizzata e spendiamo risorse pubbliche, spendiamole bene sin dall'inizio e realizziamola bene sin dall'inizio, perché andarla a riconfiscare costa anche denari in termini di attività giudiziaria e di polizia, nonché di attività amministrativa nella gestione del bene stesso.

PRESIDENTE. Grazie a tutti. Siete stati molto puntuali. Abbiamo esteso i tempi rispetto all'orario previsto, ma l'argomento e l'efficacia delle vostre relazioni lo meritavano. A nome di tutta la Commissione vi porgo il mio ringraziamento e il mio saluto.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,15.

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