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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
2.
Giovedì 21 giugno 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Follegot Fulvio, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 5019 GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI DEPENALIZZAZIONE, PENE DETENTIVE NON CARCERARIE, SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA E NEI CONFRONTI DEGLI IRREPERIBILI, E DEGLI ABBINATI PROGETTI DI LEGGE C. 879 PECORELLA, C. 4824 FERRANTI, C. 92 STUCCHI, C. 2641 BERNARDINI, C. 3291-TERGOVERNO E C. 2798 BERNARDINI

Audizione del Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bologna, Giulio Illuminati, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane:

Follegot Fulvio, Presidente ... 2 5 7 13 15 17 20
Bernardini Rita (PD) ... 16
Botti Bruno, Componente della giunta dell'Unione delle Camere penali italiane ... 13 20
Busacca Angelo, Componente della giunta esecutiva centrale dell'Associazione nazionale magistrati ... 9
Canepa Anna, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 8
Ferranti Donatella (PD) ... 15
Illuminati Giulio, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bologna ... 2 19
Paolini Luca Rodolfo (LNP) ... 17 18
Sabelli Rodolfo, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 7 17 18
Tamburino Giovanni, Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 21 giugno 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FULVIO FOLLEGOT

La seduta comincia alle 14,25.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bologna, Giulio Illuminati, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del disegno di legge C. 5019 Governo, recante la delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, e degli abbinati progetti di legge C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 92 Stucchi, C. 2641 Bernardini, C. 3291-ter Governo e C. 2798 Bernardini, l'audizione del Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bologna, Giulio Illuminati, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle Camere penali italiane.
In particolare, per l'Associazione nazionale magistrati saranno auditi il dottor Rodolfo Sabelli, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, la dottoressa Anna Canepa, vicepresidente, il dottor Angelo Busacca, componente della giunta esecutiva centrale.
Per l'Unione delle Camere penali italiane è presente l'avvocato Bruno Botti, componente della giunta.
Chiedendo ai nostri ospiti di lasciare eventuale documentazione a supporto di questa audizione e ringraziandoli ancora della presenza, do la parola al professor Giulio Illuminati.

GIULIO ILLUMINATI, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bologna. Grazie, presidente. Spedirò poi un appunto con le mie osservazioni.
Mi è stato chiesto di occuparmi della sospensione del procedimento in caso di irreperibilità dell'imputato. Vorrei segnalare come questa innovazione è stata introdotta sul presupposto che l'ordinamento italiano deve mettersi in regola con le direttive che sono state impartite dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in relazione al processo in contumacia.
Tale processo, che esiste soltanto in alcuni Stati, fra cui il nostro, ha creato sempre problemi di compatibilità con l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, soprattutto in relazione all'indicazione specifica riguardante il dovere di portare l'accusato a conoscenza della natura e dei motivi dell'accusa. Nel caso di contumacia, le indicazioni che ci vengono dalla Corte europea, dicono che


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non è sufficiente una conoscenza approssimativa del procedimento, ma deve esserci una conoscenza precisa dello stesso; l'imputato deve essere posto in condizioni di partecipare e il processo, in assenza dell'imputato, può aver luogo soltanto in quanto l'imputato abbia espressamente rifiutato di partecipare o abbia rifiutato di ricevere la comunicazione o, comunque, risulti che egli era a conoscenza del procedimento.
In seguito alle indicazioni provenienti dalla Corte europea, il Parlamento ha modificato l'articolo 175 del codice di procedura penale. Vorrei segnalare che, stando alla giurisprudenza successiva, il sistema restitutorio previsto dall'articolo 175 - cioè nell'ipotesi in cui l'imputato non abbia avuto conoscenza del processo è ammesso a proporre appello anche fuori termini, una restituzione in termini - e soprattutto il meccanismo per cui non è più previsto un onere della prova a carico dell'imputato per quanto riguarda la conoscenza o non conoscenza del procedimento - è lo Stato che deve provare che l'imputato era a conoscenza del procedimento - sostanzialmente corrispondono delle indicazioni che sono state date dalla Corte europea.
Quindi, la giurisprudenza cui facciamo riferimento, almeno per quanto è a mia conoscenza, si riferisce alla situazione precedente alla modifica dell'articolo 175, avvenuta nel 2005. I casi della Corte europea che sono riportati, anche se sono successivi al 2005, in realtà si riferiscono a processi che erano precedenti alla modifica dell'articolo 175.
Da un lato, quindi, è chiaro che bisogna tener conto di queste indicazioni, ma non è al momento indispensabile intervenire sul processo in assenza, con irreperibilità dell'imputato o in contumacia, come vogliamo chiamarlo, per adeguarsi alle indicazioni che ci vengono dalla Corte europea; dall'altro lato, dovrei invece sottolineare come questa modifica - almeno nelle intenzioni, come è strutturata nell'articolo 4 del disegno di legge - abbia secondo me un obiettivo funzionale molto opportuno, cioè quello di alleggerire il carico degli uffici giudiziari, evitando di dover celebrare processi nei confronti di persone che sono irreperibili, per le quali probabilmente la condanna non verrà mai eseguita. Si processano insomma dei fantasmi, praticamente svolgendo un'attività inutile che porta ovviamente un sovraccarico per quanto riguarda gli uffici giudiziari. Mi soffermerei piuttosto su questo aspetto della questione.
Dico questo perché un'indicazione in questo senso era stata prospettata nel progetto Riccio, ossia il progetto di nuova legge delega per il codice di procedura penale elaborato dalla Commissione presieduta dal professor Riccio nella passata legislatura, su indicazione del Ministro Mastella. Il progetto Riccio non ha messo capo a niente per lo scioglimento delle Camere, ma in quell'occasione fu individuata una procedura che in qualche modo si avvicina a quella ora indicata nel disegno di legge.
Ci sono ovviamente delle differenze rilevanti. Tra l'altro, se posso parlare a titolo personale, sono molto affezionato a quelle indicazioni, perché io stesso avevo proposto una modifica di quel tenore. Tuttavia, nel momento in cui si decide di sospendere il processo se la notifica non è arrivata all'imputato (sostanzialmente è questo il punto) bisogna da un lato trovare degli strumenti che assicurino effettivamente la conoscenza della citazione, dall'altro lato è necessario evitare - è questo il punto più delicato sul quale vorrei attirare la loro attenzione - che la sospensione del processo possa tradursi in un comodo espediente per sottrarsi alla celebrazione del processo stesso, anche da parte di imputati che sarebbero magari reperibili secondo i mezzi ordinari, ma, se non si riesce ad ottenere la prova (ripeto, non basta una prova formale o puramente giuridica della avvenuta comunicazione), dovrebbero rientrare nella categoria di coloro che non possono essere processati, per cui si provvede a sospendere il processo.
Alla base del ragionamento ci deve essere prima di tutto una previsione della consegna a mani dell'atto da notificare.


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Ora, quando si parla di atto da notificare - anche questo forse è il caso di segnalare - a mio modo di vedere non si può far riferimento a qualunque atto del procedimento, cioè non basta la notifica di un qualunque atto del procedimento per avere la certezza che l'imputato sappia di doversi difendere in un processo. Dunque, questa notifica dovrebbe riguardare la citazione a giudizio o quanto meno la notifica del rinvio a giudizio per l'udienza preliminare, insomma deve essere una notificazione nella quale vengano indicati in maniera chiara e precisa, come richiede l'articolo 6 della Convenzione europea, la natura e i motivi dell'accusa, oltre ovviamente alle indicazioni concernenti la fissazione dell'udienza e via dicendo.
Dunque, si deve prevedere la consegna a mani. Dato che è piuttosto facile, in pratica, sottrarsi alla consegna a mani della notificazione, bisogna prevedere - questo, ripeto, è un punto molto delicato - anche la possibilità di una notificazione coattiva, ossia di dotare la polizia giudiziaria di strumenti coercitivi che consentano di effettuare la notificazione anche se l'imputato si sottrae alla stessa.
Come prevedeva l'articolato della Commissione Riccio, si deve prevedere anche la possibilità di un accesso forzoso in luoghi di privata dimora e di accompagnamento coattivo presso gli uffici di polizia giudiziaria semplicemente per effettuare la notificazione a mani. Certo, questo è un tema che va meditato con attenzione perché implica restrizioni della libertà personale, che potrebbero anche sembrare eccessive in relazione al tipo di atto che deve essere portato a conoscenza dell'imputato. Se consideriamo una citazione per un reato di non grande importanza, effettivamente potrebbe risultare sproporzionato un accesso forzoso a questo fine.
Naturalmente bisogna anche prevedere delle cautele particolari, ad esempio che anche questi poteri coercitivi debbano essere esercitati esclusivamente al fine di portare a conoscenza dell'imputato la notificazione, quindi senza strumentalizzazioni di vario genere, e soprattutto prevedere anche che non sia in nessun modo utilizzabile l'eventuale prova acquisita mediante l'accesso al domicilio. Dunque, questo accesso forzoso dovrebbe essere effettuato soltanto per la notificazione.
È necessario prevedere alcune deroghe alla sospensione del processo: naturalmente quando consti il rifiuto di ricevere la notificazione, quando l'imputato si sottragga volontariamente al procedimento. Anche questo è previsto dall'articolo 4 del disegno di legge governativo di cui discutiamo oggi, ma bisogna fare molta attenzione anche a questo riguardo, perché sottrarsi alla conoscenza del procedimento è un termine abbastanza ambiguo, poiché non si capisce bene a cosa si riferisce e soprattutto cos'è la conoscenza del procedimento. Ripeto, bisognerebbe precisarlo perché - a mio modo di vedere, ovviamente - la conoscenza del procedimento si realizza soltanto in quanto sia portata a conoscenza dell'imputato l'imputazione, quindi con una citazione a giudizio. Eventualmente sono pronto a discutere se questo sia necessario.
A mio avviso, non è nemmeno sufficiente, non dico la conoscenza di un atto qualsiasi del procedimento, ma anche l'esecuzione di una misura cautelare, perché, nel modo in cui è strutturato il nostro processo, può darsi benissimo che un imputato sia arrestato in flagranza, magari sia sottoposto a custodia cautelare per un breve periodo, poi proseguono le indagini preliminari per un periodo indeterminato (sei, dodici, diciotto mesi), quindi si va a giudizio, passa dell'altro tempo, e non si può immaginare che il fatto di essere stati arrestati - e magari rilasciati poco dopo - qualche anno prima implichi che l'imputato debba attivarsi per informarsi sull'andamento del procedimento. Lo ripeto, per me il punto critico è quello che riguarda la necessità di notificare la citazione o per l'udienza preliminare o per il dibattimento.
Ci sarebbero alcuni aspetti di dettaglio che riguardano l'articolo 4, ma so di avere poco tempo. Vorrei, invece, segnalare un aspetto che è rimasto in ombra, non solo nell'articolo 4, ma anche nell'articolo 3 (quest'ultimo concernente l'irrilevanza del


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fatto e quindi l'applicazione della probation, la messa alla prova). In nessuno di questi casi si prevede la sospensione del processo, ma non si prevede, in nessun caso, il coinvolgimento della persona offesa, il che comporta una serie di conseguenze, forse più serie per quanto riguarda la messa alla prova, magari meno importanti per quanto riguarda l'irreperibilità dell'imputato, tuttavia bisogna come minimo prevedere la possibilità, per la parte civile, di proseguire in sede civile l'azione di danno, quando il processo è stato sospeso. Allo stato, nel momento in cui il processo è sospeso rimane sospesa anche l'azione civile della parte civile costituita fino alla pronuncia della sentenza irrevocabile. Questa è una questione tecnica della quale ovviamente bisognerà tener conto per evitare che sia paralizzata l'azione della parte civile che si sia già costituita, ma anche con riferimento soltanto alla vittima.
Tra l'altro, è in gestazione a livello europeo una direttiva - come loro sanno, diversamente dalla decisione quadro, che lascia libero lo Stato nell'uso dei mezzi per osservarla, la direttiva è immediatamente vincolante, è legge direttamente applicabile nel nostro ordinamento - che prevede, fra le altre cose, il diritto della persona offesa di essere sentita, il diritto di ottenere la revisione della decisione di non luogo a procedere. Ora, il concetto di non luogo a procedere, almeno a livello di Unione europea, è un concetto estremamente vago; non mi stupirei che anche una sospensione del processo potesse essere individuata come caso di non luogo a procedere.
Tuttavia, questo è un tema del quale bisognerà necessariamente farsi carico perché o sotto il profilo della persona offesa o, a maggior ragione, quando la persona offesa si sia costituita parte civile, è necessario offrire garanzie adeguate. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, professor Illuminati. Do ora la parola a Giovanni Tamburino, capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

GIOVANNI TAMBURINO, Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Buongiorno, presidente e signori commissari. Ho ricevuto questa richiesta per una ulteriore audizione relativa all'approfondimento delle ricadute applicative delle disposizioni del disegno di legge nelle materie rientranti nell'ambito di competenza del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Mi sembra che gli articoli che in qualche modo portano a questo argomento siano gli articoli 2, 3 e 5. Per quanto riguarda la depenalizzazione, ho appreso che peraltro la disposizione sarebbe stata accantonata, e comunque non mi soffermerei su questo argomento.
Circa la sospensione del procedimento con messa alla prova, faccio la premessa generale che la scelta della ricerca di soluzioni alternative al carcere è una scelta apprezzabile: apprezzabile non soltanto in relazione alla situazione critica del sovraffollamento penitenziario - tema notissimo, sul quale non mi trattengo - ma per una ragione più complessiva e di fondo che mi sembra non possa non essere condivisa, quella della disponibilità di un ventaglio di sanzioni che non riduca la risposta penale alla sola risposta carceraria. Da questo punto di vista, l'inserimento di un piano sanzionatorio più articolato e più complesso credo che non possa che essere visto con grande favore e che finisca sicuramente per dare efficienza e anche il riconoscimento di una maggiore effettività alla risposta penale.
Naturalmente questa valutazione di carattere generale, che naturalmente è strettamente soggettiva però è legata a una lunga esperienza anche giudiziaria, deve essere a mio parere accompagnata dal fatto che queste alternative debbono peraltro essere funzionanti, quindi devono avere dalla loro parte un'effettività, un'efficacia e anche una semplicità di utilizzo e di applicazione.
Detto questo e tornando al punto dell'articolo 3 relativo alla sospensione del procedimento connessa alla prova, faccio solo qualche osservazione. Mi sembra - se non erro - che manchi un coordinamento


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con la previsione della sospensione condizionale della pena, che tuttora rimane, quindi, posto che questa sospensione del procedimento può essere concessa due volte, così come la sospensione condizionale della pena, potrebbe forse porsi un problema di coordinamento per non aversi una reiterazione, che potrebbe essere eccessiva, di benefici, in quanto se non erro, sommando i due benefici, potrebbero aversi quattro episodi di trasgressione senza alcuna risposta concreta. Questo potrebbe essere eccessivo.
Un secondo punto che vorrei segnalare è relativo al fatto che, come è stato già detto, la persona offesa sembra rimanere completamente estranea. Osservo che in realtà la lettera c) del comma 1, laddove prevede in che cosa consiste la messa alla prova (prestazione di lavoro di pubblica utilità, osservanza di eventuali prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con la struttura sanitaria eccetera), richiama l'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato, però con una «o», ossia con un'alternativa che a mio parere potrebbe forse essere sostituita da una «e», per dire che questa previsione potrebbe essere stabile, fisiologica, come avviene per la previsione dell'articolo 47, comma 7, dell'ordinamento penitenziario, dove l'affidamento è obbligatoriamente accompagnato da una prescrizione inerente a un'attività riparatoria. Questo potrebbe anche, almeno in parte, rispondere a questa carenza di interesse, almeno apparente, nei confronti della persona offesa.
Un altro profilo che mi sembra potrebbe essere preso in considerazione è che nulla si prevede in ordine all'esecuzione di questo provvedimento, laddove, essendo a richiesta dell'interessato, si potrebbe prevedere, senza rottura rispetto alla nota previsione costituzionale, anche un'esecuzione immediata, che potrebbe avere dei vantaggi non irrilevanti rispetto sia ai profili dell'effettività ai quali accennavo, sia all'efficacia rieducativa - che non va mai dimenticata - della misura, proprio perché più prontamente e immediatamente applicata.
Un altro profilo che intendo segnalare - ma può essere semplicemente frutto di una mia cattiva lettura, e in tal caso me ne scuserei - è che si prevede che la durata del lavoro di pubblica utilità sia non inferiore a dieci giorni. Peraltro, se non vedo male, non vi è un'indicazione di limite superiore. Ora, non comprendo se questo voglia dire che il limite superiore è correlato alla pena; se il limite superiore fosse correlato alla pena, e quindi posto che la pena è «sospendibile» (dico così impropriamente) fino a quattro anni, significherebbe che il limite superiore, se abbiamo che ogni giorno di pena detentiva è equiparato a cinque giorni di messa alla prova, sarebbe di venti anni. Credo che ciò dimostri che l'interpretazione che sto dando è sicuramente sbagliata, però non vedo, per la verità, un segnale preciso che indichi l'erroneità di questa lettura. Come ho detto, non vedo l'indicazione di un limite superiore.
La lettera g), laddove parla di «grave o reiterata trasgressione», forse pone dei limiti un po' eccessivi alla valutazione della trasgressione, come indicano gli aggettivi «grave» e «reiterata».
La revoca è possibile se il reato è commesso durante la messa alla prova, mentre non è prevista per la commissione di un reato successivo al termine della messa alla prova.
Per quanto riguarda le pene detentive non carcerarie, mi limito a due brevi osservazioni. La prima è che la lettera a) esclude la possibilità di applicazione della reclusione presso l'abitazione o altro luogo di privata dimora per l'articolo 612-bis, relativo agli atti persecutori, allo stalking, e può essere ragionevole, però mi sembra che possano esservi altri reati altrettanto controindicativi. Questa è una singolarità che mi permetto di sottolineare.
Infine, per quanto riguarda la lettera c), se si vuole che vi sia un'utilizzazione dei mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, forse potrebbe ricostruirsi la norma, quando verrà elaborata, nel senso che il giudice prescriva particolari modalità di controllo «salvo che», quindi potrebbe essere costruita in modo contrario, con


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una previsione ordinaria di applicazione di questi sistemi di controllo, salvo che il giudice decida diversamente. Questo sarebbe già idoneo a determinare degli effetti diversi da quelli che abbiamo riscontrato, comunque li si valuti, in relazione all'attuale previsione, che pure c'è ma è rimasta soltanto sulla carta. Volendosi utilizzare questi sistemi di controllo, che in altri Paesi vengono utilizzati con una certa ampiezza e con certi risultati, si potrebbe formulare la norma con quest'altra modalità.
Concludo ribadendo che, a mio parere, il disegno di legge è fortemente positivo, soprattutto per quanto riguarda la previsione di sanzioni diverse dalla detenzione, quindi con riferimento all'articolo 5, sebbene, con riferimento alla previsione di una reclusione presso l'abitazione fino a quattro anni, l'esperienza che abbiamo - non tanto come Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che in sostanza attualmente è estraneo all'esecuzione della detenzione domiciliare, ma come magistratura di sorveglianza - mostri che è molto faticoso nella pratica realizzare una detenzione domiciliare che superi la lunghezza di pochi mesi. Addirittura in questo caso si arriverebbe a quattro anni.

PRESIDENTE. La ringrazio del suo contributo.
Do la parola al presidente e agli altri rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.

RODOLFO SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. L'Associazione nazionale magistrati è stata invitata a fornire il parere in merito a diversi disegni di legge; alcuni riguardano istituti di diritto sostanziale, altri istituti di diritto processuale.
Vorrei fare una premessa di ordine metodologico generale. Tutte queste riforme, che tocchino profili di natura sostanziale, come le depenalizzazioni, o che tocchino soltanto istituti di diritto processuale, in realtà non sono a costo zero perché comunque ribaltano un onere o su un'autorità amministrativa in luogo dell'autorità giudiziaria, ove si tratti di depenalizzazione, o comunque su un'autorità giudiziaria diversa, eventualmente il giudice della cognizione piuttosto che il giudice dell'esecuzione o per meglio dire la magistratura di sorveglianza. Dico questo non per esprimere un pregiudizio, ma solo perché credo sia corretto tenerne conto nel momento in cui si opera una scelta non indifferente sul piano dei costi.
Io intervengo anzitutto in merito alla riforma del processo contumaciale. L'Associazione nazionale magistrati condivide sostanzialmente le osservazioni che sono state già svolte dal professor Illuminati, in particolare il fatto che questa riforma mira anzitutto a un duplice apprezzabile obiettivo.
Da un lato, come è noto, vi è la necessità di adeguarsi alla previsione della CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), in particolare dell'articolo 6, che solleva un problema che anche nella pratica è vissuto (si pensi solo al caso della richiesta di estradizione avanzata sulla base di una sentenza contumaciale).
La seconda finalità, anch'essa apprezzabile, è quella deflattiva, per evitare - come è stato già osservato - di celebrare processi inutili che producono sentenze altrettanto inutili a carico di irreperibili, quindi sentenze che non saranno di fatto mai eseguite.
Il parere, in linea generale, è sicuramente positivo. Si tratta di uno strumento che risponde a entrambe le esigenze. Tuttavia, vogliamo individuare alcune criticità. In particolare, la principale criticità riguarda le modalità di notifica. La sospensione del processo contumaciale non deve diventare, ovviamente, uno strumento in mano ai più furbi che possono approfittarne per sottrarsi alla celebrazione del processo a loro carico. Come è noto, l'istituto della notifica è stato interessato da diversi interventi di modifica. Ad esempio, uno di quelli che ha più inciso nella pratica è stata la limitazione del ricorso alla polizia giudiziaria: oggi l'autorità giudiziaria può ricorrere alle notifiche a mezzo della polizia giudiziaria solo in


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alcuni casi, tassativamente determinati. La regola generale è il ricorso all'ufficiale giudiziario, che a sua volta può avvalersi del mezzo della posta ordinaria, con le modalità note. Questo, ovviamente, se unito a questo istituto della sospensione del processo contumaciale, può sollevare evidentemente dei problemi, perché se lo scopo è quello di garantire l'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato, allora non sarà più adeguato un sistema di notifiche che limiti il ricorso alla polizia giudiziaria o che consenta agli ufficiali giudiziari di avvalersi della posta.
Un altro intervento rilevante in materia di notifiche è stato quello che ha previsto la notifica a mani del difensore di fiducia che non vi abbia rinunciato. Bisogna comprendere se e in che modo questa modalità di notifica sia compatibile con questo nuovo istituto della sospensione del processo contumaciale e sarebbe allora auspicabile un intervento che, ad esempio, condizioni l'efficacia della nomina del difensore all'indicazione specifica del procedimento, quindi del numero di procedimento penale, e magari l'integrazione della nomina del difensore con l'indicazione della consapevolezza delle conseguenze in caso di mancata notifica al domicilio dichiarato o eletto. Insomma, parlo di una serie di arricchimenti della nomina difensiva tali da aumentare la consapevolezza, e quindi la certezza anche agli atti processuali della consapevolezza dell'imputato in ordine all'esatto procedimento e alle conseguenze dell'inutilità o inefficacia dell'elezione o dichiarazione di domicilio.
La nuova norma prevede che alla sospensione del dibattimento consegua anche la sospensione del termine di prescrizione, per un periodo pari al termine massimo previsto per la prescrizione del reato per cui si procede. Ora, mi pare che vi sia una disarmonia nell'uso terminologico, perché in un caso si parla di sospensione del processo, in particolare al comma 1 della lettera b) dell'articolo 4, mentre in altro caso il comma 1, lettera f) parla di sospensione del dibattimento, che evidentemente è previsione più limitata e più specifica rispetto alla previsione dal riferimento al processo, che comprende, come è noto, anche la fase dell'udienza preliminare.
Infine, sarebbe forse opportuno prevedere - come in casi analoghi è già previsto dal codice di procedura penale - la possibilità di compiere atti urgenti, ove se ne ravvisi la necessità assoluta, anche durante il periodo di sospensione del processo, onde evitare di pregiudicare l'acquisizione di prove necessarie e indifferibili.
Sugli altri temi cederei la parola alla vicepresidente, Anna Canepa, e poi al collega Angelo Busacca.

ANNA CANEPA, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati. Visto che, a prescindere da quello che accadrà in ordine agli stralci, gradite un parere in ordine ad alcune proposte di depenalizzazione, comincio a offrire alcune osservazioni fatte dall'Associazione nazionale magistrati in ordine alla proposta di legge C. 2641, che riguarda la depenalizzazione della coltivazione domestica di piante da cui possono essere estratte sostanze stupefacenti. Una prima osservazione è data dal fatto che certamente questa proposta, se andrà a buon fine, offrirà il destro a contrasti interpretativi e giurisprudenziali sui concetti espressi dalla norma: mi riferisco in particolare alla coltivazione con o senza caratteristiche tecnico-agrarie o imprenditoriali.
A parere dell'Associazione sarebbe meglio, piuttosto che cristallizzarla in una norma, rimettere questa interpretazione, che comunque sarà controversa, a elaborazioni giurisprudenziali che in materia di sostanze stupefacenti molto spesso hanno addirittura precorso quelle che sono le innovazioni legislative. Riteniamo che le interpretazioni della Corte di cassazione in materia si rivelino strumenti, dal punto di vista ermeneutico, molto adeguati. Sottolineiamo che il risultato che chi fa questa proposta si prefigge potrà essere adeguatamente raggiunto anche attraverso la previsione dell'applicabilità dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, con riferimento alle ipotesi di coltivazione. Di fatto, quindi, si


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consentirà al giudice di apprezzare in concreto quali saranno le caratteristiche della coltivazione, la quantità e qualità dello stupefacente ricavabile, le condizioni soggettive di chi pone in essere la coltivazione e anche lo stato di eventuale tossicodipendenza del coltivatore. Si eviterà, per contro, di creare situazioni di impunità per coltivazioni che, di fatto, anche se non proprio imprenditoriali o con caratteristiche tecnico-agrarie, sfuggono in concreto all'ipotesi di destinazione all'uso personale.
Per quanto riguarda l'ulteriore proposta di legge riferita agli illeciti penali in materia di caccia, partiamo certamente dalla considerazione che forse vi è stata un'eccessiva criminalizzazione dei reati in materia di caccia che, tra l'altro, in genere, sono i primi ad essere falcidiati dalla prescrizione. Peraltro, dobbiamo anche sottolineare che comunque le norme adottate vanno a proteggere l'ambiente; l'aggressione all'ambiente è sicuramente un disvalore.
Riteniamo che vi siano illeciti, quelli ovviamente di maggior gravità, che meritano il mantenimento della sanzione penale: mi riferisco a quelli previsti dall'attuale articolo 30, lettere a) e b), con riferimento in particolare agli animali compresi nell'elenco delle specie protette di cui all'articolo 2, e certamente di quelli di cui all'attuale lettera c).
Per quanto riguarda, invece, le restanti ipotesi, riteniamo che la sanzione amministrativa possa essere certamente uno strumento adeguato di repressione e di controllo, ma necessariamente sottolineiamo che le entità delle sanzioni dovrebbero essere riviste nel senso di una maggiore adeguatezza, prevedendo sanzioni maggiormente afflittive rispetto a quelle che sono indicate nella proposta che stiamo esaminando.
Ricordiamo infatti che, secondo l'articolo 135 del codice penale, l'attuale criterio di ragguaglio dei giorni di pena detentiva in pena pecuniaria è pari a 250 euro; questo parametro deve essere ben tenuto presente quando vi è la previsione di sostituire all'arresto sanzioni amministrative, che già di per sé sono necessariamente meno afflittive in relazione ovviamente all'arresto. Si auspica dunque che vi siano sanzioni pecuniarie più rilevanti.
Facciamo ancora rilevare che la disciplina delle pene e sanzioni accessorie di cui all'articolo 32 della legge n. 157 del 1992 dovrà necessariamente essere rivista in modo adeguato, prevedendo quale presupposto non solo più l'irrogazione di una sanzione penale ma anche l'irrogazione della sanzione amministrativa.
La proposta che è formulata a riguardo risulta irrogare sanzioni amministrative che sono più lievi delle attuali anche per violazioni più gravi, mentre sottolineiamo che nessuna sanzione accessoria, a differenza dell'attuale assetto, è prevista per le restanti violazioni.
Facciamo peraltro anche evidenziare, siccome l'ottica è quella della deflazione - ne abbiamo parlato fino ad ora - che il beneficio per il sistema penale e la deflazione sui carichi degli uffici giudiziari in questa materia, a fronte delle statistiche, non ha numeri significativi.
In sintesi, non siamo per una generalizzata depenalizzazione, ma solo per la depenalizzazione delle ipotesi meno gravi; siamo per un necessario migliore adeguamento delle sanzioni amministrative che sono previste in luogo della sanzione penale e per un'attenzione al coordinamento, nei termini che abbiamo detto, con le misure attualmente in vigore.

ANGELO BUSACCA, Componente della giunta esecutiva centrale dell'Associazione nazionale magistrati. Signor presidente, comincerei dalla delega al Governo in materia di messa alla prova, sebbene ci fosse anche un altro disegno di legge che riguardava lo stesso argomento.
La messa alla prova, in questo caso, si rifà all'articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, cioè la probation che riguarda i minorenni. Il vantaggio fondamentale - ovviamente noi, come Associazione magistrati, guardiamo sempre di buon occhio tutto ciò che può in qualche maniera deflazionare il carico di lavoro - della messa alla prova


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è che consente in buona sostanza di anticipare l'applicazione di una sorta di affidamento in prova non alla fase esecutiva, quindi dopo tutti i gradi di giudizio, ma già nella prima fase, e addirittura si potrebbe prevedere, anche con una richiesta da parte dell'indagato, in fase di indagini preliminari; ove il pubblico ministero non ritenga che vi siano particolari problemi di carattere investigativo potrebbe già concederla o esprimere un parere.
Per quello che abbiamo osservato, potremmo dire che le due proposte portano come pena edittale, per la quale poter applicare la messa alla prova, in uno quella di tre anni, nell'altro quella di quattro. Si tratta, apparentemente, di limiti di pena particolarmente buoni, anzi qualcuno ha detto che quattro anni possono essere anche tanti. In realtà, adottare questo criterio restringerebbe molto l'applicazione della messa alla prova, perché rimarrebbero fuori una serie di reati.
Noi abbiamo elencato una serie di reati commessi ad esempio da ragazzi tra i diciotto e i ventuno anni. Sappiamo che nel nostro ordinamento la sospensione della pena, per quanto riguarda l'infraventunenne, viene portata a due anni e sei mesi, quindi è una fascia di età che possiamo già individuare. Se si tiene fermo il limite dei quattro anni rimarrebbero fuori una serie di fatti: ad esempio, chi non penserebbe che il furto di un paio di scarpe al supermercato non possa rientrare nella messa alla prova? Per come è strutturata la proposta, non ci rientrerebbe, perché sarebbe un furto aggravato possibilmente dall'aver tolto la placca antitaccheggio, reato per il quale la pena va a sei anni, ma potrebbe andare anche a dieci anni. Evidentemente un caso come questo dovrebbe rientrare nella messa alla prova, poiché si tratta di reati che vengono commessi per lo più da giovanissimi in determinate condizioni.
Non deve scandalizzare eventualmente l'applicazione anche all'articolo 73, quanto meno al quinto comma, che prevede una pena da uno a sei anni e non rientrerebbe nella messa alla prova. Anche la cessione di una o due dosi, magari in un contesto amicale, al di fuori di quei casi in cui si parla, da parte della Cassazione, di acquisto in comune o altro, rimarrebbe fuori se il limite fosse quello di quattro anni.
Cito ancora altri esempi. Mi riferisco, tra gli altri, ad alcune ipotesi dell'articolo 640, capoverso: una truffa ai danni dello Stato, quando è fatta al fine della pensione o di avere un'indennità, sebbene sia punita da uno a cinque anni, rimarrebbe fuori.
Vi sono altri esempi che riguardano soprattutto i giovani: minacce e resistenza a pubblico ufficiale, nomen iuris molto importante, ma molto spesso si tratta di reati ai quali ontologicamente si applica più facilmente la messa alla prova, perché sono reati che vengono commessi in situazioni di particolare suggestione o perché sono azioni di impeto o di mera sprovvedutezza.
Un altro caso che rimarrebbe fuori sarebbe la ricettazione lieve. Possiamo considerare il caso del ciclomotore di poco valore o un caso che spesso ci occupa, purtroppo, quello della ricettazione del telefonino rubato. In tal caso, andrebbe come ricettazione lieve, di norma, ma la ricettazione lieve, nel caso del capoverso, ad esempio, tocca il minimo ma non il massimo: il massimo sarebbe otto anni quindi non rientreremmo nella messa alla prova.
Da questo punto di vista, si potrebbe pensare di mantenere i quattro anni e poi fare un'elencazione di reati che ratione materiae ci dicono che possiamo intervenire, perché il nomen iuris talora è grave, ma effettivamente se non si applica la messa alla prova non si comprende a cosa dovrebbe servire.
Quanto alla fase processuale, probabilmente si potrebbe già inserire anche in fase di indagini preliminari, perché in realtà si tratta di reati per i quali non c'è niente da fare sotto il profilo delle indagini. Potrebbe partire una proposta da parte dell'indagato per chiedere la messa alla prova, e in quel caso deciderebbe il Gip.
La fase dell'apertura del dibattimento, l'inizio dell'udienza preliminare, il termine


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del 458, sono tutti termini che vanno bene per poter chiedere la messa alla prova, cioè prima che si inizi la vera attività di giudizio, quindi prima che si incominci a impiegare tempo per fare il processo.
È problematica la parte dove si può condizionare o non condizionare la sospensione del processo al consenso della persona offesa. Il probation nel procedimento minorile funziona bene perché, nel momento in cui c'è la richiesta di rinvio a giudizio, il minore viene preso in carico dai servizi sociali, quindi si comincia una fase di ascolto del minore, di verifica di eventuale possibilità di mediazione o quant'altro. Nel processo per i maggiorenni, invece, all'improvviso la persona offesa si vedrebbe chiamata per esprimere il consenso per la messa alla prova. Non è detto che questo possa avvenire sempre e facilmente, proprio perché non è curata una fase di mediazione precedente. Probabilmente si potrebbe rendere obbligatorio sentire le parti e poi lasciare al giudice la valutazione.
Certamente si pongono dei problemi anche sotto il profilo dell'articolo 111, perché la messa alla prova, nel momento in cui viene adottata, presuppone che vi sia quanto meno un convincimento da parte del giudice che ci sia il fumus della commissione del reato e vi è un'accettazione da parte del soggetto il quale in qualche maniera deve essere chiamato a dire la sua sulla possibilità di utilizzare atti che non rientrano nel fascicolo del dibattimento, atti delle indagini. Anche a questo riguardo bisogna stare attenti a modulare bene la norma, in maniera da poter consentire al giudice di valutare la sussistenza del reato, la colpevolezza, e verificare se lo stesso disvalore del singolo reato è meritevole di questo beneficio della messa alla prova.
Ci chiedevamo se non fosse il caso, ad esempio, di fare accedere, al momento di richiesta di messa alla prova, la contestuale richiesta di giudizio abbreviato. Questo comporterebbe che, in caso di messa alla prova che dovesse andare male, l'imputato sa già, magari anche con la confessione, di avere il processo per messa alla prova senza dover andare a fare il dibattimento che porterebbe lungo tempo.
D'altra parte, si dice anche in dottrina che non si vede come si possa fare la messa alla prova che, se vogliamo vederla sotto il profilo della deflazione ha un senso, ma se vogliamo vederla anche sotto il profilo della rieducazione, è evidente che deve cominciare un percorso di rivisitazione critica del fatto, e questo potrebbe essere legato o a forme di confessione o comunque alla scelta di rendere utilizzabili gli atti delle indagini e quindi essere una remora a non interrompere il processo (l'imputato sa che poi andrà con il giudizio abbreviato e addirittura, se dovesse aver confessato, sa che la condanna è quasi certa e questo potrebbe indurlo a non interrompere il percorso).
Naturalmente l'eventuale messa alla prova dovrebbe interrompere i termini di prescrizione, altrimenti diventa il modo per far perdere altro tempo.
L'effetto principale della messa alla prova è chiaramente l'estinzione del reato. Si richiamava il problema delle sospensioni condizionali della pena una, due volte. Questo è un fatto un po' diverso perché porta a un'estinzione della pena, addirittura con un vantaggio ulteriore: un soggetto potrebbe avere una prima sospensione condizionale della pena, una seconda sospensione condizionale della pena, in astratto, e poi avere la messa alla prova. Questo è un aspetto dalla doppia faccia, perché talora la messa alla prova potrebbe essere invece molto utile per colui che magari si ritrova una recidiva e, onde evitare l'applicazione della pena in concreto, si sottopone a una messa alla prova per cercare di estinguere il reato.
Per quanto riguarda lo scomputo del presofferto, bisogna valutare: se c'è il lavoro sostitutivo forse si potrebbe considerare lo scomputo, ma se si fanno cinque giorni di lavoro per ogni giorno di reclusione i calcoli saltano. Certamente io non scomputerei, così come sembrerebbe leggersi, il periodo di messa alla prova dal presofferto, poiché diventa a questo punto troppo facile farsi un periodo di messa alla prova per poi non avere la sanzione


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detentiva. Peraltro, questo istituto dello scomputo dei giorni di messa alla prova, ad esempio, nel minorile non è previsto: la messa alla prova è a tuo rischio e pericolo; puoi aver fatto la messa alla prova per sei mesi, ma se non sei stato in grado di concluderla, pazienza, si passa al processo e quello che verrà come pena dovrai scontare.
Quanto all'attuabilità della messa alla prova nella nostra realtà, mi rifaccio a quello che è stato detto e forse verrà ripetuto: si tratta di verificare in concreto quali realtà possono consentire una messa alla prova. Ad esempio, per quanto riguarda il lavoro socialmente utile previsto nel caso di guida in stato di ebbrezza, succede che al lavoro socialmente utile gli imputati accedono perché così evitano la confisca del mezzo, ma è la legge stessa a prevedere che ci siano delle convenzioni con gli enti locali, con gli enti di assistenza e via dicendo.
Ecco, se non si interviene nel senso di consentire ai servizi sociali di crescere quanto meno in organico e di far sì che le Corti d'appello o altri enti comincino a stipulare degli accordi, diventa veramente problematico. Per paradosso, la messa alla prova potrebbe essere chiesta da soggetti che magari delinquono più facilmente in certe zone del nostro territorio, che poi sono quelle sfornite dei servizi necessari per potere fare una messa alla prova, a meno che non diciamo che un ragazzo starà presso la parrocchia a guardare i bambini e farà la messa alla prova in questa maniera. Se, però, bisogna dare qualcosa di concreto è necessario che la legge non sia a costo zero, sotto questo profilo, ma possa incentivare la creazione di servizi da poter sfruttare. Mi fermo su questo punto, perché i problemi sono tantissimi: ad esempio, ci si chiede cosa succede alla messa alla prova con la continuazione del reato, ma sono problemi che si possono affrontare sotto un profilo di normativa di dettaglio o di giurisprudenza.
Credo, signor presidente, di dover parlare brevemente della depenalizzazione. Anche in questo caso, basta andare a guardare i programmi di giunta o dell'Associazione magistrati per verificare come sia sempre stata auspicata la depenalizzazione, purché non si trattasse di una depenalizzazione a macchia di leopardo.
Così come viene concepita dalla delega governativa, sembrerebbe che si trasformano in illeciti amministrativi tutti i reati per cui sia prevista da sola la multa o l'ammenda, quindi già sono un gran numero.
Va benissimo l'esclusione dalla depenalizzazione dei reati contro la personalità dello Stato, edilizia, urbanistica eccetera. Non si vorrebbe arrivare al punto che questa depenalizzazione porti all'abrogazione di fatto dei reati. Anche in questo caso, se non si rafforzano le strutture che devono in qualche maniera intervenire ad irrogare la sanzione amministrativa, non abbiamo concluso niente, e allora tanto vale abrogarlo come illecito. Ovviamente questo non sarebbe possibile, però noi come Associazione ci sentiamo in dovere di avvisare su questo punto.
Per quanto riguarda l'elencazione dei reati che andrebbero penalizzati, mi limito ad indicare l'articolo 16, comma 9, della legge sull'usura, che sembrerebbe depenalizzare la condotta del bancario o del dipendente della banca che avvia persone a soggetti non autorizzati all'attività bancaria e di credito, perché questo molto spesso è sintomo di collusione tra l'impiegato di banca e l'usuraio, quindi potrebbe essere l'incipit di un'indagine che può essere più interessante.
Sugli affetti in concreto di questa depenalizzazione, sulla deflazione non abbiamo ancora dei conteggi o delle statistiche ben precise, come Associazione, quindi su questo potremo dire qualcosa in futuro.
Sulle pene alternative, in linea di principio l'introduzione di questa nuova pena dell'affidamento al servizio sociale fra le pene principali del codice penale consentirebbe, un po' come avviene con la messa alla prova, di distinguere quella concezione bifasica, cioè fare i gradi di giudizio per quanto riguarda il fatto storico, la colpevolezza e la pena, e poi passare al tribunale di sorveglianza per ciò che riguarda


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le formalità di esecuzione. Ora, se si potesse già dare l'affidamento ai servizi sociali in fase di giudizio di cognizione, eviteremmo anche quel passaggio dell'articolo 656 del codice di procedura penale che vede la procura prima emettere l'ordine di esecuzione, poi sospenderlo per poi poterlo eseguire nuovamente.
Occorre fare alcune annotazioni circa un quadro che risulta disomogeneo e disorganico. La nuova pena prevista, ad esempio, non sostituisce quella precedente, quasi omonima, della misura alternativa e dell'affidamento in prova al servizio sociale, che sembrerebbe comunque rimanere. Io potrei, quindi, raggiungere i due scopi o in fase di cognizione, perché ad applicare la sanzione è il giudice, o anche in fase di esecuzione.
Un altro punto che abbiamo sottolineato riguarda un momento di potenzialità. Il momento dell'applicazione della sanzione sostitutiva viene trasferito al giudice della cognizione, togliendolo al tribunale di sorveglianza. Questo potrebbe rappresentare un carico notevole per il giudice dell'esecuzione e bisognerà tenerne conto.
Il disegno di legge C. 5019 riguarda anche le pene detentive, con l'introduzione della reclusione e dell'arresto presso l'abitazione o altro luogo di privata dimora. Si potrebbero ribadire le osservazioni che abbiamo già fatto. La Giunta segnalerebbe la necessità, ad esempio, di contemplare anche per la detenzione domiciliare il reato di evasione, che altrimenti rimarrebbe impunito, in analogia a quanto previsto dall'ordinamento penitenziario.
Con il consenso del presidente, aggiungerei che tutti questi progetti di legge, se per assurdo venissero approvati contemporaneamente, sarebbero in contrasto fra di loro. Dovrebbe uscirne un testo unificato che tenga conto delle specificità di ciascuno degli istituti che si intendono introdurre.

PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Bruno Botti, componente della giunta dell'Unione delle Camere penali italiane.

BRUNO BOTTI, Componente della giunta dell'Unione delle Camere penali italiane. Ringrazio la Commissione per averci invitato a formulare un parere su una serie di disegni di legge che, in linea di principio, hanno tutti il nostro favore.
Il disegno di legge Severino, che si occupa di quattro argomenti diversi tra loro, e le altre proposte di legge, come diceva correttamente la ANM, dovranno essere coordinati. Su questo non c'è dubbio. Il nostro parere è certamente favorevole all'impianto generale e concordo con quanto detto da chi mi ha preceduto sul fatto che qualche considerazione più approfondita meriterebbe non tanto la copertura finanziaria quanto la redistribuzione dei carichi e la depenalizzazione.
Se depenalizzazione significa trasformazione in illecito amministrativo, forse andrebbe verificato, per garantire l'effettività dell'inflizione della sanzione amministrativa, che gli organi deputati a infliggere tali sanzioni siano in grado di farlo.
Sono anche molto preoccupato per i problemi relativi alla messa alla prova. Io vengo da Napoli, una condizione metropolitana, ma da questo punto di vista assolutamente disagiata, e quindi sono preoccupato che il moltiplicarsi dei casi che finirebbero all'attenzione dei servizi sociali possa mettere definitivamente in ginocchio i servizi stessi. Sono considerazioni che per certi versi non apparterrebbero all'area tecnica. Non mi prolungo, quindi, ma sono considerazioni che fra di noi abbiamo fatto.
La depenalizzazione è piuttosto timida. Non abbiamo i dati e credo che non li abbia nemmeno la ANM, ma mi pare che sia un po' di facciata. Noi siamo portatori di un disegno di depenalizzazione molto più ampio, che vada a incidere anche su alcune figure di reato e di delitto previste dal codice penale. Su questo, però, risponderemo per iscritto perché abbiamo già redatto una proposta di disegno di legge.
Il contenuto del disegno di legge governativo si può definire depenalizzazione nel senso che le contravvenzioni punite con la pena pecuniaria non vengono considerate più reato, così come alcune contravvenzioni


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punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, ma è una depenalizzazione, come ripeto, che a noi sembra veramente poca cosa. Non avrebbe alcuna incidenza sull'aspetto carcerario e probabilmente secondo noi, benché non abbiamo i dati, avrebbe scarsissima incidenza anche sotto l'aspetto deflativo.
Quanto alla sospensione del procedimento con messa alla prova, concordo pienamente con chi mi ha preceduto. Si è preso come punto di riferimento una pena edittale e noi comprendiamo la scelta perché dal punto di vista astratto è condivisibile. Questo, però, crea i problemi di cui vi parlava chi mi ha preceduto. Sarebbero occasioni perse.
In effetti rimarrebbe fuori dal procedimento il furto al supermercato perpetrato dal ragazzino, anche se maggiorenne. Abbiamo fatto gli stessi identici esempi. Anche noi abbiamo pensato al quinto comma dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, o almeno ad alcune sue modalità, per la cessione di sostanze stupefacenti.
Devo dire che rimarrebbe fuori anche l'omicidio colposo. Si aprirebbe una questione che non voglio minimamente sollevare, ma l'omicidio colposo in sé, non aggravato dalla violazione di norme di prevenzione infortuni e tanto meno aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, ma, ad esempio, per colpa professionale, credo che possa rientrare in questa fase.
Per quanto riguarda la procedura per la messa alla prova, alla lettera f) si dice che, se la prova ha avuto esito positivo, il giudice dichiara estinto il reato. Nei progetti di legge concorrenti, in uno in particolare, è prevista la sorte che avrebbero anche le altre conseguenze del reato. Per esempio, nell'ipotesi in cui abbia esito positivo la messa alla prova in caso di reato edilizio, l'estinzione del reato comporterebbe l'impossibilità per il giudice di ordinare la demolizione del manufatto e credo che su questo varrebbe la pena ragionare, così come, in caso di messa alla prova per lesione colposa stradale, che vi rientra certamente, rimarrebbe da stabilire il problema della sospensione della patente. Credo che il legislatore delegante debba farsi carico delle diverse conseguenze derivanti da una sentenza di sanzione accessoria e quant'altro.
Per quanto riguarda il problema della sospensione dei procedimenti per gli irreperibili, siamo d'accordo con la ANM, benché siamo fra quelli che ritengono che la polizia giudiziaria debba fare innanzitutto la polizia giudiziaria e non dovrebbe essere distolta dai propri compiti istituzionali. Credo, però, che per realizzare i due obiettivi di questa disposizione, cioè ottemperare definitivamente alla giurisprudenza della Corte europea sul problema della conoscenza effettiva e non formale del processo da parte dell'imputato, come ci viene chiesto con le sentenze Sejdovic c. Italia, Somogyi c. Italia e quant'altro, e produrre l'effetto deflativo, l'unica soluzione praticabile, meno farraginosa di questa, sia che la notifica della citazione, che è l'atto principe del processo penale, avvenga mani proprie e debba, quindi, essere affidata alla polizia giudiziaria.
Quella è una prova effettiva di conoscenza. Laddove non si riuscisse a raggiungere la persona, scatterebbero i meccanismi del decreto di irreperibilità, che questa proposta, se ho ben compreso, non eliderebbe. Il decreto di irreperibilità consentirebbe agevolmente al giudice di sospendere il procedimento e si eviterebbe così anche il pericolo che l'imputato, sfruttando la disposizione in argomento, si sottragga al processo.
Un'ultima considerazione riguarda la quarta parte del disegno di legge, che per certi versi è la più interessante e rivoluzionaria. Mi riferisco alla previsione secondo cui il giudice nella sentenza stabilisce una pena di natura diversa dalla pena detentiva. Per come è costruita la norma, si deve necessariamente fare riferimento alla pena edittale poiché il disegno di legge stabilisce che, per tutti i delitti puniti con reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, la reclusione deve intendersi presso l'abitazione, come pure l'arresto. In questo modo, per tutte le


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fattispecie, alla pena edittale della reclusione è sostituita la pena edittale della detenzione presso il domicilio.
Se così è, c'è poco da fare. Per come la vediamo noi, sarebbe stato molto interessante fare quello che è stato impossibile per la messa alla prova, cioè fare riferimento non alla pena edittale, ma alla pena in concreto. Sarebbe stato più interessante perché si sarebbe potuto persino stabilire un limite inferiore ai quattro anni.
Si potrebbe, infatti, abbassare il limite a tre anni purché si possa fare riferimento alla pena da irrogare in concreto. Questo secondo noi avrebbe davvero un'incidenza rilevante sotto il profilo carcerario perché il carcere in definitiva - come ripeto, non possediamo le statistiche - è destinato a ospitare soprattutto chi si macchia di determinati reati, a prescindere dalla pena avuta in concreto. Salvo naturalmente quelli contro l'immigrazione, non c'è dubbio che tutti questi reati, a cominciare dagli stupefacenti, sarebbero completamente esclusi dalla norma a causa del riferimento alla pena edittale.
Dal punto di vista dell'incidenza sul sovraffollamento carcerario, questa disposizione, che come ripeto ci pare molto interessante al di là del riferimento allo stalking, che francamente non comprendiamo, rischia purtroppo di essere vanificata. Si potrebbe pensare di rimodularla facendo riferimento non più alla pena edittale, ma alla pena in concreto, eventualmente abbassando la soglia purché vi possa rientrare una serie di fattispecie di reato. Resteranno escluse, purtroppo, le solite fattispecie con il «bollino nero», ma non è questa la sede per discuterne. Almeno si dovrebbero fare rientrare alcune altre fattispecie, a cominciare dagli stupefacenti, perché questo avrebbe grande incidenza sul problema carcerario.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per formulare domande e osservazioni.

DONATELLA FERRANTI. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti perché ci hanno fornito numerosi spunti di riflessione.
A chi ci ha chiesto come mai vi sia questa serie di disegni di legge che possono sembrare contraddittori tra loro preciso che il testo principale è il disegno di legge Severino, al quale sono state abbinate le proposte giacenti o presentate in contestuale.
Purtroppo non c'è più il presidente Tamburino. Avrei voluto porre una domanda, che forse convertirò in una richiesta specifica, relativamente all'impatto operativo che potrebbe gravare sugli Uffici per l'esecuzione penale esterna (UEPE) per quanto riguarda la prognosi o le esigenze del DAP. Mi aspettavo un'analisi più importante dal punto di vista organizzativo perché concordo sul fatto che non si tratti di modifiche a totale costo zero. È un aspetto che cercheremo di approfondire inoltrando un quesito specifico al capo del DAP.
Vorrei ritornare sulla sospensione del processo per assenza dell'imputato, anche se credo si tratti dell'irreperibilità dell'imputato. Rivolgo la mia domanda in particolare al professor Illuminati perché gli altri auditi ci hanno già dato qualche suggerimento sul punto. Penso che bisognerebbe rimeditare su tutto il sistema delle notifiche all'imputato sia ai fini della verifica delle condizioni per la sospensione del processo sia per semplificare la notifica, rendendola più agile, ma effettiva. Vorrei capire se questa potrebbe essere l'occasione per intervenire anche sulla notifica all'imputato.
Un'altra domanda riguarda la notifica alla persona convivente prevista all'articolo 4, lettera a). Su questo punto vorrei avere l'opinione del professore o di chi intenda intervenire. Il problema è come coordinare questa delega con la questione dell'elezione del domicilio da parte dell'imputato.
Ieri, tra l'altro, il professor Chiavario ha posto un quesito in riferimento all'articolo 4, manifestando il desiderio che oggi fosse riproposto come elemento di discussione. Il professore chiedeva se la procedura riferibile alla sospensione non possa


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essere ricondotta, anziché alla prima udienza dibattimentale, all'udienza preliminare. Se l'esigenza è quella di sfoltire i carichi, questa procedura potrebbe essere riportata a una fase antecedente, laddove la notifica di un provvedimento che riguarda la richiesta di rinvio a giudizio è una vera e propria contestazione d'accusa.
Personalmente, come relatore, ho preso atto di una serie di suggerimenti. Cercheremo di darvi corso anche se i tempi che abbiamo sono molto stretti. Credo che la richiesta di stralcio per la depenalizzazione espressa dal Ministro e che non abbiamo ancora formalmente adottato derivi dai risultati attesi. Avevamo chiesto una rappresentazione dell'impatto deflativo alla luce dell'impostazione data alla depenalizzazione e dal Ministero ci è stato risposto che l'impatto sarebbe pressoché insignificante. C'è un documento a riprova di questo.
Credo che alla depenalizzazione bisognerebbe dedicare una sessione apposita, ma lo valuteremo insieme alla Commissione e all'altro relatore.

RITA BERNARDINI. Vorrei intanto sottolineare la scarsa presenza dei commissari. Siamo presenti in tre su quarantasette. Quasi sicuramente Radio radicale ritrasmetterà questa audizione e giudico grave che addirittura manchino interi Gruppi rappresentati in questa Commissione.
Ritengo che i problemi della depenalizzazione e della decarcerizzazione affrontati con questo disegno di legge siano enormemente sottovalutati, come sottovalutata è la situazione che stiamo vivendo ormai da tempo. Siamo costantemente puniti in sede europea non solo per la condizione delle nostre carceri, ma anche per l'irragionevole durata dei processi. Abbiamo rilevato tutte le sentenze e siamo a trent'anni.
Dobbiamo rispondere all'Europa, ma lo stesso Governo ha ammesso che quanto hanno previsto in tema di depenalizzazione con questo disegno di legge non riguarda nemmeno 2.000 casi in un anno, niente a che vedere con i milioni di procedimenti penali pendenti.
Questa sottovalutazione è molto grave. Noi radicali abbiamo impostato il discorso su un approccio completamente diverso. Riteniamo che compito di uno Stato di diritto sia quello di uscire nel più breve tempo possibile dall'illegalità in cui ci troviamo sia per le carceri sia per la durata dei processi, perché questo significa non far funzionare un'infrastruttura fondamentale qual è la giustizia. Noi ci siamo fatti coraggio. Sappiamo che può apparire impopolare, ma siamo convinti che se discusso invece potrà divenire comprensibile e popolare e per questo sosteniamo il provvedimento di amnistia e indulto.
Vorrei aggiungere che l'ultima condanna che abbiamo subito da parte della Corte europea ha imposto all'Italia di calendarizzare una serie di proposte e fissare il termine entro il quale rientrerà nella legalità. La Corte non si è accontentata delle risposte poco risolutive che l'Italia ha dato in questi trent'anni. Ha voluto quasi un piano di rientro dalla situazione di illegalità nella quale purtroppo ci troviamo.
Mi dispiace che il dottor Tamburino sia dovuto andare via. Il dipartimento penitenziario del quale è a capo deve costantemente ammettere che lo Stato è costretto a violare la legalità per le condizioni dei detenuti, in violazione di diritti umani fondamentali. Lo vedo anche dalle risposte che riceviamo agli atti di sindacato ispettivo. Deve scriverlo perché non può fare altrimenti, vista la situazione di sovraffollamento.
Vorrei rivolgervi una sollecitazione. Non so quanti casi potrebbe riguardare la sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili e non credo che voi abbiate condotto degli studi, ma penso che non si tratti di moltissimi casi in anno. Vi chiedo se, al di là della soluzione, amnistia o indulto che sia, riteniate questo provvedimento adeguato ad affrontare il problema


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dal punto di vista che ho richiamato, cioè la necessità di rientrare nella legalità.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Data l'ora, sarò molto sintetico. Riterreste satisfattivo del criterio della effettiva conoscenza del processo una prima notifica - l'indagato o imputato viene preso almeno una volta, a meno che non si indaghi contro ignoti - in cui siano indicati il nome del difensore d'ufficio e un indirizzo di posta elettronica certificata al quale poter fare riferimento in tutta la vita processuale?
Mi rendo conto che non tutti siano in grado di accedere a questi mezzi informatici, ma quel primo documento notificato a mano, come fanno gli Stati Uniti da sempre, potrebbe soddisfare le necessità della certificazione.
Ai fini della sorveglianza, l'articolo 5, lettera c) prevede che il giudice possa prescrivere particolari modalità di controllo, esercitate attraverso mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Mi sono sempre chiesto, e vorrei sapere se avete una risposta in merito, perché non si possa utilizzare ciò che usano le persone comuni, cioè dotare il condannato ai domiciliari o l'indagato di un semplice telefonino o di una postazione con webcam che possa consentirgli, su chiamata dell'autorità sorvegliante, di dimostrare dove si trova.
Cosa osterebbe a una soluzione di questo genere?

PRESIDENTE. Do ora la parola agli auditi per la replica.

RODOLFO SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. L'onorevole Ferranti ha posto una prima domanda al riguardo del coordinamento fra la sospensione del processo e l'elezione di domicilio. Già prima osservavo che il meccanismo della sospensione del processo andrebbe meglio coordinato con i sistemi di notifica attualmente previsti. Un conto è la situazione di irreperibilità, un conto è la mancata notifica, che si potrebbe realizzare anche a causa della sottrazione dell'imputato, come osservavo prima.
Rifacendomi anche all'esperienza pratica delle situazioni di processo contumaciale e di notifica, ad esempio, presso il domicilio eletto, un'elezione di domicilio che intervenga già in una fase avanzata del processo, con una precisa indicazione del procedimento che definisca perfino il fatto al quale si sta facendo riferimento, soddisfa i requisiti di conoscenza del processo da parte dell'imputato, il quale è quindi libero di indicare un luogo e una persona presso la quale effettuare le notifiche.
In un caso del genere, la notifica fatta nel luogo e alla persona indicata dallo stesso imputato, sufficientemente informata del processo, soddisfa i requisiti richiesti dall'articolo 6 della CEDU. Altro è un'elezione di domicilio generica o una nomina di difensore che non faccia riferimento a un numero di procedimento e nemmeno alla consapevolezza dell'imputato delle conseguenze che discendono dall'inidoneità, anche sopravvenuta, del domicilio indicato. Questo non soddisfa i requisiti di conoscenza richiesti dall'articolo 6 della CEDU.
Ecco perché facevo riferimento alla necessità di un coordinamento. Bisognerebbe sottoporre questo aspetto a una maggiore riflessione, così da rendere compatibile tale strumento con tutte le molteplici forme di notifica attualmente previste, riferite peraltro alle singole e diverse fasi processuali o al momento più o meno avanzato del procedimento.
In fondo credo che la necessità sia quella di assicurare che l'imputato, indipendentemente da una notifica a mani proprie o a familiare convivente, abbia effettiva conoscenza del processo. Penso al caso frequentissimo in cui lo stesso imputato, in una fase già avanzata, abbia indicato lo studio del suo difensore come domicilio per le notificazioni.
Nell'eventualità in cui il difensore non avesse fatto presente, ad esempio, la mancanza di contatti con il proprio assistito e si debba, quindi, presumere l'esistenza di un rapporto fiduciario permanente, sarebbe irragionevole ritenere che la notifica fatta a mani del difensore, il cui studio è indicato come luogo delle notifiche, non possa


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valere come prova effettiva di conoscenza del processo da parte dell'imputato.
Per quanto riguarda la riconduzione della sospensione già alla fase dell'udienza preliminare, ho già sottolineato la disarmonia del riferimento in un caso al procedimento e in un altro caso al processo. Si potrebbe ragionevolmente anticipare la sospensione alla fase dell'udienza preliminare, esplicitamente però estendendo anche all'udienza preliminare la previsione di sospensione della prescrizione.
L'onorevole Bernardini ha sollevato molti problemi seri legati all'eccessiva durata dei processi e alla condizione delle carceri e ha chiesto se questo tipo di intervento, a parere dell'Associazione magistrati e degli altri auditi, sia sufficiente a risolverli. Io credo che l'eccessiva durata del processo sia questione di ampia portata e che non esista un unico intervento tale da essere idoneo e sufficiente a risolvere il problema. L'approccio dovrebbe essere complesso e guardare sia agli istituti del diritto penale sostanziale sia agli strumenti processuali.
Già in occasione di una precedente audizione in Commissione giustizia alla Camera in tema di falso in bilancio, ma anche qualche giorno fa in Commissione giustizia al Senato a proposito di una proposta di riforma dell'articolo 348 del Codice penale, osservavo che, con riferimento a specifiche fattispecie penali, bisognerebbe pensare di valorizzare strumenti sanzionatori diversi dalla reclusione o dall'arresto.
È evidente che non alludo a reati come l'omicidio o la rapina, ma in alcuni casi sanzioni di natura interdittiva o patrimoniale o l'estensione della confisca per equivalente a casi ulteriori rispetto alle previsioni attuali potrebbero essere strumenti con una finalità riparativa e dissuasiva perfino maggiore di una sanzione detentiva, magari destinata a essere sospesa o a non essere eseguita affatto.
Riteniamo che questi strumenti, in particolare la sospensione del processo e la messa alla prova, sui quali abbiamo espresso parere favorevole, sia pure con quelle indicazioni di ordine tecnico in relazione alle criticità che ci siamo permessi di segnalare, siano strumenti di natura processuale che vanno nella direzione giusta.
Con riferimento specifico alla sospensione del processo, l'onorevole Bernardini aveva chiesto qual è il numero dei processi a carico di irreperibili. Non ho dati statistici recenti, affidabili e completi, ma in base alla nostra esperienza pratica devo dire che il numero è piuttosto elevato, soprattutto con riferimento ad alcune categorie di imputati e ad alcune tipologie di reati, spesso di minore allarme. Nella categoria degli irreperibili rientrano in genere le persone senza fissa dimora che si rendono responsabili di reati di non particolare allarme, come piccoli furti o vendita di prodotti con marchi contraffatti.
Come ripeto, il numero dei processi a carico degli irreperibili è piuttosto elevato e segnalo anche un aspetto di costo elevato legato alla retribuzione di tutte le difese di ufficio in relazione a processi in sé inutili, che producono sentenze parimenti inutili che non saranno di fatto mai eseguite.
L'onorevole Paolini ha fatto riferimento a una comunicazione, fin dal principio del procedimento, che contenga il nome del difensore di ufficio e un indirizzo di posta elettronica certificata, ma non ho esattamente compreso a quali fini.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Ai fini della notifica di qualsiasi comunicazione nel corso del procedimento. Chiedevo se questo possa soddisfare il criterio dell'effettiva conoscenza.

RODOLFO SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Si tratterebbe, quindi, di creare un indirizzo di posta elettronica da attribuire all'imputato come luogo virtuale di notifica. Mi permetto di dire che ciò va nel senso esattamente contrario rispetto alle indicazioni della CEDU, tenendo conto del fatto che le maggiori difficoltà di notifica si hanno con soggetti che più difficilmente hanno accesso a questo tipo di strumento.


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Peraltro, aggiungo che il Codice dell'amministrazione digitale, che risale al 2009, ma il cui regolamento del 2011 non è purtroppo ancora entrato nella pratica - e ci augureremmo invece che sia avviata la fase di sperimentazione e poi di concreta applicazione -, esclude esplicitamente la notifica digitale agli imputati, mentre la prevede per i soggetti professionali, i difensori in particolare.
L'onorevole Paolini citava altri sistemi di controllo quali webcam e telefoni cellulari, ma si tratta di aspetti molto pratici. Io osservo che parlare di una webcam forse introduce problemi anche di tutela della riservatezza, che non è esclusa, sia pure a carico di soggetti che vivono situazioni restrittive.
Non saprei pronunciarmi. Sono aspetti tecnici, su cui non mi azzardo a dire nulla di più.

GIULIO ILLUMINATI, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Bologna. L'onorevole Ferranti ha notato che non si tratta di assenza, ma di irreperibilità dell'imputato. L'assenza, almeno allo stato, è un istituto completamente diverso perché l'imputato assente si considera presente. Sarebbe il contrario e caso mai andrebbe coordinato dal punto di vista lessicale con le altre disposizioni del Codice.
Per quanto riguarda il tema della effettività delle notifiche, quasi tutti i casi portati innanzi alla Corte europea sono casi di imputati cross border, che erano in Italia e poi sono andati all'estero, facendo perdere le proprie tracce. Ringrazio per l'osservazione perché mi ero dimenticato di dire che la notifica al convivente, così come prevista alla lettera a) dell'articolo 4, ove si dice che la notifica deve essere effettuata personalmente o a mani di persona convivente, secondo me non è sufficiente per rispettare gli standard previsti dalla Corte europea.
Bisogna dire che la Corte europea valuta sempre se nel caso concreto è stato dimostrato che l'imputato abbia avuto conoscenza della citazione. Tuttavia, non possiamo, a mio modo di vedere, equiparare la notifica a mani dell'imputato alla notifica al convivente. Trovo che sia molto difficile dimostrare, posto che la prova in questo caso sarebbe a carico dell'ufficio, che il convivente abbia effettivamente comunicato l'informazione all'imputato.
Per quanto riguarda l'elezione di domicilio, è un problema molto serio perché attualmente, per quanto mi consta - forse il rappresentante delle Camere penali potrà dirlo meglio di me - l'elezione di domicilio diventa una sorta di formalità irrilevante, che viene spinta dalla polizia o dagli ufficiali giudiziari nei confronti di persone che probabilmente non si rendono nemmeno perfettamente conto di cosa significhi e di quali conseguenze derivino dall'elezione di domicilio.
Entro certi limiti si può dire che, nel momento in cui l'imputato viene raggiunto da una notificazione, possa eleggere il domicilio, ma io distinguerei, come ho accennato nel mio intervento, tra i numerosi atti che debbono o possono essere notificati all'imputato nel corso del procedimento dalla notificazione della citazione.
Secondo me la notifica della citazione è un atto estremamente importante, perché è quello che porta l'accusa a conoscenza dell'imputato ed è particolarmente tutelato dal Codice vigente. L'omessa citazione, infatti, comporta la nullità assoluta ed è l'unico caso di nullità assoluta, oltre alla mancata partecipazione del difensore, per violazioni riguardanti l'imputato. A mio modo di vedere, quindi, si dovrebbero distinguere, a seconda dell'importanza dell'atto, anche le modalità della notificazione. In questo caso io non troverei altra soluzione che una notificazione a mani oppure tutti gli altri succedanei che possiamo trovare per la notificazione a mani, quale il rifiuto di ricevere la notificazione.
Per quanto riguarda l'osservazione di Mario Chiavario, sono assolutamente d'accordo. Avendo anch'io notato la parola processo, mi era sfuggito il fatto che per la prescrizione si parla, invece, di dibattimento e ritenevo che fosse già prevista la sospensione anche in sede di udienza preliminare. Del resto oggi in udienza


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preliminare è prevista la contumacia. I meccanismi dovrebbero, quindi, andare in parallelo. Mi sembra perfettamente ragionevole.
Qualcuno ha sostenuto che si dovrebbe sospendere il procedimento, quindi addirittura la fase delle indagini preliminari. Su questo non sono d'accordo perché bisogna ovviamente consentire che le indagini vengano svolte in maniera completa ed esauriente. Si vedrà poi se l'imputato dovrà essere citato in giudizio.
Quanto alle osservazioni dell'onorevole Bernardini, non posso che sottoscriverle. Sono d'accordo su tutto. Aggiungo a mo' di aneddoto, anche se forse è un fatto notorio, che adesso la Corte europea è invasa da ricorsi non per l'eccessiva durata del procedimento, ma per eccessiva durata del procedimento di risarcimento del danno in base alla legge Pinto. Se non si interviene drasticamente, la situazione è senza uscita.
Non vedo però un nesso tra la sospensione del procedimento per gli irreperibili e il sovraffollamento carcerario. Quando parliamo di processo agli irreperibili, come è stato già detto, si tratta di sentenze che non troveranno quasi mai occasione di essere eseguite. Non c'è un nesso diretto, ma semmai indiretto perché l'accelerazione globale del sistema può comportare maggiori possibilità di gestire anche la messa alla prova e tutto il resto.
La posta elettronica certificata dubito che possa essere imposta all'imputato e dubito anche che possa valere come prova della conoscenza dell'accusa da parte dell'imputato. Bisognerebbe sempre rifarsi all'approccio casistico della Corte europea, la quale non ha mai detto che bisogna usare un sistema piuttosto che un altro, bensì che sono gli Stati nazionali a dover decidere quale sia il sistema più adatto.
Questo non impedisce di dover verificare di volta in volta se la conoscenza sia stata effettiva e adeguata.

BRUNO BOTTI, Componente della giunta dell'Unione delle Camere penali italiane. Vorrei aggiungere un'osservazione che riguarda il problema della notifica attraverso il difensore. La Corte europea, che in questo campo ha una forza propulsiva importante, visto che l'Italia è stata condannata più volte proprio su questo punto, ha sempre adottato un atteggiamento sostanzialistico. Ha sempre chiesto di evitare notifiche formali e presuntive e di mettere in atto, nei vari Stati, un meccanismo in base al quale l'imputato sia sostanzialmente messo in grado di conoscere il processo.
Se così è, tutte le notifiche che passano per il difensore, perché si presume che il difensore sia certamente in contatto con l'imputato, di fatto soffrono del limite che la Corte europea ha evidenziato. Sulla base dell'esperienza professionale, in moltissimi casi l'irreperibilità del soggetto all'autorità giudiziaria è equivalente all'irreperibilità del soggetto al difensore.
Vi prego di credermi se vi dico che il soggetto scompare per l'autorità giudiziaria nello stesso modo in cui scompare per il difensore. Qualunque notifica passi per il difensore e valga pertanto a costituire una presunzione di conoscenza è perciò solo una violazione dei precetti della Corte europea. Era l'unico aspetto sul quale mi faceva piacere intervenire.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

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