Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione II
3.
Martedì 3 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 5019 GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI DEPENALIZZAZIONE, PENE DETENTIVE NON CARCERARIE, SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA E NEI CONFRONTI DEGLI IRREPERIBILI, E DEGLI ABBINATI PROGETTI DI LEGGE C. 879 PECORELLA, C. 4824 FERRANTI, C. 92 STUCCHI, C. 2641 BERNARDINI, C. 3291-TERGOVERNO E C. 2798 BERNARDINI

Audizione del professore Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Bologna, del Capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del presidente del Tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del Tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, e di rappresentanti di 3M Italia:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 7 14 16 17 19
Bernardini Rita (PD) ... 16
Bo Alberto, Responsabile del settoretrack and trace di 3M Italia ... 19
Caprioli Francesco, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Bologna ... 4 17
Costa Enrico (PdL) ... 17
Ferranti Donatella (PD) ... 16
Mazzoni Paolo, Direttore delle relazioni esterne di 3M Italia ... 14
Melis Guido (PD) ... 16
Panzani Luciano, Presidente del Tribunale di Torino ... 7
Salvadori Alessandra, Giudice del Tribunale di Torino ... 9 18
Samperi Marilena (PD) ... 16
Tamburino Giovanni, Capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ... 13 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 3 luglio 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 13,45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professore Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Bologna, del Capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, del presidente del Tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del Tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, e di rappresentanti di 3M Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva avviata nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5019 Governo, recante la delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, e degli abbinati progetti di legge C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 92 Stucchi, C. 2641 Bernardini, C. 3291-ter Governo e C. 2798 Bernardini, l'audizione del professore Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'università di Bologna, del Capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (DAP), Giovanni Tamburino, del presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, e di rappresentanti della società 3M Italia.
Innanzitutto, vorrei ringraziare gli auditi per la loro presenza, anche perché abbiamo dovuto più volte spostare la data dall'audizione, creando loro, probabilmente, alcuni disagi. Ci scusiamo per tale inconveniente, ma ciò è dovuto all'andamento, a volte imprevedibile, dei lavori parlamentari.
Gli auditi sono stati chiamati a seguito di una richiesta dei gruppi parlamentari. Per coloro che partecipano per la prima volta ad una audizione, preciso che l'audito svolge una prima relazione illustrativa, a seguito della quale possono emergere alcuni temi da approfondire attraverso le domande poste dai commissari.
Faccio presente che il presidente del tribunale di Milano, dottoressa Livia Pomodoro, e il presidente aggiunto dell'ufficio GIP del medesimo tribunale, dottor Claudio Castelli, sono impossibilitati a partecipare alla seduta odierna, anche perché - come ho già detto - abbiamo di recente dovuto spostare la data dell'audizione. Comunque, la dottoressa Pomodoro e il dottor Castelli ci hanno inviato una relazione sull'esperienza dei lavori di pubblica utilità presso il tribunale di Milano, che è stata messa in distribuzione ed è a disposizione dei commissari.
Informo, infine, i nostri auditi che possono depositare in questa occasione, o inviare successivamente, eventuali documenti che saranno poi messi a disposizione dei commissari.


Pag. 4


Do ora la parola al professor Francesco Caprioli.

FRANCESCO CAPRIOLI, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Bologna. Grazie, presidente, dell'invito. Mi scuso in anticipo perché, a differenza di altre occasioni - della qual cosa spero mi darete atto - il mio contributo di oggi non sarà costruttivo, bensì distruttivo. Ricorderete, per esempio, che in altre circostanze, come quando si è parlato di particolare tenuità del fatto, ho contribuito alla stesura del testo. Tuttavia, sulla sospensione del procedimento con messa alla prova, estesa al procedimento a carico dei maggiorenni - questo è il tema sul quale vorrei parlare - ho delle fortissime perplessità di carattere strutturale.
Evidenzierò, quindi, diverse criticità che dovrebbero condurre all'abbandono del progetto, ma che possono anche essere sfruttate in chiave propositiva, quantomeno per limare alcuni aspetti che ritengo particolarmente critici e, ahimè, infelici.
Una prima obiezione di fondo che si potrebbe fare a questa iniziativa è quella di subordinare la messa alla prova dell'imputato alla prestazione del lavoro di pubblica utilità. Dico questo solo perché, sulla base di alcuni dati a mia disposizione - che forse non sono particolarmente aggiornati e non tengono conto dell'impulso dato all'istituto dalla modifica dell'articolo 186 del codice della strada - non si può certamente dire che il lavoro di pubblica utilità sia un istituto che abbia ottenuto buoni risultati dal punto di vista della sua applicazione pratica.
Infatti, mi risulta che - ma vi sono altre persone che, meglio di quanto possa fare io, potranno confermare o smentire questi dati - si sia rivelato molto più difficile del previsto stipulare le convenzioni con gli enti interessati, che il Ministero o i tribunali, per delega del Ministero, possono concludere per la prestazione di questi lavori. Ho alcuni dati, che - ripeto - non sono molto aggiornati, rispetto ai quali, per esempio, il lavoro di pubblica utilità - come misura applicabile dal giudice di pace - mi risulta applicato in 125 casi su 300.000 procedimenti di competenza del giudice di pace nell'anno 2008 e, precedentemente, in solamente 43 casi su 300.000 nell'anno 2005.
A quanto pare, quindi, non è facile stipulare le convenzioni con gli enti interessati. Vi è, allora, il problema pregiudiziale e preliminare di rendere concretamente attuabile l'istituto, non soltanto destinando risorse finanziarie - il problema non è soltanto questo - ma, ad esempio, svolgendo e avviando una campagna di promozione e di pubblicizzazione del lavoro di pubblica utilità e studiando forme di incentivi per gli enti coinvolti che potrebbero, eventualmente, essere sgravati dal pagamento degli oneri assicurativi.
So che vi è una proposta proveniente dal tribunale di Palermo che suggerisce di rendere addirittura obbligatoria la stipula di queste convenzioni per gli enti pubblici.
Se non si superano tali ostacoli, mancherebbero i presupposti per poter dare attuazione in concreto a questa sorta di accordo, che è la sospensione con messa alla prova subordinata al lavoro di pubblica utilità. Mi chiedo, infatti, se non si rischi di consentire la messa alla prova sulla base della semplice disponibilità dell'imputato a prestare lavoro di pubblica utilità, quando, poi, in concreto, ciò non sarebbe possibile. Sarebbe come la sentenza di proscioglimento di cui all'articolo 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, là dove si ritiene che la semplice volontà dell'imputato di prestare le condotte riparatorie, anche se il danneggiato non la asseconda, costituisca una premessa sufficiente per l'emanazione di tale sentenza.
Forse, rispetto alle mie riflessioni, vi sono alcuni dati più recenti e aggiornati che lasciano intravedere qualche spiraglio più fausto. Tuttavia, ciò su cui sono fortemente perplesso sono la struttura complessiva dell'istituto e la sua autentica natura. Detto in poche parole, si dice nel testo in esame che stiamo semplicemente estendendo al procedimento a carico di un maggiorenne un istituto - la sospensione


Pag. 5

con messa alla prova dell'imputato minorenne, appunto - che ha dato buona prova di sé nel sottosistema minorile.
Per la verità, credo che, come configurata nel disegno di legge governativo che stiamo commentando, la sospensione con messa alla prova del maggiorenne abbia poco a che fare con quel modello, se non con riferimento al dato strutturale costituito dalla sequenza sospensione, messa alla prova, estinzione del reato e, quindi, proscioglimento in caso di esito positivo della prova. Eccetto, però, questa apparente affinità, tale istituto mi sembra - lo dico molto chiaramente e l'ho scritto - l'applicazione su richiesta di una sanzione sostitutiva a un soggetto riconosciuto colpevole. È una «criptocondanna», quindi, non una messa alla prova cui segue un proscioglimento, ma un'ordinanza sospensiva che avrebbe natura e sostanza di provvedimento sanzionatorio, cui seguirebbe una non meglio inquadrabile pronuncia di proscioglimento, che non avrebbe, però, altro scopo che quello di attestare che la pena è stata scontata correttamente.
Dico ciò perché mi pare di capire che tra i presupposti dell'ordinanza di sospensione con messa alla prova non potrebbe non rientrare l'accertamento di responsabilità dell'imputato, sia perché questo sembrerebbe pacifico anche con riferimento all'istituto minorile - e qui a maggior ragione, stanti i contenuti maggiormente afflittivi -, sia perché lo stesso disegno di legge in esame parla di commissione di nuovi o ulteriori reati, dando per scontato che un reato sia già stato commesso e accertato, sia perché, considerando alcuni articolati - il presente disegno di legge-delega riprende, infatti, un modello che è già stato dettagliato in altri disegni di legge, come quello cosiddetto «Alfano» (Atto Camera 3291) - l'emanazione dell'ordinanza di sospensione con messa alla prova nelle indagini preliminari si struttura esattamente come nella sentenza di patteggiamento, con il pubblico ministero che deve dare il suo consenso e con un giudice che deve verificare se non ci sono i presupposti per emanare una sentenza ex articolo 129 del codice di procedura penale.
Tutto questo mi sembra tradire la volontà legislativa di ancorare la messa alla prova quantomeno ai medesimi parametri accertativi richiesti per il patteggiamento. Inoltre, l'imputato si mette alla prova quando si ha motivo di ritenere che si asterrà dal commettere ulteriori reati. Questo non è detto espressamente nel disegno di legge delega, ma è detto nella relazione e, nell'articolato del disegno di legge Alfano, è detto nella norma.
È, insomma, lo stesso giudizio prognostico cui è subordinato il perdono giudiziale oppure la sospensione condizionale della pena, quindi due provvedimenti adottati nei confronti di un soggetto che è stato condannato.
Su questo punto si coglie molto bene la differenza con la messa alla prova minorile. Viene messo il minore alla prova, all'esito della quale bisogna formulare una valutazione prognostica, ovvero se commetterà o meno ulteriori reati. È all'esito della prova, dunque, che si formula nei confronti del minore la prognosi di recidivanza. In questo caso, invece, la prognosi sarebbe il presupposto per l'ordinanza sospensiva. Tra l'altro, avremmo una prognosi di pericolosità compiuta sulla base di quei frammentari elementi di valutazione della personalità che conosciamo e che possono essere utilizzati per i giudizi nel corso dei procedimenti penali. In realtà, probabilmente, si finirebbe per concedere, quasi sempre, in maniera sistematica, la sospensione.
Che prevalgano poi logiche squisitamente sanzionatorie risulta ancora più evidente se si considerano i contenuti della prova. Abbiamo, infatti, lavoro di pubblica utilità, obbligo di osservare le prescrizioni che il giudice dovesse indicare nell'ordinanza sospensiva e obbligo di adoperarsi, per quanto possibile, in favore della vittima del reato. Rispetto a quest'ultimo punto, nel disegno di legge delega si parla piuttosto di eliminare le conseguenze dannose derivanti dall'illecito. È inutile che vi ricordi che si tratta di contenuti afflittivi


Pag. 6

che coincidono, in larga misura, con quelli imposti a varie tipologie di condannati in espiazione di pena.
D'altra parte, circa il lavoro di pubblica utilità, nel disegno di legge Severino (Atto Camera 5019) si dice che lo stesso è di durata «non inferiore a dieci giorni», senza che sia previsto un tetto massimo, a differenza del disegno di legge Alfano, che stabilisce anche un termine massimo, di cui non ricordo l'entità. Mi chiedo, quindi, sulla base di quali presupposti il giudice determinerà, nell'ordinanza sospensiva, la durata del lavoro di pubblica utilità e la sua intensità, cioè il numero di ore giornaliere, settimanali e così via. Non si può ragionare come nell'articolo 165 del codice penale che parla di «un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa» e neppure come nell'articolo 186 del codice della strada che prescrive che «il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata» perché, in questo caso, non c'è nessuna sanzione irrogata, ma stiamo parlando di un processo che dovrebbe concludersi con il proscioglimento.
Eppure, ci dovrà essere un parametro per il giudice affinché possa decidere per trenta giorni invece che per quaranta o cinquanta oppure per due ore settimanali piuttosto che per dieci o dodici. Il parametro sarà una determinazione virtuale della pena e vi sarà un conguaglio che verrà effettuato sulla base di criteri che non ho ben capito. Tra l'altro, se davvero si dovesse addivenire a questa nuova disciplina del lavoro di pubblica utilità, sarebbe davvero utile chiarire meglio i parametri commisurativi della durata e dell'intensità del lavoro. Infatti, questo aspetto non è chiarissimo. Per esempio, trenta giorni di lavoro di pubblica utilità vuole dire che il soggetto dovrà lavorare per trenta singoli giorni oppure nel periodo di trenta giorni? Insomma, questa ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova assumerebbe le fattezze di una condanna a pena sostitutiva.
Del resto, a mio giudizio, è abbastanza sconcertante leggere - lo dico con tutto il rispetto - nella relazione al disegno di legge Severino che l'istituto offre un percorso di reinserimento alternativo ai condannati per reati di minore allarme sociale. Ma perché parliamo di «condannati» se stiamo facendo riferimento a un istituto che si conclude con una sentenza di proscioglimento? Occorre, insomma, rispettare un minimo di sintassi giuridica, anche perché si sa quanto pesano poi queste aporie.
Vorrei, inoltre, fare un cenno, visto che i due argomenti sono strettamente connessi, ai profili funzionali. Chi chiederebbe la sospensione con messa alla prova? C'è una valutazione di efficacia anche sotto il profilo della deflazione carceraria. Quali imputati chiederebbero, però, la sospensione con messa alla prova? O meglio, quanti di questi imputati rischierebbero comunque di finire in carcere? Da questo punto di vista, valutiamo infatti l'efficacia deflattiva sul piano non dico processuale - di questo non parlo perché il discorso sarebbe complesso - ma carcerario. Ecco, dal punto di vista della deflazione carceraria, sarebbe un istituto molto efficace?
Stiamo parlando di reati puniti con una pena massima di quattro anni di reclusione - nel disegno di legge Alfano erano tre -, quindi, in concreto, qualcuno che rischia effettivamente il carcere potrebbe ricorrere alla sospensione del procedimento penale con messa alla prova, dal punto di vista della pena edittale. Tuttavia, farebbe ricorso a questo istituto chi non è più nelle condizioni soggettive per beneficiare di una sospensione condizionale della pena o della sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi dell'articolo 656, comma 9 del codice di procedura penale. Quindi, chi abbia già interamente bruciato la sospensione condizionale e correrebbe il rischio di vedersela poi revocata, chiederebbe la sospensione con messa alla prova.
Viceversa, credo che avrebbe interesse a beneficiare dell'istituto anche chi, pur non rischiando nell'immediato una condanna - visto che si procede nei suoi confronti per un reato la cui pena verrebbe


Pag. 7

sospesa, - ha una ragionevole aspettativa di dover poi subire ulteriori processi nel corso della sua carriera criminale. Mi spiego. Nel progetto della Commissione Pisapia per la riforma del codice penale era prevista la sospensione con messa alla prova. Tuttavia, quel progetto, proprio al fine di evitare l'eccessiva cumulabilità dei benefici, vietava di concedere per più di una volta la sospensione condizionale della pena a chi avesse usufruito della sospensione del processo con messa alla prova. In questo caso, manca una preclusione analoga; quindi, in sostanza, della messa alla prova potrebbe avvalersi non solo chi avesse già interamente consumato il beneficio della sospensione condizionale ma, anche chi si fosse già avvalso della messa alla prova, il quale potrebbe, in seguito, usufruire senza limiti del beneficio.
C'è, pertanto, un problema di raccordo tra messa alla prova e sospensione condizionale, di cui si era fatto carico la Commissione Pisapia. Altrimenti, una persona commette un reato e ottiene una messa alla prova; poi commette un altro reato non della stessa indole e ottiene un'altra messa alla prova; poi compie un terzo reato e ottiene la sospensione condizionale, magari subordinata a quegli stessi obblighi (difatti, nel disegno di legge Pisapia si parlava di «sospensione condizionale con messa alla prova»); infine, si ha un quarto reato e si ottiene di nuovo la sospensione condizionale.
Per concludere, vi è un'ambiguità strutturale, quindi funzionale. Chiamiamo «ordinanza di sospensione del procedimento» quella che è, a tutti gli effetti, una condanna e, «messa alla prova», un insieme di misure sanzionatorie che coincidono con gli obblighi connessi alla sospensione condizionale della pena, quindi finiamo per introdurre a «prezzi di saldo», dal punto di vista dei costi politici, una sorta di «supersospensione» condizionale della pena. Non sta a me dire se sia giusto o sbagliato, ma credo che se cominciamo a chiamare le cose con il loro nome, forse possiamo sperare di avviare un'opera di autentica razionalizzazione del sistema sanzionatorio.

PRESIDENTE. La ringrazio, professore. Da quanto ho compreso, lei non è contrario all'istituto in sé, ma per come è stato riformato. Quindi, le critiche erano specificamente dirette a questo. Le faccio, però, presente che restano abbinati anche gli altri progetti di legge, per cui, eventualmente, si possono mutuare da questi ultimi delle parti. Comunque, la ringrazio per la sua chiarezza nell'esposizione.
Ringrazio anche il sottosegretario Mazzamuto, che sinora è stato presente, che ci deve fra poco lasciare per recarsi in Senato.
Do ora la parola al presidente del tribunale di Torino Luciano Panzani, cui seguirà l'intervento della dottoressa Alessandra Salvadori.

LUCIANO PANZANI, Presidente del Tribunale di Torino. Innanzitutto, vi ringrazio dell'invito. Il mio sarà un intervento di carattere generale. In seguito, la dottoressa Salvadori, che conosce molto più di me l'attuazione delle convenzioni per i lavori di pubblica utilità stipulate nel tribunale di Torino, vi darà maggiori informazioni: ci soffermeremo quindi soprattutto sull'esperienza torinese delle convenzioni per lavori di pubblica utilità. Credo, infatti, che sia questo il contributo specifico che possiamo fornire, al di là delle osservazioni sui testi del disegno di legge in esame, che pure possiamo fare.
Inizialmente, il tribunale di Torino aveva una situazione abbastanza simile a quella descritta dal professor Caprioli. Successivamente, invece, abbiamo creato, d'intesa con la procura della Repubblica e con l'ufficio dell'esecuzione penale esterna, un apposito gruppo di lavoro e siamo riusciti ad arrivare alla situazione attuale, in cui il tribunale ha stipulato, su delega del Ministro della giustizia, 63 convenzioni per 307 posti, che vengono tutti utilizzati. Di queste convenzioni, 27 sono con enti di assistenza e associazioni di volontariato; 35 con i comuni compresi nel circondario del tribunale, che vanno aumentando e, infine, una con la provincia di Torino.
La maggior parte dei casi di lavori di pubblica utilità sono legati all'articolo 186


Pag. 8

del codice della strada. Infatti, come dirà meglio la dottoressa Salvadori, ci sono degli incentivi importanti, come la possibilità di evitare la confisca del veicolo in caso di guida in stato di ebbrezza, che è uno stimolo molto rilevante. Non tutti i casi riguardano, però, il codice della strada. Vi sono, per esempio, anche reati commessi da tossicodipendenti. Anche su questo, sia pure con maggiori difficoltà, abbiamo realizzato dei sensibili progressi rispetto sia al passato sia all'esperienza dei tribunali vicini a Torino, quindi a realtà territoriali confrontabili.
Il punto fondamentale è che ci siamo accorti che i comuni - con i quali in origine avevamo la maggior parte delle convenzioni - erano molto preoccupati di ricevere delle persone con cui non avevano instaurato preventivamente un rapporto. Non sapevano, per esempio, se chi veniva inviato era un pericoloso delinquente, un tossicodipendente o una persona con cui, sebbene avesse avuto dei problemi, era possibile impostare un discorso di recupero. Pertanto, la regola fondamentale di queste convenzioni è che nessuno viene avviato senza che ci sia stato un colloquio preventivo con l'ente e l'interessato. Si ha, infatti, la possibilità di valutare sia la disponibilità dell'ente, sia gli impegni anche lavorativi della persona, stabilendo, poi, un programma. Solo a seguito di questo accordo, si raggiunge la possibilità per il giudice di emettere il provvedimento.
Quando abbiamo chiarito questo aspetto, le convenzioni hanno immediatamente cominciato a funzionare e ad aumentare di numero. Sono cresciute molto anche le convenzioni con gli enti di assistenza e le associazioni di volontariato. Personalmente, ho approfittato di una recente visita dell'arcivescovo di Torino al palazzo di giustizia per illustrargli la questione. Abbiamo avuto dei rapporti con la Caritas, a seguito dei quali anche le associazioni cattoliche si sono aggiunte. In precedenza, avevamo, invece, soltanto rapporti con il Cottolengo di Torino.
La mia raccomandazione, sia ai sindaci sia ad altri, è che si tratta di un impegno serio. Si tratta, infatti, di una sanzione, per cui è fondamentale che vi sia una serietà nell'esecuzione e che la persona non sia abbandonata a se stessa.
Mediamente, i provvedimenti del tribunale di Torino ai sensi degli articoli 186 e 187 del codice della strada prevedono una condanna da 10 giorni a 4 mesi che, convertita in ore, prevede il lavoro di pubblica utilità da 20 a 240 ore. A questo proposito, riprendendo quanto già osservava il professor Caprioli, occorre dire che il disegno di legge esaminato non prevede un tasso di conversione preciso. Peraltro, uno degli elementi che caratterizza la disciplina del lavoro di pubblica utilità, ai sensi del citato articolo 186, è un rapporto di conversione estremamente favorevole, aspetto che è un incentivo rilevante. Uno dei problemi è sicuramente rappresentato dal fatto che la legge fa riferimento a enti di assistenza e associazioni di volontariato, ovvero a un ambito, tutto sommato, ristretto. Visto che non è facilissimo trovare questi soggetti, non comprendo perché non si possa allargare la cerchia, per esempio, alle cooperative, cioè a soggetti che hanno una finalità di lucro non collegata direttamente al conseguimento di un utile per gli associati. Insomma, credo che bisognerebbe disciplinare diversamente il rapporto con gli enti pubblici, prevedendo per legge oppure con un successivo regolamento ministeriale che i responsabili delle organizzazioni periferiche possano direttamente stipulare delle convenzioni e che, tra queste organizzazioni, ci siano anche gli uffici giudiziari.
Come presidente di tribunale sarei lieto di poter ricevere queste persone. Ovviamente, non vorrei chiunque, ma vi sono esperienze importanti, in alcuni tribunali, di detenuti in semilibertà che vengono utilizzati per alcune mansioni semplici. Per esempio, mi risulta - come potrete chiedere al presidente Castelli in occasione della sua audizione - che alcuni detenuti in semilibertà siano stati utilizzati per lavori di scannerizzazione di atti presso il tribunale di Milano; quindi ciò potrebbe avvenire a maggior ragione in caso di lavori di pubblica utilità. Lo stesso discorso


Pag. 9

può farsi per le strutture di pronto soccorso degli ospedali. Insomma, è necessario avere dei rapporti con le strutture periferiche presenti sul territorio, senza essere legati a un rapporto di carattere burocratico e gerarchico.
Inoltre, come spesso accade, le cose banali creano problemi quasi insormontabili. Difatti, un'altra difficoltà, che caratterizza tutti i casi, anche di volontariato negli uffici giudiziari - abbiamo parecchie situazioni di questo genere - riguarda la copertura assicurativa. Trattandosi pur sempre di attività lavorativa, è necessario, infatti, prevedere una copertura per eventuali infortuni. Credo che la legge dovrebbe dire qualche cosa su questo punto, prevedendo eventualmente una copertura automatica attraverso gli enti previdenziali o, diversamente, ponendo a carico del soggetto che viene sottoposto al lavoro di pubblica utilità il costo dell'assicurazione, che non è mai elevato. Tuttavia, questo potrebbe essere un disincentivo.
Per concludere, vorrei soltanto sottolineare, con riferimento al testo attuale del disegno di legge, che non mi pare preveda alcuna affermazione da parte del giudice nel senso di una pronuncia di condanna, neanche nei termini in cui, invece, è previsto per il patteggiamento. Forse, però, il professor Caprioli ha ragione poiché, se c'è da graduare l'entità della durata del lavoro di pubblica utilità, bisognerà pure fare riferimento a qualche parametro, anche se l'elemento consensuale mi sembra assolutamente importante.
Dubito, peraltro, che l'esperienza torinese, che si è fatta prevalentemente sugli articoli 186 e 187 del codice della strada, possa essere applicata - tale e quale - a reati più gravi. Tuttavia, non credo neanche che vi possa essere uno zero assoluto come risposta.
Un punto delicato rimane il fatto che, se si tratta di persone che hanno un lavoro normale - che sono anche quelle con cui è più facile affrontare un discorso di recupero - con impegni seri, la previsione che il lavoro di pubblica utilità debba svolgersi con modalità compatibili con il mantenimento della prestazione lavorativa crea delle difficoltà pressoché insuperabili. Per esempio, i comuni, come tutta la pubblica amministrazione, hanno normalmente la propria attività legata al turno di lavoro nell'orario 8-14, in genere su 5 giorni lavorativi, quindi non il sabato, né la domenica. Questo è un problema che pure dovrebbe essere affrontato in qualche modo.
Vi ringrazio per l'attenzione e lascio la parola alla dottoressa Salvadori.

ALESSANDRA SALVADORI, Giudice del Tribunale di Torino. Il presidente Panzani vi ha appena fornito un quadro estremamente efficace della situazione positiva che si è realizzata a Torino nel corso degli ultimi due anni. Per rendere meglio questo mutamento totale di trend, vorrei fornirvi qualche ulteriore dato.
Il lavoro di pubblica utilità è utilizzato dal nostro legislatore fin dal 1981 ed è diventato nel 2000, con riferimento alla normativa relativa al giudice di pace, una delle sanzioni normali che questi avrebbe potuto applicare. In realtà, a fronte di queste molteplici previsioni, negli anni dal 2001 al 2010, a Torino, il lavoro di pubblica utilità non è stato praticamente mai applicato dal giudice di pace: si è avuta, infatti, qualche rarissima applicazione nel primo anno e poi non vi è stato più nulla. Vi sono stati, poi, solo 4 casi - in occasione di seconda sospensione condizionale - in un periodo di 6 anni, cioè dal 2004 al 2009. Si è registrato, quindi, un totale fallimento dell'istituto.
Al contrario, dalla metà del 2010 a oggi i numeri sono in costante crescita. Gli ultimi dati, che risalgono alla fine di giugno di quest'anno, registrano, in questo periodo di circa due anni, ben 487 applicazioni nel solo distretto del tribunale di Torino. Si è avuto, quindi, un mutamento veramente drastico.
Si tratta di un'esperienza molto significativa per chi, come voi, deve decidere e valutare un disegno di legge che riguarda la messa alla prova proprio perché - come ha già evidenziato il professor Caprioli - questo istituto ha come condizione necessaria la possibilità di espletare il lavoro di


Pag. 10

pubblica utilità. Le due condizioni sono, da un lato, l'interesse del soggetto interessato che dovrà espletare il lavoro e, dall'altra, una possibilità oggettiva e concreta.
Non a caso, il primo motivo di perplessità proposto dal professor Caprioli - presente anche negli scritti di altri autori, che condividono questa critica - attiene al fatto che è ritenuto inutile inserire un istituto che si fonda su un altro che, finora, non ha dato alcun tipo di buona applicazione concreta. Ecco, lo scopo della mia presenza oggi e l'obiettivo minimo che mi pongo è proprio quello di cercare di darvi, alla luce dell'esperienza concretamente vissuta in questi anni a Torino, il maggior numero di informazioni utili per riuscire ad affrontare i problemi pratici che l'istituto del lavoro di pubblica utilità pone. Pertanto, vorrei riassumere cosa è stato fatto a Torino e, poi, verificare se c'è qualcosa in più che sia necessario fare con riferimento all'istituto della messa alla prova, con particolare riguardo alle sue concrete modalità.
Prima di rispondere alla domanda sul perché, oggi, a Torino, il lavoro di pubblica utilità ha funzionato, mentre in precedenza non era così e, altrove, ancora oggi, questo continua a non funzionare, vorrei sgombrare il campo da un facile equivoco, nel quale si può incorrere se si dà rilevanza al solo dato temporale. Negli ultimi due anni, con un'inversione di tendenza, si è avuto un aumento esponenziale dei numeri. Viene, quindi, da pensare che tutto ciò dipenda esclusivamente dall'introduzione, con l'ultima delle quattro riforme ravvicinate del codice della strada, della possibilità di sostituire la pena per i reati di cui agli articoli 186 e 187 di tale codice - cioè la guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti - con un lavoro di pubblica utilità.
Sulla base di dati comparativi, vorrei sostenere che non proprio è così. Ovviamente, il codice della strada è un settore privilegiato per l'utilizzo del lavoro di pubblica utilità, come hanno anticipato il primo relatore e il presidente Panzani. Si tratta, infatti, normalmente, di soggetti ben inseriti, ai quali magari capita di aver bevuto un bicchierino in più durante una cena, che tengono in altissimo conto l'effetto estintivo finale della sentenza. Vi sono, inoltre, grossi interessi, perché gli incentivi sono anche il dimezzamento del periodo della sospensione della patente e la restituzione del veicolo, quindi vi è un fortissimo interesse economico. Questo, tra l'altro, serve anche come incentivo ad accelerare il processo. In alcuni casi, abbiamo avuto addirittura richieste di anticipazione di udienza, perché non si voleva tenere fermo il veicolo, che poi si deprezza e ciò costa. Tuttavia, le recenti modifiche al codice della strada non sono - ripeto - l'unico motivo per cui il lavoro di pubblica utilità ha funzionato. Difatti, se così fosse, avrebbe dovuto iniziare a funzionare in tutta Italia, ma non è così. Esistono tribunali in cui il lavoro di pubblica utilità continua a essere un perfetto sconosciuto o, comunque, un istituto che resta solo sulla carta. Non si tratta solo di tribunali lontanissimi - quindi, essendo noi nel nord-ovest d'Italia, ad esempio di tribunali dell'estremo sud del Paese - ma anche di tribunali limitrofi al nostro. Ci giungono notizie, anche dagli avvocati, che le convenzioni non vengono stipulate, oppure, che alla fine dell'anno, nessuno vuole più rinnovarle, che ci sono lunghissime liste e quant'altro, per cui il lavoro di pubblica utilità non funziona, anche in situazioni ambientali del tutto simili a quelle torinesi.
L'altro aspetto comparativo è interno. Di questi circa 487 casi - dico circa perché le statistiche sono interne, quindi non sono stilate in modo del tutto perfetto - circa 400 sono relativi al codice della strada, mentre oltre 80 riguardano la seconda sospensione condizionale. Se torniamo ai dati che ho citato prima, quindi al fatto che vi sono stati 4 casi nell'arco di 6 anni, mentre, nell'ultimo biennio, ne abbiamo avuti 80, si può sostenere che la differenza non è stata tanto la novità legislativa, quanto le scelte organizzative. Vorrei, quindi, sottolineare quelle fondamentali, soffermandomi soprattutto su quelle che ritengo esportabili, per far sì


Pag. 11

che siate in grado di replicarle anche altrove, affinché l'istituto possa funzionare.
Il presidente Panzani ha già detto qual è stata la scelta fondamentale. Tuttavia, vorrei fare un passo indietro, perché ritengo che ciò che abbia fatto davvero la differenza sia stato l'approccio che - con la nuova dirigenza - è stato comune, verso ogni novità di un minimo di importanza e complessità. Non si lascia, cioè, che la novità venga affrontata dal singolo giudice o dal singolo cancelliere, perché siamo tutti fisiologicamente conservatori per cui, di fronte a una misura che non conosciamo e dobbiamo affrontare velocemente, magari improvvisando, tendiamo a non attuarla.
Nel nostro caso, invece, è stato creato un piccolo gruppo di studio, su base volontaria, formato da magistrati, ma anche da cancellieri, perché è importantissimo lo stretto legame tra le varie figure che lavorano in un ufficio. Il gruppo di studio interno ha contatti con la procura e con tutti gli altri uffici di volta in volta interessati. In questo caso, abbiamo avuto contatti con la provincia e soprattutto stabilmente con l'UEPE (Ufficio per l'esecuzione penale esterna), che era direttamente coinvolto. In questo modo, sono stati affrontati i problemi, cercando di immaginarli prima per poi risolverli.
Abbiamo così scoperto che il problema serio dei lavori di pubblica utilità era l'assoluta difficoltà e resistenza degli enti, anche pubblici, a stipulare le convenzioni. Questo, di per sé, è un dato strano, perché si offriva a un ente qualcuno che vi sarebbe andato a lavorare gratuitamente, dando per scontato che gli enti avrebbero accettato. Tuttavia, dopo anni che l'istituto non funzionava, si è finalmente capito che c'era qualcosa che non andava. È stato chiesto agli enti quale fosse il problema e le risposte sono state - come diceva il presidente - relative alla paura di accettare qualcuno che avrebbe dato molti più problemi che vantaggi e, soprattutto, al rischio di avere a che fare con una burocrazia complicata e con i controlli. Infatti, anche i carabinieri che vanno a fare i controlli negli enti possono creare disturbo.
Individuate le ragioni, si sono cercate delle soluzioni molto semplici. In primo luogo, si è cercato di pervenire a una semplificazione burocratica massima, creando un ufficio unico tra procura e tribunale presso il quale l'interessato può andare e avere tutti i riferimenti. Si è cercato, quindi, di dare indicazioni chiare su tutto l'iter e definire eventuali referenti in caso di problemi nel corso dell'esecuzione.
Si è, poi, stabilito un elemento considerato qualificante, ovvero la possibilità per l'ente di rifiutare il soggetto, previo colloquio. Questo aspetto ha rassicurato tantissimo gli enti stessi, che, successivamente, sono stati meno resistenti. Il fatto di avere la possibilità di contattare il soggetto e di avere un primo incontro li ha resi, infatti, molto più disponibili ad accettare queste persone.
Infine, c'è stato l'accentramento di tutti i controlli, laddove possibile, quindi non per la seconda sospensione condizionale, ma per i citati casi del codice della strada e per l'applicazione dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, presso l'ufficio dell'esecuzione penale esterna, che ha così avuto anche una semplificazione e un aumento delle competenze, cosa molto difficile quando vengono interessati i singoli uffici periferici dei carabinieri o della polizia.
Vi è stata, inoltre, un'ottima sinergia con la provincia che si è fatta carico, insieme al Gruppo Abele e ad altri soggetti che erano stati man mano coinvolti, di svolgere l'attività di promozione di cui si parlava.
Abbiamo anche stilato, internamente, un protocollo condiviso che ha cercato di determinare ogni aspetto, anche di dettaglio, fissando, per esempio, anche un prototipo di dispositivo in modo da evitare qualsiasi tipo di difficoltà futura.
Decisivo è stato uno stratagemma che abbiamo utilizzato, quello di considerare possibile il lavoro di espletamento anche


Pag. 12

presso enti che non fossero ancora convenzionati; cioè abbiamo considerato le convenzioni in itinere e consentito qualche prova. Questo è stato decisivo perché, di nuovo, gli enti hanno avuto la possibilità di provare e, avendo avuto risultati positivi, subito dopo, quasi tutti hanno fatto le convenzioni. Quindi, anche questa è stata una soluzione pratica che ha funzionato bene.
Questi sono gli aspetti prevalenti della nostra esperienza. Con specifico riferimento al disegno di legge in esame, abbiamo cercato di verificare se questi accorgimenti, ovvero queste soluzioni organizzative, possano ritenersi sufficienti. In realtà, sarebbero comunque molto utili, ma non del tutto sufficienti in termini di numero di posti, perché il numero degli interessati dovrebbe passare da qualche centinaio a qualche migliaio. Anche noi, che siamo forse l'ufficio che ha più disponibilità, non riusciremmo ad affrontare tutte le richieste, laddove ci fossero. Per farlo, dovrebbe essere chiaro l'obiettivo di estendere al massimo gli enti convenzionabili. Per cui, come diceva il presidente Panzani, bisognerebbe tenere presenti le fondazioni, ma penso anche alle ASL, presso le quali vi potrebbero essere impieghi ulteriori di soggetti che vadano a svolgere lavori di pubblica utilità.
È fondamentale determinare espressamente le modalità con cui gli enti periferici dello Stato possono stipulare le convenzioni. Oggi, il decreto ministeriale di riferimento tace su questo punto e, di fronte al silenzio, nessuno si assume la responsabilità di stabilire come fare.
È altrettanto decisivo anche il nodo della copertura assicurativa.
Non sarebbe male, poi, stabilire un obbligo per gli enti pubblici di fornire un minimo di disponibilità. Da qualche parte, infatti, bisogna pur iniziare a sperimentare.
Vorrei, infine, parlare dell'altro aspetto. Un profilo è, infatti, quello della possibilità concreta, un altro è l'interesse dei soggetti a svolgere queste attività.
Trovo che questa probation giudiziale, sebbene con una natura forse ambigua, sia comunque da caldeggiare. Spero, quindi, che sia approvata e che si trovi il modo di farla funzionare. Oltre a una modesta - ma pur sempre utile, vista la situazione - deflazione carceraria, potrebbe portare a una notevole deflazione processuale, della quale chiunque lavori in un ufficio, svolgendo soprattutto penale monocratico, conosce la necessità.
Il problema vero, per quanto riguarda gli imputati, è avere un interesse che dipende proprio dal fatto che nessuna richiesta di sanzione lato sensu, di messa alla prova o, comunque, di rito o procedura alternativa verrà mai richiesta laddove ci sia la pressoché totale certezza che nulla poi si sconterà, perché il processo è destinato nel frattempo a prescriversi e, perché, i tempi sono talmente lunghi che nulla succede.
Questo è l'aspetto a cui facevo riferimento poc'anzi, per cui negli uffici giudiziari ci sono dei circoli virtuosi o viziosi che si autoalimentano. Infatti, se un ufficio giudiziario è efficiente, quindi riesce a fare i processi velocemente, gli imputati tengono in considerazione qualunque istituto vagamente premiale: dunque si patteggia, si abbrevia, si fanno oblazioni e, sicuramente, si richiederà la messa alla prova. Non a caso, a Torino, dove funzioniamo mediamente bene, il lavoro di pubblica utilità ha trovato impiego, perché l'alternativa era una condanna. In questo modo, meno processi arrivano in dibattimento, più il tribunale riesce a rimanere molto efficiente, autoalimentando, quindi, un circolo positivo. Al contrario, se un ufficio giudiziario è lentissimo, nessun avvocato accorto consiglierà di fare qualcosa per velocizzare il processo; di conseguenza, il dibattimento si intasa sempre di più e nessuno mai richiederà questo tipo di istituti.
Noto che la sospensione con la messa alla prova potrebbe determinare una deflazione significativa, ma non abbastanza da invertire i trend negli uffici ormai intasati ed oberati. Nello stesso disegno di legge, è prevista anche la sospensione per irreperibilità dell'imputato, che potrebbe essere in numero più significativo. Mi


Pag. 13

permetto di dire che, forse, andrebbe valutata attentamente la disciplina transitoria perché, applicando già la sospensione per l'assente, a tutti i processi in corso, si potrebbe riuscire non a diluire questi processi - che vengono sospesi - ma a creare un primo impatto decisivo, in modo da dare - per così dire - una scossa e provocare un'inversione di tendenza, per far sì che questi istituti possano trovare applicazione.

GIOVANNI TAMBURINO, Capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. Richiamo quanto ho detto in un'audizione recente presso questa Commissione sullo stesso argomento. Intendo, infatti, completare quella mia relazione e offrire dei dati sul lavoro di pubblica utilità che la volta scorsa non avevo presentato. Si tratta di dati di carattere numerico che, però, possono essere utili a dare un quadro della situazione. A questo proposito, metterò a disposizione della presidenza un fascicolo con tutta la documentazione, che potrà essere diffuso come meglio si riterrà.
Il 31 dicembre 2010 erano in corso 38 applicazioni del lavoro di pubblica utilità, che il 30 giugno 2011 erano passate a 165, mentre il 15 giugno 2012 siamo arrivati a 1.443 casi. L'incremento, poc'anzi definito come esponenziale, trova effettivo riscontro in questa esplosione numerica, che è ulteriormente cresciuta nell'ultimo mese.
Il dato di Piemonte e Valle d'Aosta, riferibile, appunto, al 15 giugno 2012, è di 415 casi, con il primato italiano. In Lombardia, che segue al secondo posto, i casi sono 281. Con 179 applicazioni abbiamo, poi, il Triveneto; seguono con 100 l'Emilia Romagna e con 102 la Liguria. Vi sono differenze consistenti con le altre regioni, salvo la Toscana, che arriva a 85 casi. Nel resto del Paese, si hanno, infatti, numeri molto bassi.
Tra le varie spiegazioni di questo divario, la più ovvia è legata alle note differenze della situazione economica e del lavoro nel nostro Paese; un'altra differenza - che potrebbe essere significativa - è che l'abuso di alcol non è uniformemente distribuito nel territorio nazionale. Dico questo perché i casi di applicazione in relazione agli articoli 186 e 187 del codice della strada fanno la parte del leone; infatti, sono ben 932 su 1.443. Tutti gli altri reati coprono la differenza, che è di circa 500 casi. È interessante notare che, per quanto riguarda la norma sugli stupefacenti, che, all'articolo 73, comma 5-bis del citato testo unico delle leggi in materia di stupefacenti richiama il lavoro di pubblica utilità, i casi di applicazione sono soltanto 21, sempre alla data del 15 giugno scorso.
C'è da chiedersi perché si sia avuta questa enorme variazione in così breve tempo. Certamente, una risposta è legata all'intervento della legge n. 120 del 2010, recante disposizioni in materia di sicurezza stradale, che, come tutte le leggi, ha un'applicazione non immediata, ma con una certa dilazione temporale. Un'altra è senz'altro quella indicata dalla collega, cioè un intervento differenziato da parte dei tribunali e dei presidenti dei tribunali che hanno risposto in modo diversificato rispetto alla delega per la stipula delle convenzioni, per cui abbiamo il tribunale di Torino, che è all'avanguardia, ma anche quello di Milano e altri che hanno agito in maniera positiva.
Ritengo che uno dei fattori sia riferibile anche al lavoro svolto dalla direzione generale dell'esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che è intervenuta ripetutamente in un'opera di sensibilizzazione, anche attraverso circolari e la costituzione di tavoli di lavoro in molte località italiane. Credo che di questo possano senz'altro dare atto i colleghi presidenti di tribunale e gli altri magistrati che si occupano di questo settore.
Anche per ragioni di brevità, andrei a concludere. Resto a disposizione per eventuali chiarimenti che mi saranno richiesti. Vorrei solo aggiungere alcuni punti critici che potrebbe essere utile risolvere in sede legislativa in relazione al rapporto tra l'UEPE e la polizia per quanto riguarda l'attività di controllo. I due atti legislativi prevedono infatti due soluzioni diverse, mentre ritengo che sia opportuno trovare


Pag. 14

una soluzione unica. Dal mio punto di vista, credo che la soluzione più ragionevole sia di affidare agli UEPE la gestione di queste misure. Si tratta, naturalmente, di una gestione che non è solo di sostegno, ma anche, appunto, di controllo. Tuttavia, un controllo affidato agli UEPE è comunque diverso da quello affidato alle polizie generaliste. Inoltre, forse, con questo intervento normativo si potrebbe prevedere che gli UEPE siano rafforzati attraverso la polizia penitenziaria. Ecco, direi che questo potrebbe essere utilmente accompagnato dalla previsione ulteriore - se si accede a questa prospettiva che considererei positivamente - di un'attribuzione temporanea di tale compito alla polizia penitenziaria, proprio a evitare che vi sia il fenomeno, che già si registra, della fuga di una parte crescente della polizia penitenziaria dagli istituti. Pertanto, si potrebbe prevedere una temporalità, cosa anche coerente con una visione complessiva della pena, della sanzione e delle misure come un qualcosa di unitario e di armonico, per cui la pena stessa prevede un'evoluzione da un inizio a una fine.
Vi è, poi, la previsione della competenza sia dei presidenti dei tribunali sia del Ministero in relazione alla stipula delle convenzioni. Ecco, questo potrebbe - ipoteticamente - aver portato a un'inerzia, a un ritardo o a qualche sgravio di competenza o di responsabilità da parte del Ministero. Questa ipotesi, forse, non è lontanissima dalla realtà, per cui si potrebbe prevedere un modo di raccordare queste due competenze affinché ottengano il massimo risultato.
L'ultimo punto riguarda una problematica di carattere teorico, con ricadute anche pratiche. Mi riferisco alla considerazione del lavoro come tale. Infatti, sulla concezione del lavoro ricadono varie tensioni. Da un lato, esso è visto come elemento del recupero, quindi il lavoro è e deve essere recupero sociale; dall'altro, invece, è considerato come sanzione. Ora, a volte è retribuito, altre volte non lo è. Questo può sembrare un discorso teorico. Tuttavia, se non viene fatto in questa sede, mi chiedo dove possa essere fatto. Ciò, infatti, può determinare un problema di chiarezza e riconoscibilità, quindi anche un problema di incertezza di carattere teorico, che, però, si riflette nei comportamenti e nelle scelte della magistratura.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Tamburino, anche di questa integrazione di audizione. I dati che ci ha fornito oggi sono a disposizione di tutta la Commissione.
Nel ringraziarlo della presenza, do ora la parola al dottor Paolo Mazzoni, direttore delle relazioni esterne di 3M Italia.

PAOLO MAZZONI, Direttore delle relazioni esterne di 3M Italia. Innanzitutto, vorrei fare una premessa velocissima. Normalmente la nostra azienda effettua le sue audizioni a livello confindustriale. Tuttavia, non avendo nessun riferimento all'interno di Confindustria in questo settore, ci siamo permessi di chiedere la vostra attenzione. Per questo abbiamo fatto una domanda a titolo personale, che è stata accolta.

PRESIDENTE. I relatori hanno ritenuto che fosse utile.

PAOLO MAZZONI, Direttore delle relazioni esterne di 3M Italia. La ringrazio. Riteniamo che questo sia il momento ideale per lavorare assieme per capire meglio l'utilizzo di dispositivi come i braccialetti elettronici che, più volte, in questi anni hanno ricevuto critiche, soprattutto per mezzo della stampa. Oggi, vogliamo portare un punto di vista che consideriamo privilegiato, perché abbiamo un osservatorio di tipo mondiale su questo mercato. Quindi, possiamo portarvi dei dati, che non vorrei citare integralmente, essendo molto numerosi. Mi limiterò ad accennarne solo alcuni, rimandando, per gli altri, ai documenti che vi chiediamo di depositare agli atti.
Questo momento è particolare, perché ci sono questi progetti di legge oggi all'esame. Certamente, abbiamo delle idee dal punto di vista industriale, di cui, però, parlerò alla fine del mio intervento.


Pag. 15


Vi sono ambiti di utilizzo di questi dispositivi già sperimentati in Paesi importanti della Comunità europea, senza parlare degli Stati Uniti dove sono in uso da diversi decenni. Riferendoci ai Paesi più vicini a noi - Inghilterra, Scozia, Germania, Francia, Spagna e via dicendo - vi abbiamo portato un'indagine, che troverete tra i documenti che vi lasciamo. Ci dispiace che il testo sia in inglese, ma non abbiamo voluto tradurlo, perché non ci siamo voluti azzardare a tradurre un documento ufficiale di un'indagine, anche perché è un linguaggio che non ci appartiene. A ogni modo, abbiamo cercato di sintetizzare i contenuti più salienti in un documento in italiano, che pure troverete depositato agli atti.
Gli ambiti di utilizzo emersi da questa famosa e importantissima indagine condotta dal CEP (The European Organisation for Probation) - un'organizzazione europea autonoma che si interessa delle pene alternative alla detenzione in carcere proprio per evitare il problema che l'Italia vive sulla sua pelle, ovvero il sovraffollamento carcerario, con tutte le conseguenze che conoscete - partono dagli arresti domiciliari, ma si stanno evolvendo, visto che la tecnologia progredisce, in altri casi fino a oggi sconosciuti. Vi è certamente anche quello di monitorare i detenuti all'interno delle stesse carceri, per evitare avvicinamenti pericolosi fra soggetti che non dovrebbero entrare in contatto. Parliamo, quindi, di arresti domiciliari presso il proprio domicilio, ma anche di monitoraggio presso la stessa casa di detenzione.
Inoltre, i braccialetti elettronici si stanno utilizzando anche per un fenomeno attualmente molto rilevante, ovvero lo stalking. Per esempio, in Spagna - pur essendo tale Stato in un periodo di fortissima spending review - questa è stata una delle poche voci del bilancio nazionale che è stata rifinanziata, perché lì sono state calcolate circa 60-65 donne vittime di compagni o mariti: per questa ragione, tutti i casi di stalking denunciati sono sottoposti a monitoraggio elettronico.
Un'ultima applicazione che si sta effettuando, con grande successo, è quella di monitorare i soggetti sottoposti al cosiddetto Daspo (divieto di accedere alle manifestazioni sportive), per tenere lontani dagli eventi sportivi molto affollati, per esempio, gli hooligan. Non a caso, questo strumento è molto usato in Olanda.
Procedendo rapidamente, in questo documento abbiamo voluto evidenziare che l'esperienza italiana, purtroppo, non rientra nell'indagine che trovate nel documento in inglese, perché l'Italia è l'unica che non ha dato riferimenti in quanto, pur vantando un antico inizio, che risale ai tempi dei Ministri Bianco e Fassino, se ben ricordo, in oltre dieci anni si è parlato di una sperimentazione che, di fatto, non c'è mai stata. Infatti, sono stati adoperati pochissimi braccialetti, che avrebbero dovuto, nel tempo, essere applicati fino a un massimo di 500 persone. Credo, però, che alla terza o quarta persona la sperimentazione si sia fermata, quindi, sia fallita o, meglio, mai iniziata.
Questo, da una parte, ha rappresentato un costo enorme per la collettività, perché sapete tutti quanto sono costati questi braccialetti e, dall'altra, non ha portato nessun risultato, anzi si è diffuso un concetto negativo di questa tecnologia che, invece, in altri Paesi, ben sfruttata e sperimentata, ha portato oggi a dei vantaggi enormi. Parliamo di Paesi, come l'Inghilterra e la Scozia, che hanno adottato il sistema dal 1989 e dove, attualmente, si hanno 25.000 detenuti per reati minori sottoposti a questo regime.
I benefici sono evidenti, perché siamo in un periodo, in Italia, nel quale la spending review dovrà riguardare tutte le voci di bilancio. Ecco, questo strumento potrebbe dare una mano significativa al nostro bilancio. Per esempio, nel caso francese, che troverete evidenziato in una carta, il Ministero della giustizia ha stimato un 50 per cento di risparmio, se comparato con le spese del detenuto. Inoltre, ci sarebbe un migliore impiego delle forze di polizia, sia di quella penitenziaria sia di quelle generaliste, che sono costrette a fare i controlli presso i domicili. Infine, ultimo motivo, ma non l'ultimo, si avrebbe un miglioramento del livello sociale e della


Pag. 16

qualità di vita dei detenuti. Non dimentichiamo, infatti, che ci sono circa 54 detenute madri con figli nelle carceri.
Dal 2001 a oggi, la tecnologia si è evoluta tantissimo. Ci sono, peraltro, diverse tecnologie integrabili fra loro. Oggi il sistema utilizzato in Europa è completamente diverso da quello che è stato usato in Italia. Mi permetto, quindi, di parlare a nome del mercato e non della mia azienda. Vi chiediamo di non lasciare da solo il giudice nel momento in cui dovrà decidere se utilizzare o meno questo strumento. Secondo il nostro osservatorio, probabilmente andrà creata, come nel resto d'Europa, una griglia di reati minori per i quali, quasi in automatico, sia definito l'utilizzo di questi dispositivi, dopodiché la decisione finale spetta, ovviamente, al giudice.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RITA BERNARDINI. La prima osservazione è sull'ordine dei lavori. Vorrei sapere perché è stata scelta un'impresa che ci ha spiegato tutto riguardo ai braccialetti elettronici.

PRESIDENTE. Vi è stata una richiesta degli onorevoli Ferranti e Costa, relatori dei progetti di legge in esame, che si è ritenuto di accogliere nell'ambito di una riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.

RITA BERNARDINI. Ritengo che tutto questo sia significativo, perché in Italia ve ne sono almeno altre dieci di imprese in grado di presentarsi a questa Commissione.

PRESIDENTE. Faccio presente che già in passato è stata fatta analoga richiesta per un'altra azienda, che è intervenuta in audizione. Inoltre, ricordo che nell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si prende atto delle maggioranze. In questo caso, c'è stato addirittura un accordo in relazione alla richiesta degli onorevoli Ferranti e Costa.

RITA BERNARDINI. Mi sembra, comunque, che non sia normale. Detto questo, la mia domanda è rivolta al direttore del DAP (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), Tamburino. In questi giorni sta accadendo qualcosa di drammatico nelle carceri. Ho provato a fare un'interrogazione, ma non riuscivo a finirla, perché nel carcere di Teramo sono morte due persone nel giro di ventiquattro ore e mentre la stavo concludendo un'altra si stava suicidando. Credo che occorra dare immediatamente una risposta rispetto a quello che sta avvenendo nelle carceri italiane. La domanda è se questo disegno di legge delega è adeguato ad affrontare l'attuale situazione di emergenza delle carceri italiane, che sono illegali.

GUIDO MELIS. Vorrei porre due domande secche. La prima è rivolta al dottor Tamburino, che forse è la persona che mi può rispondere meglio, o anche agli altri auditi che possano darmi una risposta. Abbiamo dei dati sui tempi che richiedono queste convenzioni? Si è pensato eventualmente di abbreviarne le procedure?
La seconda domanda si riferisce a quanto ha detto la dottoressa Salvadori che ha accennato a una prassi di sperimentazione prima della convenzione. Questa prassi è già estesa ad altri casi o si può estendere ad altri casi?

MARILENA SAMPERI. Vorrei solo capire se queste nuove tecnologie per i braccialetti elettronici rendono inutilizzabili quelle che sono state già acquistate dal nostro Paese, vanificando quella spesa.

DONATELLA FERRANTI. Vorrei innanzitutto ringraziare gli auditi del contributo. Vorrei fare una domanda al professor Caprioli, che ci ha posto delle riflessioni non solo processuali, ma relative alla filosofia del provvedimento. Partendo dal discorso che questa sospensione


Pag. 17

del procedimento con messa alla prova sembra una specie di provvedimento anticipatorio di una condanna senza accertamento di responsabilità, anche perché finora la sperimentazione dei lavori di pubblica utilità sono connesse a sentenze di condanna, vorrei chiedere al professore se ritiene che, dal punto di vista processuale, questo problema possa essere superato, dal momento che c'è, come nel patteggiamento, un consenso, ovvero la richiesta dell'indagato o dell'imputato, o se crede che la sospensione sia da prevedere quando c'è la richiesta di rinvio a giudizio. Insomma, vorremmo un apporto costruttivo su questo punto.
Al capo del DAP, che ringrazio per essere intervenuto una seconda volta, vorrei porre una domanda, con riferimento al carico, all'organizzazione e alla pianta organica dell'UEPE. Infatti, negli articolati che abbiamo abbinato al disegno di legge - vi sono degli articolati perché avremmo intenzione di procedere con delle norme immediatamente precettive, anziché con una delega - il carico di esecuzione della messa alla prova ricade sull'UEPE. Vorremmo, quindi, capire se crede che ci debba essere un adeguamento di pianta organica, se ritiene sufficiente l'organizzazione attuale ed eventualmente quali modifiche possono essere apportate dal punto di vista organizzativo, anche ministeriale, per l'attivazione di queste convenzioni.

ENRICO COSTA. Chiederei un chiarimento al professor Caprioli sotto il profilo della filosofia e della sistematicità della norma. Ho percepito che questa norma potrebbe, in un certo senso, avere una valenza o dare un'idea diversa rispetto all'intenzione del legislatore e, in particolare, del Governo. Si può correggere questa impostazione? Se sì, come si può correggere in coerenza con lo spirito del legislatore e del Governo, che non vuole certamente una condanna o una pena sostitutiva rispetto alla pena principale, ma uno strumento che sia deflattivo e che tenga in considerazione che si tratti di reati che sono puniti con una pena più lieve?
Un ultimo aspetto riguarda le convenzioni e il percorso che è stato adottato con risultati pregevoli dal tribunale di Torino. È possibile consigliare al legislatore, anche in termini pratici, attraverso degli inserimenti normativi, dei percorsi, degli schemi o delle indicazioni che possano essere contenuti in una norma di carattere generale, quindi osservabile da parte di tutti gli operatori che saranno chiamati a porre in essere delle convenzioni? Visto che ci sono delle sperimentazioni che hanno avuto un buon risultato, sarebbe utile fare in modo che vengano adeguatamente recepite anche altrove.

PRESIDENTE. Faccio presente che non appena inizieranno le votazioni in Assemblea dovrò immediatamente sospendere la seduta. Prego, dunque, gli auditi - per evitare di farli ritornare - di rispondere eventualmente con una nota scritta. Provo, comunque, a darvi la possibilità di rispondere.
Do quindi la parola ai nostri ospiti per la replica.

FRANCESCO CAPRIOLI, Professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Bologna. In questo provvedimento vedo - ripeto - un problema di sintassi giuridica minima, ma anche di etica normativa. Occorre chiamare le cose con il proprio nome. Il fatto che ci sia il consenso non è del tutto dirimente. Il tempo a mia disposizione è molto limitato. Tuttavia, vorrei dire che la possibilità di non pervenire a una sentenza di condanna, accordandosi con l'imputato perché presti attività socialmente utile e quant'altro, è conosciuta in alcuni ordinamenti sotto forma di desistenza dall'azione penale vera e propria. Per esempio, l'archiviazione condizionata è un istituto conosciuto nel sistema tedesco.
Bisogna, però, stare molto attenti a non rendere questa attività troppo afflittiva perché, anche in presenza di un consenso, si potrebbe configurare ciò che a norma dell'articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sarebbe un lavoro forzato e obbligatorio. Infatti, il consenso


Pag. 18

- come ha detto la Corte europea dei diritti dell'uomo in una risalente ma importante decisione - non elimina il problema, se l'offerta diventa troppo allettante. In pratica, se, per non correre il rischio di incappare in una sentenza di condanna, che potrebbe anche essere a pena detentiva ed essere eseguita, si ha il commodus discessus della prestazione di un'attività lavorativa, che nei suoi contenuti concreti potrebbe rivelarsi anche poco afflittiva, il rischio è che, piuttosto di affrontare i pericoli di un processo si dia il consenso a una prestazione che, comunque, ha un contenuto afflittivo. Non so se mi spiego.
Alla base c'è il principio per cui nessuna pena può essere inflitta se non sulla base di un riconoscimento di colpevolezza, per cui l'alternativa è o attenuare i contenuti afflittivi di questa misura sostitutiva fino a renderla, però, troppo appetibile, quindi soggetta alle critiche della Corte europea, oppure - com'è stato fatto in questo disegno di legge - equipararla totalmente ai contenuti di misure sanzionatorie, scardinando, in questo modo, una regola fondamentale, quella per cui le pene possono conseguire soltanto alle sentenze di condanna.
Ho avuto informazioni confortanti da questa nostra audizione odierna, perché ero fermo ai vecchi dati. Se il lavoro di pubblica utilità può effettivamente funzionare, ragioniamoci in termini di sanzione sostitutiva applicata con una sentenza di condanna. Questo ci consentirà anche di ragionare in maniera meno ipocrita sul rapporto con la sospensione condizionale. Altrimenti, il rischio è di far sparire all'interno del processo - sostenendo che si tratta di soluzioni tutte quante processuali - due sentenze di condanna. Far espiare la pena all'interno del processo, oltre a creare gravi squilibri di carattere sistematico, diventa, infatti, un'operazione non del tutto trasparente dal punto di vista dell'etica politica, della politica criminale.

ALESSANDRA SALVADORI, Giudice del Tribunale di Torino. Ci vengono chiesti chiarimenti sui tempi delle convenzioni. Se si trova qualcuno disposto a farle, i tempi sono brevissimi. Abbiamo anche portato - ma potremmo inviarvene altri, insieme a una relazione scritta - uno schema standard di convenzione, che riporta tutto ciò che occorre. Si tratta, insomma, di un incontro.
Per quanto riguarda le convenzioni in itinere, è stata una nostra forzatura alla disposizione, cioè al decreto ministeriale 26 marzo 2001, che prevedeva che il lavoro di pubblica utilità si svolgesse presso enti convenzionati. Proprio per incentivare il meccanismo, abbiamo ritenuto che anche chi si dichiarava disponibile a sottoscrivere una convenzione, nelle more, si potesse ritenere convenzionato. Questa potrebbe essere una di quelle norme generali che appaiono utili - se si vogliono codificare le buone prassi - inserendo come condizione per poter attivare il lavoro di pubblica utilità non tanto la previa sottoscrizione della convenzione, quanto la sussistenza dei requisiti precedentemente determinati. Poi, se l'ente ha quei requisiti e si impegna a rispettare le norme assicurative e quant'altro, si può procedere.
L'ulteriore prassi codificabile potrebbe essere il riconoscere la possibilità all'ente di negare la disponibilità. Infatti, questo aspetto ha molto tranquillizzato gli enti. Infine, in estrema sintesi, vi è l'ufficio unico tra procura e tribunale, che rappresenta un'importante semplificazione burocratica.

GIOVANNI TAMBURINO, Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sarò anch'io estremamente sintetico. Per quanto riguarda la possibilità degli uffici UEPE di far fronte anche a quest'ulteriore compito con le attuali piante organiche, direi che sarebbe opportuna l'integrazione a cui facevo riferimento sia con il personale della polizia penitenziaria, sia, forse, con un'integrazione dell'organico, anche se so bene che in questo momento non è una prospettiva realistica. D'altronde, fino a questo momento abbiamo 1.400 casi sparsi sul territorio nazionale, quindi non sono numeri grandissimi. È auspicabile, però, che aumentino parecchio, per cui il carico


Pag. 19

di lavoro potrebbe essere tale da richiedere anche un incremento dell'organico non appartenente alla polizia penitenziaria, che mi auguro, possa aversi con un piccolo travaso dalla polizia penitenziaria agli UEPE, con la modalità della temporaneità, per evitare il fenomeno della fuga di cui dicevo.
Per quanto riguarda le domande degli onorevoli Melis e Costa, è già stata data una risposta sui tempi. È chiaro che i tempi delle convenzioni sono lunghi soprattutto all'inizio perché, in quella fase, sono laboriose, dopodiché si possono assomigliare tutte, quindi i tempi sono molto più rapidi.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Bernardini, posso solo dire che il DAP fa tutto quello che è umanamente possibile con le risorse delle quali dispone e che questa proposta di legge - come dissi all'uscita della scorsa audizione - certamente non è tale da poter risolvere, da sola, tutti i problemi dell'esecuzione penale in Italia: ciononostante, può avere una ricaduta positiva. A questo riguardo, non ometto mai di esprimere una lode al Parlamento italiano per le leggi approvate sulla detenzione domiciliare del 2009 e del 2011 perché, attualmente, senza quelle due leggi, applicate a circa 7.000 casi in tutta Italia, avremmo - questo è un dato matematico - almeno 75.000 detenuti.

ALBERTO BO, Responsabile del settore track and trace di 3M Italia. L'evoluzione tecnologica non intacca minimamente la struttura che è stata creata in Italia, che assicura la copertura del territorio nazionale. Eventualmente, la può migliorare o integrare, ma non la intacca.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti per il loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione. Dichiaro altresì conclusa l'indagine conoscitiva.

La seduta termina alle 15,10.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive