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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
4.
Mercoledì 17 febbraio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

Audizione, in relazione all'esame della proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi, di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali italiane e del Consiglio nazionale forense:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 5 9
Ciuffetelli Amedeo, Componente della giunta dell'Associazione italiana giovani avvocati ... 8
De Tilla Maurizio, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana ... 3
Saldarelli Luca, Vicepresidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana ... 5
Sileci Giuseppe, Presidente dell'Associazione italiana giovani avvocati ... 7

Audizione, in relazione all'esame della proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 10 11 12 15 17 21 22
Balsamo Antonio, Componente dell'Associazione nazionale magistrati ... 22
Capano Cinzia (PD) ... 13
Ciriello Pasquale (PD) ... 15
Ferranti Donatella (PD) ... 21
Follegot Fulvio (LNP) ... 12
Napoli Angela (PdL) ... 12
Natoli Gioacchino, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 18
Palamara Luca, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 10 15 17 22
Paolini Luca Rodolfo (LNP) ... 15
Rossomando Anna (PD) ... 13
Touadi Jean Leonard (PD) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 17 febbraio 2010


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 10,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione, in relazione all'esame della proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi, di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali italiane e del Consiglio nazionale forense.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione del principio della ragionevole durata del processo, l'audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali italiane e del Consiglio nazionale forense, con particolare riferimento alla proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi.
La Commissione giustizia ha già audito i componenti del tavolo tecnico in materia di piante organiche degli uffici giudiziari istituiti dal CSM e il presidente del Tribunale di Milano, la dottoressa Livia Pomodoro.
Ringrazio i presenti, che tornano a trovarci, e chiedo scusa se a volte i tempi di convocazione concedono un preavviso minimo, ma spesso i lavori della Commissione subiscono variazioni che non siamo in grado di prevedere con sufficiente anticipo.
Solitamente l'organizzazione dei nostri lavori prevede un'illustrazione, per quanto possibile sintetica, da parte dei soggetti auditi e, in seguito, la risposta alle domande eventualmente formulate dai componenti della commissione. Qualsiasi tipo di documento che vogliate lasciare agli atti della Commissione sarà oggetto poi di approfondimento da parte dei singoli commissari.
Do quindi la parola agli auditi.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana. Grazie. Esporrò una breve premessa e affronterò le questioni relative alla legge Pinto, mentre il vicepresidente Saldarelli tratterà la parte penale del processo breve. Ringrazio il Presidente e la Commissione per questo invito molto apprezzato. Abbiamo già depositato due documenti agli atti della commissione, che intendiamo sintetizzare oralmente, con qualche integrazione.
Il tema del progetto di legge sul processo breve,varato dal Senato è importantissimo, perché quando arriveremo al processo breve la giustizia italiana sarà sistemata. Per arrivare al processo breve, però, è necessario partire dalla testa e non dalla coda. Dobbiamo adoperarci tutti, la politica innanzitutto ma anche l'avvocatura e la magistratura, ad affrontare i punti nodali per assicurare un reale processo


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breve. Per alcuni sono già in corso alcuni provvedimenti presentati dal Ministro della giustizia.
È necessario dotare la macchina giudiziaria di strumenti adeguati, attraverso l'attuazione del processo telematico su tutto il territorio, non a macchia di leopardo, la previsione di risorse umane adeguate sia strutturali sia dal punto di vista dei giudici impiegati, dare una configurazione alla figura del giudice laico, che è integrativa perché ha un terzo o un quarto della giustizia - c'è un'iniziativa del Governo e anche dell'Organismo unitario dell'avvocatura e il testo di legge è stato presentato sullo schema da noi indicato -, la produttività del giudice, un numero inferiore di avvocati, quindi una fondamentale riforma della professione forense. Questo è in sintesi l'insieme di tutte le cose da fare, cui possiamo dire aggiungere infine una legge che fissi termini per i gradi di giudizio. Senza tutto questo ho descritto, però, è tutto completamente inutile, perché rimarrebbe solo legge stampata, ma non attuata.
L'avvocatura vuole collaborare, per cui abbiamo promosso una serie di iniziative e di suggerimenti al Parlamento e al Ministro della giustizia, che però nella sua relazione al Parlamento ha elencato tutti i punti da noi sintetizzati.
Per quanto riguarda la legge Pinto, non ci piace la formulazione, che riteniamo anche in contrasto con la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e con la Carta costituzionale (articoli 3 e 111). È necessario ragionare sulla razionalità delle norme, per cui chiedersi che senso abbia prevedere una istanza che debba essere presentata nel semestre della scadenza del termine, laddove un'udienza può essere fissata e si può presumere che la causa venga decisa nel semestre, ma può invece essere rinviata di sette anni, come accade alla Corte di appello di Venezia, a Roma con i rinvii al 2014, a Catanzaro al 2018.
Ci chiediamo quale sia il senso di un'istanza, giacché sappiamo come alcuni processi vengano rinviati a tempi immemorabili. Si tratta inoltre di un'istanza contro un giudice, perché si fa istanza a un giudice che deve provvedere con un meccanismo di urgenza. Questo equivale a prevedere termini perentori all'attività del giudice, cosa che non è stata fatta in nessuna riforma processuale.
Il giudice risponde di non poter accelerare i tempi, e si apre un inutile procedimento disciplinare contro un giudice, che dimostrerà di non poter trattare quella causa nei termini indicati.
Un altro risvolto irrazionale è che tutti gli avvocati presenteranno le domande nel semestre, ritenendo che tutti i processi possano svolgersi nel semestre anteriore alla scadenza, attraverso una procedura celere. Trascorso un anno e mezzo, consiglierei a tutti i colleghi di presentare domanda per tutti i processi. Tutti i giudici dovrebbero quindi accelerare facendo «macelleria giudiziaria», ovvero decidendo anche se la causa non è istruita, pubblicando una sentenza sintetica, neppure motivata. Questo termine andrebbe dunque a discapito della qualità dell'intervento giudiziario, il che non è possibile.
Questa norma deve quindi essere cancellata, perché è in contrasto con la realtà di fatto. È inoltre necessario aggiungere che questa norma appare oltretutto classista, perché la norma stabilisce di liquidare in base al valore della domanda. Come avvocati civilisti sappiamo che le situazioni più drammatiche riguardano la povera gente: la causa del lavoro anche di piccolo importo, la causa di abitazione anche di piccola dimensione. Il risarcimento viene dato in base non al danno economico, ma allo stress, che è legato non oggettivamente al valore della domanda, ma soggettivamente all'individuo e alla sua collocazione sociale.
Ciò sarebbe anche in contrasto con la Carta costituzionale, e darebbe anche all'Europa e alla Corte è di giustizia un'indicazione di quello che questo Paese non è, perché non si fanno leggi classiste, per cui, se l'interesse è maggiore, maggiore è il risarcimento.
Consideriamo completamente inappropriata la riduzione ad un quarto, come abbiamo ampiamente esplicitato nella nota presentata alla commissione.


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La maggior parte delle scelte che sono state fatte non vanno, perché si tende non a perfezionare un procedimento, ma a renderlo il più possibile contenuto nella durata, anche se ci rendiamo conto che lo Stato è condannato a pagare somme incredibili, che in realtà sono irrilevanti perché, se tutti facessero causa allo Stato, le somme sarebbero dieci o venti volte maggiori.
Lo Stato paga infatti un risarcimento legato al mancato rispetto della normativa europea nei confronti dei cittadini, perché vengono previsti sei o sette anni, perché il processo da lungo dieci o quindici anni non può diventare brevissimo di tre anni, per cui consideriamo illogico l'intervento relativo alla legge Pinto, che è una norma di civiltà di un Paese e può servire da stimolo.
Abbiamo fatto anche qualche osservazione subordinata di funzionamento, ma siamo contrarissimi e convinti che questa legge non possa assolutamente intervenire sulla legge Pinto, perché sarebbe incostituzionale, sbagliato, rappresenterebbe un passo indietro. Lo Stato deve stanziare maggiori risorse, perché, piuttosto che pagare danni enormi a una parte dei cittadini, è più opportuno spendere non per il risarcimento, ma per attrezzare la giustizia attraverso varie formule. Se riterrete, possiamo indicare una serie di documenti di tutta l'avvocatura, di cui siamo l'organismo congressuale, ispirati principalmente alla posizione che da tempo si sta consolidando all'interno dell'avvocatura.
Desidero esprimere una considerazione con la franchezza degli avvocati che intervengono in audizione. C'è stato il lodo Alfano, ci sono progetti di legge sull'impedimento e ulteriori iniziative di modifica della Costituzione. Riteniamo che chi è all'apice del Governo debba essere sempre giudicabile, ma non durante il proprio mandato. Siamo quindi favorevoli a un intervento normativo in questo senso, perché il Paese non riesce più ad andare avanti, perché quasi tutta l'attività legislativa si è concentrata sulla possibilità che durante il mandato non si celebrino i processi, che poi si celebreranno successivamente.
Di tutte le ipotesi, però, questa è la peggiore, perché, mentre l'impedimento, il lodo o l'immunità sono dirette alle cariche apicali dello Stato, questo è diretto a milioni di cittadini che chiedono di essere giudicati e assolti, perché altrimenti rimane l'accusa infamante, rimangono le prove acquisite, quindi c'è anche un interesse di chi deve essere prosciolto.
Per i reati di corruzione è attualmente impensabile un condono, perché il Paese è stato infettato dalla corruzione, che si trova non all'apice, ma all'interno di tutto il tessuto sociale. Non si può fare una cosa che è diretta a uno scopo che può essere perseguito con altre leggi. La giustizia avrebbe un impatto negativo da questa legge. La motivazione seria non è tanto l'applicazione riguardante il Presidente del Consiglio o i Ministri, ma che, a fronte di questo beneficio necessario, si intervenga sulla giustizia rendendola non più minacciosa, perché verrebbe estinta una serie di reati di grande allarme sociale, sia pure al di sotto dei dieci anni.
La parte penalistica propria del processo sarà svolta dal vicepresidente Saldarelli.

PRESIDENTE. Grazie. Le considerazioni esposte sono comunque raccolte in un documento che è a disposizione dei commissari. Ricordo inoltre che della seduta odierna sarà redatto un resoconto stenografico. Passerei ora agli aspetti e ai profili penalistici.

LUCA SALDARELLI, Vicepresidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana. Sarò breve, perché il documento indica con precisione i rilievi che l'OUA ha inteso muovere a questa normativa in fieri, partendo da un obiettivo dato di fatto rappresentato dall'articolo 111 della Costituzione.
Il fine ultimo di tutti gli strumenti che si debbono apprestare per il processo e nel processo è quello di avere un giusto processo. Nell'ambito della giustizia del processo


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è compreso inevitabilmente anche che il processo si concluda in tempi ragionevoli, ma è solo uno degli obiettivi, solo uno dei mezzi attraverso il quale si realizza il principio costituzionale del giusto processo.
Mi permetto di sottolineare come quel famoso articolo 111 sia ancora in gran parte inattuato, se è vero che gli altri cardini del giusto processo sono quelli del pieno contraddittorio e della parità tra le parti. È inutile rinfocolare un'antica polemica o una vexata quaestio: sicuramente dobbiamo connotare con profondo disfavore il fatto che nel corso di moltissimi anni non si sia pervenuti a una normativa che introducesse in via definitiva la separazione delle carriere dei ruoli tra i giudici e i magistrati inquirenti. Tale riforma avrebbe dovuto essere realizzata prima dell'entrata in vigore del nuovo processo penale nel lontano 1988. Oggi, nel 2010 ancora dobbiamo combattere per avere bricioli di parità e un contraddittorio serio.
La durata del processo è un elemento di gravissimo disagio professionale e sociale come anche la prescrizione, perché quando un giudice si alza in piedi e legge una sentenza di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione è una sconfitta dello Stato, perché i cittadini, che da quel processo si attendevano comunque una risposta di accertamento positivo o negativo del fatto e della sua attribuibilità a un soggetto piuttosto che a un altro, ne escono oggettivamente sconfitti.
Ci dimentichiamo troppo spesso nel nostro ordinamento delle persone offese dal reato. Ci chiediamo cosa diremo loro quando, decorso il termine di perenzione dell'azione penale, dovremo ammettere di aver scherzato perché il processo non si conclude.
Credo che la ragionevole durata del processo debba essere letta e interpretata nel senso di essenziale componente di un sistema giustizia, che però dovrebbe tendere inevitabilmente a evitare che un processo finisca con una sentenza di estinzione dell'azione penale. Questa è una negazione in termini della stessa idea di un processo, che si interrompe perché quell' azione penale si è esaurita per il semplice decorso del tempo.
Anche se sono stati accennati nel documento, tralascio i problemi di compatibilità di questo nuovo istituto con la prescrizione di natura sostanziale. A questo punto, dovremmo effettuare una scelta. Nel momento in cui si dovesse introdurre una prescrizione processuale, dovremmo dire che fine faccia la prescrizione sostanziale e se sia corretto che continui a correre anche dopo l'esercizio dell'azione penale, perché a quel punto la sanzione sull'esercizio dell'azione penale effettuata in ritardo nel grado dibattimentale dovrebbe essere rappresentata dalla perenzione dell'azione penale. Ci chiediamo però che fine faccia la prescrizione sostanziale del reato. Nello spirito e nell'esigenza unanimemente avvertita di migliorare il servizio giustizia non rientra l'introduzione di un istituto spurio, che nel nostro sistema non è mai esistito e che rappresenta un'insanabile cesura nella cultura giuridica italiana, nel rapporto sociale con i cittadini italiani, e soprattutto rappresenta un atto di resa della potestà dello Stato che si esercita anche e soprattutto attraverso il processo penale.
Ci siamo permessi quindi di esprimere un valutazione seriamente dubbiosa sulla effettiva possibilità di introdurre questo tipo di normativa in un tessuto giuridico quale quello del processo penale, che è ancora costellato di buche, di avvallamenti, di difficoltà, di inadempimenti, di aspetti rimasti inattuati, e rappresenterebbe un istituto così forte da indurre necessariamente a un inevitabile sacrificio del diritto di difesa.
Pur di non incorrere nella estinzione dell'azione penale, infatti, i magistrati baderebbero esclusivamente all'esito finale del processo e per un naturale principio di autodifesa tenderebbero a non ammettere prove complicate, prove peritali, rogatorie, che sono oggi strumenti indispensabili per l'attuazione del diritto di difesa.


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GIUSEPPE SILECI, Presidente dell'Associazione italiana giovani avvocati. La ringrazio, signor presidente, a nome dell'Associazione italiana giovani avvocati per aver voluto prevedere la nostra audizione su questo disegno di legge, la cui importanza è stata già ampiamente sottolineata da chi mi ha preceduto.
Che in questo Paese ci sia bisogno di una giustizia più celere è ormai opinione comune, ma non posso nascondere le nostre perplessità su un disegno di legge che con un effetto a tenaglia vorrebbe rendere più razionale la durata dei processi.
Oggi, mi soffermerò sugli aspetti problematici della legge Pinto, mentre il collega Ciuffetelli esporrà i dubbi che attengono al processo breve.
Per quanto riguarda la visione d'insieme, le perplessità su questo disegno di legge nascono dal fatto che si ha la sensazione per quanto concerne la legge Pinto del tentativo dello Stato di introdurre una serie di strettoie che rendono più difficile e meno agevole l'accesso all'equo indennizzo proprio a causa della oramai enorme mole di condanne che le Corti di appello comminano ogni anno.
Questo ci preoccupa e allo stesso tempo ci costringe a sottolineare il profilo di un'ulteriore ricaduta, che al momento è stata trascurata, perché elevando delle barriere in Italia non si risolve il problema. Questa mole di scontenti e quindi di domande si scaricherà dinanzi alla Corte europea dei diritti umani, e non mi pare che sotto questo aspetto la riforma della legge Pinto possa fronteggiare il fenomeno. Quanto esce dalla porta rientrerebbe quindi dalla finestra come l'esperienza ci insegna, trattandosi di un fenomeno che già si è verificato.
Per quanto riguarda invece il processo breve, abbiamo difficoltà a esprimere un giudizio positivo su una legge che rischia di replicare quello che un mese fa ha denunciato il Ministro Alfano nella sua ultima relazione alle Camere sullo stato della giustizia. L'Italia ha un poco invidiabile primato per numeri di reati che ogni anno si estinguono per prescrizione, ma con l'introduzione di queste norme si rischierebbe di aggiungere a quella tipologia tipicamente italiana di estinzione un'altra fattispecie, che determinerebbe un'estinzione del reato indotta da una moria di processi. Le conseguenze ci preoccupano, così come ci preoccupa che la necessità di assicurare celerità al processo possa comprimere gli inviolabili diritti di difesa, che rappresentano la priorità.
Questo farebbe sì che il cittadino, che già nutre poca fiducia nei riguardi delle istituzioni e del potere giudiziario, si trovi dinanzi a un quadro di assoluto disorientamento, con ricadute negative verso l'aspetto tanto caro a questo Governo di assicurare maggiore sicurezza ai cittadini.
Queste sono dunque le perplessità che accompagnano questo disegno di legge, e sulle quali chiediamo che questa Commissione nell'ambito dei suoi lavori, si soffermi.
Per quanto concerne la legge Pinto, formulerò brevi indicazioni su alcuni profili che meriterebbero una riflessione. Se è apprezzabile che rispetto alle indicazioni della Corte europea dei diritti umani questo Governo voglia mantenere a due anni la durata ragionevole del processo rispetto ai tre normalmente indicati dalla Corte europea, è però opportuno segnalare come la Corte europea distingua, perché per alcuni procedimenti tre anni rappresentano una durata ragionevole, mentre altri come le cause di lavoro dovrebbero ragionevolmente concludersi in un anno. Questa distinzione nel disegno di legge non c'è.
Un altro aspetto, che è già stato accennato, attiene alla quantificazione degli indennizzi in relazione all'accoglimento della domanda. Anche questo non è in linea con ciò che dice la Corte europea dei diritti umani, per la quale il diritto all'indennizzo nasce per il semplice fatto che un cittadino abbia atteso troppo a lungo una sentenza, qualunque sia l'esito.


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Per ciò che concerne l'istanza di spedita definizione, individuo due profili: si ingolferanno le cancellerie e le aule dei tribunali perché presenteremo tutti queste istanze, non so quanti presenteranno un'istanza del genere in un processo penale. Dubito infatti che questo problema si verificherà nelle aule in cui si celebrano i processi penali.
Un'altra questione da sottolineare è quella che trasforma la prima fase da procedimento giurisdizionale a procedimento amministrativo, non richiede l'assistenza tecnica, però attribuisce al le parti una serie di incombenze, perché il Presidente della Corte d'appello esaminerà e deciderà sulla scorta di un fascicolo completo, che sarà a cura della parte produrre.
Non c'è l'assistenza tecnica in questa fase, dopodiché si prevede la possibilità di reclamare, ma allo stesso tempo si prevede altresì che, nel caso di rigetto del reclamo, sia applicata un'ammenda, che è chiaramente sproporzionata perché può essere da 1.000 a 20.000 euro e ha la chiara finalità di scoraggiare il cittadino a impugnare il provvedimento non favorevole, ma è una sanzione che ancor meno si comprende, se si considera che nella fase amministrativa dinanzi al Presidente della Corte d'appello non era prevista l'assistenza tecnica.
Riteniamo che quando si ricorre a un giudice l'assistenza tecnica debba essere sempre prevista e garantita, ma ci sembra ancor più pericoloso escluderla, se poi in sede di reclamo la parte può andare incontro a una condanna pecuniaria così elevata.
Se mi consente, signor presidente, passerei la parola al collega Ciuffetelli per gli aspetti sul processo breve.

AMEDEO CIUFFETELLI, Componente dell'Associazione italiana giovani avvocati. Buongiorno, appartengo al Foro dell'Aquila e indicare in questa sede la mia provenienza geografica mi porterà a citare un esempio che ritengo abbastanza pregnante riguardo ad un articolo del testo del disegno di legge approvato e alla prospettiva di una sua eventuale modifica.
Non ripeterò quanto già detto in ordine agli effetti a macchia di leopardo qualora non si agisca almeno contemporaneamente in ordine quantomeno al riempimento dei vuoti di organico nella magistratura, perché in questo caso si evidenzierebbero prassi virtuose e si creerebbero tombe del diritto dove c'è vuoto di organico. Non mi ripeterò neppure sul discorso del pericolo di compressione delle garanzie difensive.
Desidero però evidenziare con puntualità un aspetto. Il criterio di gravità del reato cui è improntato lo spirito della normativa in esame a nostro avviso è eccessivamente svincolato dal criterio della complessità dell'accertamento del reato. Anche la stessa giurisprudenza della Corte europea nel valutare l'eccessiva durata di un processo tiene anche conto della sua complessità. Ciò significa che il criterio di gravità non può essere assoluto.
Poiché quindi il criterio di complessità entra in gioco soltanto nel testo approvato dal Senato allorché si tratti di reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, sarebbe sufficiente prevedere che il giudice possa non soltanto limitatamente ai reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, ma in ogni caso con ordinanza prorogare tali termini ove rilevi una particolare complessità del processo e vi sia un numero elevato di imputati.
L'elevato numero di imputati comporta tempi che poi vengono sottratti all'effettivo controllo del giudice, quali quello delle notifiche o delle ricerche di un imputato, che non si può far ricadere sul sistema.
Per quanto concerne la mia provenienza geografica, anche reati che non rientrino in queste fattispecie particolarmente gravi, quali quelli per omicidio colposo come nel caso delle indagini sui crolli degli edifici e di altri particolarmente complicati di cui sentiamo parlare quotidianamente, richiedono accertamenti tecnici particolarmente complessi. Anche ciò è sottratto a un diretto controllo del magistrato.


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Al secondo periodo del comma 2 dell'articolo 5 si potrebbe genericamente estendere a tutte le fattispecie di reato la possibilità che il giudice aumenti di un terzo quando si prevede particolare complessità, aggiungere al comma 5 la lettera d) con riferimento alle particolari difficoltà di accertamento tecnico. Quando si dice che il termine è sospeso nei casi di autorizzazione a procedere, nell'udienza durante il tempo in cui c'è il rinvio per impedimento per il tempo necessario a conseguire, in ogni grado della fase dibattimentale perché le rinnovazioni istruttorie possono esserci anche in appello o eventualmente in casi eccezionali è aggiunto il rinvio quando un accertamento tecnico disposto dal giudice richieda un tempo di espletamento superiore a 90 giorni.
Il termine standard assegnato dal magistrato per espletare una prova tecnica può essere di 90 giorni, ma in casi di particolare complessità in cui debbano essere rinnovate, integrate o siano multidisciplinari, questi 90 giorni possono essere superati e non è giusto penalizzare il processo a causa di un costosissimo accertamento tecnico che però avrebbe l'effetto di far slittare l'udienza successiva e di arrivare all'estinzione del processo, tra l'altro con spreco di danaro.
Considero invece un buon inizio prevedere che il termine inizi a decorrere alla scadenza dei tre mesi dalla chiusura delle indagini preliminari. Questo porrebbe fine a una prassi poco virtuosa di molti pubblici ministeri, ma, come riconosciuto anche da camere penali, si tratta di un buon inizio.
Non si è però posta mano in maniera incisiva al problema annoso, ma anche di difficilissima soluzione da un punto di vista normativo, dell'iscrizione dell'indagato al Registro delle notizie di reato e soprattutto di un serio ed effettivo controllo nella fase delle indagini da parte del giudice delle indagini preliminari, che troppo spesso appare allo Stato puramente formale, ma non sostanziale.
Un'ultima perplessità riguarderebbe la sorte dei riti alternativi, cui forse non si è pensato. La chimera dell'estinzione del processo potrebbe portare e secondo me porterà sicuramente a scoraggiare il ricorso ai riti alternativi. Questa riforma dovrebbe quindi essere seguita da una seria riforma dei riti alternativi, magari aggiornando il sistema premiale anche con pene sostitutive, perché questi non vengano abbandonati.
Nel sentire le discussioni dei colleghi sulla legge Pinto, mi sono chiesto se si sia pensato al fatto che una sentenza di non doversi procedere per eccessiva durata del processo certifichi in qualche modo la violazione del termine di ragionevole durata e pertanto crei un presupposto quasi automatico di ricorso al giudice che deve pronunciarsi sul risarcimento della irragionevole durata. Sostanzialmente, infatti, la sentenza stabilisce che la durata è andata oltre i limiti di ragionevolezza previsti dalla legge, e pertanto si è già stabilito che il sistema in questo caso abbia violato il principio. Questo potrebbe aprire la strada a un fiume di ricorsi.
Si potrebbe forse prevedere una norma e allorché l'imputato possa rinunciare legarla anche al discorso della legge Pinto. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a tutti per la chiarezza nell'esposizione e per i documenti consegnati, che saranno certamente utili per ulteriori approfondimenti. Faccio presente che oggi erano previste le audizioni anche dei rappresentanti del Consiglio nazionale forense e dell'Unione delle camere penali. Il professor Alpa, in particolare, mi ha comunicato di non poter essere presente a causa di impegni istituzionali non rinviabili, dovendo intervenire nella cerimonia di apertura dell'anno giudiziario della Corte dei conti. Pertanto tale audizione si svolgerà in altra data, da definire. Per quanto attiene all'Unione delle camere penali, è stato comunque trasmesso un documento che sarà acquisito agli atti dell'indagine conoscitiva.


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Sospendo quindi la seduta, che riprenderà alle 11,30 con l'audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.

La seduta, sospesa alle 10,50, è ripresa alle 11,35.

Audizione, in relazione all'esame della proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione del principio della ragionevole durata del processo, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, con particolare riferimento alla proposta di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi.
Voglio fare presente, preliminarmente, che di quest'audizione sarà redatto il resoconto stenografico in modo tale da consentire a chi non è presente in questo momento di poter comunque prendere cognizione di quanto sarà riferito. I commissari oggi presenti sono stati designati dai gruppi di appartenenza a seguire con maggiore attenzione tale indagine. Ovviamente, se vi saranno documenti da presentare successivamente, potranno essere sicuramente acquisiti agli atti della Commissione.
Ringrazio per la loro presenza i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati: il dottor Luca Palamara, il dottor Gioacchino Natoli, il dottor Antonio Balsamo e il dottor Sgroia. Poiché ci siamo visti in più occasioni in sede di audizioni, conoscete la nostra organizzazione, che prevede una vostra illustrazione preliminare, dopo la quale vi dovreste sottoporre ad alcune richieste di chiarimento e domande da parte dei commissari.
Do la parola al dottor Luca Palamara.

LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. La ringrazio dell'invito, presidente. Sarò breve, in quanto siamo a disposizione dei dubbi e dei chiarimenti richiesti, cui cercheremo di fornire risposte.
Peraltro, siamo già stati auditi in Commissione giustizia del Senato e quindi depositeremo le elaborazioni dell'Associazione nazionale magistrati, cui ci richiameremo in questa sede. Tengo a precisare e ribadire che quanto illustrerò in breve è oggi una posizione non solo dell'Associazione nazionale magistrati...

PRESIDENTE. È necessaria una precisazione. Ovviamente sono state effettuate poi alcune modifiche al testo. Può essere opportuno svolgere interventi anche su questo aspetto.

LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Ci riferiamo a un'audizione avvenuta il 30 novembre 2009 e, quindi, ante emendamenti.
Riprendendo il discorso, anche successivamente agli emendamenti che sono stati apportati, le posizioni che illustrerò non sono sostenute oggi solo dall'Associazione nazionale magistrati, ma anche dalle altre magistrature, in quanto nel mese scorso c'è stata una riunione del Comitato intermagistrature, che comprende la magistratura amministrativa, contabile e la rappresentanza dell'avvocatura dello Stato, con le quali siamo pervenuti alle medesime conclusioni.
Riteniamo innanzitutto necessario, prima di affrontare la tematica del processo breve e della ragionevole durata del processo, che si emanino realmente misure in grado di accorciare i tempi del processo, che noi abbiamo individuato, in primo luogo, nelle seguenti: stanziamento di risorse umane e materiali, modernizzazione delle strutture e delle circoscrizioni giudiziali, depenalizzazione dei fatti bagattellari, snellimento delle procedure, impulso all'informatizzazione. Sono questi gli interventi che riteniamo debbano avere carattere prioritario per rispondere realmente al dettato costituzionale dell'articolo 111.
Abbiamo individuato i punti di maggiore criticità, in primo luogo con riferimento


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al processo penale, evidenziando come, in presenza della norma transitoria, molti processi verranno cancellati. Vorrei bypassare il profilo relativo ai numeri, sui quali, se del caso, potrò chiarire meglio successivamente, ed evidenziare come numerosi reati - segnalo, in particolar modo, omicidi colposi realizzati nell'ambito dell'attività medica, lesioni personali, truffe, abusi d'ufficio, corruzione semplice in atti giudiziari, frodi comunitarie, frodi fiscali, falso in bilancio, bancarotta preferenziale, intercettazioni illecite, reati informatici, ricettazione, traffico di rifiuti, sfruttamento della prostituzione, violenza privata, falsificazione di documenti pubblici, calunnia, falsa testimonianza, incendio e aborto clandestino - verranno posti nel nulla, così come centinaia di migliaia di processi, molti dei quali, peraltro, già in corso. Posso richiamare il crac Cirio e Parmalat, le scalate alle banche Antonveneta e BNL, nonché quelle relative alla corruzione nella vicenda Enipower.
È un profilo che riguarda il processo penale, ma non solo; non vorrei che si trascurassero anche quelli, altrettanto perniciosi, nel settore civile per effetto di una previsione che subordina la domanda di equa riparazione alla presentazione di un'espressa richiesta di accelerazione del giudizio, cui consegue l'obbligo di fissare le udienze con cadenza non superiore ai 15 giorni. Se del caso, chiariremo meglio questo aspetto, che rischia di creare una forte situazione di caos nei tribunali civili, alla luce degli inevitabili rinvii che si determineranno e del fatto che molte decisioni già in corso non andranno definite, alimentando una situazione estremamente caotica in quella che già caratterizza, purtroppo, i nostri tribunali civili.
Analogamente - i riflessi potranno poi essere chiariti meglio dai colleghi della Corte contabile - si avranno conseguenze anche sul processo contabile e su quello amministrativo, in particolare sulle modalità con le quali accertare il danno erariale cagionato allo Stato; le stesse problematiche evidenziate nel processo civile si riverbereranno poi, ovviamente, sul processo amministrativo.
Le situazioni di criticità che evidenziamo non ci lasciano insensibili sulla necessità di fronteggiare realmente la drammatica situazione in cui versa il sistema giudiziario in Italia. A tal fine, ribadiamo anche in questa sede la necessità , avvalorata attraverso nostri appositi studi, che si metta realmente mano alla situazione degli uffici giudiziari, quindi alla cosiddetta geografia giudiziaria.
Abbiamo infatti svolto uno studio, che deposito agli atti della Commissione, il quale, sulle scorte anche delle conclusioni della Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze, ha proposto una ricognizione sull'esatta consistenza degli uffici giudiziari, sommando il tribunale e gli uffici di procura che non superano il limite di 20 unità, individuato come dimensione minima assolutamente inderogabile di un ufficio giudiziario. Da queste analisi si evince che ben 67 uffici, pari al 68 per cento degli uffici di primo grado, hanno organici inferiori alle 20 unità e che vi sono addirittura due uffici che coincidono con capoluoghi di Corte d'appello, L'Aquila e Campobasso, mentre ben 16 hanno organico inferiore alle 10 unità.
Il primo intervento che chiediamo è, quindi, di razionalizzare nell'immediato la dimensione degli uffici, la cui sopravvivenza, allo stato, appare del tutto ingiustificabile. Resto ovviamente, insieme ai colleghi, a disposizione per ulteriori profili di chiarimento anche sulle disposizioni e sugli emendamenti contenuti nel cosiddetto disegno di legge sul processo breve.

PRESIDENTE. Grazie, presidente. Vorrei già sottoporvi alcuni quesiti. Abbiamo svolto diverse audizioni e quindi vorrei conoscere il vostro parere anche in base ad alcune indicazioni che ci sono state fornite.
La scorsa settimana è stato con noi il presidente del tribunale di Milano, dottoressa Pomodoro. Nel corso della sua audizione, ha sostenuto che, nell'ambito di un'organizzazione, si possono effettuare anche valorizzazioni delle risorse umane e organizzative che consentirebbero una


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netta riduzione dei tempi del processo. Ha, quindi, focalizzato molto l'attenzione sull'importanza dell'organizzazione.
La prima domanda che vi vorrei porre è la seguente: quanto ritenete che sia importante il criterio organizzazione e quanto, invece, può essere utile una norma nuova? Quanto, per riuscire a ridurre i tempi dei processi, dobbiamo affidare ad un intervento legislativo e quanto ad un intervento di tipo organizzativo?
Passo alla seconda domanda. Premesso che ho sempre sostenuto che sia essenziale ridurre i tempi dei processi, ma ritenendo anche che, prima di indicare dei termini, occorra emanare alcune riforme, oltre questa che mi avete indicato, che mi era già nota, quali altri passaggi possono essere svolti? Condivido il fatto che il processo cosiddetto breve debba essere un punto di arrivo e non di partenza, però, oltre alla questione delle circoscrizioni, mi sapete indicare alcuni interventi specifici che si possano effettuare per ridurre i tempi?
Vengo a una terza questione. Il vero problema, a vostro avviso, riguarda anche, come alcuni sostengono, le risorse? Per esempio, da molti viene segnalato il problema relativo alla carenza di organico, che fa sì che le udienze debbano essere sospese alla fine della mattina.
Infine, vi chiedo, a prescindere dalla norma transitoria, se i tempi che sono stati indicati nell'ultima versione del provvedimento vi sembrano congrui oppure no. Se non vi dovessero sembrare congrui, vi chiederei un'indicazione di tempi che, a vostro avviso, possano ritenersi tali. Ho affermato pubblicamente e ribadisco che considero essenziale ridurre i tempi dei processi, ma anche avviare prima alcune riforme.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ANGELA NAPOLI. Riallacciandomi brevemente all'ultima domanda del presidente, relativa alla congruità dei tempi, loro ritengono che all'interno di questi dovrebbero essere previste anche differenziazioni tra la gravità dei reati?

PRESIDENTE. La domanda riguarda, sostanzialmente, se ritenete utile o meno il doppio binario.

FULVIO FOLLEGOT. È ormai un dato assodato che l'organizzazione generale della giustizia sia un problema grave per tutti i cittadini. Quando ci accingiamo a compiere riforme, non possiamo non far presente che dobbiamo innanzitutto mantenere la qualità dell'intervento giudiziario. Il numero delle cause civili e penali in Italia è estremamente rilevante e non possiamo far finta che ciò dipenda dalla responsabilità di una parte piuttosto che dell'altra.
Il problema dell'organizzazione è sicuramente un problema serio, che non è mai stato valutato nella giusta dimensione, a parità di normativa vigente. Con la normativa attuale, la situazione dovrebbe sicuramente funzionare meglio; il problema dell'organizzazione e di una maggiore valorizzazione è, comunque, decisamente importante.
Al di là delle grandi professionalità che abbiamo in Italia, vi sono casi anche di flessibilità e dinamicità come quelle che troviamo in altri ordinamenti giudiziari. Vediamo, per esempio, che le norme vigenti sono uguali per quanto riguarda il tribunale di Milano come quello di Bolzano o altri ancora, ma nel primo la situazione è cambiata o sta comunque prendendo una determinata svolta, il che significa che vi è una presa di coscienza del problema e che, con la normativa vigente, si cerca di migliorare e sicuramente si sta procedendo nella giusta direzione. Occorre responsabilizzare il sistema e ognuno deve fare la sua parte, a partire dal legislatore per finire alla magistratura, all'avvocatura e via elencando.
L'audizione della presidente del tribunale di Milano ha sicuramente fornito alcune indicazioni importanti, perché focalizza prima di tutto l'obiettivo sui cittadini e sulla necessità di dare loro delle risposte. Se le cose non funzionano, infatti, chi paga il conto è innanzitutto chi si trova in mezzo a vicende giudiziarie da cui poi è difficile uscire.


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Non credete che sia utile, come affermavo prima, al di là della necessità di cambiare le normative, una maggiore dinamicità, nonché una più forte motivazione da parte di tutto il sistema?

CINZIA CAPANO. Vorrei porre una questione che non viene molto sottolineata e che riguarda - il presidente Palamara vi svolgeva prima un riferimento - il problema dei giudizi civili, i cui termini sono rimasti più o meno invariati, ossia i due anni per il primo e il secondo grado. È prevista, però, una procedura un po' farraginosa, ossia quella del deposito di un'istanza sei mesi prima della scadenza di tale termine, con cui poter chiedere il risarcimento del danno per irragionevole durata del processo. In tal modo, si costruisce intanto una presunzione quasi assoluta di irragionevolezza in un processo che duri oltre la durata prestabilita e, quindi, per decreto, una fondatezza della domanda di risarcimento.
Vorrei però chiedervi quanto tale procedura poi non intervenga in modo da rendere del tutto impossibile il rispetto di tale termine. Sappiamo - mi riferisco ai tribunali della Puglia - che due anni sono spesso il tempo che intercorre nei giudizi civili tra l'ultima udienza istruttoria e quella di precisazione delle conclusioni. Una volta era l'intervallo che intercorreva tra l'udienza di precisazione delle conclusioni e quella collegiale, mentre oggi lo stesso trend di tempo si è tenuto anticipandolo sull'ultima istruttoria. Si tratta, dunque, di un lasso di tempo che basta forse solo per garantire la decisione e neanche tutta l'istruttoria.
Ora aggiungiamo, su un numero - mi pare - di 4 milioni di processi, una procedura che costa non solo al giudice una pronunzia, anche se banale, ma alla cancelleria l'onere di ricevere le istanze. Poiché è assai poco credibile che non siano tutte le parti del giudizio civile a proporre tale istanza, che alla parte non costa nulla, ma non le pregiudica poi una richiesta di risarcimento del danno, chiedo se, ipotizzando che ci sia anche solo la metà delle istanze, ossia 2 milioni, che cosa ciò possa comportare in termini di consumo di risorse umane, sia del personale amministrativo, sia degli stessi magistrati. Questa è la prima questione.
Per quanto concerne la seconda questione che vorrei porre mi ricollego a una domanda che poneva la presidente Bongiorno. Posto che è quasi ovvio che, stante la situazione attuale nell'ambito penale e in quello civile, il processo breve sia un punto d'arrivo, come ci si può arrivare, quali sono gli interventi?
La presidente Pomodoro ci ha parlato anche, nella sua audizione, di esperienze del tribunale di Milano in collaborazione con la regione Lombardia e - credo - anche con la provincia, per l'utilizzazione di risorse umane di supporto all'attività giurisdizionale. Vi chiedo se voi non crediate che l'introduzione, se non di tutti, quanto meno di alcuni princìpi dell'ufficio del giudice e dell'ufficio del processo, anche elaborando forme di impiego di personale qualificato, che può avere i titoli per concorrere al concorso di magistratura, opportunamente formato anche attraverso l'uso di fondi europei - come sappiamo, sono destinate ingenti risorse alla formazione dei giovani, anche ai fini della loro inclusione nel mercato del lavoro - possa rappresentare una misura organizzativa di medio periodo, che ci consenta di dotare sostanzialmente ogni giudice (credo che siano circa 8 mila i magistrati che svolgono funzioni giurisdizionali) di due persone qualificate che lo assistano nell'attività? Si tratterebbe di personale che non svolge attività giurisdizionale, ma di supporto, come l'attività di studio o di organizzazione di un fascicolo, il che spesso richiede un attività materiale, ma anche un minimo di competenza. Non ritenete che dotare un giudice di queste due figure, anche attraverso forme che poi possiamo studiare ed elaborare, non serva ad alleviare, anche di molto, almeno nel medio periodo, il lavoro di ogni singolo magistrato?

ANNA ROSSOMANDO. Le mie sono domande residuali, che riguardano sempre il tema dell'organizzazione, che lei ha


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aperto e su cui si sono inseriti altri colleghi.
Chiederei se avete una opinione e abbiate magari anche svolto una qualche forma di indagine conoscitiva sulla ben nota questione delle circoscrizioni giudiziarie, che vada oltre la riduzione del numero. Da un lato abbiamo una dispersione sul territorio di uffici giudiziari, quelli che una volta erano le vecchie preture - ogni piccolo centro, soprattutto in alcune regioni, in cui ci sono tantissimi comuni, ognuno dei quali aveva una pretura e ora ha il giudice di pace; in Piemonte c'è stata una riduzione su alcuni tribunali, ma mi pare che se ne contino ancora 17 - dall'altro si pone, sempre in materia di efficienza, la questione dei tribunali troppo grandi.
Il discorso delle circoscrizioni giudiziarie del tribunale in sé va considerato da entrambi i versanti, guardando complessivamente la questione dell'organizzazione per un miglior funzionamento. Vorrei sapere se avete esaminato alcuni dati e se avete un pensiero su questo tema.
Una seconda questione è quella dei tempi cosiddetti morti nell'ambito di tutto l'iter processuale. Volevo riflettere su quanto essi influiscano e su come eventualmente si possano eliminare, se la criticità - naturalmente sto parlando del processo penale - stia più sulle indagini preliminari o sul dibattimento e quali siano i problemi diversi da questo punto di vista.
Per quanto riguarda il dibattimento, tempo fa è stata introdotta, ma non so - lo chiedo a voi - se su tutto il territorio nazionale, la cosiddetta udienza filtro, che doveva servire esattamente a una razionalizzazione dei tempi del processo. Per chi non è penalista, anche se la maggior parte dei presenti lo è, spiego che si tratta di una prima udienza in cui intanto si verificano notifiche o altro e si smistano i procedimenti alternativi (patteggiamento, abbreviato, remissione di querela e via elencando) e si stabiliscono poi diversi calendari per il dibattimento. Eventualmente non si citano i testi e ciò consente una razionalizzazione e una velocizzazione dell'iter.
Vi chiedo se e in che misura sia in atto un monitoraggio in merito; ovviamente, ampliando questa filosofia - ciò rientra nella questione dell'ufficio del processo, di cui parlava anche la collega Capano - ciò potrebbe aiutare.
Infine, passo a un'altra questione. Vorrei che riuscissimo ad andare oltre l'affermazione, che naturalmente non può che essere condivisa da tutti, che ci sono carenze di personale o di altro tipo. Per esempio, mi riferiscono al fatto che gli uffici del GIP in alcune sedi svolgono un'attività giudicante importante. Vi è dunque una differenza importante, perché in alcune sedi non svolgono soltanto un'udienza di primo filtro o di passaggio con non luogo a procedere.
Inoltre, in alcune circoscrizioni giudiziarie si celebrano giudizi abbreviati molto più che in altre. Apro e chiudo una parentesi: laddove ciò avviene e i tempi del processo sono ragionevoli, c'è più accesso ai riti alternativi e quindi c'è una deflazione, viceversa, dove ciò non avviene, in aree geografiche diverse, c'è molto meno ricorso ai riti alternativi, con le conseguenze ben note.
La carenza di personale di ausilio per quanto riguarda l'ufficio del GIP è, quindi, particolarmente rilevante e incide su un punto nevralgico, di snodo, dell'iter processuale. Volevo aprire una riflessione per andare sul cuore del problema e avere notizie che andassero oltre quelle che noi, che stiamo da questa parte, rischiamo di avanzare come petizioni di principio, quali la richiesta di una maggiore organizzazione, senza sapere che cosa essa significhi veramente.

JEAN LEONARD TOUADI. Ringrazio il presidente e tutta la delegazione degli auditi.
La mia preoccupazione è stata anticipata dalla collega Rossomando e riguardava quella che lei ha chiamato geografia giudiziaria. È tornata spesso nel dibattito, nonché nel provvedimento sull'organizzazione


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degli uffici giudiziari ed è stata evocata più volte, affermando che si trattasse di una strada che andava intrapresa con più coraggio e più risolutezza; tuttavia, nel provvedimento del ministro tale ridisegno complessivo degli uffici giudiziari non è presente.
Mi piacerebbe, quindi, approfondire, dal vostro punto di vista, se ci sono criteri o parametri individuati dagli uffici per questo piano eventuale, ma soprattutto sapere quale incidenza esso potrebbe avere nell'abbreviare l'iter processuale e se non si tratti un'altra volta solo di uno di quei luoghi comuni che vengono evocati come una panacea, senza che sortiscano concretamente gli effetti miracolistici cui allude la loro costante evocazione.
Un'altra domanda, invece, molto breve e politica è la seguente. Il ministro ripete spesso, negli ultimi tempi, che il magistrato è assoggettato solo alla legge, però questa è emanata dal Parlamento. Vi è un ribadire costante e frequente di questo giusto bilanciamento costituzionale tra i poteri e gli ordini. Mi chiedo se la ripetizione di tale necessità non vi abbia fatto pensare che l'associazione alla quale appartenete abbia potuto rompere questo equilibrio e che quindi occorra ripristinare questa prerogativa esclusiva del Parlamento.

PASQUALE CIRIELLO. Ho una domanda molto breve. Poiché larga parte del tema della durata dei processi si gioca evidentemente sul valore dell'efficienza del sistema giudiziario, rispetto alla quale il problema organizzativo rappresenta magna pars, per migliorare le performance del sistema in termini di efficienza, ritenete opportuna o eventualmente necessaria l'introduzione di figure «manageriali», non necessariamente appartenenti all'ordine giudiziario, o pensate che sia più giusto seguire la via di un «bagno» di managerialità del giudice, che evidentemente viene da un percorso culturale diverso?

LUCA RODOLFO PAOLINI. Francamente, leggendo i tempi massimi previsti, che vanno da 7 anni e mezzo a 15 e mezzo, mi chiedo se sia il caso si parlare di processo breve. A me sembra che siamo al di là della media e che, quindi, sia un processo lunghissimo.
In primo luogo, domando se l'Associazione nazionale magistrati abbia indicazioni da fornirci su quelli che sarebbero, a suo avviso, i tempi di un vero processo breve.
In secondo luogo, come è noto, l'informatica innova tutti i processi umani e, quindi, ciò che prima richiedeva dieci persone, oggi con il copia/incolla e l'accesso automatico ai dati, comporta riduzioni immense di lavoro, nonché di fallibilità del personale. Nelle vostre elaborazioni concettuali avete anche tenuto conto dell'innovazione tecnologica? Mi riferisco, in particolare, alla possibilità di introdurre - il che, a mio avviso, sarebbe la soluzione ottimale - il fascicolo informatico, conservato in un server del ministero a cui tutti accedono e che evita duplicazioni di lavoro?
La domanda conclusiva, è la seguente: potete indicarci quale dovrebbe essere, ad avviso dell'Associazione nazionale magistrati, la durata di un processo nelle tre fasce di pena detentiva determinata oppure se essa deve rimanere, come oggi, di fatto priva di qualsiasi certezza e quindi soggetta, grosso modo, in parte alla discrezionalità del magistrato, in parte alla maggiore o minore capacità organizzativa dei singoli uffici?

PRESIDENTE. Si sono esauriti gli interventi per porre quesiti e formulare osservazioni. Ovviamente lascio ai rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati la scelta di come ripartire tra di loro le risposte.

LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Cerco di dare risposte di carattere generale e per altri aspetti lascio la parola ai colleghi.
Inizierei dalle sollecitazioni del presidente, ma anche dalle ultime considerazioni sulle affermazioni del ministro in merito al rapporto tra Parlamento e magistratura.


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Non posso che ringraziare ancora in questa occasione dell'invito, che è proprio la testimonianza del chiaro riconoscimento della diversità e del rispetto dei ruoli: il Parlamento emana le leggi e noi siamo qui oggi per fornire un contributo di carattere tecnico circa il corretto funzionamento della giustizia, senza in alcun modo sovrapporre i due piani.
Riteniamo, però, di dover offrire alla vostra conoscenza le reali problematiche del nostro mondo e anche mostrare in che modo una normativa del genere vada a impattare con gli uffici giudiziari e, in particolar modo - rispondo anche all'ultima domanda dell'onorevole Paolini - con i processi che sono già in corso. Mi riferisco ai processi che potrebbero saltare, tanto per intenderci.
Quando parliamo di organizzazione, dobbiamo giustamente distinguere i due profili, quello dell'organizzazione esterna, alla quale ci riferiamo quando parliamo di geografia giudiziaria, e quello dell'organizzazione interna, che riguarda le cosiddette prassi virtuose e i migliori funzionamenti degli uffici, sui quali meglio vi intratterrà il collega Natoli.
In risposta alla domanda sollecitata dal presidente Bongiorno sul bisogno o meno di una norma, riteniamo che nell'immediato il vero intervento normativo debba riguardare l'organizzazione esterna; con riferimento ai profili interni, si pone la necessità di estendere le cosiddette prassi virtuose, ma - ripeto - su questo punto non voglio ulteriormente dilungarmi, tuttavia nell'immediato, vi è il bisogno di un intervento normativo sull'organizzazione esterna.
Quali interventi effettuare? Noi per primi riconosciamo la necessità di urgenti riforme e l'abbiamo affermato in più occasioni quasi in maniera ossessiva. Quali sono, dunque, a nostro avviso, gli interventi prioritari? Indubbiamente occorre l'informatizzazione, ma - andiamo nel concreto - non di carattere generale; sicuramente può essere condivisibile il discorso del fascicolo informatico, ma pongo un esempio molto pratico, iniziando dalle notificazioni.
Ci riferiamo, per esempio, al processo penale: molti processi saltano perché le notificazioni non vanno a buon fine e prevediamo, quindi, notificazioni informatizzate, con indirizzi e-mail certificati ai difensori, soprattutto in caso di doppio difensore.
Come ulteriore elemento di snellimento, che abbiamo indicato anche nelle nostre originarie proposte, prevediamo la rivisitazione della normativa che impone l'avviso di conclusione delle indagini preliminari anche quando l'indagato è pienamente a conoscenza della vicenda che lo riguarda.
Abbiamo, inoltre, fatto sicuramente riferimento alla necessità di giungere a una razionale depenalizzazione dei reati, così come anche a misure alternative alla pena detentiva e deflattive dei processi in corso.
Un altro aspetto indifferibile quanto a interventi è quello che riguarda il personale amministrativo. Facevo riferimento, in precedenza, alle risorse materiali e ovviamente non si può non estendere il discorso anche a quelle umane, un personale amministrativo che, purtroppo, negli ultimi anni, è stato «dequalificato» e, di conseguenza, demotivato. È chiaro che i processi, per chi è a conoscenza della macchina giudiziaria - mi sembra, dagli interventi in quest'aula, che molti lo siano - non possono andare avanti se alle due le udienze non si fanno perché il personale amministrativo non c'è più o se le cosiddette piante organiche sono ridotte perché il numero del personale amministrativo non è in grado di soddisfare le esigenze dell'ufficio.
Va, infine, affrontato anche il tema relativo a una generale rivisitazione della disciplina delle impugnazioni.
Tutti questi interventi nell'immediato potrebbero realmente consentire di affrontare poi la tematica e la problematica del cosiddetto processo breve. Tali interventi prioritari presupposti ci consentono di dare anche risposta in merito alla cosiddetta congruità, cioè a quanto debba durare un processo. L'onorevole Paolini, se non ho interpretato male la sua domanda, osservava che il termine di sette anni e


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mezzo è molto lungo e chiedeva quanto dovrebbero durare i processi. Sul punto, rinvierei in primo luogo alla relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, in cui il primo presidente della Corte di cassazione ha tratteggiato in maniera molto chiara quanto durano i processi nelle diverse parti d'Italia, evidenziando come, anche in luoghi abbastanza in prossimità tra di loro, i processi abbiano una durata diversa, perché bisogna tener conto evidentemente della specificità delle situazioni, dei luoghi e della tipologia di reato.
Fissare un termine unico per tutti i processi è, dunque, un operazione che, allo stato, non ci è consentito di effettuare, se non fornendo come indicazione approssimativa e temporanea il termine di tre anni, che può essere tratto dagli elaborati della giurisprudenza europea.

PRESIDENTE. Tre anni di dibattimento?

LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Tre anni da quando il processo di primo grado inizia a quando finisce con la sentenza.
Ciò ci rimanda, però, ad altri temi che dobbiamo affrontare, per esempio, quanto dura l'indagine preliminare e come viene calcolato il tempo dal momento in cui vi è l'esercizio dell'azione penale. Anche sul punto non possiamo non trascurare - chi ha conoscenza della materia lo comprende - quanto dura l'udienza preliminare e quali sono le difficoltà e le situazioni che vi si verificano, tali da determinare già un abbattimento anche in prospettiva dei processi in corso.
È ovvio che tutte queste considerazioni non possono non portarci a esaminare anche le situazioni esistenti e già in corso, in relazione alle quali, in virtù dell'applicazione della norma transitoria, come già ricordato, numerosi processi verranno cancellati, perché il termine indicato di due anni e mezzo o di tre è già abbondantemente superato, proprio alla luce delle situazioni che già in essere. Tali situazioni sarebbero non meno gravi anche in prospettiva, soprattutto se riferite dal cosiddetto momento in cui anche le indagini sono ancora in corso. Si è parlato, infatti, di estinzione delle indagini.
L'idea di prevedere una cosiddetta prescrizione di fase è un discorso diverso rispetto a quello della prescrizione del reato, che è già chiaramente disciplinata nel codice. Sono due situazioni che non trovano - lo abbiamo anche evidenziato ulteriormente - riscontro a livello di normativa europea.
Vorrei continuare con ulteriori considerazioni e rispondere alle sollecitazioni dell'onorevole Capano. Tutte le situazioni che ha rappresentato, tutte le difficoltà che si potrebbero creare nel settore e nel processo civile sono vere, come lo sono anche quelle illustrate dall'onorevole Rossomando per quanto riguarda il ricorso ai riti alternativi. Essi trovano maggiore affermazione laddove le situazioni dei tribunali non sono caotiche e i processi riescono a svolgersi entro un dato termine, tale da consentire il ricorso al rito alternativo. Diversamente - purtroppo sono numeri che possiamo riscontrare a livello nazionale - il ricorso ai riti alternativi sicuramente stride con l'originaria previsione codicistica: non più del 5 per cento dei processi che avrebbero dovuto andare a dibattimento. Oggi sicuramente non è questa la realtà che registriamo nel nostro Paese, dove il ricorso a riti alternativi, per questioni legate alla situazione in atto, alla disciplina della prescrizione e a circostanze similari, è un istituto di scarso rilievo.
Passo all'idea del manager o del doppio manager. Dobbiamo tener conto come oggi, comunque, negli uffici giudiziari esista di fatto una doppia dirigenza, quella di chi dirige l'ufficio rispetto a quella di chi deve occuparsi delle problematiche amministrative.Tale problematica non può non essere ricondotto al profilo dell'organizzazione interna. Occorre battersi, come già stiamo facendo, per una dirigenza adeguata, che sia realmente in grado di condurre gli uffici giudiziari. Questa è la sfida che la magistratura vuole affrontare nel prossimo futuro.


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Concludo e passo la parola al collega Natoli e agli altri colleghi che vogliano aggiungere ulteriori considerazioni.
In risposta all'intervento dell'onorevole Napoli, è ovvio che le situazioni variano da caso a caso: un conto sono le problematiche che, per esempio, caratterizzano il tribunale di Bolzano, un conto quelle che possono caratterizzare il tribunale di Locri, di Palmi, di Caltanissetta o di Palermo. Quando si svolge un discorso di carattere generale, non si può non tener conto, come ho già ribadito, della specificità delle situazioni, dei luoghi e degli uffici.

GIOACCHINO NATOLI, Vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati. Ringrazio il presidente e tutti i componenti della Commissione che hanno avuto il piacere di porci domande interessantissime sui punti dolenti del nostro processo penale.
Un punto sul quale l'Associazione nazionale magistrati desidera porre l'accento è la differenza esistente tra il sistema giudiziario italiano e tutti gli altri a livello mondiale. La comparazione è Italia versus mondo, perché non esiste alcun altro sistema che abbia messo insieme le garanzie del vecchio sistema processual-penale italiano e quelle del nuovo, oppure che abbia previsto le preclusioni del processo civile senza, di fatto, rispettarle.
Quando facciamo riferimento a parametri di carattere internazionale, a partire da quelli CEDU - vedevo giustamente il presidente della Commissione meravigliarsi dell'accenno del Presidente Palamara ai tre anni - occorre precisare che i tre anni dei quali parla la CEDU non sono applicabili alla situazione italiana. Si tratta, per esempio, del periodo all'interno del quale si pensa possano svolgersi le indagini penali in Inghilterra: affidate soltanto alla polizia, alla mitica Scotland Yard, che non sarebbe altro che una polizia municipale della città di Londra, durano soltanto sei mesi e non possono durare di più, non essendo previsto l'intervento di un controllo di garanzia o di un organo statuale, come in Italia. A quel punto, i tre anni tra il momento nel quale il soggetto ha la prima notizia di essere sottoposto a un'indagine e quello in cui il giudice di una criminal court pronuncia una sentenza a suo carico diventano ragionevoli.
In Italia tutto questo è assolutamente impensabile, nel momento in cui abbiamo un articolo 405 del Codice di procedura penale che prevede che le indagini preliminari nei processi di mafia, che avvolgono e affliggono quattro regioni del Paese e quindi quasi l'intera Italia meridionale, durino due anni e che occorre oggi, secondo termini ragionevoli, almeno un anno e mezzo per svolgere l'udienza preliminare, dopo la quale inizia il dibattimento.
Qualcuno degli interroganti chiedeva dove potesse nascere il problema della maggiore durata del processo. Ebbene, essa è chiaramente rinvenibile nel dibattimento, un luogo nel quale non si sa che cosa accadrà e dove tutto è affidato, ovviamente, al buonsenso delle parti e al buon governo che il presidente, nell'ipotesi di un tribunale collegiale, o il giudice riesce a fare di tali norme. Se, per esempio, dovesse passare una delle norme che abbiamo letto nel disegno di legge C. 1440, secondo la quale nella lista testi possono essere indicati tutti i testi possibili e immaginabili, senza possibilità di selezionarli anche in ragione della loro duplicazione da parte del giudice, evidentemente il processo potrebbe durare anche un tempo assolutamente illimitato.
Aggiungete inoltre, che, in questo tempo illimitato, verrebbe a essere coinvolto anche lo stesso giudice, che, per motivi fisiologici o professionali, potrebbe essere costretto a cambiare ruolo. A quel punto, il processo ripartirebbe da capo.
Questo è il panorama dal quale non possiamo non partire se, come sono convinto che tutti auspichiamo, vogliamo veramente porre mano alla durata irragionevole e vergognosa dei processi in Italia. Dobbiamo, però, avere presente la malattia che affligge il nostro Paese e che - attenzione - da imputato mi augurerei di avere, perché, se mai dovessi essere imputato nella mia vita, mi augurerei di


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esserlo in Italia, Paese nel quale esistono le prime, le seconde e le terze garanzie. Dal punto di vista dell'imputato, il nostro è dunque un sistema ultragarantito, ma le garanzie hanno un costo in termini di durata temporale: non possiamo avere contemporaneamente più garanzie e processo breve. È questo il punto sul quale ci dobbiamo interrogare, perché potremmo anche decidere che vogliamo le garanzie - e io potrei essere da questa parte - ma, in tal caso, non dobbiamo più parlare di processi brevi, né di prevedibilità della loro durata.
Mi avvio alla conclusione, ma questa era una premessa che - mi perdonerete - non potevo mancare di svolgere in una sede autorevole quale il Parlamento italiano. Il presidente domandava come si possa intervenire e se l'Associazione nazionale magistrati abbia alcune idee (purtroppo, ne ha più di una) dal punto di vista legislativo od organizzativo.
Il presidente Palamara ha già affrontato alcuni aspetti, quindi tralascio tutti quelli di carattere legislativo, sui quali si è già intrattenuto lui a titolo esemplificativo, perché se ne potrebbero indicare probabilmente altri 10 o 15 e il presidente Bongiorno ne potrebbe aggiungere certamente altri 30.
Noi, invece, vogliamo indicare, perché ci crediamo fermamente, signor presidente e signori componenti di questa Commissione, la razionalizzazione degli uffici. Tenete presente che abbiamo, per esempio per le sezioni distaccate, che corrispondono alle vecchie preture, 220 uffici. Esperimenti già effettuati da uffici pilota in Italia - pilota nel senso che i dirigenti di tali uffici si sono fatti carico di svolgere esperienze sul campo - ci portano ad affermare che la metà di tali sezioni distaccate potrebbe essere tranquillamente accorpata, perché la realtà sociogiudiziaria è completamente cambiata.
Il presidente Bongiorno conosce tanto quanto me la realtà palermitana. Palermo, che è il quinto tribunale d'Italia, un tribunale metropolitano, ha quattro sezioni distaccate: ne ha una dalla parte orientale e tre dalla parte occidentale. Quella orientale, ovvero Bagheria, va mantenuta per ragioni geografiche, mentre delle tre sedi sul lato occidentale, una delle quali, peraltro, è stata congelata per motivi di sicurezza dei lavoratori giudiziari e del pubblico da un anno e mezzo, senza avere provocato conseguenze particolari, due potrebbero essere accorpate in un'unica grossa sezione, che potrebbe servire l'area a occidente di Palermo. Ragionando in termini di propagazione di quest'idea, sostengo che probabilmente su 220 sezioni il 50 per cento potrebbe venire concentrato nella sezione che ha le maggiori caratteristiche per poter essere immediatamente operativa.
Faccio presente, ma voi lo sapete molto meglio di me, che in Francia, dove gli uffici giudiziari sono circa la metà di quelli italiani, nel mese di dicembre ne sono stati tagliati il 50 per cento. Quello francese è un sistema al quale personalmente faccio particolare riferimento, perché è il più prossimo per organizzazione e per storia al modello italiano, quindi tutto ciò che accade in Francia o è già accaduto in Italia o potrebbe accadervi.
Si pone poi il problema della razionalizzazione dei tribunali, su cui l'Associazione nazionale magistrati ha già condotto alcuni studi molto noti e pubblicati dai principali quotidiani italiani. Abbiamo individuato, onorevole Touadi, esattamente gli uffici che potrebbero essere accorpati e abbiamo stabilito di non voler mettere bocca sull'accorpamento, perché appartiene alla responsabilità, che non invidio, del Parlamento; certamente un segnale potrebbe venire, signor presidente, se in questa legislatura almeno un ufficio venisse accorpato a un altro. Approssimandoci al 150o anniversario dell'unità d'Italia, potremmo affermare che, dopo 150 anni, anziché arricchire il Paese di tribunali, li abbiamo diminuiti, anche per uno soltanto.
In merito all'ufficio del giudice, potrebbe essere una possibilità; non così l'ufficio del processo. Attenzione: lo dico cognita causa, pur consapevole del fatto


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che non tutti all'interno del mondo giudiziario sono d'accordo su tale presa di posizione.
Mi rifaccio, anche in questo caso, a modelli europei: in tutta Europa, e segnatamente in Germania, in Francia e anche in Belgio, esistono specifiche figure che, come il Rechtspfleger della Germania, sono addirittura paragiudici, cioè emettono provvedimenti che non vengono neppure più filtrati dal giudice. La soluzione per l'ufficio del giudice, al quale io e l'Associazione nazionale magistrati intendiamo comunque fare un riferimento, con tutti i necessari approfondimenti del caso - non sono mai proposte definitive - è quella, già evocata da chi ha posto la domanda, di prevedere uno o due collaboratori, i quali preparino, per esempio, la ricerca di giurisprudenza, una delle attività che fa perdere maggior tempo in tutte le sedi giudiziarie.
Potrebbe già esserci una bozza di provvedimento, laddove si tratti di provvedimenti ripetitivi; immaginiamo, per esempio, il campo del civile. Ce ne potrebbero essere anche altre, ma queste sono sicuramente già «devastanti», laddove dovessero essere anche in parte accolte.
Sul piano organizzativo, signor presidente, l'altro versante su cui ella e altri onorevoli componenti della Commissione hanno posto l'accento, vorrei svolgere due considerazioni.
Dal punto di vista più semplice, rispondendo alla prima parte della sua domanda, bisogna intervenire con urgenza, se mi posso permettere l'appello da cittadino, sugli organici di cancelleria. Negli ultimi dieci anni sono crollati da 53 mila unità alle attuali 36 mila, che diventeranno 33 mila nel corso dei prossimi 24 mesi, perché, come sapete, l'articolo 61 della legge cosiddetta Brunetta, la n. 133, prevede il famoso turnover e taglio. Sappiamo, in sostanza, di quanto deperiranno gli organici delle cancellerie da qui ai prossimi 24 mesi.
A fronte di un sistema che carica, forse anche giustamente, di maggiori responsabilità il personale di cancelleria, noi andiamo in controtendenza e lo facciamo diminuire, ma non basta; si tratta di un personale che non viene riqualificato, come ben sapete, da almeno dieci anni, a differenza di altri comparti della pubblica amministrazione, e inevitabilmente invecchia: ha un'età media, allo stato, tra i 46 e i 48 anni, che, purtroppo, per chi ha cominciato a lavorare da giovane, non sono proprio pochissimi.
Dopodiché, esiste il budget per gli straordinari. Sapete bene, perché finisce spesso sui giornali, che in taluni uffici vige una mitica ordinanza del presidente del tribunale di Milano di quattro anni fa, che prevedeva che in determinati giorni le udienze dovessero interrompersi alle ore 14.00, perché il cancelliere, il notaio dell'udienza, se ne doveva andare.
Anche su questo fronte, abbiamo i problemi di bilancio e i vincoli di Maastricht, ma è anche vero che, se vogliamo la ragionevole durata, non possiamo trascurare la questione. I magistrati non rappresentano un problema da questo punto di vista, perché, non avendo orari di lavoro, possono lavorare 24 ore al giorno, i giudici a eccezione della domenica, i pubblici ministeri compresa la domenica e le notti, senza recuperi e senza diritto a indennità particolari.
Si pone, però, il problema dell'aspetto organizzativo di carattere più generale, che differenzia il tribunale di Torino da quello di Milano o da altri; permettetemi di non ricordare più il tribunale o la procura - non era neppure il tribunale - di Bolzano, perché la specificità legislativa che contraddistingue quella provincia autonoma e il fatto che si tratti di un piccolissimo ufficio fa sì che, ragionevolmente, non lo si possa elevare a simbolo di un sistema, che è, invece, diversificato e a macchia di leopardo.
Per questo aspetto ci soccorrono gli studi, a cominciare da quelli mitici di Richard Florida, sulle organizzazioni complesse. Il sistema giudiziario è un sistema ad organizzazione complessa, quindi anche quando parliamo, come si è giustamente fatto, di informatizzazione al suo interno, non possiamo discuterne in termini aziendalistici, ma nei termini ragionevoli


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in cui uno strumento più veloce, come quello informatico, può aiutarci a compiere un'operazione di puro intelletto, qual è il giudizio sia civile, sia penale. Non pretenderei, né mi augurerei mai, di avere un computer che mi operi al cuore, come talvolta sono costretto, purtroppo, a fare; voglio un chirurgo, che magari adoperi il computer per misurarmi i parametri vitali, ma che non si faccia sostituire da esso.
Concludo con il problema del civile, che è stato sollevato per primo dall'onorevole Capano, secondo i miei appunti. Signor presidente e signori onorevoli, si tratta probabilmente del vero punto di non ritorno di un sistema che noi abbiamo già definito esiziale per il sistema giudiziario italiano, perché, se nell'ambito penale avremo lo sterminio dei processi, in quello civile, con l'articolo 3-quinquies, se non è cambiata la denominazione, quindi con l'istanza di sollecito - abbiamo già svolto alcune simulazioni nel tribunale di Palermo, che è il mio laboratorio - come affermava già l'onorevole interrogante, tutti i processi diventeranno automaticamente urgenti, anche quelli che non lo sarebbero oggettivamente, perché non ci sarà alcun cliente che non dirà al proprio patrocinatore di presentare l'istanza. Da quel momento, nei 180 giorni, tutti i processi dovrebbero avere la stessa velocità. Ciò significa, ipotizzando un ruolo medio di un giudice civile di 500 cause, che non sono tantissime, e facendo un'udienza al massimo ogni 15 giorni, che tale giudice deve trattare 125 fascicoli a udienza, il che, come ben sanno anche gli avvocati qui presenti, è assolutamente folle. Altro che i due anni dei quali lei sta parlando.
In questo caso siamo in grado addirittura di eseguire alcuni conti molto semplici. Quelli su Palermo sono già stati effettuati, perché abbiamo già svolto un monitoraggio, e abbiamo scoperto che i processi che versano nelle situazioni di cui all'articolo 3-quinquies sono il 43 per cento dei processi ora pendenti nel settore del procedimento civile.
Questi sono soltanto alcuni dei tanti punti che potrebbero essere approfonditi, ma vi ringrazio, perché ci stanno dando la misura dell'interesse che state ponendo a mettere mano probabilmente ai veri problemi della giustizia, sia civile, sia penale, in Italia.

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, abbiamo tempi stretti, perché, come sa, tra poco ci dovremo recare al Senato. Spero che i commissari partecipino numerosi, perché interverrà il presidente Aguilar, che già abbiamo avuto modo di conoscere. Invito pertanto l'onorevole Ferranti ad essere estremamente sintetica.

DONATELLA FERRANTI. È una domanda brevissima, anche perché ho ascoltato anche l'ultima parte del dibattito, nonché parte della risposta del presidente dell'Associazione nazionale magistrati.
Volevo sapere se è stato svolto uno studio o una comparazione tra la durata dei processi prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale e dopo. Si riferisce a vent'anni fa, è vero, ma l'ho praticato: nel 1984 ero pubblico ministero e quindi l'ho praticato nei primi cinque anni.
Mi riaggancio al discorso svolto dal consigliere Natoli, laddove fa riferimento alla questione delle garanzie del dibattimento e anche alla dilatazione dei tempi. Potrebbe essere utile svolgere anche un discorso di comparazione, se è possibile, perché i tempi si sono dilatati, non solo, credo, per il carico di lavoro maggiore, ma proprio perché la scelta compiuta nel 1989 rispetto a un dibattimento che mira, sostanzialmente, all'acquisizione in contraddittorio delle parti, tranne per alcuni aggiustamenti, ha portato, a mio avviso, a una dilatazione dei tempi.
A questo punto, avendo svolto questa premessa, pongo una domanda: in una proposta di legge del Partito Democratico abbiamo pensato a una valorizzazione, anche per accorciare i tempi, dell'udienza preliminare, anche come traccia di programma dell'acquisizione delle prove. Vorrei sapere che opinione c'è su questo punto e se lo ritengono uno strumento utilizzabile ai fini proprio di incanalare i tempi del dibattimento.


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ANTONIO BALSAMO, Componente dell'Associazione nazionale magistrati. Credo che il problema sollevato dall'onorevole Ferranti sia molto serio. In effetti, si è assistito a un enorme prolungamento della durata del processo penale dopo l'introduzione del nuovo Codice di procedura penale, non tanto per la scelta in sé in favore del rito accusatorio, quanto per la presenza nel nuovo assetto del processo penale di alcune assolute anomalie italiane.
Alle anomalie già presenti, una delle quali è certamente l'assolutizzazione del metodo del contraddittorio, secondo un criterio che non figura più neppure negli ordinamenti come quello inglese o americano, se ne aggiungerebbe adesso, con la riforma del cosiddetto processo breve, una ancora più evidente e vistosa: nessun ordinamento al mondo conosce una disciplina del processo che ne prevede un'estinzione, per giunta scandita per fasi. Negli altri Paesi - è un tema che ci permettiamo di sottolineare a proposito dei possibili rimedi in materia di prescrizione - per esempio in Francia e in Germania, il compimento di atti di istruzione o la formulazione dell'accusa fa decorrere ex novo il termine di prescrizione del reato, nella sua durata originaria o in un multiplo, non certamente in una scansione per fasi della durata del processo, a pena di estinzione.
Ci permettiamo anche di segnalare che la nuova disciplina, piuttosto che rappresentare un'attuazione, si pone assolutamente agli antipodi delle indicazioni tratte dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, del tutto contraria a una scansione secondo criteri generali e astratti della durata dei processi e, meno che mai, con conseguenze pregiudizievoli per i diritti delle vittime. Da questo punto di vista, mi sembra molto valida l'osservazione di Pulitanò, secondo cui la prescrizione processuale è una sanzione che giova solo al colpevole.
Ci permettiamo anche di segnalare i possibili profili di incostituzionalità. La recente sentenza, molto importante, della Corte europea del 15 dicembre 2009, il caso Maiorano contro Italia - per intenderci, quella che riguarda la nota vicenda di Izzo - evidenzia gli obblighi di prevenzione e di effettivo perseguimento dei reati che gravano sugli Stati quando entrano in gioco diritti fondamentali. Crediamo che la scansione per fasi prevista dalla normativa sul processo breve in alcuni casi determinerebbe l'assoluta impunità per condotte di estrema gravità, lesive di diritti quali la vita e l'integrità fisica.
In questo caso, riteniamo che sia in gioco la credibilità di tutte le istituzioni e questa è una delle motivazioni per cui abbiamo apprezzato molto l'invito rivoltoci dal presidente della Commissione. Credo, invece, che il profilo della riqualificazione dell'udienza preliminare sia un settore in cui si può realmente aprire un serio confronto. Su questo tema abbiamo la concreta possibilità di una funzione acceleratoria, su cui possiamo discutere più approfonditamente in futuro.

LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Vi ringraziamo ancora e restiamo a disposizione anche tramite la produzione di documenti.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,40.

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