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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione II
6.
Giovedì 16 settembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

Audizione del professor Vladimiro Zagrebelsky, giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo, del professor Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma, del professor Gilberto Lozzi, professore emerito di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma, nonché di rappresentanti del Consiglio nazionale forense:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2 5 8 12 13 15 18 20
Azzariti Gaetano, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma ... 8 17
Capano Cinzia (PD) ... 15
Costa Enrico (PdL) ... 14
Ferranti Donatella (PD) ... 13
Lozzi Gilberto, Professore emerito di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma ... 5 16
Napoli Angela (FLI) ... 12
Palomba Federico (IdV) ... 14
Ria Lorenzo (UdC) ... 14
Rossomando Anna (PD) ... 12 13
Stefenelli Marco, Coordinatoredella Commissione interna per il settore penale del Consiglio nazionale forense ... 19
Zagrebelsky Vladimiro, Giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo ... 3 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 16 settembre 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 10,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professore Vladimiro Zagrebelsky, giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo dall'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, del professore Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma, del professore Gilberto Lozzi, professore emerito di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma, nonché di rappresentanti del Consiglio nazionale forense.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla attuazione del principio della ragionevole durata del processo, l'audizione del professore Vladimiro Zagrebelsky, giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo, del professore Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma, del professor Gilberto Lozzi, professore emerito di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma, nonché di rappresentanti del Consiglio nazionale forense.
I rappresentanti del Consiglio nazionale forense arriveranno successivamente.
Ricordo che nelle precedenti sedute sono stati sentiti i rappresentanti dell'Associazione magistrati della Corte dei conti, dell'Associazione nazionale forense, dell'Associazione dirigenti giustizia, dell'Organismo unitario dell'avvocatura italiana, dell'Associazione italiana giovani avvocati e dell'Associazione nazionale magistrati.
Voglio ringraziare davvero per la loro presenza tutti i professori, che conosciamo soprattutto per avere studiato i loro testi o per avere letto i loro scritti. Per me personalmente è un onore averli qui, ma parlo a nome di tutta la Commissione.
Voglio fare anche presente che è arrivato il rappresentante del Governo, il sottosegretario Caliendo, e che i commissari presenti sono i soggetti delegati dai gruppi ad approfondire la materia sottoposta al nostro esame.
Per queste audizioni, che si ritengono particolarmente rilevanti, è stata prevista una documentazione di tutto ciò che verrà detto attraverso un resoconto stenografico. Se poi qualcuno riterrà, a prescindere dallo stenografico, di volere inviare relazioni anche successivamente, saranno distribuite a tutti i commissari.
A livello organizzativo, la nostra Commissione procede nel seguente modo: all'inizio darò la parola a ciascuno degli intervenuti per una relazione; poi dovremo lasciare spazio ai commissari per porre domande, cui, se possibile, bisognerebbe rispondere già in questa sede. Se qualcuno intende inviare anche successivamente elementi con note, saranno ben accolti.


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Do la parola al professor Zagrebelsky per la sua relazione introduttiva.

VLADIMIRO ZAGREBELSKY, Giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo. Ringrazio il presidente e la Commissione per avermi invitato a quest'audizione. Spero di poter essere utile sottolineando il punto di vista da cui parto, ovvero la mia esperienza alla Corte europea dei diritti dell'uomo, e quindi la conoscenza della giurisprudenza e del quadro che nasce dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, in generale, dagli obblighi internazionali ed europei dell'Italia nella materia relativa alla durata ragionevole dei procedimenti.
Da questo punto di vista, vorrei segnalare che il testo all'esame della Commissione mi pare sotto più di un aspetto non compatibile o non conforme alle esigenze della Convenzione, ma con una precisazione: dopo le sentenze recenti della Corte costituzionale, la non conformità o i margini in cui non esiste conformità tra una normativa nazionale e la Convenzione, così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, può porre un problema di costituzionalità attraverso l'articolo 117 della Costituzione.
A parte questo aspetto relativo a conseguenze di diritto interno, dal punto di vista della Convenzione l'elemento che mi sembra rappresentare un conflitto filosofico è che questo testo stabilisce termini rigidi, anche se qua e là vi compare una possibilità di modifica e allungamento per decisione del giudice, prevede che esistano termini dichiarati ragionevoli o sforando i quali si cade nell'irragionevolezza.
Ciò è, secondo me, in conflitto con la nozione di ragionevole durata, ma è comunque in conflitto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. È vero che essa introita centinaia di ricorsi ripetitivi e che quindi, in relazione a tali ricorsi, produce sentenze ripetitive, con parametri sia di durata, sia di indennizzo, quando è il caso, ma, in linea di principio - esiste una larga casistica in tale giurisprudenza - non fissa mai in astratto una durata ragionevole o irragionevole, bensì considera la natura e la complessità del procedimento, sia in ambito civile, sia penale, e il comportamento delle parti, della parte ricorrente in particolare. Considera, cioè, un comportamento dilatorio - anche senza che esso sia necessariamente ostruzionistico o in violazione delle norme - nell'ambito delle possibilità che il sistema processuale nazionale o un utilizzo di strumenti che alla fine risultano in un atteggiamento con conseguenze dilatorie.
Questo aspetto è tenuto in conto dalla Corte per affermare che nel caso specifico si è andati oltre la ragionevolezza, ossia che esiste una responsabilità dell'amministrazione pubblica nelle sue diverse componenti.
L'atteggiamento che si esprime, invece, in questo testo, sia nella parte in cui si propone la modifica della legge Pinto, sia in quella sull'estinzione del procedimento contabile e penale, è diverso. A me sembra che sia un problema con riferimento alla ratio iniziale, dichiarata nell'iniziativa parlamentare, che era di attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione, sul presupposto che abbiano lo stesso contenuto del diritto fatto valere. Rispetto a tale ratio, il problema della discrasia di impostazione mi pare importante.
Ci sono poi alcuni aspetti particolari, ma non so se sia il momento per esporli.
Per quanto riguarda la parte relativa alla legge Pinto, all'articolo 3-bis, che si introduce nell'articolo 1 del testo, si definisce, ai fini del calcolo della ragionevole durata, l'inizio del procedimento penale, legato all'assunzione della qualità di imputato.
Nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in realtà, il termine decorre da prima, da tutte le volte in cui - a parte la formulazione di un'accusa penale formalmente notificata alla persona che dimostra la pendenza di un procedimento penale - si verificano atti, un sequestro, per esempio, non necessariamente alla privazione della libertà, ma particolarmente incisivi sui diritti della persona, i quali indicano che da quel momento essa è protetta


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rispetto a tutti i diritti dell'articolo 6, ivi compresa la durata ragionevole del procedimento.
In questa parte si potrebbe creare, dunque, un problema di compatibilità.
All'articolo 3-ter, che viene dopo, nasce il problema che i termini sono prestabiliti in astratto.
All'articolo 3-quater si stabilisce la riduzione fino a un quarto dell'indennizzo nel caso in cui la domanda sia respinta o sia manifestamente infondata. In linea di principio, la distinzione tra i ricorrenti davanti a Strasburgo o alle corti d'appello per l'indennizzo, a seconda che abbiano ragione o no, è respinta nella giurisprudenza di Strasburgo. Il diritto a una ragionevole durata è un diritto di cui si è titolari indipendentemente dal fondamento della domanda presentata. Si ha comunque diritto, in tempi ragionevoli, ad avere una risposta. Anche la rigidezza della norma pone, dunque, di nuovo il problema cui facevo cenno prima.
All'articolo 3-quinquies si introduce per la prima volta nel sistema nazionale un meccanismo di accelerazione, a condizione che si dimostri efficace, cioè che dopo la domanda di accelerazione la causa sia definita rapidamente, e che il termine ulteriormente utile e necessario per concludere la procedura, cumulato col precedente, non sfori a sua volta la ragionevolezza. Mi pare che non risulti chiaro dal testo che ci sia questa condizione.
Per quel che riguarda ancora la legge Pinto, per come è ora in vigore, il problema si porrebbe allo stesso modo anche con la modifica.
Vengo al problema della copertura finanziaria di questa legge nei due testi, in vigore e modificato. Uno dei problemi più rilevanti adesso davanti alla Corte di Strasburgo è rappresentato dalle centinaia e centinaia di ricorsi presentati, che sembrano fondati. In realtà, infatti, dopo che la decisione della Corte d'appello è passata in giudicato, il Governo non paga o lo fa con dilazioni inaccettabili, o ancora pare che paghi una parte dell'indennizzo e poi rinvii il resto. In sostanza, non viene data esecuzione.
Sono ormai centinaia, se non migliaia, i ricorsi - sono anche semplici da presentare e quindi facilmente producibili dai difensori - e sono in larghissima misura fondati. Volevo segnalare il problema del finanziamento di questa legge, anche se non è direttamente presente in questo testo.
In merito all'estinzione del procedimento, di nuovo la definizione in astratto di termini al di qua dei quali non esiste violazione e al di là dei quali esiste pone il problema che segnalavo.
Vorrei aggiungere che il nuovo meccanismo, il nuovo istituto di estinzione del procedimento - sto parlando ora di quello penale - che si aggiunge alla prescrizione come conclusione di una vicenda ed è un istituto processuale e non sostanziale, potrebbe porsi, però, in rotta di collisione con alcuni obblighi internazionali dell'Italia, costituendo di nuovo un problema rispetto all'articolo 117.
Nella giurisprudenza sulla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, alcuni diritti, come quello alla vita, il divieto di tortura e alcuni aspetti della vita privata coperti dall'articolo 8, richiedono un'indagine efficace in materia penale e la repressione penale, il che non significa condanna, evidentemente.
Esistono, infatti, situazioni in cui non è questa la conclusione, ma lo Stato deve dimostrare di avere efficacemente indagato, previsto la punizione con le leggi e messa in opera una procedura giudiziaria idonea a concludersi con la repressione. Questo è il contenuto della Convenzione, rispetto alla quale introdurre un meccanismo automatico di estinzione del procedimento perché esso è durato troppo lungo darebbe luogo a una doppia violazione, relativa alla durata del procedimento, che sarebbe irragionevole, e alla mancanza di efficacia di indagine e di repressione dell'illecito.
Si pongono poi altri obblighi internazionali, per esempio in materia di stupefacenti. Lo Stato è tenuto a indagare e reprimere penalmente determinati illeciti in tale ambito.


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In materia di corruzione, con la Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione e, analogamente, con quella dell'OSCE e delle Nazioni Unite, l'efficace repressione è un obbligo che lo Stato italiano ha assunto.
Nel rapporto del 2009 al meccanismo di controllo sulla Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione si chiede espressamente giustificazione allo Stato italiano dei casi di prescrizione di procedimenti riguardanti la corruzione. Il Governo deve ancora rispondere: se lo facesse con la legge che si vorrebbe introdurre, mi pare che andrebbe difficilmente in sintonia.

PRESIDENTE. Grazie, professore. Do la parola al professor Gilberto Lozzi.

GILBERTO LOZZI, Professore emerito di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma. Ringrazio il presidente della Commissione per quest'audizione.
Vorrei partire ricordando un'affermazione di Carnelutti, secondo la quale il processo penale è, di per se stesso, una sanzione. È vero e lo è soprattutto quando l'imputato è innocente. Ciascuno di noi patisce enormemente l'idea di subire un processo penale, tanto più, ovviamente, quando è innocente.
In astratto, quindi, può sembrare anche giusta una legge che ponga termini per i quali, se il processo si protrae oltre una misura ragionevole, debba essere dichiarato estinto. Tali termini non sono molto brevi, in realtà, perché per i reati inferiori a 10 anni è previsto un termine di 3 anni per la sentenza di primo grado a partire dalla formulazione dell'imputazione.
Come ricordava già il professor Zagrebelsky, siamo noi giuristi che compiamo la distinzione tra procedimento e processo penale. Il processo penale inizia con la formulazione dell'imputazione, mentre prima non è processo, ma procedimento. La persona in galera avrà la soddisfazione di starci come indagato anziché come imputato, ma comunque vi rimane.
Il procedimento corrisponde, quindi, sostanzialmente, alla vecchia istruzione, anche perché, con la modifica dell'articolo 392, nel corso delle indagini preliminari, essendo stata enormemente ampliata la possibilità di incidenti probatori, si raccolgono prove vere e proprie. Si potrebbe quindi osservare che le indagini preliminari durano un anno e mezzo - normalmente, perché la proroga si chiede sempre - poi ci sono i tre anni per arrivare al primo grado, per un totale di 4 anni e mezzo e, nei casi più gravi, con 2 anni di indagini preliminari, di 5 anni.
Effettivamente, è una durata molto ampia e quindi questa legge potrebbe sembrare giusta. Personalmente, però, non sono favorevole e spiego perché.
Innanzitutto, vi è una ragione banale e molto pratica: continuiamo a emanare leggi che, anche se sono in astratto apprezzabili, o non trovano attuazione oppure, calate nella realtà giudiziaria, provocano conseguenze negative.
Mi sia consentita una digressione. Abbiamo creato un processo che vorrebbe essere accusatorio e abbiamo voluto realizzare il contraddittorio nel momento di formazione della prova tramite la cross-examination. Con l'accordo di tutte le forze politiche l'abbiamo costituzionalizzato, ragion per cui oggi l'articolo 111 dispone che il processo è regolato dal principio del contraddittorio nel momento di formazione della prova e ciò rappresenta il pilastro del processo penale.
Tale operazione è servita alla dottrina per compiere bellissimi lavori e per sostenere, come ha fatto Giostra, che il contraddittorio nel momento di formazione della prova è lo statuto epistemologico della giurisdizione. Non è, cioè, una garanzia solo in senso soggettivo, ma anche in senso oggettivo.
L'ha riconosciuto anche la Corte costituzionale. Due provvedimenti, una sentenza e un'ordinanza del 2002, affermano che con questa modifica il contraddittorio è diventato un metodo di conoscenza, non solo, quindi, una garanzia soggettiva, ma un metodo di conoscenza della prova.
Non esiste nella prassi il contraddittorio del momento di formazione della prova, perché esso vale essenzialmente per


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la prova narrativa: il giudice deve veder nascere la prova davanti a sé per valutare i tratti prosodici del discorso - così si chiamano - cioè l'atteggiamento psicofisico e il tono della voce. Attraverso la regola di esperienza valuta poi l'attendibilità di chi rende la dichiarazione narrativa.
Ciò presuppone l'immediatezza e la continuità. L'immediatezza non c'è nei casi più gravi, perché i pentiti possono essere sentiti e vengono normalmente sentiti in incidente probatorio, durante le indagini preliminari, ragion per cui il giudice che assolve o condanna non li vede, perché viene introdotto al dibattimento.
Non c'è neanche la continuità. Un vecchio penalista sosteneva che il rinvio è la prova dell'esistenza di Dio, perché l'amano tutti moltissimo, avvocati e magistrati. Oggi sentiamo un teste e rinviamo di tre mesi o sei mesi. Quando si arriva alla discussione, nessuno si ricorda più la faccia dei testi, altro che i loro tratti prosodici. Discutiamo sulla base di registrazioni spesso incomprensibili e di fatto, quindi, il contraddittorio è spesso vanificato.
Se introduciamo questa legge nella realtà giudiziaria, va bene per i giudici nullafacenti. Per questi a un dato punto diventa imbarazzante fare estinguere i processi. Per i giudici che lavorano, invece, se rimane la situazione attuale, cambia poco.
Sono iscritto all'albo da 51 anni. Mi hanno dato una medaglia per i 50 anni, ma di scarso significato, perché si conferisce a chi non è morto e non è stato radiato, titoli di merito che mi sembrano poco significativi.
Quanto meno, però, questi anni mi hanno fatto maturare una discreta esperienza professionale, svolta prevalentemente a Torino, una sede seria, dove la stragrande maggioranza dei magistrati lavora seriamente e si impegna. Ciononostante, non ho quasi mai visto udienze di pomeriggio e ho esperienza di un numero grandissimo di processi in cui, quando si arriva all'una o alle due e basterebbero due o tre ore di udienza per finire, il presidente comunica che purtroppo il cancelliere non si può fermare e allora si rinvia in continuazione.
Se caliamo la legge in esame in questa realtà, avremo molte più estinzioni del processo e molte più persone che non riceveranno la punizione meritata perché la realtà giudiziaria è quella che è.
Passo a un altro problema, tra questi che non si risolvono mai: è possibile che nella provincia di Cuneo ci siano Cuneo, Alba, Mondovì e Saluzzo, ovvero quattro tribunali a poca distanza l'uno dall'altro? Almeno si potrebbe affermare che lì la giustizia funziona bene, mentre invece funziona peggio che nelle altre sedi, perché non ci sono magistrati. Ce ne sono due, di cui uno in maternità. Se introduciamo la legge in queste sedi, i magistrati sosterranno che si estinguono i processi e non c'è altro da fare.
Bisogna tenere presente che le leggi vanno viste calate nella realtà giudiziaria, altrimenti si modificano le strutture e si pagano i cancellieri. Sono osservazioni banali, che però permettono alle leggi di funzionare. Occorre rapportare le leggi agli uomini e non gli uomini alle leggi. In questa situazione giudiziaria, pertanto, le conseguenze, a mio avviso, sarebbero negative.
Dal punto di vista giuridico, si fa sempre riferimento, ed è esplicitato espressamente in questa legge, al principio della ragionevolezza, che secondo me questa legge non rispetta integralmente. La ragionevolezza, infatti, implica un riferimento non solo ai tempi, ma anche alla natura del reato e alla maggiore o minore complessità dell'accertamento richiesto in concreto. Non si può fissare un termine solo con riferimento alla sanzione.
Il processo di insider trading prevede una pena ridicola, di due anni. Esso può essere, però, di una complessità spaventosa. A Taranto si sta celebrando un processo, la cui udienza preliminare è durata un anno e mezzo, per abuso in atti d'ufficio con pena da sei mesi a tre anni. Non è poi un grande reato, ma c'è una banca, Intesa SanPaolo, che ha dato al comune di Taranto 250 milioni di euro e,


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secondo l'accusa, ha concorso con i funzionari del comune in un abuso in atti d'ufficio in quanto il comune era in uno stato di dissesto, che poi è stato dichiarato.
L'esame della documentazione contabile è di una complessità spaventosa e noi non teniamo assolutamente conto in questa legge dell'indice di complessità del processo, che può essere più significativo dell'indice di gravità del reato.
Trovo, quindi, decisamente sbagliato, al punto due dell'articolo 51-bis, non di per sé, ma per le limitazioni che consente, il fatto che con ordinanza possa essere prorogato il termine grazie al quale si arriva all'estinzione fino a un terzo, ove si rilevi una particolare complessità del processo o vi sia un numero elevato di imputati, ma solo con riferimento ai reati dell'articolo 51.
Vi possono essere associazioni che non sono a delinquere o di stampo mafioso, ma economiche. Ora è emerso un processo di una complessità enorme, mi pare nel Veneto, per un'associazione a delinquere che coinvolge decine di cartiere, finalizzata all'evasione fiscale, con un numero elevatissimo di imputati. In questi casi la proroga non è prevista? Qual è la ragionevolezza di questa limitazione della proroga?
A Torino si sta celebrando il processo Eternit, con 3 mila parti civili costituite. L'imputazione è di omicidio colposo plurimo contro due imputati, di cui uno ultranovantenne. Per lui, quindi, l'estinzione non sarà quella del processo, ma ce ne sarà un altro tipo prima di arrivare alla sentenza irrevocabile. Ci sono due soli imputati, ma 3 mila parti civili. Condotto con grande serietà e impegno, quanto durerà questo dibattimento? Non lo so. Provochiamo un'estinzione? Non capisco perché non si tenga conto di questo punto.
Bisogna, cioè, tener conto che non esiste solo la ragionevolezza. In tutte le sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione si ripete, spesso anche per giustificare soluzioni discutibili, che fine primario e ineludibile del processo penale è la ricerca della verità storica.
Sappiamo tutti benissimo che il processo non accerta la verità storica, ma quella processuale, perché le prove sono eventi e disegni presenti con cui si ricostruisce un fatto che appartiene al passato e che non possiamo far rivivere. La sentenza, quindi, è sempre un giudizio probabilistico, ma è altrettanto vero che il processo penale deve tendere spasmodicamente a far sì che la verità processuale coincida, nei limiti del possibile, con quella storica.
Come non tener conto della complessità delle indagini e del tipo di reato, che può apparire di scarsa gravità sotto il profilo della pena, come negli esempi che portavo prima, ma che è in realtà di estrema importanza e richiede indagini molto importanti, che non possono esaurirsi in questi limiti?
Passo a un'altra lacuna presente in questa legge. Abbiamo mantenuto la doppia prescrizione, quella del reato e quella processuale. Posso osservare che vi è un mancato coordinamento? Credo di poterlo affermare; è una constatazione e non una critica. In sostanza, ammettiamo la prescrizione del reato anche dopo che il processo è iniziato. Vi è, quindi, una coincidenza tra prescrizione del processo e del reato. Se si vuole mantenere questa scelta, una volta iniziato il processo, sparisce la prescrizione del reato e resta soltanto quella processuale. Le ragioni dell'una e dell'altra sono diverse e, quindi, con la formulazione dell'imputazione, non è più dichiarabile la prescrizione del reato. Se vogliamo mantenere la distinzione, occorre un coordinamento tra i due tipi di prescrizione.
Infine, sviluppo un'ultima osservazione, che riguarda la norma transitoria. Essa è certamente sbagliata e non nutro alcun dubbio in merito. Anzitutto, come processualista, ho scritto un libro 45 anni fa, in cui avevo sostenuto, ritengo con ragione, che la legge processuale penale anche più favorevole al reo non si applica mai retroattivamente, perché nel campo del processo penale vige il principio tempus regit actum. Il legislatore può introdurre eccezioni e quindi ciò non è troppo traumatico, ma si tratta di eccezioni che provocano conseguenze assurde.


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Vi porto un esempio concreto. Prendiamo un magistrato, non quello nullafacente, ma un magistrato gran lavoratore, che sta svolgendo un processo di bancarotta fraudolenta. Non c'è più custodia cautelare in carcere e le prove sono sostanzialmente acquisite. Perché lo tiene a dormire? Lo fa perché la bancarotta fraudolenta, aggravata ai sensi dell'articolo 219 per il danno patrimoniale, si prescriveva in 22 anni e mezzo. Oggi, con la legge Cirielli, si prescrive in 18 anni e 9 mesi.
Il magistrato - parlo di quello oberato di lavoro - calcola che questo processo si prescrive in 18 anni e 9 mesi e quindi lo tiene da parte, dando la precedenza ai processi di corruzione, che si prescrivevano e si prescrivono in 7 anni e mezzo.
Mi pare assurdo che, senza colpa e senza inerzia, ma unicamente per necessità di coordinare e programmare il lavoro, in questi casi, in virtù di questa norma transitoria, processi di estrema gravità, come quelli di bancarotta fraudolenta aggravata, debbano essere dichiarati estinti. Poiché i magistrati non hanno poteri divinatori, li hanno tenuti a dormire non pensando che si verificasse l'estinzione del processo. Anche sotto questo profilo, questa norma transitoria mi pare veramente sbagliata.
Vi ringrazio dell'attenzione.

PRESIDENTE. Grazie, professor Lozzi. Do la parola al professor Azzariti.

GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma. Ringrazio lei e la Commissione per l'invito e la disponibilità ad ascoltare le mie considerazioni.
Desidero soffermarmi essenzialmente su alcuni specifici profili relativi alla costituzionalità della legge, della proposta, e all'interpretazione corretta degli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione, ai quali il progetto esplicitamente rinvia.
Mi sia concesso, però, inizialmente, di svolgere una considerazione di carattere generale sulla capacità della normativa di conseguire lo scopo dichiarato, che è quello fondamentale di abbreviare la durata dei processi, certamente la più profonda patologia del sistema giudiziario italiano.
Vorrei rilevare che da tempo, anche in periodi meno polemici degli attuali, alcune misure necessarie per alleviare questa piaga sono state indicate, mi sembra di poter affermare anche con una determinata convergenza di intenti.
Vale la pena rapidissimamente di stilarne un elenco per promemoria. Ne accennava il collega Lozzi. Si tratta delle modifiche all'organizzazione giudiziaria per riorganizzare gli uffici giudiziari nel territorio, della ridefinizione dei distretti, di una diversa distribuzione territoriale dei tribunali e delle procure; in secondo luogo, della modifica dei codici di rito per snellire le procedure e superare i formalismi ritenuti ormai superflui, della modifica dei codici sostanziali, in campo penale restringendo la platea dei reati e depenalizzando le fattispecie di minore pericolosità sociale, e in campo civile per la composizione extragiudiziaria delle liti. Voglio ricordare in proposito che un decreto legislativo, il n. 28 del 2010, opera proprio in tal senso.
Vi sono poi l'adozione della normativa speciale per favorire i riti alternativi abbreviati, l'ammodernamento delle strutture, che evidentemente comporterebbe un forte esborso di spesa, il passaggio al processo telematico, su cui bisogna anche dare atto all'attuale Governo di essersi impegnato, la riqualificazione del personale specializzato, quindi dei cancellieri e degli ausiliari, ma anche dei magistrati tramite l'aggiornamento professionale che può essere garantito riformando le scuole e i corsi del Consiglio superiore della magistratura, l'incentivazione di comportamenti professionali rigorosi dei giudici, sia eliminando o riducendo la possibilità di incarichi extragiudiziari, sia frenando la spettacolarizzazione della giustizia.
Infine, vi è la razionalizzazione della copertura dei ruoli, non solo prevedendo certamente un aumento dell'organico, ma anche forse distribuendo meglio le risorse umane esistenti nel territorio.


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Questo è un rapidissimo elenco delle iniziative che forse tutti noi siamo convinti bisogna assumere.
Di tutto ciò, però, non vi è nulla nella proposta di legge, che pure si propone di contrastare la durata indeterminata dei processi.
Come è noto ed è stato rilevato, essa si limita infatti a definire una nuova forma di prescrizione processuale che si affianchi alla prescrizione sostanziale di cui all'articolo 157 del Codice penale. Mi sembra naturale chiedersi, però, se sia saggio intervenire solo sul tempo del processo, tralasciando le cause che ne determinerebbero l'insopportabile lunghezza.
Mi chiedo, cioè, se non si rischi in tal modo di suffragare, volontariamente o meno - credo che non importi - la critica che la finalità principale di tale legge sia quella impropria di sfuggire alla giurisdizione, interrompendo bruscamente i processi in corso nel loro svolgimento, anziché quella sacrosanta di farli concludere rapidamente.
Se però il fondamento giustificativo di questo provvedimento fosse quello di dare attuazione agli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione, l'estinzione di tanti o pochi processi sarebbe, in fondo, da considerare unicamente un effetto necessario, anzi, al limite, neppure negoziabile, perché bisogna introdurre un principio non solo giusto, ma anche imposto dalla Costituzione e dalla Corte di Strasburgo.
Credo, dunque, che sia fondamentale verificare la compatibilità con delle previsioni che si vogliono introdurre rispetto alle disposizioni costituzionale ed europea e mi sembra, in proposito, di dover evidenziare un problema fondamentale, che ora enuncio e poi motivo.
Il meccanismo che si vuole introdurre tende, a mio modo di vedere e forse non solo a mio modo di vedere, ad assolutizzare uno solo dei parametri che devono essere tenuti presenti per garantire i valori costituzionali del giusto processo e prescritti anche in sede europea, provocando in tal modo uno squilibrio che rischia di tradursi in un vizio di incostituzionalità, sotto il doppio profilo dell'irragionevolezza intrinseca della legge e della violazione dell'articolo 111 della Costituzione correttamente inteso.
Vi è il rischio, inoltre, che ora motiverò, di non rispondere neppure alle censure mosse dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. In effetti, la prescrizione processuale, almeno per come è stata congegnata nella proposta in esame, definisce solo una presunzione legale assoluta di violazione del principio della ragionevole durata del processo allo scadere dei termini prefissati dalla legge stessa, senza considerare gli altri fattori che pure appaiono determinanti per configurare la violazione del principio del giusto processo.
A me sembra che tanto la lettera della Costituzione, quanto la giurisprudenza europea, quanto la Corte costituzionale italiana appaiano esplicite nel ritenere necessario assicurare, insieme alla durata breve dei processi, anche le garanzie processuali fondamentali.
Credo che si possa affermare che l'articolo 111 parla chiaro - basta leggerlo - quando spiega come la giurisdizione debba attuare il principio del giusto processo. Si scrive, come ricordate: «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.» Poi si aggiunge: «la legge ne assicura la ragionevole durata.» Oltre alla durata ragionevole, dunque, è necessario assicurare il contraddittorio e, più in generale, il diritto delle parti.
Non ancorare alla sola durata le garanzie del processo giusto è importante al punto che, al terzo comma, lo stesso articolo 111 prevede alcune cause di rallentamento necessario del processo, come tempi e condizioni necessari per assicurare un effettivo diritto di difesa e tempi e modi per garantire l'acquisizione dei mezzi di prove e lo svolgimento degli interrogatori.
D'altronde, l'inviolabilità del diritto di difesa è sempre stata un faro della giurisprudenza costituzionale, che l'ha collocata, come sapete, tra i diritti supremi suscettibili di essere pretermessi persino da una legge costituzionale.


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L'ha scritto in modo inequivocabile la Corte in una sua recente decisione, per esempio, quando ha rilevato che «il processo non è giusto - cito da questa decisione, la n. 317 del 2009 - se è carente sotto il profilo delle garanzie e,» aggiunge la Corte, «non è conforme al modello costituzionale, quale che ne sia la durata.»
L'esigenza di contemperare il principio della ragionevole durata del processo con la tutela degli altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti e rilevanti nel processo penale rende dubbia la costituzionalità della norma, che si occupa invece esclusivamente di estinguere il processo.
Credo che anche un'attenta valutazione dell'articolo 6 della Convenzione da parte della Corte europea, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, confermi la forzatura della proposta di legge.
Il collega Zagrebelsky l'ha già osservato, ma, trattandosi di un dato essenziale, è opportuno riproporlo: nella copiosa, ampia giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non è mai stato stabilito un preciso limite temporale alla durata dei processi.
Ritengo che ciò sia dettato da una ragione fondamentale: la Corte ha sempre legato il principio della ragionevole durata del processo al diritto di ogni persona e della comunità di vedere esaminato nel merito e nel rispetto del diritto delle parti le questioni sottoposte alla giurisdizione. La Corte europea ha, anzi, individuato, nella sua copiosa giurisprudenza, una specifica responsabilità dello Stato nel dovere di assicurare il corretto esame nel merito della causa.
Sempre la giurisprudenza europea dispone che «la durata del processo breve deve essere condizionata dalla complessità del giudizio - si faceva riferimento alla normativa interna - alle esigenze delle parti, ai comportamenti delle parti pubbliche e delle parti private.»
Dalla Corte di Strasburgo l'Italia è stata condannata spesso per la lentezza dei processi, come è noto, ma altre volte lo è stata per il mancato o inadeguato rispetto dei diritti nell'ambito di essi. È stata condannata per non aver rispettato il diritto soggettivo ad avere il processo, a ottenere una sentenza e a giungere a una decisione.
Potrei, dunque, sintetizzare nel modo seguente il pensiero della Corte: il processo si deve svolgere rapidamente, ma anche seriamente.
È da rilevare, allora, il rischio che, con l'introduzione di questa normativa, si enfatizzi la necessità del tempi del processo, ma ci si dimentichi delle necessariamente collegate esigenze di garanzia nel processo.
Vorrei adesso soffermarmi brevemente sulla disposizione più controversa, cui accennava anche il professor Lozzi, ossia quella dell'articolo 9, il quale stabilisce che «nei processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge (...) il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando sono decorsi più di 2 anni (...) ovvero 2 anni e 3 mesi (...)» con riferimento ai giudizi di primo grado.
È indicata come disposizione transitoria, ma in realtà non è propriamente tale, perché definisce una norma speciale retroattiva, che è una questione diversa. Non si tratta, infatti, di una semplice disposizione transitoria in senso proprio, perché è diverso il termine.
Come ben sapete, il termine previsto dal regime ordinario all'articolo 5, in primo grado, per gli stessi reati è di 3 anni, mentre la previsione della cosiddetta disposizione transitoria e di 2 anni o di 2 anni e 3 mesi, come richiamavo precedentemente.
Questo aspetto è importante perché l'essere una norma non transitoria, ma derogatoria, per di più con carattere retroattivo, aggrava i dubbi avanzati da molti sulla presunta incostituzionalità della legge. È noto, infatti, che le norme derogatorie retroattive devono essere quanto meno soggette a uno scrutinio stretto di costituzionalità sotto il profilo del rispetto del principio di ragionevolezza ed eguaglianza.
A mio parere, la disposizione in esame non supera tale scrutinio per le ragioni che illustro.


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Per come è stato formulato, l'articolo 9 appare viziato da irragionevolezza, violando l'articolo 3 della Costituzione; infatti, è irragionevole fissare per i processi in corso una data ravvicinata di estinzione che si imponga in corso d'opera. La durata del processo, a garanzia della certezza del processo stesso, deve essere conosciuta dagli organi giudicanti e dalle parti sin dall'inizio, per una ragione essenziale, ossia affinché ciascuno possa modulare i propri comportamenti processuali anche in ragione della durata più o meno breve del processo, al fine di giungere correttamente e attraverso le proprie garanzie alla conclusione del processo stesso.
I cambi delle regole del gioco che prescindano, come fa la disposizione in oggetto, dalle considerazioni della situazione di fatto in cui versano i dibattimenti rischiano di trasformare la ragionevole durata - mi sia consentito di esprimermi in questi termini - in un ordine di chiusura dei processi stessi.
D'altra parte, proprio l'eventualità che tale previsione possa tradursi - mi esprimo brutalmente - in un ordine di chiusura ha fatto ritenere ad alcuni che ci si trovi dinanzi a un'amnistia mascherata.
Mentre deve rilevarsi che la disposizione non si pone in contrasto formale con l'articolo 79 della Costituzione sulle amnistie, il fondamento della critica è da ravvisare sul piano sostanziale, degli effetti prodotti dall'applicazione della norma. Essa avrebbe, infatti, effetti analoghi a quelli dell'istituto dell'amnistia, ma con un'aggravante, perché essi sarebbero per lo più affidati al caso, operando irragionevolmente e discriminando tra gli stessi beneficiati del provvedimento - chiamiamolo così - di clemenza.
Per alcuni reati, commessi entro una determinata data, quella del 2 maggio del 2006, si dovrà applicare la norma derogatoria e retroattiva, ma non tutti potranno usufruire dell'estinzione del processo o del beneficio della norma transitoria. La possibilità di usufruire di tale disposizione è sostanzialmente, come ripeto, lasciata al caso, alla situazione casuale in cui viene a trovarsi il singolo indagato al momento dell'entrata in vigore della legge e non copre tutti i reati di un determinato tipo, quelli individuati dalla norma, bensì unicamente i reati di quel tipo che hanno la ventura, la fortuna per l'indagato prosciolto, di aver iniziato il proprio iter processuale da più di due anni oppure in un tempo vicino a tale data.
Questa distinzione è priva di ragione, almeno a mio parere, peraltro operando senza amnistia formale, il che rappresenta un aggravamento, e distinguendo tra i beneficiari della disposizione.
Mi sembra poco comprensibile la ragione per la quale la previsione della normativa derogatoria ex articolo 9 sia riservata ai soli giudizi di primo grado. Ho criticato questo punto: anche volendo assumere la logica esclusiva della brevità del processo, non riesco a capire la distinzione tra le situazioni processuali a seconda dei gradi di giudizio. Se essa deve valere per il primo grado, dovrebbe essere garantita anche per quelli successivi.
Concludo, se mi permettete, con una rapida considerazione relativa a quello che chiamerei un effetto collaterale della disposizione stessa, che però mi sembra grave e quindi da richiamare.
L'introduzione della prescrizione processuale in una situazione che di fatto rende probabile giungere all'estinzione del processo, proprio perché, come ho detto inizialmente, è tralasciato ogni intervento sulle cause che producono e continuano a produrre la lentezza dei processi, lancerebbe - credo - un segnale negativo al mondo forense.
La strategia processuale rischierebbe, infatti, di non avere più al suo centro i diritti di difesa, bensì le tecniche di allungamento dei processi, perché potrebbe essere ritenuto più conveniente, dal punto di vista del difensore e degli imputati, a prescindere dalla loro eventuale colpevolezza, ovvero nei processi civili dei convenuti in giudizio, adoperarsi per allungare i tempi del processo, giungere al risultato della sua prescrizione e non più, invece, avere al centro, di mira, la dimostrazione in sede processuale dell'innocenza dell'imputato ovvero delle ragioni a discolpa del reo.


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Credo che anche i riti alternativi e abbreviati, che seppur poco, decongestionano e abbreviano i tempi del processo oggi verrebbero abbandonati, perché si troverebbe più conveniente perseguire la strada dell'estinzione possibile, soprattutto - mi richiamo di nuovo al professor Lozzi e ai casi che ci ha riportato - nei casi più complessi, di maggiore allarme sociale, ove è più «facile» far passare il tempo sino a giungere alla liberatoria prescrizione processuale.
Il processo giusto ricomprende in sé certamente la durata breve, però non si concilia con un'ipotesi e con una prescrizione processuale che permetta la fuoriuscita dal processo. Si rinviene il ribaltamento di una cultura garantista che dovrebbe ispirare tutti, una cultura garantista che pretende di garantire i diritti di ciascuno nel processo e non, invece, dal processo.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, professore. Sono state svolte tre esposizioni estremamente dettagliate, ma possiamo ancora approfittare per alcuni minuti della vostra presenza perché ci sono alcuni iscritti a parlare.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ANGELA NAPOLI. Ho ascoltato attentamente tutte le relazioni, estremamente prestigiose e in molti punti condivisibili.
Chiedo, perché ciò sia d'aiuto al nostro lavoro, quali potrebbero essere le principali proposte degli auditi su una ragionevole durata del processo, che renda compatibile la ragionevolezza della durata e il giusto processo, al di là di quella che mi sembra una base fondamentale, cioè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie.

ANNA ROSSOMANDO. Soprattutto nell'ultima parte dell'esposizione è stata svolta una disamina degli effetti distorsivi rispetto allo strumento del processo. Poiché noi siamo, purtroppo, abituati, in questi due anni di legislatura, a vedere continuamente proposte di modifica processuale, cioè che incidano sulla procedura, per fini che non hanno nulla a che fare con gli istituti processuali, chiederei di tornare su quest'argomento sotto questo profilo.
Per esempio, la prescrizione del reato salvaguarda il diritto o comunque l'idea che, con il decorso di un dato periodo di tempo, non sussiste più l'interesse della comunità alla persecuzione di un reato.
Se vogliamo attenerci agli strumenti processuali, anche nei termini sulle misure cautelari il bene tutelato è quello di non protrarre i processi oltre un dato limite sotto il profilo della tutela della libertà della persona.
In questo caso, al di là del titolo, che sicuramente è anche di tipo giornalistico, di «processo breve», esiste un termine di decadenza in esito al quale si estingue il processo. Sembrerebbe che il bene che si vuole tutelare sia, dunque, la durata del processo.
Chiedo se, in realtà, non sia assolutamente abnorme lo strumento, anche sotto un profilo di sistema. Capisco che prevalga un ragionamento non giuridico e più pratico, che sta esattamente nelle osservazioni svolte, ossia che esistono altri provvedimenti che possono sicuramente migliorare e andare a colpire la durata del processo. Non vi è, però, comunque un'assoluta illogicità e abnormità nell'insistere, incidendo sul processo, sullo strumento processuale per voler dichiaratamente tutelare la durata?
Per il resto, ovviamente, le vostre sono tutte considerazioni già emerse, anche con riferimento a un'inversione della tutela, posto che la finalità del processo è quella dell'accertamento e quindi della tutela di diritti variamente intesi.
Passo a un'altra questione, anche se non è una domanda. È motivo di soddisfazione per noi del Partito Democratico aver potuto ascoltare in modo molto più dotto di quanto forse abbiamo fatto in altre situazioni che l'individuazione di rimedi di sistema che incidano sui tempi del processo appartengono alla comunità dei giuristi.


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Nel programma che abbiamo prospettato al Paese, infatti...

PRESIDENTE. Onorevole Rossomando, rispettiamo la regola di porre semplici domande agli auditi, riservando le considerazioni politiche ad altre sedute della Commissione.

ANNA ROSSOMANDO. Ho finito. Ai colleghi della maggioranza rispondo che è motivo di soddisfazione che queste siano prospettazioni e priorità condivise non soltanto dagli operatori del diritto, ma anche dalla comunità scientifica.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rossomando. Raccomanderei ai commissari, come sempre in sede di audizione, di attenersi agli interventi per domande.

DONATELLA FERRANTI. Ringrazio particolarmente i professori intervenuti e il presidente Zagrebelsky di aver accolto l'invito dell'Ufficio di presidenza di questa Commissione per arricchire il nostro dibattito con spunti di riflessione particolarmente interessanti. Forse non ci sarebbe nemmeno bisogno di porre domande, perché gli interventi sono stati a 360 gradi, ma ne pongo comunque, anche per dare un significato alla nostra necessità di andare a fondo e rispettare lo spirito che ci aveva chiesto anche il relatore, l'onorevole Paniz, il quale esorta a ispirarsi a uno spirito costruttivo. Nel merito, intenderei verificare se questo disegno di legge contenga spunti che possono essere conservati, oppure se l'unica soluzione sia quella di abbandonarlo, o meglio, di ritirarlo.
Fermo restando che non c'è nulla da chiarire rispetto alle considerazioni svolte, volevo soltanto sviluppare una mia piccola riflessione per domandare se...

PRESIDENTE. Chiedo scusa all'onorevole Ferranti, ma faccio presente che ci hanno raggiunto in questo momento i rappresentanti del Consiglio nazionale forense, che ringrazio: l'avvocato Marco Stefenelli, l'avvocato Aldo Morlino e l'avvocato Bruno Grimaldi.

DONATELLA FERRANTI. Volevo chiedere se, oltre a quanto è stato già rappresentato, possa essere considerato sotto i profili di eventuali rilievi di incostituzionalità nell'impostazione di questo disegno di legge anche un contrasto con il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Domando se questa presunzione assoluta di durata, che si definisce in astratto ragionevole, ma che comunque viene imposta per tutti i tipi di reati, entro un dato limite, a prescindere dalla complessità delle indagini e dello stesso accertamento processuale, non ponga una violazione anche di tale principio.
Vengo a un altro aspetto. Anche rispetto a questa norma intitolata transitoria, per esempio, oltre ai profili che ha individuato il professor Azzariti, leggo al comma 3 dell'articolo 9, a mio avviso, un'ulteriore irragionevole disposizione, perché, mentre per il processo penale, laddove si emana questa norma derogatoria a carattere retroattivo, come l'ha definita il professore, si fa riferimento a un tempo più breve di quello ordinario per il processo penale di primo grado, per il giudizio contabile si aumenta il termine. Mentre, quindi, si pone un termine di due anni per il processo penale in corso, a prescindere da tutte le violazioni riguardanti l'articolo 3 e tutto quanto è stato esposto, nel giudizio contabile, invece, proprio perché si va a incidere su processi in corso, dove anche chi ha promosso e sta portando avanti questi giudizi non sapeva che ci sarebbe stata la tagliola, è previsto un termine di cinque anni.
Dal professor Lozzi vorrei, se fosse possibile, un approfondimento sul concomitante corso dell'istituto della prescrizione del reato e di questa nuova prescrizione processuale, soprattutto in relazione alla compatibilità con le cause che provocano la sospensione della prescrizione del reato e chiedo come, in realtà, esse dovrebbero essere conteggiate ai fini del decorso della prescrizione del processo.


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FEDERICO PALOMBA. Sarò brevissimo, presidente. Volevo soltanto avere la conferma di un' idea che mi sono formato.
Secondo la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, allo Stato si chiede la responsabilità non solo perché i processi durano molto, ma anche perché si devono tenere e concludere. In alcuni casi è esplicitamente previsto che lo Stato italiano venga chiamato a rispondere se non si adopera efficacemente per l'indagine e per la conclusione del processo.
Non sarebbe meglio affermare che lo Stato italiano deve fare in modo che i processi si concludano, piuttosto che si estinguano per morte naturale? Non sarebbe meglio che i soldi che paga per la legge Pinto venissero destinati all'aumento delle risorse, del personale, e che si rivedessero alcune norme procedurali?
Infine, vorrei sapere se può essere ipotizzata una responsabilità dello Stato per il fatto che decine di migliaia di processi verrebbero a morire nel caso in cui questa legge venisse approvata e se le parti offese potrebbero convenire lo Stato italiano in giudizio dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo per non aver ha apprestato le risorse affinché i processi si concludessero.

ENRICO COSTA. Vorrei rivolgere una domanda al professor Lozzi relativa ai modelli di organizzazione del lavoro che ha evidenziato come assenti nel nostro ordinamento per poter assorbire una riforma di questo genere.
Visto che il Governo ha in più circostanze evidenziato che, a margine di questo disegno di legge, avrebbe attuato meccanismi tali da rendere l'organizzazione in grado di poter assorbire questo strumento, chiedo al professore se, alla luce delle correzioni delle criticità che lei ha sottolineato, non ritenga possibile affiancare questi moduli di miglior organizzazione al processo, ivi compreso un altro aspetto ancora diverso, ossia quello legato alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Il professore ha portato l'esempio delle circoscrizioni giudiziarie della provincia di Cuneo. Per campanilismo, essendo iscritto all'ordine degli avvocati di Mondovì, non posso che mettere in rilievo come, quanto meno dal punto di vista della statistica - mi rendo conto che i processi siano molto meno impegnativi rispetto ad altri fori - ci sia comunque una tempistica di smaltimento dell'arretrato processuale molto migliore rispetto ad altre sedi. Questo è sicuramente un esame che chiederei si potesse effettuare.
Vorrei, però, chiedere di valutare un altro aspetto, se potesse emergere, in base, come penso, allo stesso spirito che animava la proposta della presidente attuale del Gruppo del PD al Senato, onorevole Finocchiaro. Oggi non è più attuale, perché il Partito Democratico sta all'opposizione e ritiene, sulla base delle parole dell'onorevole Rossomando e dell'onorevole Ferranti, di aver cambiato opinione, non so se per una variazione culturale e di approccio al tema, oppure semplicemente per svolgere un'opposizione strumentale e preconcetta.
Non è possibile che questo meccanismo possa costituire anche un elemento di responsabilizzazione del magistrato di fronte a tempi processuali a lui direttamente «imputati»? Oggi la prescrizione vigente riguarda l'insieme del procedimento, naturalmente.
Oggi, in sostanza, si attribuisce un tempo al magistrato che deve giudicare. Capisco che ci sono processi impegnativi, che prescindono dall'impegno e dalla responsabilizzazione, ma in altre circostanze è possibile che invece ciò incida nel far correre maggiormente i processi.
Come ripeto e come ha più volte evidenziato il Governo, questo testo non è blindato, ma è un testo sul quale si vuole discutere. Sarebbe importante, però, oltre che evidenziarne le criticità, anche - lo auspichiamo - che ci possano pervenire da parte dei soggetti auditi proposte migliorative e correttive.

LORENZO RIA. Chiarisco subito che non ci sono domande, ma, dal momento


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che non vorrei che chi non pone domande possa essere ritenuto in una posizione di dubbio o di incapacità di prendere posizione, vorrei rilevare che, anche alla luce degli interventi autorevoli di oggi, non c'è dubbio che il Parlamento starebbe percorrendo una strada sbagliata, se insistesse su questo disegno di legge.
D'altra parte, non ha senso attendersi dagli auditi proposte rispetto alla cosiddetta non blindatura della proposta di legge, quando tutti - ho con me l'elenco - insistono sulla posizione per cui si sta sbagliando e non c'è nulla da modificare se non intervenire con altri tipi di proposte. Credo, dunque, che i dubbi vengano proprio da chi si aspetta indicazioni e proposte.
Il fatto stesso che, dopo essere stato approvato dal Senato, il disegno di legge sia rimasto fermo alla Camera per 8-9 mesi significa che, a insistere con le audizioni stiamo davvero perdendo tempo. Noi insistiamo, dunque, perché si concluda rapidamente questo traccheggiare e si abbandoni tale proposta al suo destino.

PRESIDENTE. Prego i commissari di limitarsi ad interventi per domande e mi raccomando in tal senso all'onorevole Capano, alla quale do la parola.

CINZIA CAPANO. Porrò tre domande secche. Avverto, però, che le prime due si ricollegano a quelle formulate in precedenza dai colleghi, soprattutto da quelli di maggioranza, che sostanzialmente hanno chiesto suggerimenti.
Comincio con la prima domanda. Vi è stato chiesto se esistano moduli organizzativi che possano rendere questa norma accettabile. Si può pensare a modelli organizzativi da adottare con le risorse promesse, se si lascia in piedi la disciplina transitoria così com'è? Non è la disciplina transitoria di per sé che elimina ogni possibilità di organizzare gli uffici in modo che possano rispettare i termini che questa norma impone?
Passo alla seconda domanda. È possibile pensare di responsabilizzare i magistrati attraverso riforme dei codici di rito piuttosto che con interventi sull'ordinamento giudiziario?
L'ultima domanda è relativa a una questione posta dal professor Zagrebelsky, il quale affermava prima che la risarcibilità è strettamente collegata alla durata del processo e non può avere una diversa graduazione a seconda che a richiederla sia la parte vittoriosa o quella soccombente del giudizio. Già in questo ci sarebbe una violazione dei princìpi che hanno ispirato la giurisprudenza.
Domando se non vi sia una violazione anche nel fatto di ipotizzare l'istanza che deve essere depositata dalle parti e nel qualificare tale istanza come un presupposto addirittura all'interesse ad agire e quali effetti potrebbe avere la qualificazione di tale istanza come interesse ad agire nei procedimenti in corso, perché, in quanto norma processuale, quella dell'articolo 3-quinquies sui giudizi civili potrebbe avere immediata applicazione.
Poiché si prevede che tale istanza, nel caso in cui venga prodotta oltre i termini, che però potrebbero già essere lassi, confinerebbe l'interesse ad agire solo per il periodo successivo, ciò non potrebbe provocare una grave discriminazione? Potrebbero esserci soggetti i quali hanno subito un giudizio che per i primi otto anni è stato di irragionevole durata e che, invece, negli ultimi due diventa rispettoso dei canoni, ma perderebbero il diritto a tale indennizzo.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Capano. Sono state formulate numerose domande e comprendo che per rispondere in maniera esaustiva probabilmente servirebbe più di una seduta.
Pregherei quindi i professori, pur consapevole della necessità di disporre di tempo adeguato, di compiere uno sforzo di sintesi per potere rispondere. Abbiamo dilatato i tempi e ci sono altri auditi.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

VLADIMIRO ZAGREBELSKY, Giudice emerito della Corte europea dei diritti dell'uomo. Rispondo ad alcuni aspetti che


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possono rientrare nella mia esperienza con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Su quest'ultimo punto, onorevole Capano, effettivamente può sussistere un problema. I meccanismi acceleratori, accanto a quelli risarcitori o di indennità, per l'irragionevole durata sono previsti in molti ordinamenti europei e la Corte li ha sempre accettati e, anzi, suggeriti. In questo caso, effettivamente, si rimette in termine lo Stato, che è già in ritardo e in violazione, e il problema potrebbe esistere.
Per quanto riguarda la questione posta dall'onorevole Palomba, non figura nella Convenzione, nell'ambito dell'articolo 6 in particolare, un diritto delle vittime a vedere svolgersi un procedimento penale in generale, ma, come ricordavo prima, in alcune materie vige un obbligo dello Stato di esercitare la potestà punitiva con indagini efficaci e conclusioni nel merito dei procedimenti. Alcune materie derivano dalla Convenzione, altre da trattati diversi in materia di corruzione, di stupefacenti e via elencando.
Per quanto riguarda la domanda posta dall'onorevole Rossomando, cioè se questo sistema di estinzione del procedimento sia in sé accettabile o se sia, invece, tanto abnorme da non poter nemmeno essere discusso, vorrei segnalare - non so se la Commissione dispone di un'indagine di diritto comparato in materia - che esistono in Europa sistemi che prevedono questo tipo di soluzione.
In particolare, il Regno Unito conosce la possibilità, rara ed eccezionale, che il giudice, a un dato punto, decida che la prosecuzione del processo viola la fairness del procedimento, e così in altri sistemi del nord Europa. È sempre il giudice, tuttavia, che, tenendo conto delle particolarità del caso concreto, in via discrezionale può eccezionalmente arrivare a questa misura. Non ci sono sistemi, a mia conoscenza, di automatismo, come in questo caso.
Oppure ci sono sistemi, come in Belgio, in cui il giudice, tenuto conto dell'eccezionale e irragionevole durata del procedimento, giunge nel merito a dichiarare la responsabilità penale, se è il caso, dell'imputato, senza però erogare pena, o diminuendola. Si tratta sempre, tuttavia, di materia straordinariamente discrezionale nelle mani del giudice.
Mi fermo qui perché i tempi sono brevi.

GILBERTO LOZZI, Professore emerito di procedura penale presso l'Università La Sapienza di Roma. Sarò anch'io brevissimo.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Napoli in merito a strumenti per realizzare la ragionevole durata a prescindere da quello indicato da questa legge, sono già emersi nel corso di questa discussione. Tutti hanno parlato della riforma delle circoscrizioni giudiziarie.
In proposito, vorrei tranquillizzare l'onorevole Costa: a me va benissimo che nella provincia di Cuneo vi sia un solo tribunale a Mondovì, ma che sia uno solo e non quattro. Per mia esperienza professionale, quando vado a Cuneo, Alba, Mondovì o Saluzzo, i rinvii sono di 8-10 mesi, molto peggio che a Torino, una sede decisamente più importante e con un maggior carico di lavoro.
Non si emanano mai le riforme delle circoscrizioni giudiziarie. Una volta mi sono sentito rispondere, poiché proponevo l'eliminazione di Pinerolo, sempre afferente a Torino, che a Pinerolo c'era la Scuola di cavalleria. Non ci sono nemmeno più i cavalli! Era un magistrato pinerolese, che si offese quando tenni questo discorso.
Non riusciamo mai a effettuare le riforme perché ci sono l'onorevole del posto, gli avvocati del posto, che già hanno le relazioni e lo studio, e i magistrati, che si oppongono perché, naturalmente, più sono i tribunali, più sono gli uffici direttivi. Sono riforme di buonsenso e siamo tutti d'accordo, ma poi non si compiono.
Sempre per realizzare la ragionevole durata, per esempio, a che servono cinque magistrati in Cassazione? Una volta avevamo in Corte d'appello cinque magistrati: li abbiamo ridotti a tre e nessuno si è accorto di questo cambiamento.


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Il processo in Cassazione è noto al presidente e al relatore; gli altri tre simulano una cortese attenzione, quando sono cortesi, perché a volte si vede che leggono e si preparano la relazione successiva.
Recuperiamo quattro sezioni di Cassazione: se dalle sei sezioni togliamo due magistrati, 2 per 6 fa 12 e abbiamo altro quattro sezioni di Cassazione. Lo dico con profonda amarezza, perché la discussione che amo di più è quella in Cassazione, in quanto verte su questioni di diritto. Non so, però, quanto serva, perché con 15 o 20 udienze in Camera di consiglio e 20 o 30 in udienza pubblica, che cosa ricordano questi magistrati non giovani - è una battuta boomerang, perché sono più giovani di me - quando si ritirano in Camera di consiglio, di quello che ha detto il primo avvocato?
Diciamocelo francamente: forse l'eliminiamo e teniamo un processo scritto, anche perché gli avvocati parafrasano i motivi di Cassazione. Se hanno qualcosa di nuovo da aggiungere ci sono i motivi aggiunti e le memorie.
Queste piccole riforme non si compiono, come non si compiono preclusioni processuali. È una vergogna che si possa eccepire una nullità in discussione che si poteva eccepire in udienza preliminare o durante le questioni preliminari e lo si faccia in violazione di un principio di lealtà processuale, dopo un'istruzione dibattimentale magari durata 2-3 anni, ponendo il giudice di fronte all'alternativa di accogliere l'eccezione fondata e vanificare il processo, oppure, come spesso accade, di considerare la norma processuale una circolare e respingere l'eccezione fondata per non vanificare il processo.
È tanto semplice. Introduciamo un sistema di preclusioni processuali: le nullità verificatesi nelle indagini preliminari e nell'udienza preliminare devono essere proposte nelle questioni preliminari e prima dell'apertura del dibattimento.
Sono tante le riforme di questo tipo, di cui si parla da anni. Non amo nemmeno più ripeterle perché mi dà un senso di invecchiamento.
Rispondo all'onorevole Ferranti. Non credo che questa legge contrasti con il principio di obbligatorietà. Non lo credo proprio. Ritengo, invece, giusto - l'ho dichiarato e non posso che ribadirlo - che si debba attuare un coordinamento tra la prescrizione del reato e la prescrizione processuale.
Non sono d'accordo con l'onorevole Rossomando quando afferma che la prescrizione del reato esiste perché non vi è più l'interesse sociale. Non è vero, anzi, l'interesse sociale è particolarmente sentito nei confronti di un delinquente abilissimo, a carico del quale non si sono trovate prove e che quindi non si è riusciti a sottoporre a un procedimento penale. La società di fronte, per esempio, a un omicida che abbia realizzato un omicidio pressoché perfetto vuole il processo penale e la punizione.
La prescrizione del reato ha un'altra ragione, ossia che col passare del tempo le prove svaniscono e che, quindi, non c'è più interesse a tenere il processo, perché sarà estremamente improbabile che, con il decorrere del tempo, si trovino persone che ricordino o altri tipi di prove. Questa è la prescrizione del reato.
In un'attività di coordinamento, secondo me, se si mantiene questa legge, una volta iniziato il processo, la prescrizione del reato non dovrebbe essere più possibile e dovrebbe rimanere soltanto la prescrizione processuale. Non possiamo tenere in piedi la prescrizione del reato e quella processuale: mi pare veramente assurdo.

GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma. Per rispettare la richiesta di brevità del presidente raccoglierò e rinvierò la domanda fondamentale, che mi sembra sia stata posta in modo diverso dagli onorevoli Napoli, Palumbo, Costa, Ria e Capano, in sostanza quasi da tutti, in merito alle proposte alternative.
Lascerò, se è ritenuto utile, il testo scritto dell'intervento che ho sintetizzato. All'inizio, come ricorderete, figura un decalogo,


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o meglio nove punti che riguardano le possibili modifiche che da tempo vengono discusse.
Vorrei solo aggiungere una considerazione. Non avviene soltanto in questa legge, forse è la cultura del Paese, ma si tende alla semplificazione. Ciò è comprensibile, ma purtroppo - ahinoi - i problemi della giustizia sono altamente complessi, come la soluzione ai problemi della brevità del processo. Bisognerebbe avere la possibilità materiale, e non solo la capacità politica, perché è ovvio che ci dovrebbe essere, di avere una strategia processuale per l'abbreviamento del processo.
Tra le critiche principali a questo sistema vi è quella - credo di averlo ricordato e lo voglio ripetere - di aver assolutizzato un problema, quello dei tempi, il che porta a distorsioni e ricaschi negativi.
Più in particolare, per quanto riguarda, per esempio, l'onorevole Rossomando, che chiedeva ancora approfondimenti sulla durata del processo, credo che sia sbagliata una fissazione in astratto della durata del processo, perché i processi non sono tutti uguali, ma sono situazioni complesse.
Per quanto riguarda le due domande dell'onorevole Ferranti, anch'io credo che non si ponga tanto un problema di compatibilità con il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, ma ritengo che ci possa essere - non ho il tempo per spiegarlo - un profilo delicatissimo relativo all'articolo 24 della nostra Costituzione sui diritti di difesa. Mi domando, cioè, se e come la brevità e l'interruzione del processo sia compatibile ovvero non rispetti i diritti di difesa che devono essere sanciti e che vengono pretermessi nell'interruzione brusca di un processo.
In relazione alla questione specifica sul terzo comma, a me sembra, in una battuta, di poter affermare quanto segue. Paradossalmente, non è del tutto sbagliato, in via di principio, assegnare un tempo maggiore a un giudizio anziché a un altro, ma dovrei intendere che il proponente il disegno di legge abbia ritenuto che il giudizio contabile richiedesse tempi maggiori rispetto a quello del processo penale o degli altri processi.
Voglio soltanto aggiungere, per ragioni di verità di fatto, che il presupposto mi sembra errato proprio in via di fatto. Esistono alcuni processi penali - non tutti; ritorniamo sempre allo stesso punto - che sono, banalmente, ben più complessi di processi contabili più semplificati. La via, quindi, è giusta, ma l'esito dovrebbe essere perseguito, in quanto non è stato raggiunto.
L'onorevole Palomba, se ho capito bene, chiede se non sarebbe più opportuno, anziché interrompere i processi, formulare per via normativa - immagino - una disposizione che stabilisca l'obbligo di conclusione dei processi.
Voglio capire di che si tratta: se si tratta di imporre al giudice di concludere il processo allo stato degli atti, comunque siano quelli al momento del dibattimento in corso, certamente ciò sarebbe impossibile a farsi, perché i dubbi sull'articolo 24 e sui diritti di difesa sarebbero moltiplicati. Non mi sembra possibile.
Come ripeto, credo che la strategia non possa che essere quella di affrontare le questioni delicate della giustizia non partendo da un arto o dalla coda, ma dalla testa o comunque considerando il corpo nel suo complesso.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Avverto che il professor Azzariti ha consegnato un documento, che sarà posto in distribuzione.
Ringrazio i professori per l'autorevolezza dei loro interventi e sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 12,10.

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Sono presenti, in rappresentanza del Consiglio nazionale forense, gli avvocati Marco Stefenelli, Aldo Morlino e Bruno Grimaldi.


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Ricordo che con l'incontro odierno la Commissione conclude il programma delle audizioni previste nell'ambito dell'indagine conoscitiva.
Nel dare la parola all'avvocato Stefenelli per lo svolgimento della relazione, ricordo che ad essa seguiranno eventuali domande da parte dei commissari; ai quesiti posti sarà possibile rispondere in fase di replica o inviando successivamente una documentazione integrativa.

MARCO STEFENELLI, Coordinatore della commissione interna per il settore penale del Consiglio nazionale forense. Rivesto, in seno al Consiglio nazionale forense, il ruolo di coordinatore della Commissione per il settore penale. I colleghi Morlino e Grimaldi sono due componenti della stessa Commissione.
Vorrei esordire con un ringraziamento al presidente per aver riservato al Consiglio nazionale forense, sia pure in coda, il privilegio di poter esprimere il proprio pensiero su questo disegno di legge, nonché portare i saluti del presidente Alpa, che purtroppo non è potuto intervenire personalmente per precedenti impegni istituzionali.
Muoverei dalla premessa che sul disegno di legge, che è stato sostanzialmente modificato nel corso del dibattito in Aula, eravamo già stati sentiti al Senato, in 2a Commissione permanente, il 30 novembre scorso.
Il testo licenziato dal Senato è profondamente diverso rispetto a quello su cui avevamo espresso in allora le nostre considerazioni. Registriamo con soddisfazione che almeno alcuni rilievi che muovemmo in quella sede sono stati condivisi dall'altro ramo del Parlamento.
Mi riferisco, per esempio, all'eliminazione dell'esclusione dei recidivi e dei delinquenti abituali e professionali dall'applicazione della disciplina, al catalogo di reati esclusi, che criticavamo sotto il profilo della mancata considerazione della complessità in luogo della gravità del reato, alla dilatazione del termine di prima fase, che in allora era previsto in due anni e che noi proponevamo fosse elevato a tre e alla riduzione del termine per il giudizio di Cassazione dai due anni previsti a uno e mezzo, come nell'attuale proposta di legge.
Rispetto alle nostre osservazioni vi è solo un ampliamento dei termini di seconda fase, ossia della fase dell'appello, che è stato portato a due anni.
Rispetto al testo originario rimangono valide le considerazioni di principio e di fondo che noi svolgevamo in quella sede, prima fra tutte quella che il Consiglio nazionale forense condivide, in linea di principio, l'esigenza di dare una regolamentazione normativa e attuazione all'articolo 111 della Costituzione e all'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, quindi, di porre mano effettivamente a una riforma che determini scansioni temporali certe entro le quali il processo si debba celebrare.
Avevamo, però, anche avvertito, e lo ripetiamo in questa sede, che un intervento in questo settore non può essere un frammento isolato rispetto a un complessivo disegno di riforma della giustizia. Mi pare che questa sia un'annotazione che unisce tutti coloro che sono stati auditi dalla Commissione. Non può, dunque, essere un frammento settoriale, ma deve innestarsi in un disegno più ampio di riforma, che tenda in prima battuta a eliminare o almeno a ridurre le cause della lentezza dei processi, sia civili, sia penali, che sia accompagnato dall'avvio di altri interventi più incisivi, primo fra tutti quello più volte preannunciato, ma mai realizzato, tendente alla revisione organica delle fattispecie destinate alla depenalizzazione.
A questi si possono aggiungere interventi, come ho sentito un attimo fa riferire dal professor Lozzi, relativi alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Aggiungo anche tutte le altre riforme, inclusa e non ultima, quella dell'ordinamento professionale, senza le quali questa riforma rischia di non produrre gli effetti sperati.
Sugli aspetti tecnici, quindi, i rilievi che avevamo mosso in quella sede sono stati in gran parte superati, anche se si è operata una rivoluzione rispetto allo schema del


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doppio binario previsto allora. Si sono previste ora tre fasce di durata, una prima per i reati puniti con pena inferiore ai 10 anni, una seconda per i reati superiori e una terza per una categoria ristretta di reati previsti dall'articolo 51, ai commi 3-bis e 3-quater del Codice di procedura penale.
Rispetto a questo ampliamento, mi pare di poter osservare che, mentre per la prima fascia, come ripeto, la proposta ricalca le osservazioni che avevamo mosso al Senato, la seconda fascia mi sembra ragionevole in funzione della maggiore gravità dei reati, mentre per la terza fascia sinceramente ritengo che parlare di processo breve sia un eufemismo.
Un processo con durata nei tre gradi di giudizio di 10 anni, prorogabili, solo nei casi citati, di un ulteriore terzo a seconda della complessità e del numero degli imputati, con valutazione discrezionale ampiamente discutibile da parte del giudice, mi pare in controtendenza rispetto all'obiettivo, che è quello di mantenere il più possibile unitari i termini di durata del processo.
Un ulteriore aspetto, che probabilmente è sfuggito all'attenzione dei proponenti, sta nel fatto che nella formulazione attuale parrebbe che il termine, sia pure il più lungo di quelli previsti dalle tre fasce, fosse applicabile anche ai reati puniti con la pena dell'ergastolo.
Evidentemente, non essendo specificato il tipo di pena detentiva, se cioè non si esplicita se si tratti di pena temporanea o di pena detentiva diversa dall'ergastolo, una lettura dell'attuale formulazione porterebbe includere, direi per assurdo, tra le fattispecie di reato per le quali si applica l'istituto dell'estinzione o della prescrizione processuale anche i reati puniti con l'ergastolo. La legge dovrà, quindi, essere emendata con la specificazione dell'esclusione di questi reati, che, come è noto, sono invece, dal punto di vista sostanziale, imprescrittibili.
Un ulteriore aspetto, che ho sentito ricordare a sua volta poco fa, è quello della necessità di coordinare l'istituto della prescrizione processuale con quello della prescrizione sostanziale, perché l'innesto della prescrizione processuale sul corso di quella sostanziale rischia di determinare effetti perversi, che vanno evidentemente considerati.
Una delle proposte che ho sentito formulare poco fa e che almeno parte dell'avvocatura condivide consiste nel prevedere che, dal momento dell'esercizio dell'azione penale, si sospenda il decorso della prescrizione sostanziale e si innesti, eventualmente, su tale percorso quella processuale.
Queste sono, in sintesi, le osservazioni che formuliamo.

PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Stefenelli.
Se non ci sono domande, ringrazio per il loro intervento i rappresentanti del Consiglio nazionale forense.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,20.

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