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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite (II e X)
2.
Martedì 9 febbraio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1741 RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI AZIENDALI

Audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali italiane e del Consiglio nazionale forense:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2 4 8 9 10 11
Amarelli Giuseppe, Consulente dell'Unione delle camere penali ... 5 11
Contento Manlio (PdL) ... 8
De Tilla Maurizio, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura ... 2 4 9
Ferranti Donatella (PD) ... 9
Volanti Antonio, Segretario nazionale dell'Associazione italiana giovani avvocati ... 4 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 9 febbraio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 11,35.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali italiane e del Consiglio nazionale forense.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame del disegno di legge C. 1741 recante disposizioni in materia di gestione delle crisi aziendali, l'audizione dei rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura, dell'Associazione italiana giovani avvocati e dell'Unione delle camere penali.
Ricordo che nella precedente seduta sono stati auditi i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana. Vorrei sottolineare che, sebbene siano presenti singoli componenti delle Commissioni in numero ridotto, ciascuno dei presenti rappresenterà in seguito la vostra posizione al gruppo, essendo specializzato nella materia o, comunque, essendo egli il soggetto delegato a questo compito dai singoli gruppi.
Ricordo inoltre che della audizione odierna sarà redatto un resoconto stenografico. Ringrazio l'avvocato Maurizio De Tilla, l'avvocato Antonio Volanti e l'avvocato Giuseppe Amarelli per la loro presenza.
Normalmente, siamo interessati ad acquisire documentazione scritta e ad una illustrazione orale di tipo sintetico, in modo tale da consentire ai singoli commissari interessati alla materia di formulare delle domande.
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura. Ringrazio il presidente e le Commissioni per l'invito. Abbiamo predisposto un testo scritto che riguarda in particolare le fattispecie penali e la bancarotta. Il documento è stato consegnato alla segreteria delle Commissioni.

PRESIDENTE. È già in distribuzione.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura. In massima parte mi richiamo a tale documento, tuttavia, vorrei svolgere alcune considerazioni di fondo anche riguardo alla parte civilistica.
Comincerei con un'affermazione positiva: la materia, infatti, va regolamentata e disciplinata, ma occorre apportare una serie di correzioni al testo presentato.
Anzitutto, sul piano civilistico, occorre una maggiore puntualizzazione nel rapporto tra le procedure di amministrazione straordinaria e la nuova legge fallimentare.


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La delega non può essere troppo generica su questo punto e occorre, pertanto, individuare una serie di aspetti della nuova legge fallimentare che poi si debbono applicare alle procedure di amministrazione straordinaria.
Su questo piano, vorrei dire che l'organismo dell'avvocatura è favorevole a una maggiore rilevanza dell'attività giudiziaria, e quindi del tribunale. Ritiene, cioè, che occorra dare pieno potere al tribunale, non solo per la dichiarazione di dissesto, ma per tutta la procedura iniziale per lo stato di crisi e per la messa in amministrazione straordinaria. Siamo contrari a dare potere al ministero e vogliamo garanzie terze che solo il tribunale può dare. Al ministero, quindi, dovrebbe spettare una funzione successiva di guida, in relazione all'azienda in procedura di amministrazione straordinaria e ai poteri di continuazione della gestione; ad esso spetterebbero, inoltre, gli accordi di ristrutturazione del debito e i piani di natura extragiudiziale. Saremmo, inoltre, a favore dell'estensione del concordato preventivo a queste imprese.
Anche sulla nomina dei commissari nutriamo qualche riserva. A nostro avviso, infatti, dovrebbero essere ascoltati gli ordini professionali. Specificando che non abbiamo nulla contro i colleghi che sono stati designati, troviamo, tuttavia, che il potere assoluto del ministero dovrebbe essere coordinato con l'audizione degli ordini nazionali almeno per quanto riguarda i criteri di nomina, seppure, naturalmente, non sulla nomina dei singoli.
Condividiamo un'osservazione formulata dal CSM sulla maggiore puntuazione del diritto di difesa e del contraddittorio con i creditori. È sorprendente che il CSM si interessi di questi problemi e troviamo molto importante che nella delega venga definito il diritto di difesa e il contraddittorio con i creditori, dando peraltro ai creditori potere di interlocuzione per quanto riguarda la liquidazione dell'attivo.
Per quanto riguarda la parte penalistica, invece, la nostra posizione è fortemente critica e lo abbiamo manifestato nel documento che vi abbiamo consegnato. Mi riporto alle singole osservazioni ivi contenute. In linea preliminare, tuttavia, vorrei sinteticamente esprimere alcune considerazioni.
Esiste, ad esempio, la questione della depenalizzazione, o della riduzione ai minimi termini della rilevanza penale, di alcune vicende che maturano all'interno della crisi dell'impresa e approdano all'amministrazione straordinaria. Non siamo favorevoli alla riduzione sostanziale della pena per la bancarotta fraudolenta e siamo contrari all'eliminazione della bancarotta documentale. Pensiamo, infatti, che la bancarotta fraudolenta patrimoniale non trovi solo una corrispondenza nell'interesse dei soci ma, in base alla valutazione svolta dalla dottrina della giurisprudenza, rappresenti anche un'oggettività pubblicistica che bisogna tenere in grande considerazione.
Fermo restando che esistono aziende che entrano in crisi per ragioni che riguardano anche il sistema economico del Paese, bisogna tener conto del fatto che a volte le crisi sono procurate e che esistono comportamenti non corretti che occorre sanzionare. Una depenalizzazione o una riduzione della pena accrescerebbe e intensificherebbe le situazioni patologiche presenti all'interno della crisi delle imprese.
Viene, inoltre, sancita una differenza tra le società quotate in borsa e quelle non quotate. Questa differenza è a nostro giudizio illegittima. Non vedo il motivo per cui occorra un trattamento discriminato per le società quotate rispetto alle società non quotate. Certamente, vi è una rilevanza sul piano civilistico nella riforma del diritto societario vi è, infatti, una profonda differenza tra le società quotate e quelle non quotate. Tuttavia, riteniamo che ai fini della rilevanza penale, nella fattispecie, tale differenza non debba essere marcata fortemente.
In sostanza, se dovessimo dare un giudizio complessivo al progetto che è stato presentato, esso sarebbe un sei meno meno. Siamo, cioè, vicini ad una sufficienza che può determinare un sistema di


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riforma organica del settore. Occorre, però, migliorare il testo della proposta attraverso una serie di correzioni, e noi abbiamo indicato quali.
Data l'immediatezza della convocazione, ci riserviamo, se possibile, di far pervenire qualche ulteriore documento. Siamo, comunque, favorevoli ad affrontare questo argomento.

PRESIDENTE. Ovviamente, è assolutamente gradito qualsiasi tipo di ulteriore documentazione. Anzi, lo chiediamo noi stessi. In questa sede, infatti, vi ascoltiamo per trarre degli spunti che consentano successivamente ai commissari di approfondire il dibattito, ma i documenti sono più che graditi e ve ne ringraziamo.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura. Invieremo alle Commissioni studi più approfonditi, specialmente per quanto riguarda la parte civilistica.
Come dicevo, la delega non deve essere molto generica e bisogna cogliere questa occasione per sistemare normativamente la vicenda delle gestioni delle crisi aziendali. Queste due finalità, di per sé, potrebbero anche essere estremamente positive, se mantenute.
Esprimiamo, quindi, al riguardo un giudizio parzialmente positivo e l'auspicio che la Commissione giustizia, che svolge sempre il proprio lavoro in maniera eccellente - io ne ho avuto prova nelle mie ripetute audizioni - possa governare bene anche questa materia.

PRESIDENTE. La ringrazio per la chiarezza, per la sintesi e per la promessa di invio di questi documenti.

ANTONIO VOLANTI, Segretario nazionale dell'Associazione italiana giovani avvocati. L'AIGA, che rappresento, ringrazia le Commissioni per averla voluta convocare in questa audizione.
Oggi mi soffermerò essenzialmente sull'articolo 1 della delega, ossia quello più attinente ai profili concorsuali, riservandomi di far pervenire un documento per quanto riguarda invece la risistemazione degli aspetti penal-concorsuali, quelli cioè della delega di cui all'articolo 2.
In via di principio, su quanto dirò è stata già diffusa una breve documentazione con alcuni spunti che spero possano essere utili ai signori commissari per le valutazioni del caso. In via generale, si condivide la necessità di arrivare ad una risistemazione della materia per quanto riguarda la disciplina dell'amministrazione straordinaria. Sono più di dieci anni che si susseguono provvedimenti di carattere generale, come la cosiddetta legge Prodi-bis, e di carattere speciale, di cui il «decreto Parmalat» è stato il primo. È forse giunto il momento, quindi, di dare una risistemazione complessiva alla materia. Forse sarebbe stato auspicabile che questa sistemazione fosse avvenuta in un ambito più ampio, ossia all'interno del riordino dell'intera materia concorsuale; tuttavia, stiamo parlando dell'amministrazione straordinaria e dunque su questa ci soffermiamo.
Una prima osservazione di carattere generale consiste nel fatto che la delega risulta essere troppo ampia ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione. La delega, infatti, è un'eccezione alla funzione legislativa che spetta al Parlamento, pertanto, quando si deve parlare di eccezione, è bene che essa sia circoscritta. A noi pare che i principi delega contenuti nell'articolo 1 siano tali da non essere sufficientemente stringenti per il legislatore delegato, cioè per il Governo. Peraltro, ad una lettura superficiale - mi scuserete, ma il tempo a disposizione è stato ristretto -, osserviamo che, per esempio, nella delega non rinveniamo principi direttivi in materia di presupposti oggettivi e soggettivi, posto che la normativa della Prodi-bis, come il decreto Parmalat, parte da presupposti soggettivi quantitativi ben distinti. Su questo punto, quindi, un indirizzo da parte del legislatore delegante sarebbe stato forse opportuno. Allo stesso modo, nulla si dice su chi sia il soggetto o i soggetti legittimati a richiedere l'ammissione alla procedura. Infine, associandomi a quanto ha già detto l'avvocato De Tilla, rilevo che nulla si dice


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circa i poteri dell'autorità giudiziaria, aspetto questo quanto mai fondamentale in relazione soprattutto all'enfasi attribuita ai poteri dell'autorità governativa. Un maggior bilanciamento anche in sede di delega sarebbe, pertanto, opportuno.
Abbiamo svolto delle osservazioni che seguono l'ordine delle singole lettere dell'articolo 1 della legge delega, alle quali rimando per una trattazione più specifica. In questa sede, mi attengo a pochi cenni. Per quanto riguarda, ad esempio, il primo principio della lettera a), anche noi riteniamo che adottare come unico momento iniziale della procedura quello dell'impulso governativo non sia la strada più corretta. Gli interessi che devono essere contemperati sono tali e tanti che, a nostro avviso, il ricorso in prima battuta all'esame giurisdizionale è quanto mai necessario e opportuno.
Alla lettera b), poi, si fa cenno alla possibilità di contenuti diversi dei piani di risanamento, ossia a contenuti più strettamente liquidatori, a quelli più strettamente risanativi e ad un terzo tipo di contenuto, che noi abbiamo chiamato tertium genus, che riguarda l'affitto d'azienda. In realtà, esso non è qualcosa di distinto rispetto al contenuto risanativo o liquidativo. Probabilmente, è uno strumento che può essere utilizzato nell'uno e nell'altro caso, sia pure con finalità differenti.
Anche noi auspichiamo una maggiore attenzione nei criteri di nomina del commissario; esso rappresenta, infatti, un organo fondamentale, tenendo conto anche del fatto che nella delega si dice addirittura che il commissario può proporre, in alternativa al piano dell'impresa, un suo piano. Questo è un fatto estremamente importante e il delegante dovrebbe forse dare maggiori indicazioni al legislatore delegato affinché si chiariscano le fattispecie nelle quali ciò può accadere e, soprattutto, dovrebbe specificare i criteri con i quali l'autorità governativa dovrà decidere. A mio avviso, anche laddove il commissario governativo dovesse scegliere di proporre un suo piano in sostituzione al piano dell'impresa, l'autorità governativa, in qualità di ultima autorità che ne valuta la correttezza, deve comunque mantenere la possibilità di tener conto del piano dell'impresa.
Ulteriori osservazioni vertono sul problema dell'assuntore e sui livelli minimi di soddisfacimento dei crediti. Anche in questo caso, come è avvenuto per la riforma concorsuale ordinaria, non si fa cenno, ad esempio, alla categoria dei creditori subordinati, che oggi, con la riforma del diritto societario, è entrata a buon diritto nel nostro ordinamento; la troviamo, infatti, nelle Srl, nei gruppi e quant'altro. Probabilmente, bisognerebbe capire se questi creditori rientrino nella nozione di creditori tout court o debbano invece essere disciplinati diversamente.
Lasciando il resto a quanto indicato nelle brevi note consegnate, vorrei svolgere un'ultima osservazione riguardo alla disciplina della crisi di gruppo, alla quale non si fa alcun riferimento, mentre rappresenta un tema assai importante. Anche su questo probabilmente il legislatore delegante dovrebbe dare indicazioni al legislatore delegato.

GIUSEPPE AMARELLI, Consulente dell'Unione delle camere penali. Innanzitutto, mi sia consentito esprime il pieno consenso da parte dell'Unione, rispetto alla decisione e alla volontà di procedere finalmente a una riforma profonda ed organica del comparto disciplinare del penale fallimentare. Sono molte e ben conosciute le ragioni che militano a sostegno dell'opportunità di questo tipo di riforma. L'attuale disciplina del diritto penale fallimentare risulta essere infatti anacronistica e asimmetrica. Anacronistica, in quanto modulata su un humus giuridico ed economico, quello degli anni Quaranta, oramai superato e ben distante da quello odierno; asimmetrica, in quanto non risulta parametrata rispetto alle novità introdotte nella disciplina civilistica, commerciale e processual-civilistica con le riforme apportate nel 2006 e nel 2007 alla legge fallimentare. Sono, infatti, presenti alcuni vuoti di tutela dovuti alla creazione di nuovi istituti,


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come, ad esempio, gli accordi di ristrutturazione del debito. Tali lacune dovrebbero, dunque, essere colmate.
Fatta questa premessa di carattere preliminare, mi limiterò a svolgere delle rapide osservazioni a margine del disegno di legge delega, e mi scuso sin d'ora per non aver potuto produrre un testo scritto. Le mie osservazioni sono sia di ordine puramente formale - per dir così -, sia di ordine contenutistico. Per quanto concerne le prime, mi sia consentito di esprime il parere favorevole da parte dell'Unione delle camere penali circa la scelta di procedere alla riforma del penale fallimentare attraverso una riforma settoriale, senza demandare la riforma del settore a quella chimerica riforma organica di tutto il diritto penale e all'auspicato inserimento delle fattispecie penali fallimentari nell'ambito del codice penale.
Risulta invece a mio avviso censurabile, e l'Unione esprime a questo riguardo la sua contrarietà, la scelta di ricorrere alla legge delega, per procedere alle riforme di questo comparto disciplinare.
Sono noti i problemi che il ricorso alla delegazione pone in materia di diritto penale sostanziale. Nell'ambito specifico di questo disegno di legge C. 1741, tali problemi emergono in maniera macroscopica intorno a un punto che vorrei immediatamente porre alla vostra attenzione, e intorno al quale vorrei formulare alcune osservazioni di carattere contenutistico. Mi riferisco, in particolar modo, alle cornici di pena. Il disegno di legge delega indica per alcune fattispecie delle cornici edittali ben precise: penso alla bancarotta semplice o ad altre ipotesi di reato. Per altre fattispecie, invece, peraltro le più gravi e significative, contiene una forbice edittale non definita e demanda all'esecutivo la possibilità di individuare in concreto tale forbice. Potete seguire il ragionamento sul documento fornito. Mi riferisco in particolare alla lettera i) del disegno di legge delega, dove, per la bancarotta fraudolenta patrimoniale, sia propria che impropria - quindi le due fattispecie più importanti, forse, dell'intero comparto sanzionatorio -, non è individuato precisamente né il minimo, né il massimo edittale. Mi appello, quindi, alla nota sensibilità della commissione circa la necessità di fissare in maniera chiara quale sia il minimo e quale sia il massimo edittale. Il minimo edittale viene, infatti, individuato in una forbice ampia da due a quattro anni. Ciò significa che l'Esecutivo potrà scegliere se raddoppiare o dimezzare questo limite edittale. L'Esecutivo potrà addirittura scegliere se aumentare o diminuire l'attuale risposta sanzionatoria nei confronti dei fatti di bancarotta propria o impropria. I minimi edittali attuali sono tre. In questo modo non si comprende se il Parlamento voglia aumentare o ridurre la pressione sanzionatoria nei confronti di questo tipo di condotte. Ancor più drammatico è il problema riguardante il massimo edittale, tenuto conto degli impatti che questo ha sui termini di prescrizioni. Del resto, individuare come massimo edittale una forbice tra otto e dodici anni significa, ancora una volta, non indicare quale sarà la scelta del Parlamento circa il disvalore dei fatti, non chiarire se essi vengono considerati più o meno gravi rispetto a come sono valutati attualmente e, soprattutto, quale sarà l'impatto sui termini di prescrizione, dal momento che i termini di prescrizione sono commisurati sul massimo edittale.
Ritengo quindi - e sono sicuro che in tal senso si muoveranno le Commissioni - che questo aspetto sia centrale per cercare di rafforzare l'impatto del disegno di legge delega e la sua sostenibilità, una volta che esso sia entrato nel mare del diritto positivo e delle aule dei tribunali. Ciò deve essere rivisto anche per non andare incontro alle eventuali censure di illegittimità costituzionale per eccessiva genericità della legge delega per quanto concerne la definizione dei precetti secondari di queste fattispecie incriminatrici. Peraltro, una forbice così ampia può dar vita anche ad un paradosso, ossia che in sede di attuazione della delega, il Governo decida, così come è stato fatto in altri disegni di legge


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delega passati, di prevedere una pena più grave per i delitti di bancarotta fraudolenta commessi dall'imprenditore individuale, e una meno grave per la bancarotta societaria. Ciò sarebbe un'aporia. Oltre a questo, esiste il rischio di prevedere una forbice sanzionatoria eccessivamente dilatata - dodici anni -, che appare come un monstrum giuridico rispetto a dei delitti che hanno un disvalore abbastanza omogeneo e che non legittimano, quindi, una forbice di pena così ampia.
Ci sono tanti altri aspetti interessanti del decreto e su questi mi limiterò a fornire dei rapidi flash. Alla lettera n) della bozza della delega, ad esempio, è sicuramente condivisibile la scelta di procedere a disciplinare il problema dei vantaggi compensativi nelle operazioni societarie infragruppo, ponendo così fine ad una diatriba giurisprudenziale che sta ancora dividendo le sezioni della Corte di cassazione, la giurisprudenza di merito e soprattutto la dottrina.
Alla lettera h), è condivisibile, inoltre, la previsione di nuove fattispecie per colmare quei vuoti di tutela cui facevo riferimento all'inizio del mio intervento e, alla lettera l), è altrettanto condivisibile la previsione di un'attenuante per le ipotesi di comportamento post patratum crimen del fallito. Su questo punto, potrebbe forse essere opportuno pensare di compiere anche un passo ulteriore: non limitarsi, cioè, a costruire la condotta post factum del fallito che risarcisca i creditori come mera circostanza attenuante ma, spingendosi in quel solco già sperimentato nell'ambito della legislazione penale complementare, soprattutto di matrice imprenditoriale, costruire questo tipo di condotta post factum magari come ipotesi di non punibilità sopravvenuta. È un'ipotesi su cui poter lavorare.
Qualche luce e qualche ombra, invece, sembrano emergere per quanto concerne la parte del disegno di legge delega che affronta il problema della sentenza dichiarativa di fallimento. Mentre, infatti, la lettera o) mi sembra voglia confermare l'idea che si tratti di una condizione obiettiva di punibilità -, cioè che la sentenza dichiarativa di fallimento abbia questa natura giuridica e che a questa si debba guardare per l'individuazione del momento consumativo del reato -, il disegno di legge, al contrario, non mi sembra contenga alcuna precisazione circa un altro aspetto essenziale, vale a dire l'efficacia della sentenza declaratoria di fallimento all'interno del processo penale, oggetto, peraltro, di una recente pronuncia delle Sezioni unite. Come è noto, nel 2008, le Sezioni unite, relativamente alla vicenda del piccolo imprenditore fallibile, si sono pronunciate ritenendo che la sentenza declaratoria di fallimento emessa dal Tribunale fallimentare abbia efficacia vincolante per il giudice penale. In questo modo, però, ha finito con il ritenere insindacabile, in sede di processo penale, uno degli elementi costitutivi essenziali della fattispecie, ossia proprio il soggetto attivo, con tutti i problemi che questo comporta. Si è trattato, infatti, di una sentenza non proprio condivisa, anche considerando che in passato la giurisprudenza maggioritaria era orientata in senso diametralmente opposto. Pertanto ritengo che, probabilmente, una precisazione circa l'efficacia vincolante o meno della sentenza declaratoria di fallimento dovrebbe essere contenuta nell'ambito del disegno di legge delega.
Qualche altro spunto e qualche altro accorgimento da apportare possono, forse, riguardare la definizione dell'elemento psicologico all'interno delle ipotesi di bancarotta, e mi riferisco soprattutto alla bancarotta fraudolenta. L'attuale formulazione del precetto della bancarotta fraudolenta patrimoniale documentale pone, infatti, molti dubbi circa la tipologia dell'elemento psicologico, se si tratti, cioè, di dolo specifico sempre, oppure di dolo specifico e di dolo generico. Forse, prevedere sempre una qualificazione come elemento psicologico del dolo specifico sarebbe più opportuno, intendendo per dolo specifico la volontà di procurare un danno ingiusto nei confronti dei creditori. Tutte le ipotesi ricondotte sotto «il cappello»


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della bancarotta fraudolenta patrimoniale sono, infatti, ipotesi tra di loro simili e, come è osservato da parte della dottrina, non è giustificabile la scissione dell'elemento psicologico in dolo generico per talune di queste condotte e in dolo specifico per altre condotte. Forse, unificare l'elemento psicologico e parlare di dolo specifico sarebbe più ragionevole. Al contrario, si potrebbe forse eliminare il riferimento al dolo alternativo contenuto in un altro passaggio della legge delega, specificamente nella lettera d), numero 1, che recita: «prevedere per la bancarotta fraudolenta impropria il dolo alternativo del pregiudizio nei confronti dei soci». In realtà, nell'ambito del penale fallimentare, forse i soci sono tra i pochi soggetti che non rientrano nel fuoco delle norme incriminatrici. Prevalentemente vi rientrano i creditori e i terzi, in quanto i soci sono già danneggiati da tanti altri reati societari. Il dolo alternativo, dunque, mi sembra piuttosto una superfetazione. Come può risultare una superfetazione anche la fattispecie che viene introdotta nella lettera a) per gli imprenditori individuali che cagionino intenzionalmente il dissesto. Il dolo intenzionale, in questo caso, renderà forse molto difficile l'applicazione di questo tipo di fattispecie, e già il CSM, nel parere recente, aveva formulato alcune osservazioni che ritengo condivisibili circa la superfluità di questo tipo di norme incriminatrici.
Data l'esiguità dei tempi che abbiamo avuto, non sono ancora in grado di formulare un giudizio chiaro circa la zona di rischio penale. La zona di rischio penale sembra, peraltro, una conquista di questo disegno di legge delega, in quanto esso consente di delimitare l'ambito cronologico dell'operatività di queste fattispecie incriminatrici e di non annoverare, nell'operatività delle medesime, fatti commessi troppo tempo prima rispetto alla declaratoria fallimentare, che risulta, così, priva di idoneità causale. Non abbiamo ancora avuto modo di ragionarvi a sufficienza, tuttavia, mi chiedo se la locuzione: «che la condotta avvenga contemporaneamente allo stato di insolvenza o a concreto pericolo dello stato di insolvenza» non possa finire per restringere troppo l'ambito di operatività di queste fattispecie incriminatrici.
In definitiva, comunque, l'Unione ritiene che apportando i suddetti correttivi, soprattutto per quanto riguarda il precetto secondario, le cornici edittali di queste fattispecie e l'efficacia della sentenza declaratoria di fallimento, questo disegno di legge possa contribuire in maniera significativa a riformare in modo razionale il diritto fallimentare.

PRESIDENTE. Vi ringrazio ancora per il vostro intervento, che è dovuto avvenire in tempi molto rapidi. Purtroppo, i lavori della Commissione hanno una evoluzione giorno per giorno. Attendo, dunque, volentieri l'invio di documenti scritti.
Do ora la parola ai deputati che vogliano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.

MANLIO CONTENTO. Affronterò due questioni che sono state sollevate e che, senza voler sminuire le altre, rimangono fondamentali, in quanto concentrano maggiormente l'attenzione della Commissione giustizia.
La prima di esse riguarda il dubbio se queste procedure debbano essere rimesse principalmente al ministero, oppure alla magistratura. Si tratta di una questione sulla quale vorrei che vi fosse un breve approfondimento da parte dei soggetti auditi. Si confrontano, infatti, due teorie contrapposte, delle quali una ha fatto esperienza della vecchia normativa attraverso i tribunali e ha registrato come spesso le lunghezze procedurali della normativa vigente abbiano finito per mettere a repentaglio il bene che queste modifiche intendono tutelare, ossia la continuazione, per quanto possibile, dell'impresa.
Ciò che vi chiedo è, dunque, come sia possibile, nella vostra visione, conciliare questi due aspetti, per far in modo che si raggiunga un equilibrio. Se si preferisce, formulo il quesito in altro modo, ossia per quale motivo riterreste criticabile la scelta di mettere la magistratura


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in secondo piano, qualora il legislatore dovesse scegliere come prevalente l'interesse di salvaguardia dell'attività aziendale? Questo, del resto, è stato sottolineato da una serie di interventi normativi ripetuti e continui. Peraltro, alcuni di essi allargano le prospettive. È stato citato, ad esempio, il caso del commissario che può proporre un piano alternativo; ciò, eventualmente, avviene proprio perché la salvaguardia del complesso aziendale e dei livelli occupazionali della continuità dell'impresa viene ritenuta dal legislatore e, in questo caso, naturalmente dal Governo, come elemento prevalente nel confronto tra gli interessi in gioco.
La seconda questione è ancora più complessa. È vero che la zona di rischio penale - così come è stata ben definita - è oggetto di discussione da molto tempo, e lo è sia per quanto riguarda la decorrenza dei termini prescrizionali - che, come sappiamo, finiscono per decorrere spesso a distanza di tempo dagli illeciti che sono stati compiuti -, sia in quanto non è molto facile individuare quale sia l'effettiva zona di rischio. Quest'ultimo elemento diventa quello più complicato, dal momento che la norma dovrebbe avere una duplice funzione: quella di allarme per la situazione di dissesto in cui sta versando l'impresa - consentendo, così, di attivare le azioni che, sotto il profilo civilistico, sono previste dall'ordinamento -, e quella di rendere edotti coloro che hanno le responsabilità di gestione dell'azienda che, da quel momento, qualsiasi iniziativa venga attuata rientra nell'ambito di questa zona detta, appunto, di rischio penale.
Non ho difficoltà ad ammettere che, sotto questo profilo, nemmeno io sono convinto della proposta governativa; vorrei, tuttavia, sapere quali eventuali proposte avreste da suggerirci per uscire da una situazione che viene criticata da gran parte della dottrina, ma che, allo stato pratico, non può essere risolta, in quanto, non appena si individua una soluzione, siamo riportati tra le braccia del passato, con tutte le conseguenze negative che spesso vengono evidenziate.

DONATELLA FERRANTI. Ringrazio i rappresentanti dell'avvocatura per essere venuti in audizione e per averci fornito i loro preziosi contributi. Anche noi nutriamo alcune perplessità riguardanti l'impostazione del disegno di legge delega concernente il riordino della materia fallimentare.
Mi scuso, sono arrivata in ritardo; vorrei sapere se, oltre alla questione della legge fallimentare e ai reati penali, abbiate già trattato anche di un'altra questione importante, ossia quella riguardante l'amministrazione straordinaria e, quindi, l'unificazione della legge Prodi-bis e della legge Marzano. Ciò comporta, inoltre, la perdita della giurisdizionalizzazione della procedura. Vi chiedo, dunque, se abbiate già potuto affrontare questa parte del disegno di legge delega, o se pensiate di trattarla nel contributo scritto. Si tratta, per noi, di un aspetto importante della legge delega, in riferimento sia ai requisiti soggettivi, sia all'impatto non indifferente sul diritto e sul mondo economico.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per le repliche.

MAURIZIO DE TILLA, Presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura. Io risponderò solo sulla prima parte; sul rischio penale, forse, possono rispondere meglio i miei colleghi.
L'onorevole Contento ha ragione: quando si va davanti all'autorità giudiziaria, si perde del tempo. A questo punto, allora, poiché davanti al giudice si perde del tempo, non andiamoci più, facciamo le conciliazioni obbligatorie - verso le quali noi abbiamo manifestato opinione contraria - e portiamo tutto fuori dai tribunali. Personalmente, preferisco essere più rigoroso e ritengo che andare davanti al giudice sia necessario per la terzietà, in quanto occorre un lavoro istruttorio, occorrono le garanzie. Certo, si correrà il rischio di impiegare un tempo più lungo e, a questo riguardo, l'auspicio è che si istruiscano ad hoc le procedure più urgenti per quanto riguarda le grandi imprese, e che finalmente il Governo si muova affinché


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la giustizia funzioni almeno nei punti fondamentali.
L'Organismo unitario dell'avvocatura segue lo stesso criterio in tutti gli interventi: bisogna fare in modo che l'autorità giudiziaria funzioni, specialmente in questo settore così importante. Tanto di cappello al ministero, ma esso non offre le garanzie della terzietà. Ma non voglio entrare nel merito di alcune vicende.
Badate, mi riferisco alla parte iniziale della procedura. La gestione, invece, è cosa diversa. Bisogna responsabilizzare. Io sostengo la consultazione degli ordini nazionali nella fissazione dei criteri di selezione, in quanto, diciamolo pure: qualche volta le nomine dei commissari sono fatte a livello clientelare e non a livello professionale. Bisogna invece rivendicare una forte professionalità. Nel passato i commissari cumulavano addirittura più incarichi. In seguito, ci fu un intervento con cui si cercò di redistribuire gli incarichi e fare in modo che non vi fossero commissari con dieci incarichi. L'approccio dei grandi professionisti selezionati per questa figura è per noi fondamentale per professionalità, per integrità, per capacità e per servizio. Quella del commissario, infatti, è una carica che non bisogna pensare solamente sul piano lavorativo: egli è un professionista che offre un servizio alla società attraverso questa attività. Su questo punto, nel testo, non si dice assolutamente niente. Vi inviterei, dunque, a svolgere una riflessione e a trovare una norma specifica. Noi cercheremo di essere di aiuto, ma è necessario che sappiate che l'avvocatura è compatta a questo riguardo.
Ricapitolando, è necessario conservare la centralità dell'autorità giudiziaria e rendere il commissario una figura professionale rilevante di garanzia; il ministero ha dei poteri che intervengono successivamente. A mio avviso, occorre calibrare in questo modo e credo, con ciò, di aver risposto all'obiezione dell'onorevole Contento. Naturalmente, l'onorevole Ferranti ha mosso la stessa nostra obiezione, ossia che si attribuisce troppo alla decisione politica e poco alle decisioni giudiziarie.
Io mi fermerei qui. Per quanto riguarda il rischio penale, abbiamo scritto abbondantemente nel documento depositato; vi pregherei, quindi, di dare lettura al testo e, se vi è qualcosa di utile e apprezzabile, di recepirlo.

PRESIDENTE. Grazie presidente De Tilla. Forse la questione del rischio penale potrà essere affrontato dal rappresentante dell'Unione delle camere penali italiane.

ANTONIO VOLANTI, Segretario nazionale dell'Associazione italiana giovani avvocati. Signor presidente, i temi posti dall'avvocato Contento e dall'onorevole Ferranti sono praticamente identici. Quel che dice l'onorevole Contento è vero e in ciò risiede il motivo della scelta che fu fatta all'epoca del decreto-legge sulla Parmalat, ossia la scelta di anticipare l'iniziativa dell'ammissione alla procedura all'autorità governativa piuttosto che all'autorità giudiziaria, come invece è previsto nella legge Prodi-bis. Questo però - e mi unisco a quanto ha detto l'avvocato De Tilla - non può giustificare tout court una scelta di attribuzione all'autorità governativa di un potere nella fase di inizio, cioè di impulso, della procedura. Vorrei svolgere, inoltre, una considerazione: anche a seguito dell'entrata in vigore delle riforme del 2006/2007 - perlomeno, io mi riferisco all'attività professionale che si svolge a Roma -, i tempi di avvio delle procedure concorsuali si sono di molto ridotti, e oggi, nelle ordinarie, si hanno fissazioni di udienze prefallimentari a brevissimo termine. C'è da auspicare che questo ritorno a tempi ragionevoli dell'avvio dell'istruttoria prefallimentare possa giovare anche per le crisi di imprese di ben altre dimensioni. Il problema è che nella delega non è spesa una sola parola sulle attribuzioni del potere giurisdizionale, mentre questo è importante per ben bilanciare. Sono d'accordo che l'autorità governativa possa offrire garanzie di speditezza, però confermo quanto ha detto l'avvocato De Tilla: questo non può andare a detrimento della potestà giurisdizionale, che è l'unica garante terza di interessi che sono, da un


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lato, il mantenimento dell'impresa, e quindi dell'occupazione, e dall'altro, la tutela dei creditori. Spesso, infatti, si riversa sui creditori un costo sociale, ossia quello dell'occupazione, e ciò non è ammissibile, perlomeno non può esserlo in linea teorica, se non contemperato da altre iniziative. Con questo penso di aver dato risposta anche a quanto osservava l'onorevole Ferranti.

GIUSEPPE AMARELLI, Consulente dell'Unione delle camere penali. Le osservazioni dell'onorevole Contento collimano in parte con le mie circa l'opportunità di introdurre una zona di rischio penale e, allo stesso tempo, circa la difficoltà di specificare e delimitare questa medesima zona. A riguardo, leggendo prima facie il disegno di legge delega, la perimetrazione della zona di rischio penale risulta più agevole e più ragionevole per quanto concerne la bancarotta fraudolenta documentale, dove il dato cronologico dei tre anni precedenti è certo, sicuro e affidabile, oltre che più agevolmente ricostruibile rispetto alla tenuta delle scritture contabili. Il problema più complesso è quello dell'individuazione della zona di rischio penale rispetto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. La locuzione precedentemente menzionata è obiettivamente problematica. Tuttavia, riagganciandomi a quanto detto prima, penso che la costruzione di questa fattispecie, ossia della bancarotta fraudolenta patrimoniale, attraverso il ricorso al dolo specifico, sotto il profilo dell'elemento psicologico, potrebbe consentire di restringere ugualmente l'ambito di operatività, senza dover introdurre una zona di rischio penale di carattere oggettivo. Se, infatti, stabiliamo che tutte le condotte qualificate come bancarotta fraudolenta patrimoniale diventano penalmente rilevanti solo se connotate da dolo specifico di voler cagionare pregiudizio ai creditori, forse non avremo più bisogno di introdurre un parametro oggettivo per delimitare la zona di rischio penale. Prima facie, questa mi sembra possa essere una soluzione. Ci riserviamo di parlarne anche con altri colleghi e di formulare eventualmente altri suggerimenti di carattere scritto.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora moltissimo ciascuno dei nostri auditi e mi scuso per il breve preavviso che abbiamo dato loro per questa audizione. Attendiamo, se possibile, i documenti, in quanto la materia è delicatissima e le riflessioni da compiere sono ancora tante. Oggi ci avete comunque offerto alcuni spunti che ci consentiranno di approfondire gli argomenti in esame. Grazie.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,20.

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