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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
5.
Martedì 27 aprile 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1741 RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI AZIENDALI

Audizione di rappresentanti dell'Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime), delle Associazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL, nonché del professore Antonio Rizzi, docente di diritto privato:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3 4 7 8 10 14
Abete Luigi, Presidente diAssonime ... 5 10
Manca Pierluigi, Rappresentante del dipartimento industria della CISL ... 7
Mariani Fernando, Rappresentante della UIL ... 8
Ricci Cristina, Segretario confederale della UGL ... 9
Rizzi Antonio, Docente di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze ... 3 4 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 aprile 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 11,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto, se non vi sono obiezioni, che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime), delle Associazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL, nonché del professore Antonio Rizzi, docente di diritto privato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame del disegno di legge C. 1741, recante disposizioni in materia di gestione delle crisi aziendali, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime), delle Associazioni sindacali CISL, UIL e UGL, nonché del professore Antonio Rizzi, docente di diritto privato.
Comunico che i rappresentanti della CGIL non potranno purtroppo essere presenti all'audizione odierna.
Ricordo che nelle precedenti sedute sono stati auditi i rappresentanti dell'ABI, dell'Organismo unitario dell'avvocatura, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali italiane, della CONFAPI, del Consiglio nazionale forense, dell'Osservatorio sulle crisi di impresa, del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nonché del professor Luigi Foffani, ordinario di diritto penale, e del professor Massimo Fabiani, ordinario di diritto procedurale civile.
Ringrazio come sempre per la sua presenza il presidente Bongiorno, che oggi assisterà ai lavori in seduta congiunta. I parlamentari presenti fanno parte delle delegazioni indicate dai gruppi per seguire il provvedimento in materia di riordino della legislazione sulle crisi aziendali.
Mi è stato chiesto, rispetto all'ordine degli interventi, che in realtà non è perentorio, di concedere subito la parola al professor Antonio Rizzi, che ha altri impegni , dunque procederemo in tal senso. Seguirò poi nuovamente l'ordine che mi è stato indicato, ringraziandovi fin d'ora della vostra presenza.
Come sapete, gli auditi prendono la parola per l'introduzione del tema, seguono gli interventi dei colleghi che desiderano porre eventuali domande e successivamente le eventuali repliche degli auditi.
Invito, pertanto, il professor Antonio Rizzi a svolgere la sua relazione introduttiva, ringraziando anticipatamente i nostri ospiti per aver partecipato ai lavori odierni.

ANTONIO RIZZI, Docente di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Grazie, presidente. Mi limiterò a fornire un contributo di ordine pratico, che deriva dall'esperienza di alcune amministrazioni straordinarie che ho seguito e che sto seguendo, e che sono tutte unite


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dal tratto di inerire a fenomeni di crisi di carattere industriale.
Si tratta - in particolare, l'ultima che mi vede impegnato è la crisi dell'Antonio Merloni di Fabriano - di crisi che attengono alla struttura industriale dell'azienda, che viene messa in qualche modo in una condizione di difficoltà per effetto di cause diverse, che possono riguardare i mercati, la struttura stessa dell'azienda, gli aspetti gestionali dell'amministrazione stessa.
Pertanto, il mio contributo riguarderà il punto di vista dell'operatore che osserva questi problemi e che cerca di trovare risposte per offrire un contributo al progetto di legge delega per l'unificazione delle procedure. Proprio per questa ragione, credo che vada segnalata come assolutamente indispensabile l'iniziativa del Governo in ordine all'unificazione, perché mi pare che sia venuto il tempo di dare un sistematico disegno a queste procedure che, nella loro scomposizione, finiscono per costituire oggettivamente degli elementi di grande nocumento per chi si trova in concreto a operare.
È anche vero, peraltro, che i segni che vengono tratti dai princìpi indicati dalla legge delega sono di difficile lettura per la loro brachilogica essenzialità, nella migliore delle ipotesi. Probabilmente, quindi, un maggiore elemento di dettaglio gioverebbe senz'altro alla tecnica legislativa.
Il punto fondamentale di scelta di questo impianto è quello di unificare le procedure secondo il modello della legge n. 39 del 2004, la cosiddetta legge Marzano, e quindi di prevedere che il decreto di ammissione alla procedura avvenga ad opera del Ministro dello sviluppo economico. Si tratta di un meccanismo interessante e sicuramente molto rapido; segnalo, tuttavia, che il meccanismo della legge Marzano, nata originariamente per la vicenda Parmalat e poi, per via di progressive estensioni, utilizzata anche in altre tipologie di crisi industriali, nasce dall'iniziativa dell'imprenditore insolvente. Pertanto, è un meccanismo che viene attivato fondamentalmente dall'imprenditore che decide di aderire a una certa procedura. Questo è sicuramente un elemento di rigidità sotto il profilo pratico perché, in realtà, se la finalità delle procedure è quella di costituire un giusto equilibrio, come si legge nella relazione al disegno di legge che oggi viene commentato, ebbene questo tipo di iniziativa non necessariamente viene assunta da imprenditori che vedono sancita la fine del loro percorso imprenditoriale.
Vi sono, poi, dati di minore importanza, ma egualmente rilevanti. Parlo per esperienza concreta. È per me di difficile comprensione - scusate, io lavoro in maniera molto pratica, poca «fuffa», come si usa dire...

PRESIDENTE. Non serve, apprezziamo molto se si affronta il tema nei suoi nodi essenziali.

ANTONIO RIZZI, Docente di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Quanto alla lettera b), che prevede la possibilità di presentare un piano che possa consentire la ristrutturazione, la cessione e l'affitto del patrimonio aziendale, mi interrogo sulla valenza di questo piano: in realtà, quello dell'imprenditore insolvente è il piano di un imprenditore che ha incontrato delle difficoltà, a volte per ragioni che non hanno niente a che vedere con la struttura del mercato o con questioni di carattere obiettivo, ma per ragioni di carente e insufficiente capacità imprenditoriale.
Soprattutto, mi domando in che termini e con quale tasso di vincolatività per il commissario debba essere fatta la valutazione di questo piano. Questo, secondo me, potrebbe costituire un problema molto serio, anche perché il commissario arriva in una condizione nella quale non conosce nulla dell'azienda; l'imprenditore si presenta con un piano alto come un bambinello, nel quale all'esito non si troverà nulla di concreto, nella sostanza, però intanto con il suo peso, con la sua stessa posizione sul tavolo, esso diventa un elemento di condizionamento rilevante dell'attività del commissario. Non capisco - questo probabilmente deriva da un mio


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limite - il senso dell'affitto degli asset come strumento per raggiungere la finalità di ripristino dell'equilibrio economico-finanziario, per usare l'espressione - per la verità non chiarissima - della legge Prodi-bis. L'affitto è per definizione una struttura temporanea; chi affitta, in realtà, lo fa senza investimenti, senza metterci un euro del suo. Quindi, l'affitto può essere uno strumento utile e molto duttile, ma come situazione ponte; non credo che possa rappresentare un elemento di proiezione e di sbocco finale della crisi.
Ho molto apprezzato i dati che riguardano i finanziamenti all'impresa in condizioni di difficoltà. Mi riferisco alla lettera i) dei princìpi, perché effettivamente quello dell'accesso al credito costituisce un elemento assolutamente vitale. Da questo punto di vista, un elemento di oggettiva difficoltà che i commissari hanno incontrato nelle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è il seguente: si prevede l'accesso a determinati fondi definiti da una recente legge, ma la difficoltà più seria che si è incontrata nasce dalla utilizzazione della garanzia dello Stato sul finanziamento che l'impresa recupera sul mercato bancario.
Come sapete, questo tema è oggetto di una serie di disposizioni di carattere europeo, per cui bisogna prima svolgere la procedura per il nulla osta presso la Commissione e poi, sostanzialmente, iniziare la procedura presso il Ministero dell'economia, che nulla sa sul tema delle aziende in crisi e nulla può conoscere in ordine al pregresso della crisi. Nella sostanza, il risultato è che si devono nuovamente spiegare le novità a persone assolutamente disponibili, ma completamente estranee.
Vi sono, poi, vincoli determinati con decreto ministeriale - l'ultimo risale a poco meno di un anno fa - che fissano tassi soglia per l'utilizzazione del credito sul mercato bancario. Questi tassi, naturalmente, funzionano, nella prospettiva del Ministero dell'economia e delle finanze, come calmiere, ma dal punto di vista del commissario è un disastro, perché nel momento in cui - questa è la mia esperienza - si va a cercare sul mercato dei capitali il finanziamento a quei tassi ideali indicati nel decreto ministeriale, nella sostanza non si trova neanche una banca che sia disponibile a concedere il credito.

LUIGI ABETE, Presidente di Assonime. Sarebbe triste se le banche lo facessero.

ANTONIO RIZZI, Docente di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Capisco la battuta, ma ci sono di mezzo le esigenze concrete, delle quali in qualche modo occorre tener conto.
Per contenere il mio intervento nei dieci minuti evangelici - pare che nessuno dei discorsi del Vangelo duri più di dieci minuti e, se si possono dire le verità eterne in dieci minuti, figurarsi queste banalità in materia di procedure di amministrazione! - vi segnalerei un elenco delle cose che avrei voluto trovare e che non ho trovato nel provvedimento.
Mi riferisco, ad esempio, alle norme che riguardano il funzionamento della terna commissariale. Io ho esperienze tutte bellissime di terne commissariali, di persone che poi hanno condiviso con me altre esperienze e con le quali siamo diventati amici. Mi pare, però, che il problema della terna arbitrale, la definizione di alcune deleghe interne, la precisazione di alcuni compiti siano elementi fondamentali, perché l'esperienza dimostra che oggi le imprese in amministrazione straordinaria sono quasi tutte rette da una terna. Pertanto, stabilire alcune regole all'interno della terna, oltre quelle scarne esistenti, ritengo sia un elemento se non di visione strategica, sicuramente di prudenza.
Avrei voluto, inoltre, trovare delle regole sul comitato di sorveglianza, questo strano organo che dice sempre «sì» o «no», ma è stretto da un'alternativa tra l'assumersi responsabilità pazzesche, dicendo di «sì», o diventare un elemento di ostacolo assoluto dicendo di «no».
Per la verità, forse l'esperienza che ho maturato nel diritto societario mi lascia pensare che da comitato di sorveglianza sarebbe meglio farlo diventare un consiglio


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di sorveglianza, cioè un consiglio che abbia la capacità di dettare le linee dell'attività gestionale, che possa esprimersi sulla gestione in tempo di crisi, perché si consumano risorse per i creditori, si svolgono delle attività industriali, si fa ripartire l'attività produttiva. Poiché il commissario o i commissari assumono su di sé la responsabilità di questo tipo di attività, forse avrebbe un senso chiedere al comitato di sorveglianza di essere partecipe di queste scelte. Naturalmente, però, il comitato di sorveglianza dovrebbe essere costituito e composto in modo completamente diverso. Penso a una rappresentanza più qualificata e più strutturata dei creditori - soprattutto le banche ci forniscono i loro vigilanti occhiuti e simpaticissimi, almeno nella mia esperienza - e dovrebbe esserci una quota molto alta di indipendenti, anche dall'organismo di sorveglianza. Il Ministero dello sviluppo economico designa un componente del comitato di sorveglianza, che oggettivamente mette in difficoltà tutti, perché è nello stesso tempo l'autorità che si deve esprimere, ma anche il soggetto che esprime un parere.
Forse ci potrebbe anche essere il modo per aprire alle rappresentanze dei lavoratori, se è vero che quel tipo di strumento deve arrivare al mantenimento dell'attività produttiva e se è vero che non vi è più una proprietà da difendere, ma solo una transizione da realizzare.
Probabilmente, anche relativamente al Ministero dello sviluppo economico, sarebbe stato opportuno dettagliare meglio i poteri, stabilire degli obblighi di pubblicità da chiarire. A mio avviso, è del tutto nocivo il fatto che, per esempio, un'amministrazione straordinaria non pubblichi un proprio bilancio in modo strutturato; lo fa nelle forme previste dalla legge n. 270, ma non è la stessa cosa, rispetto soprattutto alle imprese, alle banche, ai creditori che devono essere messi in condizione di trasparenza rispetto alla gestione del commissario.
Quanto ai profili industriali relativi alla gestione, questa è la parte che mi duole di più perché queste norme, soprattutto quelle successive alla legge n. 270, sono nate soprattutto su una matrice, ossia su Parmalat. Era una crisi finanziaria, non era una crisi industriale. Si continuava a bere il latte e si continuavano a consumare i succhi di frutta. Oggi questi strumenti sono spesso utilizzati per crisi che sono, invece, di carattere industriale. Bisogna tipizzare, a mio parere, i limiti alla par condicio e chiarire quali sono i creditori anteriori suscettibili di essere soddisfatti in deroga alle regole sulla par condicio. Una previsione, questa, che la legge Marzano subordina alla valutazione del giudice. Ovviamente accade che tutti i fornitori chiedono di essere pagati in deroga.
Un altro punto sul quale è necessario fermare l'attenzione è l'esistenza di meccanismi di sostegno per le piccole e medie imprese che funzionano da fornitori delle grandissime. Il tessuto industriale italiano vede molto spesso al centro di un territorio una grandissima impresa, ma anche il dilagare di piccole e medie imprese, che dipendono per il 30, 40, 50, 60, 70 e addirittura 100 per cento dalle forniture alla grande impresa.
Ci siamo trovati in situazioni - parlo della mia esperienza e di quella dei colleghi che con me ne hanno condiviso una parte - nelle quali la piccola impresa fornitrice, che magari doveva fornire quel pezzettino che serviva per far ripartire la produzione, non aveva i soldi per finanziare il ciclo produttivo e la crisi della piccolissima impresa diventava la crisi della grandissima. Questo è un dato sul quale, a mio giudizio, sarebbe opportuno riflettere.
Aggiungerei che, forse, sarebbe utile raccordare la disciplina dell'insolvenza con i meccanismi anche recenti, del 2009, sulla soluzione della crisi. Sarebbe molto interessante, inoltre, se venisse aperta una prospettiva in termini di riconversione industriale. Molto spesso delle aziende giungono alla crisi perché sono arrivate al capolinea della loro missione industriale. Si producono beni che non interessano più a nessuno; il ciclo economico di quei beni è finito, ma nessuno se ne è accorto e hanno continuato a produrli. In realtà,


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non c'è più mercato e la crisi si risolve soltanto con una riconversione, ovvero reinventando una missione industriale per quegli asset. Oggi, nelle pieghe della legge Marzano - ma anche della legge Prodi - questo processo di riconversione non è contemplato. Aprire una boccola rispetto a questa situazione potrebbe essere interessante.
Aggiungo soltanto un telegramma, spedito all'ora di chiusura da un genovese di madre scozzese: il profilo fiscale delle aziende in amministrazione straordinaria non è trattato. Pagano l'IRAP come se fossero in attivo, hanno delle situazioni di diversità pesantissima; per esempio, in materia di consolidato fiscale, si dice che si interrompe il rapporto.
A mio avviso, questo potrebbe essere un tema di riflessione più ampio.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Rizzi.
Riprendiamo l'elenco dei nostri ospiti. Sono presenti, come rappresentante della CISL, il dottor Pierluigi Manca, della UIL il dottor Fernando Mariani, dell'UGL la dottoressa Cristina Ricci, il dottor Fiovo Bitti, la dottoressa Maria Sabina Andreuzzi e la dottoressa Cecilia Pocai.
Diamo il benvenuto al dottor Luigi Abete, presidente dell'Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime), al dottor Stefano Micossi, direttore generale, all'avvocato Margherita Bianchini, responsabile dell'area diritto societario, e al dottor Francesco Chiurco, dell'ufficio stampa.
Do la parola ai nostri ospiti, lasciando la libertà di intervento alle delegazioni più corpose.

PIERLUIGI MANCA, Rappresentante del dipartimento industria della CISL. Vorrei esporre brevemente alcune questioni molto pratiche. Valutiamo anche noi positivamente la scelta di riunificare la legislazione che era in atto. Io stesso, seguendo per lavoro i tavoli di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, ho potuto riscontrare che spesso si tratta di aziende in amministrazione controllata e via dicendo.
Concordo per certi versi con l'intervento del professor Rizzi a proposito della Merloni, come potrete vedere anche dal documento che lasceremo.
Vorremmo richiamare l'attenzione su questioni relative all'articolo 1, che è quello che ci riguarda maggiormente perché, come parte sindacale, rispetto a tutta questa legislazione, il nostro obiettivo è sempre il più possibile quello del recupero e della tenuta della base occupazionale.
Una questione alla quale si fa poco riferimento è quella dei requisiti di accesso, che in realtà sono abbastanza diversi fra la legge Prodi-bis e la legge Marzano. Questo vale per le grandi imprese, cui fa riferimento la legge Marzano, ma spesso sono coinvolte anche le piccole e medie imprese, che potrebbero essere comunque, in fase di delega, oggetto di discussione, per tentare alcune operazioni anche su di esse.
Un altro aspetto che spesso abbiamo notato, per esperienza diretta sui tavoli, è la tempistica di realizzazione, soprattutto nelle gestioni di amministrazione straordinaria, e anche la trasparenza e la velocizzazione delle informazioni. Per questo motivo, abbiamo avanzato alcune proposte. Abbiamo visto in molte aziende e, soprattutto, nei gruppi che abbiamo seguito - come, in parte, la Merloni, ma anche la IT Holding nel campo della moda - che spesso in caso di insolvenza le aziende del gruppo vengono messe in amministrazione straordinaria dopo la capogruppo e, quindi, con altre decisioni del giudice. Abbiamo proposto, al riguardo, una sorta di rivisitazione e che, in caso di stato di insolvenza di altre aziende del gruppo, si possa attivare sostanzialmente una procedura automatica, che potrebbe quindi velocizzare i tempi.
Abbiamo visto, infatti, in caso di amministrazione straordinaria, anche sui tavoli del MISE, che prima di prendere una decisione passano molti mesi, anche con proroghe della tempistica data. Va aggiunto che molte aziende spesso si trovano in condizioni di fermo impianti, i quali hanno bisogno di manutenzione e nel periodo di stasi rimangono fermi.


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Direi, quindi, che nella legge delega bisognerebbe tenere conto di certe fasi procedurali, della tempistica di realizzazione e della gestione dell'amministrazione controllata, che pure hanno spesso portato, come nel caso della Merloni, ad accordi di programma, e prevedere una maggiore sollecitudine.
Concordo - peraltro, è una proposta nostra - sull'opportunità di prevedere nella legge delega, se fosse possibile, qualche norma relativa al comitato di sorveglianza.
A questo proposito, una delle nostre proposte riguardava l'apertura del comitato, anche rivisto nella sua composizione, alle parti sindacali,. Questo, a mio parere, da una parte velocizzerebbe i tempi e, dall'altra, garantirebbe anche chiarezza. Spesso ci troviamo, infatti, ai tavoli di crisi, dopo mesi di amministrazione straordinaria, e le parti che gestiscono in quel momento l'azienda ci forniscono informazioni che sarebbero state più utili se ricevute con qualche anticipo, anche con contatti informali. Credo, anzi, che in questo senso si potrebbe istituzionalizzare maggiormente il rapporto tra le organizzazioni sindacali, visto che la legge dovrebbe avere come obiettivo fondamentale il mantenimento dell'azienda, la ristrutturazione e il rilancio per mantenere la base produttiva.
Mi rendo conto, tuttavia, che si tratta di una proposta difficilmente formulabile. È scritto, mi pare alla lettera l), che nei decreti attuativi bisognerà dare tutela giurisdizionale ai creditori, ai terzi interessati e così di seguito. Ora, esclusa una generica parte iniziale sui lavoratori, non c'è nessun altro riferimento. Siccome ritengo che l'obiettivo principale dovrebbe essere, in questi casi, la tenuta della base occupazionale, richiamo l'opportunità che le parti sindacali facciano parte del comitato di sorveglianza in casi di amministrazione straordinaria, che spesso portano con sé l'utilizzo di ammortizzatori sociali.

PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi e ai nostri ospiti che abbiamo un tempo limite per le 12,30, come penso sia stato già comunicato.

FERNANDO MARIANI, Rappresentante della UIL. Sarò molto veloce anche perché, ovviamente, il mio intervento sarà in linea con quello del collega della CISL.
Certo, è importante e interessante unificare i decreti. È necessario, però, cercare un sistema di velocizzazione e semplificazione delle procedure per aiutare le imprese in crisi. Dal nostro punto di vista, è opportuno partire un minuto prima: ci sono, infatti, tutte le condizioni per capire quando un'impresa è in crisi, senza farla arrivare all'ultimo stadio, e per entrare in possesso di determinate notizie e certezze prima di arrivare alla procedura di commissariamento.
Questo è possibile perché i fornitori, come è già stato accennato, conoscono l'andamento dell'azienda che non paga. È, quindi, un criterio infallibile sulla situazione dell'impresa. Le stesse banche, nel momento in cui un'impresa che ha acquistato ad esempio dei macchinari non paga le fatture o il mutuo, sanno che questo è il segno evidente di un andamento deficitario dell'impresa stessa.
Parliamo di grandi imprese ma - mi associo a quello che ha detto il mio collega - i criteri dovrebbero essere ampliati in modo da far rientrare anche le piccole e medie imprese, soprattutto perché, come è stato detto nella relazione introduttiva, in un territorio dove esiste una grande impresa vi è anche un indotto di piccole e medie imprese che, se la grande impresa entra in crisi, sono costrette a chiudere. Parlo di quelle imprese che vivono per sostenere la produzione della grande impresa. Si tratta, dunque, di un fenomeno a cascata.
Occorre verificare qual è il motivo della crisi industriale della grande impresa: può trattarsi dei mercati, ma anche - e il più delle volte è così - del mancato aggiornamento della produzione industriale di quell'impresa e della mancanza di innovazione, che è l'elemento che permette alle imprese di aggredire e di stare sul mercato.
È possibile intervenire prima per misurare il processo e il prodotto della


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grande impresa, in modo che sia concorrente e possa evitare, anche se a stento, una crisi.
I lavoratori devono giocare un ruolo di primo piano, di attori, in quanto sono creditori alla stessa stregua di un fornitore o di una banca, e lo sono per due motivi: in primo luogo, sono creditori per quello che riguarda la parte retributiva e del TFR - quindi, per una questione di soldi, per dirla in modo pratico - ma sono anche creditori del posto di lavoro. Nel momento in cui una grande impresa chiude, infatti, i lavoratori non perdono soltanto le risorse economiche, ma anche il posto di lavoro.
Quindi, nel comitato di sorveglianza o nel comitato dei creditori - è indifferente - occorre prevedere una partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori, al fine di poter aiutare il commissario (o chi per lui) che deve trovare una soluzione per l'impresa.
Nondimeno, credo che sia opportuno, nella semplificazione della tempistica, cercare soluzioni anche esterne all'impresa stessa. La pratica dell'affitto, forse, non porta nuovi investimenti? Può darsi, ma può anche darsi che chi intende operare in quel settore merceologico possa apportare delle innovazioni sia sui macchinari e i processi, sia sui prodotti e, quindi, consentire una ripresa a quel sistema produttivo in quel settore merceologico.
L'importante è che non vadano persi i posti di lavoro. Per questa ragione, per quello che riguarda la mia organizzazione, un sistema partecipativo è bene visto nell'atto della messa in crisi di un'impresa.

CRISTINA RICCI, Segretario confederale della UGL. Siamo in linea con gli interventi delle organizzazioni sindacali che ci hanno preceduto. Apprezziamo l'obiettivo di semplificare, innanzitutto, la legislazione vigente per quanto attiene alle grandi aziende in crisi. Infatti, per quanto esistano le leggi, già ricordate, che regolano il modo di affrontare le difficoltà di queste grandi aziende, si rischia a volte che si generi confusione. Pertanto, come organizzazione sindacale, abbiamo apprezzato questo obiettivo e siamo favorevoli ai testi unici. Esiste anche una disciplina europea che si interessa di aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà. Riteniamo che fare sintesi, dove possibile, sia molto importante. Tra l'altro, è importante anche armonizzare queste leggi in modo tale da poter affrontare con maggiore pregnanza le difficoltà aziendali delle grandi aziende che - lo abbiamo visto nel bilancio del Ministero dello sviluppo economico dello scorso anno - per il momento riguardano otto grandi gruppi, per un totale di oltre 32 mila dipendenti. Quindi, la voce «dipendenti», «lavoratori», è importantissima: è il soggetto debole che viene investito dalle crisi aziendali e insieme - se non prima - ai fornitori, a nostro avviso, va tutelato. L'introduzione di testi unici, secondo noi, potrebbe semplificare gli interventi.
Rileviamo un ritardo rispetto alla presentazione del disegno di legge, avvenuta a fine 2008, che avrebbe potuto avere un'efficacia diversa sulle crisi aziendali affrontate in quest'ultimo anno, le quali, come ricordavo, riguardano otto grandi gruppi.
Come elemento di criticità più rilevante, anche noi abbiamo notato la differenza esistente fra i grandi gruppi e le piccole e medie imprese, anche se mi pare che ci sia un'attenzione del Parlamento che riguarderà anche le crisi delle piccole e medie imprese, le quali costituiscono il tessuto sociale del nostro Paese. Si rischia, quindi, a nostro avviso, di compiere una discriminazione fra lavoratori. Come veniva ricordato in precedenza, infatti, quando una grande azienda è in crisi, molte aziende dell'indotto, che sono piccole e medie imprese, pagano un prezzo altissimo. Ovviamente, ciò riguarda non soltanto gli imprenditori, ma anche e in particolar modo i lavoratori, soprattutto in territori dove è difficilissimo ricollocarsi. Ne abbiamo esempi sotto gli occhi tutti i giorni. Un aspetto di criticità è, dunque, quello della disparità di attenzione fra grandi gruppi e piccole e medie imprese.
Un tema che ci ha lasciato perplessi è quello della riduzione delle pene previste per la bancarotta patrimoniale e documentale.


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Abbiamo letto, infatti, che è prevista la reclusione con un minimo da due a quattro anni e un massimo da otto a dodici, mentre prima, se non erro, erano tre e dieci. Riteniamo che ci sia bisogno di un'attenzione particolare per chi gestisce in modo fraudolento, anche non volendo.
Come abbiamo visto, quella attuale è nata come crisi finanziaria e poi è diventata economica. Soprattutto quando ciò attiene agli interessi dei risparmiatori, dal momento che i lavoratori sono anche piccoli risparmiatori, occorre una grande attenzione. Riteniamo, anzi, che sia necessario introdurre alcune aggravanti, anche attraverso strumenti, quali, per esempio, l'intervento della class action.
Un altro aspetto che rileviamo come criticità è quello della cessione di ramo d'azienda. Crediamo che non sempre ci sia un'attenzione per i lavoratori in queste situazioni. A volte esse non ci vedono convinti né della loro necessità, né del fatto che siano vere e proprie cessioni di ramo d'azienda e non piuttosto operazioni surrettizie.
Riteniamo, dunque, che le organizzazioni sindacali debbano essere partecipi fin dall'inizio di tali processi, soprattutto nella cessione del ramo d'azienda, proprio per tutelare i lavoratori, che sono l'elemento debole di tale operazione, che viene utilizzata anche in casi di grandi crisi aziendali, e per confermare i loro diritti economici, nonché normativi, che vengono tutelati anche dal Codice civile. Parliamo di diritti economici presenti, come lo stipendio, e di diritti economici futuri, come gli aspetti pensionistici.
Per quanto attiene poi ai comitati di sorveglianza, credo che la nostra organizzazione possa riconfermare la propria posizione favorevole nei confronti dell'ingresso delle rappresentanze dei lavoratori all'interno di questi organismi che, laddove sono presenti, soprattutto all'estero, hanno la loro influenza, essendo direttamente interessati dalle crisi aziendali, soprattutto relativamente alle grandi aziende.

PRESIDENTE. A questo punto passiamo all'ultimo intervento. Penso che il dottor Luigi Abete voglia riassumere le varie questioni, in qualità di presidente dell'Associazione tra le società italiane per azioni.

LUIGI ABETE, Presidente di Assonime. Signor presidente, ringrazio lei e i signori del Parlamento, che ci consentono di esprimere la nostra valutazione. Abbiamo consegnato alla segreteria un documento contenente il testo dell'intervento, che ovviamente sintetizzerò, nonché alcuni allegati più specifici.
Come immagino che alcuni di loro già sappiano, vorrei chiarire che Assonime, l'associazione per le società per azioni, che quest'anno compie cent'anni, è un'associazione in cui sono, di fatto, associate tutte le grandi imprese di tutti i settori. Contrariamente e diversamente da Confindustria, ABI e ANIA, che dispongono di associazioni sindacali di categoria, ad Assonime ci sono le industrie, le banche, le assicurazioni, la grande distribuzione. Normalmente si tratta di grandi imprese, ma ci sono molte medie e alcune piccole imprese, essendo il dato dimensionale di risultanza associativa e non di segmentazione della natura d'impresa.
Da cent'anni - questo è il primo anno in cui sono presidente e, quindi, non è merito mio - Assonime gode del vantaggio o dell'accreditamento di essere un'associazione che tutela gli interessi dell'impresa all'interno di un'attenzione agli interessi generali. Pertanto, ha sempre avuto, soprattutto sulle problematiche normative e fiscali, un approccio più sistemico, che noi cerchiamo di mantenere. Non è detto che ci riusciamo, ma volevo assicurare che tale obiettivo ci è chiaro e che cerchiamo di perseguirlo.
Ringrazio anche a titolo personale per la possibilità di presentare questi indirizzi. Di mestiere faccio l'imprenditore - sono onorato di essere un medio-piccolo imprenditore e continuo a farlo - e quindi ho ben chiari, anche per i miei ruoli di rappresentanza associativa, che ho mantenuto e mantengo nei sistemi associativi


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della piccola, media e grande impresa, quali sono gli interessi delle imprese, industriali, grandi, piccole, bancarie.
Voi insegnate a me - e non io a voi - che le banche oggi sono imprese e che, come tali, devono rispettare le regole generali dell'economia e i comportamenti deontologici definiti negli ambiti nazionali e internazionali. Devono, quindi, tener conto degli interessi degli azionisti. Lo ricordava, peraltro, la rappresentate dell'UGL: i lavoratori sono anche risparmiatori e azionisti. Poiché gran parte degli azionisti delle banche sono risparmiatori e poiché ci sono - grazie al cielo - molti lavoratori che hanno la possibilità, anche se minima, di essere azionisti, svolgendo bene il mestiere di impresa, la banca cura l'interesse di tutti i suoi azionisti, grandi o piccoli che siano.
Svolta questa premessa per spiegare come ci collochiamo, cerco di sintetizzare il tema. Quando abbiamo saputo che era in corso questa riflessione, abbiamo chiesto - ringrazio il presidente Bongiorno, il vicepresidente Vignali e lei, presidente, per l'attenzione - non vorremmo che si sparasse al passero, per così dire, quando il problema sta da un'altra parte.
Il problema della crisi dell'impresa italiana nel contesto economico attuale interessa e interesserà in modo strutturale la medio-piccola impresa, non la grande o la media impresa. È opportuna e utile, dunque, ogni attività di razionalizzazione e modernizzazione delle norme esistenti - questo è ovvio e ve ne daremo alcuni riferimenti - però non vorremmo che l'attenzione a questo tema facesse spostare il problema da quello che è già oggi e che sarà nei prossimi anni. Non si tratta soltanto dei 30 mila lavoratori delle otto imprese che il rappresentante del sindacato ha ricordato stare al ministero - non so se il dato sia quello; lo ripeto sic et simpliciter come l'ho sentito - ma delle migliaia e migliaia di lavoratori che si trovano in imprese diffuse sul territorio, non legate normalmente a sistemi di grandi gruppi.
Le imprese che sono in sistema oggi hanno più vantaggi che svantaggi, perché normalmente le imprese medio-grandi e grandi hanno mantenuto una buona competitività, il che non significa che siano eccellenti. Quelle, invece, che stanno strette tra una globalizzazione, che inevitabilmente ottimizza i processi, e le strutture patrimoniali organizzative delle medio-piccole e piccole imprese, che ovviamente non sono state in grado di adeguarsi ai processi di competizione internazionale, sono in difficoltà. Questo è il tema.
Vi vorremmo porre, innanzitutto, un problema a monte: svolgere una riflessione su questa regola è importante, ma si risolve il problema normalizzando e abbassando i tetti? Del resto, nella documentazione non viene riportata la dimensione, ma è sottostante. Noi normalizziamo e abbassiamo. Ciò significa che diventiamo tutti un'amministrazione straordinaria?
Il professor Rizzi chiede chi lo decide: l'imprenditore o un altro? Oppure, il sindacato pone il caso di una piccola impresa che lavora con una grande impresa che va in amministrazione straordinaria e di un'altra che si trova in una situazione diversa, ma lavora sempre per la stessa grande impresa. Chi decide se la piccola impresa del «grappolo» del distretto funzionale va? Lo decide l'imprenditore che è in crisi o un terzo? Chi decide se il prodotto è adeguato o meno? Cerchiamo di essere consapevoli della problematicità dei temi che stiamo affrontando.
A nostro avviso, è opportuno che la norma vada avanti, però bisogna decidere innanzitutto se, razionalizzando la legge Prodi-bis e la legge Marzano, si ricollochi all'interno della normativa dell'amministrazione straordinaria per la grande impresa. Se è così, è evidente che gli aspetti di rilievo sociale e socio-economico hanno una rilevanza maggiore ed è opportuno che la procedura parta da un atto amministrativo e venga poi sanzionata da un atto giuridico, da un tribunale.
Oppure questo è lo strumento per abbassare le soglie dei dipendenti, dei creditori, del capitale e, quindi, di fatto, eliminare l'elemento discrezionale? Lo affermo


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senza alcuna critica alla parola discrezionale, ma sapendo che il termine ha un determinato significato, ossia che qualcuno entra in tale procedura e altri no. Mi riferisco al futuro, non sto parlando di oggi.
A nostro avviso, l'amministrazione straordinaria deve essere omogeneizzata. Vanno stabiliti più parametri di riferimento, che possono essere il numero degli occupati, il livello del fatturato dell'ultimo anno, il livello del debito. La legge Marzano stabilisce che il livello del debito sia di 300 milioni; la legge Prodi pone dei rapporti. Secondo noi, deve essere un valore assoluto, superiore a 300 milioni. Abbiamo indicato un miliardo come livello di debito per una grande impresa. Quanto agli occupati, a nostro avviso, il numero deve essere rilevante. Mille? Decidete voi quale deve essere il dato di riferimento. Si deve tenere conto del fatto che l'azienda nell'ultimo anno abbia prodotto, lavorato e, dunque, fatturato. Se non ha fatturato, infatti, l'interesse alla valorizzazione delle parti sane dell'impresa viene per definizione a cadere, perché ciò significa che non ci sono parti sane nell'impresa, o sbaglio?
La nostra scelta, la nostra opzione, la nostra raccomandazione è che si compia questa operazione, che si razionalizzi, si definiscano le tre soglie, decidendo voi, evidentemente, nella vostra autorevolezza e autonomia, quando una crisi può essere definita crisi sociale di rilevante interesse e far sì che tale pluralità di parametri ridefinisca meglio l'amministrazione straordinaria.
Non è questa, tuttavia, la parte più importante della riflessione che volevamo proporvi, ma l'aggiunta che si trova nei documenti.
Ho numerosi amici che facevano gli imprenditori normali, con buone imprese che sono andate poi in crisi perché i loro clienti sono finiti in amministrazione straordinaria e, quindi, i loro crediti sono diventati inesigibili. In quel caso, non parliamo di imprese che stavano in crisi a valle, ma di imprese normalissime, che stavano bene, ma il cui creditore improvvisamente è diventato insolvente, e che hanno perso la possibilità di prendere il 10-20-30-40 per cento.
Indicateci quali sono i casi di amministrazione straordinaria che hanno avuto successo. Tutti parliamo di Parmalat, giustamente, perché è stata affidata a un manager autorevole, che non ha guardato in faccia a nessuno, e perché c'erano condizioni particolari. Poi citatemi il caso numero 2, 3 o 4. Abbiamo difficoltà a rapportarli, se uscire dalla crisi significa non soltanto mantenere le parti vive dell'impresa, ma dare un minimo di rendimento ai creditori entrati nella procedura. Del resto, se il credito è zero, siamo tutti bravi a compiere un'operazione di amministrazione straordinaria. Con tutto il rispetto per il professor Rizzi o per le terne, non abbiamo bisogno di una grande applicazione strutturale da questo punto di vista.
Qual è, dunque, il problema? Se è vero, e io purtroppo temo che lo sia - lo affermo da imprenditore e da presidente di banca, oltre che da esperto - che il problema dei prossimi mesi e anni sarà la crisi della medio-piccola impresa, quella che fattura 5-10-15-20 milioni all'anno, che ha 20-30-50-70-100 dipendenti, che non è legata a sistemi, altrimenti normalmente non andrebbe in crisi, ma è invece andata sul mercato aperto, che è un mercato locale, che oggi viene reso competitivo dal mondo, dobbiamo dare un'accelerazione, al limite utilizzando questo strumento, alle nuove norme che sono state introdotte sulla normativa concorsuale negli anni scorsi e che sono rimaste, se mi consentite l'espressione romanesca, un po' «appese». Non so se rendo l'idea.
Oggi ci sono alcune imprese che possono utilizzare i processi previsti dalla procedura concorsuale di attestazione o di ristrutturazione, che sono antecedenti al momento del concordato e mantengono - quelli sì - le imprese in crisi, ma di fatto diventano molto difficilmente gestibili, perché ci sono problematiche che non sono state risolte.
La problematica generale, che vi ricordo per memoria, è quella penale: è


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giusto che chi ha fatto bancarotta sia punito e vada in galera, ma se per aiutare un'impresa in crisi si corre il rischio di essere accusati di bancarotta preferenziale, sarà difficile trovare una persona di buonsenso che lo faccia. Lo affermo da presidente di banca, che non ha alcuna responsabilità, purtroppo, perché le norme danno le responsabilità ai dirigenti e ai funzionari. Qual è il funzionario di banca, che guadagna come un medio impiegato di un'azienda industriale, che si prende la responsabilità di firmare un finanziamento a un'azienda strutturalmente in una fase di crisi, sapendo che, se essa non supera la crisi, il suo atto può essere di concorso in bancarotta preferenziale? Questo è il problema.
Possiamo parlar male delle banche, se volete mi ci metto pure io, non ho problemi a trovare i difetti delle banche, come degli altri. Sono disponibile anche a mettermi in discussione, ma questo problema non può essere risolto da nessuno.
A parte il problema penale generale, sottoponiamo alla vostra attenzione questo tema, che, a nostro avviso, si risolve non abbassando la soglia dell'amministrazione straordinaria, ma qualificando tale soglia e facendo funzionare le procedure ordinarie concorsuali previste dalla riforma, che oggi sono meno utilizzate, ossia le procedure di attestazione e di ristrutturazione, preventive all'ipotesi di concordato.
Per compiere tali operazioni bisognerebbe quantomeno garantire il blocco delle azioni esecutive da quando inizia la procedura, cioè da quando si chiede la procedura, a quando se ne ottiene il riconoscimento. Vi è, infatti, un lasso di tempo di due o tre mesi, che è terra di nessuno. Io, impresa medio-piccola, chiedo la procedura di ristrutturazione e dichiaro preventivamente - come afferma giustamente il rappresentante della UIL - la mia difficoltà. A quel punto, se la mia operazione non va a buon fine, tutti coloro che intervengono da quel giorno in poi sono sottoposti al rischio penale.
Capite benissimo che è un problema che riduce la possibilità di successo di questa operazione. In primo luogo, se la procedura di attestazione e ristrutturazione va a buon fine, il momento non è quello dell'accettazione, ma quello della dichiarazione dello stato. In secondo luogo, bisogna considerare i finanziamenti o gli interventi o le decisioni aziendali ponte all'interno di questa procedura, operazioni che vanno, anch'esse, omologate come se fossero state definite dopo l'approvazione della procedura. Altrimenti, corriamo il rischio che nessuno decida niente in quella fase. Nessuno prende decisioni in un'azienda che dichiara la crisi, se prima tale crisi non è stata accertata da qualcuno che garantisca che non ci sono rischi penali. In terzo luogo, bisogna far sì che i sistemi di attestazione si basino su attestatori qualificati e qualificabili: non basta il timbro di una persona che accerta che il piano va bene e noi lo capiamo per primi. Vanno, quindi, previste procedure di qualificazione sotto questo punto di vista.
Inoltre, bisogna normare la disciplina di gruppo. Oggi essa esiste per l'amministrazione straordinaria, ma non per le aziende che vanno in procedura concorsuale ordinaria. Come veniva chiesto in precedenza, ci sono situazioni di sbilanciamento all'interno dello stesso gruppo e voi comprendete benissimo che ciò non consente di raggiungere risultati.
Concludendo e ringraziandovi per l'attenzione, sottolineo che nel testo che abbiamo consegnato vi sono anche proposte operative più analitiche, ma che, ovviamente, il tempo mi impedisce di esporre.
Intendiamo trasferirvi due messaggi. In primo luogo, che è una buona idea quella di omogeneizzare, ma bisogna decidere se farlo limitando o abbassando. Nel primo caso, è giusto che ci sia una componente amministrativa prevalente; nel secondo, non possiamo rimettere alla discrezionalità dell'amministrazione il futuro dei creditori delle imprese che vanno in procedura di amministrazione straordinaria, perché anche quelli possiedono patrimoni, imprese e lavoratori che meritano di essere tutelati. In secondo luogo, il problema politico-economico del futuro non è la crisi della grande impresa, ma quella della


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media e piccola impresa, che realizza da 5 a 30-40 milioni di fatturato. Le aziende che stanno sotto tale soglia, infatti, si arrangiano e quelle che stanno sopra, grazie al cielo, pur in un momento di difficoltà, in gran parte vanno bene e quelle che non vanno bene, eccetto casi strutturali, difficilmente vanno male. Se vogliamo, quindi, dare una risposta a questo tema, occorre conferire velocità e concretezza alle normative di riforma concorsuale che abbiamo recentemente approvato e che, però, hanno bisogno, su questi due strumenti, ossia sulle fasi di amministrazione straordinaria per le piccole imprese, di attività più funzionali.
Questo era il contributo di informazione che volevamo darvi, consapevoli del fatto che avete la possibilità di concorrere a questo risultato in questa sede, ma che potete farlo anche in sedi più ampie, se tale consapevolezza diventa patrimonio della società.
Temo che ancora nella cultura italiana del «grande è brutto e piccolo è bello» si insegua un obiettivo che non è più quello corretto. Non lo affermo per tutelare le grandi imprese, perché le grandi, quelle che funzionano, stanno nel mondo, con tutto il rispetto per noi italiani. Io sto in Italia. È chiaro il ragionamento? È inutile porci quel problema, che è di natura diversa. Poniamoci l'altra questione, che è reale.

PRESIDENTE. Vista la lunga trattazione che i nostri ospiti hanno fornito oggi e la necessità di trasferire i nostri lavori nella VI Commissione per la seduta congiunta, ritengo che non ci sia spazio per le domande. Lasciamo alla documentazione che ci è stata fornita lo spazio di un approfondimento. Penso che l'argomento sia già stato oggetto di lunghe discussioni e non ci sarebbe nemmeno lo spazio fisico per il diritto di replica sulle questioni eventualmente sollevate. Ci affidiamo, dunque, alla documentazione che ci è stata fornita.
Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,15.

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