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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
1.
Martedì 20 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Gibelli Andrea, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 3 INIZIATIVA POPOLARE, C. 503 SILIQUINI, C. 1553 VIETTI, C. 1590 VITALI, C. 1934 FRONER, C. 2077 FORMISANO E C. 2239 MANTINI, IN MATERIA DI RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Audizione di rappresentanti dell'area giuridico-economico-sociale del Comitato unitario delle professioni (CUP):

Gibelli Andrea, Presidente ... 3 6 12 13 14 17 18 20 21 22
Bonzo Alessandro, Componente del Consiglio nazionale forense ... 11
Calderone Marina Elvira, Presidente del Comitato unitario delle professioni ... 3 6 20 21
Capano Cinzia (PD) ... 14
Dente Franca, Presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali ... 10
Ferranti Donatella (PD) ... 18
Lo Presti Antonino (PdL) ... 15
Mantini Pierluigi (UdC) ... 13
Monai Carlo (IdV) ... 13
Piccoli Paolo, Presidente del Consiglio nazionale del notariato ... 8 22
Siciliotti Claudio, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili ... 7 22
Siliquini Maria Grazia (PdL) ... 19
Rossomando Anna (PD) ... 17
Volpati Marco, Presidente della commissione giuridica del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 ottobre 2009


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE ANDREA GIBELLI

La seduta comincia alle 12,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'area giuridico-economico-sociale del Comitato unitario delle professioni (CUP).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata dalle Commissioni riunite II e X in relazione all'esame dei progetti di legge C. 3 Iniziativa popolare, C. 503 Siliquini, C. 1553 Vietti, C. 1590 Vitali, C. 1934 Froner, C. 2077 Formisano e C. 2239 Mantini, in materia di riforma delle professioni, l'audizione di rappresentanti dell'area giuridico-economico-sociale del Comitato unitario delle professioni (CUP).
Ringrazio i nostri ospiti per la loro presenza all'avvio dei nostri lavori. Eviterei di leggere l'elenco delle persone presenti, che sono molte, non per mancanza di sensibilità, ma per motivi pratici, volendo guadagnare qualche minuto.
È consuetudine della X Commissione lasciare massima libertà agli auditi ai fini di una efficace organizzazione dei loro interventi. Do loro ora la parola per lo svolgimento della relazione.

MARINA ELVIRA CALDERONE, Presidente del Comitato unitario delle professioni intellettuali. Grazie a lei, signor presidente, e grazie ai componenti delle Commissioni.
Oggi in audizione insieme a me sono rappresentate tutte le professioni dell'area giuridico-economico-sociale del Comitato unitario per le professioni (CUP), che raggruppa gli ordini professionali.
Per noi è importante questo momento in cui la Commissione giustizia e la Commissione attività produttive ascoltano dalla voce delle professioni ordinistiche il punto di vista su una riforma delle professioni di cui si è a lungo parlato, anche nelle scorse legislature, ma che ancora oggi non è norma dello Stato.
Riteniamo importante focalizzare l'attenzione, come prima analisi, su quello che nell'ordinamento italiano è il ruolo del professionista. Per noi è essenziale ribadire il concetto di professionista di professione intellettuale. Ovviamente, per «professione intellettuale» intendiamo quella esercitata da soggetti che sono iscritti a un ordine professionale e che hanno, per previsione stessa della Costituzione della Repubblica italiana, un percorso formativo e di accesso alla professione che passa attraverso un momento che per noi è imprescindibile, vale a dire l'esame di Stato.
L'esame di Stato è il momento in cui un soggetto in possesso di un bagaglio di conoscenze e di un percorso formativo diventa un professionista, dopo aver superato la prova ed essersi iscritto all'ordine professionale.
Faccio questa premessa perché nella comunicazione che ci avete mandato per invitarci cortesemente a essere presenti avete indicato le proposte di legge attualmente


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al vostro esame. Come è noto, una di esse - la proposta di legge n. 3 di iniziativa popolare - era a suo tempo stata ispirata anche dal Comitato unitario per le professioni, in un altro momento storico.
Oggi noi vogliamo ripartire da lì per ribadire che gli ordini professionali ritengono, invece, che siano cambiate le condizioni. A nostro avviso, anche con la consapevolezza che sono stati avviati percorsi di modifica delle leggi ordinamentali di alcuni nostri ordini professionali, è importante riprendere la discussione non da quelle proposte di legge, che noi non commenteremo, ma partendo da un'attività che deve svolgere il Parlamento e che consiste nel delineare i princìpi cardine di riforma delle professioni. Specifico che quando parliamo di professioni parliamo solo ed esclusivamente di professioni ordinistiche, non perché non siamo consapevoli che esistano altre attività di lavoro autonomo con una componente intellettuale, ma in quel caso non si tratta di professioni intellettuali.
Pertanto, crediamo che il Parlamento debba concentrarsi in un'azione di riforma legata alle professioni intellettuali. Tali professioni rinvengono nelle loro funzioni, e soprattutto nel fatto di essere poste anche a salvaguardia dell'interesse collettivo, la ragione per cui trovano spazio all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, nella Costituzione e nel codice civile.
Partendo da questo assunto, diciamo anche che è importante che si proceda attraverso la definizione di princìpi, ma che poi si lasci alle categorie professionali la possibilità di intervenire per famiglie professionali, preferibilmente, e attraverso un'azione legislativa che intervenga sui singoli ordinamenti.
Intendiamo dire che, a questo punto, per noi è importante delineare i princìpi, definire una volta per tutte chi è il professionista, qual è la professione intellettuale, quindi indicare i princìpi su alcuni capisaldi importanti, che elencherò a breve.
Vorrei altresì chiedere al Parlamento, alle Commissioni, di fare chiarezza su alcune iniziative legislative che in questo momento sono in corso e che stanno producendo degli effetti. In primo luogo, mi riferisco al decreto legislativo n. 206 del 2007, che recepisce la Direttiva qualifiche. Noi siamo preoccupati, come abbiamo più volte denunciato, per l'eccesso di delega con cui quel decreto, a suo tempo, venne formato, soprattutto laddove - negli articoli 4 e 26 - si introduce un sistema di riconoscimento delle associazioni. Questo nulla ha a che vedere con una direttiva che riguarda le qualifiche professionali, che crea le piattaforme comuni e il riconoscimento delle medesime piattaforme per le professioni regolamentate in Europa.
Probabilmente si è frainteso il fatto che all'interno di un allegato della Direttiva qualifiche siano anche ricomprese delle associazioni del mondo anglosassone che ovviamente non hanno la forma della professione regolamentata di stampo ordinistico, ma che comunque hanno una forma di regolamentazione che sta alla base dell'esercizio di quelle attività. Tuttavia, quelle associazioni di stampo anglosassone che sono indicate all'interno della Direttiva qualifiche sono chiaramente delineate.
Pertanto, noi riterremmo opportuno che nell'affrontare il tema della riforma delle professioni si partisse da quei provvedimenti legislativi che, in qualche modo, oggi minano un percorso che invece il Parlamento potrebbe e deve compiere assolutamente in totale autonomia.
Voglio altresì sottolineare che per noi è importante che il Ministro Ronchi abbia voluto inserire anche gli ordini professionali, quindi il CUP che è l'organismo che li rappresenta, all'interno del tavolo di confronto per il recepimento della Direttiva servizi. Chiediamo che tale direttiva sia recepita all'interno dell'ordinamento italiano seguendo il principio ispiratore della medesima, che si applica alle operazioni transfrontaliere, ma soprattutto a riverberazioni sulle attività svolte, nel nostro caso in Italia, da professionisti comunitari, ma non deve spingersi alla definizione dell'esercizio dell'attività dei professionisti


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italiani in Italia. Questa, infatti, è materia che esula dal recepimento della direttiva.
Come dicevo, sono in corso iniziative legislative importanti. Noi ne siamo consapevoli e guardiamo con attenzione e con favore al percorso che si sta portando avanti per la riforma dell'avvocatura; un ordine importante - al pari delle altre professioni rappresentate dal CUP - soprattutto per il numero dei suoi iscritti e per le competenze in capo ad essa. Questo è un esempio di quello che pensiamo debba essere un percorso virtuoso, dove si entra nel merito di una riforma che inizia per famiglie professionali e si lascia al Parlamento la possibilità di definire una legge di princìpi.
Negli anni scorsi, abbiamo spesso parlato di legge quadro. Le professioni si erano espresse, in linea di massima, a favore di una legge quadro. Non potremmo, però, essere d'accordo nel momento in cui la legge quadro individuasse dei margini di delega ampia. Noi riteniamo che le professioni, avendo dignità costituzionale, debbano essere riformate attraverso un percorso parlamentare, ma attraverso leggi dello Stato e non attraverso norme regolamentari. Le norme regolamentari servono per disciplinare aspetti tecnico-pratici, ma che non hanno nulla a che vedere con i princìpi che, invece, risiedono alla base della dignità giuridica delle professioni italiane.
Riteniamo importante indicare quelle che potrebbero essere, secondo noi, le caratteristiche minime di un'azione legislativa volta a individuare i princìpi. Per noi è importante definire la nozione di «professionista». Professionista è colui il quale sostiene un esame di Stato avendo alle spalle un percorso formativo di natura universitaria o equipollente e un percorso di tirocinio.
Considero utile indicare altri elementi importanti. Oltre alla qualificazione giuridica del professionista, bisogna individuare le modalità dell'accesso alle professioni, ribadendo l'importanza del collegamento con un percorso universitario.
Per quanto riguarda le tariffe, questo è un tema su cui si dibatte spesso e ci sono posizioni contrastanti. Per noi è importante che si richiami l'obbligo deontologico del professionista di adottare una tariffa - come tariffa di riferimento - soprattutto per quelle attività con carattere di terzietà, lasciando poi ai singoli ordinamenti di poter definire l'inderogabilità del minimo.
Un altro tema su cui è opportuno aprire il dibattito è quello delle società di lavoro professionale. Siamo certamente contrari - i presidenti che sono oggi qui a rappresentare le loro categorie mi hanno dato ampia delega perché enunciassi questo principio - alle società di capitali. Siamo consapevoli che il capitale possa essere presente là dove un ordinamento professionale non dovesse porre una norma ostativa, ma sempre e comunque in funzione sussidiaria a quello che deve essere l'elemento cardine, ossia la prestazione del professionista.
Le società di lavoro professionale devono avere come cardine il lavoro del professionista. Noi abbiamo scelto di essere professionisti intellettuali, di non essere imprese e, nel rappresentarvi questa nostra necessità, vogliamo essere fedeli anche a quella che è la nostra missione all'interno della società italiana. Per noi è importante riflettere sul codice deontologico, perché è quello che ci differenzia da altre esperienze che non sono catalogabili all'interno delle professioni.
Un codice deontologico di una categoria professionale è una norma certamente interna, ma impegna l'iscritto al rispetto di una condotta non solo a beneficio di se stesso o dell'ordine professionale, ma anche della collettività.
Il professionista che non rispetta le norme viene coinvolto in un percorso che lo vede al centro di un'analisi del suo comportamento disciplinare, che può portare anche a conseguenze estreme, certamente con la gradualità della sanzione, ma anche tenendo conto che tutte queste norme sono poste a salvaguardia della funzione pubblica rilevante degli ordini professionali.


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Un altro tema su cui vorremmo che il Parlamento si pronunciasse è l'obbligatorietà o meno della polizza di responsabilità civile.
Un ultimo tema - ultimo in sequenza, ma ugualmente di grande importanza per noi - riguarda il tirocinio professionale, che deve essere visto come momento in cui il giovane universitario si prepara all'ingresso di un mondo delle professioni nel quale dovrà andare a svolgere un'attività non solo nell'interesse dell'acquisizione di un vantaggio economico per se stesso, ma anche della salvaguardia dell'interesse pubblico, rispetto al quale talvolta il vantaggio economico personale diventa secondario.
Il tirocinio è il momento in cui formiamo il giovane professionista e deve essere svolto tenendo conto di quanto sia importante che tale praticantato si fondi con la preparazione universitaria. Spesso si dice, infatti, che i giovani non superano gli esami di Stato, ma bisogna anche andare a verificare qual è il livello di preparazione dei giovani universitari che concludono il percorso di studi.
Noi riteniamo che, laddove possano esistere momenti di convergenza e di sinergia tra il mondo accademico e quello professionale, oltre a crearsi nuove possibilità di accesso al mondo del lavoro per i giovani, possano anche crearsi nuove opportunità non per accorciare i tempi del tirocinio, ma per farlo coesistere col percorso universitario.
Tutto ciò che dico, però, deve essere enunciato come principio e lasciato poi alle categorie e alle famiglie professionali per essere delineato all'interno delle norme regolamentari che disciplinano le singole professioni, anche in considerazione della specificità delle attività che vengono svolte.
Ho cercato di essere sintetica, perché ritengo che sia importante anche un confronto tra di noi. Oggi non consegniamo un documento, perché avete correttamente previsto una seconda audizione anche per le professioni dell'area sanitaria e tecnica del Comitato unitario professioni. Ci sembra, dunque, giusto e corretto attendere la conclusione delle audizioni per poi formalizzare la posizione del CUP e degli ordini professionali aderenti in merito a un percorso di riforma, che per noi in questo momento il Parlamento deve considerare come opportunità.
Spesso abbiamo parlato, negli anni scorsi, di riforma delle professioni e abbiamo prodotto tantissime proposte di legge, molte delle quali sono state depositate, ma non si è giunti alla conclusione di un percorso.
Riteniamo che oggi potrebbero esserci le condizioni, nel momento in cui viene attuata una riforma delle professioni, che non può non essere che degli ordini professionali, poiché per noi non può esserci professione intellettuale se non all'interno di un percorso di qualificazione che sfoci nell'iscrizione a un ordine professionale.

PRESIDENTE. Vorrei brevemente svolgere alcune considerazioni su di un aspetto che va al di là dei contenuti della proposta che formalizzerete.
Mi pare di aver colto che la vostra impostazione sia legata, dal punto di vista dello strumento legislativo, ad un'ipotesi di legge delega. Lei conferma questa impostazione?

MARINA ELVIRA CALDERONE, Presidente del Comitato unitario delle professioni. Non una legge delega, una legge quadro.

PRESIDENTE. Forse non ci comprendiamo.
Se si tratta di una legge quadro, vengono individuati alcuni princìpi e deve poi esistere un soggetto che li attui nel dettaglio; è il caso tipico delle regioni. Gli ordini professionali non possono invece intervenire su questo livello.
Sul piano strettamente giuridico, la sua proposta necessita quindi di precisazioni. Lo faremo insieme dopo, la mia intenzione era solo definire la forma dello strumento su cui stiamo ragionando, perché pensare ad una legge delega non corrisponde alla mia opinione, ma sembrerebbe la conseguenza di una legge, come lei dice, di


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principi. Significherebbe che, una volta individuati i principi ed i criteri direttivi, spetterebbe poi al Governo definire le norme delegate.
Ho colto, però, che in un certo passaggio del suo intervento lei ha individuato come strumento idoneo, per la riforma delle professioni, uno strumento che viene definito «legge quadro», e intende invece evitare che venga utilizzata la legge delega. Tale passaggio va capito fino in fondo, perché consente anche al sottoscritto di intendere bene il percorso che oggi vogliamo intraprendere e gli obiettivi che ci proponiamo, al di là dei contenuti, che riguardano una questione chiara. Quindi ho voluto soffermarmi anche sulla questione dello strumento legislativo da scegliere.

CLAUDIO SICILIOTTI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Prima di tutto, mi riconosco integralmente in ciò che ha detto Marina Calderone, che ha fedelmente riportato i contenuti della discussione che abbiamo avuto questa mattina. Ho solo alcune sensibilità da trasferire e non ho integrazioni, o peggio, correzioni a quanto è stato detto, perché - lo ripeto - noi ci riconosciamo completamente in quelle posizioni.
Credo che, se parliamo di riforma di professioni, forse dobbiamo avere ben chiaro l'obiettivo della riforma e di cosa stiamo parlando. Per quanto riguarda il primo punto, penso che si siano arenati i progetti di riforma che fino adesso sono stati esaminati perché l'obiettivo non era quello giusto. Io non credo che oggi siamo in una situazione tale per cui sia necessario allargare e ampliare un mercato che costruisce, nell'ambito dei servizi professionali, barriere all'accesso e limiti all'ingresso dei giovani alla professione. Chi vi parla rappresenta una professione di 110.499 dottori commercialisti ed esperti contabili al 1o gennaio di quest'anno, che ha tassi di crescita di oltre il 200 per cento negli ultimi anni, il 54 per cento degli iscritti di età inferiore a 45 anni, ed è oggi cinque volte superiore a quella dei nostri cugini francesi, e non capisco proprio che cosa dobbiamo allargare.
Penso che quanto accaduto a livello mondiale ci indichi che alle professioni è chiesta un'altra risposta, quella di assicurare la qualità delle loro prestazioni. Questo dev'essere, quindi, a nostro giudizio, l'obiettivo della riforma: la deontologia, la pubblicità, la responsabilità civile, il tirocinio, la formazione, le tariffe, nonché la stessa struttura associativa vanno viste con questo obiettivo, non con quello di allargare a chiunque. Da questo punto di vista ritengo che oggi i percorsi siano assolutamente liberi, ma lo scopo è quello di assicurare che il soggetto che rende la prestazione sia adeguatamente in grado di farlo, con saperi che noi sappiamo benissimo essere in continua evoluzione. La patente della conoscenza non può essere un certificato attribuito una volta, al momento dell'ingresso, ma deve essere verificato nel tempo.
Io penso, quindi, che un utente chieda due requisiti a un professionista: che sia corretto e competente, che sappia di che cosa parla e che sia una persona corretta. Tutto questo passa attraverso un lavoro che la società affida agli ordini. Qui non ci sono sindacalisti che difendono posizioni acquisite, ma padri e genitori che hanno la preoccupazione di che mondo disegniamo per i nostri figli. Io credo che questo sia il mondo giusto, in cui si assicura un percorso difficile, perché poi chi arriva sia in grado di rendere servizi qualitativamente elevati, in una società sempre più complessa e che ha sempre più bisogno di prestazioni professionali adeguate.
Condivido integralmente il secondo aspetto: una volta delineato l'obiettivo, occorre stabilire che cos'è la professione. Non possiamo veramente continuare a compiere mescolanze inutili. È professionista, secondo l'articolo 33 della Costituzione, colui che, per esercitare il proprio mestiere, ha sostenuto un esame di Stato. È questo il percorso, gli altri non lo sono, quindi l'espressione abusata «professioni non regolamentate» è una contraddizione in termini, dobbiamo ammetterlo.


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Se i presupposti della riforma erano sbagliati, come pure l'oggetto, è chiaro che non si arriverà mai alla fine. Per questo probabilmente un intervento legislativo, anche sul tema del decreto qualifiche, è quanto mai opportuno: non si può pensare che l'Europa consenta di riconoscere nel nostro Paese ciò che non è riconosciuto altrove.
Io sono convinto che il mercato debba essere libero e concorrenziale, e che probabilmente le prestazioni che vendo io possano essere vendute anche da un soggetto che non è iscritto all'ordine. Il mercato è assolutamente libero, ma il riconoscimento no. Come faccio a spiegare a mio figlio che deve frequentare cinque anni di università, tre di tirocinio, svolgere un esame di Stato, assoggettarsi a formazione professionale continua e a deontologia, se qualcun altro potrà fare sostanzialmente lo stesso, senza passare attraverso tale trafila?
Se decideremo in questo senso, impoveriremo necessariamente la professione. Noi abbiamo appena varato una riforma - credo e spero che il Parlamento l'abbia apprezzata - ponendo fine a una situazione che non aveva più senso di esistere, cioè una dicotomia con gli amici ragionieri che oggi appartengono a uno stesso ordine, soprattutto perché era intervenuta una riforma dei cicli universitari che ci aveva posti sullo stesso piano.
L'abbiamo fatto, e oggi abbiamo un ordinamento il quale dispone che gli iscritti alla Sezione A, dottori commercialisti, hanno competenza in determinati ambiti e gli iscritti alla Sezione B, esperti contabili, hanno competenza in una parte di questi, che sono stabiliti al primo livello. Come faccio a spiegare che esiste una figura che non è né A, né B, ma può occuparsi di tutto?
La necessità è che la riforma - mi riconosco, ancora una volta, nelle parole di Marina Calderone - affronti il nodo dell'obiettivo della riforma medesima e dell'oggetto. L'obiettivo deve essere la qualità e la riforma deve riguardare le professioni, ossia quelle che la Costituzione sancisce come tali.

PAOLO PICCOLI, Presidente del Consiglio nazionale del notariato. Signor presidente, esprimo totale adesione sia alle considerazioni della presidente Calderone - che avevamo concordato nella riunione con gli altri presidenti - sia con quelle esposte testé dal presidente Siciliotti.
Vi siamo grati di questa audizione, in una tradizione tipica del Parlamento di ascoltare le professioni, che noi stiamo cercando di far affermare come un diritto, anche nei confronti dei tavoli del Governo. Noi siamo parte sociale, anche se ciò non ci è riconosciuto in molte sedi: produciamo il 12,5 per cento del PIL, e di questo ci dovrebbe essere dato credito.
Spesso sindacati e imprese discettano di tutto, e anche di noi, su tutti i tavoli: noi non ci permettiamo di discettare degli altri, ma pretendiamo di poter discutere delle questioni che ci riguardano.
Per questo vi siamo grati di ascoltarci - come è già accaduto due anni fa, sempre in questa sede - e di potervi esprimere le nostre idee, preoccupazioni, valutazioni e anche apprezzamenti, sapendo che la decisione spetta a voi, e non certamente a noi.
Noi siamo protagonisti sul territorio - tutte le professioni - come le piccole e medie imprese, che sono state definite da un articolo di alcuni giorni fa «il nuovo quarto Stato». Rischiamo di diventare il nuovo quinto Stato, perché il peso drammatico della crisi economica incide in maniera terribile, anche dal punto di vista della possibilità del mantenimento occupazionale dei nostri studi e della prestazione dei servizi che ciascuna delle nostre professioni offre ai cittadini e al nostro Paese.
I professionisti singoli hanno molte responsabilità individuali, fortunatamente. Le professioni, che sono rappresentate a questo tavolo, hanno responsabilità generali che riguardano il Paese - ed è questo che veniamo a sottolinearvi - perché gli ordini sono pezzi dello Stato.
Noi non siamo qui, dunque, a rappresentarvi esigenze corporative - ognuno esercita il suo mestiere e certamente difende i valori in cui crede - ma ciò che


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crediamo giusto per la modernizzazione del Paese. È stato già detto: qualità, efficienza, garanzie, controlli. Tutto ciò deve andare a vantaggio dei cittadini, del sistema nel suo complesso, del sistema economico, non dei professionisti.
Il notariato, nel 2005, ha tenuto un congresso sul confronto tra civil law e common law - qualcuno di voi era presente a Pesaro in quell'occasione - per capire come la sicurezza giuridica preventiva si deve coniugare con lo sviluppo economico. Diversamente restiamo indietro e non comprendiamo che il mondo prosegue.
Come nel famoso «Angelus novus» di Paul Klee, che Walter Benjamin aveva nel suo studio, «andiamo avanti con le spalle rivolte al futuro e guardando al passato». Non funziona così. Mi pare che le professioni stiano dimostrando di cercare di fare esattamente il contrario e di lavorare perché il sistema economico si adegui alle necessità di questo Paese.
Del resto, è stato richiamato come l'articolo 33 della Costituzione faccia esplicito riferimento alle professioni, a un processo di formazione, all'esame di Stato, al fatto che noi rappresentiamo la tutela di interessi generali. È qui che si inserisce il discorso su una concorrenza che si basa sulla qualità più che sui prezzi, perché la moneta cattiva scaccia la buona. Lo vediamo noi stessi che siamo pubblici ufficiali che cosa sta accadendo nei nostri distretti a proposito di tariffe spazzate via completamente. Lo vedono i tecnici, lo vedono i comuni che non riescono più a bandire le gare per queste ragioni. E poi nascono infiltrazioni criminali terrificanti da questo punto di vista.
In questo quadro si inserisce il tema delle tariffe, non nel quadro corporativo legato al fatto che le professioni hanno il vantaggio di avere delle riserve garantite. Di questo passo andremo a finire tutti nelle riserve indiane, altro che riserve garantite!
Questo Paese ha bisogno di chiarezza, ma anche di selezione, che però non fa nessuno. Quando nel mio '68 si parlava di diritto allo studio e di mobilità sociale, si pensava a un mondo aperto, in cui chi aveva le possibilità aveva anche le strade aperte. Oggi non fa più selezione nessuno. Lo dice qualcuno che ha un numero programmato e che sostiene che le altre professioni hanno troppi professionisti dentro le loro file. Pertanto, alla fine chi garantisce il merito? Chi garantisce la mobilità sociale?
Nel mio studio ho il figlio di un falegname che ha otto fratelli e il figlio di un produttore di imballaggi; io stesso sono figlio di un piccolo commerciante e un altro è figlio di un avvocato. Questa è la mobilità sociale. Abbiamo l'82,5 per cento di professionisti che non vengono dal notariato, e questo perché c'è un concorso che fa da sbarramento durissimo.
Non parlo per il notariato, parlo per tutti. Se vogliamo che il merito, la mobilità sociale, il famoso ascensore sociale vengano avanti, o facciamo selezione da qualche parte oppure la selezione la farà il famoso mercato, con il familismo italiano, con le relazioni di ciascuno di noi, con le spalle coperte di ciascuno.
Come tutti i miei colleghi presidenti, personalmente sono per una società nella quale i più deboli riescano a emergere e abbiano le occasioni per farlo. Se andiamo, però, in sistema in cui sono todos caballeros, questo non funzionerà. Funzionerà solo chi ha le spalle più forti e chi ha le relazioni sociali più forti.
L'Europa dobbiamo guardarla bene, anziché raccontarci un sacco di storie. Sono stato il presidente europeo dei notai nel 2005; nel 2010 il presidente italiano dei notai europei sarà Roberto Barone. L'Europa non ci chiede le liberalizzazioni a tutti i costi, non ci chiede la premessa della legge Bersani, che sembra indicare che l'Europa ci costringe ad andare in una certa direzione. L'Europa ci offre alcune idee e alcune possibilità. Ma, come nel caso delle famose armonizzazioni forzate - le banane da dodici centimetri, tutte dritte, i pomodori tutti uguali - saremmo pazzi a costruire un'Europa di questo genere. Siamo pazzi a buttare via un'economia


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sociale di mercato che è una tradizione continentale e che ha necessità di tutelare i più deboli.
La tutela dei più deboli contribuiscono a realizzarla le vostre leggi, ma anche i professionisti. In una «selva oscura» come è quella attuale, ognuno di noi tutte le mattine prende per mano il cliente e lo aiuta a non fare «fesserie» dal punto di vista delle scelte fondamentali per la vita. Dico ognuno di noi, appunto, non parlo per me.
Allora, non scimmiottiamo le scelte sbagliate degli altri, prendiamo quelle giuste. Gli inglesi hanno le associazioni professionali privatistiche, ma non a caso le chiamano institution: vorrà pur dire qualche cosa! Quelle associazioni professionali sono più forti degli ordini italiani, perché hanno la possibilità di autoregolamentarsi, di creare norme per se stesse.
Smettiamo di raccontarci storie. Lavoriamo piuttosto, e questo non spetta a noi ma a voi, il mio vuole essere un sommesso richiamo. Non facciamo grandi disegni, che non portano da nessuna parte. Con i grandi disegni non riusciamo a fare la quadratura del cerchio. Procediamo, invece, per segmenti; abbiamo bisogno di efficienza, di strumenti concreti. Si è parlato di società, qualcuno vorrà il capitale e qualcuno no, ma la flessibilità italiana è fantastica da questo punto di vista. Abbiamo bisogno di sinergie con le università e con il mondo delle imprese.
Di tutto questo, di concretezza abbiamo bisogno. Su questo le professioni italiane ci saranno fino in fondo.

FRANCA DENTE, Presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali. Buongiorno a tutti e grazie naturalmente per averci invitato a questa audizione.
Il mio intervento è teso a rafforzare alcuni elementi che sono già stati presi in esame. Intanto, condivido tutto quello che è stato detto e credo che sia abbastanza chiaro a tutti che l'intervento della presidente del CUP, Marina Calderone, è ampiamente condiviso dai presenti.
Tengo in particolare ad intervenire per sottolineare alcune questioni. La prima riguarda la qualità delle prestazioni, che credo sia un punto irrinunciabile. Noi puntiamo sulla qualità e questo non può che farvi piacere. Su questa qualità formativa richiamerei l'attenzione di tutti, perché uno sforzo della Commissione o comunque di chi si occupa della revisione degli ordinamenti delle professioni dovrebbe essere quello di creare una maggior sinergia tra mercato del lavoro, mercato delle professioni e mondo accademico.
Non a caso, la riforma universitaria - la riforma della riforma - con la costituzione dei tavoli tecnici attivati dall'onorevole Siliquini qui presente ha attivato questo dialogo tra i due mondi; un dialogo che, tutto sommato, ancora oggi ha degli elementi di freno tra l'autonomia del mondo accademico e l'autonomia del mondo delle professioni. Invece, i due aspetti devono essere in sinergia tra loro, perché gli esami di Stato non diventino un vaglio molto forte.
Il fabbisogno formativo di alcuni profili professionali è fondamentale. Parlo naturalmente di quello degli assistenti sociali, che è un profilo molto delicato, in quanto ha a che fare con le persone, con il disagio, con la fragilità, e richiede una particolare attenzione per gli aspetti disciplinari formativi, per gli aspetti di tirocinio e per quelli professionali. Direi che il punto disciplinare e quello sulla formazione è il più qualificante.
In secondo luogo, vorrei sottolineare la questione delle tariffe. Può sembrare strano, per il semplice motivo che la maggior parte di noi sono inseriti negli enti pubblici, ma il mercato del lavoro è cambiato. Tutti i servizi degli enti pubblici sono esternalizzati e i professionisti si trovano ad attivare, all'interno del privato sociale, dei contratti di cococo, di cocopro, con tariffe - non abbiamo ancora il tariffario - veramente squalificanti. Parliamo di 15 euro all'ora e di persone che hanno una formazione di base triennale e una magistrale quinquennale, con due esami di Stato. Il discorso delle tariffe, dunque, ci interessa, almeno l'aspetto delle tariffe minime.


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Ho voluto aggiungere alla discussione questi due elementi che sono importanti per la professione che rappresento, che è un po' diversa da quelle economiche che abbiamo sentito finora. Gli obiettivi, però, sono gli stessi.

ALESSANDRO BONZO, Componente del Consiglio nazionale forense. Signor presidente, la ringrazio della parola e, prima ancora, dell'invito a questo incontro sicuramente stimolante.
L'impegno che avevamo assunto era quello di lasciare la parola alla presidente Calderone, dal momento che il CUP è un organismo sufficientemente coeso. Tuttavia, vedo che le necessità di puntualizzazioni si fanno pressanti e intervengo anche io, assicurando che sarò brevissimo per non rubare tempo più del necessario. Sono convinto che i suoi onorevoli colleghi potranno porre questioni in grado di vivacizzare l'argomento oggi in discussione.
L'avvocatura si è sempre molto impegnata sul piano della riforma delle professioni. Del resto, l'onorevole Siliquini lo sa bene, perché abbiamo lavorato per anni, anche con la Commissione Vietti. Insomma, ci siamo spesi abbondantemente.
I tempi ormai sono maturi per una scelta di campo. Come hanno detto bene la presidente Calderone e il presidente Siciliotti, è giunto il momento di attuare un ripensamento sullo strumento con il quale attuare questa riforma. Bisogna abbandonare il sistema che è stato portato avanti fino a questo momento e approdare a quella che Marina Calderone ha indicato come la legge quadro.
La legge quadro è una legge di princìpi. Non bisogna fare confusione con la legge delega, che invece è sempre stata fermamente osteggiata per una serie di considerazioni che è inutile ripetere. A noi interessa avere dei princìpi ai quali ancorare lo svolgimento del nostro lavoro professionale.
Sotto questo profilo, credo che gli avvocati abbiano dato un nuovo impulso, un esempio nella materia. Difatti, nell'inerzia del sistema, gli avvocati hanno ritenuto di darsi una nuova disciplina al passo con i tempi, dal momento che la nostra legge professionale del 1933 è ormai oltremodo datata.
Il fatto che questo percorso abbia una sua validità trova conferma nelle parole del Ministro Guardasigilli che non più tardi di dieci giorni fa, in un convegno a Santa Maria Capua Vetere, ha riconosciuto il buon diritto dell'avvocatura di vedersi gratificata - non dico privilegiata - di un percorso tutto suo per giungere alla definizione di una nuova struttura professionale.
Noi riconosciamo nel nostro progetto di legge, che attualmente è all'esame della Commissione giustizia del Senato, una serie di princìpi, peraltro enucleati anche dal presidente Piccoli, vale a dire la qualifica del libero professionista o dell'avvocato e la necessità di una tariffa.
Non voglio dilungarmi, ma proprio oggi ho visto che è stato pubblicato sugli organi di stampa quello che è stato pubblicizzato come il decalogo dell'avvocatura. Riteniamo di insistere sull'opportunità e sulla necessità dell'approvazione dell'intera normativa. Reputiamo, comunque, fondamentali e irrinunciabili taluni punti, che sono quelli già esposti dai colleghi, quali l'accesso alla formazione, il tirocinio, le tariffe, la qualificazione professionale con la necessità di specializzazioni o attività che consentano una maggiore professionalizzazione all'interno del comparto, la responsabilità professionale e, non ultima, la devoluzione al Consiglio nazionale di un'attività regolamentare che ci viene un po' contestata, ma credo a torto, perché, se il presidente Piccoli ha riconosciuto fondatamente che le associazioni di diritto anglosassone possono autodeterminarsi, non vedo perché in Italia le singole professioni non possano essere dotate di autonomia regolamentare per disporre delle strutture necessarie per il miglior governo della professione. Questo, naturalmente, sempre nell'ambito del controllo e della supervisione da parte dei ministeri competenti.
Questa è la nostra posizione, e credo anche quella del CUP. Ribadiamo l'opportunità


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di una benedetta - speriamo - legge quadro, che ci consenta con una certa snellezza di fare chiarezza per tutto il comparto delle libere professioni. Poi autonomamente, come hanno fatto adesso gli avvocati - seguiranno altre leggi di settore - gli altri colleghi potranno fare altrettanto. I cugini commercialisti si sono già attrezzati tre anni fa, ma ciò non toglie che possano rivedere anche la loro posizione.
È un'esigenza oggi, negli anni 2000, insopprimibile, perché il mercato, per il modo in cui le professioni sono attualmente strutturate, non può assolutamente andare avanti. Si penalizza l'utenza e i professionisti che ad essa rendono un servizio, che, per quanto mi riguarda, è garantito da una norma della Costituzione - anche gli altri hanno una valenza di rango pubblicistico molto elevato - ed è assolutamente indispensabile.

PRESIDENTE. Avvocato, lei nel suo intervento ha svolto un passaggio - e io avverto la necessità di intervenire proprio per maggiore chiarezza - sulla necessità di una legge quadro. Forse, però, non ci capiamo.
Io ho colto dagli interventi fin qui svolti che voi volete alcuni princìpi quadro necessari alla tutela degli ordini professionali. La legge quadro, in realtà, prevede la definizione di una serie di principi cornice, che poi un altro soggetto costituzionale, ad esempio le regioni, definisce con norme di dettaglio. Non è il nostro caso.
Diverso è il caso di una legge delega, che definisce i principi ed i criteri direttivi che poi il Governo deve attuare con l'atto delegato; tale delega può essere, naturalmente, più o meno ampia. Abbiamo visto diversi casi.
Se invece - e non è il vostro caso - si individuasse un elenco di princìpi generali e poi si procedesse parallelamente all'esame di alcune leggi settoriali, essendo queste dal punto di vista della gerarchia delle fonti pariordinate, ognuna di tali leggi potrebbe contraddire i princìpi generali stabiliti con la legge di principi, che, ripeto, non costituisce un vincolo sul piano strettamente giuridico. Una legge di settore dovrebbe ispirarsi ai princìpi generali, ma non c'è un rapporto di gerarchia tra tali fonti normative.
Lascerei ora la parola al dottor Marco Volpati del Consiglio nazionale dei giornalisti, e poi concederei a tutti i deputati che hanno chiesto di intervenire la possibilità di svolgere un intervento, su tale profilo di tecnica legislativa o su altro in modo da rendere utile il nostro dibattito di oggi.

MARCO VOLPATI, Presidente della commissione giuridica del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Mi esprimerò per telegrammi. Un principio generale, sia quadro o non quadro - non entro nel merito perché non sono competente - è per il giornalista particolarmente importante, perché quando l'Ordine dei giornalisti venne istituito non fu prevista una formazione universitaria che desse accesso all'esame di Stato.
Noi siamo riusciti a introdurre tale formazione nelle maglie della legge, ma essa è soltanto una delle vie parallele che portano alla professione. Per noi si tratta di una questione particolarmente importante.
L'altro aspetto particolarmente importante è che, quando tale legge fu emanata, nel 1963, i meccanismi di rappresentanza vennero così minuziosamente inseriti, che oggi il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti è formato da 140 persone, le quali rappresentano un collegio giudicante di secondo grado per questioni deontologiche estremamente importanti.
Comprenderete che un tribunale di 140 persone funziona in una maniera impossibile. Purtroppo, nessuna modifica, anche regolamentare, può risolvere tale situazione. Abbiamo bisogno di un provvedimento legislativo ad hoc.
L'ultimo «telegramma» concerne le tariffe. Per quanto riguarda i giornalisti, la questione è particolarmente delicata per una ragione: esiste e si estende il lavoro autonomo in campo giornalistico. L'Ordine dei giornalisti ha formulato tariffe non sempre rispettate dai committenti, e l'eliminazione


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totale di qualsiasi tariffario crea un meccanismo ulteriormente peggiorativo rispetto ad attività di lavoro autonomo che sono spesso remunerate in maniera ridicola e umiliante.
Il principio generale è quello che abbiamo esposto. Esiste una proposta, che prende spunto dai nostri documenti, la quale ha come primo firmatario l'onorevole Pisicchio, ma ha, fra i presentatori, esponenti di gran parte dei Gruppi parlamentari. Noi auspichiamo che alcuni aspetti che ci stanno particolarmente a cuore possano essere esaminati.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIERLUIGI MANTINI. Voglio unirmi ai ringraziamenti ai presidenti presenti e comunicare brevissimamente che condivido esattamente la logica culturale e politica che è stata espressa con molta passione.
Personalmente, non ho mai condiviso l'approccio alle professioni come una legge di liberalizzazione, quanto di modernizzazione. Penso che noi dobbiamo realizzare una legge di princìpi fondamentali, come è stato richiesto, con il valore certamente non così pregnante come ha ricordato il presidente rispetto ad altra norma di legge di rango primario, ma come legge di princìpi comuni alle professioni. Dobbiamo realizzare una legge di valorizzazione dei mondi professionali nell'età del capitalismo intellettuale. Anche per questi contrasti con Bersani ho lasciato il Pd, quindi le questioni sono note.
Nella mia proposta di legge c'è un ampio riferimento all'autonomia regolamentare degli ordini. Vorrei che almeno quella parte fosse tenuta ben presente nel prosieguo dei lavori. Non credo invece - tocco appena alcuni punti che, naturalmente, riprenderemo nei lavori parlamentari, anche nei confronti con il CUP e con gli ordini - che sia possibile lasciare l'autoregolamentazione dei minimi agli ordini, diversamente da alcune prestazioni, soprattutto di rilievo e di interesse pubblico, in merito alle quali la presidente Calderone ha parlato di terzietà, necessarie per la tutela dei diritti costituzionali, per le quali trovo che la tecnica delle tariffe minime e massime sempre negoziabili in relazione alla prestazione e al tempo sia quella più adeguata. Era persino scritto nel programma dell'Ulivo del 2006, ma la pagina fu strappata strada facendo.
Forse si sarebbe dovuto precisare meglio - premesso il valore del tirocinio, così com'è stato detto, e anche un po' fuor di ipocrisia - il fatto che tale tirocinio dovrebbe avere un minimo di remunerazione, perché ci sono vicende anche piuttosto scandalose e imbarazzanti per i giovani e per la fiducia che devono avere nelle professioni.
Dovremmo forse effettuare alcune precisazioni, perché anche io resto contrario alla presenza di capitale di socio terzo nelle società professionali, però si può immaginare un modello più adeguato a quello francese in cui ci sono società di capitale costituite solo tra professionisti. Credo che si tratti di questioni che si possano facilmente risolvere nel prosieguo dei lavori.

CARLO MONAI. Signor presidente, anche io ringrazio i colleghi professionisti. Mi pare che, dalle osservazioni svolte, ci siano molti argomenti che rappresentano già una linea comune dei provvedimenti che abbiamo al nostro esame.
Dall'altra parte, come è stato ricordato, ci sono anche lavori che stanno avanzando nell'altra Camera - la Camera alta - che riguardano la riforma dell'ordinamento forense, per la quale io stesso ho firmato una proposta di legge, insieme ad altre che sono inserite nel calendario dei lavori della Camera dei deputati.
Sarebbe forse opportuno che anche le proposte di legge che afferiscono a materie analoghe, o comunque assorbite in quelle della riforma generale, possano essere eventualmente agganciate, in modo tale che anche su questi terreni più settoriali ci siano riferimenti normativi e princìpi che possano essere facilmente traslati nella legge quadro di cui andiamo a discutere ex professo.


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L'invito al presidente è quello di valutare se non sia il caso di abbinare, nell'esame delle proposte di legge che riguardano la riforma delle professioni più in generale, anche quelle che sono state presentate e che riguardano i singoli settori, in modo da individuare eventualmente alcuni profili che possano essere utili alle une o alle altre.

PRESIDENTE. Si tratta di una questioni che, in maniera anche un po' ingenua, ho posto per capire esattamente il perimetro delle richieste dei nostri interlocutori di oggi. Sapete che, come accade spesso in Parlamento, quando vengono definite leggi di principi, se qualcuno rimane fuori da tali princìpi si sceglie la strada di una legge settoriale che a volte li contraddice. Ne abbiamo viste di tutti i colori.
Dal momento che ci tengo a dare chiarezza al prosieguo dei nostri lavori, ho voluto porre alcune questioni che tengono conto anche di questo aspetto.

CINZIA CAPANO. Signor presidente, anche io ringrazio tutti i professionisti oggi intervenuti, molti dei quali avevo già ascoltato in incontri alla Camera come rappresentante del Partito democratico. Tornerò sulla questione posta da lei, signor presidente, perché mi sembra assai rilevante.
La presidente del CUP ci ha riferito che siamo davanti a un revirement del CUP, a una riflessione abbastanza diversa da quella che aveva costituito l'elemento propulsivo della legge di iniziativa popolare.
Credo che di questo dobbiamo tener conto, dal momento che abbiamo progetti di legge che, in realtà, entrano abbastanza minuziosamente nella disciplina. Dobbiamo dirci chiaramente che tutto quello che bolle in pentola lo dobbiamo mettere da parte. Trattandosi di audizioni su progetti di legge in discussione è bene essere assolutamente chiari.
I progetti di legge che sono in discussione oggi evidentemente non incontrano più l'interesse dei professionisti che si sentono rappresentati nel CUP, perché viene scelta una linea assolutamente diversa, che mi pare prediliga un diritto leggero che si limiti a fissare i princìpi degli appartenenti agli ordini professionali. A questo punto - ha ragione il presidente - bisogna capire chi si occupa del resto della regolamentazione. Mi pare di capire, da quello che diceva la presidente, che il resto della regolamentazione lo fanno gli ordini. Insomma, mi sembra che ci sia un ambito di potestà regolamentare.
Diversamente, avrebbe ragione il presidente. Una legge quadro è sempre una legge che è pariordinata rispetto ad una legge specifica. Siccome più volte è stato qui richiamato l'esempio della legge sull'avvocatura attualmente al Senato, anche quella in realtà è una legge che entra nello specifico, disciplinando moltissimi aspetti. Non riesco, dunque, a capire il senso di questa logica.
Se dobbiamo fissare dei princìpi che valgano per tutti, mi pare ben poca cosa, perché il punto vero è che oggi stiamo dicendo che ciascun ordine vuole una propria regolamentazione, in parte di fonte legislativa e in parte regolamentare. Diversamente, non riesco a individuare le altre forme di collegamento.
Sulla base di queste considerazioni, vorrei chiarire un punto. La presidente del CUP prima definiva alcuni princìpi che andrebbero disciplinati in questa legge quadro. Se ho ben compreso, tra questi vi sono la definizione del professionista, vale a dire l'esame di Stato a seguito di un percorso formativo, la qualificazione giuridica, il sistema di accesso, le tariffe. E il procedimento disciplinare, che non è stato citato, o almeno così mi sembra?
Nello stesso tempo, però, mentre viene indicato come di competenza della legge quadro il sistema di accesso, si chiede - ho preso un appunto - di lasciare la determinazione del tirocinio professionale alla regolamentazione degli ordini. Non vedo una grande differenza tra la disciplina del tirocinio professionale e l'accesso alle professioni; mi sembrano, anzi, due aspetti assolutamente collegati.
Credo che lo sforzo che dovremmo compiere oggi, piuttosto che parlare in via


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generale, sia quello di definire in maniera adeguata quali sono gli ambiti che riteniamo debbano essere inseriti in una legge quadro che disciplini tutte le professioni ordinistiche e quali gli ambiti che, invece, saranno regolamentati con separata legge oppure con potestà regolamentare (questo punto non mi è chiaro dai vostri interventi) per ogni singolo ordine. Diversamente, rischiamo di fare confusione.
Al di là della vicenda delle tariffe, dove credo che ormai ci sia un consenso generale, tutti i progetti di legge che riguardano l'avvocatura presentati da chiunque e che sono pendenti alla Camera, ma il cui esame è sospeso in quanto è cominciato prima l'iter al Senato, che, di fatto reintroducono i minimi e i massimi delle tariffe. Mi pare, dunque, che questo sia un problema assolutamente superato.
Credo, invece, che non sia affatto superata e rimanga centrale la questione dell'accesso e del tirocinio professionale. Non vi è dubbio che tutti vogliamo che questi due passaggi obbediscano al requisito di selezionare il meglio, ma ho paura che nessuna idea messa in campo fino ad oggi indichi la modalità per selezionare il meglio. Devo dire che la proposta di legge sull'avvocatura che è al Senato e che inserisce una prova di selezione informatica addirittura per l'accesso alla pratica forense - previsione non contenuta nell'originario progetto di legge del CNF - in qualche modo mi preoccupa, anche perché confessa, in realtà, un'incapacità dei professionisti di gestire l'accesso. La pratica forense è legata alla volontà del singolo professionista di tenere o meno un giovane praticante in studio.
Se noi introduciamo, come lì è stata introdotta, una prova informatica, vuol dire sostenere che è meglio una selezione informatica, che peraltro ormai è uscita da quasi tutti i concorsi, da ultimo anche dal concorso per notaio, piuttosto che una valutazione del professionista sulla capacità di quel singolo praticante di poter acquisire formazione.
Credo che dobbiamo fare molta chiarezza su questi due elementi: sul rapporto tra legge quadro e legge - o potestà regolamentare - di settore (chiamiamola così, benché impropriamente) e sul problema se l'accesso debba rientrare in uno o nell'altro di questi ambiti normativi. Personalmente ritengo che debba rientrare nell'ambito normativo di rango superiore, perché quando discipliniamo l'accesso incidiamo direttamente sui diritti delle persone, anche con riferimento a quanto poco prima ha riferito il presidente Piccoli.

ANTONINO LO PRESTI. Credo che non sia sfuggito ad alcuno che oggi, come è stato sottolineato dalla collega Capano e da qualche altro collega, le professioni italiane, qui rappresentate dalle professioni dell'area giuridico-contabile, hanno posto un problema rilevante con riguardo al metodo con il quale il Parlamento si accinge a procedere sul fronte della riforma delle professioni. Una riforma annunciata da anni e mai portata a compimento, per una ragione o per un'altra.
È di tutta evidenza - e lei ha anche colto un aspetto importante, che pur tuttavia non mi pare assolutamente inconciliabile con la posizione espressa oggi dal CUP - la circostanza che le professioni italiane ambiscono a una riforma che intanto riguardi esclusivamente le professioni intellettuali, scorporando quindi dalle ipotesi di riforma anche quello che viene chiamato comunemente il cosiddetto «doppio binario» o sistema duale. Questo è un problema che loro pongono, perché le proposte oggi all'esame del Parlamento sono nella direzione di combinare e di procedere verso una riforma che tenga conto delle esigenze dei due sistemi, che oggi si confermano essere incompatibili dal punto di vista dei professionisti intellettuali.
Inoltre, viene in evidenza la richiesta di una riforma di princìpi e quindi si riflette anche sul metodo attraverso il quale arrivare a tale riforma. Lei, presidente, ha colto un possibile vulnus, ma i professionisti - credo di interpretare il parere del CUP - non intendevano affatto mettere in discussione la circostanza che si debba procedere a una riforma quadro senza caricarla di deleghe che possano incidere


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sulle riforme dei singoli ordinamenti. Essi affermavano esattamente l'opposto, come è stato rilevato, ossia che ciascuno degli ordini professionali qui oggi rappresentati vorrebbe proporre al Parlamento delle riforme di ogni singolo ordinamento che tengano conto di princìpi comuni.
I princìpi cui faceva riferimento la collega Capano e che sono stati evocati da tutti gli intervenuti sono princìpi comuni a tutte le professioni, che già hanno una sufficiente regolamentazione, anche di rango costituzionale. Si potrebbe anche intervenire su tali principi comuni, senza il rischio di una disomogeneizzazione, attraverso interventi particolari su settori specifici (avvocati, commercialisti, esperti contabili, consulenti del lavoro, ingegneri, architetti, geometri e via elencando).
Credo che, per procedere su questa strada, dovremmo optare per una raccolta di indicazioni che ci provengono dalle singole professioni, così che ciascuna per la propria area di intervento avanzi una proposta al Parlamento. Così è stato fatto, in buona sostanza, dagli avvocati, i quali, sollecitati dalla maggioranza, dall'opposizione, dal Governo (mi risulta che il Governo abbia sollecitato anche altre categorie professionali) a proporre un progetto di riforma, sono stati più rapidi di altri e l'hanno presentato. Adesso quel progetto è all'esame del Senato, c'è una discussione in corso, sono stati auditi i vari soggetti rappresentativi dell'avvocatura e si sta avviando un percorso che farà da battistrada alla riforma degli altri singoli ordinamenti.
A mio avviso, emulando il percorso intrapreso dagli avvocati, allo stesso modo dovrebbero comportarsi i notai, i consulenti del lavoro, i commercialisti, gli assistenti sociali e via elencando. Sarebbe più facile per il Parlamento raccogliere queste indicazioni, quindi armonizzarle per quanto riguarda i princìpi fondamentali. Non occorre, a mio avviso, una legge quadro; si può benissimo intervenire operando settorialmente nell'armonizzazione di questi princìpi e poi procedere, categoria per categoria, in questo percorso di riforma.
Si tratterebbe, nei fatti, di una sorta di autoriforma proposta al Parlamento e vagliata essenzialmente dal Parlamento medesimo; non un'autoriforma attraverso una delega specifica alla potestà regolamentare degli ordini, ma una riforma proposta al Parlamento o al Governo, insomma a un organo che può incanalarla nel dibattito istituzionale e parlamentare e procedere - così come si sta procedendo per gli avvocati - alla riforma dei singoli ordinamenti attraverso un percorso di confronto di carattere parlamentare.
Credo che questo oggi sia emerso da questa interessantissima audizione, che rappresenta un punto di svolta rispetto al metodo seguito nel passato, quando evidentemente si è sempre parlato di legge quadro di riforma delle professioni, ma non ci si è mai messi d'accordo su quali princìpi fossero comuni e quali no, poiché nel momento in cui si scendeva nel dettaglio per regolamentare alcune questioni ciascuno voleva regolamentarle in modo diverso. Anche gli stessi procedimenti disciplinari hanno una rilevanza per determinate categorie di professionisti e un'altra per altre categorie. Le stesse competenze hanno una sfera di intervento che ogni categoria vorrebbe custodire gelosamente e che rischia, se commistionata con altri, di creare effetti deflagranti.
Io credo di aver colto - in questo mio intervento non intendo porre domande ad alcuno - il senso dell'audizione, e dunque queste sono le coordinate nell'ambito delle quali potremmo muoverci come Parlamento. Nel frattempo, è il Senato che si sta occupando di una riforma fondamentale, importante, che riguarda una categoria di professionisti che ha avuto la tempestività di proporre al Parlamento un proprio progetto di riforma, cogliendo - questa è la realtà dei fatti - l'invito formulato esattamente dal ministro competente.
Credo che sarebbe necessario approfondire tale aspetto e vedere se come Commissioni riunite possiamo proseguire su una strada piuttosto che su un'altra, ossia se possiamo proseguire sulla strada della raccolta delle indicazioni che ci vengono


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dal CUP, che credo siano quelle più significative di tutto il sistema delle professioni regolamentate, oppure procedere, ancora una volta, con una strategia che ci porterebbe, a mio giudizio, a un confronto troppo articolato, serrato e a volte contraddittorio.

PRESIDENTE. Lascerei spazio agli ultimi interventi prima di restituire la parola alla presidente Calderone per alcune precisazioni, dal momento che, dal tenore degli interventi che abbiamo ascoltato, non tutti abbiamo interpretato le sue parole allo stesso modo. Il Parlamento le deve quindi concedere il diritto di replica.

ANNA ROSSOMANDO. Anch'io voglio ringraziare tutti i colleghi rappresentanti delle professioni, anche perché, prima di essere parlamentare, sono anch'io una professionista e vengo dall'avvocatura.
Mi sembra che il pregio dell'audizione odierna - e partirei da questo punto - è che tutti hanno sottolineato l'opportunità di discutere del punto in cui si è giunti e, quindi, degli obiettivi che abbiamo. Come sempre, è opportuno partire da dove siamo ora, da ciò che è avvenuto e dal dibattito che c'è stato.
Io mi limito a sottolineare un aspetto. La cultura ordinistica negli ultimi anni aveva prodotto alcune proposte, frutto di un passo in avanti culturale che non è stato sempre molto recepito, e non lo è tuttora, dal Paese. Si era, quindi, fatta portatrice di istanze di riforma delle professioni che noi aspettiamo da moltissimo tempo, e che ritengo fossero tutt'altro che espressione di «cultura corporativa», ma che tentassero di affrontare il nodo cosiddetto della modernità offrendo soluzioni, indipendentemente dagli schieramenti di maggioranza e minoranza che si sono alternati. Credo che la politica non sia stata molto all'altezza di recepire ed entrare in sintonia con tale passo in avanti culturale.
Tornando al punto cui siamo giunti oggi, credo che possiamo cercare, nel confronto, di concordare su alcune questioni, che non mi sembrano retoriche, ma che, anzi, mi paiono importanti, e peraltro sono state enunciate ed evocate da tutti, per capire qual è il sistema generale di riferimento.
Mi riferisco alla questione della valorizzazione del merito, collegata ovviamente all'accesso alla professione, al tirocinio e a diverse altre questioni, al rapporto con una società di mercato-modernità e alla lettura della normativa europea.
È importante il punto in cui siamo oggi perché credo che tutti - anche su questo oggi diremmo in modo bipartisan, ovvero io auspico che sia così - ne sappiamo un po' di più, e forse siamo un po' meno approssimativi nell'approccio alla normativa europea. Mi sembra sia un rimprovero che dobbiamo subire, stando dall'altra parte del banco. Giustamente, in alcuni interventi è stata richiamata una lettura un po' più approfondita, consapevole e scientifica della normativa europea, da dove traiamo indicazioni maggiori e più specifiche per un verso, ma, per altro verso, io personalmente - sono una europeista molto convinta - penso che stare in Europa voglia dire anche portarvi alcuni contributi.
Se così è, mi sembra che il nodo politico e anche tecnico adesso sia questo: è necessario stabilire un quadro di princìpi che partano dall'affermazione del valore della professione intellettuale come servizio da cui discende la qualità, e via elencando, e, quindi, anche un atteggiamento diverso rispetto alla questione del mercato. L'esigenza, per quanto riguarda il nostro Paese in particolar modo - su questo si confronta sicuramente con l'Europa - di poter stare sul mercato è un conto, ma che la questione della qualità sia collegata a un'ottica puramente di mercato è un altro.
Io credo, quindi, che noi abbiamo l'esigenza di mettere in fila alcuni princìpi, su cui mi sembra che cominci a esserci una condivisione. Il nodo è non di poco conto, e riguarda la tecnica legislativa. Credo che sia fondato affermare che la legge quadro - chiamiamola così - potrebbe non essere lo strumento più adatto. Se queste audizioni hanno un senso, bisognerebbe però


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cominciare ad acquisire informazioni su un terreno condiviso; occorrono quindi princìpi condivisi, che strutturano e difendono non tanto la professione intellettuale, quanto la sua funzione come servizio per i cittadini. Naturalmente, nello scambio mi direte eventualmente che non è così.
Quello che mi sembra un passo avanti diverso dall'assetto passato è che, per poter affermare tali princìpi nelle singole professioni, forse è necessario che ci sia invece una parte che ha un approccio più specifico rispetto a singole professioni, o a gruppi di professioni. Questo è il punto, il nodo anche politico e tecnico: come tenere insieme un numero di princìpi condivisi che devono e possono essere alla base di una modernizzazione della disciplina delle professioni che vogliono stare sul mercato, ma che vogliono anche rappresentare un servizio, e quindi come tutelare la qualità. Evidentemente, a seconda delle professioni, o dei gruppi di professioni, tali punti fermi non trovano gli stessi meccanismi di attuazione.
Io faccio sempre - mi ritrovo sovente in convegni con i colleghi, anche con la collega Siliquini e con gli onorevoli Mantini o Capano - il seguente paragone: per tutelare il servizio e la qualità, gli ingegneri non hanno sempre bisogno dello stesso strumento di cui hanno bisogno gli avvocati. Forse questo è uno dei punti cruciali.
Passa all'altra questione, che menzionava la collega Capano, sul disciplinare. Questo è un punto su cui erano stati compiuti alcuni passi in avanti. Naturalmente non è molto elegante parlare della propria esperienza di parte, di partito, ma solo come richiamo tecnico ricordo che, prima che ci fosse il Partito democratico, quando c'erano i Democratici di sinistra, c'era un progetto, cui avevo partecipato con l'onorevole Massimo Brutti, che aveva raccolto alcune istanze. C'era stata una concordia sulla questione disciplinare, per quanto riguardava gli ordini, perché si tratta di un punto su cui l'utente del servizio è molto sensibile e su cui l'opinione pubblica ha una sorta di prevenzione, che può avere anche un suo fondamento.
I punti nodali riguardano l'autonomia, ma allo stesso tempo anche come si tutela l'effettività della questione disciplinare, perché questo è il punto su cui gli ordini sono rimasti un po' indietro. Una delle questioni da chiarire bene è come separare il mandato elettorale dell'ordine dalla sezione disciplinare.
Se, dunque, riusciamo a trovare un accordo su alcune di queste linee, potremmo compiere un passo avanti e trovare uno strumento di tecnica legislativa che riesca ad attuarle.
In ultimo, per quanto riguarda la questione del tirocinio, vi sono alcuni ordini che già stanno operando in tal senso. Mi risulta che stia già avvenendo per quanto riguarda gli avvocati, i quali sono obbligati a frequentare alcuni corsi di aggiornamento professionale, in assenza dei quali, per esempio, non possono difendere in determinati settori o situazioni di tribunale. Questo sta effettivamente già succedendo e potrebbe essere già recepito nelle leggi in discussione.

PRESIDENTE. Dobbiamo dare ordine ai nostri lavori. Abbiamo ancora un intervento, inoltre la relatrice ha chiesto di intervenire e più di un presidente vorrebbe precisare alcune questioni. Se fossimo d'accordo, potremmo anche aggiornarci ad altra seduta e allargare la discussione, il che potrebbe anche rappresentare una soluzione, considerato che le questioni poste non sono secondarie. Io sono disponibile ad un'ipotesi di questo tipo, in maniera che anche il collega Lo Presti possa sostenere le questioni che ritiene opportune.

DONATELLA FERRANTI. Signor presidente, volevo intervenire per ultima nell'ambito degli iscritti del nostro Gruppo, essendo capogruppo della Commissione giustizia per il Partito democratico. Non sono un avvocato, ma vengo dalla magistratura ordinaria. Tuttavia, come cittadina e in qualità di chi si è avvalso, nella


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propria precedente attività, della collaborazione di professionisti, ringrazio l'ufficio di presidenza, i presidenti e i presenti per avere avviato in maniera altamente professionale e concreta questo percorso.
Faccio mie tutte le segnalazioni esposte dalle colleghe Capano e Rossomando. Mi ritrovo anche nelle indicazioni del collega Lo Presti. Condivido i princìpi cardine esposti dai presidenti degli organismi che sono intervenuti.
Ritengo che sia opportuno non strozzare questo avvio di confronto e non cadere nell'errore che abbiamo vissuto in Commissione giustizia e con la Commissione affari costituzionali in merito alla cosiddetta riforma, o miniriforma, o segmento di riforma del processo civile, laddove avevamo chiesto la possibilità di un confronto costruttivo con le categorie di riferimento.
In questa sede, invece, abbiamo avviato, con la disponibilità, il tempo e la possibilità di farlo - perché si tratta di iniziative parlamentari - questo confronto. Credo che adesso dobbiamo verificare le modalità tecniche e legislative per arrivare a quello che ci sembra il nodo delle questioni. Fermi restando i princìpi cardine fondamentali e comuni, occorre tener conto delle specificità delle professioni di riferimento. O si formula, da un lato, una legge di princìpi generali, che però venga affiancata - giustamente il presidente faceva riferimento a un affiancamento e mi pare che anche il collega dell'Italia dei valori richiamasse il fatto che l'unico affiancamento attualmente in corso è quello con la riforma forense, ma ovviamente bisognerebbe tener presenti tutte le altre specificità - oppure si sceglie per dei singoli interventi nelle varie professioni, che però abbiano una trattazione parallela e congiunta in modo da avere dei princìpi cardine condivisi.
Da cittadina e da madre di ragazzi di 25 anni circa, avverto la necessità di garantire a questi giovani la possibilità di avviarsi a una professione in maniera che i sette anni che sono sulle loro spalle (tra università, corsi, ricerca di tirocini eccetera) non appaiano sprecati, perduti. Purtroppo, molte volte abbandonano proprio i migliori, perché nel frattempo magari riescono, anche per motivi di studio, a fare concorsi nel pubblico impiego. Pertanto, forse nel mercato rimangono coloro a cui è rimasto soltanto l'esercizio di quella professione e che magari faticosamente sono riusciti alla fine anche loro a prendere il titolo di abilitazione.
In un momento veramente critico per il nostro Paese, dobbiamo cercare una soluzione condivisa che punti sulla valorizzazione dei giovani e accorci le distanze rispetto all'Europa, per l'inserimento nel mondo del lavoro e anche per la valorizzazione di questo mondo giovanile, caratterizzato da grossi vuoti oggigiorno, che poi sono anche la causa di tanti malesseri che cerchiamo di recuperare attraverso norme incriminatrici di vario tipo, che però non risolvono il problema di fondo.

MARIA GRAZIA SILIQUINI. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti, in particolare gli auditi e gli esponenti dell'Udc e del Pd, che hanno dato sicuramente contributi concreti e utili.
Non entro assolutamente nel merito dei temi sollevati, mi limito a dare alcune indicazioni che esprimono il punto di vista del relatore. Credo che ad oggi - ricordo ai presidenti e a tutti noi che abbiamo ancora tre anni di legislatura, non ventitré - sia inutile cercare di predisporre venticinque leggi professionali. Inoltre - siamo realisti - quando il ministro ha chiesto un disegno di legge unitario tra avvocati, notai e commercialisti, credo che questi professionisti siano andati avanti ciascuno per proprio conto, ciascuno avanzando la propria proposta. È impossibile pensare che, nei dettagli, si possa pensare a un testo unitario, tant'è che gli avvocati sono andati avanti per primi e hanno presentato una proposta che li riguardava. Sebbene il ministro avesse chiesto un progetto unitario, ha capito che la sua era una richiesta bella ma utopica.
Preso atto di queste circostanze, vorrei che vi rendeste conto che siamo in un momento storico dal punto di vista della riforma delle professioni, perché tutto


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quello che si poteva dire sulla costruzioni dei disegni di legge è stato da noi depositato. Basta studiarlo. Tutto ciò che riguarda i chiarimenti delle singole posizioni, pur divergenti ma che mi sembrano sempre meno lontane, sta emergendo. Abbiamo la possibilità di emanare, nel giro di un anno e non di ventuno, una legge che riguardi tutte le professioni e che sia vincolante su princìpi inderogabili che mettono - scusate se lo dico, ma lo hanno sostenuto anche altri - sia le professioni, sia gli utenti, che per me sono sullo stesso identico piano, al riparo da bufere ideologiche che portino a un mercato che non garantisce qualità, chiarezza, trasparenza, merito e tutto il resto, che ora non intendo ripetere.
Oggi abbiamo l'occasione storica politicamente di stabilire princìpi cardine, precisi e chiari. Non specifico neanche se si tratti di una legge quadro o di una legge delega. Stiamo discutendo sulla forma, e credo che, essendo tutte persone dotate di capacità intellettuale e tecnica, troveremo la soluzione, soprattutto sulla base dei princìpi, che il presidente può aiutarci a cogliere, di tecnica legislativa, perché è questo poi il punto cruciale. Non immaginiamo utopie, restiamo ai discorsi concreti. Se vogliamo formulare una legge, dobbiamo anche capire qual è la strada più veloce e non credo che sia quella di formulare una legge per i notai, una per i commercialisti, una per gli ingegneri, che poi si sono uniti ai geometri, e via elencando.
Chiedo al presidente Calderone, al presidente Siciliotti e al presidente Piccoli di darci la loro interpretazione autentica, perché credo che non abbiano bisogno di interpretazioni autentiche da parte di altri commissari; se vogliono una legge basata su tali princìpi (non ha importanza quanti siano), stabiliscano i punti cardine che negli ultimi venti anni non sono stati individuati per le professioni, che chiariscano il rapporto tra il professionista, chi è il professionista in rapporto alla Costituzione, l'ordinamento civile, eventuali miglioramenti, e le direttive europee che, come tutti sappiamo - è inutile nasconderci dietro un dito - sono state interpretate in maniera errata durante il recepimento della direttiva Prodi e, comunque, hanno creato una confusione e un pasticcio.
Andiamo a vedere che cosa dice veramente l'Europa alla luce dell'ordinamento italiano, enucleiamo tali princìpi e mettiamoli per tabulas. Questa è la mia posizione.
Io sono disponibile a qualunque tipo di tecnica legislativa, purché ci sia una convergenza di intenti e di chiarimenti. Sono disponibile a qualunque lavoro di mediazione e di raccordo. Sono la firmataria di un disegno di legge storico da dieci anni. Non sostengo che si tratti di quello che deve essere approvato, se volete lo prendo e lo butto nel cestino, e riscriviamo insieme i princìpi fondanti del futuro delle professioni. Anch'io, come la capogruppo, ho due figli, di ventiquattro e ventisette anni, uno uscito da economia, l'altro da giurisprudenza, in questo mondo. Quindi, ci capiamo. Noi donne su questi temi, oltretutto giuriste, non abbiamo bisogno di fare bassa politica. Siamo mamme, donne e giuriste: credo che l'occasione sia storica anche per questo, collega Ferranti.
Se proprio volete sottolineare questa mia uscita, vi dirò che il presidente del CUP è una donna, come anche il presidente della Commissione giustizia. Forse questa volta la legge si farà perché non inseguiamo basse politiche, ma princìpi concreti.
Concludo chiedendo espressamente ai presidenti di fornire queste risposte - è da qui che si deve partire, altrimenti perdiamo tutti il nostro tempo - e soprattutto di indicarci l'obiettivo. Dobbiamo riuscire a capire tecnicamente come realizzarlo nel più breve tempo possibile per fare un doppio passaggio tra Camera e Senato nei tre - e non ventitré anni - che ci aspettano.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per le repliche.

MARINA ELVIRA CALDERONE, Presidente del Comitato unitario delle professioni.


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Nel premettere che, ovviamente, rappresento sia la parte maschile che quella femminile della presidenza degli ordini - andrò più tardi a un'audizione sulle pari opportunità in Senato - io credo che oggi ci sia la dimostrazione di quanto fosse falso l'assunto che gli ordini professionali non vogliono la riforma.
In queste due ore, infatti, noi abbiamo discusso finalmente della riforma degli ordini, e noi presidenti, nel ragionare prima di venire in audizione, ci eravamo posti proprio l'obiettivo di mettere al centro della discussione la riforma degli ordini professionali, svolgendo anche - l'ho detto all'inizio del mio intervento - una riflessione sulle strategie e sulle mosse che avevamo effettuato in passato, ossia di ipotizzare una riforma del sistema duale.
Oggi, invece, vi diciamo che sono cambiate le condizioni e che per noi è imprescindibile che il Parlamento, nel corso di questa legislatura, riformi le professioni. Io ho espresso una considerazione importante, ossia che per noi le professioni sono quelle intellettuali ordinistiche, perché questo è il nostro obiettivo.
L'altro obiettivo era quello di portare, all'interno di quest'Aula, la discussione sul nostro mondo e sulle nostre esigenze, partendo dal fatto che noi vogliamo varare la riforma e siamo qui a chiedervela. Vi abbiamo parlato, poi la tecnica legislativa spetta al Parlamento. Noi veniamo qui a rappresentare le esigenze di un mondo. Comprendo le difficoltà, però io cerco di rappresentarvele. Quando parliamo di una legge quadro intendiamo qualcosa che metta in evidenza i princìpi generali delle professioni ordinistiche. Può trattarsi certamente di una legge di princìpi generali, a cui però devono essere uniformati gli ordinamenti delle singole categorie professionali. In questo non volevamo dire che gli ordini cambiano da soli le proprie norme, anche perché ciò non sarebbe possibile, visto che gli ordini sono stati istituiti con provvedimenti legislativi.

PRESIDENTE. Volevo sottolineare, per evitare un equivoco di fondo, in maniera molto pragmatica, il punto seguente: immaginiamo che venisse stabilito un percorso per il quale in un anno riusciamo ad approvare una legge che elenca princìpi di ordine generale, che riguardano le professioni ordinistiche come lei le ha definite. Supponiamo che questa linea abbia successo in Parlamento.
Nell'ipotesi in cui successivamente venga proposta una legge di settore che riguarda i dottori commercialisti, il Parlamento non è obbligato ad adeguarsi ai princìpi di carattere generale già approvati, perché si tratta di provvedimenti legislativi che hanno lo stesso rango normativo. Glielo dico sul piano strettamente tecnico. La mia interruzione, anche a seguito del primo intervento, che non mi era chiaro, serviva a evitare che si esca dall'incontro di oggi con la convinzione che, nel momento in cui viene stabilita una legge di princìpi generali - che non è una legge quadro - si siano posti dei vincoli sul piano normativo: le eventuali leggi di settore in realtà sarebbero pariordinate e non subordinate alla prima legge. A quel punto, l'autonomia legislativa del Parlamento sulle leggi di settore può anche contraddire successivamente alcuni di tali princìpi.
Questo riguarda il piano dello strumento normativo che il Parlamento sceglie.

MARINA ELVIRA CALDERONE, Presidente del Comitato unitario delle professioni. Presidente, vi diamo la nostra disponibilità eventualmente a proseguire questa audizione e a riconvocarci. Siamo assolutamente a vostra disposizione e saremo presenti, perché questo è un tema che interessa moltissimo tutti gli ordini professionali.
Chiediamo, comunque, di essere parte di tale processo. Il fatto che ci abbiate convocato e ci abbiate consentito di poter esprimere il nostro parere e di potervi dire che intendiamo andare avanti nella riforma sugli ordini professionali, affidarci al Parlamento per definire anche in una norma, che poi voi individuerete, cos'è la professione intellettuale, è l'aspetto più importante.


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PAOLO PICCOLI, Presidente del Consiglio nazionale del notariato. Mi permetta, perlomeno, un flash di risposta, perché la relatrice ci ha posto una domanda precisa. Rispetto alle preoccupazioni procedurali e di tecnica legislativa espresse dal presidente in maniera molto pregnante e corretta, è passata molta acqua sotto i ponti. Non abbiamo bisogno delle riforme delle professioni. Noi notai abbiamo realizzato quasi tutto: abbiamo il procedimento disciplinare con le COREDI presiedute da un magistrato, l'accesso al tirocinio cambiato per legge, l'assicurazione obbligatoria col fondo di garanzia con i soldi dei notai già ratificato per legge. Che riforma dobbiamo attuare? C'è una riforma che riguarda alcuni aspetti, come, per esempio, la nomina degli organi, la ripartizione dei distretti, e via elencando. Sono alcune piccole questioni di settore, che i commercialisti hanno già affrontato, e che gli avvocati stanno discutendo ora.
Ha ragione sulla questione della tecnica legislativa, ma quello che conta è di dire di no al sistema duale. Non attuerete la riforma in questo modo. Le altre «professioni», che tali non sono, sono regolamentate dalle Direttive qualifiche e servizi che vengono dall'Europa. Voi richiamatevi ai princìpi che sono stati ricordati e sostenete che le professioni hanno, per esempio, bisogno dell'assicurazione, che il tirocinio venga pagato e via elencando. I princìpi fondamentali sono già nel codice civile: ribaditeli, date una forza a tutto ciò, definite espressamente che cos'è una professione intellettuale. All'interno di questo ci saranno norme ad assetto variabile, tipo le società, dopodiché loro vorranno i soci di capitale, noi no.
Regolate i nostri rapporti con l'Antitrust, perché non è pensabile che questo organismo si permetta di intervenire in un procedimento disciplinare stabilito dalla legge per chiedere documenti, come se fosse un procedimento anticoncorrenziale. È una follia in questo Paese.

CLAUDIO SICILIOTTI, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Condivido l'impostazione della relatrice. Credo che non vada sottovalutata l'importanza di introdurre una definizione di professione che modifichi il codice civile.
Non perdete questa occasione, visto che tutti siamo concordi in merito.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14.

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