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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(II e X)
6.
Martedì 1° dicembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 3 INIZIATIVA POPOLARE, C. 503 SILIQUINI, C. 1553 VIETTI, C. 1590 VITALI, C. 1934 FRONER, C. 2077 FORMISANO E C. 2239 MANTINI, IN MATERIA DI RIFORMA DELLE PROFESSIONI

Audizione di rappresentanti del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap) e di Assoprofessioni:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 4 10 11 12 15
Berloffa Giorgio, Presidente di Assoprofessioni ... 12
Capano Cinzia (PD) ... 10
Deiana Angelo, Presidente del Comitato scientifico del Coordinamento libere associazioni professioni ... 9
De Magistris Raffaele, Delegato dell'Associazione italiana biblioteche ... 4
Falcone Roberto, Segretario generale di Assoprofessioni ... 14
Follegot Fulvio (LNP) ... 11
Leoni Giorgia, Presidente della Confederazione italiana archeologi ... 4
Lulli Andrea (PD) ... 10
Lupoi Giuseppe, Presidente del Coordinamento libere associazioni professionali ... 3 4 6 11
Maccaferri Simone, Presidente dell'Associazione nazionale biotecnologi italiani ... 4
Patanè Vincenzo, Delegato dell'Associazione italiana di management degli approvvigionamenti ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONI RIUNITE
II (GIUSTIZIA) E X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 1° dicembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 11,30.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap) e di Assoprofessioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame delle proposte di legge C. 3 Iniziativa popolare, C. 503 Siliquini, C. 1553 Vietti, C. 1590 Vitali, C. 1934 Froner, C. 2077 Formisano e C. 2239 Mantini, in materia di riforma delle professioni, l'audizione dei rappresentanti del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap) e di Assoprofessioni.
Prima di dare la parola al presidente del Colap, Giuseppe Lupoi, faccio presente che, anche se non sono molti i componenti delle due Commissioni che seguono questa audizione, sono presenti persone - che vedete alle vostre spalle - delegate a riferire ai diversi gruppi. Non si tratta, quindi, certamente di mancanza di attenzione. Per questo tipo di audizioni è inoltre prevista la resocontazione stenografica.
Con l'invito a contenere, nei limiti del possibile, interventi su tali temi - ci interessa piuttosto una sintesi dei singoli argomenti e delle vostre richieste - do la parola ai nostri auditi.

GIUSEPPE LUPOI, Presidente del Coordinamento libere associazioni professionali. Ringrazio il presidente, la II Commissione giustizia e la X Commissione attività produttive per l'invito.
Noi rappresentiamo 213 associazioni professionali. Naturalmente, essendo il tema dell'audizione la legge sulla riforma delle professioni intellettuali, accenniamo soltanto al fatto che siamo convinti che, per l'ampiezza della questione, sarebbe più opportuno operare su leggi separate e specifiche. Il Colap lo ha già deliberato nel 2004, con i suoi Stati generali, e ci pare che questa sia anche opinione dell'attuale Governo, sulla base delle dichiarazioni rese dal Ministro Alfano.
Naturalmente, però, dal momento che siamo convinti - penso che lo siate anche voi - che il Paese abbia bisogno di una riforma sulle professioni, non saremo certo noi a ostacolarla; al contrario, collaboreremo secondo le nostre possibilità affinché questa iniziativa parlamentare autonoma possa avere successo.
Abbiamo letto con molta attenzione, nonché con preoccupazione, le audizioni precedenti e per questo motivo abbiamo cambiato la scaletta dell'intervento che avremmo voluto tenere. Sappiamo che la Commissione - lo abbiamo letto a verbale - lascia a noi la facoltà di organizzare i lavori. Vorrei, quindi, cedere la parola per due minuti ognuno, a quattro rappresentanti di nostre associazioni.


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Vorrei passare la parola a Raffaele De Magistris.

PRESIDENTE. Mi scusi, considerato che di solito diamo la parola a un unico soggetto, che illustra la relazione, se parlano più soggetti la sintesi si rende necessaria.

GIUSEPPE LUPOI, Presidente del Coordinamento libere associazioni professionali. Interverranno per due minuti ognuno.

RAFFAELE DE MAGISTRIS, Delegato dell'Associazione italiana biblioteche. Buongiorno. Rappresento la figura professionale dei bibliotecari, che può essere sinteticamente definita come intermediaria tra gli utenti e le risorse informative della conoscenza, come recita il manifesto UNESCO sulle biblioteche pubbliche.
Quella del bibliotecario, per quanto già registrata nell'antichità, è sicuramente una delle figure che sono sempre riuscite a rimodularsi, alla luce sia dell'evoluzione tecnologica, sia delle trasformazioni sociali.
Per definirne i contorni, potrei citare i corsi di laurea, tra cui quelli dell'Università La Sapienza di Roma, o i corsi di specializzazione, come il master di II livello dell'Università Federico II di Napoli; o, ancora, la declaratoria dei profili professionali registrata dal Ministero per i beni e le attività culturali, o i titoli e i requisiti richiesti in occasione dei concorsi, compreso l'ultimo bandito dal ministero.
Potrei, altresì, citare gli specifici rami in cui viene articolata la professione in chiave specialistica, per esempio nell'atto di indirizzo della regione Lombardia di alcuni anni fa.
A tal proposito, voglio precisare un punto in merito all'attività del bibliotecario, che di norma sfugge: nella sua attività di intermediazione tra la gente e la conoscenza, egli si colloca nel cuore delle problematiche inerenti la società dell'informazione, come viene definita la società della conoscenza.
Che cosa riguardano le problematiche che attraversano Google, Yahoo e la rete in generale, se non il modo di recuperare, diffondere, registrare e conservare la conoscenza? Non a caso, tanti progetti che vanno, giustamente, per la maggiore - penso, per esempio, a Google books o a Google scholar - sono possibili solo grazie alla partecipazione massiccia e al coinvolgimento del mondo delle biblioteche.

GIORGIA LEONI, Presidente della Confederazione italiana archeologi. Signor presidente, rappresento la figura dell'archeologo, una professione antica, ma che non è mai stata capita nella sua complessità e, soprattutto, nel ruolo sociale che riveste.
Siamo a più livelli lo strumento attraverso il quale l'umanità costruisce la propria coscienza storica e la conoscenza del suo passato, avvalendosi di molteplici sistemi: consulenze per diversi tipi di istituzioni, pubbliche e private; musei e fondazioni; perizie antiquarie; sorveglianza nei sondaggi archeologici, obbligatori nel momento in cui si effettuano opere nel sottosuolo; collaborazioni professionali per mostre ed eventi tematici; didattica nelle scuole e nei musei.
Nonostante non esista un censimento ufficiale, si tratta di almeno 10-15 mila professionisti attualmente impiegati nei diversi livelli e fasi.
A livello universitario, oggi esiste una laurea in archeologia quinquennale - laurea triennale più specialistica - mentre, alcuni anni fa, essa rientrava nella laurea in lettere con indirizzo archeologico. Ci sono specializzazioni, master e qualsiasi altro tipo di formazione, ma nessun riconoscimento. Di fatto non esistiamo in tutti i livelli in cui siamo impiegati.
Non vorrei dover dimostrare il nostro essere una professione intellettuale, perché sarebbe quasi folle sostenere che siamo prestatori di servizi di lavoro autonomo: siamo intellettuali a tutti i livelli e siamo qui per chiedere il riconoscimento di ciò.

SIMONE MACCAFERRI, Presidente dell'Associazione nazionale biotecnologi italiani. Buongiorno a tutti. La definizione


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dell'attività professionale che rappresentiamo - quella dei biotecnologi - è riconosciuta anche in sede internazionale dalla Commissione europea.
Il biotecnologo è il professionista che si occupa dell'utilizzo di materiali viventi, o di parti di essi, per la creazione di beni o servizi. Per fare un esempio concreto, in ambito biomedico si può interfacciare con l'istituzione medica per il disegno e la produzione di strumenti come biomateriali oppure organi e tessuti ingegnerizzati, di cui spesso, in questi anni, sentiamo parlare sui giornali.
Tutto ciò che ci riguarda come cittadini è toccato dalle biotecnologie: dall'alimentazione alla salute, dai modelli animali per studiare le cure per nuove malattie, ai cibi funzionali, alla tutela dei prodotti tipici, nonché - per restare in un campo che lei, presidente, conosce bene - la messa a punto e lo sviluppo di tecnologie da utilizzare nell'ambito forense.
Tutto beneficia oggi di nuovi prodotti biotecnologici e richiede competenze specifiche, date, per esempio, dalla laurea in biotecnologie, che è nata nel 1994, è diffusa in tutta Italia in 41 atenei e vede più di 15.000 studenti iscritti, nonché una stima di laureati attuale di oltre 20.000 unità.
Le biotecnologie rappresentano, indubbiamente, uno dei settori di punta dell'industria e dell'innovazione italiana. Oggi, 260 società investono in ricerca e sviluppo biotecnologico e hanno un giro di affari pari a 15,3 miliardi di euro e un incremento del 18 per cento rispetto allo scorso anno. Tali dati sono in accordo con le stime OCSE, le quali prevedono, nei prossimi vent'anni, un aumento del 200 per cento dell'impatto sul comparto produttivo delle biotecnologie. Tale impatto è presente anche in Italia, come avete potuto leggere nel Libro bianco sul futuro modello sociale, pubblicato dal Ministro Sacconi nella primavera scorsa, che poneva le biotecnologie come centrali per lo sviluppo del nostro Paese.
Considerato il loro forte impatto sociale, le biotecnologie richiedono una forte deontologia, una specificità e un aggiornamento costante, caratteristiche peculiari di una disciplina che - giocoforza - deve essere valorizzata, anche per il futuro impatto economico e sociale del Paese.

VINCENZO PATANÈ, Delegato dell'Associazione italiana di management degli approvvigionamenti. Spiego brevemente che cosa intendiamo per approvvigionatore. Si tratta del professionista che coordina e controlla tutto il processo di acquisto di beni e servizi che necessitano all'azienda, o all'ente cui l'approvvigionatore si riferisce, per produrre le attività o i beni che vende sul mercato.
La professione dell'approvvigionatore ha subìto, in questi anni, grazie allo strumento di Internet, una notevolissima evoluzione, da cui sono nate anche nuove figure professionali. Soprattutto all'estero, potremmo parlare di gestore della fornitura.
In Gran Bretagna, tale professione è riconosciuta: il Chartered institute of purchasing and supply rilascia, infatti, attestati riconosciuti dalla Regina d'Inghilterra. Negli Stati Uniti, l'indice prodotto dall'associazione analoga all'ADACI, l'ISM, viene consultato con cadenza mensile dal Presidente degli Stati Uniti con il suo staff economico, in quanto indicatore dell'andamento dell'economia statunitense e, quindi, mondiale.
Calcoliamo che la federazione internazionale alla quale la nostra associazione aderisce raccolga circa un milione di approvvigionatori nel mondo. Di questi, circa 40-60 mila - è una nostra stima - sono in Italia.
Tutto questo interesse deriva, essenzialmente, dal fatto che indagini sui bilanci delle diverse aziende eseguite da Mediobanca dimostrano come l'incidenza del costo beni e servizi acquistati superi, in media, il 70 per cento del valore della produzione. Pertanto, risparmiare il 5 per cento sui costi di acquisto significa produrre un utile del 3,5 per cento, che finisce direttamente sul bilancio stesso.
Vorrei solo precisare che un approvvigionatore non deve parlare di prezzi ma di


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costi. Deve, quindi, conoscere tutti i costi che afferiscono al ciclo d'acquisto, dal momento in cui un bene viene pensato e concepito e la sua necessità viene definita, fino al momento in cui tale necessità viene soddisfatta.
Oggi si parla anche di costi di sostenibilità, che vanno a loro volta valutati. In questo momento ci sono nostri colleghi che stanno acquistando componenti che finiscono su un aereo, il quale cesserà di volare magari nel 2035. Da qui a tale data, ciascun componente origina costi che un buon approvvigionatore deve saper valutare. Occorre, quindi, possedere competenze molto approfondite in termini di conoscenza di mercato, dei beni e dei servizi che si acquistano, nonché dei fornitori.
Da ultimo, informo che il mondo accademico sta riconoscendo, in questi ultimi anni, notevole importanza al ruolo dell'approvvigionatore e che sono nati master specifici in diverse università, come il Politecnico, le tre Università di Roma e l'Università di Salerno.

GIUSEPPE LUPOI, Presidente del Coordinamento libere associazioni professionali. Abbiamo sentito quattro voci, ma ne avremmo potuto ascoltare «quattro volte quarantaquattro» dei nostri associati.
Ritengo, quindi, che voi tutti difficilmente possiate condividere le affermazioni che ho letto nei resoconti precedenti, per le quali soltanto le professioni ordinistiche sarebbero professioni intellettuali, mentre le nostre sarebbero attività di generica prestazione di servizi, lavoro autonomo assimilato - secondo chi ha parlato nelle precedenti audizioni - più a quello del parrucchiere o dell'idraulico che non a quello di un professionista vero e proprio.
Si tratta di rilievi che noi consideriamo inaccettabili. Come abbiamo sentito, nelle nostre professioni c'è molto più contributo intellettuale che non in molte professioni ordinistiche e - dovrei aggiungere con un po' di polemica - anche in quelle che stanno organizzando, in questi giorni, convegni faraonici, in cui vengono dilapidati moltissimi soldi attinti dagli iscritti obbligatori. Non si innalza in tal modo il livello intellettuale della professione.
Veniamo al problema con ordine. Coloro che sono intervenuti prima di noi in audizione sostengono che per svolgere una professione intellettuale occorre un percorso universitario. Voglio ricordare, in primo luogo, che, degli attuali iscritti agli ordini, almeno il 35 per cento non sono laureati, e in secondo luogo, che tale presupposto è sbagliato, perché l'università tratta di materie e saperi consolidati, non di saperi nuovi. Questi ultimi, il più delle volte, non hanno una facoltà universitaria di riferimento. Porto l'esempio degli informatici: sino a dieci anni fa non esisteva la facoltà di informatica, eppure è evidente che si tratti di una professione intellettuale.
In Europa, l'EQF prevede otto livelli di graduazione del livello di istruzione: perché non tener conto di quel modello, invece che fissarsi sulla sola laurea?
Inoltre, si afferma che, se non esiste un esame di Stato, non si tratta di professione intellettuale. Anche questo è un nonsenso: l'esame di Stato ha senso solo quando lo Stato conferisce una patente a qualcuno per esercitare la professione (di avvocato che difende in giudizio, per esempio) e non quando tale patente non serve, perché non c'è esclusiva. L'esame di Stato andava bene quando è stato pensato, perché il sapere e le conoscenze erano fermi: se si sosteneva l'esame di Stato in una data, probabilmente per tutta la vita si sarebbe potuto esercitare la professione. Oggi non è così e quindi l'esame di Stato non può rappresentare un discrimine tra professioni intellettuali e non.
Sempre chi ci ha preceduto nelle audizioni, sostiene che distingue la professione intellettuale il fatto di fare formazione continua. Siamo veramente alla follia. Noi associazioni abbiamo inventato e propugnato da sempre la formazione continua, il nostro modo di operare costituisce, in sé, formazione continua. Gli ordini, invece, non ce l'hanno e i pochi che stanno cominciando ad introdurla ora la svolgono


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male, perché lo fanno in regime di monopolio e nessuno impara alcunché. Possiamo anche considerarci orgogliosi, perché gli ordini hanno imparato da noi come si fa professione, però questo orgoglio ci porta poco avanti.
Un'altra richiesta di chi ci ha preceduto prevede l'abolizione degli articoli 4 e 26 del decreto legislativo n. 206. Gli ordini hanno fatto ricorso al TAR avverso tale decreto, hanno perso, i loro ricorsi sono stati dichiarati inammissibili e, tanto chiara era la sentenza, che non si sono neppure appellati al Consiglio di Stato.
Il decreto legislativo n. 206 del 2007 ha l'obiettivo del recepimento della direttiva qualifiche, la quale prevede che, quand'anche in un solo Paese europeo ci sia una professione regolamentata, si possano formare all'interno dell'Europa piattaforme per individuarla. Se una professione altrove regolamentata non lo è in Italia, è giusto che il Governo italiano abbia qualcuno a cui rivolgersi per sapere di che si parla. Porto l'esempio del counselor, professione che in Austria è regolamentata. Non è escluso che, da qui a un po' di tempo, si chieda di fare un tavolo della piattaforma europea in materia. Perché mai l'Italia non dovrebbe potersi avvalere dell'esperienza dell'Associazione dei counselor italiani?
È stato anche affermato che noi non siamo circa 3,5 milioni, come riferisce il CENSIS, ma 200 mila. Questa ricerca è stata effettuata dall'agrotecnico Roberto Orlandi, che evidentemente si ritiene più esperto del professor De Rita, relativamente a questo tipo di indagini.
Se dovessi seguire la sua strada, dovrei dire che a esercitare professioni ordinistiche sono 700 mila soggetti, perché tanti sono gli iscritti alle casse di previdenza degli ordini. Non è così, ma questo è il suo modo di ragionare.
Naturalmente, spiace che in questa sede possano essere forniti da presidenti di enti pubblici - tali sono gli ordini professionali - dati totalmente fasulli.
Abbiamo anche sentito richiami all'Europa, ora per prenderne le distanze, ora per avvicinarcisi. Da noi non sentirete mai dire, tuttavia, che l'Europa impone una scelta o un'altra nella regolamentazione delle professioni; semmai, l'Europa consiglia, convinta che l'uniformazione delle norme che regolano gli ordini professionali renderà il mercato più mobile, aumenterà la concorrenza, migliorerà la possibilità di far crescere nell'Unione questo mercato, che dovrebbe essere il primo nel mondo.
L'Europa consiglia di adottare certe norme; noi siamo a favore di questi consigli, ma non si tratta di obblighi. Il refrain che sentiamo sempre dai rappresentanti degli ordini, comunque, è che in questa legge non bisogna neppure nominare le libere associazioni professionali. Questo è possibile, purché si cambi il titolo della legge: chiamiamola «Riforma degli ordini professionali» e il problema non si pone, ma non possiamo più intitolarla «Riforma delle professioni intellettuali». Può darsi anche che sia giusto, ma dobbiamo capire quale sia l'oggetto della nostra discussione.
Il tentativo di arginare il fenomeno delle libere associazioni, infatti, mettendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi, è inutile (la sede non ci permette di usare altre parole). I professionisti associativi esistono e hanno il loro mercato, che peraltro è in crescita - siamo meno attaccati dalla crisi degli altri professionisti ordinisti - con una forte fidelizzazione dei nostri clienti.
Le associazioni professionali esistono e noi le rappresentiamo: svolgono il loro lavoro, ossia propongono un sistema aperto, effettuano formazione continua e controllo deontologico, rilasciano attestati di competenza.
Chiediamo una regolamentazione perché possano essere valorizzate le associazioni professionali che svolgono al meglio il loro lavoro e si getti discredito, viceversa, su quante lo svolgono male. Noi non possiamo farlo in assenza di una legge che ce lo consenta.
La moneta cattiva caccia la buona, pertanto abbiamo bisogno di una legge che faccia chiarezza e che, naturalmente, faciliti


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gli utenti ad individuare i soggetti ai quali rivolgersi per richiedere le prestazioni.
Se pensate che le norme fissate dal decreto n. 206 del 2007 non siano sufficienti per questo discrimine cambiamole, alziamo l'asticella, non c'è problema. L'importante, però, è che noi le studiamo e che il Parlamento deliberi su questa materia.
Diciamo - e ne siamo convinti - che il Parlamento non deve venire meno ai suoi compiti, ossia al dovere di regolamentare lo svolgimento dell'attività professionale a tutela dei cittadini e dei nostri professionisti, che devono avere la certezza di operare nella legalità ed hanno il diritto allo status e alla dignitas appunto di professionisti. Io non capisco come sia possibile continuare a negare loro un sistema pensionistico adeguato, come quello degli altri professionisti, e costringerli a pagare il 27 per cento per non ricevere nulla in cambio.
Non capisco come si possa continuare a pensare, considerato che ora verrà recepita la Direttiva servizi, che consentirà ai professionisti associativi europei di operare in Italia, di proibire ai nostri professionisti di compiere l'operazione inversa: i certificati che rilasciamo, non essendo noi professioni associative regolamentate, non sono validi in Europa.
Vogliamo, in definitiva, ricordare a noi stessi che tutto il lavoro di normazione effettuato - dallo Stato italiano nel 1913, quando istituì il primo ordine, dall'Europa nel 1989, in occasione della prima direttiva, e dal Parlamento negli ultimi venti anni, nel tentativo di emanare norme nuove sul sistema professionale - ha un solo obiettivo, quello di ottimizzare le tecniche di informazione a disposizione del cittadino per accedere al servizio professionale richiesto.
Questo è il lavoro che il Parlamento dovrebbe compiere nell'ambito della riforma, ossia guardando avanti, non pensando al passato. Nel guardare avanti, inoltre, non possiamo non chiederci cosa è successo prima e quali misure si devono adottare perché non si ripeta; non possiamo non chiederci se oggi il sistema professionale funziona al meglio, in Italia, o se ha bisogno di qualche correzione, se il sistema basato sugli ordini è ottimale o se ne esistono altri da affiancare eventualmente. Non possiamo non domandarci se la situazione italiana del 1913, quando sono stati creati i primi ordini, è come quella di oggi, considerando che le norme non sono cambiate da allora, o se lo sviluppo della scienza consiglia di cambiare registro, di andare avanti.
Evidentemente, si tratta di domande retoriche e le risposte le sappiamo tutti; nei testi che ho visto, però, non ho trovato nulla di tutto questo: si fotografa il vecchio e lo si migliora lievemente.
Onorevoli, non lasceremo agli atti della Commissione oggi un documento; aspettiamo di ascoltare le altre audizioni previste, per poi preparare una summa di tutto ciò che pensiamo, senza riserve e senza censure. Sarete voi, ovviamente, a decidere che uso farne.
Aggiungo che, nel caso doveste decidere - forse non sbagliando, visto il tenore dei precedenti interventi e il clima che si respira nel Paese - di fare soltanto una riforma degli ordini, vi ricordiamo che al nostro interno rappresentiamo anche molti iscritti agli ordini professionali, includendo alcune attività specialistiche di loro competenza.
Nel documento che vi daremo, dunque, interverremo anche in quella materia, soprattutto da un punto di vista che non viene mai considerato: l'interesse del cittadino. Tutti coloro che vi parlano, infatti, sono i vertici degli ordini professionali, che sono interessati a mantenere una situazione di governo del sistema professionale, ma non sono a mio giudizio interessati a verificare quali sono i reali interessi del cittadino.
Noi, nel documento, riporteremo le nostre osservazioni, dal punto di vista non solo del cittadino, ma anche del singolo professionista, il quale oggi non gode di alcuna tutela nei confronti dei vertici degli ordini, se per caso dovesse incorrere in qualche azione a loro non gradita.


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Avrei moltissimi esempi da riportare al riguardo, ma purtroppo il tempo non ce lo consente.

ANGELO DEIANA, Presidente del Comitato scientifico del Coordinamento libere associazioni professionali. Buongiorno e grazie di questa possibilità.
Quanto ha appena sottolineato l'ingegner Lupoi, secondo me, è veramente molto importante. Nell'ambito del Colap e del sistema delle cosiddette «professioni associative» in genere, sono rappresentati una varietà di profili professionali che vanno da professioni nuovissime, generate da nuove domande di mercato, a quelle antichissime e tagliate trasversalmente da innovazioni generate dalla tecnologia e via dicendo.
Vi do alcuni numeri, tanto per segnare dei paletti: 3,5 milioni di professionisti - come diceva l'ingegner Lupoi - stimati dal Censis, 350 mila iscritti al Colap, 9 per cento di PIL prodotto, 21 per cento insieme alle aziende collegate (dati Bankitalia e ISTAT). Come capirete, quindi, si tratta di un mondo di grandissima importanza economica, del quale difficilmente, come si faceva notare, si può disconoscere il carattere intellettuale delle prestazioni fornite.
È evidente, inoltre, che in una fase di economia della conoscenza, laddove il Trattato di Lisbona afferma che l'Europa vuole che la conoscenza sia il fattore produttivo dominante, tutte queste attività hanno bisogno di una regolamentazione che - come sottolineava ancora una volta il presidente Lupoi - non deve avere come focus la tutela del professionista, ma quella dell'utente, ossia del cittadino.
Se il sistema attuale fosse valido, non ci sarebbe alcuna esigenza di riformare: si considererebbero le 110 attività professionali del Colap, o tutte quelle che in un prossimo futuro potrebbero affacciarsi sul mercato, per regolarle in ordini. Se il sistema attuale funzionasse, ci sarebbe bisogno di 100 ordini professionali; peccato che tale sistema non funziona più: questo sistema ha svolto egregiamente il suo dovere per circa 70-80 anni, ma con l'esplosione dell'economia della conoscenza e del capitalismo intellettuale presenta crepe molto evidenti.
Il problema, dunque, è se continuare in questa logica «monocratica», che tale in realtà non è. Noi tendiamo a presentare il sistema professionale italiano come univoco, ma in effetti esso è un sistema misto, come quelli presenti in tutti i Paesi del mondo, perché ha ordini professionali, collegi professionali che in realtà - come faceva notare l'ingegner Lupoi - rappresentano una porzione di domanda e di offerta sul mercato basata su titoli non universitari; ha, inoltre, una serie di professioni regolate con elenco presso ministeri diversi, professioni che hanno l'esame di Stato - pensate agli insegnanti - e non l'ordine, e altre invece che non prevedono l'esame, ma hanno l'albo (come i promotori finanziari).
Il sistema, dunque, è assolutamente variegato ed ha bisogno probabilmente di una «ri-regolazione» che stabilisca alcuni paletti e sia frutto di una certa analisi comparativa con i sistemi degli altri Paesi. Tutti i Paesi del mondo, in realtà, hanno un sistema misto, anche quelli che noi riteniamo la patria degli ordini professionali come la Francia (non lo dico io, ma un bellissimo studio del Servizio studi del Senato, a proposito della riforma della professione forense).
Approfondite documentazioni dimostrano che ovunque c'è un sistema misto, mentre la parte «autorizzatoria», ovvero ordinistica delle professioni esistenti, è minimale.
Il problema - vengo all'ostacolo principale - è che noi tendiamo sempre a ragionare, in termini di conflitto anche ideologico, fra i due soggetti esponenziali esistenti, ordini/collegi e associazioni. In realtà, la questione è profondamente diversa: è necessario riservare alcune attività soltanto agli iscritti a un certo ordine professionale? In caso affermativo, creiamo un ordine professionale; in caso contrario, che noi lo chiamiamo «ordine professionale» o «associazione», il problema


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non esiste. La questione, dunque, non è tanto capire quali sono i confini degli ordini e quali quelli delle professioni non regolamentate o delle associazioni, ma verificare se le attività riservate in questo momento previste nelle leggi di istituzione degli ordini professionali sono ancora tutte valide e necessarie alla luce dell'evoluzione che vi è stata in tali settori, se altre professioni siano da riservare, ovvero come vadano regolamentate tutte le altre attività non riservate.
In questo senso, per concludere, credo che le polemiche delle precedenti audizioni siano speciose. Tutte le sentenze della Corte costituzionale - dalla n. 418 del 1996 alla più recente, la n. 443 del 2007 -, la sentenza del TAR sul ricorso degli ordini professionali contro l'articolo 26 del decreto n. 206 del 2007 e tutte le normative affermano che tutte le attività non riservate sono libere ed in quanto tali possono essere esercitate, finanche in forma imprenditoriale.
Pertanto, se tali professioni possono essere esercitate anche in forma imprenditoriale, la formula più importante per la regolamentazione delle associazioni diventa quella accreditatoria, ossia non uno schema che chiuda il recinto nell'ambito di un ordine professionale, ma una formula che lasci alla concorrenza di mercato, pur regolata, un profilo di tutela del cliente, consumatore, utente.

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai deputati che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.

CINZIA CAPANO. Signor presidente, ringrazio il Colap per gli spunti che ci ha offerto.
Vorrei provare a uscire da questa contrapposizione di cui risente questa audizione, ma anche - come è stato osservato - quelle precedenti e informarvi sul percorso che avevamo ipotizzato. Noi, infatti, non abbiamo un problema di regolamentare la professione ordinistica e di inserire tutto in tale regolamentazione, né abbiamo la capacità di farlo nell'ambito delle professioni non ordinistiche. Ne è un esempio il fatto che al Senato sta per andare in Aula la riforma dell'ordinamento forense che, di per sé, è diversa dalla regolamentazione di tutte le professioni ordinistiche.
Per uscire da questa contraddizione, l'ipotesi cui stavamo lavorando, sulla quale vorrei capire quale sia il vostro punto di vista, è quella di pensare a una legge quadro, rivolta a tutte le professioni, che abbia dei princìpi generali e validi per tutti, successivamente procedere, attraverso decreti legislativi, alla regolamentazione di ogni singola professione.
Alla mia domanda, rivolta in un'altra audizione all'onorevole Siliquini, se pensava a questo processo inserendovi anche le professioni non ordinistiche, ho ricevuto risposta affermativa. Mi pare, quindi, che in sostanza quello che voi giustamente chiedete - una forma di regolamentazione che, oltretutto, vi consenta quella mobilità europea che, altrimenti, vedete frustrata - non sia in conflitto con il processo che intendiamo portare avanti. A mio avviso, un processo come quello che abbiamo avviato non vi priva di questa possibilità, lasciando al contempo l'opzione, per alcune professioni ordinistiche, di determinare specificamente il proprio percorso. Evidentemente, le esigenze sono diverse, come abbiamo riscontrato nelle precedenti audizioni; tra le diverse professioni ordinistiche, la domanda di regolamentazione sulle società è diversa, e non può che essere così. Difatti, mentre per le società tra avvocati è impensabile la società di capitali, per quelle di architetti e ingegneri questa possibilità diventa una condizione essenziale per esistere.
Mi pare che il percorso che abbiamo intrapreso - legge-quadro e poi discipline di settore, non limitate alle professioni ordinistiche, ma estese anche alle altre - sia compatibile con le obiezioni che voi oggi formulate.

ANDREA LULLI. Vorrei rivolgermi all'ingegner Lupoi per sottolineare che, per quanto mi riguarda, come capogruppo del Partito democratico in X Commissione


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attività produttive, condivido largamente le opinioni espresse e ritengo che dovranno essere oggetto di attenta riflessione nel prosieguo dei lavori delle Commissioni.
Bisogna rispondere, prima di tutto, a una questione, che condivido sostanzialmente. Taglio con l'accetta le varie questioni, perché non voglio farla lunga. Non si tratta di varare riforme di professioni monopolistiche o di corporazione, ma di introdurre princìpi di concorrenza e di libera circolazione nell'interesse generale, soprattutto dei cittadini. Questo è il punto essenziale. Naturalmente le soluzioni possono essere anche diverse, non ce n'è una obbligata.
Dobbiamo attrezzarci per mettere in condizione le nostre professioni intellettuali, anche quelle ordinistiche, di svolgere un lavoro che consenta loro di giocare un ruolo anche fuori casa, che attualmente è molto carente, almeno nel contesto europeo.
Visto che la relatrice, onorevole Siliquini, si è assentata, per suoi impegni, ci faremo carico di sollevare tali questioni nel corso dell'esame del provvedimento.

FULVIO FOLLEGOT. Ho una domanda piuttosto veloce. Quanto riportato oggi da tutti voi è sicuramente del tutto diverso dal contenuto delle audizioni tenute precedentemente.
Obiettivamente, però, partiamo da realtà completamente differenti, che probabilmente vanno normate in maniera differente. Va bene l'audizione e vanno bene le vostre osservazioni, ma i rappresentanti degli ordini che hanno parlato antecedentemente hanno trattato un tema diverso.
Voi sostenete che, a proposito della professione intellettuale, non ci devono i paletti descritti - un percorso universitario e l'esame di Stato - e che siete i soli a fare formazione continua. Ho l'impressione che non ci debba essere uno scontro: le realtà sono diverse e vanno gestite in modo diverso.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

GIUSEPPE LUPOI, Presidente del Coordinamento libere associazioni professionali. Rispetto al primo intervento, a nostro avviso va evidenziato un aspetto di fondo: la contrapposizione che, purtroppo, si è sentita nel nostro intervento, e per la quale esprimiamo il nostro rammarico - come ho detto all'inizio - è conseguente a quanto abbiamo letto nei resoconti delle precedenti audizioni.
Avrei voluto svolgere un intervento del tutto diverso, ma non mi è stato possibile, dopo aver letto tali considerazioni. Se mi viene detto esplicitamente di non poter nemmeno ambire a essere nominato in questa legge di riforma perché non appartengo a una professione intellettuale, come faccio a parlare di altro? Mi scuso di nuovo per il tipo di intervento che ho svolto, ma sono stato in qualche modo costretto ad impostarlo in questo modo.
Venendo alla sostanza, onorevole, una cosa è emanare una legge quadro, sulla quale siamo perfettamente d'accordo, un'altra questione è dover, come lei ha proposto, regolamentare le professioni. Su questo abbiamo delle perplessità. Per le professioni ordinistiche, non vi è dubbio che sia opportuno regolamentare per settori tecnici, giuridici, o di altro tipo; per quelle associative, invece, non lo è, perché noi chiediamo la regolamentazione non delle professioni, ma delle associazioni. Per noi regolamentare una professione è sbagliato, oggi, nel 2009, perché il regolamento di oggi tra due anni non sarà più adeguato. Non chiediamo che nella legge quadro si individuino le professioni da regolamentare, ma le modalità con le quali, eventualmente, devono essere regolamentate le associazioni. È questa la differenza.
Naturalmente, però, ci sono anche questioni di tempo: la direttiva servizi sarà approvata tra due mesi, mentre questa legge per allora non ci sarà e non possiamo non far lavorare i nostri professionisti perché il Parlamento sta ancora pensando, e continua a farlo da vent'anni.


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Per quanto riguarda il secondo intervento, ringrazio il rappresentante del Partito democratico. Se ci dà il suo appoggio, non possiamo che esserne contenti.
Da ultimo, ha ragione l'onorevole rappresentante della Lega: siamo diversi e non c'è motivo di contrapposizione, perché siamo complementari. Gli ordini professionali hanno tutto il diritto di andare avanti, di essere regolamentati, e di continuare a servirsi del procedimento autorizzatorio che li distingue, senza alcuna contestazione da parte nostra. Noi siamo complementari a essi, perché vorremmo che il nostro lavoro fosse riconosciuto con il sistema accreditatorio. Quello che ci meraviglia è la forte ostilità nei nostri confronti degli Ordini, perché non abbiamo nulla contro gli ordini, se non per alcuni atti di professione contigui, ma numericamente modesti nell'ambito dei 3,5 milioni di professionisti. Se occorre fare i nomi, specifico che si tratta dei commercialisti e dei nostri esperti contributari.
Questo è l'unico elemento di contrasto che abbiamo. Sia chiaro che se, per non permettere la concorrenza che già esiste tra i nostri tributaristi e i dottori commercialisti, blocchiamo tutto il processo di riforma, come stiamo facendo da dieci anni, ci assumiamo una grossa responsabilità. La soluzione è molto semplice: il Parlamento decida di dare riserva ai commercialisti, se lo ritiene possibile, e il discorso è chiuso.
Grazie.

PRESIDENTE. Siamo andati oltre il termine, ma le vostre osservazioni erano interessanti e abbiamo voluto ascoltarvi con attenzione.
Proseguiamo con l'audizione di rappresentanti di Assoprofessioni, che ringrazio di essere arrivati in anticipo rispetto all'orario previsto.
Vorrei far presente che, sebbene ora vediate pochi commissari, in realtà i soggetti presenti sono deputati a seguire in modo particolare questa indagine conoscitiva e avranno l'incarico di riferire agli altri componenti delle Commissioni.
Faccio, inoltre, presente che della seduta odierna verrà redatto un resoconto stenografico e costituirà, pertanto, motivo di riflessione anche successivamente. Ove lo riterrete opportuno, potrete anche presentare un documento scritto.
Do quindi la parola agli auditi.

GIORGIO BERLOFFA, Presidente di Assoprofessioni. Ringraziamo il presidente e gli onorevoli per l'audizione che ci hanno concesso.
Ci troviamo nuovamente di fronte all'intenzione di procedere ad una riforma delle professioni, tentativo cui stiamo assistendo, prima come Federazione delle associazioni per la certificazione e poi come Assoprofessioni, dal 1992. Siamo l'associazione che ha più storia nel campo di tale riforma.
Penso che, a questo punto, essa non sia più procrastinabile e che sia dovuta a milioni di professionisti, sia ordinistici che non regolamentati, non tanto per il loro interesse, quanto per tutelare gli utenti, specialmente nei confronti della categoria che rappresentiamo, ossia quella dei professionisti non regolamentati.
Consegneremo un documento scritto e quindi sarò estremamente breve, in maniera da lasciare spazio a eventuali domande.
Entro subito nel merito di come noi vorremmo non tanto la riforma degli ordini - questo ci interessa fino a un certo punto - quanto il riconoscimento delle professioni non regolamentate. Il termine più corretto per noi non è, dunque, «riforma», ma piuttosto «riconoscimento» di queste professioni che, per ora, sono abbandonate a se stesse, libere professioni in un libero mercato, spinto a nostro giudizio addirittura sino all'eccesso.
Vorremmo che la riforma delle professioni, il procedimento che è stato avviato, si dividesse in due filoni e che da una parte si affrontasse la riforma degli ordini professionali, dall'altra parte le professioni non regolamentate. D'altronde, mi risulta che, anche se tacitamente, ciò sia stato richiesto anche dai rappresentanti degli


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ordini nelle audizioni che sono state svolte prima di noi. Hanno sempre sostenuto, infatti, di volere un provvedimento legislativo specifico, lasciando quindi a noi lo spazio per poterci muovere e per ottenere un altro disegno di legge di riforma, che ci porti finalmente al riconoscimento delle nostre professioni.
Il doppio percorso che auspichiamo non implica la rinuncia all'aspetto duale della riforma, che dal momento che riteniamo esistano sul mercato due tipologie di professionisti, con due modalità di riconoscimento diverso: uno è iscritto all'ordine, l'altro invece avrà un riconoscimento di cui decideremo forma e contenuti. Sul mercato, però, devono esistere con pari dignità. Non vogliamo assolutamente che ci sia un professionista di serie A, quello iscritto all'ordine, e uno di serie B, quello che è stato riconosciuto.
Per ottenere il riconoscimento della professione - questo è il primo obiettivo - auspichiamo un processo mediante strumenti non legislativi, perché deve trattarsi di un procedimento estremamente celere, che coinvolga anche il CNEL, il quale proceda a riconoscere le nuove professioni a mano a mano che queste sorgono e che acquisiscono la dignità di un riconoscimento.
Richiediamo che tale riconoscimento sia estremamente serio e non accessibile a tutte le professioni, comprese quelle di dubbia origine. Chiediamo che, ogni due anni, una Commissione appositamente incaricata - si deciderà questo aspetto durante l'iter della proposta di legge in discussione - effettui una revisione delle professioni che hanno ottenuto il riconoscimento e che successivamente inizi anche l'iter delle professioni nuove che stanno nascendo, in modo che siano riconosciute a loro volta.
Prima bisogna riconoscere le professioni, come vi dicevo, e poi, a seguire, le loro associazioni di rappresentanza. Anche in questo caso, occorre estrema serietà: le associazioni devono avere caratteristiche estremamente rigorose per garantire l'utente al fine di mettere quest'ultimo in condizione di distinguere il professionista serio da quello che, invece, non ha alcuna esperienza nel settore in cui sta lavorando.
Sosteniamo che si debba riconoscere prima la professione e non l'associazione perché riconoscere prima l'associazione, che dovrebbe successivamente individuare il profilo della professione medesima a nostro giudizio rappresenterebbe già un punto di debolezza - significa creare ordini di serie B, con la negativa conseguenza che, mentre gli ordini sono sottoposti a un controllo pubblico, le associazioni, anche se sottoposte a un controllo, non lo saranno mai in modo altrettanto rigido. Ciò darà spazio, quindi, alla possibilità che si creino confusioni nell'ambito del sistema delle professioni.
Inoltre, il riconoscimento preventivo dell'associazione rallenterebbe sicuramente il funzionamento di tutto il sistema. Se esiste una nuova professione, prima di riconoscerla dovremmo attendere la nascita dell'associazione di riferimento, che tale associazione presenti la domanda per essere riconosciuta e successivamente che la professione venga riconosciuta? Che cosa potrebbe accadere se, invece, tali professionisti non volessero creare un'associazione? Non riconosciamo la professione? Questo è un altro motivo per procedere prima al riconoscimento delle professioni, ma ci e sono anche altri motivi.
Uno di essi riguarda il nome della professione, uno dei requisiti fondamentali richiesti dalla direttiva qualifiche e dalla direttiva servizi. La professione deve avere un suo nome di riconoscimento: che cosa accade se abbiamo due associazioni della stessa professione che utilizzano due termini di riconoscimento diversi? Quale dovremmo scegliere?
Che cosa facciamo poi, soprattutto, se abbiamo due o più associazioni - sono presenti sul mercato molte associazioni che rappresentano la stessa professione - con profili diversi e, soprattutto, con requisiti di formazione distinta per l'iscrizione?


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Facciamo l'esempio del tributarista, quello che viene solitamente citato: se abbiamo tre associazioni, una che richiede che il tributarista abbia la laurea specialistica, un'altra la laurea normale e l'altra ancora la terza media, come ci comportiamo? Siamo di fronte, indubbiamente, a tre persone che si definiscono tributarista, ma poi, sul mercato, l'utente come potrà sapere qual è quello con determinate caratteristiche?
Voglio citare un bellissimo articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera, a pagina otto, scritto da De Vico, in cui si afferma che è necessario, proprio per tutelare soprattutto il professionista monocommittente, avere contratti certi per l'affidamento dell'incarico di lavoro. Tuttavia, un contratto presuppone che vi figuri il titolo del professionista: come possiamo predisporre un contratto basato su determinate parcelle, quando abbiamo di fronte, in questo caso, professionisti con una formazione professionale e culturale estremamente diversificata? Non sarebbe, dunque, possibile scegliere quali parcelle applicare.
Un altro argomento da affrontare riguarda l'attestato di competenza. Immaginate un'associazione riconosciuta che, senza nessun controllo, abbia il diritto di definire il profilo relativo ad una determinata professione, e soprattutto a riconoscere un titolo, rilasci anche un attestato di competenza di primo livello, poiché sarebbe lo stesso socio che fa parte dell'associazione a rilasciare la dichiarazione di competenza per sé stesso. In questo modo, avremmo chissà quali altre procedure di riconoscimento appositamente create e la nascita di associazioni fantomatiche pur di avere la possibilità di restare sul mercato.
Noi chiediamo che l'attestato di competenza venga sì rilasciato dalle associazioni, ma come parte terza rispetto agli associati. L'associazione, cioè, deve diventare un ente di certificazione, garantito da Accredia (il nuovo nome del Sincert) e rilasciare un attestato di competenza che ha il valore della certificazione, che possa effettivamente garantire il possesso delle conoscenze acquisite e il rispetto del percorso di aggiornamento effettuato da quel professionista.
Se l'associazione non vuol assumete il ruolo di ente di certificazione di parte terza, potrebbe in alternativa rivolgersi agli enti già presenti sul mercato per procedere tramite loro a rilasciare tale attestato di competenza.
Noi vediamo tale questione in un'ottica espressamente legata all'interesse dell'utente. Non vogliamo ingessare il mercato, lo vorremmo libero, ma nello stesso tempo controllato, tramite il riconoscimento delle nostre professioni. Manterremmo questi nominativi per non obbligare nessuno a iscriversi all'associazione; non vogliamo, infatti, una riforma fatta per i presidenti delle associazioni - è chiaro che a me, per esempio, in quanto associazione, farebbe molto comodo poter fare nell'ambito dell'associazione stessa, ma ritengo, altresì, che ci debba essere un riconoscimento serio, che si limiti a regolamentare un mercato libero, dove chiunque possa svolgere una professione ma dove chiunque sappia chi è quel professionista, quali siano i titoli in suo possesso e se ha anche una certificazione (l'attestato di competenza), ulteriore garanzia di serietà nei confronti dei cittadini/utenti.
Vorrei concludere questo mio intervento lasciando la parola al dottor Falcone per un accenno alla problematica della previdenza, che ci riguarda in misura molto rilevante.

ROBERTO FALCONE, Segretario generale di Assoprofessioni. Innanzitutto, vorrei dire che il riconoscimento delle professioni si impone per due ordini di motivi.
Mi riferisco, in modo particolare, all'intervenuta legislazione europea, quindi sia alla Direttiva Qualifiche che alla Direttiva Servizi - la prima in corso di recepimento, la seconda già recepita dal nostro Stato - che creano una sorta di discriminazione nei confronti dei professionisti italiani. Per assurdo, professionisti con qualifiche adeguate e simili a quelle


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attuali, valide nell'ambito delle associazioni, sono riconosciuti in ambito comunitario, ma non ricevono in Italia lo stesso trattamento, per cui non ci può essere il reciproco riconoscimento, così come voluto dalla direttiva n. 36, recepita dal decreto n. 206.
Si tratta, quindi, di una situazione di stallo particolare, che va a incidere sulle opportunità di lavoro in un mercato allargato quale quello dei 27 Stati membri.
L'altra discriminazione avviene nel settore previdenziale, come accennava prima il presidente Berloffa. Oggi i professionisti non ordinistici, quindi non riconosciuti, sono iscritti nella famosa gestione separata, ossia in una sorta di «calderone» che raccoglie anche i cosiddetti «lavoratori parasubordinati», subiscono un'imposizione previdenziale che prevede di aliquote altissime - dal 1o gennaio addirittura si prevede il 26 per cento - con una differenziazione, rispetto ai professionisti ordinistici, dal 12 al 16 per cento. Ciò incide notevolmente sui loro redditi, ma anche a livello concorrenziale, perché professionisti che espletano mansioni o prestazioni analoghe sono colpiti con aliquote notevoli rispetto agli iscritti agli ordini. Questa previsione, dunque, è già contenuta nei disegni di legge all'esame di questa Commissione, ma in modo particolare in uno dei disegni di legge in discussione alle commissioni, che riteniamo debba essere fortemente discusso. Quella attuale, infatti, è una situazione discriminante e andrebbe rivista nel più breve tempo possibile.

PRESIDENTE. Vi ringrazio sia per la chiarezza che per la sintesi. Il documento che lasciate agli atti della Commissione sarà messo a disposizione di tutti i nostri commissari.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,45.

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