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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
1.
Martedì 15 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Furio Colombo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione del professor Vermondo Brugnatelli, presidente dell'Associazione culturale berbera:

Colombo Furio, Presidente ... 3 7 8 10
Barbi Mario (PD) ... 8
Brugnatelli Vermondo, Presidente dell'Associazione culturale berbera ... 3 8
Mecacci Matteo (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta antimeridiana di martedì 15 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 13,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Vermondo Brugnatelli, Presidente dell'Associazione culturale berbera.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione del professor Vermondo Brugnatelli, presidente dell'Associazione culturale berbera e docente presso l'Università di Milano.
Ricordo che con la seduta odierna prende l'avvio l'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia deliberata il 2 marzo scorso.
Ringrazio il professor Brugnatelli, che certamente potrà mettere a nostra disposizione importanti elementi di analisi sulla situazione in Libia e nel nord Africa. È l'uomo giusto al momento giusto per ricevere dei chiarimenti su tutto ciò che non sappiamo nonostante l'apparente intenso flusso di notizie.
Al professor Brugnatelli rivolgo, dunque, il mio saluto e gli cedo la parola per svolgere la sua relazione.

VERMONDO BRUGNATELLI, Presidente dell'Associazione culturale berbera. Il mio insegnamento all'università della Bicocca di Milano è relativo alle lingue e alle letterature del nord Africa, che studio da tanti anni, appunto, soprattutto dal punto di vista linguistico e letterario. Ho, quindi, una conoscenza parziale e un po' diversa da quella di tanti altri esperti che vantano magari maggiori conoscenze di me in fatto di economia e di contatti con il potere e con i regimi al Governo nei vari Paesi. Per studiare le lingue del nord Africa ho, però, molti contatti con nordafricani, soprattutto di lingua berbera.
Quella berbera è la lingua autoctona del nord Africa, un tempo era parlata in tutto il nord Africa prima che l'invasione araba, dal VII secolo in poi, vi portasse anche la lingua araba. È tuttora parlata da molti milioni di persone in diverse percentuali nei vari Paesi del nord Africa. In Marocco, ad esempio, c'è una grossa percentuale di berberofoni.
Va premesso che per tutti questi Paesi non esistono statistiche ufficiali su quanti siano i berberofoni, per vari motivi. Uno è, appunto, quello di evitare contestazioni. In Marocco, come dicevo, dove i berberi sono sicuramente più numerosi, ci sono stime che grosso modo parlano di un 40 per cento di berberofoni, altre che parlano di un 60 o addirittura di un 80 per cento. Naturalmente, se in Marocco dovesse risultare una percentuale superiore al 50 per cento, sarebbe un problema considerare i berberofoni una minoranza e credo che sia questo uno dei motivi per cui, anche in un Paese che pure non è dittatoriale come altri, i censimenti trascurano questo dato.
Anche in Algeria la percentuale è abbastanza importante, si parla di cifre che


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vanno dal 20 al 30 per cento. Si trovano anche in Tunisia, con numeri che per la verità sono molto ridotti, come in Egitto, dove si tratta però solo di oasi, mentre in Libia c'è un discreto numero di berberofoni.
Nel Sahara ci sono i Tuareg, nomadi che girano anche in Libia e parlano dialetti berberi e se vogliamo considerare i sedentari, c'è un intero gruppo di località abitate da berberofoni. Si tratta del cosiddetto Jebel Nefusa, una serie di montagne nella Tripolitania, quindi a poca distanza da Tripoli, dove è tuttora parlato il berbero, parlato anche sulla costa nella località di Zuara, (località che ieri mi risultava sotto fitto bombardamento e di cui oggi non ho ancora ricevuto ulteriori aggiornamenti per cui non so se abbia capitolato). Ci sono anche delle oasi nell'interno abitate da berberofoni, ma sono relativamente poche.
Naturalmente, entro in contatto sia con berberofoni sia con non berberofoni. Uso il termine «berberi» per semplicità per alludere a chi parla la lingua berbera. Questa definizione non è corretta dal punto di vista etnico, sarebbe come definire inglesi gli irlandesi che parlano inglese. Esistono, tuttavia, diversi motivi per cui per brevità si parla di arabi in riferimento a chi parla arabo e di berberi in riferimento ai berberofoni.
Siccome l'audizione presente è specifica sulla Libia, posso innanzitutto illustrare alcuni aspetti generali della questione berbera per andare a un fatto particolare, quello che mi ha permesso di entrare in contatto con alcuni esponenti parlamentari, che poi hanno richiesto la mia presenza qui.
Il berbero non è lingua riconosciuta in Libia e addirittura a diverse contestazioni mosse in sede ONU, dove esiste una Commissione per l'eliminazione della discriminazione razziale, sulle persecuzioni dei berberi in Libia, la risposta ufficiale del regime è sempre stata che in Libia non si trovano minoranze, che il popolo è compattamente unito, che si tratta esclusivamente di arabi musulmani e così via.
Davanti agli eventi di questi giorni si comprende come il regime di Gheddafi non sia particolarmente propenso a dire la verità, quanto piuttosto quello che gli fa comodo. In particolare, è evidente che esistono popolazioni berbere. A suo tempo, sotto il regime italiano, sono stati svolti degli studi del sistema grammaticale del berbero del Jebel Nefusa, ma conosco anche personalmente dei berberi di queste zone e posso garantire che tuttora ne esistono molti.
Oltre alla differenza linguistica, esiste per berberi, almeno in Libia, anche una differenza religiosa: i berberi della Libia, infatti, almeno quelli di Jebel Nefusa e di Zuara, che sono la quasi totalità, sono di religione ibadita, ossia musulmani ma di un rito particolare non sciita né sunnita, un rito islamico che prima dell'anno Mille ha avuto una grande espansione in nord Africa e adesso è ridotto a pochi gruppi, il più consistente dei quali è proprio in Tripolitania, tra Jebel Nefusa e Zuara.
A quanto mi risulta il berbero è non solo non utilizzato pubblicamente, ma anche represso. So che quando i berberi cercano di pubblicare qualcosa in berbero, nel caso in cui vengano scoperti, sono duramente repressi, messi in prigione e anche fatti sparire. Conosco casi di pacifici studiosi della propria lingua e cultura che per questo solo fatto davano fastidio e sono stati fatti sparire sin dagli anni Ottanta. Temo che a tanti anni di distanza la sparizione sia definitiva: devono essere anche nel frattempo deceduti e le famiglie non sanno neanche dove piangere i loro cari.
È vietato, dunque, usare la lingua berbera, almeno pubblicamente. È chiaro che ciò non può essere impedito nel privato delle case, ma esiste la pratica della delazione e l'oppressione di fatto è molto sentita. Anche per i nomi personali; una norma repressiva che esiste in molti Stati del nord Africa prevede che i nomi dei bambini appena nati devono essere presi da una lista approvata. Tali liste contengono di solito solo nomi arabi.
Un esempio di come vengono trattati i berberi sotto il regime di Gheddafi è,


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appunto, l'avvenimento per il quale, come dicevo, sono entrato in contatto anche con parlamentari che fanno parte di questo Comitato. Si tratta di una disavventura successa a un giovanissimo collega berbero della Libia, Madghis Buzakhar, che si occupa, come me, di lingua e letteratura berbera e con il quale ho svolto, peraltro, delle ricerche in comune.
L'ultima volta che mi sono recato in Tunisia per svolgere indagini sul campo mi ha raggiunto lì, abbiamo lavorato insieme anche su alcuni manoscritti che avevo trovato, ci siamo confrontati su altri trovati da lui, mi coadiuvava nelle ricerche. Era, oltretutto, dipendente della impresa italiana Sirti.
In dicembre ho scoperto che era stato portato via con un arresto extra giudiziale: sono arrivate nella notte delle persone non in divisa, ma che hanno fatto capire di appartenere alla polizia segreta, che gli hanno invaso la casa, portato via lui, il fratello e tutti i libri che aveva e il materiale, in quanto studioso, era tanto. Siccome non si sapeva dove fosse finito, mi sono dato molto da fare appena ho saputo la notizia per cercare di coinvolgere l'opinione pubblica anche qui in Italia. Oltretutto, trattandosi del dipendente di una ditta italiana, pensavo che ci fosse qualche interessamento. Non conoscevo dirigenti della Sirti, ma ho provato a contattare qualcuno tramite il loro sito per chiedere se qualcuno avesse notizie. Non ho mai ricevuto risposta.
La cosa peggiore è che pare che la polizia lo avesse particolarmente nel mirino perché aveva parlato con un italiano. In effetti, un giovane ricercatore italiano che sta svolgendo il dottorato in Inghilterra voleva studiare un dialetto barbero della Libia e mi aveva chiesto se potevo fornirgli il contatto di qualche libico, cosa che ho fatto segnalandogli il giovane studioso. L'incontro è avvenuto dopo che il dottorando aveva concluso un giro per conto suo. Poco prima di ripartire, infatti, ha incontrato lo studioso libico Madghis Buzakhar, andando nel suo villaggio nel Jebel Nefusa, ma al momento della partenza è stato bloccato all'aeroporto e portato via dalla polizia, che ha cominciato a interrogarlo. Erano convinti che fossero colpevoli di spionaggio.
La notizia dell'arresto dello studioso italiano non è trapelata. Quando si è venuti a conoscenza della circostanza era già stato liberato, ma era stato più di venti giorni in carcere. Mi ha raccontato, quando l'ho sentito, che ha avuto contatti con personale del consolato, o dell'ambasciata, solo gli ultimi giorni prima della liberazione, che i primi giorni è stato da solo, isolato ed esposto a continui interrogatori sulla natura dell'incontro sostenendo che fosse coinvolto in un'azione di spionaggio.
Si trattava di un momento in cui, evidentemente, la persecuzione non riguardava solo i berberi, ma anche chi studiava il berbero. Mi risulta, infatti, che in quei giorni ci sono stati anche degli studiosi marocchini - in Marocco esiste un istituto di studi berberi, l'IRCAM, Institut royal de la culture Amazighe - che avevano svolto delle ricerche in Tunisia e si erano poi spostati in Libia (tra i due Paesi esiste, infatti, una continuità culturale abbastanza innegabile), che sono stati arrestati in Libia e anche loro sono rimasti alcune settimane in carcere con interrogatori analoghi. Alla fine, evidentemente, contatti consolari hanno consentito a questi studiosi di tornare nel loro Paese.
Mi risulta, tra l'altro, che poche settimane prima c'era stata anche la condanna di un cantante, di Zuara, a cinque anni di prigione per pretestuosi reati di immigrazione clandestina o simili: in realtà la punizione veniva inflitta perché la persona in questione era stata a cantare in berbero a un festival berbero all'estero.
Il regime libico ha dapprima assolutamente opposto uno scudo di silenzio totale sulla sparizione dei due fratelli Bouzakar. Io ho cercato di far conoscere la notizia, che un po' ha circolato ed è stata ripresa da qualche giornale fino a quando Amnesty International ha denunciato il fatto. A quel punto c'è stata l'unica reazione ufficiale libica che io conosca: in un sito ufficiale è stato dichiarato che lo studioso libico faceva attività di spionaggio, non


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però a favore dell'Italia, ma di Israele. Si sosteneva, infatti, l'esistenza di una strategia del Mossad che mirerebbe a creare la divisione nel mondo arabo, per cui implicitamente i berberi, che non parlano arabo, creerebbero divisione nel mondo arabo, in una visione veramente paranoica, per il solo fatto di essere berberi. Ci sarebbe da ridere sono fosse che per lo spionaggio a favore di Israele in Libia è prevista la pena di morte.
La vicenda è andata avanti per qualche tempo, con me e tante altre persone che cercavamo di farci ascoltare. Io mi sentivo molto coinvolto per questo rapporto personale, ma anche nel resto del mondo ci sono state reazioni, manifestazioni pubbliche e così via. Di fatto, per fortuna, almeno la vicenda personale dei due fratelli si è risolta favorevolmente: due o tre settimane fa sono stati liberati.
Era già cominciato il movimento insurrezionale tuttora in corso. Loro erano, oltretutto, in un carcere in cui il giorno prima c'erano stati dei morti, per cui io ero veramente molto spaventato perché temevo che fossero tra le vittime. Se ho capito bene, li hanno liberati in quanto non avevano una vera imputazione. Inoltre, fortunatamente, erano stati trasportati in un carcere vero dopo essere stati in un carcere segreto, dove mi risulta che il padre sia riuscito a parlare con loro scoprendo che erano stati torturati, percossi e si erano svolte delle finte esecuzioni per intimidirli.
Non so se siano poi stati rilasciati perché all'esterno tirava un'aria non molto favorevole al regime o per altri motivi. Sta di fatto che li hanno liberati.
Ciò che è successo a questi due giovani e quello che è successo e sta succedendo in questi giorni sono vicende separate, ma con la circostanza negli ultimi mesi ho esteso i miei contatti, che prima erano abbastanza limitati, e quindi adesso ho sentito anche direttamente tante altre fonti libiche: ho l'impressione che il movimento sia stato una cosa veramente molto vasta e molto imponente.
Da quello che capisco il potere di Gheddafi è molto attento agli aspetti esteriori. Per loro è fondamentale, per esempio, la televisione: mi risulta che abbia reclutato come comparse qualche centinaio di persone nei villaggi del sud, che li tenga in due o tre accampamenti a Tripoli, che paghi 200 dinari libici a ogni persona al giorno e, quando è il momento della dimostrazione davanti alle telecamere, li faccia trasportare nella piazza dove devono fare la dimostrazione, da cui peraltro poi cancellano tutte le tracce di distruzioni.
Di Zauia, ad esempio, conquistata dopo settimane di intensi bombardamenti, ho visto filmati con case sventrate, sembrava proprio un paesaggio da guerra, mentre il messaggio di Gheddafi è che tutto è tranquillo e tutto va bene, ci sono le folle festanti mentre nelle riprese badano molto bene a cancellare tutte le tracce della rivolta.
Tra l'altro, sarà un grosso problema individuare le responsabilità e il numero delle vittime. Cercano, infatti, di cancellare tutte le tracce delle persone uccise, arrestate, ferite. Si sa che passano negli ospedali delle città che riescono a conquistare, rastrellano, portano via persone che non si sa più dove siano finite. Io ho sentito di cifre allarmanti: tra 10 e 20.000 persone dovrebbero essere già sparite in questo tempo. Sono anche al corrente del fatto che nella località di Zauia dei morti sepolti vicino alle piazze dove Gheddafi voleva organizzare delle manifestazioni sono stati fatti sparire. Ai giornalisti che nei giorni precedenti avevano visto quelle tombe e chiedevano che fine avessero fatto hanno risposto che non c'è mai stato nessuno. È come se il principio fosse «La verità è quella che vi facciamo vedere noi». Hanno grandi capacità e abilità a mostrare quello che vogliono.
Dal punto di vista, per esempio, militare, dalle mie informazioni risulta che le grosse conquiste il regime le stia facendo soprattutto in mezzo al deserto. Il combattimento nel deserto è, teoricamente, il più facile perché non ci sono centri abitati veri e propri. Ras Lanuf, Bin Jawad e simili sono, infatti, luoghi dove c'è un terminale petrolifero, dove ci sono un po'


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di abitazioni intorno, ma non sono delle vere e proprie città. Disponendo di un'aviazione, dunque, bombardare a tappeto e conquistare territori in quelle zone è facile.
Evidentemente, allora, Gheddafi si vanta di grosse conquiste territoriali anche per spaventare l'opinione pubblica non solo interna, ma anche internazionale. In realtà, per tutte le fonti che sento, parecchie in tante città della Libia, Gheddafi non riesce assolutamente ad avanzare propriamente sul terreno. Senza appoggio aereo, infatti, o comunque l'appoggio consistente di carri armati e simili, non è un'operazione così semplice e ha impiegato settimane per conquistare la stessa Zauia, difesa da gente praticamente a mani nude. Se dovesse conquistare altre città, in particolare Bengasi, enorme rispetto a Zauia, mi risulta che dovrebbe andare casa per casa e sarebbe un massacro, una carneficina e una distruzione totale.
Molti sono fiduciosi, rassegnati magari al fatto che moriranno quasi tutti, ma sicuri che saranno in grado di opporsi a queste truppe prive della stessa motivazione in quanto, appunto, in gran parte mercenarie, quindi senza la spinta ideale che, invece, è effettivamente molto forte nel movimento di ribellione.
Ho cercato di fornire un quadro delle mie conoscenze. Un ultimo accenno vorrei farlo a un altro problema relativo alla comunicazione: Gheddafi è molto attento a trasmettere messaggi che sa che possono essere maggiormente recepiti. Rispetto al Governo italiano e ai Governi europei, ma a quello italiano in particolare, agita l'argomento degli immigrati e quello degli islamisti. Il problema degli immigrati non è oggettivamente controllabile. Credo, tuttavia, che tutti, non solo in Libia, ma anche nel resto del nord Africa, siano molto contenti all'idea che si ponga fine una volta per tutte a queste dittature e si creino dei veri e propri Stati democratici. Vedono, infatti, un futuro, mentre quello che fa scappare tanta gente è proprio la mancanza di qualunque prospettiva. Sono stanchi di vivere in una dittatura in cui si deve essere amici, parenti o, in ogni caso, nel giro del potere, se no l'alternativa è quella di finire come quel poveraccio di Buazizi che si è dato fuoco perché era laureato ma faceva l'ambulante senza licenza.
Da questo punto di vista, quindi, ho l'impressione che le cifre bibliche comunicate da Gheddafi siano in gran parte elemento di propaganda, mentre è assolutamente fantasioso il suo continuo accennare ad Al Qaeda. Per quel che mi risulta, infatti, Al Qaeda non ha alcun ruolo o, se ha ruoli, ne ha di assolutamente marginali in questo movimento che, peraltro, è sicuramente composto di musulmani che ogni tanto parafrasano la frase rituale «non c'è Dio al di fuori di Allah e Maometto è il profeta di Allah» con lo slogan «non c'è Dio al di fuori di Allah e Gheddafi è nemico di Allah». Quando intonano, dunque, quelle parole, credo che non alludano tanto a dire che sono martiri della fede, quanto che moralmente questo è un personaggio assolutamente squalificato, che non è da considerare un buon musulmano un essere umano che agisce così nei confronti del proprio popolo.
Anche quella di Al Qaeda, dunque, è una trovata rispetto alla quale Gheddafi sapeva di trovare orecchie attente. In Italia c'è tanta gente che amplifica il pericolo islamico, per cui ogni musulmano sarebbe potenzialmente un terrorista, ma non si tratta che di speculazioni che questo dittatore sa molto bene come utilizzare a proprio vantaggio.
Questo è un quadro generale di quello che so della situazione della Libia e della mia esperienza personale. Resto a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Brugnatelli e do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MATTEO MECACCI. Ringrazio il professor Brugnatelli e anche il presidente per aver consentito quest'audizione, che credo possa offrire qualche elemento di informazione


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e di conoscenza su tematiche che non appaiono neanche sui media, tanto meno nel nostro Parlamento, che mai se ne è occupato nello specifico.
Vorrei cogliere, allora, l'occasione per rivolgere qualche domanda. In particolare, si parla molto in queste settimane e in questi giorni del punto interrogativo che sarebbe rappresentato da un eventuale dopo Gheddafi. Una delle motivazioni, oltre a quella del pericolo islamista, è relativa al dato di una società libica fondata sulle tribù, presentate in una specie di dimensione tra l'autoritario e l'anarchico, un po' in contraddizione, che rappresenterebbero un grande punto interrogativo. Siccome lei ha studiato, anche se in particolare la lingua e la letteratura, ma conosce la realtà, forse sarebbe utile se ci potesse descrivere con maggiori dettagli come questa società tribale è organizzata, se rappresenta veramente un elemento di instabilità o invece può rappresentare, visto che anche da questi settori della società vengono esigenze di maggiore democrazia, anche un possibile sviluppo positivo per la Libia.

MARIO BARBI. Con tutto il riguardo per le sue fonti di informazione, credo che in una situazione così delicata queste vadano trattate con qualche attenzione. Una delle questioni, infatti, che pesano di più sulla nostra capacità di giudizio riguarda proprio l'attendibilità dell'informazione su quanto sta succedendo ed è successo, limitatamente alla Libia, in queste settimane. Mi chiedevo quali sono le sue fonti, quale idea è riuscito a farsi e quale tipo di attendibilità sia in grado di attribuire alle informazioni che ha.
Prima ha citato, ad esempio, 10-20.000 vittime della repressione in corso. L'impressione è che le nostre informazioni siano molto frammentate e poco attendibili. Questo vale, naturalmente, per le notizie fatte pervenire da Gheddafi, ma ho l'impressione che valga anche per l'altra parte.

PRESIDENTE. Prima di darle la parola per la replica, aggiungo una mia domanda. Lei pensa che sia pensabile quello che ci apprestiamo a leggere su almeno alcuni giornali italiani e a sentire anche con qualche probabilità nelle nostre Aule del Parlamento, di Camera e Senato, che cioè, una volta che Gheddafi avrà formalmente riconquistato i territori che si erano ribellati, la leadership sfidata da questa rivolta possa tornare a essere credibile e a normalizzare la propria vita e funzione sia all'interno sia sul piano internazionale?

VERMONDO BRUGNATELLI, Presidente dell'Associazione culturale berbera. So che molti temono la parola stessa «tribù». In realtà, il termine - qui a Roma non c'è da insegnarlo, le tribù erano una realtà importante anche ai tempi dell'impero romano - è la denominazione relativa a un'organizzazione sociale che fornisce all'individuo una sua identità ben precisa. Era così anche sotto l'impero romano.
Noi siamo abituati a pensare al concetto di tribù come a una cosa estremamente selvaggia. Si tratta, invece, di un'organizzazione con una sua razionalità. Esiste in tante società tradizionali, non solo in nord Africa: un gruppo di persone si riconosce in una solidarietà molto stretta. Forse il corrispettivo burocratico nel mondo moderno potrebbe essere rappresentato dalle province o qualcosa del genere, ma di fatto non si tratta che di una piccola comunità di destino, una piccola nazione se vogliamo.
Io seguo molto le vicende del federalismo europeo. A suo tempo il compianto Mario Albertini è stato un grande pensatore con l'idea che uno Stato federale si edifica dal basso, partendo da quelle che lui chiama le nazionalità spontanee. Per lui gli Stati nazionali, in cui c'è un confine di una certa dimensione, all'interno del quale deve stare la nazione e solo quella, sono delle gabbie, laddove invece la gente ha delle solidarietà vicine, su cui sa anche di poter contare e di avere qualche possibilità di influire sulle decisioni. In uno Stato federale, a suo parere, queste solidarietà dovrebbero rappresentare la base del potere, prevedendo anche il principio


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della delega a livelli superiori. Effettivamente, in questo modo il cittadino è estremamente legato alla propria unità di base.
In sé, allora, la tribù non ha nessuna valenza necessariamente negativa, ne ha una di forte attaccamento che, ovviamente, se lasciata senza nessun controllo, in indipendenza totale e senza alcuna gerarchizzazione federale, potrebbe dare, e storicamente ha dato, tanti conflitti tra le varie tribù. Le città-stato greche, che erano molto democratiche nel loro interno, erano tra loro sempre in guerra. Tuttavia, anche nelle città-stato greche, quando c'era un attacco, per esempio, dall'esterno, si creavano delle federazioni. Lo stesso succede nelle tribù: un po' dovunque, nel Nord Africa e anche altrove, le tribù conoscono delle confederazioni a vari livelli che potrebbero tendenzialmente arrivare anche a livello di uno Stato moderno. La lotta contro gli italiani degli stessi libici, ad esempio, a suo tempo avvenne su base libica intera, non si litigava per chi lottasse meglio contro gli italiani. Così è anche contro Gheddafi.
Tra le fonti che ho, e mi riallaccio anche alla seconda domanda, ci sono tanti blog, tanti siti libici. Molti sono in arabo, o in inglese. Dei primissimi tempi di questa insurrezione, che è stata sicuramente preparata, e quindi in qualche modo coordinata da esponenti delle varie tribù, forse ho ancora salvato un documento in cui si dichiaravano solidali tra di loro non so se dei capi, ma sicuramente dei personaggi che si impegnavano ciascuno per la loro tribù, rappresentando tribù di tutta la Libia. Nulla vieta, dunque, di creare uno Stato su base tribale, federale, avendo come nucleo la tribù.
Un altro esempio molto più vicino a noi nel tempo è la crisi che ci fu in Algeria nel 2001, un grossissimo movimento di contestazione del potere, di richiesta di democrazia. Anche in quel caso la folla prese d'assedio le caserme, da cui spararono - ci furono più di cento morti - ma era un periodo in cui l'Europa aveva ancora il terrore degli islamisti in Algeria, per cui venne lasciata cadere una rivoluzione che era assolutamente democratica e laica. Ci furono tantissimi morti - si trattava di gente che andava a mani nude contro i gendarmi che sparavano - e dai villaggi si organizzò un coordinamento delle confederazioni di tribù che riuscì a canalizzare le richieste della folla molto spontanee, generali.
Per diverso tempo rappresentò una specie di controparte rispetto al potere algerino. Purtroppo, l'iniziativa non ebbe nessun sostegno da parte del mondo esterno e Bouteflika è molto bravo nel maneggiare queste situazioni, per cui lasciò marcire la faccenda e il suo potere rimase ancora saldo. Tuttavia, fu proprio in Cabilia, dove storicamente le tribù si sono fatte per tantissimi anni la guerra, che ci fu un'enorme unità di intenti. Nulla vieta, quindi, una volta superato il potere di Gheddafi, che le tribù si federino e creino uno Stato moderno, sia pure su base tribale invece che provinciale o regionale.
Le mie fonti sono varie, alcune telefoniche, per quanto lo permettono i collegamenti telefonici. Dello studioso libico mio conoscente, ad esempio, è arrivata la notizia del rilascio, ma sono riuscito a parlargli solo dopo dieci giorni. Ci sono anche tanti canali, tra cui Twitter. È un sistema che fino all'altro giorno non conoscevo, ma che effettivamente consente di ritrasmettere molto velocemente notizie: ho trovato diverse persone che mandano regolarmente messaggi e sono in contatti diretti con le varie località. Un'istruzione che stanno impartendo, per esempio, via Twitter è proprio di redigere liste di morti e di scomparsi perché il regime sta cercando di cancellare ogni traccia. Non so bene chi abbia fatto queste stime, vedo che si tratta di messaggi certo tutti relativamente inverificabili, ma mi sembrano in genere informazioni abbastanza accurate che dopo poco sono confermate dalle agenzie.
Ci sono, inoltre, ovviamente tanti blog e tanti video. Ultimamente ho paura di accedere perché si vedono delle cose tremende, mutilati, buchi nelle schiene fatti


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da proiettili che devono essere di canone o non so cosa, persone fatte a brandelli, scene da film splatter.
Sicuramente ci sono stati morti, tanti feriti, ma Gheddafi continua a dire che è tutto pacifico e non è assolutamente vero. Non si conosce l'entità esatta delle perdite, ma personalmente sono convinto che le cifre siano difficilmente al ribasso, temo sia anche più facile che le cifre reali si riveleranno poi superiori.
Quanto al più apocalittico scenario prospettato dal presidente, ritengo la riconquista del potere da parte di Gheddafi, per fortuna un po' meno prossima di quanti si pensi adesso, soprattutto in Italia. Nel nostro Paese, infatti, come dicevo, ci sono tanti amici o ex amici di Gheddafi abbastanza pronti a ritrasmettere e ad amplificare i suoi messaggi. Lui sa come spaventare la gente, come orientare l'opinione pubblica all'interno e all'esterno. Le sue conquiste territoriali, come ho detto, sono in gran parte su territori desertici in cui, ovviamente, disponendo di armi incredibilmente superiori (un aereo che bombarda avversari armati di fucili), non è difficile ottenere certi risultati. In tutti quei territori che a Gheddafi interessano perché ci sono i terminali petroliferi, da cui può avere delle entrate e mantenere il proprio potere, è difficilissimo agire senza avere dei mezzi pari all'avversario. Per questo una no fly zone sarebbe molto opportuna.
In ogni caso, tutte le mie fonti sostengono che se Gheddafi dovesse arriva nelle città e cercasse di occuparle, avrebbe filo da torcere perché le sue milizie sono molto poco motivate mentre i rivoltosi lo sono tantissimo. L'unico modo, quindi, per avere il sopravvento sulle città, sarebbe quello di bombardarle e distruggere tutto, nel qual caso non resterebbe che un mucchio di rovine fumanti mentre credo che gli abitanti della Libia dimezzerebbero.
Francamente, non sono un esperto di politica internazionale per avere un'opinione su quali iniziative possano prendere le potenze europee e mondiali, però oramai non si può dire che non sappiano cosa è accaduto. Per tanti anni si è potuto far finta che Gheddafi fosse un dittatore come tanti altri, un po' più eccentrico, ma non più pericoloso. Ben Ali e Mubarak, per quanto fossero dittatoriali, attaccati al potere, quando hanno capito che tutto il popolo era contro di loro, se ne sono andati. Gheddafi non esita a fare un bagno di sangue e io temo che se dovesse veramente prevalere lui, il bagno di sangue sarebbe reale, genererebbe esodi di massa di gente che scappa terrorizzata da tutte le parti o, in alternativa, stermini, vendette e azioni terribili. Forse la Cina può continuare a fare affari con un soggetto del genere perché è lontana e può permettersi politiche più spregiudicate, però non so con quale faccia il resto del mondo potrebbe continuare come se nulla fosse accaduto.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Brugnatelli anche a nome dei colleghi. È stato un incontro di notevole interesse per noi in parte per le cose che non si sanno, in parte per le cose che non si dicono e in parte per quel gap di cultura che lei ci ha aiutato a ridurre.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,30.

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