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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
12.
Martedì 6 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione di attivisti per i diritti umani nella Corea del Nord:

Colombo Furio, Presidente ... 2 3 4 6 7 8
Barbi Mario (PD) ... 5
Kim Tae Jin, Rifugiato politico e attivista per i diritti umani in Corea del Nord ... 3 7
Mecacci Matteo (PD) ... 4
Oh Kil Nam, Rifugiato politico e attivista per i diritti umani in Corea del Nord ... 2
Song Yun Bok, Attivista per i diritti umani in Corea del Nord ... 3 7 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 6 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 11,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di attivisti per i diritti umani nella Corea del Nord.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione di attivisti per i diritti umani nella Corea del Nord.
Sono presenti il professor Oh Kil Nam, Kim Tae Jin e Song Yun Bok, le cui biografie dovrebbero essere a vostra disposizione.
Al riguardo, ricordo che il 26 maggio 2010 il Comitato ha svolto un'analoga audizione di attivisti per i diritti umani della Corea del Nord, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo. Rivolgo il benvenuto ai nostri ospiti e li invito a prendere la parola.

KIL NAM OH, Rifugiato politico e attivista per i diritti umani in Corea del Nord. Nel 1987 mia moglie e le mie due figlie furono imprigionate nel campo di concentramento di Yodok. Sono trascorsi venticinque anni e oggi io non so dove siano, né se siano vive o morte. Sono venuto in questo Parlamento per sensibilizzarvi su questo problema, per testimoniare la storia della mia famiglia.
Nel 1985 sono andato a vivere in Corea del Nord con mia moglie Shin Suk Ja e le mie due figlie Hye Won e Gyu Won. Avevo accettato l'invito del Governo nordcoreano a trasferirmi, perché mi aveva offerto la garanzia di un posto come professore di economia e perché ci avevano promesso che avrebbero garantito le cure mediche a mia moglie, che era malata. Appena sono arrivato a Pyongyang, mi sono accorto che si trattava di un imbroglio. Con tutta la mia famiglia mi hanno mandato in un luogo segreto - ho saputo poi che si trattava di Mirim - dove siamo stati per tre mesi. Trascorso l'inverno, ci hanno permesso di trasferirci a Pyongyang.
Dall'inizio di giugno di quell'anno, mi hanno costretto con la forza a lavorare in una radioemittente che trasmetteva esclusivamente in Corea del Sud. Nell'ottobre del 1986 mi hanno chiamato presso il Ministero degli affari esteri nordcoreano, dove un responsabile mi ha dato l'ordine di accompagnare dalla Germania due studenti. Eseguendo quest'ordine, il 20 novembre 1986 sono arrivato a Copenaghen, in Danimarca, e da lì, riuscendo a sfuggire al controllo degli agenti, sono ritornato in Germania, dove prima vivevo con mia moglie e le mie due figlie, e dove ho chiesto da subito di poter riportare anche loro. Il Governo nordcoreano non ce lo ha però mai concesso.


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Dal 1987 fino al 1992, ho tentato con tutti i mezzi di riportare la mia famiglia dalla Corea del Nord in Germania, ma non ci sono riuscito. Sono dovuto tornare in Corea del Sud, la mia patria. Da quel momento ho sempre continuato a tentare di salvare la mia famiglia, ma fino a oggi senza risultato. Io non so niente della mia famiglia, se siano vive o morte, dove siano, nulla. Spero di trovare il vostro interesse a salvare questa mia famiglia. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, professor Oh Kil Nam. Quello che lei ha detto resta negli atti di questo Comitato e faremo in modo che ne sia messa a conoscenza l'intera Commissione. Questo è un subcommitee della Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, ma certamente quello che lei ci ha detto oggi non cadrà nel vuoto. Altrettanto certamente le difficoltà sono infinite, per noi come per voi, nel senso che non esistono purtroppo rapporti che possano definirsi tali con la Repubblica della Corea del Nord.

TAE JIN KIM, Rifugiato politico e attivista per i diritti umani in Corea del Nord. Grazie per il vostro interesse per i diritti umani in Corea del Nord. Vi ringraziamo per aver voluto ascoltare le nostre testimonianze.
Io sono fuggito dalla Corea del Nord. Molte persone, nel mondo, pensano che in quel Paese ci sia libertà, mentre non è così. Sono scappato verso la Cina, ma nemmeno lì ho trovato la libertà. Il Governo comunista collabora da sempre con la Corea del Nord. Sono stato nascosto per sedici mesi fino a quando sono stato arrestato dalla polizia cinese.
Mi è stato imposto il rimpatrio forzato in Corea del Nord. Al mio rientro sono stato sottoposto a interrogatorio e per la sola ragione di essere fuggito dal mio Paese, senza processo, sono stato mandato in un campo di concentramento per prigionieri politici, dove per otto mesi mi hanno sottoposto alla punizione di stare sempre seduto, senza potermi muovere. Non potevo muovermi per niente. Provavo, in qualsiasi maniera, a muovermi un po', ma se lo facevo mi picchiavano. Queste botte, però, mi facevano muovere. Se mi muovevo, mi punivano: mi hanno spogliato interamente, in un giorno freddissimo; mi hanno messo del cibo davanti, senza che potessi prenderlo. C'era un bidè in cui facevo tutti i miei bisogni, ma che allo stesso tempo usavo per lavare i piatti che mi avevano dato. Avrei preferito morire.
Nel 1983 mi hanno poi mandato nel campo di concentramento di Yodok, senza che io avessi fatto nulla, senza dirmi nulla. Lì ho visto tante persone rinchiuse non a causa propria, ma di qualcuno della loro famiglia più stretta o di qualche altro parente; in realtà i «responsabili diretti» non si vedevano quasi per niente. Tutti dovevano lavorare. La mia difficoltà maggiore in quel luogo è stata che la mia famiglia non sapeva nulla di me. Questo mi ha veramente causato dolore. Avevo poi una fame da morire, subivo torture e violenze. Senza sapere che fossero loro, lì ho visto la famiglia del professor Oh Kil Nam.
Mi rammarico di non aver raccolto più informazioni su di loro.
Desidero veramente che voi facciate uno sforzo per salvare questa famiglia dalla Corea del Nord. Grazie.

YUN BOK SONG, Attivista per i diritti umani in Corea del Nord. Le due persone che hanno appena dato la loro testimonianza sono uscite vive dalla Corea del Nord, ma molte persone non escono vive dai campi di concentramento nordcoreani. Ho avuto occasione di sentire la testimonianza di una persona che ha lavorato in un campo di concentramento, vicino al confine tra Cina e Corea, in cui erano rinchiuse quasi 50.000 persone, ma la cui politica era di non far uscire nessuno vivo. Lì venivano create forzatamente delle coppie, costrette a fare figli, che venivano poi trattati come schiavi. Questa è la loro politica: rendere tutti schiavi.
Il Governo ha molta paura che questa verità emerga. Hanno in progetto, in caso dovesse succedere qualcosa come una guerra, di uccidere quasi tutti i prigionieri che si trovano nei campi.


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Tutti ricordiamo i campi di concentramento del periodo di Stalin e quelli dei nazisti, ma oggi, nel mondo moderno, esistono ancora campi di concentramento come quelli. Noi abbiamo tanti documenti, tante prove, noi sappiamo dove si trovano questi campi, anche se non è una realtà conosciuta da tutti.
Per combattere questo regime e per uscire da questa situazione, abbiamo creato un gruppo internazionale, la International Coalition to stop crimes against humanity in North Korea (ICNK). Da sempre cerchiamo di risolvere questo problema dei diritti umani in Corea del Nord, agendo anche all'ONU e in tutto il mondo. Vi chiedo di darci una mano per risolvere questo problema.
Come ultima cosa, vorrei dirvi che in questo momento noi abbiamo il problema dei fuggitivi nordcoreani, che il Governo cinese sta rimpatriando forzatamente. Le donne vengono costrette a prostituirsi. Molte di loro rimpatriano incinte, ma il governo nordcoreano non vuole che ci siano mescolanze con i cinesi, e le sottopongono ad aborto forzato. Ho sentito la testimonianza di un'infermiera che praticava gli aborti in una prigione vicino al confine con la Cina, dove dei medici venivano mandati lì appositamente per eseguire questi aborti, iniettando nell'utero delle donne un disinfettante puro per abortire i feti. Il liquido si inietta alla mattina, nel pomeriggio i feti fuoriescono e vengono buttati. Se le donne si oppongono a questo trattamento, vengono trattate in maniera brutale, con ogni mezzo. Anche se una donna sanguina, non riceve alcuna cura - lasciano tutto così com'è - e gli insetti la aggrediscono per succhiare questo sangue. Molte donne sono morte proprio in questo modo.
Non parliamo semplicemente di rimpatrio forzato, ma del dolore enorme che si sta patendo, soprattutto in questo periodo di transizione. Dopo la morte di Kim Jong-il, hanno introdotto una legge molto più severa che prevede l'eliminazione per i parenti fino alla terza generazione di chi fugge dalla Corea del Nord. Chi viene rimpatriato, verrà fucilato, o tutti saranno mandati in campi di concentramento molto più severi e duri. Vorrei proprio chiedervi di alzare di più la vostra voce contro questo Paese. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

MATTEO MECACCI. Grazie, presidente, anche per aver voluto ospitare all'interno dei lavori del Comitato sui diritti umani queste testimonianze che, come ricordava lei all'inizio, sono analoghe a quelle che abbiamo già ascoltato nel 2010.
Parlare di Corea del Nord e della situazione dei diritti umani in quel Paese non è facile, nel senso che a volte si fa fatica a credere che le storie che si ascoltano siano vere, perché sembrano tratte più dai libri della peggiore storia, anche dell'Europa, che non dall'attualità. Sappiamo che il muro di Berlino è crollato, ormai oltre venti anni fa, mentre la linea di separazione tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, che esiste da molti decenni, è ancora attiva. Si conosce pertanto molto poco di quanto accade in quel Paese, da cui tuttavia ormai oltre 25.000 nordcoreani sono fuggiti, nel corso dei decenni, principalmente attraverso la Cina, anche se molti di loro purtroppo sono stati rimpatriati.
Qualcuno, come il signor Kim Tae Jin, è riuscito di nuovo a fuggire e poi ad arrivare in Corea del Sud, ma di molti si sono perse le tracce. Nel corso degli ultimi anni a livello internazionale vi è stato un aumento dell'attenzione da parte delle Nazioni Unite sul tema del rispetto dei diritti umani. Lo valuto positivamente, così come alcune decisioni del Consiglio per i diritti umani e altre del Consiglio di sicurezza che hanno messo la protezione dei civili e delle persone al centro anche di alcuni dossier internazionali. La Corea del Nord è al centro dei negoziati internazionali, in particolare sulla questione del nucleare. Si fa però fatica a cercare di affrontare anche la realtà sociale che le persone vivono all'interno di quel Paese.
Da quel che si può capire, sembra che la transizione in corso, dopo la morte di


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Kim Jong-il e l'arrivo al potere di suo figlio, stia aprendo uno scenario in cui non vi è più un solo protagonista sulla scena politica nordcoreana, ma in questa fase anche alcuni parenti e alcuni esponenti dell'esercito nordcoreano in qualche modo condivideranno questa leadership. È di pochi giorni fa anche l'annuncio di un accordo tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti che prevede, da un lato, la sospensione dello sviluppo dei programmi nucleari - cosa già annunciata spesso anche in passato - e dall'altro l'invio di aiuti alimentari.
Il fatto che il Governo nordcoreano abbia accettato questo accordo segnala evidentemente delle difficoltà - questa è la mia opinione - all'interno di quel Paese, nel garantire un minimo di welfare, un minimo di convivenza civile, anche semplicemente dal punto di vista della sussistenza alimentare.
Vorrei domandare, in particolare al signor Kim Tae Jin e al signor Oh Kil Nam, anzitutto come valutino questa nuova situazione politica; e in secondo luogo - considerato, ad esempio, che oggi in Corea del Nord ci sono 1 milione di telefonini cellulari, cosa che fino a qualche anno fa era impensabile - se non vi sia o non vi possa essere, potenzialmente, anche all'interno della società nordcoreana, una presa di coscienza popolare della realtà che vivono, per chiedere dei cambiamenti dall'interno, anche attraverso i contatti con il lavoro che si fa all'estero.

MARIO BARBI. Ringrazio i nostri ospiti per le testimonianze che ci hanno reso, incredibili come ricordava il collega Mecacci e ahimè per noi non nuove, perché abbiamo avuto anche in passato l'occasione di ascoltare una testimonianza di una perseguitata e dissidente nordcoreana che è riuscita a lasciare il Paese. La domanda che noi ci facciamo, e che io rivolgo anche a voi, è cosa possiamo fare noi occidentali, noi parlamentari, per aiutare ad aprire quel Paese, per attenuare la morsa di controllo e di chiusura che opprime i nordcoreani. Questa è la domanda che vorrei rivolgervi e che noi ci poniamo in modo molto pratico, seppur controverso. Tra di noi, per esempio, ci chiediamo se un intervento diplomatico piuttosto che la presenza diplomatica stessa possano essere utili o piuttosto dannosi. L'Italia ha una rappresentanza diplomatica comune a Pyongyang e a Seul, l'ambasciatore è lo stesso. Ci chiediamo anche se la presenza di organizzazioni non governative e di cooperazione sia di aiuto alla popolazione o invece al regime.
Questi interrogativi sono interrogativi a noi stessi ma che vorrei rivolgere anche a voi. La mia risposta - che può essere sbagliata - è che ogni tentativo di contatto basato sulla franchezza e sulla chiarezza delle opinioni può aiutare, a condizione che sia chiara la differenza molto forte dei rispettivi valori e punti di vista; e anche che la presenza di organizzazioni non governative può aiutare, se i programmi sono finalizzati a soccorrere la popolazione in termini alimentari o sanitari.
Io ho avuto occasione, pochi mesi fa, di visitare la Corea del Nord con una delegazione parlamentare ed è stata per me un'esperienza impressionante, che mi ha colpito moltissimo, soprattutto per la chiusura del Paese, rispetto alla quale io non ho esperienze comparabili: una chiusura molto maggiore di quanto non fosse nei Paesi dell'Europa orientale come la Germania Est, che ho avuto occasione di conoscere e di vedere. Ho trovato un Paese chiuso, quindi, con una sensazione di forte controllo ideologico, indecifrabile per gli stranieri.
È vero quanto diceva il collega Mecacci: ci viene detto da alcuni esperti o presunti tali che ci sarebbe una qualche dialettica interna al regime, tra la famiglia Kim, i militari e il partito e che ci sarebbero rapporti dialettici con la Cina, anche se non si sa con chi all'interno di quel Paese. Quando si chiede loro dei cinesi, gli interlocutori nordcoreani rispondono che sono i loro più grandi amici, ma che non sempre sono un modello, facendo capire che le aperture che ci sono state, pur con tutti i limiti, in Cina non sono necessariamente introducibili in Corea del Nord.


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La sensazione è appunto di un Paese chiuso, le cui classi dirigenti si sentono assediate, in cui i responsabili del regime respingono come una bestemmia qualsiasi idea di avvicinamento alla Corea del Sud e hanno come modello negativo la riunificazione tedesca. Accettano qualsiasi cosa, ma nulla che vada in quella direzione.
Allo stesso tempo, ho anche l'impressione che questa sia una situazione che non può durare ancora a lungo. Si è parlato del milione di telefonini. Io ho visto dei telefonini a Pyongyang, ma mi è stato detto che sono costruiti con un software speciale, che non consente alcun collegamento con l'esterno e che esistono delle strutture di collegamento interno di tipo gerarchico, per cui certe chiamate sono possibili e altre non lo sono. Certo, avere un mezzo di comunicazione in più e meglio che non averlo.
Ci è stato anche detto da rappresentanti di organizzazioni non governative presenti a Pyongyang e operanti nei dintorni e in altre regioni del Paese, che ci sono ampie regioni inaccessibili, dove nessuno può andare; quelle dove, secondo dichiarazioni di testimoni, si trovano i campi di internamento. Questa situazione mi ha fatto una grandissima impressione: i diritti umani e le libertà elementari non sono consentiti ai cittadini nordcoreani. Quando chiesi a uno dei responsabili con i quali abbiamo avuto i colloqui - considerato che ci sono stati la guerra, la divisione tra nord e sud, la divisione delle famiglie, e anche storie, diverse, come quella che il nostro ospite ci ha testimoniato - se i cittadini delle due Coree potessero comunicare tra loro, scriversi, avere rapporti, ci è stato detto chiaramente che questo non esiste e che nemmeno la corrispondenza è consentita. I cittadini della Germania orientale e dei Paesi socialisti potevano usare la posta, c'erano dei rapporti di corrispondenza con il resto del mondo, quanto meno!
Ci troviamo dunque in una situazione davvero singolarissima, che richiede un impegno convergente. La domanda è: che cosa possiamo fare di più?

PRESIDENTE. Non essendoci altre domande da parte dei colleghi, aggiungerei una mia osservazione, da presidente, ossia che la situazione è singolarissima anche sul nostro versante, sul versante di questo Paese, di questo Governo, sul versante dell'Europa, alla quale partecipiamo, e sul versante di ciò che chiamiamo «Occidente» e «mondo libero», che tollera tranquillamente di vivere accanto a una situazione come quella che ci è stata descritta come se fosse un'opzione tra le tante opzioni nell'organizzazione della vita umana e della vita sociale.
Noi siamo qui testimoni di due anomalie incredibili: una è che esista la Corea del Nord, amministrata e governata nel modo in cui lo è, attraverso il tormento e la segregazione dei suoi cittadini; l'altra è il comportamento di tutta la parte del mondo che noi chiamiamo con orgoglio il «mondo libero», che tollera, accetta e di fatto finisce per considerare l'esistenza di una situazione del genere, se non regolare, possibile, e se non accettabile, tollerabile. È evidente che, tolta l'alternativa violenta, che deve essere esclusa in ogni caso dal quadro delle opzioni possibili, il quadro delle fattibilità si riduce di molto.
Ricordiamo però, almeno in quest'aula e almeno per i nostri colleghi che leggeranno queste carte, che il problema del silenzio è molto esteso, anche nei rapporti tra la Corea del Nord e i Governi dei Paesi che hanno relazioni commerciali con il regime, o che hanno lì un'attività in termini di relazioni, come se fosse un Paese normale. Le anomalie, i problemi, le malattie con le quali ci misuriamo in questo momento sono due: una è la testimonianza che abbiamo udito e che ci porta forse persino un po' al di là della tragica memoria che l'Europa ha di sé stessa, data se non altro l'immensa continuità, la moltiplicazione attraverso i decenni di questo terribile fenomeno; l'altra è il silenzio da parte del «mondo libero», che orgogliosamente chiamiamo così e con il quale ci identifichiamo.
Ecco, mi premeva che queste considerazioni restassero nei verbali di questo nostro lavoro, se non altro per un disperato


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senso di auto-stimolo, per darci una motivazione a fare in modo che le cose non continuino ad essere così come le abbiamo constatate questa mattina.
Vorrei chiedere ai nostri ospiti coreani se hanno da aggiungere qualcosa o se vogliono offrire ulteriori osservazioni.

TAE JIN KIM, Rifugiato politico e attivista per i diritti umani in Corea del Nord. Noi siamo di fronte a un problema che abbiamo sempre avuto. La mia famiglia è nella Corea del Nord, ma loro non ci aspettano, noi non abbiamo più tempo. Condivido solo un pensiero: diamo il riso al Governo nordcoreano ma facciamo dei controlli. Gli Stati Uniti stanno trattando proprio per poter controllare la distribuzione di viveri. Quelli che devono controllare non sono i fuggitivi o i sudcoreani, ma gli europei o gli americani, gli specialisti. Spero di ricevere questa informazione.
La Corea del Nord è un Paese chiuso, ma noi speriamo veramente che si fermi la violazione dei diritti umani. Tante cose nemmeno le sappiamo - è un problema da risolvere subito - occorre avere più informazioni possibile, è una questione molto prioritaria in questo momento.

YUN BOK SONG, Attivista per i diritti umani in Corea del Nord. La Corea del Nord e gli Stati Uniti stanno discutendo sul problema dell'impianto nucleare a Yongbyon, che secondo me è una struttura per dimostrare la loro capacità di produrre queste armi. Anche se vengono fatti dei controlli, io non credo che si possa impedire loro di proseguire la ricerca. Tutto questo lo sappiamo già, ciononostante stiano fingendo di fare qualcosa per la moratoria su questo sistema. Loro cercano sempre e solamente di ottenere gli aiuti umanitari, ma io ritengo che i problemi economici siano collegati alla situazione dei diritti umani. Il loro rapporto con gli Stati Uniti non è granché ma secondo me hanno più paura dell'Europa e della sua opinione pubblica. Per questo chiedo proprio agli europei di cercare di ottenere più informazioni possibile sui problemi dei nordcoreani.
Se possiamo, vorremmo consigliare di tradurre tutte queste informazioni nelle lingue europee, per mettere a disposizione di tutti queste informazioni. In tal caso si potrebbe riuscire ad avvicinare la Corea del Nord al tavolo del dialogo.
Per la verità, attraverso la Cina, entrano molte informazioni in Corea del Nord, anche film, musica e altro materiale, che molte persone guardano e ascoltano. Se qui si parlasse della violazione dei diritti umani che sta avvenendo lì, anche i nordcoreani verrebbero a saperlo e, di conseguenza, prenderebbero coraggio, perché capirebbero che qualcuno li sente e conosce la loro situazione. Se potessero sentire che il mondo li guarda e li protegge, forse avrebbero più coraggio per provare a uscire da questa situazione.

PRESIDENTE. Grazie per la testimonianza che ci avete portato, e anche per queste ultime parole, che sono una sorta di consegna a ciò che noi - noi europei, noi popoli liberi, coloro che possono testimoniare delle cose del mondo perché hanno la libertà di farlo - dovremmo e potremmo fare e che, fino a questo momento evidentemente non abbiamo fatto.
Benvenuto, quindi, il vostro messaggio, che questo Comitato accoglie e cercherà di mantenere vivo e far circolare il più e meglio possibile. Grazie per avere testimoniato qui al Comitato per i diritti umani della Commissione affari esteri della Camera dei deputati.

TAE JIN KIM, Rifugiato politico e attivista per i diritti umani in Corea del Nord. Vorrei dire un'ultima cosa. Noi siamo venuti qui in Italia con una speranza. Fino all'anno scorso abbiamo sempre cercato di salvare la famiglia del professor Oh Kil Nam, ma senza risultati. Dopo la morte di Kim Jong-il, però, con il conseguente cambiamento della situazione, forse il Parlamento italiano può fare qualcosa di molto importante, pronunciandosi a favore di questa famiglia, mandando un messaggio in merito: forse - dico «forse» - loro vi ascolteranno. Potreste fare pressioni su questo Governo, io spero veramente che questa speranza si realizzi.


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YUN BOK SONG, Attivista per i diritti umani in Corea del Nord. La differenza tra la Germania, dove il muro di Berlino è crollato, e la Corea è che quest'ultima confina con la Cina. Coloro che fuggono dalla Corea del Nord vanno in Cina, da dove vengono però rimpatriati. Se questi rifugiati potessero andare in altri Paesi, le cose sarebbero diverse. Vorrei quindi chiedervi anche una pressione sul Governo cinese, per fare in modo che la Cina si assuma le sue responsabilità sul piano internazionale. La Cina ha aderito al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite quindi io vorrei chiedervi di fare pressione, se potete, sul Governo cinese, affinché questi rifugiati nordcoreani non vengano rimandati in Corea del Nord.

PRESIDENTE. Non ci resta che ringraziare di nuovo i nostri ospiti, anche per la specificità e la concretezza delle idee che ci hanno suggerito; ora tocca a noi fare in modo che non vadano perdute.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,25.

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