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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
14.
Martedì 27 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione di rappresentanti di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in Libia:

Colombo Furio, Presidente ... 3 8 9 11 13 15
Barbi Mario (PD) ... 8
D'Alconzo Giusy, Rappresentante della sezione italiana di Amnesty International ... 14
Farina Renato (PdL) ... 13
Noury Riccardo, Rappresentante della sezione italiana di Amnesty International ... 14
Pianetta Enrico (PdL) ... 10
Sami Carlotta, Direttrice della sezione italiana di Amnesty International ... 3 13
Touadi Jean Leonard (PD) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 12.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in Libia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione di rappresentanti di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in Libia.
Saluto e ringrazio per la loro disponibilità Carlotta Sami, direttrice della sezione italiana di Amnesty International, Giusy D'Alconzo, direttrice dell'ufficio campagne e ricerca, Elena Santiemma, responsabile delle relazioni internazionali e Riccardo Noury, portavoce.
Segnalo che si è appena conclusa la missione della Commissione affari esteri a Ginevra, in occasione della XIX sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, alla quale ha preso parte l'onorevole Barbi. Il Consiglio ha approvato una risoluzione sulla Libia, su proposta marocchina, per sollecitare il Governo transitorio a svolgere inchieste sulle violazioni dei diritti umani. La risoluzione chiama in causa le competenze dell'Alto commissario per i diritti umani, al fine di definire forme di cooperazione con la Libia in materia di diritti umani, con specifico riferimento a misure di assistenza tecnica e di capacity building.
In occasione della prossima sessione del Consiglio, che avrà luogo dal 18 giugno al 6 luglio prossimi, si terrà un'informativa, da parte dell'Alto commissario ONU per i diritti umani, sullo stato di attuazione di tali forme di cooperazione.
Do ora la parola a Carlotta Sami.

CARLOTTA SAMI, Direttrice della sezione italiana di Amnesty International. La ringrazio, presidente. Grazie per averci dato l'opportunità di questa audizione. Più volte abbiamo avuto occasione, come Amnesty International, di manifestare a questo Comitato le nostre preoccupazioni per la situazione dei diritti umani in Libia e per la scarsa attenzione che i rapporti diplomatici tra Italia e Libia hanno posto al tema dei diritti umani, negli anni passati. Ne sono risultati accordi che hanno portato a gravi violazioni di tali diritti, tra cui il respingimento di cittadini stranieri verso la Libia, attraverso le cosiddette «operazioni di rinvio forzato in mare», risultanti in arresti arbitrari, tortura e detenzione, a tempo indeterminato e in condizioni disumane, prassi che recentemente è stata sanzionata e condannata dalla Corte europea dei diritti umani.
In questo momento, sia l'Italia sia la Libia, si trovano per motivi diversi davanti alla possibilità di costruire una nuova modalità di dialogo, che abbia al centro il miglioramento dei diritti umani in Libia. Come abbiamo avuto modo di dire al Ministro degli interni Cancellieri, in un


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recente incontro che abbiamo avuto il 15 marzo, ci aspettiamo che l'Italia metta da parte tutti gli accordi sul controllo dell'immigrazione sinora sottoscritti e eviti, per il momento, nuovi accordi su questa materia, considerate le condizioni attuali a cui vado ora a fare riferimento.
Vorrei però fare un piccolo passo indietro, perché è importante ricordare quali erano le condizioni dei diritti umani in Libia negli anni precedenti il conflitto. Più volte Amnesty International ha denunciato le diffuse violazioni dei diritti umani negli anni del regime di Gheddafi, quali il ricorso a frustate per punire le adultere, la detenzione a tempo indeterminato e le violenze nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, così come numerosi casi irrisolti di sparizioni forzate di oppositori politici e, in generale, la repressione del dissenso.
In quegli anni l'agenzia per la sicurezza interna aveva poteri incontrastati di arrestare, imprigionare, interrogare gli oppositori politici, che venivano trattenuti senza contatti con l'esterno per lunghi periodi di tempo, torturati e privati di assistenza legale. Massiccio è stato anche il ricorso alla pena di morte - in particolar modo nei confronti dei cittadini stranieri - che è stata applicata a un'ampia gamma di reati, anche per punire quelle attività che in realtà corrispondevano al pacifico esercizio di diritti, alla libertà di espressione e di associazione.
Migranti, rifugiati e richiedenti asilo, nella maggior parte provenienti dall'Africa subsahariana e in cerca di salvezza in Italia e negli altri Paesi dell'Unione Europea, hanno invece trovato arresti, detenzione a tempo indeterminato e violenze. La Libia non ha mai firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato del 1951, pertanto rifugiati e richiedenti asilo venivano mandati indietro senza alcun riguardo per il loro bisogno di protezione. Nel 2010 addirittura l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stato costretto a chiudere la propria sede e a lasciare il Paese.
Cos'è accaduto durante la rivolta e il conflitto? Nel disperato tentativo di mantenere il potere, le autorità libiche hanno arrestato attivisti e giornalisti in capo all'organizzazione della «giornata della rabbia», le forze di sicurezza hanno risposto alle proteste pacifiche nelle città orientali di Bengasi e Al Baida, con un uso eccessivo e a volte letale della forza, causando la morte di decine di manifestanti e altri civili.
Quando poi, verso la fine del febbraio 2011, la maggior parte dalla Libia orientale è caduta sotto il controllo dell'opposizione, l'agitazione si è evoluta rapidamente in conflitto armato e la popolazione civile ha sofferto violazioni sempre più gravi e massicce. Dall'inizio dei disordini in Libia, nel febbraio 2011, e dopo lo scoppio dell'ostilità e l'intervento della NATO e, in particolare, nel mese di settembre, oltre 644.000 cittadini stranieri hanno attraversato le frontiere occidentali orientali e meridionali della Libia, in cerca di sicurezza. Sono dati dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). Circa 8.500 sono stati evacuati da Misrata, città assediata per due mesi dalle forze di Gheddafi. L'OIM ha inoltre riferito di avere evacuato via mare oltre 1.500 cittadini stranieri provenienti da Tripoli, nell'agosto dello stesso anno.
La stessa organizzazione aveva anche precedentemente evacuato oltre 10.000 cittadini stranieri da Tripoli in Tunisia, via terra, prima che il collegamento venisse chiuso a causa dei combattimenti. Altre decine di migliaia di persone hanno infine raggiunto l'Italia e Malta in maniera autonoma, via mare. Durante il conflitto gli africani subsahariani sono stati particolarmente soggetti ad arresti arbitrari, da parte delle forze che si opponevano al colonnello Gheddafi: arresti basati meramente sul colore della pelle e sulla convinzione che le forze di Gheddafi utilizzassero mercenari centrafricani. Tra queste ci sono state persone intrappolate in Libia perché respinte in mare dall'Italia.
Come abbiamo denunciato in un rapporto diffuso il 19 marzo, a un anno dal primo attacco aereo della NATO, le operazioni aeree dell'alleanza hanno provocato diverse morti di civili libici, non


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coinvolti nei combattimenti, e un numero ancora maggiore di feriti, in gran parte colpiti all'interno delle loro abitazioni. In particolare, abbiamo documentato con nome e cognome i casi di cinquantacinque civili - fra cui sedici bambini e quattordici donne - uccisi dagli attacchi aerei della NATO a Tripoli, Zlitan, Majer, Sirte e Brega. La NATO si è detta dispiaciuta degli attacchi, senza però impegnarsi a svolgere indagini a riguardo, dichiaratamente a causa dell'impossibilità di svolgere attività in Libia dopo la fine delle operazioni.
Quanto alla situazione odierna, la nostra conoscenza della situazione dei diritti in Libia si basa sui risultati di una missione di ricerca che Amnesty International ha svolto nel Paese nei mesi di gennaio e febbraio 2012, durante la quale gli esperti del nostro segretariato internazionale hanno svolto attività di ricerca a Tripoli e nelle zone limitrofe come Al Zawiya, i monti Nafusa, Misrata, Sirte e Bengasi. Essi hanno visitato undici centri di detenzione utilizzati da diverse milizie, alcuni più di una volta. I ricercatori hanno riportato che in dieci di questi centri i detenuti vengono torturati o maltrattati, mentre in sette di essi i detenuti hanno mostrato loro i segni di recenti abusi.
In un centro di detenzione, in particolare, un delegato di Amnesty International è stato testimone oculare di pestaggi e minacce ai detenuti. I nostri ricercatori hanno incontrato amministratori dei centri di detenzione, personale ospedaliero, medici, avvocati, detenuti ed ex detenuti, parenti di persone uccise o maltrattate durante la detenzione, così come membri delle milizie coinvolte e rappresentanti delle autorità libiche.
A seguito di queste ricerche abbiamo denunciato che l'illegalità pervade ancora la Libia. Centinaia di milizie armate, considerate in Libia come eroi per il loro ruolo nel rovesciamento del vecchio regime, sono in gran parte fuori controllo. Le loro azioni, nonché il rifiuto di molte di loro di deporre le armi e di unirsi alle forze regolari, minacciano di destabilizzare il Paese, di ostacolare la necessaria costruzioni di istituzioni statali basate sullo stato di diritto e di mettere a repentaglio le speranze di milioni di persone che sono scese nelle strade un anno fa.
Centinaia di gruppi di miliziani armati, infatti, continuano ad agire indipendentemente dalle autorità centrali, mantenendo il controllo su specifiche aree o quartieri. Alcuni membri delle milizie hanno trascorsi militari, ma la maggior parte di essi sono semplici civili. I frequenti scontri armati fra gruppi di miliziani causano tuttora numerose vittime. Le milizie continuano anche a sequestrare persone al di fuori di qualsiasi quadro legale e a detenerle in centri segreti, prima di consegnarli ad altri servizi gestiti da enti militari di sicurezza, ufficiali o semiufficiali. Migliaia di persone rimangono perciò ancora oggi detenute senza aver avuto un processo o senza avere accesso a qualsiasi mezzo per contestare la legittimità della loro detenzione.
Le milizie hanno fatto migliaia di prigionieri fra i sospetti lealisti di Gheddafi, soldati e presunti mercenari stranieri, molti dei quali sono stati torturati durante la detenzione, in alcuni casi anche fino alla morte. Decine di sospetti lealisti sono stati uccisi arbitrariamente dopo la cattura. La vendetta contro i presunti mercenari stranieri riguarda, in particolare, i migranti subsahariani e i libici neri, divenuti oggetto di feroci rappresaglie che continuano anche attualmente. La delegazione di Amnesty International, durante la sua visita, ha raccolto in particolare le testimonianze di africani subsahariani, i quali hanno riferito che durante il loro arresto sono stati picchiati con bastoni e calci di fucile. I migranti continuano a essere sottoposti a detenzioni arbitrarie e maltrattamenti solo per il fatto di essere irregolari. I nostri ricercatori hanno appreso del caso di 400 migranti, per lo più nigeriani, inclusa una donna incinta, arrestati mentre cercavano di lasciare Tripoli e di raggiungere l'Europa su una barca. Più di 200 di loro, dopo sei settimane, si trovavano, senza accuse formali, nel centro di detenzione di Ain Zara a Tripoli, dove i nostri ricercatori li hanno appunto incontrati.


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Già nel settembre 2011, durante le visite ai tre maggiori centri di detenzione di Tripoli di quel momento, alcuni funzionari libici hanno riferito ai rappresentanti di Amnesty International che circa la metà dei 1.300 detenuti erano cittadini stranieri, provenienti principalmente da Ciad, Mali, Niger, Nigeria e Sudan. Una rapporto del Segretario generale dell'ONU al Consiglio di sicurezza, presentato il 28 novembre 2011, ha evidenziato che circa 7.000 persone sono attualmente detenute nelle carceri e nei centri di detenzione improvvisati, molti dei quali sono sotto il controllo di brigate rivoluzionarie. Il rapporto ha poi rilevato che i prigionieri non hanno alcun accesso al giusto processo, in assenza di un corpo di polizia e di una magistratura efficienti.
Il 26 gennaio scorso il Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, aveva espresso la preoccupazione che la mancanza di controllo, da parte dell'autorità centrale, creasse un ambiente favorevole alla tortura e ai maltrattamenti, invitando le autorità libiche a riprendere il controllo di tutte le carceri. Lo stesso giorno Amnesty International aveva denunciato i decessi in carcere e i casi di tortura a Tripoli, Misrata e Gheyran. Il Governo di transizione sembra però non avere né l'autorità, né la volontà politica per tenere a freno le milizie, molte delle quali sono riluttanti a sciogliersi o a presentarsi all'autorità centrale. Esso non ha voluto riconoscere la portata degli abusi perpetrati dalle milizie, nonostante la loro crescente gravità e diffusione in molte parti del Paese. Nessuna azione è stata inoltre ancora intrapresa per indagare sugli abusi, nemmeno i più gravi, commessi dagli ex combattenti dell'opposizione e dalle milizie. Ad esempio, non è stata avviata ancora alcuna indagine sull'uccisione di sessantacinque civili e sostenitori di Gheddafi, i cui corpi sono stati rinvenuti il 23 ottobre 2011 presso l'hotel Mahari a Sirte, nonostante le prove indichino chiaramente alcuni degli autori. Tutto ciò, insieme alla mancanza di un'azione repressiva, sta di fatto incoraggiando le milizie a commettere ulteriori abusi.
Per quanto riguarda la pena di morte, come risulta dal rapporto che Amnesty International ha diffuso proprio oggi - «Condanne a morte ed esecuzioni 2011» - dopo il febbraio 2011, in vaste aree del Paese si è fatto largo ricorso a esecuzioni extragiudiziarie, da parte di tutte le parti in conflitto. Lo stesso colonnello Gheddafi, alcuni membri della sua famiglia e numerosi suoi supposti sostenitori sono stati catturati e arbitrariamente uccisi dai combattenti dell'opposizione. Non sono invece disponibili i dati relativi alle esecuzioni nel sistema giudiziario, che attualmente non è funzionante. La Libia resta comunque un Paese mantenitore della pena di morte.
Vorrei indicare in maniera più specifica le violazioni dei diritti umani da noi considerate attualmente in corso nel Paese e quello che chiediamo alla Libia.
Possiamo dire anzitutto che è presente il fenomeno delle detenzioni arbitrarie, a cui il Governo libico deve porre immediatamente fine, garantendo che gli arresti vengano effettuati solo dalle forze di sicurezza autorizzate dalla legge, e che nessuno sia privato della libertà, se non in conformità alle procedure e ai motivi previsti per legge.
Quanto alla tortura, le milizie rivoluzionarie continuano a trattenere i prigionieri in centri di detenzione di fortuna, dove essi sono particolarmente vulnerabili alla tortura e ai trattamenti inumani e degradanti. Il Governo libico deve quindi assicurarsi che tutti i detenuti siano trattati umanamente e ricevano le cure mediche necessarie. Devono altresì immediatamente aprire indagini su tutti i casi presunti di tortura e altri trattamenti inumani e degradanti e sui decessi che sono avvenuti durante la custodia.
Per quanto riguarda rappresaglie e sgomberi forzati, va rilevato che da quando le forze rivoluzionare hanno preso il controllo delle città, le rappresaglie si sono accresciute in frequenza e gravità, fino allo sfollamento di interi villaggi e comunità (in particolare, da Tawargha,


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dalla Mshashiya e da Misratah). In questi casi il Governo libico deve quindi garantire che tutti coloro che sono stati sfollati con la forza possano fare prontamente ritorno alle proprie case e che vengano adeguatamente risarciti.
C'è infine la questione dell'impunità. Tutti i responsabili delle violazioni dei diritti umani, indipendentemente dalle loro posizioni politiche, devono essere portati davanti alla giustizia e sottoposti a un processo equo, in conformità agli standard internazionali.
Le autorità libiche devono inoltre garantire che coloro che hanno commesso, ordinato o tollerato violazioni dei diritti umani, siano esclusi da posizioni pubbliche, e devono inviare un segnale forte ai propri sostenitori, anche attraverso appelli pubblici, circa il fatto che la tortura e gli atti di rappresaglia non saranno più tollerati.
Auspichiamo quindi fortemente che l'Italia eserciti sulla Libia la propria influenza per chiedere che queste raccomandazioni vengano accolte e che la situazione complessiva dei diritti umani nel Paese migliori.
Amnesty International ritiene che l'Italia dovrebbe inoltre chiedere alla Libia di stabilire al più presto la base legale per la presenza in Libia dell'UNHCR, l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, attraverso un memorandum di intesa che consenta lo svolgimento di attività di protezione, quale la registrazione, la determinazione dello status di rifugiato e la visita ai luoghi di detenzione.
La Libia dovrebbe firmare la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, cooperare con gli organismi internazionali di monitoraggio e, particolarmente importante, continuare a garantire l'accesso al Paese alle organizzazioni non governative.
Per quanto riguarda la cooperazione e eventuali futuri accordi, al Governo italiano abbiamo chiesto - attraverso una lettera al Presidente del Consiglio Monti e durante l'incontro a cui facevo riferimento con il Ministro Cancellieri - di desistere dal condurre qualsiasi operazione cosiddetta «di respingimento» o di rinvio forzato verso la Libia o di cooperazione con la Libia nell'intercettare i migranti e respingerli.
Questa non è solo una nostra raccomandazione, ma un obbligo che ci è posto dal diritto internazionale e che è stato chiarito nella recente «sentenza Hirsi». L'Italia deve quindi sospendere qualsiasi accordo di cooperazione con la Libia in materia di controllo dell'immigrazione. In particolare, deve sospendere il protocollo firmato dall'allora Ministro dell'interno italiano Amato, nel dicembre 2007 e dal suo omologo libico, che è poi stato modificato dal Ministro Maroni nel 2009, e il protocollo tecnico-operativo, firmato parallelamente dal capo italiano di polizia e dal suo omologo libico.
Questi accordi prevedevano il pattugliamento congiunto con sei navi della guardia di finanza cedute alla Libia con un comando interforze a guida libica. Sinora non abbiamo ricevuto rassicurazioni rispetto a una loro sospensione formale. Occorre inoltre intervenire sulle parti rilevanti del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato dal Presente del Consiglio Berlusconi e da Gheddafi nell'agosto 2008 e ratificato molto velocemente a febbraio 2009 dalla larghissima maggioranza del Parlamento, inclusi i partiti dell'opposizione, salvo alcune importanti eccezioni. Bisogna sospendere quindi il memorandum d'intesa sul controllo delle migrazioni, firmato con il CNT il 17 giugno 2011.
Amnesty International crede sia importante che gli accordi sul controllo dell'immigrazione siano sospesi fino ad una revisione approfondita della loro incidenza sui diritti umani, e finché non siano intervenuti profondi cambiamenti nella situazione dei diritti umani in Libia, per garantire che il controllo dell'immigrazione non abbia mai luogo a spese dei diritti umani.
Bisogna infine assicurarsi che ogni altra forma di cooperazione, come quella nel campo della formazione e del capacity building con le autorità libiche, futura e in corso, sia assolutamente trasparente, subordinata all'impegno e alla capacità delle


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due parti di rispettare appieno i diritti umani di richiedenti asilo, rifugiati e migranti, e in linea col diritto internazionale dei diritti umani e il diritto internazionale dei rifugiati.

PRESIDENTE. Grazie alla direttrice della sezione italiana di Amnesty International.
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni, a partire dall'onorevole Barbi, in particolare a seguito della sua missione a Ginevra.

MARIO BARBI. Effettivamente la relazione che ci è stata fatta ora dai rappresentanti di Amnesty International sulla situazione interna della Libia è molto preoccupante, in particolare dal punto di vista del rispetto - ovvero della violazione - dei diritti umani e corrisponde anche a quanto emerso da incontri e esperienze avute in occasione della missione che ho fatto per conto dalla Commissione a Ginevra, la scorsa settimana.
Ho avuto occasione di incontrare l'ambasciatore marocchino, presentatore della risoluzione sulla Libia, che in un colloquio diretto, ci ha rappresentato una situazione largamente coincidente con quella che ci è ora stata descritta qui. Ahimè, devo dire che si tratta di una situazione di sostanziale anarchica, per usare un termine sintetico, che pone diverse questioni e che rende difficile anche capire quale sia la strada da seguire per ripristinare una situazione di controllo da parte di un'autorità centrale riconosciuta.
Si possono infatti rivolgere naturalmente tutte le richieste giuste, sensate, opportune e anche doverose al CNT, salvo scoprire che questo soggetto, riconosciuto e ritenuto il legittimo rappresentante della Libia, non è poi in grado di controllare il Paese che dovrebbe governare. Abbiamo quindi un problema maggiore. Questo è emerso dall'incontro con l'ambasciatore marocchino, che riferiva esattamente delle preoccupazioni che vi sono, nell'ambito del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per gli sviluppi della situazione interna alla Libia, e che in particolare sottolineava anche la condizione davvero di paria tra i paria che finiscono per avere sia i rifugiati, sia i migranti che transitano all'interno di quel grande territorio.
In particolare, ci sono poi le persecuzioni davvero incontrollabili e incontrollate a cui sono soggette le persone nere dell'Africa subsahariana, che a torto o a ragione vengono viste come ex mercenari, sostenitori del colonnello Gheddafi.
In proposito il Consiglio per i diritti umani ha poi discusso la risoluzione a cui lei, presidente, ha fatto riferimento. Abbiamo potuto assistere a questa discussione, che è stata controversa e anche molto istruttiva, perché ha mostrato sia le buone intenzioni presenti nel Consiglio dei diritti umani, sia i limiti del Consiglio stesso.
In sintesi, cercando di esprimere con un concetto semplice il limite strutturale, quando sono i Governi a dovere rappresentare in modo imparziale ed autonomo la difesa dei diritti umani e si trovano a votare, succede che le loro considerazioni politiche, portate avanti nelle sedi della politica estera di cui sono attori e protagonisti, si riflettono anche nelle decisioni e nelle risoluzioni che questo organismo adotta. È successo in qualche modo anche nel caso di questa risoluzione.
Ci si può anche spiegare perché questo succeda, e comprenderlo politicamente, però bisogna sapere che, nel corso della discussione di questa risoluzione, sono state respinte le formulazioni che tendevano ad accentuare la richiesta a tutte le parti, comprese quelle attualmente al governo, di agire perché non vi fossero discriminazioni di sorta e perché le violazioni dei diritti umani venissero perseguite senza alcun riguardo alle proprie preferenze politiche. Così com'è stata respinta la richiesta di avere un'attenzione particolare alle persone africane subsahariane che si trovano in una condizione di particolare difficoltà.
Nella discussione vi sono stati naturalmente elementi di strumentalità politica perché, ad esempio, emendamenti nel


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senso dell'equiparazione delle violazioni dei diritti compiuti dal vecchio regime e dal nuovo regime, presentate dalla Federazione russa, si prestavano ad essere viste come manovre strumentali per mettere in difficoltà il nuovo regime e tutta la coalizione che lo ha sostenuto. Questo certamente era presente, il che non vuol dire che le richieste fossero di per sé sbagliate.
Sono state respinte anche le richieste - mi pare dell'Uganda - che si prestasse attenzione agli africani della zona subsahariana. Anche questa richiesta è stata respinta perché poneva lo stesso problema politico della «equiparazione» tra violazioni compiute del vecchio regime e violazioni in atto compiute dal nuovo regime.
Questo era per riferire, presidente, parte della relazione che poi avrò modo di fare in una circostanza dedicata, immagino, alla missione che ho svolto presso il Consiglio per i diritti umani.
Ciò non toglie che la circostanza della visita che abbiamo fatto a Ginevra sia di grande interesse e di grandissima attualità. Tra l'altro, su questi emendamenti, nella votazione della risoluzione, si è divisa anche l'Unione Europea - non tutti hanno votato allo stesso modo - che pure cerca in quella sede, con un lavoro di coordinamento molto intenso, di presentarsi unita.
Ci sono però dei casi più delicati, in cui emergono divisioni tra la scelta di principio, che è stata fatta da alcuni Paesi - che adesso non ricordo, ma si può verificare - e la scelta più politica di altri, volta a mantenere la compattezza della coalizione che era intervenuta a sostegno di chi protestava e si era rivoltato contro il regime di Gheddafi e che poi, attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite e l'intervento della NATO, ne ha oggettivamente provocato la caduta.
La delicatezza e la criticità della situazione ci è presente: a me personalmente e, da quello che ho potuto constatare, alla comunità internazionale. Non capisco bene quali siano le contromisure efficaci, tranne le petizioni di principio che noi possiamo fare e che lei ci ha giustamente qui rivolto, che in gran parte sono personalmente condivisibili.
Colgo però l'occasione - siccome le segnalavo che purtroppo ho un altro impegno, assunto in precedenza, al quale il Comitato si è sovrapposto e al quale non posso interamente mancare - per farmi una domanda.
Si parla di una situazione in cui vige questa forte mancanza di controllo, di - lei ha usato questa espressione - legalità, di sicurezza, quindi di capacità di presenza di un apparato statale. Sento però altre notizie che parlano di ripresa piena e tranquilla degli approvvigionamenti energetici dalla Libia, che quindi dimostrano forse una certa capacità di esercitare controllo e adottare misure di sicurezza, segnalando una discrasia assai forte tra questi due aspetti. Ringrazio dell'audizione e termino.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Barbi. Credo e spero che la Commissione sarà il luogo per riferire compiutamente, probabilmente anche con un testo, in modo che sia possibile una discussione approfondita.

JEAN LEONARD TOUADI. Condivido molte se non tutte le considerazioni fatte dal collega Barbi. Considero di fondamentale importanza, presidente, che il nostro Comitato abbia ufficialmente acquisito ai suoi atti questo importante rapporto di Amnesty International, che arriva un anno dopo gli sconvolgimenti che hanno interessato la Libia.
In materia di diritti umani, come tutti voi saprete, l'area è interessata da convulsioni dagli esiti imprevedibili. Faccio notare il braccio di ferro in corso oggi a Tunisi tra il leader Ghannushi e la galassia di partiti e di gruppi salafisti che vorrebbero introdurre la sharia come legge fondamentale dello Stato, con grossi danni per la laicità dello Stato e per i diritti fondamentali delle donne.
La differenza tra la Libia e questi altri Paesi e però che in Libia non sono stati fatti passi avanti nemmeno nella costruzione


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dell'architettura istituzionale post Gheddafi. In Egitto, seppure in modo per alcuni assolutamente discutibile, le elezioni si sono tenute, in Tunisia il processo istituzionale si sta mettendo in piedi, ma la Libia purtroppo vive la situazione che sappiamo dal punto di vista delle istituzioni. Anche questa anarchia sostanziale - questa anomia: possiamo chiamarla così - che lascia scorrazzare milizie fuori controllo che effettuano sequestri, che hanno veri e propri centri di detenzione segreti, dove avvengono torture, morti, stupri, vendette contro i mercenari. Un girone infernale di violazione dei diritti umani, insomma, che è davvero impressionante, se si mette tutto così in successione.
Dicevo che è importante che il nostro Comitato abbia acquisito agli atti questo importante rapporto di Amnesty, perché esso arriva anche dopo l'importante pronunciamento della Corte europea, che ha condannato il nostro Paese per quanto riguarda la politica dei respingimenti.
Ribadisco i discorsi che ci siamo fatti in occasione dell'esame della relazione annuale del Comitato interministeriale per i diritti umani, che dovremo riprendere e dove abbiamo ricordato l'impegno di questo Governo ad avere i diritti umani come stella polare della sua azione diplomatica; un impegno ribadito recentemente alla Farnesina, il 13 marzo scorso, dal Ministro Terzi.
Considero quindi importanti le raccomandazioni che ci sono state fatte per quanto riguarda il controllo dell'immigrazione e quindi l'adeguamento di ogni intesa bilaterale e di ogni accordo tecnico, perché poi il diavolo si nasconde nei dettagli. Da un lato, abbiamo questa sentenza e, dall'altro, le convenzioni internazionali non firmate dalla Libia, ma firmate dal nostro Paese e che - non mi stancherò mai di ricordarlo - per il nostro ordinamento hanno cogenza costituzionale.
Intervengo ancora su un punto preciso, più pratico: mi chiedo se la questione della presenza della UNHCR a Tripoli, una questione molto importante, che è stata posta più volte, potrebbe permettere di attivare e di accelerare quest'esigenza di resettlement degli immigrati, soprattutto subsahariani, che vagano da un punto all'altro del territorio libico, preda tra l'altro di queste vendette incontrollate, che spesso finiscono in vere e proprie detenzione, tortura, mattanza e così via. Penso che dovremo su questo avere un impegno preciso e dare delle indicazioni precise al nostro Governo.
Il quadro che descrivevamo mi fa dire che questo rapporto, presidente, deve avere, nella forma che dovremo tutti decidere, uno sbocco politico, per quanto riguarda l'indicazione che la nostra Commissione dovrà dare al nostro Governo circa gli impegni con la Libia. Al di là di questo - e ritorno proprio alla questione che poneva l'onorevole Barbi - noi siamo legittimamente corsi ad aiutare le autorità libiche a ritrovare una propria capacity building nella fornitura energetica, nel ripristino delle capacità di produzione, di pompaggio e di esportazione del petrolio.
Forse dovremmo anche immaginare un intervento di capacity building per quanto riguarda le istituzioni libiche. Un Paese che dal colpo di Stato contro il re Idris ad oggi non ha praticamente mai avuto, per almeno quaranta o cinquant'anni, a differenza di altri Paesi dell'area - l'Algeria, la Tunisia, il Marocco, anche lo stesso Egitto - delle istituzioni che abbiano funzionato, quindi dei tribunali, un corpus di istituzioni che possano assicurare quello che tutti noi auspichiamo, una giurisdizione degna di questo nome, degna dei nostri tempi.
Le capacity building vanno quindi aiutate non solo in campo economico, ma anche nel campo delle istituzioni. Penso che se l'Italia aiutasse la capacity building istituzionale della Libia renderebbe un grande servizio ai cittadini libici, al loro Paese e renderebbe un grande servizio a sé stessa nel rapporto con la Libia.

ENRICO PIANETTA. Anch'io ringrazio la nostra ospite. Qui stiamo prendendo atto di una situazione veramente critica, preoccupante, direi disastrosa, come emerge da quello che lei ci ha illustrato e dall'integrazione del collega Barbi, che ha


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dato un contributo sulla base della sua recentissima missione.
Siamo di fronte ad una situazione caratterizzata da una grande inconsistenza del Governo attuale. Lo dico sulla base non di una mia opinione, ma di quanto ho ascoltato.
Quando la direttrice afferma - correttamente, mi pare - che l'autorità centrale non ha né la capacità né la volontà politica, siamo veramente di fronte ad una difficoltà anche da parte nostra.
Voglio citare, tra l'altro, come del resto ha fatto il collega Touadi, la visita recentissima del nostro Presidente del Consiglio, Monti, in Libia, alla sua prima uscita internazionale, accompagnato dal Ministro Terzi che, come sappiamo, fin dalle origini del suo incarico ministeriale ha dato particolare risalto alla volontà di dare preminenza e priorità alla promozione e alla tutela dei diritti umani; ne ha fatto anzi una base dell'attività politica internazionale, in questo riprendendo tutta la nostra tradizione, sia ben chiaro.
Siamo di fronte a una situazione che vede le milizie svolgere indubbiamente attività incontrollate e in cui addirittura si vocifera circa una possibile non continuazione dell'integrità territoriale, che evidentemente prende origine da una situazione storica, tribale e quant'altro.
Nel testo della Costituzione provvisoria, datata addirittura 3 agosto 2011, quando ancora Tripoli non era stata conquistata da chi oggi rappresenta le forze di governo in Libia, si legge però - e questo ci fa ben sperare, perché sebbene esprimere dei principi sia una cosa e realizzarli è un'altra, quando i principi vengono espressi c'è perlomeno una base di partenza - all'articolo 7 (che io spero venga mantenuto) che lo Stato salvaguarda i diritti umani e le libertà fondamentali e si impegna ad aderire alle dichiarazioni internazionali; o all'articolo 10 che lo Stato garantisce il diritto di asilo e ai sensi della legge proibisce l'estradizione dei rifugiati politici. Direi quindi che le premesse costituzionali sono indubbiamente importanti, fondamentali, e che questo è un elemento di grande speranza, collegata al fatto di poter avere degli interlocutori, perché il Parlamento può fare un'attività di diplomazia parlamentare, ma svolge un ruolo essenzialmente di controllo e di valutazione di tutto ciò che può fare il Governo.
Come ho detto poco fa, il Governo si è espresso conseguentemente e ha voluto dare un segnale molto importante nei confronti della Libia. Quello che sta facendo l'Italia comprende quindi un insieme di elementi estremamente pragmatici, ma incontra come elementi di difficoltà sia la situazione interna che lei ci ha illustrato, sia il percorso determinato da una fase di transizione verso qualcosa che ci auguriamo possa andare nella direzione espressa nei principi contenuti in questa bozza di testo costituzionale.
Al di là delle sollecitazioni che lei ha fatto nei confronti del Parlamento e di questo Comitato e al di là del fatto che affronteremo nuovamente il tema anche in occasione delle discussioni successive alla relazione del collega Barbi, vorrei chiedere soltanto se avete in atto degli ulteriori contatti con il Governo locale, per capire, sviluppare e avere degli elementi di ritorno, che possano essere oggetto di nostra particolare attenzione, perché credo che tutta la situazione debba essere monitorata costantemente in questa fase di transizione.
Come ritenete di poter continuare a mantenere i rapporti e a mettere in atto la vostra azione nei confronti degli interlocutori libici?

PRESIDENTE. Prima di ridare la parola ai nostri ospiti, vorrei fare notare due cose che sono emerse. Una delle due non è emersa, per la verità, ma è rimasta a galleggiare ai bordi del nostro discorso, non nominata. L'altra è la questione del rapporto tra il Ministero dell'interno e il Ministero degli esteri, perché noi continuiamo a riferirci al Ministero dell'interno, al punto che voi avete parlato con il Ministro Cancellieri, quando credo avreste dovuto parlare con il Ministro Terzi o come minimo con tutti e due.
Prima di questo, vorrei venire un attimo alla raccomandazione che vi faceva


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poco fa l'onorevole Pianetta, per dire di non dimenticare che in questa audizione noi stiamo avendo come protagonista Amnesty International Italia, che ci sta dicendo cosa fa o non fa l'Italia, e quindi ci sta interrogando direttamente e, come Amnesty International italiana, sta dando direttamente ragioni di riflessione a deputati italiani di un Comitato italiano.
Rimane il problema di sapere se è legittimo, visto che l'Italia se n'è occupata così poco, rivolgere a loro la domanda se possano fare di più e continuare a mantenere dei contatti che hanno già avviato con la Libia in quanto Amnesty International italiana, non dimentichiamolo. Non è l'Amnesty International libica!
La parabola di tutto ciò che fanno ricade sulla nostra responsabilità e sul nostro lavoro, quindi Amnesty ci ha portato delle ragioni di riflessione, ma queste riflessioni cadono qui, sono nostre, e quindi non ci riesce di farle rimbalzare su un altro Paese. È terribile quello che avviene in Libia, ma cosa stiamo facendo noi? Ecco la riflessione che loro ci hanno portato.
Vorrei qui ricordare che noi non abbiamo parlato del Trattato, che esiste tuttora. Disinvoltamente ci è stato detto per settimane e settimane, starei per dire per mesi, dopo l'apparizione di un cosiddetto «Governo libico» - che è molto shaky, molto impreciso nel proprio potere e nelle proprie funzioni, purtroppo - che il Trattato valeva. Per fortuna da parte libica è venuta una precisazione, secondo cui sarebbe stato necessario riparlarne da capo e il Trattato non sarebbe rimasto in vigore così com'era.
Noi avevamo però già detto, si è detto in Commissione affari esteri, si è detto in questo Parlamento, che il Trattato veniva - pensate la parola, priva di senso diplomatico e storico - «ripristinato»: veramente una frase senza senso storico, perché mai nessun trattato è stato ripristinato, e senza senso politico, perché era stato condotto e fatto nel modo spaventoso che ricorderete, conclusosi con un baciamano del Presidente del Consiglio italiano. Stiamo parlando di un periodo della storia italiana che per fortuna è passato.
Nessuno ci ha detto però, né a questo Comitato, né a questa Commissione, né a questo Parlamento, se quel Trattato, che prevede i respingimenti in mare, in violazione di ogni diritto umano, in violazione di ogni trattato firmato dall'Italia, è tuttora in vigore.
Segnalo ai colleghi, e certamente voi ne siete al corrente, che è appena uscito nelle sale un film dal titolo Mare chiuso, nel quale è documentato e dimostrato come la Marina italiana, orgogliosamente pensata da tutti noi come il simbolo migliore della nostra presenza nei mari del mondo, si è presa la responsabilità di riconsegnare centinaia di persone, sette delle quali soltanto sono tornate per dire e mostrare sui loro telefonini l'orrore di ciò che avevano provato e la sequenza nella quale la Marina italiana li aveva traditi, prendendoli a bordo con l'affermazione che sarebbero stati portati in Italia, per poi consegnarli a quel tipo di polizia libica che sappiamo. Cose di questo genere devono essere ben presenti per noi, qui, adesso, nel momento in cui ascoltiamo le riflessioni e ammonizioni di Amnesty International.
Questo crea anche l'altro problema. Spontaneamente, direi giustamente o per ragioni naturali, i nostri ospiti di Amnesty International sono andati dal Ministro dell'interno, perché il Ministro dell'interno aveva a lungo usurpato le funzioni concernenti il che cosa fa l'Italia in alto mare; aveva preso il comando delle navi militari e dava ordini agli ufficiali italiani, in alto mare, fuori dalle acque territoriali italiane. C'era una commistione di responsabilità sovrapposte, nella quale il Ministro degli esteri si ritirava, annullava ogni funzione dell'ambasciata e del consolato, che non hanno mai funzionato, nemmeno quando è stato abolito l'ufficio delle Nazioni Unite, come succursale dei diritti umani per coloro che venivano in Italia.
Non era mai accaduto che le ambasciate e i consolati italiani lo facessero, in Libia, durante la persecuzione degli stranieri diretti in Italia, considerata Paese


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civile, che avrebbe potuto accoglierli o non accoglierli, ma in ogni caso li avrebbe dovuti trattare rispettando i loro diritti e secondo i trattati. Questa sovrapposizione di responsabilità fra Ministro dell'interno e Ministro degli esteri credo vada ricordata in questa occasione, perché è una delle cose su cui si deve chiedere un chiarimento definitivo, affinché questo pasticcio e questa sovrapposizione di responsabilità non abbiano più a ripetersi. Il Ministro degli esteri dice giustamente che i diritti umani sono la stella polare di questo Governo e, in un'altra occasione, purtroppo lo stesso Ministro degli esteri ci aveva detto che il Trattato sarebbe rimasto in vigore. Si tratta di una contraddizione impossibile da accettare.
Con questo terminano le osservazioni del presidente. Prima di ridare la parola ai nostri ospiti, vedo che l'onorevole Farina vorrà dire qualcosa in difesa del passato Governo.

RENATO FARINA. Se vuole aggiungere anche quello che devo dire io, va bene, presidente. Non voglio difendere quello che ha fatto il passato Governo, voglio dire che questo Trattato è stato votato anche dal Partito Democratico, in grandissima parte - questo bisogna dirlo - ed è frutto di una trattativa che è cominciata con il Governo Prodi, è poi proseguita avendo come Ministro degli esteri D'Alema e si è conclusa non con lo sbaciucchiamento, ma con il voto del Parlamento, che resta qualche cosa di importante, al di là dei dati di colore che ciascuno sottolinea come crede.
Detto questo, io confermo che ci sono stati dei fatti gravi, che non vanno assolutamente tenuti nascosti, ribadendo che comunque esistono delle responsabilità personali per chi ha messo a repentaglio la vita delle persone. Non credo che siano stati dati ordini simili, ma se ciò fosse avvenuto ovviamente la catena di comando si sarebbe spezzata, perché sono ordini irricevibili.
Va tenuto fermo il principio, che io ho personalmente tenuto sempre a ribadire, che esiste una responsabilità verso le persone respinte. Si deve cioè fare in modo che se si consegna una persona a un'autorità che non è sotto il proprio controllo, si deve fare in modo che non sia fatto del male a delle persone. Questa è una cosa che vale sempre e che deve valere anche in futuro, quando ci fossero rifiuti di asilo politico, perché può anche darsi questo caso, dato che non tutte le domande sono per forza da accettarsi automaticamente.
Detto questo, credo che giustamente si deve trarre insegnamento da vicende del passato, ma invito anche a non far prevalere una foga di polemica politica sulla necessità di trovare dei punti di incontro, per fare andare avanti esattamente la volontà espressa anche da questo Governo, di far valere i diritti umani.
Naturalmente con possibili impacci tecnici. Non so se in diplomazia si usi la parola «ripristinare».
La salvaguardia dei diritti umani va tenuta presente come linea assoluta, senza guardare in faccia nessuno e senza voler occultare o fare omissioni circa il passato. Il mio invito è a un maggiore equilibrio, per non guastare un lavoro comune costringendo a precisazioni che forse distolgono dal cuore del problema.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Farina. Solo per dire che la parola «ripristinare» è stata usata più e più volte dal Ministro Frattini ed è a lui che mi riferivo. Il Ministro Terzi, poi, purtroppo non ha chiarito e non ha precisato.

RENATO FARINA. Il Governo ha parlato di riattivazione del Trattato il 15 dicembre.

PRESIDENTE. Se ha usato la stessa parola, allora vale quello che, senza foga, mi sono permesso di dire.
Do ora nuovamente la parola ai rappresentanti della sezione italiana di Amnesty International.

CARLOTTA SAMI, Direttrice della sezione italiana di Amnesty International. Grazie, presidente. Ringrazio per le sollecitazioni e le domande. Io lascerei la


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parola alla dottoressa D'Alconzo, per affrontare alcune questioni specifiche sull'Italia, e poi al dottor Noury per affrontare invece le questioni più specifiche sulla Libia.

GIUSY D'ALCONZO, Rappresentante della sezione italiana di Amnesty International. Buongiorno presidente, buongiorno onorevoli.
Sul ruolo dell'Italia, noi abbiamo fiducia e vogliamo avere fiducia nel fatto che il nostro Paese voglia giocare un ruolo completamente diverso da quello giocato negli anni passati dal Governo e dai Ministri dell'interno. Se l'Italia vuole veramente voltare pagina, la possibilità c'è, i presupposti ci sono, però per confermare che questo sta effettivamente accadendo abbiamo bisogno di vedere degli atti concreti.
Un atto molto concreto sarebbe fare delle dichiarazioni chiare sulla vigenza degli accordi perché, come anche qui pocanzi veniva fuori dalla discussione, è evidente che non possiamo considerare gli accordi come non più validi, perché di fatto ciò non è mai stato detto pubblicamente né è stato mai detto a noi.
Stiamo parlando di due ordini di accordi. Innanzitutto, citerei gli accordi tecnici sottoscritti dal Ministro Amato nel 2007, che poi il Ministro Maroni ha modificato nel 2009. Sono quelli gli accordi che regolano la politica dei respingimenti e del pattugliamento in mare. Quegli accordi sono poi stati resi ancora più gravi, posso dire, nel 2009. Sono accordi di competenza ministeriale, che si potrebbero dichiarare sospesi e definitivamente non più validi, almeno dopo la «sentenza Hirsi». Questo abbiamo chiesto al Ministro Cancellieri, che abbiamo avuto molto piacere di incontrare, perché da molti anni un Ministro dell'interno non ci riceveva e questo per noi è stato un segnale di forte attenzione. Le avevamo chiesto l'incontro perché era stata annunciata una visita in Libia del Ministro Cancellieri e perché questo fa parte del nostro dialogo complessivo con il Governo, che è iniziato con una lettera al Presidente del Consiglio e proseguirà con altri incontri.
Anche sul Trattato del 2008 c'è evidentemente ancora confusione e si potrebbe capire come intervenire, ma serve una volontà chiara, per far diventare i diritti umani una stella polare praticamente e concretamente perseguita dall'Italia.
Crediamo che anche il Parlamento possa avere un ruolo più forte, quindi anche la Commissione affari esteri. Questo Parlamento ha ratificato quel Trattato nel giro di due mesi, e con le maggioranze che venivano giustamente ricordate - se non sbaglio l'87 per cento, quindi non solo tutti i partiti di maggioranza, ma anche la stragrande maggioranza dei parlamentari dell'opposizione - in un momento in cui in Libia c'era quello che la nostra direttrice prima ricordava: pena di morte, frustate alle adultere, maltrattamento dei migranti e dei rifugiati.
Bene, se questo Parlamento vuole giocare un ruolo diverso, deve tenere altissima, crediamo, l'attenzione sul futuro delle relazioni diplomatiche con la Libia, e può fare molto. Per questo, come lei ricordava, presidente, Amnesty si rivolge a tutti i Paesi e si rivolge anche all'Italia, perché ha un rapporto privilegiato con la Libia, il cui futuro dipende anche dal nostro Paese.

RICCARDO NOURY, Rappresentante della sezione italiana di Amnesty International. Grazie, presidente, buongiorno onorevoli. Darò due brevi risposte.
Anzitutto, rispetto alle valutazioni e alla domanda dell'onorevole Pianetta sul futuro dell'azione di Amnesty International. È un fatto, ed è un fatto positivo, che Amnesty International può entrare in Libia; lo fa con le sue modalità, e cioè con una visita annunciata, pubblica, nella quale chiede di avere accesso ai luoghi di detenzione, agli avvocati, alle vittime e ai loro parenti, ma naturalmente anche alle autorità politiche locali e alle direzioni delle carceri. Come ricordava la direttrice Sami, è stato fatto nel corso sia del 2011 sia del 2012, era stato fatto anche in


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precedenza e continueremo a farlo, visto che c'è questa condizione di autorizzazione a visitare il Paese, cosa che, salvo un'eccezione, non era stato possibile fare sotto il precedente regime.
Come sezione italiana di Amnesty International, abbiamo avviato un canale di comunicazione con la rappresentanza diplomatica libica in Italia. Un dialogo è in corso e una comunicazione si è aperta, in particolare con l'incaricato d'affari Salem Riani all'interno dell'ambasciata della Libia. Questo è per noi un segnale positivo, è la base per poi poter passare dalla disponibilità a parlare all'occuparsi effettivamente di contenuti d'interesse comune relativi ai diritti umani.
C'era una questione che l'onorevole Barbi e poi anche l'onorevole Touadi hanno ricordato, rispetto al fatto che questa dimensione di anomia o anarchia riguardi alcuni aspetti e parti del Paese, ma non altri. Si faceva riferimento, in particolare, alla condizione di sicurezza e di efficienza degli impianti di pompaggio. Questo è un segnale che conferma quanto Amnesty International dice rispetto al CNT: incapacità, da un lato, ma possibilmente assenza di volontà politica, dall'altro. Quando infatti c'è la volontà di controllare delle attività fondamentali per il rilancio del Paese, evidentemente la sicurezza c'è, anche perché naturalmente il target delle milizie non sono gli impianti petroliferi, ma i sospetti lealisti pro Gheddafi, i Tawargha, i cittadini dell'Africa subsahariana. Loro hanno quindi un target ben preciso, ma è chiaro che desta preoccupazione il fatto che ci siano situazioni e settori nei quali la sicurezza c'è, la si esige, la si ottiene, e altri in cui questa manca.
Da questo punto di vista, sarà interessante vedere in che modo il CNT potrà garantire lo svolgimento di una campagna elettorale per le elezioni che si terranno prossimamente nel Paese, perché questo vuol dire naturalmente avere sicurezza sul territorio in cui si svolge la campagna elettorale.
Chiudo soltanto riferendomi alla difficoltà nell'avere un'interlocuzione con chi non controlla il territorio, un tema e una perplessità sollevati dall'onorevole Barbi. Il CNT è stato identificato da molti Governi, riconosciuto come rappresentante della nuova Libia e quindi esiste ed è il soggetto con il quale occorre portare avanti rapporti e relazioni internazionali.
Come ricordavamo alla fine della relazione a proposto del capacity building, crediamo che tutti i Paesi che hanno preso parte all'operazione della NATO e che comunque sono stati coinvolti da un punto di vista militare o politico, abbiano delle responsabilità, rispetto a quell'istituzione che hanno riconosciuto, nel far sì che acquisisca controllo sul territorio e lo faccia garantendo il rispetto dei diritti umani fondamentali.

PRESIDENTE. Grazie a voi dei dati e dei fatti che ci avete portato e della riflessione che avete provocato e iniziato in questo Parlamento.

La seduta termina alle 13,10.

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