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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
26.
Martedì 27 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA

Audizione di rappresentanti dell'associazione messicana Cauce Ciudadano:

Colombo Furio, Presidente ... 3 6 7 8 12
Barbi Mario (PD) ... 6
Cruz Santiago Carlos Alberto, Presidente dell'associazione messicana Cauce Ciudadano ... 4 8
Dell'Olio Antonio, Responsabile del settore internazionale di Libera ... 3 11
Farina Renato (PdL) ... 7
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 8
Pianetta Enrico (PdL) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 novembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 10,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'associazione messicana Cauce Ciudadano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione di rappresentanti dell'associazione messicana Cauce Ciudadano.
Saluto e ringrazio per la sua presenza Carlos Alberto Cruz Santiago, fondatore dell'associazione Canale Cittadino, nata nel 1998 a Città del Messico con lo scopo di prevenire e contrastare la violenza dilagante tra i giovani del Distrito Federal e gli abusi delle forze di polizia, il quale è accompagnato da Antonio Dell'Olio e Stefano Fumarulo dell'associazione Libera.
Ricordo che lo scorso 5 giugno si è svolta, presso questo stesso Comitato, l'audizione di padre Solalinde, direttore del centro Hermanos en el Camino, anch'egli impegnato da molti anni nella difesa dei diritti umani in Messico, in particolare fornendo aiuto e protezione umanitaria ai migranti diretti negli Stati Uniti.
Do ora la parola ai nostri ospiti affinché svolgano la loro relazione.

ANTONIO DELL'OLIO, Responsabile del settore internazionale di Libera. Giusto una breve introduzione prima di cedere la parola a Carlos Cruz. Sono don Tonio Dell'Olio, responsabile dell'area internazionale di Libera, l'associazione contro le mafie che ormai da diversi anni ha inteso estendere il proprio raggio d'azione all'estero.
Oltre che in Europa, dove stiamo cercando di rafforzare il percorso di una direttiva europea sulla confisca dei beni, stiamo operando a livello latinoamericano. Collaborando con le associazioni che lavorano per la difesa e la promozione dei diritti umani, raccogliendo documentazione e dati nonché assistendo le vittime, ci siamo resi conto che la situazione messicana è particolarmente preoccupante, se non addirittura drammatica.
Per questa ragione il 3 dicembre lanceremo una campagna qui in Italia, che pensiamo di estendere in Europa, per accendere i riflettori dell'opinione pubblica e delle istituzioni sulla situazione drammatica che si vive in Messico da quando il Governo ha inaugurato la guerra al narcotraffico, guerra che ha prodotto un numero spaventoso di vittime. Presenteremo dati molto documentati per denunciare i 136.000 omicidi verificatisi negli ultimi sei anni nell'ambito di questa guerra, a cui si sommano i desaparecidos e le condizioni dei migranti. Quando abbiamo accompagnato qui padre Alejandro Solalinde se n'è parlato in maniera abbastanza diffusa.


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Siamo preoccupati in maniera particolare per la sorte dei difensori dei diritti umani. La storia di Carlos Cruz, che sicuramente potrà esporla meglio di me, è molto interessante perché la sua organizzazione nasce dalla sua esperienza di ex pandillero, ovvero di aderente alle bande giovanili delle periferie urbane messicane. Nel suo itinerario Carlos ha maturato una sorta di conversione e oggi si considera sempre un pandillero ma por la paz, per la pace.
Ultimamente è stato oggetto di pesanti minacce di morte. Ci rattrista dire che le minacce provenivano non tanto dagli ambienti del narcotraffico quanto da ambienti vicini all'attuale Governo, dove purtroppo la rete di collusioni e corruzione è abbastanza ampia.
Per concludere, vorrei solo anticipare la nostra richiesta in relazione alla campagna che intendiamo lanciare. Chiediamo che la Commissione che ci ospita quest'oggi esorti il Governo messicano, per il tramite dell'ambasciata messicana in Italia, a garantire la protezione ai difensori dei diritti umani e a Carlos Cruz in maniera particolare affinché si possa spingere per una politica non solo repressiva, come hanno inteso fare finora le istituzioni messicane, ma anche preventiva ed educativa, simile a quella che abbiamo sperimentato e stiamo continuando a sperimentare in Italia. Nel nostro Paese abbiamo la mafia e forse anche l'antimafia più antiche del mondo e abbiamo imparato a sviluppare e rafforzare gli anticorpi.
Scusandomi per essermi dilungato, passo la parola a Carlos Cruz.

CARLOS ALBERTO CRUZ SANTIAGO, Presidente dell'associazione messicana Cauce Ciudadano. Buongiorno a tutti e grazie per questa occasione di dialogo e di confronto sull'esperienza messicana. Grazie a nome dei circa seicentocinquanta educatori di strada che, insieme a vari altri soggetti della società civile, lavorano in Messico in sessanta comuni tra i più violenti, il cui territorio è controllato politicamente ed economicamente dalla criminalità organizzata, per riscattare bambine, bambini, adolescenti e giovani coinvolti nelle reti della criminalità organizzata.
Disperazione, povertà e mancanza di occasioni di crescita finiscono per determinare la sorte di molti giovani, ma negli ultimi cinque anni la maggior parte dei ragazzi che hanno cominciato a intessere rapporti con la criminalità organizzata lo ha fatto sotto la minaccia di vedere uccisi i familiari o sequestrate le sorelle.
In varie regioni del Paese stiamo anche subendo sequestri su vasta scala di giovani che poi vengono portati in altri luoghi della Repubblica messicana e costretti a lavorare dai gruppi criminali. Si calcola che siano più di 75.000 gli adolescenti e i giovani coinvolti in queste reti delinquenziali. I reati a cui prendono parte sono ventidue dei ventitré definiti dalla Convenzione di Palermo.
È un dato molto duro per noi. Possiamo trovarci di fronte a casi come quello di Tenacingo nello stato di Tlaxcala, nel Messico centrale, il comune dove la DEA (Drug Enforcement Administration) registra il maggior numero di denunce per tratta di esseri umani. Lì salviamo donne, bambini, adolescenti, ma le reti di corruzione che coinvolgono la polizia e alcuni livelli della politica non ci lasciano lavorare. La criminalità organizzata in Messico, oggi, può essere capita solo se si tiene conto dei legami mafiosi tra funzionari pubblici, specie dei settori della pubblica sicurezza, e organizzazioni criminali.
Noi lavoriamo direttamente nelle scuole. Facciamo prevenzione e cerchiamo di cambiare l'immaginario dei ragazzi. Il 92 per cento degli adolescenti nelle scuole di questo comune diceva di voler diventare da grande un protettore. Grazie al nostro lavoro, negli ultimi due anni siamo riusciti a ridurre questo modo di pensare al 24 per cento. Cominciamo a sentire gli adolescenti chiederci quali altre occasioni potranno avere, oltre all'unica possibilità che veniva loro presentata e cioè aderire a un gruppo criminale e dedicarsi allo sfruttamento delle donne.
In un'altra città, Ciudad Juárez, nel nostro lavoro quotidiano dentro le scuole


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e nei quartieri abbiamo a che fare con bambini di dodici o tredici anni che sono stati ingaggiati per commettere reati e guadagnare qualche soldo. Un bambino di Anapra, una borgata di Ciudad Juárez, ci diceva che a causa della mancanza di mezzi e della perdita del posto di lavoro da parte di sua madre non avrebbe più potuto andare a scuola perché non sarebbe stato più in grado di pagare la tassa di iscrizione richiesta all'inizio dell'anno scolastico, nonostante si dica che in Messico l'istruzione è gratuita.
Questo bambino per prima cosa esce in strada e incontra il sicario, il killer del barrio, colui che si occupa della sicurezza per conto di un gruppo criminale. Parla con lui e gli chiede in che modo potrebbe aiutarlo. L'altro, ventunenne, dice al bimbo che può avere dei soldi, ma se li deve guadagnare. Gli dà una pistola e gli dice chi ammazzare. Il bambino - parliamo di un dodicenne - prende la pistola e uccide una persona per sessanta dollari, per poter continuare a studiare.
Sempre a Ciudad Juárez abbiamo seguito vari casi di omicidio plurimo di adolescenti e giovani, uccisi e poi presentati come appartenenti a bande criminali, e abbiamo ascoltato dichiarazioni assurde e dolorose per il popolo messicano da parte del presidente Calderón. Affermando che erano stati assassinati perché membri di bande, egli ha violato il giusto processo e il diritto all'esercizio della giustizia.
Abbiamo seguito in tutto sessantaquattro casi di pluriomicidio di giovani su tutto il territorio nazionale, in cui sono rimasti uccisi più di 714 tra adolescenti e giovani presentati come presunti delinquenti. Durante le indagini svolte dalla nostra organizzazione a stretto contatto con le comunità siamo venuti a sapere che quei ragazzi avevano tutt'altra vita, avevano un nome. Erano studenti, lavoratori. Alcuni di loro, nonostante la giovane età, hanno lasciato dei figli.
In nessuno di questi casi le autorità giudiziarie hanno potuto dimostrare che si trattasse di criminali perché le indagini non funzionano e non c'è un reale accesso alla giustizia. È per questo che siamo stati costretti a uscire dal Messico. Non parlo solo di me. Chiedere la revisione di questi casi ci ha procurato minacce non da parte della malavita organizzata, ma delle connivenze che ci sono tra polizia, procure e gruppi criminali.
Abbiamo subito perquisizioni dei nostri archivi, accessi illegali alle nostre banche dati e alle nostre sedi, il furto dei computer in cui erano archiviati i documenti e anche della nostra posta elettronica. Nulla si salva, nemmeno il cloud perché sono entrati anche lì e ci hanno sottratto dei dati. Le minacce e la poca sicurezza che lo Stato messicano offre a giornalisti e difensori dei diritti umani ci costringono a vivere fuori dal Messico.
È importante poter raccontare in questa sede il lavoro che da anni la nostra organizzazione compie, giorno per giorno, nelle scuole delle città e delle zone controllate dal crimine organizzato, entrando in contatto con 65.000 giovani all'anno e con più di tremila appartenenti a bande per aiutarli a fuoriuscire dalle reti criminali. È importante parlare di questo con voi perché la lotta al crimine organizzato, secondo noi, non deve rimanere all'interno del Messico. È una lotta da combattere globalmente.
In ambito legislativo è importante che in Messico si apra un dibattito sulla «smobilitazione» degli oltre 75.000 adolescenti coinvolti. Il calcolo che si fa oggi in Colombia a proposito delle FARC oscilla tra i 12.500 e i 15.000 membri. In Messico si parla, invece, di 75.000 giovani armati, associati alla criminalità organizzata, che non riescono a trovare una via d'uscita. Il Governo federale ha avviato una strategia di criminalizzazione nei confronti di tutti questi ragazzi, senza mettere a fuoco i modi in cui sono stati sequestrati e cooptati.
Ci auguriamo di essere accompagnati da strutture internazionali nell'avviare questo processo di smobilitazione e «depistolizzazione». Chiediamo l'introduzione di norme per la gestione sociale dei beni confiscati e l'avvio di cooperative per il reinserimento economico su questa base,


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un sistema di assistenza psico-sociale, ma soprattutto un sistema giudiziario che raggiunga due risultati concreti: una giustizia di restituzione, attraverso la quale lo Stato restituisca a questi adolescenti i loro diritti, e una giustizia di ripristino affinché sia loro permesso, anche se hanno commesso un reato, di lavorare per riparare il danno inferto alla società.
Stiamo pensando a una legge che comporti non solo il perdono, ma anche la giustizia e la pace. La nostra organizzazione ha ben chiaro che in Messico non si può parlare di pace. Abbiamo un passato di pedine dei gruppi criminali. A dodici anni io ho cominciato a capire e a quattordici anni mi sono accorto in che cosa ero coinvolto. Non vogliamo che questo capiti ad altri in Messico. Purtroppo però negli ultimi sei anni questo fenomeno si è moltiplicato a velocità esponenziale.
La corruzione e la collusione tra politici, mafie e gruppi criminali ha portato a questo. Il sistema che noi proponiamo accompagnerebbe il processo di pacificazione, ma genererebbe altri due risultati. Da un lato favorirebbe il radicamento dei messicani nella propria terra e il riconoscimento del valore del lavoro legale. Inoltre, ridurremmo il numero di omicidi e i danni patrimoniali che ne derivano.
Vorrei concludere con un caso che mi ha raccontato questa mattina la coordinatrice della nostra associazione a Ciudad Juárez, Beatriz Lozoya. Mi ha telefonato addolorata perché ieri suo cugino quarantenne, padre di tre figli, è stato ucciso per essersi rifiutato di pagare il «pizzo». A riscuotere erano due ragazzi di venti e ventuno anni. Ecco cosa viviamo tutti i giorni in Messico. Se mi sembra importante citare questo episodio è per mostrare quali reati ruotino attorno a fatti simili.
Armi di uso esclusivo dell'esercito finiscono in mano a ragazzi, entrando nel Paese attraverso le nostre dogane erose dalla corruzione. I giovani pensano che l'unico modo per procurarsi mezzi economici e sconfiggere la povertà sia aderire alla criminalità organizzata. C'è poi il danno patrimoniale, a cui la polizia non riesce a far fronte. Nonostante Ciudad Juárez sia praticamente occupata dalla polizia federale preventiva, non ci si occupa dei casi denunciati dalla popolazione.
Quello di oggi è per me un altro caso emblematico, che per di più colpisce una compagna che sta combattendo affinché meno giovani siano coinvolti. La domanda che noi tutti ci poniamo ogni giorno è chi ci aiuterà a fermare ciò che sta accadendo. Noi stiamo agendo. Lavorare tutti i giorni nelle strade e nelle scuole significa lavorare per smantellare la base sociale del crimine organizzato, ciò che il Governo meno si è ripromesso di fare con la sua strategia attuale.
Se vogliamo impostare un dibattito che influenzi il nuovo Governo nei suoi rapporti con i vari soggetti politici a livello globale, non dobbiamo puntare solo alla riduzione degli omicidi. Ridurre gli omicidi e basta ci metterà di fronte a una pax mafiosa che noi messicani non vogliamo. Noi vogliamo puntare a ridurre i reati patrimoniali che colpiscono la proprietà individuale.
Una persona che gestisce una piccola attività o un negozio e si rifiuta di pagare il pizzo perché sa che, se qualcuno ha diritto a riscuotere le tasse, quello è il governo, viene uccisa. Se non ridurremo i reati patrimoniali non riusciremo a diminuire nemmeno gli omicidi. Altrimenti, più gente si rifiuterà di pagare, più gente sarà assassinata per questo motivo.
Mi pare di primaria importanza che, partendo da ciò che ho sin qui descritto e dalle reazioni che vedo sui vostri volti, si possa avviare un breve confronto utile a chiarire i vostri eventuali dubbi.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio molto Carlos Cruz per questo suo intervento così chiaro, limpido ed efficace sul piano narrativo.
Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Ringrazio i nostri ospiti per la loro testimonianza impressionante e molto toccante. Capisco che il loro tentativo di modificare una situazione


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estremamente difficile si scontri con avversari potenti, quali la criminalità organizzata e apparati dello Stato coinvolti in ciò che dovrebbero contrastare. Mi sembra un'impresa disperata, ancorché mossa da intenzioni straordinariamente condivisibili e positive, quella di fermare il reclutamento di bambini e adolescenti per sostenere un'economia del crimine coperta anche da coloro che dovrebbero combatterla.
Ho una domanda politica da rivolgervi. È stato posto l'accento sul racket che riguarda i piccoli commercianti e che rappresenta una dimensione di estremo rilievo. Tuttavia, il nesso che salta agli occhi a una persona lontana come sono io dal Messico è quello del narcotraffico, cioè l'esistenza di correnti di traffico di droga e di un ambiente favorevole alla costruzione di complessi criminali e corruttivi.
Le politiche proibizionistiche di contrasto al narcotraffico si sono rivelate tutte inefficaci e senza successo. Pare sia in corso un ripensamento che ha alla propria radice l'idea che forse il proibizionismo produce l'effetto contrario a quello che dovrebbe ottenere. Cosa ne pensate voi, che agite sul posto, avete informazioni e potete farvi un'opinione su questa questione di fondo?
È opportuno, secondo voi, rivedere alla radice le politiche internazionali proibizionistiche adottate nel corso degli ultimi decenni per combattere il traffico di droga?

PRESIDENTE. Il senso della domanda, signor Cruz, è sapere se nel vostro Paese è sentita come da noi la dicotomia tra queste due soluzioni: stroncare con più forza o abbandonare il campo introducendo regole di depenalizzazione che tolgano il giro d'affari dalle mani della malavita, facendo diventare la droga, come il tabacco, una materia relativamente accessibile. Esistono nel mondo delle posizioni di questo genere.
Vorremmo conoscere il vostro parere al riguardo e sapere se qualche esperimento è stato fatto o sarebbe auspicabile. Nel mondo finora ciò non è avvenuto. Benché la situazione in molti grandi Paesi non sia tragica come quella messicana in questo momento, ci sono tutti gli elementi perché lo diventi.
Ciò riguarda molte aree sia dell'Italia sia di Paesi protagonisti dello sviluppo economico.

RENATO FARINA. Sono rimasto molto colpito da due aspetti.
In primo luogo mi ha colpito la forza della testimonianza non solo in negativo, ma anche in positivo. Credo che la sua grande forza stia nella possibilità di intravedere una via d'uscita, di trovare soluzioni che non si appoggiano semplicemente su nuove regole, ma favoriscano il cambiamento attraverso l'incontro con un'altra esperienza.
Il secondo aspetto che mi ha colpito è la mia ignoranza. Pensavo di essere informato e so che il Messico ha il più alto tasso di omicidi al mondo, ma questa pervasività della malavita organizzata e l'estensione delle complicità colgono effettivamente alla sprovvista.
Anch'io ritengo importante la domanda del collega Barbi a proposito del fatto che si sia riflettuto su proibizionismo e legalizzazione, anche se, a occhio e croce, la legalizzazione finirebbe in mano agli stessi soggetti dello Stato che abbiamo visto essere complici della malavita. Il discorso di sistema è tuttavia molto interessante.
Vorrei anche chiederle che tipo di rapporti abbia manifestato il Governo italiano nei confronti di quello messicano al riguardo di questa tematica. C'è una collaborazione seria o si lascia che ciascuno faccia a casa propria quello che crede? Ho sentito, per altro, un giudizio molto duro sul Presidente Calderón.
Altra questione è quella che riguarda la Chiesa cattolica. Sappiamo tutti che, all'interno di questa lotta, sono stati assassinati alcuni cardinali e che altri sacerdoti, come abbiamo appreso dalla testimonianza di padre Solalinde, sono minacciati quando presenti in modo efficace.
Vorrei un giudizio su questo e sul tipo di mobilitazione che ci chiedete.

ENRICO PIANETTA. Ringrazio anch'io i nostri ospiti per la testimonianza che ci


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hanno voluto offrire. Non c'è dubbio che, pur essendo la situazione messicana conosciuta, di fronte a queste testimonianze la reazione di chi ascolta è di riprovazione e di condanna, e credo che siano gli stessi sentimenti che noi tutti abbiamo provato in questi momenti.
A mio modo di vedere, il Messico da solo non ce la può fare. Ci sono troppe connivenze, tensioni e corruzioni. Non è forte soltanto il crimine organizzato, ma anche la connivenza e il rapporto che esso ha stretto con varie realtà all'interno del Paese. Credo che sia estremamente positivo il fatto che siate venuti nel nostro Parlamento a illustrare la situazione e vi chiedo se stiate sviluppando questa modalità di comunicazione.
Come ripeto, è mia impressione che da solo il Messico non possa farcela. È, quindi, necessario un coinvolgimento di carattere internazionale in una dimensione tanto bilaterale quanto regionale. Penso, per esempio, all'interfaccia con l'Unione europea, con le realtà regionali dell'America Latina, ma anche con le Nazioni Unite, a livello - per quanto può valere - di Commissione per i diritti umani.
Quali sono le dimensioni internazionali che, se coinvolte, potrebbero innescare e sviluppare un'azione in grado di contribuire allo sradicamento di questo groviglio di connivenze foriero di delitti, assassinii e lutti inaccettabili per le coscienze?

FIAMMA NIRENSTEIN. Ringrazio molto Carlos Cruz, anche se il suo perfetto racconto della «pistolizzazione» dei ragazzini ci trascina in un universo del male quasi metafisico. Più che spingermi all'azione, ciò crea in me un imbarazzo profondo con la mia stessa coscienza.
Non saprei cosa dire se non che certamente occorrerebbe una giornata di discussione per capire dove risieda la radice di un male così grandioso. Certamente c'è qualcosa che va al di là un regime e che affonda nella storia del vostro Paese e dell'America Latina in generale. Lei citava anche la Colombia, con la quale ho rapporti più stretti per motivi familiari. Ho cara una persona che teme continuamente che suo figlio di diciassette anni, rimasto in Colombia, venga ucciso e giorno dopo giorno mi propone il suo terrore, nel quale io leggo, alla rovescia, il timore che quel figlio possa anche uccidere. Mi chiedo, quindi, quale sia il punto centrale di questa tragica vicenda.
In secondo luogo, una volta «depistolizzati», come lei diceva, questi ragazzi possono essere reinseriti in una realtà normale e in che modo? Sono stati fatti degli esperimenti che ci possano confortare oppure ci si muove in un universo di principi rispetto ai quali possiamo compiere gesti di buona volontà senza una speranza effettiva?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

CARLOS ALBERTO CRUZ SANTIAGO, Presidente dell'associazione messicana Cauce Ciudadano. Cercherò di dare risposte chiare.
Riguardo alla lotta al narcotraffico, sin dall'inizio abbiamo sottolineato al Governo federale che la strategia fondata su azioni di forza con l'impiego dell'esercito e della polizia non serve a niente se non va di pari passo con una serie di riforme strutturali che aiutino a impiantare sistemi di intelligence militare e di polizia, a smantellare la base finanziaria della criminalità organizzata e soprattutto ad attuare la prevenzione sociale della malavita organizzata. Di questo contesto fa parte anche la discussione sulla depenalizzazione e la legalizzazione del consumo.
Ciò che noi vediamo oggi in Messico è che il degrado del tessuto sociale causato da questa guerra è tale, che manca una trama sociale che, a partire dalla struttura di governo, possa supportare un sistema di prevenzione dell'uso di droghe. Se si liberalizzasse oggi, con il livello di danno psico-sociale che affligge le comunità e con il grado di vulnerabilità di bambini, bambine e adolescenti subito si produrrebbe un grave problema sanitario a causa del consumo di sostanze stupefacenti. In questi anni è stato fatto assai poco per la


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prevenzione e quel poco ha avuto scarso impatto.
È in corso un dibattito assai acceso in Messico. Negli Stati Uniti tre Stati hanno aperto all'uso ricreativo della marijuana, ma questo scatena una discussione che non deve riguardare solo il Messico. Deve coinvolgere il Canada, gli Stati Uniti, il Messico, l'America centrale e portare a una decisione regionale. Non siamo contrari e non criminalizziamo i consumatori, che vanno assistiti. Ci è chiaro però che ogni volta che il rampollo d'un imprenditore consuma un grammo di cocaina in una discoteca del quartiere più lussuoso di Città del Messico, con la sua dose paga la pallottola che domani ucciderà un bambino in Messico.
Il crimine non va visto attraverso la caricatura del narcotraffico. Ci sono anche altri reati. In questo momento la discussione sulle droghe è secondaria rispetto a quella sullo smantellamento della base finanziaria del crimine organizzato. In Messico, ad esempio, non esiste l'impiego sociale dei beni confiscati, che non si sa dove vadano a finire. Vengono messi all'asta e talvolta i gruppi criminali li ricomprano diventandone legalmente i proprietari. Secondo noi la discussione va riorientata e concentrata sul modo di ridurre i legami politici e finanziari.
La banca HSBC, ad esempio, ha riconosciuto di aver riciclato per più di dieci anni il denaro dei cartelli messicani. Invece di proibirle di operare in Messico, in modo da proteggere i risparmiatori onesti, è stata multata e le è stato consentito di continuare a lavorare in cambio di scuse pubbliche, che però non sono state indirizzate alle vittime innocenti del crimine organizzato.
Sono esempi che vi faccio per dimostrare che la strategia deve essere molto più aperta e non limitarsi a smettere di lottare contro il consumo. Inoltre quella che si vuole legalizzare è la marijuana, ma in Messico è cresciuta massicciamente la produzione di anfetamine, come pure lo stoccaggio di cocaina. Con la combinazione tra anfetamine e topicidi, escogitata dai chimici, si avvelenano i giovani per le strade. Se passasse la proposta di depenalizzazione, quale sarebbe la qualità delle droghe?
Noi siamo aperti alla discussione. Vediamo però che il tessuto sociale che potrebbe prevenire il consumo è oggi debolissimo. Per almeno cinque anni il Governo federale, i governi regionali e comunali e la società civile dovrebbero tentare di costruire un tessuto sociale forte, solido e agile, capace di affrontare la questione della prevenzione dell'uso delle sostanze a livello sistemico ed evitare un problema sanitario, come succede con l'alcol o il tabacco in molti Paesi dell'America latina.
Non accusiamo il Governo del Presidente Calderón di essere colpevole degli omicidi. In vari casi ha, però, peccato per omissione. A più riprese, il Presidente ha parlato di danni collaterali riferendosi agli omicidi di civili innocenti. Per noi questo è molto triste. Che il capo dello Stato messicano parli così rappresenta secondo noi un'omissione.
È vero che la Chiesa cattolica e altre chiese sono state colpite direttamente. I loro rappresentanti sono stati sequestrati o minacciati. Molti alleati della Chiesa cattolica che lavorano direttamente nelle comunità, assistendo migranti e giovani, sono stati minacciati. Tuttavia, il fatto che queste persone appartengano alla Chiesa cattolica e siano autorità ecclesiastiche permette loro di avere un livello di protezione diverso da quello di cui possono beneficiare altre organizzazioni.
La mobilitazione della Chiesa nella costruzione della pace è una realtà quotidiana. Ogni giorno molti sacerdoti cercano di organizzare e intessere rapporti con la società civile anche in assenza di un legame religioso. Questo è molto importante perché attualmente siamo tutti vittime. Però, quando non vediamo ciò che sta succedendo, siamo anche tutti - e tutte - carnefici. Condannare ciò che succede in Messico ci sembra importantissimo, ma la condanna dovrebbe essere accompagnata dall'azione.
Il crimine organizzato è presente nell'82 per cento dei comuni messicani. L'82


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per cento dei comuni messicani è caratterizzato da questo o quel reato ascrivibile alla malavita organizzata e regolarmente questi reati dipendono dall'esistenza di legami mafiosi con qualche autorità municipale, dalla polizia al sindaco, al giudice locale.
La situazione è diversa da quella della Colombia perché lì i criminali sono voluti diventare politici. In Messico, invece, molti politici sono diventati criminali. È successo l'inverso. Negli ultimi venticinque anni la corruzione ha procurato a sindaci e a deputati grandi profitti, che li hanno portati a saper bene come impiegarli. Si vuol trattare ideologicamente la questione della criminalità organizzata pensando che siano il PAN (Partido de Acción Nacional), oggi al governo, o il PRI (Partido Revolucionario Institucional) a controllare i gruppi criminali, ma noi affermiamo che non è vero. Lavorando in strada direttamente con la gente possiamo dire, in base alle nostre informazioni, che in tutti i partiti politici ci sono personaggi legati alla malavita. Si fanno fotografare con i capi banda e li frequentano nei bar, nei ristoranti e nelle discoteche.
Ci sembra importante che il dialogo con il Messico non riguardi solo lo sviluppo, che comunque non dovete trascurare. Ma io m'immagino un dialogo tra deputati messicani e italiani sulla lotta alla criminalità organizzata. La cooperazione deve essere una cooperazione antimafia, e non solo cooperazione allo sviluppo. Quest'ultima, infatti, in Messico interessa regolarmente le zone non problematiche. È lì che vanno a finire le risorse dell'Unione europea e della cooperazione italiana. Noi vorremmo che i bandi e i sistemi di accompagnamento finanziario e tecnico tenessero conto della dimensione antimafia.
Insieme a sessantatré organizzazioni stiamo portando avanti la costituzione di un sistema nazionale di smobilitazione con un'importante appendice che voi già possedete, cioè l'uso sociale dei beni confiscati. Su questo avete molto da insegnare a noi e alla società civile, ed è il motivo per cui lavoriamo con Libera. Anche i nostri deputati dovrebbero ascoltare, perché le leggi non possono essere solo decorative. La legge messicana in materia (Ley de extensión del dominio) è, infatti, una barzelletta.
Ci preoccupa molto il legame tra gruppi criminali messicani e italiani. Da molti rapporti si evince che uno dei gruppi messicani più violenti, gli Zetas, formato da ex militari che hanno sloggiato il cartello che li aveva ingaggiati, assumendo il controllo del suo territorio, ha rapporti con la 'ndrangheta. È un legame sul quale bisogna lavorare. È importante che la prevenzione che facciamo noi nel territorio dove operano gli Zetas sia collegata a quella che fate voi là dove agisce la 'ndrangheta.
Per quanto riguarda la mobilitazione in sede ONU, all'inizio si parlava della situazione in Messico, poi non se ne è parlato più. L'ONU ha utilizzato risorse pubbliche, attraverso l'UNDP e altre agenzie, per stilare rapporti sulla situazione in Messico, ma non ha finanziato molte azioni concrete per modificare l'azione del Governo contro il crimine organizzato. Nei confronti di molte agenzie dell'ONU c'è un sentimento contrastato, ma che può arrivare fino a un senso di abbandono.
In questi sei anni 343 bambini di meno di un anno sono stati assassinati durante scontri legati alla criminalità organizzata. Di fronte a questo, i vari organismi dicono di dover lavorare su dei protocolli. Noi siamo d'accordo, ma vogliamo che pubblicamente si dica che questa strage deve cessare. Parliamo di neonati che appartenevano a famiglie di malavitosi, o vivevano nello stesso edificio in cui queste famiglie abitavano, e sono caduti vittime di esecuzioni da parte di gruppi rivali. Purtroppo il Governo, nei suoi conteggi, include questi neonati tra gli appartenenti ai gruppi criminali. Ciò che succede è inconcepibile, ma va detto. In ogni caso all'ONU abbiamo alleati che cominciano a discutere in termini diversi.
Il Plan Merida, sottoscritto tra Stati Uniti e Messico, è consistito principalmente nel trasferimento di tecnologie militari: armamenti, elicotteri. Il mese scorso


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abbiamo visitato la Banca interamericana di sviluppo per chiederle di sostenere una strategia affinché meno imprenditori si leghino alla criminalità organizzata e si faccia, da parte degli imprenditori, un maggior uso sociale dei beni confiscati. La cosa più importante che abbiamo proposto è però un sistema di conversione tra debito interno e debito esterno legato alla riduzione dei reati contro il patrimonio. In questo modo le condizioni di riduzione del debito nei confronti della Banca interamericana di sviluppo sarebbero collegate al calo degli omicidi e alla riduzione del danno patrimoniale. Se il Messico agisce, che ciò si traduca in un alleggerimento del debito: è questa la nostra proposta alla Banca.
Come associazione, non possiamo seguire solo una logica politica, economica e sociale. Non sappiamo se la questione è metafisica, ma senz'altro è spirituale. Dobbiamo agire anche a quel livello perché la violenza che stiamo vivendo si respira nell'aria. Quando sono arrivato all'aeroporto di Roma, per prima cosa sono stato riconosciuto come messicano da parte delle autorità aeroportuali e sono stato perquisito. Stavano facendo il loro lavoro, ma ho la sensazione che a messicani e messicane stia capitando quello che per anni è successo ai colombiani, cioè essere perquisiti minuziosamente negli aeroporti.
Spero che mai ai Paesi membri dell'Unione europea passi per la mente di chiederci il visto perché questo ci farebbe sentire più soli che mai. È il segnale che il Governo canadese ci ha inviato nonostante il trattato di libero scambio. Oggi ci sono più richieste di visto per il Canada che per gli Stati Uniti.
La storia del crimine organizzato è molto lunga e non si può capire se non si conoscono le guerre combattute negli anni Sessanta in Asia. Nel 1963-1964 comincia la guerra del Vietnam e molti territori della costa del Pacifico vengono affittati per seminare il papavero da cui ricavare la morfina per la guerra. Quelle piantagioni sono state poi utilizzate per produrre la morfina e l'eroina per chi tornava dalla guerra del Vietnam.
In questa storia nasce e cresce una rete di corruzione, ma in Messico c'è una nuova generazione, giovane, che sta scendendo nelle piazze e sta lottando per cambiare tutto questo. Bisogna sfruttare questo capitale sociale che stiamo cominciando a costruire, altrimenti andrà perso. Siamo una democrazia acerba, debole a causa del forte legame che esiste tra la criminalità organizzata e il suo denaro da una parte e le campagne elettorali dall'altra. I partiti politici non hanno voluto aprire le liste affinché fosse la gente a scegliere il proprio rappresentante. Hanno insistito sulle liste chiuse e sono loro a decidere chi è capolista e chi va in fondo.

ANTONIO DELL'OLIO, Responsabile del settore internazionale di Libera. Vorrei segnalare che la delegazione è composta anche da Stefano Fumarulo, che ha lavorato presso le Nazioni Unite ed è l'esperto di Libera per il Messico.
Lo sottolineo perché, avvantaggiandoci dello status consultivo che ormai diversi anni fa è stato riconosciuto a Libera presso le Nazioni Unite, abbiamo fatto presente in diverse sedi e soprattutto allo United Nation Office on Drugs and Crime (UNODC) di Vienna la situazione messicana e le strade che, secondo noi, sarebbero da battere. Oltre alla repressione, crediamo che occorra l'«antimafia sociale» come nell'esperienza italiana.
Concordo con le risposte che ha fornito Carlos Cruz, compresa quella che riguarda la Chiesa cattolica e che mi coinvolge in prima persona. Per quanto riguarda le politiche proibizioniste, devo candidamente confessarvi che il dibattito è aperto anche all'interno di Libera. Libera non è un'associazione, ma una rete di associazioni all'interno della quale alcuni sono molto d'accordo sulla liberalizzazione o legalizzazione delle droghe e altri invece hanno riserve.
Per quanto ci riguarda perveniamo però tutti a una conclusione e cioè che le politiche repressive e proibizioniste finora messe in atto sono state un totale fallimento. Le nostre fonti ci dicono, infatti, che la produzione e il consumo di droga


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sono aumentati. Inoltre, queste politiche hanno sicuramente avvantaggiato quello che attualmente è un potere economico davvero forte.
Mi permetto di tornare sulle richieste iniziali affinché questa audizione possa sortire qualche frutto. La prima è che da parte vostra, nella misura e nella forma che riterrete opportune, si possa far presente all'ambasciata messicana in Italia l'esigenza di protezione per i difensori dei diritti umani e, come aggiungeva Carlos, per i giornalisti.
Per rispondere all'onorevole Farina, che poneva il tema del coinvolgimento italiano e delle attività italiane di cooperazione, che sarebbero quanto mai importanti, abbiamo notizia di alcune forme di cooperazione giudiziaria, ad esempio, per la formazione dei magistrati. Sarebbe tuttavia importante, a mio avviso molto sommesso, presentare un'interrogazione al Ministro degli esteri per capire in che maniera si ponga l'Italia.
Per altro, tra qualche giorno si insedierà il nuovo Governo messicano e non a caso lanceremo la nostra campagna il 3 dicembre. Vorremmo offrire al Governo che inizia il suo percorso alcuni elementi di discontinuità che ci sembrano non risolutivi, ma sicuramente utili ad abbassare il livello di violenza, che in questo momento in Messico ha assunto caratteri davvero tragici.

PRESIDENTE. Ringrazio Carlos Cruz Santiago e don Tonio Dell'Olio per la loro testimonianza. Certamente in questa Commissione non andrà perduta e non sarà inutile. Sappiamo che quanto potremo fare è poco, ma si tratta di rompere l'inerzia e la non conoscenza dei fatti che ci avete illustrato e per i quali vi siamo immensamente grati.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 11,35.

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