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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
8.
Mercoledì 20 maggio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione di rappresentanti del Centro studi di politica internazionale (CESPI):

Pianetta Enrico, Presidente ... 3 10
Rhi-Sausi José Luis, Direttore del CESPI ... 3
Zupi Marco, Direttore scientifico del CESPI ... 4

ALLEGATO: Documento prodotto dai rappresentanti del CESPI ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: (Misto-RRP).

[Avanti]
COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 20 maggio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 15,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Centro studi di politica internazionale (CESPI).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite, l'audizione di rappresentanti del Centro studi di politica internazionale (CESPI).
Cominciamo subito i nostri lavori perché i lavori d'Aula, purtroppo, ci lasciano solamente mezz'ora di tempo per svolgere questa audizione. Cercheremo di essere molto sintetici.
Do il benvenuto, a nome del nostro Comitato, ai rappresentati del CESPI: Vittoria Antonelli, José Luis Rhi-Sausi e Marco Zupi, che saluto e ringrazio per la presenza.
Come Comitato sugli Obiettivi di sviluppo del millennio, abbiamo cominciato un'indagine conoscitiva per approfondire questi temi e per poter fare in modo che il Parlamento acquisisca, da parte di tutta una serie di soggetti che collaborano al raggiungimento degli Obiettivi del millennio stessi, una serie di informazioni che saranno elemento fondamentale per le attività del Parlamento e anche - lo dico subito - per prospettare, in occasione del G8, una serie di proposte da parte del Parlamento italiano.
Credo che sarebbe interessante se i nostri ospiti ci potessero illustrare il rapporto sugli scenari futuri della cooperazione allo sviluppo, realizzato dal CESPI nell'ambito delle attività dell'osservatorio internazionale che la Camera, il Senato e il Ministro degli esteri stanno promuovendo.
Oltretutto, vi informo del fatto che stiamo immaginando di realizzare un incontro con alcuni rappresentanti dei Parlamenti di alcuni Paesi, che ci auguriamo avrà luogo qui alla Camera, prima del G8.
Direi, quindi, che i contributi che noi oggi raccogliamo potranno essere molto utili anche in ragione del convegno che intendiamo svolgere, come Comitato sugli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Do ora la parola ai nostri ospiti.

JOSÉ LUIS RHI-SAUSI, Direttore del CESPI. Molte grazie, presidente e grazie al Comitato.
È per noi un onore poter essere con voi per illustrarvi una nostra ricerca sugli scenari futuri della cooperazione allo sviluppo, fatta appositamente per la Camera e per il Senato.
Il tema che abbiamo cercato di affrontare è proprio quello di cui si occupa il vostro Comitato. Noi pensiamo che un contributo per i vostri lavori possa venire dal cercare, nell'impianto generale degli Obiettivi del millennio, con un approccio


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sia metodologico, sia operativo, quali sono i problemi della povertà nel mondo da affrontare.
Avevamo pensato, ovviamente, di poter avere a disposizione tempi diversi. Dato il nuovo contesto, cedo velocemente la parola al mio collega Marco Zupi, che vi illustrerà molto velocemente questa iniziativa.

MARCO ZUPI, Direttore scientifico del CESPI. Cercherò di essere sintetico.
Nel nostro documento sono indicati dieci punti che ci sembrano interessanti ai fini della riflessione sugli Obiettivi di sviluppo del millennio e sul futuro della cooperazione allo sviluppo.
Al primo punto, si evidenzia la specificità degli Obiettivi di sviluppo del millennio, valutando se c'è un elemento innovativo.
Al secondo punto, ci si riferisce alla realtà della cooperazione allo sviluppo come al frutto di un processo di sedimentazione di esperienze, avute nei decenni, che fanno parte della realtà odierna della cooperazione allo sviluppo, dalla quale non si può prescindere.
Mi soffermerò brevemente su alcuni punti.
In particolare, riferirò la situazione del 2008, affiancata alle indicazioni sul 2009 e agli effetti della crisi, che ci portano a riconsiderare l'impianto degli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Mi riferirò, inoltre, ad alcuni elementi che a noi sembrano utili da approfondire, ma che mancano nell'impianto degli Obiettivi di sviluppo del millennio; ad alcune evidenze empiriche che dimostrano come certi problemi siano legati al focus degli Obiettivi di sviluppo del millennio; e, in un breve ultimo passaggio, al tema della frammentazione degli aiuti e a quello degli scenari futuri, a cui è interamente dedicata la seconda sezione del nostro rapporto.
Riguardo agli Obiettivi di sviluppo del millennio, un elemento di novità consiste nell'aver fissato obiettivi specifici, da raggiungere entro una data prefissata. In realtà, questo elemento è in parte problematico già per il fatto che si tratta di rinnovare impegni che nel passato erano già stati presi, a cominciare dall'obiettivo centrale della riduzione della povertà, fissato nel 1973 per essere raggiunto nel 1990.
Anche altri obiettivi specifici - come il secondo e il settimo - dovevano essere raggiunti entro il 2000, ma non sono stati raggiunti.
Questo pone di per sé un problema rispetto alla costruzione di un'architettura di intervento della cooperazione allo sviluppo basato sul raggiungimento degli obiettivi e rispetto a che cosa succede quando essi non vengono raggiunti.
Lo stesso si potrebbe dire per gli obiettivi quantitativi, che costituiscono l'altra parte del quadro della cooperazione allo sviluppo: fare meglio, seguendo gli Obiettivi di sviluppo del millennio, con più risorse. Mi riferisco all'obiettivo dello 0,7 per cento, all'obiettivo G8 2005 di aumentare le risorse, passando a 50 miliardi in più dal 2004 al 2010, di cui 25 miliardi all'anno in più per gli aiuti all'Africa.
Prima ancora di riferirmi al 2009, vi fornirò alcune indicazioni interessanti sul 2008. Aver costruito questa batteria di indicatori su cui verificare l'efficacia dei risultati conseguiti in materia di cooperazione allo sviluppo pone il problema delle informazioni inerenti il raggiungimento o meno degli obiettivi stessi.
Un primo dato di fatto è che, proprio laddove la situazione è più problematica, ossia nei Paesi più poveri, i dati disponibili sono minori. Se si punta ad ottenere gli obiettivi entro il 2015, noi dobbiamo sapere che oggi, nel 2009, per molti di essi, nel caso dei Paesi più poveri, abbiamo solamente dei dati riferiti al 2000.
Una prima domanda da porsi, quindi, è come si misurerà il raggiungimento degli obiettivi nel 2015: dovremo aspettare il 2022 e che cosa si farà nel frattempo? Intanto, dunque, c'è un problema di informazione sui dati.
Sulla base dei dati disponibili, un elemento interessante è certamente la mancanza di una piena correlazione tra le varie dimensioni; i diversi obiettivi, cioè, si


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muovono diversamente, il che giustifica il fatto che non ci si concentri sull'unico obiettivo della crescita economica e che, quindi, non si assuma che sia la crescita economica a generare di per sé benefici nei diversi ambiti dello sviluppo.
Abbiamo dei dati sulla povertà di reddito, cioè sulla povertà economica, rispetto alla quale ci sono stati significativi avanzamenti. Questo è l'obiettivo centrale su cui è costruita l'intera architettura degli Obiettivi di sviluppo del millennio. Lo stesso vale per la parità di genere.
Il progresso in termini di povertà economica, però, è legato soprattutto a pochi Paesi. La prima indicazione, quindi, è questa: per poter sostenere il raggiungimento o meno di tali Obiettivi di sviluppo del millennio, occorrerà misurare i dati su scala planetaria.
Che qualcuno si comporti bene e che altri non lo facciano può essere legato, come nel caso dell'obiettivo della povertà, al fatto che l'avanzamento della Cina - che rappresenta gran parte della popolazione - ha un effetto di trascinamento del dato complessivo per cui, a dispetto del fatto che in molti Paesi, soprattutto dell'Africa subsahariana, gli obiettivi non si siano raggiunti, il quadro complessivo è positivo. È convincente fissare un obiettivo su scala planetaria?
Ci sono enormi differenze non solo tra le regioni - l'Africa subsahariana è indietro rispetto a tutti gli Obiettivi di sviluppo del millennio - sia all'interno delle regioni stesse. Ci sono differenze, poi, per ciascun Paese, anche nella diversa batteria di indicatori. Non è detto, cioè, che un Paese che riduce la povertà - come la Cina - vada altrettanto bene su altri indicatori. Da un punto di vista metodologico, questo ci aiuta a suffragare l'utilità di una batteria diversificata di indicatori ma in termini di valutazione dei risultati la situazione diventa complicata: diamo lo stesso valore ai diversi obiettivi o no? E come valutare il fatto che ci siano eventualmente significativi, ma non sufficienti, miglioramenti rispetto ad un obiettivo «difficile» in un paese particolarmente povero?
Un caso pratico che mostra la complessità delle relazioni è quello di povertà e crescita economica: ci sono Paesi dell'Africa subsahariana (ad esempio, Ghana e Uganda) che, tra il 1999 e il 2006, hanno aumentato il livello di reddito pro capite più o meno nella stessa misura, ma hanno poi seguito dei percorsi esattamente opposti: un aumento della povertà in Uganda e una sua diminuzione in Ghana. Non c'è una forte correlazione diretta, quindi; non ci sono né una scorciatoia, né una chiave che ci permetta di identificare il motore centrale dello sviluppo.
Anche a livello internazionale si sta sempre più cercando di identificare una categoria più omogenea di Stati. Lo si farà, ad esempio, nel primo rapporto europeo sullo sviluppo, incentrato sugli Stati fragili dell'Africa, che uscirà a settembre.
È vero che, guardando ai risultati degli Obiettivi di sviluppo del millennio, la categoria degli «Stati fragili» funziona, rispetto a quella regionale, ma soprattutto relativamente al livello di povertà che, all'inizio, nel 1990, era più o meno omogeneo, mentre i sentieri percorsi dagli Stati fragili sono stati molto diversi tra loro.
Tra le obiezioni che si possono fare rispetto a questo quadro contabile dei risultati degli Obiettivi di sviluppo del millennio, c'è dunque l'aver posto il mondo come unità. Questo funziona relativamente al dato complessivo del dimezzamento della proporzione dei poveri, avutasi tra il 1990 e il 2015. Lo stesso vale a livello di diversi indicatori. Quegli otto obiettivi non pesano allo stesso modo e non sono facilmente o difficilmente raggiungibili allo stesso modo.
Tralascio qui il discorso dei dati mancanti.
C'è un altro aspetto importante che, in qualche modo, caratterizza da sempre la cooperazione allo sviluppo. Premettevo, all'inizio, che alcuni obiettivi erano già stati prefissati negli anni Settanta e non sono stati raggiunti.
Qual è stata la conseguenza di questo fallimento, in termini di assunzione di responsabilità? Tali obiettivi coinvolgono tutti e il loro mancato raggiungimento


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interessa tutti i Paesi della comunità internazionale, il che rischia di comportare che nessuno si senta direttamente responsabile.
Mi sono concentrato sull'obiettivo che è andato bene e non su quello andato male, ma sono da considerare anche dei fattori esterni. L'evento della crisi economico-finanziaria attuale ha effetti certamente dirompenti, ma se andiamo a leggere, per esempio, quanto diceva il Segretario generale delle Nazioni Unite all'inizio di settembre 2008, prima che la crisi da statunitense diventasse europea e investisse il mondo, vediamo che si è riferito a un'emergenza sugli Obiettivi di sviluppo del millennio. Ha affermato che li avremmo raggiunti, ma che purtroppo ci sono stati l'aumento dei prezzi alimentari e l'aumento del prezzo del petrolio e che oggi la crisi economica è generalizzata.
Quei fattori, considerati come esogeni, incidono quindi enormemente sul meccanismo dello sviluppo e anche sul raggiungimento di questi risultati: si tratta di un problema strutturale di cui tener conto, non è affatto episodico il fattore esterno.
Veniamo ora al dato pratico - un po' noioso, ma indicativo - della riduzione della povertà a meno di un dollaro al giorno. Rispetto al primo obiettivo, sembra che la povertà sia letta in chiave dicotomica: se si ha più di un dollaro al giorno, non si è poveri; mentre al di sotto di questa soglia si è poveri.
Rispetto all'obiettivo di dimezzare il numero di coloro che hanno meno di un dollaro, ci sono due problemi. Il primo ha a che vedere con il fatto che, per raggiungere tale obiettivo, si è avuto una sorta di incentivo a concentrarsi su una fascia ristretta della popolazione: la metà della popolazione povera non è oggetto degli obiettivi, perché, con sano realismo, si sa che la sua situazione non potrebbe essere migliorata (cioè portata al di sopra della fatidica soglia).
Il secondo è proprio questa idea che la povertà scompaia al di sopra del dollaro giornaliero.
Le informazioni che abbiamo, come dicevo, sono relative. Nel 2008, come forse avrete avuto modo di verificare, è stato ricontato il numero dei poveri del mondo e si è scoperto che sono oltre 400 milioni in più di quanto si ritenesse in precedenza, semplicemente in base a una riclassificazione. Com'è possibile questo? Qual è il problema dei dati?
Queste correzioni dei dati sono un fatto paradossale, per certi versi. Faccio il caso concreto dell'India, un Paese che ha ridotto significativamente la povertà. In base alle analisi svolte sul terreno, risulta che una parte consistente della popolazione, in termini di distribuzione del reddito, ha meno di un dollaro - 0,75 dollari al giorno - e dovrebbe, quindi, essere considerata povera.
Poiché si rettifica il dato campionario guardando al dato della statistica aggregata, il dato del PIL che è solitamente molto maggiore (in media il 30 per cento) rispetto al reddito disponibile nelle indagini campionarie, le cose cambiano. Considerando che il PIL è più alto, si è aumentato del 35 per cento il reddito disponibile di tutte le fasce di popolazione.
Questo ha fatto sì che, semplicemente in base a tale correzione statistica, chi aveva un reddito disponibile pari a 0,75 dollari al giorno, si è ritrovato, per via del nuovo calcolo, ad avere improvvisamente un reddito superiore a un dollaro.
Mentre i dati precedenti ci dicevano che queste persone avevano meno di un dollaro, attraverso la rettifica generale - quindi a tavolino - tali dati sono stati corretti e i poveri sono improvvisamente scomparsi. Si rischia così di non fare i conti con la realtà e con la concretezza della povertà.
Un altro aspetto importante è che proprio questa centralità del dato della povertà assoluta, in particolare di chi ha meno di un dollaro, rischia di far perdere di vista la centralità della dinamica della povertà, del processo di mobilità verso il basso e verso l'alto delle persone, della loro integrazione nel mercato del lavoro e nell'accesso ai servizi. Concentrarsi su una fascia ristretta e rigida di chi ha meno di un dollaro al giorno, quindi, crea problemi e paradossi.


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Un dato interessante, uno dei pochi che abbiamo a disposizione, riguarda il Niger, dove possiamo suddividere la popolazione in base al reddito: abbiamo così il 20 per cento più povero e un secondo 20 per cento è un po' meno povero del primo, in termini di reddito.
In teoria, noi ci aspetteremo che, se si ha più reddito, la mortalità infantile tenda a essere più bassa.
In Niger, però, questo non capita perché, grazie alla cooperazione allo sviluppo (che fortunatamente è intervenuta, anche se concentrandosi, in ragione dell'obiettivo centrale della povertà di reddito, solo sulla fascia più povera), il dato della mortalità infantile è migliorato per la popolazione più povera che ha meno di un dollaro, mentre la popolazione che sta sopra la soglia di un dollaro, che non possiamo certo definire ricca, ha livelli di mortalità infantile più alti.
Questo schiacciamento dell'idea di sviluppo e di povertà su una dimensione di reddito rischia, paradossalmente, di lasciare fuori persone altrettanto povere o che, in termini relativi, non essendo oggetto di attenzione delle politiche di sviluppo, peggiorano relativamente la propria posizione.
Il dato interessante del 2009 è, purtroppo, che proprio questa visione centrata sulla povertà come soglia discrezionale, dicotomica, ha fatto sì che, secondo le stime internazionali, abbiamo avuto 200 milioni di «non-poveri» con più di un dollaro al giorno che sono stati gettati nella povertà in conseguenza della crisi e dell'aumento dei prezzi alimentari e del petrolio.
Ora, con la crisi economica, si prevede - secondo le ultime stime del Global Monitoring Report della Banca Mondiale - che nel solo 2009 si avranno 50 milioni di poveri in più, semplicemente perché è in corso un movimento verso il basso di chi non è stato oggetto delle politiche di cooperazione allo sviluppo.
Chi ha tra uno e cinque dollari al giorno non è stato considerato prioritario, ma diventerà prioritario per gli effetti di fattori esogeni - ma permanenti negli ultimi anni - che porteranno a scoprire una nuova emergenza di poveri che prima non erano (o non apparivano) tali.
Un altro dato, certamente drammatico, che concerne la cooperazione allo sviluppo, ma non solo, è quello delle aspettative circa i flussi finanziari internazionali verso i Paesi più poveri.
Ebbene, il dato più grave, in termini quantitativi, è quello degli investimenti diretti esteri verso i Paesi poveri e non tanto quello degli aiuti. Sappiamo che, per gli aiuti, c'è un problema di mantenimento del livello, ma nel caso degli investimenti diretti esteri c'è stata una riduzione drastica, tanto che, per i Paesi in via di sviluppo che hanno avuto investimenti con un saldo positivo di oltre 700 miliardi nel 2007, per il 2009 si prevede un saldo negativo. Immaginate che cosa significa dover fare a meno di 700 miliardi rispetto ai 110 miliardi resi disponibili dalla cooperazione allo sviluppo. Si tratta di un problema generale, non solo di aiuti.
Altri flussi prioritari sono quello delle rimesse e quello legato al commercio. Tenete presente che, in termini di impatto macro-economico e finanziario, il commercio è di gran lunga la fonte che mobilita maggiori risorse, più della somma di tutti gli altri flussi.
Molto rapidamente, vengo ora a un altro aspetto che ci sembrava interessante sottolineare. Nell'ultimo grafico che vi presento, sull'asse orizzontale vedete riportato il numero dei Paesi beneficiari (fino a 160 Paesi in via di sviluppo beneficiari degli aiuti), mentre ogni linea rappresenta un donatore.
La prima cosa che colpisce è il dato del 2006 relativo all'Italia, che evidenzia una forte frammentazione: al di là del fatto che le risorse siano poche o molte (non sono molte) e al di là del fatto che ci si concentra su obiettivi discutibili (a favore di chi sta sotto la soglia della povertà) c'è un dato di forte frammentazione.
Tenete presenti che i donatori virtuosi, che non intervengono in maniera così frammentata, sono tali per mandato: le organizzazioni regionali come la Banca caraibica sono costrette necessariamente a


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fare cooperazione allo sviluppo in pochi Paesi. Questo si lega ad un altro aspetto interessante per l'Italia: alcuni elementi di inerzia istituzionale, nelle politiche di cooperazione allo sviluppo, dominano rispetto ai cambiamenti degli orientamenti strategici generali.
Nel grafico vediamo, da un lato, il numero dei Paesi beneficiari e, dall'altro, una variabile che indica la concentrazione, ossia quanto equamente o meno è distribuita la torta degli aiuti di ogni donatore. Se il dato è particolarmente alto sia come frammentazione sia come concentrazione, ciò significa che gli aiuti sono da distribuire tra tanti Paesi, però c'è una forte concentrazione.
Quell'ammontare di risorse si va, cioè, a distribuire per esempio a cento Paesi, dei quali, però, solo uno, due o pochi di più ricevono quasi tutto, mentre tutti gli altri ricevono solo le briciole da quel donatore.
Questo è un dato interessante per capire che tipo di frammentazione ci sia. Noi riteniamo, però, che anche il dato assoluto sia un elemento importante, quando si parla di risorse, e non solo quello relativo.
L'obiettivo dello 0,7 per cento è stato sancito dal 1961, ma conta anche il dato del volume assoluto: ci sono alcun Paesi, tra cui gli Stati Uniti, che certamente non sono virtuosi rispetto all'obiettivo dello 0,7 per cento, ma che da soli spiegano il 25 per cento del flusso di aiuti.
Dai dati a nostra disposizione si vede come molti Paesi europei contino poco: i loro aiuti sono pari a meno del 3 per cento degli aiuti totali. Una manciata di paesi donatori spiega il grosso degli aiuti internazionali, indipendentemente dal raggiungere o meno lo 0,7 per cento.
Abbiamo dei Paesi significativi, in termini assoluti, come gli Stati Uniti. Tutti questi Paesi del G8, grandi donatori, hanno una forte frammentazione, che riflette un uso strategico della cooperazione allo sviluppo non confinabile unicamente agli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Il tema della povertà, in questo processo di stratificazione di diverse finalità, cambiate negli anni, si somma ad altri obiettivi delle relazioni internazionali, che nel tempo si sono aggiunti a guidare le politiche di cooperazione allo sviluppo. La cooperazione allo sviluppo della Commissione europea è la più frammentata, raggiungendo quasi 150 paesi: se l'obiettivo fosse unicamente ridurre la povertà non si spiegherebbe tanta frammentazione.
La cooperazione allo sviluppo serve a soddisfare anche altre esigenze di relazioni internazionali, in particolare per i grandi donatori. Allo stesso tempo, l'Italia e gli Stati Uniti sono Paesi con maggiore concentrazione rispetto agli altri.
Un altro dato, ancora più interessante, emerge mettendo a confronto l'evoluzione dal 1980 in due Paesi: Italia e Australia. In quell'anno i Paesi beneficiari della cooperazione italiana erano quasi 90, mentre erano meno di 70 nel caso dell'Australia. L'Australia partiva da un livello più elevato di concentrazione, mentre l'Italia, rispetto all'Australia del 1980, distribuiva più equamente gli aiuti, a diversi Paesi, dando loro un ammontare simile.
L'Italia si è spostata, dal 1980 al 2006 unicamente in termini di frammentazione. Cioè, dal 1980, se l'Australia ha aumentato, arrivando quasi a 100, nel caso dell'Italia si ha un incremento del numero dei Paesi beneficiari (oltre 110), ma in termini di concentrazione non c'è stato un decremento, il che significa che l'Italia ha, nel tempo, aumentato i Paesi beneficiari, mantenendo, però, il grosso delle risorse per pochi Paesi.
Molti Paesi hanno ricevuto pochissimo e, in termini di Obiettivi del millennio, quell'aumento è stato poco funzionale ai fini della riduzione della povertà.
C'è un'ulteriore specificità dell'Italia rispetto ad altri Paesi: il grosso degli aiuti è concentrato in pochi Paesi - questa è una peculiarità non solo italiana - ma ciò non corrisponde alla stabilità dei principali beneficiari. L'Italia ha, cioè, dato sempre più a pochi Paesi e meno ad altri e ha molto aumentato il gruppo dei beneficiari, tuttavia i principali beneficiari cambiano di anno in anno.
Questo è un altro aspetto interessante che, ancor più in Italia che in altri contesti,


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riflette il fatto che la politica di cooperazione allo sviluppo, finora, ha sempre risposto ad esigenze di natura diversa di relazioni internazionali. Di volta in volta, si tratta di esigenze legate all'integrazione commerciale, alle relazioni di buon vicinato con i Paesi vicini eccetera.
Secondo noi è molto importante evidenziare, rispetto al tema degli Obiettivi di sviluppo del millennio, che i princìpi di efficacia, così come vengono affrontati solitamente - la piramide di Parigi 2005 guidata dai principi di ownership, armonizzazione, allineamento e la logica pure discutibile di valutare e «premiare» gli interventi in base ai risultati prefissati conseguiti - non tengono presente questo elemento decisivo: che efficacia hanno gli aiuti, se sono particolarmente frammentati in molti Paesi e misurati in base a un obiettivo discutibile come l'idea dicotomica di povertà di reddito?
Abbiamo, quindi, molta frammentazione e più concentrazione in pochi Paesi per grandi donatori - come l'Italia - rispetto ad altri Paesi che sono più in basso nel grafico.
La dinamica italiana, in particolare, ha aumentato il numero dei Paesi beneficiari senza alterare il livello di concentrazione. Nello schema vedete la dinamica dell'andamento anno per anno che mostra come i Paesi beneficiari sono aumentati: dagli ottanta Paesi degli anni Settanta, che già erano molti, siamo arrivati agli oltre 110 Paesi odierni.
La seconda parte del nostro rapporto - per ragioni di tempo, ve ne illustrerò soltanto i titoli - è concentrata su alcuni elementi che, probabilmente, di fronte alle difficoltà complessive degli Obiettivi di sviluppo del millennio e, più in particolare, alle ragioni di fondo della cooperazione allo sviluppo (che ha creato questi problemi di eccessiva frammentazione e dispersione di Paesi beneficiari), ha necessità di riqualificarsi anche in termini di peso politico sostanziale nell'agenda delle relazioni internazionali.
Ci sono alcune aree su cui si potrà misurare utilmente.
Anzitutto, occorre poter fare i conti con un nuovo quadro della cooperazione allo sviluppo, che ha a che fare con l'intervento di nuovi protagonisti, sia sul piano dei Paesi (in particolare quelli che erano chiamati Paesi emergenti - Cina, India, Brasile, Sudafrica, Russia - e che oggi sono attivi negli stessi Paesi in cui interviene l'Italia), sia sul piano del partenariato pubblico e privato, che certamente risentirà molto della crisi.
Le indicazioni sui flussi privati, di cui parlavo prima, indicano una maggiore resistenza a muoversi, in questa fase di crisi, verso i Paesi in via di sviluppo. Questa logica sfugge completamente agli Obiettivi di sviluppo del millennio, ma su questo il rapporto e molti lavori del CESPI insistono. Si tratta di saper qualificare il processo di sviluppo su una dimensione locale ancorata al territorio, in cui si può ricostruire un partenariato tra i diversi soggetti, includendo temi come l'allargamento della cooperazione a un sistema-Paese complessivo, pubblico-privato, in una logica che combini l'asse povertà e disuguaglianza da un lato (il tema potremmo dire della coesione sociale ed economica) e quello della sostenibilità e vulnerabilità dall'altro (il tema della coesione territoriale e della centralità dell'ecosistema). La mobilità socio-economica e quella fisica delle migrazioni a livello transfrontaliero e regionale diventano importanti in questa cornice.
Il rapporto suggerisce che questo tema non può essere affrontato alzando le barriere, dicendo che la Cina fa cooperazione nel modo sbagliato, perché i risultati della cooperazione europea e internazionale OCSE non sono certo incoraggianti.
Possiamo dire, dunque, che non c'è stata una riduzione della povertà grazie alla cooperazione allo sviluppo. La riduzione della povertà, a livello mondiale, e il raggiungimento del primo obiettivo sono legati al successo economico di Cina, India, Vietnam e Indonesia, i quattro Paesi che hanno ridotto la povertà (ma non la disuguaglianza o tantomeno la vulnerabilità


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degli ecosistemi), ma che non sono certo stati i principali target della cooperazione allo sviluppo.
Occorre partire, allora, dall'agenda dei Paesi africani beneficiari, dove la triangolazione tra i nuovi attori e la cooperazione italiana e dei Paesi OCSE può trovare un punto di sintesi, non solo dialogando con i nuovi attori, ma anche focalizzando meglio e in maniera nuova la centralità degli interventi di cooperazione allo sviluppo.
Un tema come quello della sicurezza energetica è di grande importanza strategica non solo per l'Italia, ma anche per i Paesi beneficiari della cooperazione allo sviluppo, oltre che per i paesi emergenti e gli attori privati.
In questo incontro, possibile e auspicabile, tra interessi convergenti, occorre considerare la sicurezza energetica dei Paesi produttori ed esportatori di petrolio, che tendono ad avere una politica di corto respiro, che non guardano al futuro della sicurezza energetica. La cooperazione allo sviluppo si può così misurare utilmente su un terreno prioritario per la politica estera italiana se saprà salvaguardare i principi ispiratori della cooperazione allo sviluppo, ovvero gli interessi delle popolazioni dei paesi poveri.
L'altro tema che ci sembra interessante è che la cooperazione allo sviluppo internazionale ha cominciato ad adottare, e ci sembra debba farlo pienamente, la nuova frontiera dei cambiamenti globali (l'ecosistema e i cambiamenti climatici all'interno di questo). Si tratta di riconcettualizzare l'intervento della cooperazione allo sviluppo in relazione a beni globali, che certamente motivano le scelte di politica internazionale, di nuovo riuscendo a declinarli in nome dei principi ispiratori degli interessi delle popolazioni dei paesi poveri, al contempo proiettandosi sulle grandi e prioritarie sfide per l'intera umanità, dialogando in modo coerente con gli altri strumenti delle relazioni internazionali, e non rinchiudendosi nella nicchia degli aiuti d'emergenza e della logica assistenziale.

PRESIDENTE. Credo di interpretare il pensiero dei colleghi dicendo che dobbiamo riaggiornarci, dal momento che, benché la parte del documento illustrata dal nostro ospite sia ovviamente molto interessante, la seconda parte è stata illustrata solo elencandone i titoli. Io credo che, pur avendo noi considerato questi titoli, il dottor Zupi dovrà ulteriormente approfondirli, anche per poter dare ai colleghi la possibilità di fare delle richieste di approfondimento e dei commenti.
Credo, quindi, che sia quanto mai opportuno - chiedo la vostra disponibilità e la vostra cortesia al riguardo - rivederci in un'altra occasione, che credo potrebbe essere anche abbastanza ravvicinata nel tempo. Lo decideremo in funzione dei nostri lavori e della vostra disponibilità.
Vi ringrazio per il contributo offerto e per il documento che avete illustrato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto integrale della seduta odierna (vedi allegato).
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.

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