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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
15.
Mercoledì 29 luglio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione del direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2 10 11 13 17
Antonione Roberto (PdL) ... 12
Barbi Mario (PD) ... 11
Belloni Elisabetta, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri ... 3 14

ALLEGATO:Documentazione consegnata dal direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 29 luglio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 8,40.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, l'audizione del direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni, alla quale rivolgiamo il nostro benvenuto.
Circa un anno fa abbiamo cominciato i lavori di questo Comitato ascoltando l'ambasciatore Terzi di Sant'Agata, che si avviava verso il nuovo incarico di nostro rappresentante presso le Nazioni Unite. Da allora abbiamo svolto una serie di audizioni, con ospiti nazionali e internazionali, per valutare, discutere e approfondire il tema del nostro Comitato, cioè gli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite.
Oggi, a distanza di un anno, abbiamo l'opportunità di ascoltare il direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo. Direi che questo non è un caso, ma è il risultato di un'ottima programmazione.
Innanzitutto abbiamo approfondito i temi generali di questo argomento, che sono stati utilizzati anche in occasione dell'elaborazione di un documento intermedio relativo alla presente indagine conoscitiva e in occasione di un seminario interparlamentare, che ha avuto luogo all'inizio del mese, il 2 luglio, e che ha visto concludere i lavori da parte del nostro Ministro degli esteri.
Ebbene, oggi, con questa audizione, vogliamo completare o comunque portare avanti un discorso generale di approfondimento degli Obiettivi del Millennio ma, al tempo stesso, iniziare a svolgere delle valutazioni circa la capacità, da parte di questo Comitato, di raccogliere informazioni ed elementi che - a mio modo di vedere, ma la questione deve essere oggetto di discussione all'interno dello stesso Comitato - potrebbero approdare a iniziative finalizzate a un contributo alla legislazione del nostro Paese in merito alla cooperazione.
Pertanto, il fil rouge, che sottopongo anche alla nostra ospite, concerne valutazioni a carattere generale per quanto riguarda gli Obiettivi del Millennio, il contributo dell'Italia e anche, se il ministro Belloni lo ritiene, le opportunità di miglioramento relativamente agli strumenti che lei stessa ha a disposizione nella gestione della nostra cooperazione.
Questa audizione dovrebbe rappresentare, a mio modo di vedere - ma poi ci confronteremo con i colleghi - un punto di arrivo, seppure con qualche ulteriore approfondimento, e anche lo spunto di


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una partenza finalizzata a una fase successiva, che è una caratteristica di chi è all'interno del Parlamento, in una dimensione propositiva e legislativa.
Se siete d'accordo sull'impostazione che ho cercato di tracciare, ben volentieri do la parola al direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni.
Avverto - mi permetto di riferire un fatto formale ma importante - che poiché si è reso necessario rinviare ad oggi una seduta congiunta con la Commissione giustizia, al momento prevista alle ore 9,15, l'audizione potrebbe essere sospesa per cinque minuti per dare l'opportunità ai colleghi di partecipare ai lavori della seduta congiunta.

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Grazie. Prima di condividere con voi alcune riflessioni sul raggiungimento o meno degli Obiettivi di sviluppo e sulla cooperazione italiana, credo sia doveroso da parte mia riconoscere il grande contributo e il grande rilievo dei lavori di questo Comitato. Il documento intermedio di valutazione che avete prodotto costituisce un'eccellente base per fare il punto e soprattutto per delineare il percorso da seguire nel futuro, ma, da una mia ottica, esso costituisce certamente anche un momento particolarmente significativo, insieme al seminario che avete organizzato all'inizio di luglio, per un processo che definirei «culturale» nei confronti dell'opinione pubblica italiana. Il presupposto di qualsiasi percorso significativo e di qualsiasi attività che possa contribuire a migliorare la performance dell'Italia nei confronti dello sviluppo, a mio avviso, non può che passare attraverso una maggiore consapevolezza del Parlamento e, quindi, anche dell'opinione pubblica italiana dell'importanza dell'aiuto pubblico allo sviluppo e delle politiche di sviluppo.
È dunque con gratitudine che mi rivolgo a lei, presidente, e al Comitato e mi auguro che, come lei ha appena detto, gli esiti di questi lavori e di questa riflessione che state conducendo possano effettivamente confluire, come tutti noi auspichiamo, in un procedimento normativo che porti dei miglioramenti alla situazione attuale.
Gli Obiettivi, che come sapete sono stati definiti nel 2000, in realtà oggi devono essere letti alla luce delle successive riflessioni sullo sviluppo, da Monterrey a Doha e, ovviamente, delle riflessioni sul finanziamento integrato allo sviluppo, ma soprattutto - nella mia ottica - alla luce degli esiti delle Conferenze di Roma, di Parigi e di Accra, ossia alla luce dell'agenda sull'efficacia dell'aiuto.
Gli Obiettivi costituiscono un momento in cui è stato suggellato il cosiddetto «partenariato» tra i Paesi sviluppati o industrializzati e i Paesi in via di sviluppo. Credo che questo sia un momento particolarmente significativo nella storia della cooperazione, in quanto la consapevolezza che i processi di sviluppo possono essere effettivamente promossi o conseguiti sulla base di un impegno anche dei Paesi riceventi, credo debba essere considerata un elemento chiave nella revisione del concetto stesso di sviluppo.
Illustro quello che ha fatto l'Italia e il punto in cui siamo. Come spesso succede nel nostro Paese, anche in questo settore vi sono luci e ombre. È certamente vero che la lotta alla povertà è al centro delle nostre politiche di sviluppo: lo è certamente oggi, lo è certamente nel periodo della legge finanziaria che regola anche i nostri contributi, cioè 2009-2011. Una verifica di quello che abbiamo fatto, in realtà, oggi più che mai deve essere vista - sempre considerando quello che ho detto, ossia che il 2000 è stato il momento di definizione degli Obiettivi e che gli stessi devono essere rivisti alla luce delle varie Conferenze e delle riflessioni successive - alla luce di due concetti fondamentali e assolutamente legati tra loro: la quantità dell'aiuto pubblico allo sviluppo e la qualità dello stesso. Per il momento parlo di aiuto «pubblico» allo sviluppo, ma al termine di questo scambio di idee vorrei arrivare a parlare di «aiuto» allo sviluppo.


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Per quanto riguarda la quantità dell'aiuto pubblico italiano per il conseguimento degli Obiettivi, è del tutto evidente che l'Italia è in ritardo. Lo sappiamo e lo abbiamo detto in diverse occasioni. Credo che anche il vertice G8 de L'Aquila sia stato un momento importante per riconoscere, anche pubblicamente, una manchevolezza da parte del nostro Paese ma, al tempo stesso, credo si sia marcata l'esigenza di introdurre dei provvedimenti correttivi.
Ritengo che questa consapevolezza derivi dal fatto che, come ho premesso in apertura, forse il nostro Paese, in senso ampio, non ha ancora compreso lo strumento della cooperazione allo sviluppo, non solo come strumento di politica estera, come è chiaramente indicato nella legge n. 49 del 1987, ma anche come strumento di stabilità e sicurezza a livello globale.
Nel 2000, quando sono stati definiti gli Obiettivi, si avevano già i primi accenni di un mondo in rapido cambiamento, ma certamente le tappe successive hanno marcato, direi in maniera inequivocabile, l'esigenza di prendere consapevolezza del fatto che, in un mondo globale, le economie sono interdipendenti e, quindi, i fenomeni sociali che possono derivare dall'interdipendenza delle economie hanno effetti che si ripercuotono rapidamente e in maniera assolutamente ineludibile su scala globale. È del tutto evidente, pertanto, che gli strumenti che possono attenuare o correggere le diversità e i disequilibri sono, in realtà, anche strumenti che possono contribuire alla nostra stessa stabilità e sicurezza.
Non mi riferisco solamente a fenomeni che, in questi giorni, sono sotto gli occhi di tutti per la loro drammaticità - quali l'immigrazione, clandestina o no che sia - ma anche, su scala globale, a fenomeni che, forse più nel lungo termine, incidono con eguale importanza e rilevanza sulle nostre economie, sull'approvvigionamento di materie prime, sull'occupazione italiana e quant'altro. Questa consapevolezza che la cooperazione - in genere, non solo quella del Ministero degli esteri - sia uno strumento per politiche più ampie di stabilità e sicurezza nazionale su scala globale credo debba essere il presupposto anche per convincerci, in maniera determinata, della necessità di dare un contributo quantitativo più significativo.
Grazie a un esercizio che abbiamo condotto, dalla fine del 2008 e sino ad oggi in maniera piuttosto intensa, siamo riusciti a presentarci meglio nei confronti anche dei nostri «esaminatori», quali l'OCSE-DAC, dimostrando che l'aiuto pubblico allo sviluppo, anche nel 2008, nonostante alcune riduzioni di bilancio, è aumentato.
Questo esercizio è stato possibile perché siamo riusciti, per la prima volta, a mettere a sistema in maniera un po' più organica anche il contributo che proviene da altre amministrazioni, ma soprattutto dal sistema degli enti locali, le regioni in primis.
È del tutto evidente, però, che sebbene continueremo a fare per l'anno corrente e il successivo lo sforzo che abbiamo compiuto tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, le cifre non potranno ulteriormente aumentare. Se per il 2008 ci siamo assestati sullo 0,22 per cento, nel 2009, secondo le prime proiezioni - a legge vigente, laddove non dovessero intervenire dei correttivi - ci assesteremo sullo 0,15, per salire, nel 2010, a 0,18 e scendere nuovamente, a seguito delle disposizioni della legge finanziaria, che prevede un'ulteriore decurtazione di 100 milioni circa per la cooperazione allo sviluppo, a 0,17 nel 2011.
Questo, chiaramente, è un trend che dimostra che il famigerato obiettivo dello 0,7 è di là da venire. Questo rapporto APS/PIL, dunque, pone l'Italia su un fronte piuttosto problematico. È del tutto evidente, anche a seguito di impegni che abbiamo formulato a L'Aquila, che si debba cominciare a riflettere - questo è compito del nostro Parlamento, oltre che del Governo - su modalità e tempi per poter definire un cosiddetto «piano di rientro», un piano di riallineamento che, per quanto graduale, consenta al nostro Paese di mantenere gli impegni assunti. Esiste, dunque, l'esigenza di definire le


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modalità, sul piano legislativo, per un riassestamento del nostro aiuto pubblico allo sviluppo.
Credo che una riflessione debba essere fatta, anche in questo caso, sulla interrelazione che esiste fra l'esigenza di un riallineamento in termini quantitativi e l'esigenza di non tralasciare mai, anche là dove si assumano provvedimenti legislativi per l'aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo, la necessità di assicurare al contempo la qualità di questo aiuto.
Sapete benissimo che il Ministero degli esteri gestisce una percentuale ridotta - circa il 25 per cento - rispetto all'aiuto pubblico complessivo, mentre la grossa fetta, circa il 70 per cento, è di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze. Senza voler assolutamente invocare una competenza specifica del Ministero degli esteri - anzi, mi limiterò a parlare di una struttura, perché non voglio compromettere quelle che saranno le decisioni sovrane del Parlamento in termini di un'eventuale riforma - se è vera questa interrelazione tra quantità e qualità, credo sia indispensabile parlare di un incremento dell'aiuto pubblico allo sviluppo avendo cura che la distribuzione dello stesso fra le strutture competenti ad occuparsi di cooperazione sia fatta tenendo conto che una percentuale, che in questo momento è gestita dalla mia Direzione generale, cioè presso il Ministero degli esteri, deve essere sempre assicurata a quella struttura.
Tale struttura deve avere fra i suoi compiti istituzionali prioritari, alla luce dei princìpi acquisiti a livello internazionale, quello di adottare una visione strategica che assicuri anche l'efficacia e la qualità dell'aiuto. Ad oggi, credo che questa percentuale potrebbe assestarsi sul 30 per cento circa ma, proprio in virtù del fatto che la cooperazione è politica estera ma anche uno strumento di stabilità complessiva, credo non si debba mai trascurare che vi è un'esigenza, in tutti i Paesi che vogliono seriamente assicurare l'accountability in termini di qualità e quantità, di una struttura che abbia una visione di insieme e possa indirizzare l'aiuto allo sviluppo in maniera coerente, efficace e coesa.
Vi è dunque la necessità di un piano, su scala ragionata e graduale, che consenta al nostro Paese innanzitutto di non diminuire l'aiuto pubblico allo sviluppo (certamente si presenta molto male un decremento attuale e nei prossimi anni) ma possa anche riportare il nostro Paese, auspicabilmente - con tutta la gradualità necessaria alla luce di una crisi finanziaria internazionale di dimensioni certamente molto serie - nel breve e lungo termine ai livelli per i quali abbiamo assunto impegni molto specifici.
In realtà, conoscere le cifre, cioè la quantità dell'aiuto pubblico allo sviluppo, non è soltanto un'esigenza dettata da impegni assunti e, quindi, un'esigenza oggettiva legata al fatto che per raggiungere un determinato obiettivo sono necessarie le risorse, ma è anche condizione per essere prevedibili e per una corretta programmazione dei fondi. Di nuovo, torna l'esigenza di garantire l'efficacia.
Permettetemi di dirvi, con grande onestà intellettuale, che per un funzionario, quale io sono - quindi per una persona che non deve dettare le linee politiche - è estremamente difficile garantire un'efficace programmazione quando ci troviamo di fronte a molteplici provvedimenti legislativi che ci segnalano l'ammontare a disposizione. Mi riferisco naturalmente alla legge finanziaria, al decreto missioni, che ogni sei mesi (adesso sembra anche ogni quattro) ci indica un determinato ammontare che ad oggi ancora non conosco, alla legge di assestamento.
È del tutto evidente che una corretta programmazione - credo che potrebbe confermarlo qualsiasi manager, quale io ritengo di essere - ha esigenza di conoscere il bilancio all'inizio degli esercizi finanziari per poter garantire efficacia, risparmi, miglior utilizzo delle risorse. Rivolgo, dunque, un appello al Parlamento affinché, almeno nel settore della cooperazione, il quantum - qualunque esso sia


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- possa essere determinato ab origine proprio per consentire una corretta programmazione dei fondi.
Pensate che, addirittura - qui arriviamo ad alcune criticità specifiche della cooperazione - il continuo variare delle cifre e la conseguente esigenza di adattamento, in termini di bilancio, è aggravato anche dal fatto che, nel nostro sistema, come sapete meglio di me, normalmente l'approvazione di uno stanziamento non corrisponde mai alla disponibilità di competenza o di cassa, aggiungendo alle difficoltà di programmazione anche quella della incertezza della disponibilità finanziaria. Dico questo per difendere la mia Direzione generale a fronte di critiche continue per mancanza di erogazione dei fondi e per ritardi nell'approvazione dei progetti.
Ho dimostrato che oggi siamo arrivati all'85 per cento dell'impegnato sul bilancio complessivo, recuperando tutti gli arretrati del 2007 e del 2008, ma se non possiamo erogare è perché non vi è ancora la disponibilità di competenza, a causa del persistere di ritardi nella registrazione degli impegni.
Si tratta, cioè, di cominciare a riflettere - e veniamo a uno dei punti che lei, presidente, ha sollevato - sull'esigenza di introdurre dei provvedimenti normativi che, pur nella loro semplicità, devono consentire alla cooperazione di avere strumenti più flessibili e più efficaci di erogazione e di impegno dei fondi, per consentire alle attività di svolgersi.
Questo, in un momento di crisi finanziaria, è estremamente importante. Laddove, ad esempio, vi è l'impegno della nostra società civile (penso alle ONG o alle nostre aziende) nell'eseguire i nostri progetti, ovviamente ogni giorno di ritardo è anche un ritardo che ha delle ripercussioni per il nostro Paese. Ora, questi ritardi non sono attribuibili alla Direzione generale o alla cooperazione italiana, ma sono parte di un meccanismo tutto italiano di funzionamento del bilancio. Io auspico che il nostro Parlamento, prossimamente, possa apportare le necessarie correzioni.
Il secondo tema estremamente importante per garantire il conseguimento degli Obiettivi è quello della qualità dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Come dicevo prima, l'Italia è un Paese di luci e ombre. Se nell'aiuto pubblico allo sviluppo, in termini di quantità, abbiamo registrato delle carenze e delle manchevolezze, credo che dal punto di vista della qualità, come ci è stato riconosciuto anche di recente nel corso della peer review dell'OCSE, l'Italia possa andare a testa alta e possa registrare perlomeno un trend di costante e significativo miglioramento.
Il Ministro Frattini, a dicembre del 2008, ha approvato, nel corso del comitato direzionale, le linee guida di programmazione della cooperazione per il 2009-2011. Per la prima volta, queste linee guida non solo sono state elaborate con un procedimento - che adesso vi illustrerò - particolarmente inclusivo e particolarmente complesso da un punto di vista di attori che vi hanno partecipato, ma si è trattato soprattutto di un esercizio che, per la prima volta, permette di avere una visione della programmazione e della cooperazione su un arco di tre anni.
Questo è stato possibile grazie al fatto che abbiamo finalmente una legge finanziaria triennale che, con tutte le nuance che ho appena accennato, di stanziamenti che intervengono in corso d'opera, perlomeno ci permette di avere un quadro complessivo su un arco di più lungo termine.
Questo esercizio di elaborazione delle linee guida che, fra l'altro, sono pubblicate e, quindi, sono a disposizione di tutti coloro che intendono partecipare al processo di aiuto allo sviluppo, ha rappresentato un processo organico, un vero e proprio avvio di un modello di consultazione aperta a molteplici attori dello sviluppo. Abbiamo posto in essere un esercizio di consultazione interessando tutte le altre amministrazioni dello Stato che si occupano di cooperazione allo sviluppo. Abbiamo coinvolto, in maniera coerente e costante, la società civile sia per quanto riguarda il mondo delle organizzazioni non governative, che ovviamente hanno un


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ruolo fondamentale sul tema della cooperazione allo sviluppo, che il mondo delle imprese e delle università. Inoltre, abbiamo cercato di affrontare, con tutti i limiti che la legge attuale ci impone, il tema del partenariato pubblico-privato.
In sostanza, pur mantenendo il principio dell'aiuto pubblico allo sviluppo, abbiamo cercato di aprire la strada a un nuovo concetto di sviluppo, e non già di aiuto allo sviluppo, che nel vertice de L'Aquila è stato formalmente acquisito, almeno a livello G8. Mi riferisco al whole of country approach, un approccio allo sviluppo che tenga conto del fatto che i processi di sviluppo vengono avviati non solo attraverso lo strumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo, ma anche mediante tutti gli altri strumenti che possono contribuire all'avvio di tale processo, quali gli investimenti, le politiche commerciali, le attività solidali e quant'altro. Parliamo dunque di un approccio olistico, aperto e che non escluda i partenariati pubblico-privato.
Come ho detto prima, abbiamo degli impedimenti di legge che non ci consentono di formalizzare questo avvio in maniera flessibile e rapida. A questo punto, tuttavia, credo che sia indispensabile svolgere una riflessione non solo perché la situazione finanziaria ce lo impone, ma anche perché ritengo che, obiettivamente, guardando al futuro con mente aperta e costruttiva, si debba cominciare a riflettere sull'insieme degli strumenti che possano contribuire allo sviluppo.
In tale prospettiva, non si deve tuttavia negare - è mio dovere sottolinearlo - che l'aiuto pubblico allo sviluppo rimane lo strumento principale non solo per l'ammontare delle risorse che devono essere messe a disposizione, ma anche per il discorso relativo alla qualità, sul quale mi soffermavo in precedenza.
Credo che sia evidente, del resto, che lo Stato non possa rinunciare alla propria funzione di fulcro, con una struttura a ciò dedicata, che deve fornire le linee programmatiche, deve indicare il trend a cui ispirare tutte le politiche di sviluppo, affinché il meccanismo innescato sia coerente, efficace e veramente finalizzato allo sviluppo e non soltanto agli indirizzi particolaristici.
In questo contesto, non abbiamo solo coinvolto il Ministero dell'economia e delle finanze, le regioni e le altre istituzioni che si occupano di cooperazione in un tavolo, cosiddetto APS, per massimizzare il calcolo dell'aiuto pubblico allo sviluppo e renderlo organico, ma abbiamo anche istituito dei tavoli per garantire la coerenza delle politiche di sviluppo del sistema Italia. Inoltre, abbiamo interessato le organizzazioni non governative, stipulando una convenzione, all'inizio del 2009, che ha dato ottimi risultati. Il rapporto di ActionAid presentato recentemente ne è una prova.
Presso la Direzione generale, è stato messo a disposizione gratuitamente un esponente delle ONG, selezionato dalle stesse. Abbiamo finanziato un esponente delle ONG per un esercizio molto interessante. Non è questa la sede per trattare questo argomento, ma voglio comunque menzionarlo, perché è stato un esercizio che ci ha permesso di mandare come nostro esperto di cooperazione, quindi del Ministero degli esteri, un rappresentante delle ONG in Libano per svolgere uno studio, da cui poi è scaturito un accordo vero e proprio, sulla interrelazione fra la cooperazione militare e quella civile nelle aree di crisi.
Questo esercizio ha avuto un successo, purtroppo poco conosciuto dal pubblico italiano, tale per cui questo esperto è stato assunto dalle Nazioni Unite per lavorare in Afghanistan e fare esattamente lo stesso esercizio. Credo che questo risultato debba essere attribuito alla qualità del lavoro della cooperazione italiana.
Lo stesso esercizio è stato avviato con il mondo accademico italiano. Sono profondamente convinta che in questi momenti, caratterizzati dalla presenza di risorse sempre più limitate, sia fondamentale puntare sull'education, sulla formazione e sulla cultura.
Il nostro Paese ha un valore aggiunto in questo settore. Abbiamo quindi istituito tre tavoli, con il nord, il centro e il sud,


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proprio per cercare di rendere coerenti anche le attività di cooperazione svolte dal nostro mondo accademico, puntando su tre settori: la formazione, la ricerca e il trasferimento di tecnologie.
Abbiamo poi instaurato un tavolo con la cooperazione decentrata - devo dire finalmente -, attraverso un esercizio di ricognizione dei dati reciproci, relativi alle iniziative che si attuano o che si potrebbero attuare nel settore della cooperazione.
In questo modo, abbiamo una visione migliore delle operazioni realizzate dal nostro Paese in questo settore, ma abbiamo soprattutto ottenuto di acquisire, nelle nostre linee programmatiche, le esigenze specifiche delle regioni italiane, affinché, coerentemente, queste ultime abbiano uno strumento strategico al quale ispirarsi per poter poi decidere in totale autonomia, come previsto, le proprie politiche, in termini di cooperazione decentrata.
Lo stesso tavolo è stato istituito con Confindustria. Ci siamo già riuniti due o tre volte anche con il mondo dell'imprenditoria italiana, proprio con l'obiettivo di far sì che, laddove è possibile, le imprese, nelle loro attività, sia autonome, che di partecipazione ai nostri progetti, possano contribuire a rendere efficace e qualitativamente qualificata la nostra cooperazione allo sviluppo.
Arriviamo così alle misure necessarie. Non compete certamente a me suggerire quali debbano essere in futuro le strutture dedicate alla cooperazione, quindi non vi parlerò del dibattito favorevole o contrario all'agenzia.
Personalmente, ritengo che non sia questo il problema. Le questioni fondamentali da affrontare riguardano la necessità di identificare gli strumenti migliori per garantire l'accountability in termini sia di quantità che di qualità dell'aiuto allo sviluppo.
È assolutamente mio dovere segnalare alcune esigenze tecniche che possono essere soddisfatte solo con un aggiornamento della normativa. Se essa debba essere una nuova legge complessiva della cooperazione o dei provvedimenti mirati per risolvere alcuni punti specifici, ovviamente è compito del Parlamento deciderlo.
Dal mio punto di vista, è estremamente urgente prendere atto del fatto che se vogliamo essere seri in materia di cooperazione, occorre apportare alcune modifiche all'attuale normativa.
Vi riporto degli esempi molto banali, ma molto significativi, in proposito. È del tutto assurdo che nel 2009 si debba prevedere una firma congiunta del Ministro Frattini e del Ministro Tremonti per consentire di trasferire mille euro nell'ambito di uno stesso piano gestionale, di uno stesso capitolo. È assolutamente assurdo, al di là di ogni possibile considerazione.
Allo stesso modo, è assolutamente assurdo che un impegno pluriennale impieghi dagli otto ai dieci mesi per essere registrato. Potrei andare avanti a lungo.
È assolutamente assurdo, altresì, che nonostante il numero di esperti previsti dalla legge n. 49 sia di 120 più 30, per un totale di 150, oggi il Ministero degli esteri faccia registrare la presenza di circa 50 esperti.
Non è stato svolto un concorso dal 1987. È fondamentale che si bandisca un concorso per assumere gli esperti, perché la nostra capacità di approvare progetti, erogare fondi, monitorare, valutare e portare avanti un discorso di efficacia degli aiuti non può essere espressa con risorse umane zero.
Arrivo addirittura a dire che in alcuni contesti più che l'ammontare complessivo dell'aiuto pubblico allo sviluppo, in questo momento sono indispensabili le risorse e le capacità umane qualificate per poter garantire l'efficacia della nostra azione. Bisogna partire da questo punto.
È fondamentale apportare dei correttivi normativi che ci consentano di valutare i risultati. La mia esperienza al Ministero degli esteri è ormai lunga, come sa l'onorevole Antonione, ed è tale da poter affermare che, purtroppo, questa è una criticità di tutta l'amministrazione pubblica, non soltanto del settore della cooperazione.


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Ad ogni modo, è assurdo avere degli strumenti di controllo estremamente invasivi e rigidi da un punto di vista di interpretazione della norma a priori, ossia prima dell'impegno di spesa, e poi trascurare completamente i risultati.
La cooperazione deve avere degli strumenti di monitoraggio e di valutazione propri, preferibilmente esterni, affinché tale valutazione sia effettivamente obiettiva e garantita.
Nel corso dell'ultimo comitato direzionale, il Ministro Frattini ha denunciato, in maniera piuttosto incisiva, la rigidità della Ragioneria, laddove ci aveva impedito un capitolo per le valutazioni esterne.
Naturalmente, tuttavia, ognuno fa il suo mestiere. Se la norma lo impedisce, si deve chiedere al Parlamento di porvi rimedio.
Lo stesso discorso vale per il decentramento. La cooperazione italiana ha avviato un processo di decentramento, attraverso la costituzione di uffici della cooperazione, le cosiddette «unità tecniche locali», nei Paesi in cui è più forte l'impegno di cooperazione.
È assolutamente fondamentale mantenere la nostra presenza in quelle zone non solo per la nostra capacità di esportare il sistema Italia (naturalmente avendo delle presenze in loco è molto più facile e molto più incisivo farlo), ma soprattutto perché questi strumenti in loco, ossia nei Paesi riceventi, sono fondamentali. Tali strumenti servono innanzitutto per garantire una volta di più la coerenza dell'aiuto, nella misura in cui questo deve corrispondere alla ownership dei Paesi riceventi, deve cioè corrispondere ai piani nazionali di sviluppo, sia per influenzarli, che per recepirne le esigenze.
Oltre a ciò, la presenza in loco ci permette anche di avere quei ritorni che - credo sia legittimo dirlo - ogni Paese vuole quando si impegna in maniera così forte.
Vi riporto un esempio semplicissimo riguardo al Fondo globale per la lotta alla malaria, alla tubercolosi e l'AIDS, lanciato, come sapete, dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al precedente vertice G8 di Genova. Si tratta di uno strumento verticale, cosiddetto «di finanziamento dello sviluppo» che ha avuto un successo indiscusso. A ragione o a torto non lo so, ma ha certamente avuto un notevole successo e ha anche fatto registrare, in termini concreti, dei grossi progressi.
Per poter avere un ritorno, in termini di imprenditoria italiana, di coinvolgimento delle nostre ONG - non voglio soltanto parlare in termini di profitto, che forse è anche legittimo, ma anche di contenuto, ossia della nostra capacità di contribuire, attraverso la società civile, a questi processi di sviluppo - lo strumento è concepito in modo tale che o si è presenti in loco o non si ha alcun modo di contribuire, salvo la partecipazione alle sporadiche riunioni del consiglio cosiddetto «di amministrazione».
Se non siamo presenti in loco, se non siamo capaci di intervenire dal basso, bottom-up, come si dice tecnicamente, il nostro apporto finanziario, così consistente come è stato quello che abbiamo fornito al Fondo globale, è assolutamente perso.
In precedenza, facevo riferimento ad alcune norme che devono certamente essere promosse a livello parlamentare per darci più serenità nell'utilizzo dei nostri fondi. Ovviamente, del resto, non fa piacere a nessuno essere accusati dalla Ragioneria di atti al margine dell'illegittimità per fare del bene o per fare bene il proprio mestiere.
Mi riferisco ad alcune norme che devono naturalmente toccare le modalità di funzionamento, le procedure e la struttura, ma vi sono anche alcuni provvedimenti che possiamo promuovere senza necessariamente chiedere dei provvedimenti legislativi.
Abbiamo già operato - ci tengo a dirlo - sul piano dell'efficacia ad esempio (il Ministro ha accolto questa richiesta, approvando formalmente il documento nel comitato direzionale del 14 luglio scorso), approvando un piano programmatico nazionale per l'efficacia degli aiuti.
Si tratta di un documento molto complesso e molto articolato, ma che finalmente riporta il nostro Paese in linea con


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le raccomandazioni che l'OCSE ci aveva fatto nella precedente peer review. Questo ci è stato riconosciuto dai nuovi valutatori, quindi certamente è stato fatto un progresso da questo punto di vista.
Inoltre, abbiamo in mente di promuovere uno strumento di coerenza delle politiche di sviluppo, che implica una decisione politica in tal senso, che consenta di definire il meccanismo per rendere coerenti ed efficaci sia le cosiddette aid policy che le non aid policy, cioè l'insieme delle politiche mirate allo sviluppo, siano esse di aiuto pubblico, di partenariato pubblico-privato o quelle non definibili come aiuto allo sviluppo, ma semplicemente come sviluppo.
Mi auguro che questo provvedimento possa essere adottato a breve, proprio per metterci in linea con le esigenze che ci vengono prospettate dalla comunità internazionale.
Farò un breve accenno ad un ulteriore provvedimento che abbiamo introdotto, il cosiddetto «riequilibrio» fra l'esposizione che l'Italia ha tenuto finora sul canale multilaterale e quella del canale bilaterale.
Al di là di indirizzi politici che possono sussistere con l'alternanza dei Governi, credo che sia assolutamente condivisa l'esigenza, perlomeno di definire dei criteri, per scegliere, di volta in volta, il canale bilaterale o multilaterale.
Da questo punto di vista, vi è stato, innanzitutto, un riequilibrio a favore del bilaterale, data la grande esposizione sul multilaterale, ma vi è stata soprattutto - vedremo adesso la reazione delle organizzazioni internazionali - una migliore definizione dei criteri che devono indurre alla scelta del canale multilaterale.
Abbiamo puntato sulla competenza specifica delle organizzazioni multilaterali di volta in volta interessate; sulla valutazione dei risultati conseguiti attraverso l'utilizzo del canale multilaterale e sulla maggiore capacità di intervenire in determinate aree attraverso il bilaterale o il multilaterale.
Infine, vengo al tema controverso, e quanto mai attuale, dello slegamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Si tratta di un argomento che ha attinenza soprattutto con lo strumento del credito di aiuto per finanziare progetti di sviluppo.
Abbiamo portato la posizione italiana in linea con i requisiti OCSE-DAC, slegando al 100 per cento l'aiuto pubblico allo sviluppo per i Paesi meno avanzanti.
Non credo che sia possibile, e forse giusto, parlare di slegamento totale dell'aiuto pubblico allo sviluppo in questa fase. Vi sono pro e contro. Bisogna dirlo in maniera del tutto obiettiva. È un processo che va svolto con gradualità.
Ieri, con Confindustria, ho sostenuto - naturalmente Confindustria promuove il legamento dell'aiuto - che, in realtà, i Paesi più aggressivi e competitivi, anche in termini graduali, hanno capito che la penetrazione dei mercati esteri, attraverso lo strumento della cooperazione, non è tanto il legamento dell'aiuto, quanto la capacità dell'impresa di utilizzare lo strumento della cooperazione per una effettiva penetrazione nel mercato.
Quindi si tratta anche di un cambiamento, in questo caso di cultura, che dovrebbe essere portato avanti in stretto collegamento con l'imprenditoria italiana, per far sì che si comprenda che gli strumenti specifici spesso sono soltanto dei palliativi che non arrivano a garantire una soluzione di più lungo termine.
Questo, tuttavia, induce a ritenere che anche in questo caso si debbano apportare delle modifiche con una certa gradualità.
Concludo qui il mio intervento, rimanendo a disposizione per rispondere alle eventuali domande che intendiate rivolgermi.

PRESIDENTE. Ministro Belloni, la ringrazio per la completezza e la chiarezza del suo intervento.
A questo punto, come preannunciato, ci fermeremo per un piccolo break di cinque minuti. Successivamente, riprenderemo i nostri lavori, perché, sulla base dell'intervento del ministro Belloni, credo che i colleghi vogliano porre qualche domanda o richiedere qualche approfondimento.
Sospendo brevemente la seduta.


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La seduta, sospesa alle 9,25, è ripresa alle 9,30.

PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Vorrei ringraziare il ministro Belloni per l'esposizione che ci ha presentato, ricca di suggestioni, suggerimenti e indicazioni molto puntuali. Tuttavia, vorrei concentrare l'attenzione su alcuni concetti che considero di riferimento per la riflessione che svolgiamo in merito all'efficacia della nostra attività e del nostro aiuto allo sviluppo.
I concetti sono tre: il primo è la prevedibilità delle risorse, il secondo è quello del coordinamento del loro impiego e il terzo è quello della trasparenza del loro utilizzo.
A me pare che, con tutte le informazioni e le riflessioni che ci sono state prospettate oggi e che indicano evoluzioni anche positive, rispetto ad esempio alle indicazioni dell'ultima peer review che è stata fatta e che dava indicazioni su aggiustamenti e focus da perseguire, per migliorare l'insieme dell'aiuto, manteniamo ancora dei deficit nazionali su questi tre terreni.
Parlo del nostro Paese e non di altro. Abbiamo dei deficit nazionali che, se non verranno affrontati con sincerità e lucidità, probabilmente porteranno a far sì che i miglioramenti che conseguiamo saranno destinati a rimanere insufficienti, perché collocati in una parzialità, che può essere quella della Direzione generale del Ministero degli affari esteri o quella di altri segmenti, che tuttavia, non comunicando, o non facendolo a sufficienza, lasciano il risultato finale nella categoria dell'insoddisfacente.
In proposito, sul terreno della prevedibilità delle risorse, il problema non riguarda soltanto la discontinuità, la frammentarietà o il fatto di non sapere oggi ciò che si avrà disposizione domani, quando cambierà la situazione attuale. Tutto procede in questo modo. È un problema generale che si pone per il bilancio dello Stato, per le risorse pubbliche e quant'altro.
Ministro, lei accennava al Fondo globale AIDS. Tuttavia, i 130 milioni di euro che il Presidente del Consiglio ha promesso e ripromesso, per quanto ne so, non sono ancora stati versati.
Inoltre, alle richieste rivolte al Governo di specificare quando ciò avverrà, è stato risposto che verrà fatto, ma non è stato detto quando, né come.
Un ordine del giorno che chiedeva, nell'ambito del decreto anticrisi, di assumere un impegno politico, anche seguito da atti amministrativi, è stato respinto dal Governo.
Nell'International Development Association abbiamo un impegno di 850 milioni di euro e, al suo interno, viene prevista per competenza una quota che avremmo già dovuto versare l'anno passato di 280 milioni che permette di tenere in qualche modo al limite l'affidabilità italiana, ma in realtà mantiene nell'incertezza assoluta il nostro partner internazionale e noi nella condizione di partner non affidabile, o non pienamente affidabile, rispetto agli impegni che abbiamo sottoscritto. Si potrebbero fare altri esempi, ma questi sono significativi.
La questione della prevedibilità delle risorse, anche dal punto di vista pluriennale, è evocata, ma non è affrontata adeguatamente e tantomeno risolta.
Per me questo è un punto preliminare. Poi magari le risorse sono inferiori a quelle che riterremmo necessarie; o magari si tratta di rivedere gli impegni che abbiamo assunto. È inutile immaginare dei piani di rientro dall'0,17 allo 0,51 per cento.
Questo pensiero non è rivolto a lei, naturalmente; siamo però in una condizione in cui possiamo interloquire. Credo che ciò faccia piacere a tutti noi che, peraltro, abbiamo una sensibilità, oltre che qualche conoscenza di alcune questioni fondamentali. L'incontro odierno è utile, ma solo se svolgiamo alcune considerazioni nette.


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La prevedibilità non è affrontata in modo sufficiente. Se dobbiamo rivedere degli impegni, facciamolo anche al ribasso, ma assumiamo impegni che manteniamo e indichiamo l'entità degli stessi. Questa è una condizione fondamentale.
Dopodiché, veniamo al coordinamento. Il 25 per cento è gestito dal Ministero degli affari esteri e il 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze. Ma chi, al Ministero dell'economia e delle finanze, ha conoscenza, contezza e pratica di queste questioni? In quale modo avviene la destinazione?
Questa è la questione. Tutto passa dal Ministero dell'economia e delle finanze. Chiunque abbia praticato, per qualche ragione, in un qualsiasi ruolo, non di commesso, la Presidenza del Consiglio o dintorni, sa che tutto, o quasi tutto, passa dal Ministero dell'economia e delle finanze, anche i mille euro che, come ricordava il ministro, debbono essere spostati in doppia firma dai due principali ministri del Governo (insieme a quello degli interni) da un capitolo all'altro.
Vengo ora ad un altro argomento. Ho letto il memorandum per la peer review che è stato preparato dal Ministero degli affari esteri. Il comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo funziona? Quanto funziona? È soddisfacente? Dobbiamo immaginare qualcos'altro?
Dico questo, perché o questo coordinamento viene fatto in una sede sufficientemente autorevole per coordinare le competenze che spettano al Ministero degli affari esteri con quelle di spesa che competono al Ministero dell'economia, quindi le varie banche e i vari organismi internazionali ai quali vengono destinati i fondi per il canale multilaterale; oppure non credo che possa essere raggiunta la congruenza e la sinergia delle unità tecniche locali per l'utilizzo della quota dei fondi globali, che poi arrivano dal canale multilaterale e via dicendo.
Oltre a ciò, evidentemente, occorre considerare la trasparenza. Non basta aprire la diga, ci si deve anche preoccupare di dove va a finire l'acqua. Effettivamente, questa risorsa dovrebbe essere incanalata e vorremmo anche sapere quale tipo di fecondità produce.
Vorrei limitarmi a questi tre elementi, perché ho l'impressione che il Parlamento dovrebbe assumere tali questioni in modo consapevole, a partire dal Comitato, dalla Commissione e poi dall'Aula. Si dovrebbe convincere l'intero Parlamento, e anche il Governo, che non si tratta di una questione settoriale, ma eminente e che attiene alla sicurezza e alla stabilità; condizioni di esistenza del nostro stesso sviluppo e del nostro stesso benessere.
Diversamente, rischiamo di rinchiuderci in patrie sempre più piccole, più ristrette e più grette, che ritengono che le questioni dell'Afghanistan, piuttosto che di altri luoghi più o meno vicini o più o meno lontani, non le riguardino.
Svolgo l'ultimissima annotazione. È verissimo quello che ci diceva, ministro. In primo luogo, lo sviluppo non è solo sviluppo economico e, in secondo luogo, non è soltanto aiuto pubblico allo sviluppo. Lo sviluppo va osservato in una logica più completa, che comprende rapporti bilaterali economici di vario genere e di varia natura e politiche di vario genere e di varia natura, e non soltanto l'aiuto pubblico allo sviluppo, quindi anche l'iniziativa privata e tutto quanto a questo può essere associato.
Dobbiamo tuttavia evitare un duplice rischio. In primo luogo, mi riferisco al pericolo di porre questa visione globale come copertura o come foglia di fico per l'insufficienza dell'APS.
Il secondo rischio da evitare è quello di mettere su binari non comunicanti la quantità e la qualità. La qualità è indispensabile, ma non usiamola come foglia di fico contro la quantità. Siamo chiari sulla quantità e qualità e non giochiamole l'una contro l'altra.

ROBERTO ANTONIONE. Voglio ringraziare il ministro Belloni per la sua puntuale, precisa e brillante esposizione. Devo dire che noi, a differenza di altri Paesi, abbiamo un vantaggio aggiunto.


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Avere la possibilità di affidare la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo al ministro Belloni è garanzia di efficienza e anche di grande qualità. Ovviamente, il mio non è un complimento gratuito, ma convinto. Siamo molto contenti di questo e riteniamo che l'esposizione che il ministro ci ha presentato rifletta esattamente l'impegno che la Direzione e il Ministero stanno profondendo in questo settore.
Le carenze di cui abbiamo parlato oggi sono storiche. Nella scorsa legislatura, al Senato, è stato istituito un comitato ristretto che aveva il compito di predisporre la riforma della legge n. 49. Ne faceva parte il presidente Pianetta, chi vi parla, l'attuale sottosegretario Mantica e il collega Tonini che lo presiedeva.
Eravamo arrivati quasi a condividere un testo comune. Eravamo proprio sul filo di lana, quando la legislatura, per ragioni diverse, è finita e quel testo è rimasto incompiuto.
Dico questo, perché mi sembra di capire che tutte le considerazioni che sono state svolte, alla fine, siano condivise dalla maggioranza e dall'opposizione; il che dovrebbe essere di per sé garanzia della nostra capacità di risolvere le questioni esistenti.
Viceversa, se così non è, bisogna riflettere sul fatto che ci devono essere altre interferenze che non consentono al nostro Paese di trovare una riforma condivisa sulla cooperazione.
Se pensate che nel 2008 - mi hanno consegnato i dati adesso - abbiamo impegnato, come fondi per la cooperazione, una somma vicina ai 5 miliardi di euro, capite che non è una questione di poco rilievo né per la quantità di risorse che impieghiamo, né tanto meno per il nostro impegno politico.
Infatti, ai massimi livelli, dalla Presidenza del Consiglio, al Ministero degli esteri, a tutti gli altri ministeri, l'obbligo che il nostro Paese assume a livello internazionale lo espone al rispetto degli accordi e degli impegni sottoscritti.
Se gli strumenti che abbiamo non sono all'altezza della situazione, è chiaro che dobbiamo fare di tutto per modificarli. Allora mi chiedo - e preannuncio un'iniziativa di questo tipo - se non sia necessario chiamare il Ministro degli esteri in audizione, in Commissione esteri, e chiedergli di esporci esattamente le linee guida della cooperazione del suo dicastero.
Successivamente, sulla base dell'audizione del Ministero degli esteri, anche in collaborazione con questo Comitato, si potrebbe predisporre un'iniziativa parlamentare, condivisa tra maggioranza e opposizione, che sia in grado di superare queste difficoltà.
Del resto, mi sembra ormai evidente che le difficoltà che incontriamo non sono dovute a questioni politiche, ma a ragioni di diversa natura. Molto spesso, esse sono legate alla gestione che alcuni apparati dello Stato hanno, che continuano ad avere e che continuano a voler mantenere per scopi che non sono in sintonia con le aspettative che la maggioranza e l'opposizione hanno più volte dichiarato di avere, relativamente alla necessità di avere una cooperazione allo sviluppo degna di un Paese moderno come quello che vogliamo rappresentare noi.
Per queste ragioni, chiedo al presidente Pianetta di prevedere tale audizione. In ogni caso, preannuncio che, nel prossimo ufficio di presidenza della Commissione esteri, sarà mia cura chiedere al presidente Stefani di audire il Ministro Frattini, con l'intendimento di conoscere esattamente le direttive generali del ministero.
Mi riservo inoltre, in collaborazione con gli altri membri della Commissione, di maggioranza e opposizione, di ragionare assieme per capire se possiamo, con iniziative comuni, cercare di dare un impulso a questo settore, che è di straordinaria importanza sia per la quantità, che per la qualità politica che impegniamo a nome del nostro Paese.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro Belloni, vorrei dire, per quanto riguarda una parte dell'intervento del collega


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Antonione, che sono perfettamente d'accordo nel compiere un passo, per trovare, dopo tanti anni, una soluzione, o comunque un apporto legislativo, che possa contribuire ad affrontare tutte le considerazioni che, tra l'altro, il ministro Belloni ha voluto chiaramente evidenziarci nell'odierna audizione.
All'inizio della seduta, avevo evidenziato che lo sbocco dell'attività di questo Comitato non poteva che essere di carattere legislativo. Quindi, ascoltare, nell'ambito della Commissione esteri, il Ministro degli esteri è certamente opportuno.
Tra l'altro, ricordo che il Ministro Frattini ha la delega della cooperazione, quindi è la persona titolata ad esprimere meglio di ogni altra la visione politica.
A tal proposito, ricordo anche il lavoro svolto dal comitato ristretto presso la Commissione esteri del Senato della passata legislatura.
Abbiamo dunque diversi elementi che devono far pensare ad un possibile sbocco positivo, da raggiungere con il contributo di tutti, per rendere migliori gli strumenti della nostra cooperazione, a prescindere, nonostante sia tutto collegato, dagli aspetti quantitativi che non devono essere considerati come un elemento secondario.
Ritengo dunque che il lavoro che questo Comitato ha svolto e che si accinge a svolgere come compito ulteriore debba inevitabilmente portare a questo tipo di sbocco.
Del resto, agiamo a livello parlamentare, quindi non possiamo che raccogliere le considerazioni del collega Antonione e gli spunti del ministro Belloni, in ordine agli impegni che questo Comitato e il Parlamento possono assumere.
Credo che siano presenti tutte le condizioni necessarie per arrivare finalmente ad una conclusione positiva della questione e per avere uno strumento più efficace in materia di cooperazione. Di conseguenza, nell'arco dei prossimi mesi, dovremo lavorare per raggiungere e conseguire questo obiettivo.
Fatta questa considerazione metodologica e di obiettivo, do la parola al ministro Belloni per la replica.

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. L'onorevole Barbi ha posto l'accento su tre settori fondamentali: prevedibilità; coordinamento delle politiche, al fine di un impiego efficace dell'aiuto pubblico allo sviluppo; trasparenza. Si tratta di tre punti che io stessa, nella mia relazione, ho ampiamente menzionato. Credo che sia fondamentale comprendere quanto questi tre settori siano assolutamente legati l'uno all'altro. Ciò che voglio dire è che ritengo di assoluta rilevanza comprendere che dobbiamo intervenire contemporaneamente ed efficacemente su tutti e tre gli ambiti indicati.
Pensate quanto la prevedibilità sia legata al concetto di trasparenza. In precedenza, indicavo che la frammentarietà del contributo, il non conoscere a priori l'ammontare complessivo a disposizione porta necessariamente a gravi lacune di programmazione, ma anche a mancanza di trasparenza. Quante volte a fine anno mi trovo, con i fondi che arrivano in ritardo, a dovere scegliere di corsa per non mandare in economia quegli stanziamenti? Questo non è un processo trasparente.
Oltretutto, non è un modo di procedere efficace e in linea con i principi di coerenza, risparmio e migliore impiego delle risorse.
Non posso dunque che condividere appieno quanto è stato sottolineato, ma puntando anche sulla necessità di affrontare contemporaneamente tutti e tre i punti. Del resto, se si agisce sulla prevedibilità, si incide anche sulla trasparenza e viceversa. La trasparenza è intesa anche come valutazione del risultato, non solo come controllo a priori che, come dicevo prima, è uno dei punti più lacunosi del nostro sistema di controllo delle risorse.
È stata posta una domanda specifica sul ruolo del comitato direzionale. Rispondo innanzitutto sottolineando come stiano funzionando bene, come stiano cominciando a dare dei risultati, i tavoli che


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abbiamo istituito in alternativa al comitato direzionale.
Ho parlato precedentemente del tavolo APS con il Ministero dell'economia e delle finanze, con le regioni e con le altre istituzioni; ho parlato dei tavoli istituiti con la società civile, con Confindustria; ho parlato dei tavoli collettivi che facciamo, proprio per cercare di portare a sistema le politiche allo sviluppo, ma anche per acquisire, nelle nostre linee programmatiche, le istanze che ci pervengono dai diversi attori di cooperazione.
In realtà, tutto questo dovrebbe essere fatto dal comitato direzionale. Questo è assolutamente vero.
Vengo ai pro e ai contro. Credo che debba certamente essere mantenuta una struttura, quale è oggi quella del comitato direzionale, che ha la responsabilità dell'approvazione dei progetti.
In un sistema italiano, dove troppo spesso si tende - scusate se faccio questa osservazione - a colpevolizzare il funzionario preposto per qualsiasi atto amministrativo (mi trovo a firmare tutto ciò che riguarda la Direzione, dalla missione più banale dell'esperto, fino a progetti di svariati milioni di euro), credo che sia inevitabile rendere più collegiale la responsabilità dell'approvazione dei progetti.
A seguito di una lunga esperienza presso il Ministero degli esteri, anche di tipo amministrativo, sottolineo che è necessario correggere il sistema dell'attribuzione delle responsabilità, vale a dire delegare di più, lasciando al dirigente generale solamente l'onere di atti che implichino l'assunzione di vere responsabilità; oppure occorre rendere più collegiale la distribuzione della responsabilità.
Alla luce di quanto detto, il comitato direzionale è necessario ed è certamente un momento importante dal punto di vista della responsabilità contabile e amministrativa, ma ha anche delle grosse carenze. Innanzitutto, concepito così com'è, all'interno del ministero - perdonate la franchezza -, diventa spesso un luogo in cui le altre direzioni generali cercano di accaparrare la loro quota di competenza, per quanto riguarda le materie di policy, che credo debbano rimanere nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, in quanto unica struttura che ha una visione di insieme, una visione di coerenza con i principi internazionali e con le strategie di sviluppo.
Tale comitato rappresenta anche il momento al quale partecipano anche altre amministrazioni, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'economia e delle finanze. Non è tuttavia l'organo dove si parla di policy, cioè di strategia dello sviluppo. Credo che più opportunamente, come stiamo facendo, questo debba avvenire in altri tavoli.
È forse vero - lo lascio veramente come argomento per la riflessione del Comitato - che andrebbe concepito un momento di policy making a livello più politico e più elevato, come suggeriva l'onorevole Barbi. Forse, in origine, questo doveva essere lo scopo del comitato direzionale.
Il fatto che con questo Governo il Ministro degli esteri abbia la delega per la cooperazione, da un mio punto di vista - ma questa è una mia opinione personale - dà un valore aggiunto, perché naturalmente porta ad un livello ancora più elevato la responsabilità della cooperazione allo sviluppo; direi che sancisce in maniera evidente il ruolo della cooperazione come strumento di politica estera, ma anche di stabilità e di sicurezza su scala globale.
Si potrebbe dunque approfittare di questa configurazione, per far sì che il comitato direzionale diventi anche il momento di policy strategy.
Forse, tuttavia, bisogna trovare degli strumenti di supporto, perché, al di là di chi ha la delega, non è pensabile che a livello politico ci si riunisca per la definizione delle singole policies.
Devo dire che il fatto stesso che il comitato direzionale abbia adottato il piano per l'efficacia dell'aiuto e le linee guida, in realtà marca un progresso, nel senso che è stato auspicato.
Per la prima volta, infatti, è stato effettivamente posto all'attenzione del comitato direzionale uno strumento operativo


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che ha natura di policy making, di strategy. Pertanto, direi che si sta procedendo progressivamente verso questa strada. Come dicevo prima, però, lascio decidere al Comitato se è necessario arrivare a questo obiettivo con strumenti normativi o semplicemente attraverso un incoraggiamento a proseguire su questa strada.
Passo ora al whole of country approach. L'onorevole Barbi faceva riferimento all'esigenza di ampliare questo concetto di processo di sviluppo, tenendo in considerazione tutte le componenti e tutti i settori che possono contribuire allo sviluppo.
Io stessa ho detto che questa non deve essere una copertura nei confronti di una manchevolezza sul piano della quantità. Tuttavia, è vero che soltanto acquisendo in maniera esplicita questa nuova concezione dello sviluppo si può garantirne l'efficacia.
Insisto su questo punto, anche perché ho la coscienza pulitissima quando denuncio la mancanza della quantità dell'aiuto pubblico allo sviluppo, quindi mi sento autorizzata a sottolineare che non si può lasciare ai singoli attori la definizione delle strategie.
Ho detto prima che uno Stato serio, uno Stato che si pone veramente fra i G8 e che ha una responsabilità nel definire le politiche di sicurezza, di strategia e di stabilità, deve assumersi la responsabilità di dare gli indirizzi in termini di cooperazione allo sviluppo.
Pertanto, è soltanto capendo che vi sono diversi attori che contribuiscono allo sviluppo che ci si può assumere la responsabilità, coinvolgendoli, raccogliendo le istanze che provengono da questi attori, dalla società civile, all'industria, alle regioni, alle altre amministrazioni interessate, al privato cittadino. Soltanto raccogliendo le istanze, ma anche facendo le scelte politiche che competono ad uno Stato, si può far sì che il sistema miri allo sviluppo, e non si soffermi su politiche di interesse, personalistiche o individualistiche.
Credo che sia arrivato il momento di comprendere e di capire questo aspetto. È questo il significato del whole of country approach che l'Italia ha promosso in ambito G8, in un momento non felice.
Del resto, quando diminuisce l'aiuto pubblico allo sviluppo è scontata la critica che questo strumento sia una copertura verso le manchevolezze sulla quantità. Passato questo momento, tuttavia, credo che si debba dire che i due elementi della quantità e della qualità sono assolutamente indispensabili per essere accountable. Intendo dire che la responsabilità di un Paese si misura su questi due fronti parallelamente e contemporaneamente.
È vero quanto diceva l'onorevole Antonione, ossia che su alcuni temi della cooperazione allo sviluppo vi è una convergenza assoluta e trasversale fra maggioranza e opposizione.
Mi confronto spesso sia con la maggioranza che con l'opposizione e devo dire che, sui termini tecnici del problema, ma anche sui principi delle strategie, vi è ampia convergenza.
Quindi, da tecnico, lasciatemi dire che non riesco a capire perché non si riesca ad apportare quel minimo di correttivo. Lo ripeto: la grande riforma è auspicata da tutti, ma per fare meglio e di più sarebbero sufficienti dei correttivi facili, che tra l'altro ho già avanzato, scritto e proposto. Non capisco perché non riescano a passare.
Se il Ministro Frattini verrà audito sulle linee guida, che peraltro sono pubblicate, mi auguro che questo accada in autunno, quando avremo pronta la nuova revisione delle linee guida.
Nel frattempo, come diceva il presidente Pianetta, se questo Comitato riuscisse perlomeno a far passare quel minimo comune denominatore che caratterizza le posizioni di maggioranza e opposizione, e oserei dire anche della parte tecnica della Direzione generale, avrei la possibilità di fare molto meglio e molto di più, al di là di quello che dice l'onorevole Antonione che è di parte, essendo stato il mio capo per diversi anni.


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PRESIDENTE. Ministro Belloni, la ringraziamo per la disponibilità e anche per questo ultimo spunto che ha voluto dare al nostro Comitato. Mi auguro che il clima che esiste e che è stato constatato da più parti possa dare i risultati sperati.
Ci manterremo senz'altro in contatto, al fine di raggiungere questo annoso obiettivo.
Voglio anche ringraziare il consigliere Pierfrancesco Sacco che l'ha accompagnata.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto della seduta odierna della documentazione che ci avete voluto fornire, a supporto ulteriore dell'audizione (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,05.


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