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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
16.
Giovedì 22 ottobre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione dell'ambasciatore Staffan de Mistura, vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2 6 9 13 16
Boniver Margherita (PdL) ... 7
Corsini Paolo (PD) ... 8 11
de Mistura Staffan, Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale ... 3 9 11 14 15
Mecacci Matteo (PD) ... 13 15
Migliori Riccardo (PdL) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 22 ottobre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 10,45.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dell'ambasciatore Staffan de Mistura, vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, l'audizione dell'ambasciatore Staffan de Mistura, vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale.
Lo accogliamo con molto piacere, perché è una grande personalità del mondo delle Nazioni Unite, che tra l'altro è stata audita presso il Parlamento italiano anche in altre occasioni. L'ambasciatore è nato a Stoccolma e ha la doppia nazionalità italiana e svedese, ma quello che colpisce in modo molto positivo è la sua biografia: nel corso dei 38 anni di carriera nelle Nazioni Unite, ha ricoperto una quantità notevolissima di incarichi importanti, ma soprattutto nei luoghi più difficili e caldi del mondo, nei momenti più burrascosi. Cito soltanto alcuni Paesi in cui, con incarichi molto significativi, egli ha rappresentato le Nazioni Unite: l'Iraq, il Libano, la Bosnia, la Croazia, il Kosovo, la Somalia, l'Albania e altri.
Oggi, dunque, il nostro Comitato ha un ospite veramente importante, dotato di una profonda conoscenza del multilateralismo delle Nazioni Unite, e intende ascoltarlo su un tema significativo come la questione alimentare mondiale.
Questo Comitato, signor ambasciatore, da un anno circa svolge un'azione mirata a conoscere e ad approfondire i temi connessi agli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Abbiamo ascoltato in tante audizioni molti rappresentanti italiani e internazionali e ci stiamo facendo un'idea delle difficoltà per il raggiungimento degli obiettivi stessi.
In particolare, parlando di Programma alimentare mondiale, faccio riferimento all'Obiettivo numero 1, che purtroppo - come i colleghi e noi tutti sappiamo - in questo ultimo periodo ha subìto una regressione in ragione della crisi internazionale. Pertanto, un numero maggiore di persone è ritornato in una situazione tragica di fame e miseria.
Proprio ieri, signor ambasciatore, la Camera dei deputati ha approvato due mozioni bipartisan che spingono il nostro Governo ad assumere posizioni più concrete, finalizzate a incrementare la quantità di aiuti pubblici allo sviluppo, unitamente alla possibilità di migliorare l'aspetto organizzativo e gestionale, perché l'Italia assurga a una posizione più consona in questo settore così importante e strategico. Abbiamo chiesto, pertanto, al Governo di presentare una scaletta per capire come l'Italia possa arrivare a conseguire gli obiettivi in termini di percentuale


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dell'aiuto pubblico allo sviluppo coerenti con gli impegni internazionali sottoscritti.
Tali iniziative hanno avuto luogo anche alla luce della volontà, espressa dal Segretario generale in occasione della LXIV sessione delle Nazioni Unite, di convocare un summit a New York l'anno prossimo, per fare il punto circa il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio previsto per il 2015.
Adesso, signor ambasciatore, la vogliamo ascoltare in ragione della sua esperienza e della sua carica di vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale. La ringrazio - e ringrazio per la presenza anche le sue assistenti, Marta Laurienzo e Marie-Helene Kyprianou - e le do nuovamente il benvenuto presso il Comitato permanente sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

STAFFAN DE MISTURA, Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale. Signor presidente, la ringrazio di questa occasione. Ho la tendenza a essere abbastanza coinciso e spero che questo sarà utile - so che avete tanti altri impegni - anche per lasciare spazio a eventuali domande o commenti.
Vi invito anche, nel caso foste interessati, ad approfittare del fatto che - come diceva il presidente - ho appena terminato una missione di due anni in Iraq per il Segretario generale e sono costantemente in contatto con le Nazioni Unite relativamente ad altri scacchieri che riguardano noi e voi da vicino, come l'Afghanistan, la Somalia e così via.
L'argomento di oggi riguarda gli MDG (Millennium Development Goals) e in particolare MDG 1, quello che riguarda la questione dell'urgenza alimentare e della fame nel mondo.
Permettetemi, innanzitutto, di dire qualcosa sul World Food Programme, perché è poco conosciuto. In Italia si chiama PAM, acronimo che ricorda più una grande catena di supermercati che altro. Eppure dobbiamo essere abbastanza fieri di questo programma, cui forse andrebbe cambiato il nome. Il World Food Programme, infatti, con sede a Roma, è probabilmente l'organizzazione tra le più operative delle Nazioni Unite, potendo contare su 12 mila persone in giro per il mondo, di cui mille nella capitale italiana. L'organizzazione dispone di più di 5 miliardi di dollari di budget (si arrivava a 7 l'anno scorso) e tutto questo viene controllato e gestito da Roma.
Ho verificato in questi giorni che in questo momento abbiamo 73 aerei, 532 camion e 66 navi in movimento, coordinati dal World Food Programme delle Nazioni Unite, quindi da Roma, per operazioni di assistenza alimentare mondiale.
L'anno scorso abbiamo portato aiuti alimentari a 102 milioni di persone. Le cifre, purtroppo, sono ben diverse per quanto riguarda la food insecurity, il problema di insicurezza alimentare, ed è su questo che dovremmo lavorare.
Ricordo a noi tutti che a Roma abbiamo il Polo alimentare, un privilegio che potremmo anche valorizzare ulteriormente. La FAO fornisce assistenza tecnica, l'IFAD in fondo è come una banca per i piccoli coltivatori e il World Food Programme (con una base importante a Brindisi) di fatto rappresenta la Protezione civile delle Nazioni Unite, poiché provvede non solo all'aiuto alimentare, ma anche alla logistica nelle operazioni di emergenza, ivi comprese quelle della nostra Protezione civile in caso di necessità.
Il World Food Programme non si fa molta pubblicità, ma conoscere la sua attività è utile anche per una nostra maggiore consapevolezza. L'Obiettivo numero 1 - MDG 1 - stava andando bene e dovevamo essere tutti piuttosto sereni, perché avanzava nella direzione giusta. Nel 2005, infatti, erano 848 milioni le persone bisognose di aiuto, una cifra effettivamente enorme, che però aveva cominciato a scendere, dando la sensazione che con accelerazioni ulteriori si sarebbe potuto vedere un avvicinamento a quello che il MDG 1 ambiva ad ottenere.


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Ricordo che trentotto anni fa ho cominciato a lavorare con le Nazioni Unite al Programma alimentare mondiale. Ricordo il panico e l'angoscia, derivanti dalle crisi alimentari non in Etiopia o in Somalia, ma in Cina o in India, di dimensioni bibliche; catastrofi che coinvolgevano milioni e milioni di persone. C'era da mettersi le mani nei capelli e il problema era di non sapere dove cominciare e dove finire.
Ebbene, proprio questi due Paesi hanno dimostrato di poter girare l'angolo, provando a noi e a se stessi che MDG 1 è una realtà. Ve ne parlo perché a volte, mentre lavorate per questo fondamentale principio, potreste ricevere osservazioni sul ripetersi del ritorno della fame nel mondo e sulla possibilità che si tratti di un ciclo vizioso. Il ciclo, viceversa, è stato rotto e possiamo spezzarlo altrove.
Non dimenticherò mai quando durante l'assedio di Kabul, arrivò un aereo etiope con cibo indiano. Questo dimostrava in primo luogo che l'Etiopia, che noi avevamo aiutato nel 1987 durante le crisi alimentari, ci restituiva il contributo mandando uno dei suoi aerei a sostenere le Nazioni Unite; inoltre, proprio l'India, che aveva subito grandi carestie, era diventata in quell'occasione produttore, esportatore e donatore di cibo per una nostra operazione. La ruota, dunque, può girare.
Essa, tuttavia, ha girato male dopo il 2005. Tra il 2007 e il 2008, infatti, si sono verificate 32 sommosse in varie città del mondo a causa dell'aumento dei prezzi degli alimentari. Questo ha prodotto una consapevolezza, il mondo si è mobilitato, il WFP ha ricevuto un sostegno finanziario superiore e di fatto si sono riuscite a raggiungere circa 102 milioni di persone. La prova più significativa è che non ci sono più state sommosse.
Come si spiega allora, nel 2009, la pessima notizia che siamo arrivati a 1,02 miliardi di poveri, con un aumento in un anno di più di 100 milioni di persone? Anche nelle vite private di ciascuno di noi - mi auguro che non sia mai il caso - a volte piove sul bagnato: va male nel lavoro, poi nella vita affettiva, quindi nella salute, infine, all'improvviso, in famiglia e tutto coincide finendo per accumularsi. Così è stato per la situazione «familiare» del pianeta.
In primo luogo, si è verificato l'incremento dei prezzi del cibo, che ora sono scesi, ma non molto. Oggi, rispetto al 2005 abbiamo ancora un aumento del 59 per cento - che significa del 98 per cento rispetto al 2000 - dei costi delle derrate alimentari che sono indispensabili, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo.
In 47 Paesi, grazie a un intervento fortemente sostenuto anche dall'Italia con il WFP, siamo riusciti a raggiungere sufficienti persone per poter in qualche maniera ridurre il prezzo del 20 per cento, ma esso rimane sempre elevato.
A questo si aggiunge un altro elemento, i disastri naturali: ne abbiamo avuti più di 400 negli ultimi diciotto mesi nelle varie parti del mondo. Tali eventi non fanno altro che accumulare la pressione. La prima vittima di un disastro naturale, infatti, è la food security; in caso di alluvione, terremoto o tempesta la prima vittima è l'agricoltura, la capacità di produzione locale.
Il terzo elemento - come abbiamo visto tutti - è la crisi finanziaria, in parte assorbita dai Paesi più sviluppati, ma la discesa verso i Paesi più poveri sta avvenendo in questo periodo, a cui va aggiunta per esempio la riduzione delle rimesse degli immigrati, nonché l'abbassamento del valore di alcune delle materie prime. La crisi finanziaria, dunque, ha anche un effetto secondario.
A questo aggiungiamo, in varie zone del mondo - come Somalia, Corno d'Africa, Afghanistan, Congo e Darfur - la presenza di conflitti e i conseguenti movimenti di rifugiati e displaced. Non dobbiamo, quindi, sorprenderci per l'aumento della povertà.
Potremmo chiederci, dunque, le azioni da intraprendere a questo punto. Prima di tutto, debbo dire che il G8 è stato un'ottima dimostrazione dei possibili tentativi al riguardo. Io ero lì e ricordo con


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emozione e con sorpresa che mentre, in fondo, il mondo più sviluppato era lì per discutere dei propri problemi finanziari, decise, con una forte spinta italiana - dobbiamo riconoscerlo e in questi casi anche dirlo con orgoglio - e del Presidente Obama, che ne aveva fatto una priorità tanto da spingere per un intervento, durante la sessione, da 15 a 20 miliardi di dollari, affinché l'effetto secondario della crisi finanziaria non producesse effetti drammatici per i più poveri.
È un'iniziativa che vale la pena seguire, stimolare, cui contribuire con i fatti. Il risultato del G8 attualmente è in fase di evoluzione e molto probabilmente potrà essere discusso in occasione del summit della FAO che avverrà a metà novembre, dopo essere stato discusso a Pittsburgh e a Istanbul. Alla base vi è un principio abbastanza forte, quello di voler dare priorità alla produzione agricola dei Paesi in via di sviluppo; si tratta di insegnare ai Paesi poveri a pescare piuttosto che dar loro soltanto del pesce. Il problema del World Food Programme è che, nel frattempo, non si deve dimenticare il pescatore, ma mantenerlo in vita. Pertanto, è importante raggiungere i circa 103 milioni di persone che rappresentano la frangia più fragile e delicata del miliardo al quale stiamo mirando come target.
Oggi il WFP, proprio nel momento in cui dovrebbe essere più efficace, ha subito una riduzione dei contributi da parte di vari Paesi, in particolare l'Italia. Pur riconoscendo la situazione finanziaria difficile che tutti affrontano, certo la discesa dell'Italia dal dodicesimo al diciassettesimo posto, passata da una media degli anni passati di 47 milioni di euro (con un picco durante la crisi di più di 100 milioni) ai 25,1 attuali, ci ha colpito. Ci rendiamo conto che ciò è dovuto alla situazione finanziaria generale, ma dopo il G8 dovremmo tutti volerci impegnare per evitare un'ulteriore caduta al ribasso dell'insieme dei fattori che possono produrre molti più movimenti di popolazione e sofferenza nelle nazioni che non avevano nulla a che fare con la crisi finanziaria e per far sì che, attraverso un'iniezione di intervento nella sicurezza alimentare, si ritorni a quella che sembrava una buona tendenza.
Innanzitutto, signor presidente, mi fa piacere che le mozioni bipartisan siano state approvate. Queste sono le tipiche iniziative nella quale tutti dovremmo identificarci. L'Italia, del resto, è sempre stata in prima linea nel voler portare avanti questo tipo di problematiche e, non a caso, a Roma si trovano le tre agenzie dell'ONU. Certo, esse potrebbero lavorare ancora meglio, maggiormente e in modo più coordinato, ma rappresentano la risposta - se ben sostenute in ambito internazionale - al problema della food security.
Trovo francamente interessante anche la proposta della Detax avanzata dal Ministro Tremonti. Non intendo discutere qui una questione interna, ma se diventasse una realtà credo che il World Food Programme potrebbe essere usato come uno degli esempi dei potenziali effetti di questa misura su progetti concreti, dando un senso di identità a quelle aziende private che volessero accostare il proprio nome a questa iniziativa.
Ho saputo, inoltre, che dopo il vertice alcuni dei Paesi del G8 stanno verificando se per caso l'Italia riesce a lanciare questa iniziativa in termini concreti, per poterla in qualche maniera applicare altrove, con un effetto moltiplicatore. Questo, in ogni caso, non toglie nulla all'importanza dell'intervento governativo tradizionale nel procedere con gli MDG.
Infine - non sta a me ricordarvelo - MDG 1, di cui vi occupate in particolare, ha un effetto a catena. Per quanto riguarda MDG 2, per esempio, che riguarda l'istruzione, in assenza di school feeding - attualmente sono 23 milioni i ragazzi nutriti dal World Food Programme - questi bambini non vanno a scuola.
Se questi bambini non vanno a scuola, molte sono ragazze, e qui si inserisce MDG 3, che riguarda la promozione della parità tra i sessi. Abbiamo scoperto, infatti,


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che in vari Paesi, quando diamo cibo alla scuola affinché lo distribuisca agli studenti (come da noi ci sono le mense), i genitori vi mandano le ragazze, per risparmiare soldi a casa e perché sanno che lì vengono meglio nutrite. In quel caso, le ragazze vanno a scuola e si istruiscono, altrimenti resterebbero a casa. L'effetto, dunque, di MDG 1 su MDG 3 è abbastanza forte.
Per quanto riguarda, poi, MDG 4 e 5 (rispettivamente riduzione della child mortality e miglioramento della maternal health), è evidente che più la madre e i bambini sono ben nutriti, più si riducono mortalità infantile e materna.
Conosciamo, altresì, l'effetto sulla lotta all'HIV (MDG 6): più e meglio le persone sono nutrite, più le loro difese immunitarie e il cocktail di medicine che può in qualche maniera contrastare questa terribile malattia è efficace.
A proposito di MDG 7, che riguarda l'ambiente, ricordo che ogni disastro ambientale ha un effetto collaterale immediato, non sui palazzi ma sugli alberi.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor ambasciatore, per l'esposizione che ci ha voluto offrire per quanto riguarda la parte più propriamente collegata all'MDG 1, ma anche per averne chiarito l'effetto a catena sugli altri MDG di cui ci stiamo occupando nella nostra indagine, che ci sta dando un panorama estremamente ampio relativamente agli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RICCARDO MIGLIORI. Eccellenza, la ringrazio molto per la sua presenza e per la lucidità del suo intervento. Sono il presidente della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'OSCE e l'anno scorso, in qualità di relatore nella Commissione sicurezza, ho svolto una riflessione sul tema della sicurezza alimentare nell'area appunto dell'OSCE.
Sono tre le grandi questioni sulle quali vorrei conoscere il parere suo e del PAM, che determinano una situazione nuova e molto preoccupante rispetto a dieci anni fa.
La prima riguarda la riduzione delle aree coltivabili, stante l'appetibilità di un loro utilizzo a fini di biocarburanti. Questo è un problema enorme, perché determina una concausa difficile da superare in aree sottosviluppate.
La seconda questione, che è una questione politica di estrema importanza, riguarda vere e proprie forme di neocolonialismo che si registrano ad opera di Paesi soprattutto asiatici in Africa, dove vengono acquistate aree immense, pari all'estensione di una provincia italiana. Si parla di migliaia di chilometri quadrati, in cui le popolazioni locali vengono in qualche misura marginalizzate e le culture tradizionali vengono messe da parte. Queste aree coltivabili diventano così basi per la sicurezza alimentare dei Paesi che hanno le hanno acquistate.
Infine, in area europea o confinante con l'Europa si verifica un fenomeno straordinario sul quale fino a oggi la comunità internazionale non si è sufficientemente impegnata. Ci sono in Ucraina, in Russia, ma soprattutto in Kazakistan, anche intere aree, grandi come regioni italiane, un tempo coltivate che oggi non lo sono più, per la fuoriuscita delle popolazioni che vi risiedevano. Parlando con interlocutori di questi Paesi si ha persino la sensazione che un intervento della comunità internazionale possa suonare come invasivo rispetto alla loro sovranità.
Questi tre argomenti, che sono nuovi rispetto a dieci anni fa - i biocarburanti, il neocolonialismo, l'esigenza di riutilizzo delle aree ricoltivabili - costituiscono grandi questioni politiche sulle quali a me pare vi sia ancora una scarsa avvertenza. In altre parole, la nostra riflessione fino a oggi è stata finalizzata a uno scarso intervento finanziario e noi, per quel che ci riguarda, come ha detto bene il presidente Pianetta, faremo ogni possibile azione sul nostro Governo affinché ci sia un'inversione di tendenza. Tuttavia,


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al di là dell'intervento finanziario, vi sono grandi questioni politiche sulle quali credo che dobbiamo intervenire.
Qual è il parere suo e del PAM rispetto a queste tre questioni che mi paiono strategiche?

MARGHERITA BONIVER. Signor presidente, anch'io naturalmente inizio con un ringraziamento non rituale nei confronti dell'ambasciatore Staffan de Mistura, il quale ha rappresentato con molta lucidità lo stato dell'arte, che vede non soltanto il deprecabile incremento delle persone finite sotto la soglia estrema di povertà, ma purtroppo anche il decremento dei nostri contributi a quella che probabilmente è l'agenzia più importante del sistema delle Nazioni Unite, in quanto assicura con molta efficienza - forse con poca visibilità rispetto ad altre - la sopravvivenza di decine di milioni di persone.
Nella mia lunga esperienza in politica internazionale, nelle innumerevoli missioni che ho compiuto, ho sempre visto immediatamente all'opera, nei momenti di crisi, il World Food Programme. Debbo dire che se tutte le agenzie dell'ONU fossero altrettanto efficienti la situazione sarebbe di gran lunga migliore.
Mi scuso a nome di tutti i colleghi del fatto che oggi siamo presenti in pochissimi, ma - come forse le ha già detto il presidente privatamente - poiché l'Aula ieri sera ha chiuso i battenti intorno alle 20.40, il 99 per cento dei nostri colleghi è tornato nei suoi collegi. Stamattina, dunque, siamo pochi, ma naturalmente buoni.
Non credo sia necessario illustrare ancora una volta (lo ha già fatto il presidente Pianetta) l'importanza delle due mozioni approvate all'unanimità a Montecitorio: è una buona notizia alla quale dovrebbe seguire - ce lo auguriamo vivamente e su questo punto insisteremo anche in altre sedi e con diverse formule - anche un'inversione di tendenza, per quanto non enorme. Ad ogni modo, è assolutamente necessario un segnale per far capire che il nostro Paese si impegna - come ha sempre fatto, peraltro - a onorare i propri obblighi internazionali e continuerà a farlo.
Certo, non si tratta soltanto delle costrizioni di bilancio, né della crisi economico-finanziaria innescata in modo così improvviso e paradossale, che ancora più paradossalmente non sembra affatto aver toccato, a un anno dal suo inizio, i bonus dei banchieri internazionali. Circostanza, questa, che grida vendetta al cospetto di Dio.
Al di là di queste considerazioni, c'è da ricordare sempre, purtroppo, che l'Italia ha il terzo debito pubblico più importante delle democrazie, forse un po' al di sotto di quello statunitense; in ogni caso, siamo purtroppo alle prese con una questione che sembrerebbe essere irrisolta e che ci trasciniamo dagli anni Ottanta.
Tutte queste circostanze hanno fatto sì che il Ministero dell'economia abbia operato dei tagli veramente pesanti, non soltanto nei confronti della cooperazione, ma in molti altri settori. Quello che è ancora più «crudele» è che questi tagli sono across the board, dunque non sono selettivi. Pertanto, ne soffrono moltissimo non soltanto le prestigiose agenzie dell'ONU che ci onoriamo di sostenere, ma anche quella miriade di associazioni di volontariato, ONG e via dicendo, che costituiscono una componente essenziale sul territorio.
Come agire nei confronti di questa incresciosa situazione? Naturalmente, non abbiamo noi i cordoni della borsa e comprendiamo le difficoltà nell'ottemperare anche agli innumerevoli vincoli europei. Per citarne uno, si pensi al Patto di stabilità, per far comprendere la complessità di gestire un bilancio, nonché la dura necessità di operare dei tagli anche importanti.
Credo che, come membri della Commissione affari esteri, proseguiremo nello spirito bipartisan che ci ha unito ieri sera nel voto sulle due mozioni. Continueremo dunque a compiere la nostra parte e, per


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quello che riguarda il nostro gruppo, lo faremo con grande entusiasmo nei confronti del World Food Programme.
Prima di lei abbiamo audito il direttore James Morris, qualche anno fa, quindi l'attuale direttore esecutivo Josette Sheeran. Lei oggi ha parlato poco, ma in modo assolutamente stringente, non soltanto sulla natura del World Food Programme, che più o meno conosciamo, ma soprattutto sull'aspetto finanziario. Per quello che ci riguarda, siamo molto dispiaciuti di questi tagli, ma faremo tutto quanto è in nostro potere affinché ci sia un'inversione di tendenza e la stessa avvenga il più presto possibile.

PAOLO CORSINI. Anch'io, signor ambasciatore, mi voglio associare al ringraziamento dei colleghi per la sua presenza, che ho giudicato particolarmente feconda per i nostri lavori.
Devo dirle che, non avendola conosciuta personalmente in passato, ho colto una sorta di supplemento d'anima nella passione con cui lei ha esposto i suoi assunti e ci ha fornito le relative informazioni. Peraltro, questa sua presenza coincide con una contingenza particolarmente positiva e significativa che anch'io voglio sottolineare, ossia - come peraltro emergerà anche dall'audizione di questa mattina - una convergente disposizione dei gruppi parlamentari attorno al tema della cooperazione, in vista di una ripresa delle politiche dello sviluppo.
La votazione di ieri sera, assolutamente unanime e in uno spirito di comune impegno, è particolarmente incoraggiante e remunerativa, per molti versi, della disposizione con la quale molti parlamentari si rapportano a questi temi.
Prima di procedere a sottoporle alcuni interrogativi, vorrei un chiarimento di ordine metodologico. Allorquando abbiamo condotto l'audizione del direttore Josette Sheeran, abbiamo appreso dei dati difformi rispetto a quelli che ci vengono proposti oggi nella scheda che i nostri uffici hanno preparato (ma forse interpreto male il testo o non so leggere le categorie di riferimento). In quell'audizione venimmo informati del fatto che l'organizzazione assisteva circa 90 milioni di persone, 3 milioni nel solo Darfur, sebbene di fame e malnutrizione soffrirebbero complessivamente nel mondo ben 130 milioni di individui.
Oggi lei parla - credo giustamente, e del resto la scheda ci dà lo stesso dato - di oltre un miliardo di persone che si trovano attualmente a vivere in condizioni di malnutrizione. Probabilmente qui giocano due categorie distinte, fame e malnutrizione, e a seconda della categoria che si utilizza - questa perlomeno la mia supposizione - i dati variano sensibilmente: tra 130 milioni e oltre un miliardo c'è un impegno da far tremare le vene ai polsi. Vorrei chiederle, dunque, una precisazione in ordine a questo dato.
Ricordo che quando ero ragazzo - vedo che la mia età coincide con la sua - Follerau aveva lanciato un grande appello contro i 2 miliardi di affamati, mentre oggi si parla di poco più di un miliardo, il che vuol dire che si è avuta un'evoluzione in relazione agli impegni profusi.
Innanzitutto, ho apprezzato anche la parte conclusiva della sua relazione. Lei è stato molto sintetico, ma a mio avviso estremamente efficace, in quanto ha messo in luce come l'impegno contro la fame e la malnutrizione abbia una valenza coestensiva rispetto ai grandi Obiettivi del Millennio. Per esempio, lei dice che le grandi catastrofi ambientali hanno conseguenze immediate, che la possibilità di nutrire i giovani che frequentano la scuola determina un incremento del loro grado di consapevolezza culturale e della loro partecipazione in termini attivi al valore della cittadinanza e così via. Considerando il rapporto coestensivo tra l'impegno contro la fame e la malnutrizione e una serie di altri indicatori, vorrei conoscere il suo parere in ordine ad alcuni problemi.
Vorrei sapere, in primo luogo, quale rapporto intravede tra le possibilità dello sviluppo scientifico e tecnologico e la lotta alla fame. Come sa, questo è un


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tema particolarmente disputato e oggetto di valutazioni contraddittorie e contrastanti.
In secondo luogo - condivido l'osservazione del collega Migliori - quasi sempre abbiamo letto il tema della fame come il frutto di un meccanismo di scambio ineguale tra nord e sud, mentre oggi si apre una profonda contraddizione anche ad altri livelli. Mi è capitato recentemente di partecipare a un dibattito di presentazione di uno studio di quella che io chiamo «neocolonizzazione» cinese dell'Africa. Noto che il tentativo di controllare soprattutto Paesi che emergono per disponibilità di fonti energetiche e in modo particolare di petrolio comporta una presenza cinese in Africa estremamente aggressiva, con conseguenze anche sotto il profilo del problema che stiamo esaminando oggi. Vorrei conoscere, dunque, la sua valutazione in ordine al superamento di una categoria, a mio parere abbastanza invecchiata, che vede nell'espropriazione da parte del nord delle risorse del sud la ragione fondamentale dell'esistenza di dislivelli macroscopici, in termini di progresso e di sviluppo.
Lei ha detto - in questa sede non dobbiamo né acquisire voti, né strumentalizzare le conoscenze di cui disponiamo o fare propaganda, poiché i dati sono chiari - e peraltro le pubblicazioni che i nostri uffici molto diligentemente ci trasmettono lo confermano, che l'Italia passa dall'undicesimo al diciassettesimo posto. Non ho alcuna intenzione di polemizzare, poiché si tratta di un dato sostanzialmente strutturale, non addebitabile a questo o a quel Governo: questo esige l'onestà intellettuale.
Non c'è dubbio, dunque, che l'Italia è al diciassettesimo posto per quanto attiene alla devoluzione di finanziamenti al PAM. Non c'è dubbio, d'altra parte, che il nostro Paese partecipa anche ad altri programmi finalizzati al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio e che i canali attraverso i quali combatte la piaga della fame e della malnutrizione sono molteplici.
Come vede, signor ambasciatore, la possibilità di razionalizzare il meccanismo del sostegno, di rendere permeabili questi diversi canali di finanziamento e di rapportarli fra loro in modo che gli investimenti arrivino effettivamente al raggiungimento della meta che si prefiggono? È possibile trovare forme di coordinamento e di razionalizzazione delle modalità di gestione dell'erogazione dei fondi? Potrebbe essere, questo, un ambito di impegno degno di essere perseguito, a suo avviso? In sostanza, la regia politica dei programmi di lotta alla fame può vedere l'Italia porsi come Paese antesignano sotto il profilo dell'efficacia delle pratiche di sostegno e di finanziamento?

PRESIDENTE. Relativamente alle date, vorrei ricordare che l'incontro con il direttore esecutivo Sheeran risale al 15 luglio 2008 e faceva riferimento agli esiti della conferenza del giugno dello stesso anno.
Mi pare che le valutazioni e le domande poste siano molto interessanti. Do pertanto la parola al vice direttore De Mistura per una prima replica.

STAFFAN DE MISTURA, Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale. L'onorevole Migliori ha sottolineato tre aspetti: le aree coltivate per i biocarburanti, il problema di aree immense acquistate da altri Paesi (cominciano ad arrivare ormai a pioggia rapporti su varie parti del mondo, in particolare l'Africa) e le vaste superfici non coltivate.
Su questi aspetti non esprimo un parere ufficiale, perché prima debbo verificare la posizione del World Food Programme - sono arrivato da due mesi - ma posso dirle che tutti e tre i problemi da lei richiamati sono oramai sulla bocca di tutti. Ne ho sentito parlare in vari incontri, con un alto livello di preoccupazione.
Rimane il fatto, da lei ricordato, che alla fine prevale la sovranità nazionale. In sostanza, se un Paese africano - lei può immaginare quali siano, perché si


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tratta di alcune zone in particolare - accetta di cedere un'area, ovviamente impedirglielo diventa difficile, ma se poi lo stesso chiede un aiuto in termini di produzione agricola o di sostegno alimentare, in quel momento gli viene ricordato del cash guadagnato e gli si chiede di utilizzarlo per sostenere appunto la produzione agricola, in un'altra zona, senza chiedere l'aiuto internazionale. In quel momento, insomma, possiamo giocare una carta di aiuto senza mostrare di interferire, né con il soggetto che sta effettuando questi investimenti «particolari», né con chi li accetta.
Per quanto riguarda il World Food Programme, già da quattro o cinque anni si è cominciato a raffinare anche il tipo di aiuto, proprio per mirare a contrastare gli effetti nefasti di alcune tendenze, ivi compresa quella di riempire di cibo, come è avvenuto in passato, il Paese che ne ha bisogno, affliggendo di fatto - involontariamente, ma con effetti reali - la produzione agricola locale.
Ricordo che inizialmente, quando ho cominciato a lavorare per il World Food Programme, esso distribuiva i surplus alimentari dei Paesi che non sapevano che uso farne, poiché costava di più buttare quel cibo che distribuirlo. Anzi, possiamo dire che il WFP è nato proprio da un problema di surplus alimentare globale. Non si sapeva come smaltire le scatolette di pesce del nord e il grano americano, se buttarli, bruciarli e così via, il che costava caro e non era opportuno, così si decise di darli al World Food Programme, affinché li distribuisse nei Paesi poveri e producesse food for work, per esempio.
Oggi, invece, ben il 60 per cento degli aiuti è cash, prima di tutto perché i surplus alimentari sono cambiati e i Paesi hanno «aggiustato» la loro produzione, inoltre perché in questo modo si può fare molto di più. Un esempio è quello dei cash voucher: in caso di emergenza è inutile distribuire scarpe, calzini e panini, poiché le vittime preferiscono poter comprare qualcosa di cui hanno bisogno per la propria famiglia, piuttosto che ricevere 15 paia di scarpe (penso a quello che avveniva un tempo, ad esempio con le distribuzioni dopo i terremoti). Molto spesso, dunque, emettiamo cash voucher affinché si compri sul posto il cibo locale.
L'esempio classico è quello di un'emergenza in Bangladesh, durante la quale il cibo era disponibile nei negozi, ma mancava la capacità della gente povera di acquistarlo, perché le loro mucche erano morte nell'alluvione, gli attrezzi da lavoro e il raccolto erano scomparsi.
Oltre ai cash transfers and vouchers, ci sono i local purchase, che consistono nel comprare regionalmente o localmente, nei Paesi in via di sviluppo, cibo per stimolare la loro intenzione di produrne di più, sia per sé stessi, sia per l'uso in Paesi limitrofi. Si tratta di approcci innovativi, che vorremmo continuare ad espandere. Di qui l'importanza di contributi finanziari, non necessariamente alimentari.
I tre fattori da lei segnalati, in ogni caso, onorevole Migliori, rimangono gravi; è necessario monitorarli e attuare una «simpatica» costante pressione di constructive embarrassment su questo tipo di pratiche.
Ringrazio l'onorevole Boniver del suo sostegno e dell'intenzione di continuare la bella iniziativa di ieri: non molto spesso, nel mondo, si raggiungono unanimità e accordo bipartisan - basta girare per i vari Parlamenti per rendersene conto - e vederli su una questione tanto importante fa piacere e dovrebbe renderci orgogliosi.
Ora, l'Italia è sempre stata particolarmente abile nel portare avanti una politica estera non di forza ma di moral authority e humanitarian assistance, attraverso la quale ha esercitato un'influenza e un peso politico nei Paesi in cui era presente. Non si tratta, dunque, di un'iniziativa puramente morale, ma anche intelligente in termini di politica estera, quando la nazione non è una superpotenza ma può usare dei sistemi


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efficaci di moral authority, tanto più che a Roma risiedono le tre Agenzie, il che costituisce un motore ulteriore.

PAOLO CORSINI. Se permette, vorrei aggiungere ancora una domanda di clamorosa ingenuità. Ho visto nel suo curriculum che lei ha avuto una presenza di significativa valenza in Afghanistan. Al riguardo, non mi sono mai spiegato come mai, in relazione alla questione della produzione di sostanze oppiacee in tale Paese, non ci si prefigga l'obiettivo di comperare tutti i raccolti, naturalmente attraverso meccanismi di controllo e di garanzia, in modo che le risorse poi non vengano destinate all'acquisto di armi o a sostegno di guerriglie estremistiche e fondamentaliste.

STAFFAN DE MISTURA, Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale. Parto dalla domanda che lei ha definito «ingenua». Francamente a me piacciono domande di questo tipo perché, come l'onorevole Boniver sa molto bene, nelle emergenze il segreto che abbiamo applicato varie volte è quello di pensare out of the box, vale a dire andare oltre il concetto tradizionale ed essere creativi. Quindi, non trovo ingenua la sua domanda, ma, al contrario, molto creativa. Tuttavia, non posso rispondere perché non sono competente al riguardo.
Come sapete, c'è un italiano di alto prestigio, Antonio Costa, all'UNDCP a Vienna, ed è un mio amico, che lavora molto bene proprio in Afghanistan. Del resto, ne ha fatto una specie di principio di dimostrazione dell'utilità di quella importante Agenzia. Gliene parlerò anch'io, e vale la pena di farlo, perché attualmente - lei ha ragione e viene riconosciuto ormai da tutti, anche dai comandanti militari occidentali - i talebani si autofinanziano soprattutto tramite taglieggiamento, trasporto, posti di blocco e altre azioni legate alla produzione dell'oppio. L'Afghanistan è diventato un Paese in prima linea in termini di produzione, proprio in questo periodo.
Per quello che riguarda le cifre, innanzitutto quando Josette Sheeran è stata qui era più di un anno fa e le cose, purtroppo, da allora sono cambiate radicalmente. In quell'epoca si riferivano le cifre che erano disponibili dopo le 32 sommosse che ho ricordato, quando il mondo, compresa l'Italia, aveva risposto in un certo modo. Questo dimostra come l'«effetto CNN» può produrre risposte molto veloci, come del resto è avvenuto nella crisi finanziaria. Le cifre riferite allora, dunque, potevano disegnare un quadro leggermente diverso da quello normale, come accade a volte di fare le analisi del sangue dopo aver mangiato molto sale o molto zucchero e di avere risultati diversi da quelli soliti.
Peraltro, le cifre non sono comunque molto diverse e la sua analisi è quella giusta. Parliamo di un miliardo di persone - oggi, purtroppo, mentre prima erano 848 milioni - che sono in una situazione di food insecurity, non affamate, altrimenti avremmo le carestie, una vera emergenza. Siamo, invece, in una situazione di pre-emergenza, se volete, ma è proprio a questo punto che dobbiamo intervenire, perché la fame, come sappiamo, prende piede a lungo termine. Quando, nel 1984, in Etiopia ci fu quella terribile situazione di fame in cui intervenimmo tutti, la stessa era stata preannunciata un anno prima, aveva cominciato ad avere i suoi effetti deleteri sei mesi prima e a produrre le prime morti una settimana prima dell'emergenza. Non si muore di fame in un giorno, per fortuna.
Parliamo di 2.100 calorie giornaliere, ma se non arriviamo a questa soglia, più alcuni micronutrienti che servono a mantenere in piedi le difese immunitarie e la salute delle persone, cominciamo ad essere in una situazione di food insecurity. Se a questo aggiungiamo l'incertezza della produzione agricola in certe zone, il numero delle persone in questa situazione aumenta.
Abbiamo, poi, le persone che presentano i primi sintomi della sottonutrizione e sono tra 103 e 108 milioni. Noi vorremmo raggiungerle tutte ma quest'anno probabilmente - mi dispiace dirlo -


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riusciremo a raggiungerne non più di 80-84 milioni, proprio per mancanza di fondi. Insomma, su un totale di un miliardo di persone, 103 milioni (o 108 milioni, dipende dalle zone e dai momenti di conflitto) sono ultravulnerabili. Su queste ultime persone dobbiamo intervenire, perché non rimane una grande flessibilità di intervento e subito dopo si comincerà a parlare di «Etiopia». Parliamo, infatti, di Etiopia e Somalia come casi classici.
Vengo alla questione del rapporto tra i progressi scientifici e la lotta contro la fame. Nell'ambito del WFP c'è una forte tendenza a voler cercare formule innovative: in termini di distribuzione, abbiamo parlato del cash transfers and vouchers, del local purchase, ma si pensa addirittura a un sistema di assicurazione agli agricoltori. Non ci abbiamo mai pensato prima, ma sappiamo che, a casa nostra, in Toscana, i nostri contadini sono assicurati in caso di grandine, a differenza di quello che avviene in Etiopia e in Somalia.
Avviene, quindi, che pur prevedendo addirittura periodi di siccità, si interviene successivamente con la comunità internazionale per aiutare la popolazione colpita, ma si arriva con tre mesi di ritardo, perché questo è il tempo che occorre per inviare il cibo e distribuire il denaro.
Perché non aiutare questi contadini, spendendo una cifra inferiore, assicurando il loro raccolto? Qualora il raccolto vada male, il costo sarà comunque molto minore rispetto a quello di un intervento umanitario, che oltretutto arriva in ritardo.
Queste sono formule «creative» in termini di distribuzione alimentare preventiva. Lei parlava chiaramente di aspetti più scientifici. In quel caso, una delle nuove formule - vorrei che l'Italia fosse un po' più attiva in questo - riguarda nuovi elementi di nutrizione concentrata. Vari Paesi stanno producendo adesso dei cocktail altamente nutritivi (ne assumiamo anche noi nella nostra vita quando vogliamo dimagrire, ingrassare o rafforzare i nostri muscoli eccetera), studiati per poter intervenire molto più efficacemente soprattutto su chi è molto vicino alla fame.
In questo senso c'è un forte avanzamento tecnologico - non parlo di OGM, adesso - e noi siamo alla ricerca di ulteriori formule, affinché, anziché portare 30 mila tonnellate di riso, si possano portare 2 mila tonnellate di high protein, high nutritional food, cibo altamente rafforzante. Questo cibo verrà poi sostituito dal cibo normale e infine, speriamo, dalla produzione locale.
Si è parlato di una presenza aggressiva di alcuni Paesi, probabilmente con riferimento allo stesso problema di cui parlava l'onorevole Migliori. Ovviamente non posso fare commenti su un Paese membro del Consiglio di sicurezza, quindi lascio a voi di fare i vostri commenti, poiché ne avete la libertà. Abbiamo comunque visto in passato che la pressione morale funziona e tutti i Paesi amano, a un certo momento, non essere criticati, soprattutto in contesto internazionale.
Quanto invece al funding coordination, onorevole Corsini, lei ha ragione. Lavoro con l'ONU da 38 anni, quindi ho visto una babele di fondi e contro fondi, agenzie in competizione fra loro eccetera. Non è questa la cosa giusta. Il Segretario generale Ban Ki-Moon è intervenuto - anche Kofi Annan aveva tentato - con particolare energia per evitare queste sovrapposizioni.
Per quanto ci riguarda, qui a Roma esiste un meccanismo, che si chiama HTLF, high level task force on food crisis, creato dopo l'emergenza delle 32 sommosse; è coordinato attualmente da una persona che conosco molto bene, David Nabarro. L'ambasciatore Sebastiani che, vi confesso, è molto attivo ed efficace qui, ha fatto sì che l'HTLF, questo elemento di funding coordinato per le questioni di crisi alimentari, sia basato a Roma, e non altrove. Questo aiuta a consolidare questo polo di presenza, affinché quando c'è una richiesta di fondi massiccia non siano le varie agenzie a farsi concorrenza, ma sia piuttosto questo elemento di coordinamento,


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cui partecipano i Governi, sia riceventi che donanti, a dire quando deve intervenire il WFP, perché magari si è in una fase di protezione civile, o quando occorre un fondo particolare della FAO, affinché i tecnici possano aiutare ad evitare, ad esempio, l'epidemia delle locuste in un dato territorio e così via.

PRESIDENTE. Mi ha colpito la considerazione che in alcune circostanze una fornitura di cibo possa innescare un processo negativo nel Paese, abbassando la possibilità di produrre cibo. Mi sembra, allora, molto interessante la modalità del transfers and vouchers.
Come sta emergendo anche dalla nostra indagine, è necessario incentivare la possibilità di produrre e di sviluppare quella modificazione delle regole del commercio, ad esempio, per fare in modo che ci sia la capacità di partecipazione alla globalizzazione. Questo mi pare che sia un fatto importante da sottolineare, proprio con il modulo del cash for food, per bloccare quel pericolo di disincentivare la produzione.
Vorrei, inoltre, porle una domanda. All'inizio lei ha fatto riferimento all'organizzazione del WFP, indubbiamente molto complessa e ampia (73 aerei, 532 camion eccetera). Ebbene, com'è gestita questa organizzazione? Capisco che si tratta di una domanda tecnica, dunque non le chiedo una illustrazione estremamente ampia, ma soltanto per sommi capi, per capire in sintesi quali sono i problemi di questa gestione.

MATTEO MECACCI. Mi scuso col direttore se sono arrivato in ritardo, ma ero impegnato in una conferenza stampa.
Vorrei esprimere alcune brevi considerazioni. La prima si aggancia anche a quanto ha testé sottolineato il presidente. Credo che la questione della distribuzione di cibo da parte del WFP in Paesi in via di sviluppo - cibo che viene prodotto in eccesso in Europa, negli Stati Uniti e nel resto del mondo sviluppato - si leghi inevitabilmente alla questione della politica agricola che è condotta nei nostri Paesi e ai negoziati che sono in corso ormai da tanti anni tra il mondo più sviluppato e i Paesi in via di sviluppo proprio sulla questione dei sussidi agricoli.
Fino a quando continueremo a sostenere anche una politica agricola che è fuori mercato e che necessita di avere un sostegno statale per poter essere concorrenziale nei nostri Paesi e poi, siccome si produce troppo, si finisce per inflazionare anche il mercato dei Paesi in via di sviluppo, credo che non ci sia via d'uscita. A mio avviso, questa è una situazione politicamente insostenibile che produce purtroppo risultati gravi anche a livello umanitario.
Non so se ci siano state in passato - lei è giunto da soli due mesi - delle prese di posizione ufficiali anche da parte delle agenzie dell'ONU competenti su questo tema specifico, che riguarda, certo, la sovranità degli Stati, ma vi coinvolge direttamente come organismo.
Per quanto riguarda un'altra questione a cui lei faceva riferimento, ho avuto notizie da parte di una ONG impegnata su questo fronte, Medici Senza Frontiere, della ricerca che viene condotta anche a livello medico circa alimenti iperproteici che pare stiano avendo un effetto molto positivo in alcuni Paesi, in particolare il Niger, dove il passaggio dalla malnutrizione alla fame è stata ridotto largamente proprio grazie all'uso di questi prodotti.
Ora, da quello che comprendo c'è un problema di finanziamento della ricerca e di sviluppo di questi prodotti, il cui utilizzo risulterebbe molto più efficace di tanti altri strumenti che vengono impiegati. Rispetto al vostro budget complessivo, qual è la situazione attuale e quale stima si può fare anche in termini di sviluppo di questo tipo di strumento?
Quello che mi ha colpito molto - purtroppo, in politica a volte ci si abitua a queste circostanze - è che lei ha parlato di un numero di persone che soffrono la fame attorno ai 103-108 milioni ed ha aggiunto che voi quest'anno riuscirete a raggiungerne solo 80 milioni per carenza di fondi. Questo significa che


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rischiamo di avere, nel prossimo anno, milioni di morti per fame, rispetto ai quali la comunità internazionale assiste inerme. In termini quantitativi, di risorse economiche necessarie per poter aiutare queste persone, di che cifra stiamo parlando?

STAFFAN DE MISTURA, Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale. Prima di tutto, ringrazio il presidente di aver fatto nuovamente riferimento a questi approcci innovativi. Di fatto, avremmo dovuto pensarci tutti molto tempo fa, ma la realtà è che c'era un tale surplus alimentare che la priorità era distribuire quello che ci veniva dato dai Paesi donatori che producevano troppo.
Apro una piccola parentesi, se mi permettete. La mia prima esperienza con il World Food Programme fu in Sudan; avevo 23 anni ed ero assolutamente fiero di andare in Sudan a portare cibo in alcuni villaggi, che avevano cominciato a mostrare già i primi sintomi di crisi seria, a causa di conflitti locali. Mi resi conto, allora, che dopo tre giorni le persone non avevano mangiato nulla - ne parlavo ieri proprio con amici norvegesi, a Oslo, quando alcuni di loro ricordavano quel periodo - perché si trattava di scatolette di pesce privo della testa, mentre la tradizione locale impone che tutto ciò che si mangia, di tipo animale, debba essere identificabile, per capire se l'animale è velenoso o meno, o altro.
Quelle persone, dunque, non toccarono quel cibo e fu una grande delusione per me. A quell'età, poi, si è particolarmente idealisti e arrivando da Roma in Sudan mi aspettavo di ottenere qualche risultato e non semplicemente di vedere la fame e non poter fare nulla.
Usai allora la tecnica di far scegliere ad ognuno dei capi villaggio tre scatole di pesce; quindi le aprii pubblicamente, le mangiai davanti a tutto il villaggio e dormii nella zona, mostrandomi vivo e vegeto il giorno dopo. Lo feci per 17 giorni, dopodiché ebbi un'intossicazione alimentare per eccesso di proteine, a causa del caldo. Dovetti essere evacuato, fingendo di avere problemi familiari, e non di salute, altrimenti avrei dato un messaggio opposto a quello che tentavo di dare.
Insomma, quella era l'epoca in cui noi prendevamo ciò che ci veniva dato, con o senza testa. Oggi, invece, abbiamo nuove tecniche, le quali richiedono cash, ma sono molto più efficaci, perché aiutano a non deprimere l'agricoltura locale. Peraltro, si registravano ormai vari casi in questo senso, sebbene l'effetto non si vedesse immediatamente: sono tutti contenti quando arriva il cibo, ma il risultato è che, nel frattempo, proprio perché arriva il cibo non coltivano più o, peggio ancora, cominciano a coltivare sulla base di altri princìpi ben diversi dalla produzione agricola alimentare.
Come viene gestita questa organizzazione? Dovremmo dedicare a questo una sessione particolare, ma riferisco qualche elemento. Il World Food Programme è il braccio operativo e logistico di tutte le Nazioni Unite. Anche quando il Segretario generale deve andare in una certa zona, molto spesso chiede al World Food Programme di organizzare l'aspetto logistico. È un po' quello che avviene in Italia per la Protezione civile, la cui competenza a volte va oltre la risposta a un terremoto. Per fare questo, tutto è cominciato con la base di Brindisi.
Adesso abbiamo basi regionali, oltre che a Brindisi, a Subang, in Ghana, a Dubai e a Panama, dove ci sono centinaia e centinaia di tonnellate di equipaggiamento già preparato per le varie zone di emergenza. Peraltro, ci sono contratti già preparati. Noi non possediamo aerei né navi, ovviamente, ma li affittiamo, con contratti costanti. In caso di emergenza si possono dirottare navi che sono in navigazione per operazioni regolari, come è successo adesso nelle Filippine, la tale nave invece di andare in Indonesia per un progetto regolare porta il cibo nella zona in cui serve. Questa operazione è complessa e richiede un centro operativo che copra tutto il mondo.


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Per quanto riguarda la questione delle politiche agricole e dei sussidi agricoli, ho sentito in varie sedi, anche a livello di G8, voci sulla necessità di rivedere questi strumenti, altrimenti si scava nell'acqua. Questa azione non è di competenza del World Food Programme, lo sarebbe più della FAO, francamente. Credo che, se l'Italia volesse portare avanti questo tema, come altri Paesi hanno suggerito, non sarebbe una cattiva idea, se non altro per verificare quanto questi strumenti siano contraddittori in alcuni casi rispetto a quello che gli stessi Paesi fanno per aiutare i Paesi in via di sviluppo. Preferisco, comunque, non entrare nei dettagli, perché non è una mia competenza.
Anche la Banca mondiale potrebbe rappresentare un ottimo forum per parlare di questo argomento.
Per quanto riguarda Medici Senza Frontiere e gli alimenti iperproteici, l'esempio del Niger, che conosciamo, è in effetti un ottimo esempio. Ricordo quando si verificavano crisi in Sudan e in Etiopia e i bambini erano nella fase di fame acuta: allora abbiamo verificato che se in questa fase i bambini vengono nutriti, essi non assorbono, anzi rigettano, tanto che si usavano le flebo. Ebbene, la fase di fame acuta trattata con flebo all'inizio e dopo con alimenti iperproteici ha fatto miracoli in termini di recupero (una settimana, invece che un mese o tre settimane).
All'Expo Milano, che parlerà di alimentazione - lancio qui la palla - mi piacerebbe vedere le aziende italiane più interessate a entrare in questo campo. Vedo tante aziende nel mondo molto attive e creative nel campo della ricerca su alimenti iperproteici. A parte il fatto che c'è ovviamente un mercato, questo potrebbe essere coerente con la vocazione italiana. Visto che l'Expo Milano è decisamente mirato a questo tema e ci sarà un coinvolgimento di varie aziende alimentari, mi è venuto in mente di suggerire di invitare l'Italia a essere creativa, come è sempre stata, anche in questo campo. Attualmente non vedo prodotti italiani nelle opzioni che ci vengono offerte.

MATTEO MECACCI. Mi scusi, ambasciatore, ma non ha risposto sull'ultima questione rispetto alle persone che non saranno raggiunte dai vostri programmi di assistenza.

STAFFAN DE MISTURA, Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale. Ha ragione. Lei capisce che questo è grave ed è uno dei motivi per cui il direttore esecutivo Josette Sheeran e noi stessi siamo in continuo movimento per quello che riguarda l'advocacy sul fatto che proprio nel momento in cui c'è una crisi alimentare che si somma alle crisi finanziarie, ambientali e a quelle generate dai conflitti, è doppiamente preoccupante che il World Food Programme, invece di essere equipaggiato per reagire come una zampogna, allargandosi nel momento della crisi e restringendosi quando questa rientra, abbia un ammanco di circa 20 milioni di persone rispetto a quelle che vorrebbe raggiungere.
Dove intervenire e dove è urgente farlo? Il luogo è certamente il Corno d'Africa, che ci preoccupa molto. Ci preoccupa un Paese che ha sempre avuto un posto nella storia italiana, nel bene e nel male, la Somalia, dove attualmente stiamo nutrendo 3,8 milioni di persone, ma non sappiamo se potremo continuare a farlo sulla base dei finanziamenti attuali. Inoltre, un altro Paese limitrofo, importante da questo punto di vista, che ha subìto altro tipo di crisi, è il Kenya, che ha conosciuto cinque anni di mancanza d'acqua.
Questo non basta, perché c'è l'aspetto delle tensioni politiche e il potenziale arrivo dei rifugiati dalla Somalia, qualora questo avvenisse. In più, cito altri Paesi del Corno d'Africa, come Eritrea ed Etiopia, sempre per problemi di siccità, e la zona del Darfur, che va oltre il Corno d'Africa. Parliamo di circa venti milioni di persone che vorremmo poter raggiungere, ma temiamo di non farcela. Non è ancora finito l'anno, comunque.


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Per il Corno d'Africa occorrerebbero circa 978 milioni di dollari, per raggiungere i venti milioni di persone per un anno.

PRESIDENTE. La ringrazio anche per questa precisazione, indubbiamente drammatica, con la quale si chiude questa audizione molto proficua per gli argomenti, le valutazioni, le informazioni e le sollecitazioni, non ultima la sua nei confronti dell'Italia, Paese ospitante dell'Expo, per indurre le nostre aziende a valutare e a considerare l'opportunità di dare un contributo anche tecnico-scientifico e commerciale nei confronti di queste innovazioni.
Signor ambasciatore, credo che questo Comitato dovrà continuare a mantenere i contatti con lei, anche perché, come lei ha giustamente sottolineato, dal primo Obiettivo di sviluppo del Millennio discendono una serie di implicazioni nei confronti degli altri obiettivi.
Come ha detto Margherita Boniver, eravamo pochi ma buoni, a cominciare dal nostro ospite, l'ambasciatore Staffan De Mistura.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12.

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