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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
20.
Giovedì 1° luglio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione di rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità, della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health e di Save the children:

Pianetta Enrico, Presidente ... 2 6 9 15 18 19
Aureli Francesco, Responsabile Policy, Advocacy and Campaigning per l'Italia di Save the children ... 9 17
Barbi Mario (PD) ... 13
Bustreo Flavia, Direttore generale della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health ... 2 9 15 18
Merialdi Mario, Team coordinator del Department of Maternal and Perinatal Health dell'Organizzazione mondiale della sanità ... 6 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 1° luglio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 8,45.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità, della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health e di Save the children.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, l'audizione di rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità, della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health e di Save the children.
In particolare, ho il piacere di presentare il direttore generale della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health, la dottoressa Flavia Bustreo, il team coordinator del Department of Maternal and Perinatal Health dell'Organizzazione mondiale della sanità, dottor Mario Merialdi, il responsabile Policy, Advocacy and Campaigning per l'Italia di Save the Children, dottor Francesco Aureli, che saluto e ringrazio per aver aderito al nostro invito a partecipare a quest'audizione.
L'audizione verterà sulla salute materno-infantile nel mondo, naturalmente collegata agli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Come sapete, la Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati ha voluto istituire questo Comitato per discutere, approfondire ed effettuare alcune valutazioni sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio. I nostri lavori hanno avuto inizio ormai da un anno abbondante; abbiamo già raccolto numerose informazioni e realizzato una valutazione intermedia di tutto il nostro operato.
Ora ci accingiamo a concludere i nostri lavori attraverso alcune audizioni e ulteriori approfondimenti per prepararci al summit che si terrà a New York, come tutti sappiamo, nel prossimo mese di settembre. Sarà un incontro fondamentale, importante, perché a cinque anni dal 2015 sarà fatto il punto della situazione, che purtroppo sarà molto preoccupante. Peraltro, uno degli argomenti oggetto di preoccupazione è costituito proprio dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio 4 e 5.
Do ora la parola alla dottoressa Flavia Bustreo, che, durante una breve conversazione tenuta poco prima dell'inizio dei nostri lavori, ci riferiva di aver già presentato l'argomento in oggetto davanti ad altri Parlamenti e ad altre organizzazioni. È ormai esperta per quanto attiene alle modalità dei nostri lavori, ragion per cui con grande piacere le do la parola, che cederò poi agli altri ospiti per ulteriori approfondimenti.

FLAVIA BUSTREO, Direttore generale della Partnership for Maternal, Newborn


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and Child Health. La ringrazio moltissimo, onorevole Pianetta. Gentili onorevoli, è un grande piacere essere qui.
Parleremo della salute materno-infantile nel mondo e degli obiettivi di sviluppo del Millennio collegati a tale tema. Svolgo una breve introduzione. Sono sicura che gli onorevoli colleghi siano già al corrente che dal 2000 i capi di Stato di tutti i Paesi del mondo, tra cui anche l'Italia, hanno adottato la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, attraverso la quale si sono impegnati al raggiungimento di otto Obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015.
L'impegno all'interno di questa dichiarazione è ampio e include soprattutto la lotta contro la povertà e la fame. Combattere le malattie e migliorare lo stato di salute è centrale all'interno di questa dichiarazione, come lo sono il miglioramento dello stato di istruzione, soprattutto delle donne, un'azione contro l'ineguaglianza di genere e una sull'accesso all'acqua e contro il degrado ambientale.
Questi Millennium Development Goal sono un'azione integrata di sviluppo, all'interno della quale la salute è rappresentata da ben tre degli otto obiettivi. I nostri capi di Stato e le persone che hanno lavorato su questa dichiarazione hanno, dunque, inteso chiaramente come fosse necessario, per incrementare lo sviluppo a livello mondiale, migliorare lo stato di salute.
Gli obiettivi legati alla salute sono, dunque, tre: il Millennium Development Goal 4, che mira alla riduzione della mortalità infantile di due terzi dal 1990 al 2015; il Millennium Development Goal 5, che mira alla riduzione della mortalità materna, quindi dei decessi legati alla gravidanza e al parto, nello stesso periodo e ha come obiettivo anche quello di permettere l'accesso universale alla salute riproduttiva delle donne; infine, il Millennium Development Goal 6, che avete già approfondito in maniera adeguata, che si focalizza sulla prevenzione della diffusione dell'HIV, della malaria e delle altre malattie trasmissibili, tra cui anche la tubercolosi.
Questi obiettivi sono legati fra loro, perché le condizioni che favoriscono il miglioramento della salute delle donne e dei bambini includono anche e soprattutto l'HIV e la malaria, come vedremo nel prosieguo.
Cominciamo a parlare di salute delle donne, che rappresenta una sfida nel mondo. Nella corrente diapositiva vogliamo mostrare che la causa della mortalità nelle donne in età riproduttiva, tra i 20 e i 59 anni, varia a seconda della regione. Nell'immagine che rappresenta l'Africa, vedete una componente arancione, che si riferisce alla mortalità legata all'HIV. Mentre, quindi, nelle altre regioni la mortalità per le donne è molto legata ad altre malattie, soprattutto al cancro e a malattie cardiovascolari, nella regione africana le principali cause di morte includono la salute riproduttiva, le morti materne e l'HIV.
Quali sono le sfide, soprattutto per i bambini? I numeri sono strabilianti e ogni volta che li presentiamo a parlamentari di diversi Paesi risultano effettivamente molto preoccupanti. Vi mostriamo i dati presentati nell'ultima rivista The Lancet, di questo mese. Sono tuttora 4 milioni i bambini che muoiono entro il primo mese di vita, dunque neonati, e tra le 350 e le 500 mila le donne che perdono la vita mettendo al mondo bambini per cause legate al parto e alla gravidanza.
In totale, si stima che siano quasi 8 milioni i bambini nel mondo che nel 2010 perderanno la vita prima di arrivare a cinque anni. Ciò si traduce nella morte di una donna per cause legate al parto ogni minuto. Nei pochi minuti in cui parleremo di questo tema, quindi, almeno una trentina di donne avranno perso la vita mettendo al mondo bambini, oltre a tre bambini al minuto.
La seguente diapositiva presenta l'andamento della mortalità legata ai decessi materni e spiega ulteriormente quanto sia stato importante il legame tra l'HIV e la mortalità materna. Vedete l'andamento presente e quello che sarebbe stato l'andamento - la linea inferiore - se l'epidemia di HIV non si fosse presentata, come abbiamo visto nella diapositiva precedente, e non avesse colpito e danneggiato in


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maniera tanto significativa la salute riproduttiva, soprattutto in Africa.
Nella prossima diapositiva vedete l'andamento della salute dei bambini a partire dal 1980, che ha visto riduzioni significative. In questo momento circa 20 tra i 68 Paesi che contano fra di loro la quasi totalità delle morti materno-infantili sono on track, ossia stanno procedendo in maniera adeguata per raggiungere gli obiettivi di sviluppo. Al contrario, 40 di questi Paesi non hanno compiuto progressi significativi.
A livello mondiale abbiamo dunque visto risultati sulla salute infantile, ma non adeguati, mentre sulla salute materna, purtroppo, per l'incidenza di questa malattia terribile, che ha colpito soprattutto il continente africano, abbiamo visto progressi molto minori.
L'immagine successiva serve soltanto per dare un'idea - gli altri colleghi approfondiranno ulteriormente la questione - che in realtà possediamo le soluzioni al problema, le conoscenze mediche per risolvere il problema, e le abbiamo da decenni. Ci sono Paesi che hanno compiuto progressi notevoli. Il problema è la carenza del sistema di salute di tali Paesi e soprattutto l'ineguaglianza dell'accesso ad alcuni servizi chiave.
Per esempio, non sono adeguatamente garantite la possibilità di accedere a servizi di salute riproduttiva e la possibilità per la donna di ricevere un'assistenza medica durante il parto per lei e per il suo neonato.
In quest'area non abbiamo la necessità di trovare nuovi vaccini o di puntare su nuove scoperte scientifiche, dal momento che disponiamo delle conoscenze necessarie per raggiungere gli Obiettivi del Millennio. La debolezza esistente riguarda il sistema di salute, gli operatori di salute e l'accesso ai servizi.
Quando l'onorevole Pianetta ci ha scritto, ci ha chiesto cortesemente, oltre a dare una panoramica generale della situazione, di spiegare anche che cosa sta facendo la comunità globale, in modo da vedere come l'Italia, il Parlamento italiano, con le diverse forze che rappresentano il Paese, si possa allineare o possa contribuire.
Vorrei parlarvi di un argomento, riportato nella documentazione allegata, relativo a un processo che chiamiamo piano di azione comune, un Joint action plan. Esso è partito quest'anno su iniziativa del segretario generale delle Nazioni Unite, principalmente dalla constatazione che di tutti i Millennium Development Goal, quello legato alla salute materna, l'obiettivo 5, era rimasto più indietro di tutti. Si è voluta imprimere, dunque, un'accelerazione alla possibilità di progredire in questo ambito.
Questo piano di azione comune cerca di galvanizzare l'impegno e l'azione dei vari partner di tutti i Governi e sarà presentato, lanciato e discusso in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a settembre, un'assemblea importantissima perché cade dieci anni dopo la Dichiarazione del Millennio e cerca di mobilitare anche alcuni partner non governativi. Se avrete l'opportunità di dare un'occhiata al documento, noterete che si dice «you all have a role to play», ossia che ciascuno ha un ruolo da giocare nella sfida del Millennio.
I governi sono importantissimi, ma lo sono altrettanto il settore privato, le organizzazioni non governative, le organizzazioni universitarie, di ricerca e di training, gli accademici che insegnano. Il piano presenta, dunque, l'aspetto di mobilitare le azioni di diversi partner e soprattutto si focalizza sulle lacune critiche che abbiamo visto, sull'assistenza sanitaria, ma anche sui determinanti di tali lacune, per esempio l'ineguaglianza di genere, uno dei determinanti che impediscono l'accesso, soprattutto per le donne, ai servizi di salute.
Il piano fa leva su alcuni sforzi già in corso, per esempio a livello regionale. La regione africana ha creato un piano sulla salute riproduttiva, una campagna per la riduzione della mortalità materna, che si chiama CARMMA ed è stata lanciata proprio quest'anno. Il piano cerca, pertanto, di raggruppare e di fare leva sulle iniziative già in corso e di portarle a un livello più elevato.
Uno degli ingredienti necessari, di cui parleremo poi, è rappresentato dalle risorse


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finanziarie, perché questi Paesi, soprattutto i 49 che hanno il livello di reddito più basso al mondo, anche se fossero in grado di contribuire per il 15 per cento del loro budget per la salute - alcuni hanno già compiuto progressi molto importanti; per esempio, la Tanzania è già arrivata all'11 per cento - non riusciranno comunque ad avere le risorse sufficienti per garantire i servizi minimi di base. L'OMS ha stimato che per i servizi minimi di base ci vogliono almeno 50 dollari a persona, mentre alcuni di questi Paesi dispongono di meno della metà.
L'azione integrativa di finanziamento e la visione di ottenere finanziamenti magari innovativi, che possano apportare le risorse che in questi Paesi, nonostante la volontà politica, non sarà possibile mobilitare è importantissima all'interno del Joint action plan.
Stiamo intanto vedendo la diapositiva che illustra le stime delle necessità: se notate, per il 2011 abbiamo necessità di miliardi di dollari aggiuntivi che possano permettere l'accelerazione auspicata.
È importantissimo notare che ci sono già notizie molto buone. Soprattutto quello in corso è un anno molto positivo; sono sicura che avrete già sentito le notizie pervenute dal G8 di Ottawa, in cui il leader, il primo ministro canadese, ha chiaramente identificato quest'area come importantissima e ha creato quella che ha chiamato la Muskoka Initiative per la salute materno-infantile, che ha già ha ricevuto 5 miliardi di dollari aggiuntivi entro i prossimi cinque anni. La sfida, però, è elevata, perché richiede risorse addizionali.
Vediamo ora le sfide incluse attualmente all'interno del Joint action plan: sulla colonna di sinistra trovate i diversi partner, i Paesi in via di sviluppo, ossia i 49, i Paesi sviluppati, il settore privato e Ciò che si attua in questo scenario, che è di provocazione e di stimolo ai partner, con il tentativo di identificare possibilità di contribuzione in base al per capita, ovvero a quante persone conta ciascuno di questi Paesi, nonché risorse addizionali.
Per l'Italia viene suggerito di procedere a un contributo di circa 4 dollari aggiuntivi per abitante. È uno sforzo che il Segretario generale ha visto come una possibilità di far comprendere che la responsabilità per il raggiungimento degli obiettivi designati è una responsabilità condivisa - per questo il piano si chiama joint - per via dell'accordo stipulato nel 2000.
L'elemento di cui sono molto orgogliosa e di cui vorrei che vi sentiste orgogliosi anche voi è che la sensibilizzazione, il risultato che abbiamo visto, incluse le risorse mobilitate quest'anno, che speriamo continuino ad aumentare, e la presa di coscienza da parte dei capi di Stato di questa problematica sono partiti dal G8 ospitato in Italia, a L'Aquila.
Per la prima volta - è stato un evento storico - il comunicato del G8 dei Paesi più potenti al mondo a L'Aquila conteneva due paragrafi sostanziali relativi a tale problematica e ha, dunque, segnalato ai capi di Stato l'esistenza di un problema importante su cui essi devono agire, nonché l'esistenza di un consenso già globale sulla salute materno-infantile, con i filoni portanti di una risposta globale.
Tali filoni sono quelli che avete nel documento, che includono la leadership e l'impegno politico-sociale, quindi l'impegno di tutta la leadership, inclusa quella parlamentare. Abbiamo parlato a molti parlamentari e chiamiamo in causa anche voi, che avete già manifestato questa sensibilità, dal momento che state analizzando la situazione.
Come abbiamo già visto, sono importantissimi sistemi sanitari efficienti, che offrano servizi di alta qualità, nonché la rimozione delle barriere che possono impedire l'accesso alla salute, soprattutto per le donne. Tali barriere a volte possono essere finanziarie, e altre volte fisiche, di spazio, perché molte donne che vivono nell'Africa rurale hanno problemi di distanza per accedere, per esempio, al servizio di parto, ragion per cui il trasporto può richiedere molte ore.
Occorre, inoltre, personale sanitario specializzato e motivato, che abbia le capacità


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di riconoscere le problematiche, per esempio un parto ostruito, e di effettuare un taglio cesareo quando necessario. Purtroppo, in molti di questi Paesi tale possibilità non esiste.
Vi è poi l'altro aspetto importantissimo del consenso globale, una parola che in italiano non esiste e che non siamo mai riusciti a tradurre, ossia accountability. L'abbiamo tradotta al meglio come «aderenza e monitoraggio verso il raggiungimento di risultati», il che vuol dire che, se c'è un impegno politico chiaro e con alcune mete chiare, ci deve poi essere comunque anche la misurazione della progressione o della non progressione e un'azione complementare.
Vorrei passare ora la parola al dottor Merialdi, che continuerà a parlare delle azioni possibili.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Merialdi.

MARIO MERIALDI, Team coordinator del Department of Maternal and Perinatal Health dell'Organizzazione mondiale della sanità.
Con le prossime diapositive vorremmo presentarvi una breve rassegna di iniziative che abbiamo portato avanti con parlamentari, sia in Italia, sia nel mondo, che hanno già dato importanti risultati.
Vorremmo, però, anche parlarvi di idee per il futuro, soprattutto in tema di finanziamenti innovativi, perché, in momenti di difficoltà economica a livello internazionale, è essenziale essere creativi e propositivi e presentare meccanismi in grado di integrare i finanziamenti tradizionali.
Bisogna, comunque, sempre tenere in considerazione il fatto che la problematica di donne e bambini che muoiono nel momento del parto ha dimensioni vastissime, ma presenta anche una caratteristica importantissima, ossia la disuguaglianza enorme tra Paesi ricchi e poveri, che fa sì che il problema trascenda i limiti della sanità pubblica e internazionale per assumere le dimensioni di un'ingiustizia sociale, probabilmente una delle più grosse che esistano oggi al mondo. Trattandosi di un problema di ingiustizia sociale, tutti possiamo partecipare alla sua risoluzione ed è fondamentale il contributo di chi fa politica.
Con grande soddisfazione abbiamo registrato negli ultimi anni un aumento dell'interesse per i temi della salute della madre e del bambino all'interno della Inter-Parliamentary Union. Nel 2007 c'è stata un'importantissima dichiarazione a Cape Town, in Sudafrica, a cui sono seguiti interventi sempre più concreti, come sessioni speciali al momento dell'assemblea della IPU ad Addis Abeba, cui hanno partecipato attivamente parlamentari italiani.
Recentemente, nell'assemblea di Bangkok, questo interesse è stato sottolineato ancora una volta e i parlamentari sono anche usciti dall'assemblea per andare a visitare e rendersi conto delle realtà nelle strutture sanitarie in questo Paese, in Thailandia, in riferimento alla salute della donna e del bambino. Si tratta, quindi, di un interesse aumentato progressivamente, da una dichiarazione a interventi concreti.
Un modello di origine italiana, che, come vi illustrerò, sta generando interesse anche in altri Paesi, è quello delle parlamentari italiane per la salute materno-infantile. Esiste in Italia un gruppo di donne parlamentari che fanno riferimento all'organizzazione non governativa ONDA (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), diretta dalla dottoressa Francesca Merzagora.
Dal 2009 questo gruppo di parlamentari si riunisce tutti gli anni a Ginevra e per due giorni si discutono temi di interesse nell'ambito della salute materno-infantile da parte delle parlamentari, le quali si impegnano a portare avanti azioni a livello politico, sia di Parlamento - sono state approvate due mozioni recentemente, una sugli aiuti internazionali, presentata dalla senatrice Boldi, l'altra sull'incremento, probabilmente eccessivo, di tagli cesarei in Italia, presentata dalla senatrice Bianconi - sia regionale. Abbiamo già


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compiuto tre interventi regionali in Campania, Lombardia ed Emilia Romagna e ne compiremo altri nei prossimi mesi.
È un modello che ci stanno copiando, nel senso che anche il Parlamento europeo ci ha recentemente chiesto di organizzare un incontro annuale di parlamentari a Ginevra per trattare i temi della salute della donna e del bambino. È, quindi, un modello che ha funzionato molto bene e che vogliamo espandere il più possibile ad altre realtà.
Quando si parla con esponenti della politica, si finisce sempre per discutere di finanziamenti e chiedere più soldi per il nostro operato, il che è importante, però ci rendiamo conto che bisogna anche essere propositivi: bisogna proporre interventi che non si basino solamente sui meccanismi tradizionali che gravano sulla spesa pubblica, ma anche su sistemi alternativi.
Uno di questi, anch'esso di matrice italiana, perché è stato lanciato da una task force per il finanziamento innovativo presieduta a tutt'oggi dal Ministro Tremonti, è il meccanismo della de-tax, che si prefigge di devolvere parte dell'IVA a un fondo destinato a migliorare i sistemi sanitari soprattutto nei Paesi più poveri.
A tale meccanismo se ne aggiunge un altro, definito massivegood, che si basa sul fatto che quando organizziamo un viaggio, molto spesso, invece di recarci all'agenzia turistica, compriamo il biglietto attraverso Internet. La Millennium Foundation delle Nazioni unite, attraverso un contratto con le imprese più grosse a livello internazionale di gestione e vendita di biglietti aerei attraverso Internet, è riuscita a portare avanti e a stabilire un accordo per cui su ogni biglietto il compratore può decidere, al momento dell'acquisto, di devolvere un microcontributo di 2 euro a un fondo per lo sviluppo dei sistemi sanitari.
Vorrei impiegare gli ultimi minuti che mi sono concessi per presentarvi un'idea che stiamo sviluppando adesso. Si chiama Women create life e origina dal progetto Art for health, che abbiamo sviluppato negli ultimi anni con finalità di advocacy.
Perché Women create life, le donne creano la vita? Evidentemente c'è un significato letterale: le donne possono essere madri e partorire, però si scorge dietro un ulteriore significato, nel senso che spesso, soprattutto nelle realtà più povere, le donne sono la spina dorsale dello sviluppo della comunità. Lo vedono tutti coloro che hanno lavorato nei Paesi in via di sviluppo o che semplicemente visitano una baraccopoli o una realtà disagiata nei Paesi poveri: salta agli occhi il ruolo della donna nel permettere lo sviluppo della società.
Questo progetto nasce da un progetto di advocacy. Vorrei svolgere una breve digressione per raccontarvi, in due diapositive, la sua storia.
Il progetto inizia attraverso la collaborazione con una pittrice italiana, che si offre di produrre per l'Organizzazione mondiale della sanità dipinti che mostrano donne di tutti i Paesi del mondo con immagini positive. Ci discostiamo, dunque, dall'immagine che abbiamo utilizzato per tanti anni, e di cui forse abbiamo anche abusato, della donna e del bambino, soprattutto nelle realtà più povere, come vittime della guerra, della malnutrizione, delle malattie, della carestia, della violenza, proponendo invece un'immagine positiva. Queste donne non vogliono essere oggetto di carità, ma sono amiche con cui possiamo lavorare e sviluppare progetti in comune che le aiutino a migliorare la propria situazione e quella delle loro famiglie.
Questa idea acquista interesse soprattutto perché ci serviva un elemento che ci permettesse di andare un po' più in là della sfera della sanità pubblica. Ci siamo resi conto che pubblicare statistiche e report è importante, ma che occorreva un elemento che ci permettesse di arrivare all'attenzione della cultura, della politica e del grande pubblico. L'abbiamo trovato nell'arte contemporanea.
La rivista medica The Lancet, forse la più prestigiosa al mondo, pubblicò un articolo proprio all'inizio del progetto, dandoci una visibilità a livello internazionale.


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Peraltro, è la prima volta che una rivista di questo tipo pubblica arte e quadri.
È stata anche una soddisfazione personale, che, allo stesso tempo, ci ha aperto alcune porte, poiché i quadri, da quando sono stati prodotti, dal 2007, non sono mai stati fermi. Hanno girato 30 città di tutto il mondo, di tutti i continenti. Vediamo, nello specifico, un'immagine della mostra tenuta all'Auditorium Parco della Musica a Roma nel 2007, che aveva riscosso particolare successo.
Da cosa nasce cosa e anche Christie's, la famosa casa d'asta, ci ha proposto un'asta, che è stata tenuta nel 2008. Vedete nella foto lo showroom di Christie's in Piazza Navona.
Si è trattato di un altro evento di successo, che ci ha permesso di raccogliere fondi per una clinica mobile che porti i servizi di sanità per le madri e i bambini in un'area dell'Honduras, una delle zone al mondo con meno accesso ai servizi sanitari, e di raggiungere anche un altro obiettivo, forse ancora più importante, quello di aprirci a un pubblico, quello di Christie's, che dispone di possibilità economiche e contatti a livello sociale, ma magari non è quello tipico che va a visitare il sito web dell'OMS.
Da questo evento nasce il progetto Women create life, perché un gruppo di finanziatori ci ha contattato proponendo un'idea innovativa, anche questa tipicamente italiana. In Italia, infatti, sappiamo produrre oggetti di design che la gente vuole comprare, sia nel nostro Paese, sia nel mondo.
L'idea è proprio quella di produrre oggetti, sulla base dei dipinti, che possano poi essere venduti attraverso un sito web, come Amazon.com, dove possiamo comprare anche i libri.
L'aspetto interessante e innovativo è che qualsiasi istituzione ONG che si occupi di salute della donna e del bambino nel mondo può, attraverso un accordo, ottenere un finanziamento di circa il 20 per cento dei proventi di ogni prodotto venduto, se la persona, il compratore, arriva al sito web attraverso quello di tale organizzazione.
Un gruppo di donne dell'India, per esempio, ha la possibilità di usufruire di quest'azione, che si basa su una strategia di marketing prodotta da un grosso gruppo internazionale, e di poter finanziare direttamente a costo zero le sue attività.
Volevamo terminare parlandovi di una questione che avevamo lasciato in fondo, perché di solito si inizia parlando di noi stessi. Abbiamo, invece, voluto iniziare parlando delle idee e del problema, lasciando in fondo le informazioni sulle organizzazioni per cui lavoriamo. Non volevamo, però, lasciarvi senza darvi una piccola indicazione di dove lavoriamo e di quali sono gli obiettivi delle nostre organizzazioni.
Inizierò io e poi vorrei lasciare la parola a Flavia Bustreo, che parlerà brevemente della Partnership.
L'Organizzazione mondiale della sanità è l'agenzia delle Nazioni unite che si occupa di sanità internazionale. Spesso la vediamo come una struttura piuttosto astratta, che produce statistiche e linee guida, però è composta da più di 8 mila persone che lavorano in tutti i Paesi del mondo.
La cartina che vedete ci mostra il quartier generale in Svizzera, i sei uffici regionali nelle principali regioni del mondo e, forse ancora più importanti, i 147 uffici nazionali localizzati in altrettanti Paesi del mondo.
In questo contesto lavora il nostro Dipartimento di salute della riproduzione, che ha una storia interessante. Nasce, infatti, come programma speciale all'inizio degli anni Settanta. A fine anni Sessanta-inizio anni Settanta il problema che veniva visto come cruciale a livello non solo di salute pubblica, ma anche di sviluppo a livello internazionale, non era, come adesso, il climate change o la pandemia dell'influenza, ma quello che gli anglosassoni chiamavano la population bomb, ovvero la paura che la popolazione stesse


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aumentando a livelli esponenziali e che le risorse del mondo non fossero sufficienti per sostenere tale aumento.
Le Nazioni Unite decidono, quindi, di creare all'interno dell'OMS un programma speciale che si occupi di pianificazione familiare e di sviluppare metodi contraccettivi. Con il tempo, però, tale focus è stato integrato da altri interessi del dipartimento. Uno di essi è quello sulla salute materno-infantile. Se c'è un esempio al mondo chiaro ed evidente di disuguaglianza sociosanitaria, lo troviamo, infatti, senza faticare molto, nelle statistiche che Flavia Bustreo ci ha mostrato alcuni minuti fa.
Se il presidente me lo permette, vorrei lasciare la parola a Flavia per parlare della Partnership.

FLAVIA BUSTREO, Direttore generale della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health. Spendo soltanto due parole ancora per spiegare che cos'è l'alleanza di salute materno-neonatale-infantile, creatasi, come altre alleanze di salute globale, nel 2005.
Attualmente, essa conta più di 300 partner, divisi in sei gruppi di constituency. Include Paesi, Governi di Paesi del sud, Governi di Paesi del nord, organizzazioni multilaterali, tra cui l'Organizzazione mondiale della sanità è uno dei principali partner, che ospita anche il segretariato di quest'alleanza, l'UNICEF, il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione e la Banca mondiale, un grosso gruppo di professionisti della salute che si focalizzano su questi temi specifici, ginecologi, ostetrici e pediatri, un consistente gruppo di accademici di altissimo livello - il chairman, l'attuale presidente di quest'alleanza, è il dean della Harvard School of Public Health, probabilmente la scuola di salute pubblica più rispettata a livello mondiale - e un ampio gruppo di organizzazioni non governative, tra cui, per esempio, Save the children è uno dei partecipanti più attivi.
Questa è la visione della Partnership, che, come vedete, si allinea totalmente al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo; non è una entità che compie le attività direttamente, ma un'organizzazione che si focalizza e si concentra su tre obiettivi principali: ottenere consensus, migliorare la sinergia tra i partner, mobilitare risorse aggiuntive e svolgere la funzione che vi spiegavo prima, per la quale non esiste una parola italiana, ossia l'accountability, che consiste nel misurare se i progressi esistono o meno e, in caso negativo, di segnalarlo ai potenti nel mondo per ottenere cambiamenti.
Sono la direttrice di quest'alleanza dall'anno scorso. In tutte le attività che abbiamo svolto abbiamo cercato di lavorare molto con l'Italia, come il dottor Merialdi ha spiegato, e con i diversi settori del Governo italiano, con la missione italiana a Ginevra e con i parlamentari italiani, in modo da dare rilevanza a quello che sappiamo benissimo essere un patrimonio, una tradizione che l'Italia coltiva di rispetto per i diritti umani e della dignità delle donne e dei bambini, che vogliamo continuare a trasmettere.
Speriamo che questa discussione con voi possa generare ulteriori forme di collaborazione e confidiamo nel vostro impegno a migliorare la salute materno-infantile.
Vi ringraziamo.

PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Bustreo e il dottor Merialdi.
Do ora la parola al dottor Francesco Aureli di Save the children.

FRANCESCO AURELI, Responsabile Policy, Advocacy and Campaigning per l'Italia di Save the children. Vi ringrazio dell'invito. Cercherò di non soffermarmi tanto sui numeri, ma di dare un contributo sulle possibilità di intervento reale, concreto, con esempi anche molto diretti, nei quali l'Italia si può inserire come ruolo e come contributo.
La quantità degli aiuti - è stato anche ribadito prima dalla dottoressa Bustreo e dal collega Merialdi - è molto importante, ma lo è anche l'efficacia. Crediamo, infatti, che cercare di individuare gli interventi - come si dice in gergo internazionale -


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cost-effective sia uno degli obiettivi più importanti.
A differenza dei colleghi che mi hanno preceduto, svolgo una breve introduzione di Save the Children, un'organizzazione che dal 1919 si occupa dei minori e della tutela e della promozione dei diritti dei minori nel mondo, ma anche in Italia.
Save the children ha lanciato forse la più ambiziosa delle sue campagne internazionali proprio sul finire dello scorso anno, nell'ottobre 2009, in 40 Paesi tra il nord e il sud del mondo. Si chiama Every One, titolo derivato proprio dal concetto di tutti, di ognuno, quindi di comunicare che occorre salvare la vita di ognuno e che ognuno può contribuire a tale scopo.
L'intento è proprio quello di indurre i Paesi più sviluppati e quelli in via di sviluppo ad attivarsi e a implementare gli interventi che illustreremo più avanti.
Il lavoro di Save the children parte dalla Convenzione delle Nazioni unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, adottata nel 1989, quindi più di vent'anni fa, e ratificata in Italia proprio il 27 maggio di vent'anni fa, che riconosce che a ogni minore deve essere garantito il godimento di alcuni diritti.
Fra di essi, all'articolo 6 figura il diritto alla vita e all'articolo 24 il diritto alla salute e all'assistenza medica. Perché il lavoro di Save the children origina dai diritti? Certamente parliamo di bisogni ai quali è necessario far fronte, ma, se partiamo dal concetto di diritto, la salute è un diritto di ognuno.
Prima il dottor Merialdi citava la più grande ingiustizia dei nostri tempi. Sappiamo bene che al centro deve essere posta la persona e andiamo incontro al riconoscimento di un diritto di tutti. Come voi vi battete per il riconoscimento dei diritti della collettività, noi ci battiamo per il riconoscimento dei diritti delle persone, in questo caso dei minori.
Il concetto viene ribadito soprattutto all'articolo 24 che riprende tanti aspetti di cui ci stiamo occupando, quali la mortalità infantile e la necessità di salute primaria. Non parliamo e non parleremo di ospedali o di chirurghi o professionisti. Per salvare dalla morte bambini e mamme abbiamo bisogno di infermieri, di ostetrici, di operatori sanitari di comunità.
Il testo riprende anche le necessità di affrontare le cause indirette, quindi l'acqua potabile e di prendere in considerazione anche i rischi dell'inquinamento. Trattando di minori, parla anche delle necessità di cura delle madri, prenatali e postnatali, e quindi del collegamento che esiste fra la salute delle madri e dei bambini, fra la mortalità materna e quella infantile.
Parla, inoltre, dell'allattamento esclusivo al seno, una delle questioni che esamineremo più in là, nonché delle informazioni su alcune norme base della sanità e dell'igiene.
L'articolo 24, sempre nei suoi dettagli, cita anche e soprattutto il dovere di ogni Stato membro di incoraggiare la cooperazione internazionale, il tema di cui si occupa questa indagine conoscitiva, soprattutto verso i Paesi in via di sviluppo.
Abbiamo visto il numero dei morti ogni anno: parliamo di quasi 8 milioni, se non oltre, di bambini che muoiono per cause banali e di un numero compreso fra 350 mila e 500 mila morti di mamme ogni anno, anche queste dovute a cause banali e facilmente prevenibili.
Volevo riprendere dal vostro documento intermedio la necessità di approfondire l'attività che viene oggi posta in essere dalla comunità internazionale verso gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Volevo sottolineare, come viene evidenziato anche nel vostro documento, che la politica di cooperazione allo sviluppo italiana si è distinta in particolare nel settore sanitario e nel perseguimento dell'Obiettivo di sviluppo del Millennio 6.
Sappiamo, e lo abbiamo sentito questa mattina dalla dottoressa Bustreo, quanto siamo indietro, invece, rispetto agli Obiettivi di sviluppo del Millennio 4 e 5 e quanto la comunità internazionale, dal G8 della settimana scorsa al summit delle Nazioni unite, se ne stia rendendo conto e ci sia, quindi, la necessità di intervenire.


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Cercherò di soffermarmi sull'interazione fra i Paesi donatori e la società civile, ossia con organizzazioni come Save the children, che qui rappresento.
Non ritorno su quanto abbiamo già menzionato prima, i numeri degli Obiettivi di sviluppo del Millennio 4 e 5: siamo molto indietro per il raggiungimento delle riduzione di due terzi della mortalità infantile e della mortalità materna. Vorrei, però, soffermarmi sul collegamento esistente: se muoiono le mamme, è purtroppo drammaticamente coerente che muoiano anche i bambini, in questo caso i neonati.
Due milioni di bambini - è stato già ricordato dalla dottoressa Bustreo che in totale sono circa 4 milioni - muoiono entro le prime 24 ore, un milione non sopravvive alla prima settimana e in totale circa il 40 per cento non sopravvive al primo mese di vita. Proponiamo di concentrarci, come faremo più avanti in questa presentazione, sulla salute delle mamme e dei neonati.
Nel 2000 sono stati adottati gli Obiettivi di sviluppo del Millennio e Save the Children stima che l'Obiettivo 4, se continuiamo con questi trend, non sarà raggiunto prima del 2045. Non vogliamo trasmettere un messaggio pessimista, tuttavia, perché si può realizzare. L'abbiamo visto prima anche con la finanza innovativa. Sappiamo che c'è bisogno di soldi, ma anche che, se si canalizzano i fondi a disposizione dell'Italia - in questo caso parliamo del nostro Paese - per interventi a basso costo, ma efficaci, gli Obiettivi 4 e 5 si possono perseguire.
Bisogna tener presente quello a cui stiamo facendo fronte, purtroppo, nell'ultimo anno e mezzo, ossia la crisi finanziaria, che, secondo stime della Banca mondiale, potrebbe addirittura causare tra le 200 mila e le 400 mila morti di bambini in più all'anno.
Ho portato un esempio delle cause. Sono casi esemplificativi, perché si innescano in altre cause indirette e comunque in aspetti che possono far diventare il tema più complesso. Credo, però, che sia realmente necessario far capire che ci sono cause ben conosciute, per le quali esistono soluzioni ben conosciute. Sono questi gli interventi sui quali possono veramente essere canalizzati i fondi, in questo caso molto esigui, perché sono in continua riduzione quelli per la cooperazione internazionale, che l'Italia può destinare in via multilaterale o bilaterale, attraverso l'impegno della società civile locale o internazionale, oppure attraverso canali multilaterali.
Le patologie responsabili per il 90 per cento dei decessi sono un numero esiguo. Parliamo di complicazioni neonatali per il 37 per cento. Soprattutto la polmonite è una delle cause che provoca il 20 per cento delle morti; seguono poi la diarrea, la malaria, il morbillo e la malnutrizione.
Quest'ultima è un aspetto molto importante, trasversale, che contribuisce purtroppo al decesso di un terzo dei bambini che muoiono ogni anno. Parliamo di oltre 3 milioni di bambini morti a causa della malnutrizione.
La mortalità materna è riconducibile principalmente a emorragia, ipertensione, aborti insicuri, sepsi, complicazioni durante il travaglio. Sappiamo che ci sono gravi infezioni (setticemia, polmonite, tetano e diarrea) e l'asfissia e i parti prematuri provocano purtroppo l'86 per cento dei decessi.
Le cause che abbiamo visto per quanto riguarda la mortalità sia infantile, sia materna sono, dunque, conosciute e non provocano lo stesso numero di morti in altri Paesi. Torniamo, dunque, al tema dell'ingiustizia sociale.
Save the Children stima che circa 250 mila donne e almeno 5,5 milioni di bambini che oggi muoiono ogni anno potrebbero salvarsi con misure semplici e a basso costo: parliamo di assistenza specializzata al momento del parto e subito dopo, di vaccini, di trattamenti per la polmonite, per la diarrea e per la malaria, dell'allattamento esclusivo al seno, che potrebbe ridurre un numero enorme di morti neonatali.
In primo luogo, però, è necessaria la formazione. Ci concentreremo più in là su tale tema, soprattutto su quella degli operatori sanitari di comunità di sesso femminile.


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Ci sono 57 Paesi al mondo che hanno 23 tra dottori, infermieri e ostetriche, ogni 10 mila persone: 36 di esso sono in Africa, i restanti principalmente nell'Asia meridionale.
Sappiamo che la formazione è uno degli aspetti che, qualora venissero affrontati, potrebbero risolvere la situazione. A proposito di interventi, la formazione degli operatori sanitari di comunità potrebbe essere una svolta per il perseguimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Ho parlato di formazione e ne parleremo anche più avanti, ma volevo riportare una tabella che mette in relazione cause e rimedi. Per morti materne e complicazioni neonatali sono necessarie visite durante la gravidanza, quindi prima del parto, assistenza durante e subito dopo il parto e allattamento esclusivo al seno.
Per la polmonite sarebbe necessario disporre di operatori sanitari di comunità in grado di diagnosticare un semplice inizio di polmonite e somministrare l'amoxicillina per il numero di giorni necessari.
Anche per la diarrea sarebbe necessario avere operatori in grado di diagnosticare e una terapia di reidratazione orale.
Per la malaria occorre l'utilizzo di zanzariere e antimalarici per tre giorni, per il morbillo la somministrazione di vaccini, per la malnutrizione la somministrazione di micronutrienti, di vitamina A e di zinco.
Sono semplici interventi che possono essere veramente ponderati in programmi e progetti che l'Italia, tramite la cooperazione allo sviluppo o il multilaterale, voglia andare a implementare, interventi che vanno ad attaccare le cause principali di morte che abbiamo visto anche prima.
Esistono chiaramente alcune cause indirette, che devono essere a loro volta affrontate attraverso l'accessibilità e la qualità dei sistemi sanitari di base. Parliamo di nuovo anche di formazione del personale sanitario e amministrativo, nonché di accesso alle infrastrutture, quindi di sistemi sanitari che funzionino.
Le pratiche nutrizionali e l'allattamento sono una delle concause e, quindi, delle cause indirette che devono e possono essere affrontate. Occorre la disponibilità di acqua potabile e di servizi igienici, attraverso l'informazione e la mobilitazione comunitaria.
L'istruzione materna può prevenire molte malattie. È provato, infatti, in diversi studi che le donne che hanno una maggiore istruzione sono in grado di prevenire determinate patologie, sia nel corso del parto, sia in fase neonatale.
È necessario anche garantire l'accesso a una contraccezione sicura, nonché evitare le gravidanze in giovane età. Anche queste sono concause che possono e devono essere prese in considerazione.
Che cosa occorre fare e quale può essere il ruolo dell'Italia? Il ruolo dell'Italia può sicuramente essere quello di non permettere che falliscano i piani sanitari nazionali già adottati o che possono essere implementati nei Paesi in via di sviluppo e, quindi, garantire l'aiuto bilaterale che può essere dato ai Paesi in via di sviluppo, soprattutto a quelli che hanno già identificato alcuni programmi nazionali che prevedono al loro interno gli interventi che abbiamo citato prima. Occorre dare il giusto contributo perché i piani nazionali ritenuti credibili non falliscano.
Del focus su mamme e neonati abbiamo parlato prima. Sono essenziali la nutrizione e il benessere delle donne, il sostegno alle madri e ai bambini, alle fasce più vulnerabili, durante e immediatamente dopo il parto, e l'assistenza - il continuum of care di cui parlavamo prima - al ciclo della vita delle donne in età riproduttiva, al parto e alla prima infanzia. Occorre, pertanto, un focus su mamme e neonati con gli interventi che possono essere identificati come più efficaci.
È necessario poi formare gli operatori sanitari di comunità, in questo caso principalmente donne. Parliamo di operatori sanitari di comunità donne perché abbiamo visto che in Bangladesh, per esempio, dal 1990, attraverso la formazione di 10 mila donne, si è riusciti a ridurre del 64 per cento la mortalità infantile, mentre in Indonesia abbiamo ridotto del 45 per


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cento la mortalità materna attraverso un programma, midwives in every village, ossia un'ostetrica per ogni villaggio.
Sappiamo che la formazione degli operatori sanitari di comunità è uno degli elementi chiave, perché il 70 per cento delle persone nei Paesi a più alto tasso di mortalità materno-infantile vive nelle zone rurali e non ha accesso a community health clinic o a community health unit, ragion per cui si pone la necessità di instaurare e rendere accessibile la portata di tali strutture, di disporre di ostetriche e personale specializzato che si rechi nelle case, dove avviene la maggior parte dei parti.
Sappiamo, infatti, che le donne si fidano di più delle donne. Per esempio, in Pakistan sono state immunizzate 11 milioni di donne attraverso l'utilizzo di community health worker femmine, perché c'è fiducia nei confronti delle donne e una maggiore attitudine a scambiare e a ricevere informazioni da loro.
Vi è, dunque, la necessità di formare operatori di comunità, che da noi viene stimata intorno almeno a un milione di unità, cui si aggiungono 2,5 milioni di operatori sanitari più specializzati, come dottori, infermieri od ostetriche. Non parliamo, comunque, di salute di alto livello, ma sempre di salute primaria. Queste sono le questioni che riteniamo importanti.
Riteniamo fondamentale anche dedicare una maggiore attenzione alla nutrizione e alla sicurezza alimentare, come si sta cercando di fare sin dal 2008, da quando sono scoppiati la crisi alimentare e l'aumento dei prezzi e come si è cercato di fare, peraltro, anche a L'Aquila l'anno scorso.
Riteniamo, dunque, che ci siano interventi da compiere, dalla distribuzione di integratori microcostituenti, all'allattamento al seno per almeno i primi sei mesi, alla fornitura di alimentazione complementare. Sono interventi che, a loro volta, attraverso l'utilizzo, la mobilitazione comunitaria e l'informazione, possono portare a prevenire la morte di almeno 3 milioni di bambini ogni anno.

PRESIDENTE. Ringrazio per la completezza dei dati forniti dalla dottoressa Bustreo, dal dottor Aureli e dal dottor Merialdi.
Ci deve far riflettere il fatto, che avete evidenziato, che le conoscenze mediche sono complete: non dobbiamo inventare, né ricercare cure nuove per quanto riguarda la situazione descritta. Conta, invece, la capacità di agire e, da questo punto di vista, è stata sottolineata la carenza dei servizi, del sistema, nonché la grande importanza della formazione. Mi pare che lo slogan «un'ostetrica per ogni villaggio» possa essere emblematico di questa esigenza.
Stride e deve farci riflettere proprio la necessità di mettere in atto misure semplici, anche a basso costo, per risolvere un problema immenso, che, da un punto di vista umano, ci fa tremare per la dimensione, ma, insieme per la semplicità, in fin dei conti, della possibilità di intervenire.
Svolta questa mia brevissima considerazione, do la parola ai miei colleghi, non senza prima aver ringraziato per la loro presenza la dottoressa Elena Avenati e la dottoressa Vittoria Pugliese, che accompagnano il dottor Aureli.
Il collega Barbi è stato con me in un recentissimo viaggio che abbiamo compiuto, d'intesa con la Banca mondiale, nel Mali, a Bamako. Indubbiamente, in quel Paese abbiamo anche potuto osservare de visu la carenza e la problematicità, nonché la precarietà della situazione materno-infantile.
Do ora la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Grazie, presidente. Pensando proprio alla missione dalla quale siamo appena ritornati, risulta evidente come le soluzioni semplici, che sono state ben descritte e illustrate in modo convincente nei vostri interventi, siano poi di applicazione estremamente complessa.
La semplicità e la complessità, in realtà, vanno di pari passo. Cercherò, pertanto, di sfruttare questa occasione per porvi alcune domande e tentare di approfondire


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il rapporto del semplice e del complesso, perché è proprio in quello che mi pare stia tutta la difficoltà.
Si tratta di una difficoltà che nasce, secondo me, anche dalla necessità di affrontare contestualmente questioni diverse. È difficile separare la questione della salute materna e infantile da quella della povertà, naturalmente, perché vanno insieme, come pure dall'accesso all'acqua potabile e dalle condizioni igieniche generali.
È evidente che, se gli Obiettivi del Millennio hanno un senso, ce l'hanno perché vengono indicati insieme e possono essere raggiunti perché vengono perseguiti insieme. Isolarli l'uno dall'altro è possibile dal punto di vista statistico, di illustrazione e racconto, per capire, caso per caso, la situazione in cui siamo, ma è, a mio parere, piuttosto evidente che si tratta di un obiettivo complessivo, di un programma che va avanti e può andare avanti organicamente.
Senza soffermarmi sugli aspetti quantitativi che avete richiamato, sui quali c'è poco da dire - naturalmente, angosciano e fanno venire i brividi, sotto alcuni aspetti - vorrei chiedervi dettagli su alcuni punti.
Uno è in rapporto ai dati quantitativi tra ambiente urbano e rurale: si possono distinguere? Tornando al Mali, Bamako è un mix tra alcuni embrioni di città come le conosciamo noi e un'enorme baraccopoli, però vi è un tessuto urbano in cui forse ci sono alcuni centri sociosanitari, anche se abbiamo visto la presenza, proprio in un mercato, di madri che accompagnavano i bambini da figure che hanno più a che vedere con i guaritori tradizionali, che non con forme di assistenza come la conosciamo noi.
Uscendo da tale contesto, abbiamo compiuto un percorso di 300 chilometri su una strada asfaltata - immaginiamo dove non è asfaltata - e pur nella presenza di insediamenti umani piuttosto frequenti, non abbiamo notato strutture. In questo percorso di 300 chilometri abbiamo incontrato solo una farmacia, che ci hanno mostrato perché si tratta di una rarità piuttosto assoluta. Riporto questo episodio per parlare dell'applicazione, quindi del rapporto tra ambiente urbano e rurale.
Un'altra questione riguarda la cultura e la politica. Quando trattiamo di mortalità infantile, salute della donna, salute riproduttiva e via elencando, parliamo di un obiettivo che attiene a diritti individuali che consideriamo inalienabili e fondamentali, compresa la stessa scelta di riprodursi come un diritto individuale, secondo le modalità e le volontà di ciascun individuo, che possono però entrare anche in conflitto con politiche di tipo statale o generale, quale il controllo delle nascite, laddove ci dovesse essere, oppure politiche che ritengono che su tali sfere non si debba intervenire in alcun modo.
Occorre un buon equilibrio tra diritti esercitati individualmente e politiche statali di tipo responsabile, che tengano conto di tali diritti e delle responsabilità degli Stati nella promozione della salute e delle condizioni sociosanitarie, se ritengono, con modalità che possono essere oggetto di una valutazione anche di tipo politico e di una forma di programmazione familiare o controllo delle nascite. È un terreno sul quale sarei interessato a sapere di più, perché non mi pare irrilevante. Mi sembra, anzi, che possa avere effetti sulle attuazioni di tali politiche.
Un elemento mi ha colpito di tutte le vostre presentazioni e illustrazioni e immagino che sia una scelta. Proprio in quanto tale, vi chiederei di spendere alcune parole in merito.
Non compare mai il genere maschile. Per quanto nessuno intenda togliere nulla al fatto che la donna crea la vita e senza richiamare scritture dell'una o dell'altra ispirazione religiosa, di regola succede che la donna crea la vita con il concorso di un individuo di genere diverso.
Richiamo questo tema perché ritengo che tutta la sfera culturale e sociale che attiene alla riproduzione degli esseri umani, alle condizioni in cui essa avviene, al fatto che avvenga in condizioni di sicurezza, di salute e di igiene non possa prescindere dal fatto che, di norma, il che non vuol dire che non ci siano anche e con


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frequenza situazioni fuori dalla norma, la riproduzione attiene non solo alla donna, ma anche all'uomo.
Vorrei capire la rimozione di questo aspetto. Immagino che sia stato il frutto di una riflessione. Mi permetto, però, di nutrire un dubbio sull'utilità di estrapolarlo e di separare la paternità dalla maternità, perché credo che la salute della donna e dei bambini possano avere anche a che fare con la responsabilità paterna. Al riguardo, vi chiederei un chiarimento, perché onestamente ho alcune difficoltà a comprendere.
Capisco, naturalmente, che incidono le differenze tra situazioni, la società tradizionale e via elencando. Certamente, non è una questione semplice.
Esprimo un'ultima considerazione. Avvicinarsi all'obiettivo che ci siamo riproposti per il 2015 comporta uno sforzo generale e universale di alfabetizzazione, in senso proprio. Ci accingiamo a celebrare i 150 anni della unità d'Italia, un Paese che era sostanzialmente analfabeta, in cui l'introduzione del sistema di istruzione elementare fu uno dei grandi sforzi che si compirono.
Effettivamente, la diffusione di un sistema di alfabetizzazione sociosanitario elementare, come affermavate voi, con la presenza di una levatrice per ogni villaggio rappresenta la dimensione e l'orizzonte da raggiungere.
In relazione a ciò, la mia ultima considerazione è la seguente: quali rapporti ci sono tra l'Organizzazione mondiale della sanità e le associazioni collegate, anche in termini di collaborazione e di sinergie, con le altre organizzazioni in loco? In questo processo si va avanti insieme su tutti i piani; se, invece, ciascuno persegue separatamente il proprio risultato, credo che dovrà fare i conti con difficoltà maggiori di quelle che affronterebbe se ci fosse una collaborazione ben funzionante in tutti i diversi comparti.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

FLAVIA BUSTREO, Direttore generale della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health. Innanzitutto, vorrei ringraziare l'onorevole Barbi per il chiarissimo interesse e le immagini che ha richiamato dopo la visita a Bamako. Nei Paesi della fascia subsahariana, purtroppo, le incidenze di mortalità sono le più alte. Onorevole, lei ha segnalato in maniera molto evidente quale sia la relazione tra la semplicità e la complessità e il fatto che il progresso in questi Obiettivi di sviluppo della salute è legato in maniera intima ed essenziale ad altri fattori, come la povertà, l'istruzione, l'accesso ai servizi e la distribuzione della popolazione rurale e urbana. Ciò è chiarissimo ed evidentissimo.
Vorrei sottolineare che tale relazione è bidirezionale. Sappiamo, per esempio, che moltissimi Paesi che sono riusciti a migliorare lo stato di salute dei bambini e delle donne hanno visto anche una crescita economica importante. Studi della Banca mondiale hanno dimostrato che circa il 50 per cento della crescita economica di quelle che abbiamo chiamato le «tigri asiatiche», ovvero Paesi come la Thailandia, l'Indonesia e altri, cresciuti moltissimo economicamente negli anni Ottanta e Novanta, è stato decisamente determinato dal miglioramento della salute dei bambini, soprattutto, nonché dello stato nutrizionale. Lo sviluppo cognitivo e intellettuale dei bambini è, infatti, superiore; essi sono in grado di apprendere in maniera migliore durante la scolarità e diventano, quindi, individui produttivi.
Il legame che lei ha segnalato, onorevole Barbi, è completamente essenziale e bidirezionale. Bisogna proseguire con piani di azione che integrino le politiche sanitarie con altre di più alto braccio, che mirino a migliorare la produttività, l'accesso e la distribuzione ai servizi di educazione, oltre che di sanità.
Lascio al collega Merialdi il compito di fornire alcuni spunti in più su ciò che sappiamo della distribuzione urbana e rurale delle morti e sull'accesso ai servizi, però vorrei evidenziare che il rapporto rilevato tra cultura e politica è un aspetto chiarissimo.
Le politiche di pianificazione familiare sono molto differenti tra i diversi Paesi. Ci


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sono politiche di enforcement, per esempio con il limite di un bambino per famiglia, come in Cina, e altre che praticamente sono mute sulla necessità di informare. Un aspetto essenziale di questa politica è, infatti, la necessità di informare sia le donne, sia gli uomini delle scelte che possono compiere per avere una salute riproduttiva.
La questione di cui abbiamo parlato e su cui anche il dottor Aureli si è soffermato moltissimo è l'importanza della formazione, della comunicazione, della possibilità di ottenere informazioni sulle scelte che le donne e gli uomini possono compiere sulla loro salute riproduttiva.
Vorrei sottolineare che le decisioni politiche si ripercuotono sui finanziamenti, perché è la politica a deciderli. Abbiamo notato che, nonostante negli ultimi dieci anni a livello globale i finanziamenti pubblici siano aumentati sulla salute, criticamente non è aumentato il finanziamento sulla pianificazione familiare, il family planning, soprattutto a livello di cooperazione allo sviluppo dei diversi Paesi mondiali. Abbiamo visto una stagnazione, per esempio, sull'accesso ai contraccettivi e alla capacità di ridurre la natalità eccessiva.
L'altro aspetto che bisogna sottolineare, a questo punto, è l'esistenza di una relazione strettissima tra il numero di gravidanze che una donna affronta durante la sua attività riproduttiva e l'incidenza e la possibilità che possa morire lei e che possano subentrare complicanze per il bambino: quanto più frequenti sono le gravidanze, tanto più tali eventi occorrono.
La raccomandazione dell'OMS è che debba intercorrere un minimo di due anni tra una gravidanza e l'altra, che le gravidanze siano spaziate e che non comincino prima della maturità. Purtroppo, in molti Paesi africani ci sono ancora adolescenti che diventano madri. È un grossissimo problema, che riflette la politica, la cultura e, come lei ha sottolineato, la relazione tra un uomo e donna di empowerment e responsabilità condivisa.
Abbiamo posto la vostra attenzione sul problema delle donne e dei bambini perché questo è il tema di cui parlano gli Obiettivi di sviluppo. Chiaramente, la risposta è collettiva ed è necessario che venga dalla collettività dei cittadini di entrambi i generi.

MARIO MERIALDI, Team coordinator del Department of Maternal and Perinatal Health dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Il problema della dicotomia tra rurale e urbano, che lei ha presentato, onorevole Barbi, è un altro classico esempio di come, da qualsiasi punto la guardiamo, la disuguaglianza in quest'area è sempre presente. È un fatto che colpisce e, se guardiamo le statistiche, anche povere solitamente, che abbiamo dalle aree rurali ci rendiamo conto che ovviamente in tali zone il rischio è aumentato.
Ciò non significa, però, che tutto vada bene nell'ospedale. Sono stato recentemente in Zimbabwe e, parlando con la caposala, lei mi ha mostrato le sue statistiche: dall'inizio dell'anno erano state registrare sette morti materne per emorragia e mancanza di trasfusione.
Lo Zimbabwe è un Paese che ha una struttura sanitaria tra le migliori che in Africa, però mancano i soldi. Ci sarebbero la banca del sangue e la possibilità di eseguire le trasfusioni, ma mancano quei pochi dollari per far sì che il sistema funzioni.
Se effettuassimo una dissezione di qualsiasi caso di morte materna, se l'analizzassimo in dettaglio, vedremmo che emergono sempre tre fattori. Tale aspetto mi dà lo spunto per parlare anche del ruolo dell'uomo.
È vero che nelle nostre statistiche la componente maschile non è apparsa, però è importante, perché ogni morte materna riconosce tre tipi di causalità: il fatto che si ci sia un ritardo nel cercare aiuto, non tanto nel riconoscere se una persona sta male, perché lei stessa se ne rende conto, ma nella risposta della famiglia e della comunità a una situazione di difficoltà; molto spesso, vi è poi anche un ritardo nel trasportare la donna all'ospedale o alla clinica.
In questi due ritardi iniziali il ruolo dell'uomo, del partner, del capofamiglia è fondamentale. A questo proposito, tra i soldi


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meglio spesi, secondo me, dal nostro dipartimento nell'ultimo anno vi è stato un finanziamento piccolo, che però ha permesso a un gruppo di operatori sanitari in Tanzania di mettere in moto un sistema a livello di comunità per cui le famiglie fossero preparate a rispondere a un'emergenza. Non è stato compiuto alcun investimento addizionale; semplicemente preparando all'emergenza si è riusciti ad aumentare quasi del doppio le donne che in situazioni di emergenza sono riuscite ad arrivare in tempo all'ospedale e lo si è fatto lavorando anche sulla componente maschile.
Il terzo fattore critico, in cui entra anche la struttura sanitaria, è che non c'è solo il bisogno di riconoscere il problema e di agire portando la donna alla struttura sanitaria, ma anche di lavorare sulla qualità del servizio offerto alla donna nel momento in cui arriva nella struttura stessa. Troviamo ancora, purtroppo, come il caso dello Zimbabwe ci ha dimostrato, situazioni in cui la donna arriva con una complicazione e muore perché la qualità delle cure non è stata sufficiente.
Onorevole, lei ha colpito nel segno con l'opinione che si è formato nel suo viaggio, perché ha identificato chiaramente il problema: esiste una dicotomia tra ambiente rurale e urbano, dovuta all'accesso ai servizi, ma spesso anche a un problema culturale, ossia di raggiungere tali servizi in tempo. Inoltre, si pone la componente della qualità del servizio anche nella struttura urbana; anche quando l'accesso è possibile, non è sempre detto che ciò sia sufficiente.

FRANCESCO AURELI, Responsabile Policy, Advocacy and Campaigning per l'Italia di Save the children. L'onorevole Barbi ha parlato giustamente della complessità degli interventi. Nella mia presentazione ho volutamente cercato di essere molto esemplificativo, indicando alcuni interventi riconducibili alle cause di morte che sembrano essere molto semplici. La diagnosi della polmonite o la somministrazione dell'amoxicillina sembrano fatti molto semplici, ma si inseriscono in un contesto che diventa molto più complesso e che può diventarlo di più a seconda del livello di interazione.
Se ci si sofferma sulle cause principali di morte e sugli interventi, in questo caso molto esemplificativi, come la diagnosi e la somministrazione di antibiotici, oppure la prevenzione con diffusione di zanzariere, vediamo che si tratta di interventi molto semplici, che però poi si inseriscono nel complesso.
È importante il coinvolgimento della comunità, la verifica che le autorità locali siano coinvolte e informate su quanto si sta mettendo in atto. Molto spesso si deve prendere in considerazione l'analfabetismo, che non permette di trasmettere e comunicare determinati messaggi e spesso neanche di comprenderli. Come farli passare e come coinvolgere i chief delle comunità?
In questo caso, subentra il ruolo dell'uomo. Lei parlava del fatto che ci si sofferma sul ruolo della donna. È chiaro che il ruolo dell'uomo è importantissimo, però l'approccio più immediato, soprattutto delle organizzazioni non governative, è in genere quello di andare dagli uomini e iniziare a parlare con loro, dal momento che gestiscono e detengono l'autorità, senza guardare, invece, a un tema molto più delicato e forse difficile da scoprire, ma che occorre affrontare, ossia l'empowerment della donna, il ruolo che la donna può ricoprire.
Se non si interviene anche nel comunicare determinate questioni agli uomini, non si può migliorare la situazione. Vediamo quante gravidanze non desiderate o precoci sono causate in tanti Paesi in molte di queste zone dall'abuso sessuale. Anche a proposito delle mutilazioni genitali femminili, se non si coinvolgono gli uomini e se non li si informa, non si progredisce.
Ci sono veramente molte necessità di coinvolgere gli uomini, anche per quanto riguarda la salute riproduttiva. Non stiamo parlando solamente di informare le donne. Il family planning di cui si parlava prima non è il controllo familiare, ma una questione ben diversa. La pianificazione familiare permette anche di disporre di


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determinate informazioni, ma soprattutto di prevenire tutti gli aborti insicuri che causano milioni di morti all'anno e che, qualora le donne e anche gli uomini fossero messi nella situazione di conoscenza attraverso le campagne di informazione sugli aspetti della salute riproduttiva, si potrebbero prevenire.
Ci si sofferma sul ruolo della donna forse perché si viene da un trascorso di attenzione nei confronti del dell'uomo e dell'importanza dell'autorevolezza di quest'ultimo. Credo, però, che, come osserva giustamente lei, alla fine sul campo si vada a intervenire anche con gli uomini.
Svolgo un'ultima considerazione sull'educazione. La Partnership, l'Organizzazione mondiale della sanità e anche noi elaboriamo programmi chiaramente olistici e integrati, perché abbiamo visto che dove non c'è educazione e dove non si frequentano almeno la scuola primaria e secondaria si verifica il doppio delle possibilità di mortalità materno-infantile.
A proposito dell'equità - lei parlava di zone rurali e urbane - anche nelle zone urbane comunque ci sono differenze e quello che noi chiamiamo equitable intervention è rivolto alle aree che, all'interno di zone urbane magari più sviluppate, presentano tassi di mortalità materno-infantili elevatissimi, perché esiste una disparità anche all'interno delle stesse regioni, delle stesse zone urbane o delle zone rurali.
Ci sono diversi aspetti da considerare, sicuramente, però, se si prendono a esempio quelle cause e quegli interventi, poi ci si costruisce intorno. Se diventano paradigmi su cui costruire programmi di interventi del Governo italiano e della cooperazione italiana tutto va a prendere forma.

PRESIDENTE. Volevo portare un piccolo contributo in relazione al viaggio che abbiamo compiuto, che richiamo a mia volta. La mia testimonianza sottende anche un'eventuale vostra considerazione relativamente agli aspetti culturali e a tutto ciò che riguarda il legame tra i temi materno-infantili, infanzia ed educazione.
Abbiamo visto una giovane mamma che aveva un bambino che, evidentemente, stava male. Questa mamma, forse per la sua dimensione culturale e per tradizione millenaria, l'ha portato al mercato, un mercatino fatiscente, e ha chiesto l'ausilio di una donna che vendeva delle erbe, delle radici. L'approccio è stato esclusivamente questo. La donna sceglieva alcune erbe e radici, che, probabilmente, hanno rappresentato da sole tutta la terapia, a fronte di una diagnosi inesistente.
Non so se oggi quel bambino sia ancora in vita e mi auguro che lo sia. Probabilmente un intervento tradizionale, di un costo forse irrilevante, avrebbe potuto avere un esito più determinato e preciso.
La mia considerazione è la seguente: occorre agire attraverso la formazione, la comunicazione e un insieme di elementi e modalità che devono necessariamente essere messi in atto, in ragione del legame che esiste tra gli Obiettivi, che non sono a compartimenti stagni.
Credo che tutta questa impostazione sia complessa dal punto di vista dell'intervento, ma, al tempo stesso, ahimè, siamo di fronte a una considerazione quanto mai problematica, dal nostro punto di vista, in relazione alla semplicità che potrebbe, invece, una volta messa in atto, garantire o comunque dare risultati che indubbiamente oggi non sono ancora conseguiti e che ci pongono nella condizione di essere quanto mai preoccupati per il raggiungimento di tali Obiettivi.
Non so se volete eventualmente sviluppare alcune considerazioni.

FLAVIA BUSTREO, Direttore generale della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health. Queste considerazioni sono importantissime e riflettono anche il mio pensiero personale.
Ho lavorato per tre anni nel Sudan, quindi in una situazione molto simile a quella che avete descritto. Per questo motivo ci siamo soffermati sul ruolo delle donne. La capacità della madre di comprendere la situazione del figlio, di capire che cosa può fare, come può mantenerlo sano e nutrirlo, a chi deve chiedere consiglio,


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a chi si deve riferire, è un aspetto culturale importantissimo. Esistono barriere rappresentate dalla capacità di comprendere e di informazione che non abbiamo e che non si riesce a trasmettere. Per questo l'interazione con l'educazione delle donne soprattutto è fondamentale.
Come abbiamo segnalato, la possibilità di lavorare a livello di comunità è un aspetto che può permettere progressi molto rapidi, attraverso il passaggio di parola e di informazione da altre donne, anche operatori comunitari, che però portino messaggi molto semplici, per esempio che se il bambino ha la diarrea deve assolutamente continuare a bere e a essere nutrito.
Moltissime culture, inclusa quella del Mali, quando il bambino ha la diarrea, poiché c'è un flusso di acqua, pensano che non si debba somministrare acqua; ne fermano la somministrazione perché il bambino può continuare ad avere la diarrea. Dal punto di vista medico è assolutamente l'iniziativa più sbagliata da assumere.
Quando il bambino presenta eruzioni cutanee come il morbillo, fermano la somministrazione di alcuni alimenti. Questo aspetto di trasmissione dell'informazione e della capacità della donna di gestire la nutrizione e la salute del proprio figlio e della sua salute è importantissima ed è un aspetto cruciale, che può essere modificato attraverso interventi comunitari.
Paesi come il Bangladesh, che il collega Aureli ha citato, o come il Nepal, a bassissimo reddito, con instabilità politica e distribuzione geografica grandissima, sono riusciti a ottenere riduzioni della mortalità infantile e sono, infatti, on track. Raggiungeranno, quindi, gli Obiettivi di sviluppo per la salute infantile se continuano su questa strada.
Sono riusciti a farlo attraverso interventi di comunità che hanno supplito alle carenze e hanno dato la possibilità alle donne di comprendere alcuni elementi di base per la propria salute e per quella dei propri figli.
È per questo che ci siamo permessi di sottolineare l'importanza di focalizzare l'aspetto comunitario della risposta.

PRESIDENTE. Concludiamo i nostri lavori. Naturalmente, devo ringraziare molto la dottoressa Bustreo, il dottor Aureli e il dottor Merialdi per quanto ci hanno illustrato in occasione di quest'audizione così importante per noi e per i lavori del nostro Comitato.
Indubbiamente, siamo di fronte a un tema talmente delicato, importante e umano che tremiamo all'ipotesi di una sconfitta per quanto riguarda il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.
Al tempo stesso, vorrei concludere con la positività che voi ci avete sottolineato, anche con quel minimo di considerazione italiana che lei, appartenente in questo momento a un'organizzazione internazionale, ha voluto far trasparire attraverso le sue parole.
Alludo al suo riferimento al G8 de l'Aquila, che per la prima volta ha affrontato con determinazione la questione dell'infanzia e della salute materno-infantile, nonché all'impostazione originale delle nostre colleghe senatrici donne, con le risoluzioni della senatrice Rossana Boldi e della senatrice Laura Bianconi, indubbiamente innovative, come pure le considerazioni relative a ulteriori finanziamenti aggiuntivi attraverso l'arte italiana, trasmettendo un'immagine non negativa, ma positiva della donna.
Credo che possiamo concludere questi nostri lavori così importanti in una dimensione di alleanza di tutti i soggetti e con un'immagine positiva della donna attraverso l'arte italiana, per evitare una sconfitta veramente di tutta l'umanità, se si dovesse verificare il non raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio 4 e 5.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,25.

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