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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
22.
Giovedì 29 luglio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Audizione del dottor Giovanni Majnoni, direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3 9 11 15
Barbi Mario (PD) ... 9
Corsini Paolo (PD) ... 10
Majnoni Giovanni, Direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale ... 3 11 15
Tempestini Francesco (PD) ... 11 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 29 luglio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 8,45.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del dottor Giovanni Majnoni, direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni unite, l'audizione del dottor Giovanni Majnoni, direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale.
Voglio veramente ringraziare il dottor Majnoni per aver accettato l'invito a venire da noi. Non è nuovo alle audizioni, perché è già stato alla Camera negli anni passati, quando la Commissione affari esteri e comunitari ha svolto un'indagine conoscitiva sulla globalizzazione.
Del resto, oggi il dottor Majnoni occupa una posizione importante nell'ambito della Banca mondiale, che noi proprio ieri abbiamo ringraziato in ragione dell'invito che ha rivolto al sottoscritto e al collega Mario Barbi. Abbiamo avuto, infatti, la possibilità di compiere una missione in Mali, dove abbiamo potuto constatare l'operato della Banca mondiale per lo sviluppo di tale Paese. Abbiamo anche visitato alcuni progetti e abbiamo potuto apprezzare le iniziative messe in campo dalla Banca mondiale.
Darei subito la parola al dottor Majnoni affinché ci possa illustrare gli elementi, gli sviluppi e le attività che la Banca mondiale svolge ai fini dello sviluppo e del raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite.
Naturalmente desideriamo anche conoscere il suo punto di vista in merito ai rapporti tra l'Italia e la Banca mondiale, perché è all'ordine del giorno di questo Comitato anche la relazione che il Governo ci ha presentato per quanto riguarda i rapporti con le istituzioni finanziarie, tra cui anche la Banca mondiale.
Credo, dunque, che vi siano argomenti estremamente interessanti per i lavori del nostro Comitato.
Do subito la parola, ringraziandolo ancora, al dottor Giovanni Majnoni, con l'avvertenza che, successivamente alla sua relazione, potranno essere svolti interventi dai colleghi per chiarimenti e approfondimenti o eventuali considerazioni in merito al suo contributo.

GIOVANNI MAJNONI, Direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale. Grazie, signor presidente. Onorevoli deputati, per me è un onore contribuire ai lavori di questa Commissione. L'opportunità di illustrare i progressi finora ottenuti nel conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio è particolarmente propizia in considerazione del Summit su questo argomento, che è stato indetto dalle Nazioni unite per i prossimi 20-22 settembre.
Nella mia presentazione, come il presidente ha accennato, vorrei toccare alcuni


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punti legati sia agli Obiettivi di sviluppo del millennio, sia al ruolo del rapporto tra la Banca mondiale e l'Italia.
In primo luogo, vorrei illustrare i progressi realizzati nel conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio, a livello sia settoriale, sia geografico.
In secondo luogo, vorrei indicare il ruolo svolto dalla Banca mondiale nel conseguimento di tali obiettivi tramite le due agenzie che sono solitamente ricondotte sotto il suo nome, ossia l'Associazione internazionale per lo sviluppo, nota come IDA, e l'International Bank for Reconstruction and Development, l'IBRD.
In terzo luogo, in considerazione dell'interesse di questa Commissione per il tema dell'efficacia degli aiuti allo sviluppo, svolgere un cenno ad alcune promettenti iniziative di quantificazione dei risultati avviate negli anni scorsi dal gruppo della Banca mondiale.
Infine, come lei ha accennato, signor presidente, vorrei soffermarmi sulla funzione catalizzatrice svolta dalla Banca mondiale nei confronti di molteplici iniziative italiane, sia pubbliche, sia private, nel mondo dello sviluppo, cercando magari di trarne alcune lezioni per il futuro o comunque restando aperto a eventuali domande che i membri della Commissione volessero pormi su questo tema.
Cominciando dal primo punto, i progressi nella realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio, vorrei innanzitutto ricordare che gli obiettivi, ovvero gli MDG, secondo le iniziali in inglese di Millennium Development Goals, non sono solo gli otto obiettivi principali, ma anche le loro ramificazioni in ben 21 componenti e 60 indicatori. Si tratta di un albero i cui rami continuano a crescere nel tempo, che però poggia sul principio comune dell'inclusione sociale come componente fondamentale della lotta alla povertà.
Gli elementi di novità introdotti dagli MDG in aggiunta alla già ricordata nozione di inclusione sociale sono, in primo luogo, la definizione di obiettivi quantitativi misurabili e, in secondo luogo, la definizione di un traguardo temporale per il loro conseguimento. Non è possibile sottovalutare l'importanza di questi due aspetti, che ci consentono, a distanza di un decennio dal lancio degli MDG e a cinque dal traguardo del 2015, di valutare quanta strada sia stata percorsa.
I risultati sono considerevoli, anche se differenziati. La memoria che ho fatto circolare dà conto dei principali risultati conseguiti fino a oggi e delle fonti che possono essere consultate per maggiori informazioni.
Quali sono, dunque, gli obiettivi che hanno registrato i maggiori progressi? Ricorderò il dimezzamento, rispetto al 1990, l'anno di riferimento, della quota di persone al di sotto della soglia di povertà assoluta, un traguardo di estrema importanza dovuto alla straordinaria crescita dell'economia dell'Est asiatico, dove era maggiore la concentrazione di persone con reddito giornaliero inferiore a 1,25 dollari.
Notevoli sono stati i progressi anche nel campo della scolarizzazione, legata al secondo obiettivo, della riduzione della disparità di accesso all'istruzione per uomini e donne, rappresentata dal terzo obiettivo, e dell'accesso all'acqua potabile, uno dei parametri del settimo obiettivo.
Risultati meno incoraggianti, come probabilmente i membri del Comitato già sanno, hanno invece contrassegnato la lotta contro la malnutrizione e la mortalità infantile: solo 25 dei 55 Paesi, quindi meno della metà, affetti da malnutrizione infantile appaiono oggi in grado di sconfiggerla entro il 2015.
Analogamente, meno della metà dei Paesi è in grado di ridurre di due terzi, secondo l'obiettivo, il tasso di mortalità infantile rispetto al livello segnato nel 1990.
Se dovessimo guardare agli MDG da una prospettiva geografica e non settoriale, ci porremmo la seguente domanda: dove vediamo i maggiori ritardi? La risposta, come è prevedibile, è che nei Paesi a reddito pro capite più basso, quelli che chiamiamo i Paesi IDA, perché prendono a prestito da essa, si concentra la quota maggiore di ritardi. È estremamente importante ricordare, tuttavia, che rilevanti sacche di povertà ostacolano il conseguimento


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degli Obiettivi di sviluppo del millennio anche nei Paesi emergenti a reddito più elevato, come il Brasile e la Cina.
A livello di grandi regioni geografiche, l'Africa subsahariana rimane l'area geografica più problematica, nonostante lo stabile miglioramento degli indicatori sociali di povertà che hanno contraddistinto lo sviluppo del continente nel corso del decennio trascorso.
Mi limiterei a fornire questi spunti iniziali sui progressi compiuti e passerei al secondo punto, relativo alle sfide poste dagli Obiettivi di sviluppo del millennio ed al ruolo svolto dalla Banca mondiale per il loro conseguimento.
Dividerei le sfide in due tipi, quelle legate alle disponibilità finanziarie e quelle legate all'efficacia dell'impiego di tali disponibilità.
Sul piano del volume e delle risorse finanziarie mi sentirei di comunicare due buone notizie, che limitano il pessimismo legato ai vincoli che la finanza pubblica nei Paesi più sviluppati pone ai trasferimenti ai Paesi più poveri.
In primo luogo, i flussi ufficiali di aiuto, come codificati dai Paesi OCSE, hanno continuato a crescere nel 2008, registrando un forte incremento anche in termini reali rispetto all'anno precedente, raggiungendo i 121 miliardi di dollari. A questi si sommano - è un fatto nuovo e significativo - 10 miliardi dei nuovi donatori, Cina e Paesi arabi in particolare.
Il secondo elemento positivo è che l'azione anticiclica delle banche multilaterali, come probabilmente ricordato anche dal professor Grilli, è stata particolarmente efficace in questa tornata ciclica.
Il gruppo della Banca mondiale, in particolare, ha impegnato circa 100 miliardi di dollari dall'inizio della crisi e ha triplicato negli ultimi due anni fiscali il volume annuale di prestiti.
Sul secondo punto, le sfide relative all'efficacia dell'impiego degli aiuti, i risultati puntuali forse contano meno rispetto alle tendenze di trend. In questo spirito indicherei le principali direttrici di miglioramento dell'azione della Banca mondiale contro la povertà per dare un quadro di insieme. Risponderò poi volentieri a questioni di maggiore dettaglio che i membri della Commissione volessero porre su questi punti.
Comincerei, quindi, a comunicare le tendenze generali, con riferimento allo sportello di finanziamenti concessionari della banca, ossia l'IDA. Anche l'IBRD concede finanziamenti concessionali, ma in proporzione minore.
La prima domanda che mi sentirei di considerare è che tipo di efficacia misuri l'IDA quando cerca di valutare i propri risultati. La risposta più generale è che l'efficacia che si cerca di valutare è relativa alla strategia fondata sui due pilastri su cui si muove l'IDA.
Tali due pilastri, che rappresentano il superamento del Washington consensus, sono, da un lato, la creazione di un ambiente propizio agli investimenti e, dall'altro, la realizzazione di una crescita socialmente inclusiva.
Mentre il primo pilastro abbraccia, dunque, i tradizionali temi della crescita legati allo sviluppo delle infrastrutture fisiche e istituzionali, il secondo abbraccia invece tutti gli aspetti di inclusione sociale che fanno parte dell'agenda degli MDG. È estremamente importante ricordare che la Banca mondiale nel suo insieme, e l'IDA in particolare, si basa su queste due componenti, il retaggio della tradizionale letteratura-impegno dello sviluppo e la grande novità portata dagli MDG.
La seconda domanda verte su quali strumenti siano stati utilizzati per aumentare l'efficacia dell'azione dell'IDA. Vorrei anticipare che gli strumenti sono molti e che la loro enumerazione non aiuta sicuramente a mantenere l'attenzione di un uditorio. Esiste, però, un grande interesse istituzionale sulla natura di tali strumenti, perché da essi si può capire quale sia la corporate governance dei risultati, un aspetto estremamente importante.
Il primo strumento che potrei velocemente indicare è stato voluto dai donatori fin dal 2002. Come vediamo, si tratta di realtà che hanno circa un decennio di vita. Il riferimento è al sistema di misurazione dei risultati, in inglese Results Measurement System,


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che copre sia i progressi economici e sociali a livello di Paese, noti come Tier 1 indicators, sia gli aspetti più qualitativi, legati all'efficacia di ciascun progetto, noti come Tier 2 indicators.
Nella memoria che è stata fatta circolare sono riportati gli indicatori in maggior dettaglio. Sul primo pilastro indicatori rilevanti sono, per esempio, il tasso di elettrificazione delle famiglie o il numero di giorni necessari per aprire un'attività economica, mentre sul secondo, quello più sociale, gli indicatori rilevanti sono relativi alla percentuale della popolazione sotto la soglia di povertà, all'accesso all'acqua e alla percentuale dei bambini che completano il ciclo di studi.
Questo tipo di indicatori quantitativi è poi integrato da altri legati a giudizi sugli specifici progetti. Ve ne è una straordinaria ricchezza: ci sono giudizi sui progetti all'inizio della realizzazione, alla loro conclusione, espressi dal management o dall'organismo indipendente di valutazione.
Concluderei con il terzo punto, relativo al fatto se tutta la batteria di indicatori che ho sommariamente indicato consenta di arrivare poi a un giudizio di sintesi, che è quello che interessa, e se tale giudizio aiuti ad allocare i fondi dove sono più necessari.
La risposta che mi sentirei di dare su questo tema è affermativa su entrambi i fronti: gli indicatori, qualitativi e quantitativi, consentono di rilevare sistematicamente i progressi e quindi di ottenere una maggiore efficacia degli aiuti concessi; inoltre, le variabili misurate non danno soltanto questo conforto, ma entrano in una formula nota come Performance-based Allocation System (PBA), che guida l'allocazione delle risorse dello sportello concessionale, cioè dell'IDA, tra i Paesi che hanno diritto a farvi ricorso.
Vige, dunque, un meccanismo per cui chi opera meglio ottiene di più, e quindi un sistema virtuoso in cui gli indicatori di efficacia non sono fini a se stessi, ma determinano la politica dell'istituzione.
Come accennato, signor presidente, potrei continuare nell'elencazione, ma credo di aver sollevato i punti rilevanti. Rimanderei eventuali dettagli alla memoria o a successive domande.
Vorrei, inoltre, aggiungere che la valutazione dei risultati non è affidata solo alle montagne di dati ricavati dagli indicatori cui ho accennato, ma anche alle relazioni sullo stato dei progetti, la cui lettura è molto più appassionante. Per questo motivo nella memoria che ho lasciato ho fatto riferimento al progetto finanziato dall'IDA per la commercializzazione del mango in Mali, Paese che lei, presidente, e altri membri della Commissione avete avuto occasione di visitare recentemente.
Non è difficile vedere, in quel caso, come la nozione di sviluppo acquisti subito uno spessore tutto suo ed esca - per così dire - dalla carta stampata. Utilizzando un'espressione inglese, si potrebbe dire «comes to life».
Questi due sforzi, la valutazione del singolo progetto e gli indicatori che consentono di ottenere una visione d'insieme, vanno visti in parallelo.
Passo al terzo punto indicato in apertura, legato all'efficacia degli aiuti, alla Result Agenda.
È importante ricordare come un'istituzione come la Banca mondiale, la cui agenda sociale consiste nella promozione dello sviluppo economico e nella lotta alla povertà, tragga dalla misurazione di tali obiettivi la ragione stessa della propria esistenza. La misurazione è un fatto assolutamente imprescindibile ed è proprio ciò che ha spinto la banca a fornire alla nozione di development effectiveness una dimensione empiricamente misurabile e riconducibile alle politiche di sviluppo adottate.
Ognuno di noi conosce la lunga serie di interventi critici sulla rilevanza degli aiuti, se servano o non servano e se sortiscano effetti positivi o negativi, considerazioni spesso accompagnate da critiche nei confronti dell'operato della Banca mondiale.
L'insieme delle critiche costituisce, a mio avviso, una prova tangibile della complessità del sistema e la loro insistenza rende forse poco percepibile quanto cambi in realtà nel tempo la tecnologia di misurazione


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dei risultati. Critiche espresse all'inizio di questo decennio facevano riferimento a una realtà estremamente diversa da quella nella quale ci troviamo oggi.
Proverò a fornire un paio di esempi di questo concetto. La banca ha risposto alle critiche rivoltele con un processo di innovazione che si è svolto a tre livelli, di Paese, di settore tematico e, come accennavo prima, di singolo progetto o programma.
A livello di Paese, per fornire un'informazione specifica, sono stati riformati nel 2003 i documenti di Strategia di assistenza Paese, noti come Country Assistance Strategy, e il Board sta considerando attualmente un loro possibile ulteriore ammodernamento.
I documenti sono corredati dall'indicazione di obiettivi perseguiti dalla banca nel contesto delle priorità del Governo e delle politiche di aiuto degli altri donatori - si tratta, quindi, di uno sforzo di coordinamento ad alto livello - e includono le principali variabili che la banca si aspetta di poter influenzare (ovviamente, essa può influenzare soltanto un limitato numero di settori e di aree), in relazione al volume e alla composizione dei prezzi degli interventi che la banca prevede di attuare.
Un approccio simile a quello adottato a livello di Paese viene adottato anche per le strategie di settore.
Il terzo punto, sul quale vorrei concentrarmi, è quello relativo al livello di progetto, nel quale ogni operazione della Banca mondiale è tradizionalmente accompagnata da un'analisi di costi e benefici.
Forse la novità che può essere di maggiore interesse per questo Comitato riguarda le tecniche adottate per distinguere i risultati che derivano da fattori contestuali, nota come correlazione spuria, per la quale si investe e il Paese cresce, ma il Paese sarebbe cresciuto anche se non si fosse investito, dagli interventi dove è identificabile un nesso causale chiaro con l'operazione della banca, per cui se non si fosse investito, la tale realtà non si sarebbe realizzata.
Per rispondere alle critiche sull'efficacia delle proprie operazioni, la banca lanciò nel 2004, per iniziativa dell'allora chief economist Françcois Bourguigon, l'economista francese, un programma sperimentale di impiego di tecniche note come impact evaluation, valutazione di impatto.
Può essere forse di interesse della Commissione sapere che oggi le analisi di impact evaluation sono state rafforzate considerevolmente nel 2008 e riguardano circa 300 operazioni della banca in 15 diversi settori, coprendo il 13 per cento del portafoglio della banca, la percentuale più alta tra tutte le agenzie multilaterali e bilaterali di sviluppo.
In questo senso, per coloro che fossero interessati a conoscere i limiti e i pregi di queste tecniche statistiche spesso criticate, legate alla nozione di randomization delle esperienze nel settore medico, in base alla quale si verifica l'efficacia di un farmaco attraverso un campione di controllo a cui è distribuito un placebo, posso riferire che criteri simili vengono applicati e consentono di giungere a indicazioni chiare sull'efficacia di alcuni interventi.
Riassumendo, la Banca mondiale gode per questo tipo di analisi di indubbi vantaggi comparati, sia nell'attività di monitoraggio, sia in quella di valutazione. È bene ricordare, però, che spesso le idee della banca derivano dall'esperienza maturata in campo di valutazione dei risultati in diversi Paesi dell'OCSE, con un ponte con l'esperienza maturata da Paesi come l'Australia, il Canada, l'Olanda, la Svezia e gli Stati Uniti, che hanno sviluppato le tecniche per la valutazione dei risultati partendo dall'obiettivo di valutazione della qualità della spesa pubblica. Da questo punto di vista, è possibile disporre di strumenti d'informazione che possono essere di estrema utilità anche per l'analisi dello sviluppo.
Concluderei toccando il quarto e ultimo punto, ossia il ruolo dell'Italia. Il nostro Paese ha sostenuto le iniziative fin qui descritte incoraggiando sia il rafforzamento


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dell'agenda sociale della banca, sia un più forte orientamento verso la misurazione dei risultati.
Il professor Grilli, direttore generale del Tesoro, ha già estesamente illustrato, nel corso della sua audizione presso questa Commissione, l'impegno del Governo italiano nei confronti della Banca mondiale e delle altre istituzioni multilaterali di sviluppo. Mi limiterei, quindi, a toccare i punti in cui la presenza del nostro Paese ha assunto una rilevanza strategica con riferimento agli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Di particolare rilievo ai fini del raggiungimento degli obiettivi sono gli interventi di rifinanziamento, in primo luogo, dell'IDA e, in secondo luogo, dei trust fund della Banca mondiale dedicati specificamente al conseguimento di obiettivi sociali di lotta alla povertà estrema.
Il finanziamento dell'IDA, come i membri della Commissione ben sanno, è per dimensione di impegno finanziario di maggiore rilevanza. La concentrazione dei prestiti e dei grant dell'IDA in Africa, nella regione in cui il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio è più a rischio, fa del finanziamento dell'IDA uno degli interventi a sostegno degli obiettivi di maggior rilievo.
L'Italia, in linea con il proprio peso economico, si è storicamente posizionata come il sesto maggior finanziatore dell'IDA. In questo momento è in corso il negoziato per la sua sedicesima ricostituzione, noto come IDA 16, che, se dovesse rimanere ai livelli del contributo dell'IDA 15, richiederebbe al nostro Paese un impegno di circa 850 milioni di euro nel periodo 2011-2013.
L'altro settore di finanziamento è quello dei fondi amministrati dalla Banca mondiale. Senza entrare nel dettaglio, vorrei ricordare almeno tre fondi di particolare importanza.
Il primo è l'Advance Market Commitment, di cui sicuramente il professor Grilli ha dato conto, che rappresenta un contributo indiretto al conseguimento di almeno tre Obiettivi di sviluppo del millennio, il n. 4, il n. 5, e il n. 6.
Significativo è poi il contributo del Global fund per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria, relativo all'obiettivo n. 6.
Da ultimo, meno noti, ma ugualmente importanti, sono i Carbon fund del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Prima di chiudere, è doveroso ricordare che, se la presenza dell'operatore pubblico è fondamentale nell'indirizzare e nel finanziare le istituzioni multilaterali di sviluppo, quali la Banca mondiale, è però dal settore privato che proviene il valore aggiunto su cui si basa il processo di sviluppo.
L'entità delle risorse necessarie a rimuovere le condizioni di povertà estrema e attenuare le condizioni di diseguaglianza sociale sono di gran lunga eccedenti quelle che i Governi possono mobilizzare nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Per tale ragione, ossia per i limiti finanziari che caratterizzano in questi giorni l'azione pubblica, il settore privato gioca un ruolo di primaria importanza.
Per questo insieme di motivi la presenza del settore privato italiano nei Paesi in cui la Banca mondiale è attiva integra in modo fondamentale l'azione svolta dal Governo.
Un punto assolutamente importante è che, a differenza del passato, in cui gli aiuti allo sviluppo erano legati formalmente alla fornitura di merci e servizi provenienti dal Paese donatore, oggi la presenza di imprese nei mercati emergenti è il risultato di un processo competitivo basato su qualità e prezzo, di cui beneficiano al tempo stesso il Paese acquirente e l'impresa.
Cerco di spiegarmi meglio. L'azienda italiana che riesca a raggiungere una posizione di forza nei mercati emergenti beneficia di prospettive di crescita della domanda di gran lunga superiori a quelle prevedibili nell'ambito delle economie più sviluppate, inclusa la nostra.
La capacità delle imprese italiane di risultare aggiudicatarie nelle gare di appalto indette a fronte di finanziamenti della Banca mondiale può rappresentare


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un indicatore di estremo interesse della capacità del settore produttivo italiano di competere con successo in un mercato, quello delle commesse pubbliche a livello internazionale, che rappresenta una quota significativa della domanda pubblica e del prodotto mondiale.
Sulla base di queste considerazioni, l'evidenza più recente è estremamente confortante e indica una crescita significativa delle imprese italiane, assolutamente in controtendenza con il trend degli altri Paesi del G7. Grazie ai successi conseguiti nelle gare di appalto di opere civili, l'Italia si è posizionata, infatti, quest'anno come il Paese che ha ottenuto il maggior livello di commesse a fronte di finanziamenti della Banca mondiale, un fatto senza precedenti.
Il successo delle imprese italiane nella realizzazione di opere civili - vorrei sottolinearlo - non si pone in antitesi al conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio, ma ne è una condizione, soprattutto nel settore dell'acqua e dei servizi sanitari, dove il collegamento con l'obiettivo n. 7 è immediato.
Il collegamento è ugualmente stretto anche nel caso della realizzazione delle grandi opere infrastrutturali, come nel campo delle comunicazioni e della produzione di energia elettrica. Senza questi interventi, l'abbattimento del numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà assoluta non può muoversi con la velocità necessaria.
Signor presidente, vorrei concludere con uno speciale ringraziamento a lei e ai membri di questo Comitato per il cortese invito, ricordando che l'ufficio del direttore esecutivo presso la Banca mondiale è a vostra disposizione, non solo in occasioni come questa, ma in via continuativa e in qualsiasi momento il Comitato desideri chiarimenti e informazioni su tematiche di sviluppo e, in particolare, su temi che riguardano la Banca mondiale.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Majnoni per l'ampia relazione che ha voluto offrire a questo Comitato e per tutti gli spunti che ha evidenziato nella sua relazione.
Come avevo preannunciato, do la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Vorrei prima di tutto ringraziare in modo sincero il dottor Majnoni per la relazione che ci ha offerto, nonché per il materiale che ci ha portato e che ha illustrato in modo sintetico. Ho potuto soltanto sfogliarlo, ma ho visto che contiene molte più informazioni di quelle che lei ha potuto comunicarci in modo diretto. Sarà per noi molto utile, perché ci consente di approfondire alcune questioni che in una sede come questa possono essere soltanto accennate.
Vorrei approfittare della sua presenza per chiederle, se possibile, alcune valutazioni di ordine più generale. Mi riferisco in questi ultimi tempi, in particolare, all'attività della Banca mondiale, al Fondo per la cooperazione allo sviluppo, alla presenza italiana e ai relativi punti di forza e di debolezza. Lei faceva riferimento al progetto nel settore sanitario e ai vaccini; sappiamo anche delle difficoltà, comunicateci dallo stesso direttore generale del Tesoro.
Sono questioni che conosciamo. In più, lei ha aggiunto la nostra capacità di presenza nelle gare di appalto, un'informazione nuova per il 2010, come risulta dalla tabella, che ci offre un elemento aggiuntivo.
Volevo chiederle alcune valutazioni d'insieme sul rapporto tra il multilaterale e il bilaterale, con riferimento, per esempio, alla questione della Cina e degli interventi cinesi.
Per un verso, la Banca mondiale opera secondo i criteri che lei ci ha ricordato, in modo trasparente e aperto. L'intervento cinese di tipo bilaterale si muove su criteri e princìpi che la Banca mondiale dovrebbe considerare superati. Che rapporto c'è? Che prospettiva apre questo tipo di attività?
Un altro punto riguarda il rapporto tra Banca mondiale e Unione europea, un


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altro attore rilevante negli aiuti. In Mali abbiamo constatato una sfasatura nel rapporto tra le due istituzioni. Anche su questo aspetto ci sarebbero utili alcuni elementi.
La Banca mondiale ha compiuto cambiamenti notevolissimi nel corso del tempo, passando dai programmi di aggiustamento, dopo una fase di crediti piuttosto facili in cui si era constatata l'incapacità di pagarli da parte dei Paesi riceventi, a una di restrizione e ora a una più complessa, e forse più soddisfacente dal punto di vista concettuale, basata su un mix di dono, di credito agevolato, di dimensione sociale e istituzionale della propria azione.
Nonostante ciò, circolano ancora critiche anche significative all'efficacia e addirittura all'utilità di tali aiuti. Dal seno della Banca mondiale si sono alzate critiche radicali. Penso a un libro - senza fare riferimento diretto all'autrice - che ha messo in discussione gli aiuti, ritenendoli dannosi perché abituano chi li riceve e creano una forma di dipendenza, come una droga, da cui non si riesce a uscire.
Qual è il suo giudizio su questo tema? Che rapporto esiste tra l'aiuto fornito e la prospettiva di liberare i Paesi riceventi e renderli indipendenti? Ci sono esempi in questa direzione? Come ragionate perché si crei questa condizione, che credo sia poi quella cui idealmente si deve tendere? Oggi si fornisce un aiuto, ma allo stesso tempo si cerca di creare una situazione in cui il Paese ricevente non è più dipendente da esso. Forse ci sono casi che indicano la possibilità di ottenere questo risultato?

PAOLO CORSINI. Innanzitutto voglio ringraziare e scusarmi se ho potuto ascoltare soltanto una parte della sua esposizione, che mi è sembrata, per quanto ho potuto udire, del tutto esemplare. Ho consultato la documentazione che lei ci ha offerto, che mi sembra estremamente utile e seria.
Peraltro, mi fa piacere di essere ancora una volta in sintonia con il collega Barbi, con il quale non ho avuto occasione di uno scambio prima di questa audizione. Mi sono sorte istintive, però, due domande.
La prima scaturisce anche da una curiosità di tipo professionale. Nell'ambito dei criteri di valutazione, lei ha richiamato una tecnica che mi sentirei di definire, non so se propriamente, controfattuale. Come è noto, alcuni settori della storiografia anglosassone, in modo particolare americana, utilizzano le tecniche controfattuali, domandandosi, per esempio, quale sarebbe stata la storia degli Stati Uniti se non fossero state realizzate le ferrovie.
Lei è in grado di portare un esempio di applicazione di questa tecnica valutativa di tipo controfattuale, esponendoci che cosa succederebbe o sarebbe successo in Ruanda se non fosse intervenuta un'adeguata politica di sostegno? Ho citato il Ruanda, ma potrei menzionare qualsiasi altro Paese. L'ho scelto assolutamente a caso. Mi interessa un esempio di risultanza di questa tecnica di valutazione.
La seconda domanda, invece, radicalizza l'interrogativo posto dal collega Barbi. Esistono una letteratura e una saggistica che, a partire da alcuni decenni fa, sottolineano, nell'interpretazione che propongono, quanto il collega Barbi asseriva, cioè che in realtà la Banca mondiale diventa, al di là delle proprie soggettive intenzioni, uno stimolatore o un fattore di crescita degli elementi di dipendenza di un Paese. Mi pare di capire che questo sia l'interrogativo posto dal collega.
Esiste, però, una saggistica ancor più radicale, che imputa alla Banca mondiale, a prescindere dal settore di sostegno e di appoggio alla politica di aiuti per lo sviluppo, addirittura la responsabilità di essere uno dei fattori determinanti l'incremento dei cosiddetti meccanismi dello scambio ineguale che improntano la dinamica dei rapporti nord-sud.
Si assisterebbe, nel caso migliore, all'interno di questa interpretazione, a una sorta di eterogenesi dei fini. Al di là delle intenzioni - nessuno vuole attribuirle una volontà diabolica - la Banca mondiale non avrebbe, dunque, l'esito di determinare con il suo operato un alleviamento o un miglioramento delle condizioni di vita e di


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sviluppo, ma diventerebbe essa stessa un soggetto che, nelle sue scelte di politica economica e finanziaria complessive, alimenterebbe le condizioni di un divario che cresce esponenzialmente, con progressione geometrica.
La mia non vuole essere una domanda provocatoria. Voglio cercare di capire qual è il grado di ideologizzazione o, invece, di scientificità di una tesi che, soprattutto per quanto riguarda alcuni economisti di provenienza terzomondiale, è largamente diffusa e campeggia ancora nella saggistica sull'argomento.

PRESIDENTE. Grazie per questi temi di fondo, molto importanti per la vita e lo sviluppo dell'azione della Banca mondiale.

FRANCESCO TEMPESTINI. Dottor Majnoni, le pongo una brevissima domanda.
Quando leggiamo di tali questioni, abbiamo occhio ai Paesi che si trovano dall'altra parte della scala della ricchezza e di tutti gli indicatori. Volevo chiedere, però, alcune informazioni su come si svolge e che contesti diversi si determinano per quello che riguarda l'azione della Banca mondiale nei Paesi nei quali, invece, esiste soprattutto un problema interno di differenza negli indicatori, cioè nei quali sussistono grandi differenze di reddito o di condizione sociale. La banca opera anche in Paesi come questi e non solo in Mali o in altri Paesi dove vige una condizione di povertà generalizzata.
Dopo questa domanda generale, le chiedo se si può approcciare anche ai Paesi che ci sono più vicini, che non fanno parte non del terzo mondo, ma in cui operano le strutture della Banca mondiale. Le sarei grato se mi fornisse alcune informazioni in merito.

PRESIDENTE. Aggiungerei anche un'ultima considerazione, riprendendo un elemento proposto dal collega Barbi, cioè la questione del comportamento dell'Italia nei confronti degli impegni sottoscritti con la Banca mondiale, anche alla luce di un aspetto estremamente interessante, che lei ci ha voluto evidenziare, relativo al successo delle imprese italiane.
Mi pare che sia un fatto importante come ritorno, come capacità delle nostre imprese nell'inserimento in questi Paesi, anche se operano prioritariamente in un'attività a carattere infrastrutturale. Non dobbiamo mai dimenticarci, infatti, che le infrastrutture sono un elemento fondamentale per lo sviluppo di un Paese e che, quindi, implicitamente o esplicitamente, hanno un grande risalto anche per quanto attiene alla capacità di innescare processi che poi si finalizzano con il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Conviene, quindi, toccare e approfondire anche questo aspetto, che indubbiamente fa parte di un elemento che questo Comitato, nel risultato ultimo della propria attività, dovrà evidenziare e focalizzare nei confronti del Governo e delle istituzioni internazionali.
Do la parola al dottor Majnoni per la replica.

GIOVANNI MAJNONI, Direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale. Signor presidente, ringrazio per la sua domanda come per quelle degli altri componenti del Comitato, tutte estremamente focalizzate su temi di grande importanza.
Comincerei cercando di rispondere ai quesiti dell'onorevole Barbi, il primo dei quali, in particolare, verteva sul rapporto tra bilaterale e multilaterale, non soltanto visto nella tradizionale prospettiva dei Paesi donatori industrializzati, ma considerando i problemi generati dall'entrata sulla scena internazionale dei nuovi donatori, quindi della Cina ma anche dei Paesi arabi.
L'onorevole Barbi ha toccato un tema sul quale probabilmente non è possibile dare una risposta in un senso o nell'altro, se non affermando che effettivamente l'entrata di questi donatori, che dispongono di risorse finanziarie enormemente superiori a quelle dei tradizionali donatori ma provengono da una storia di partecipazione all'evoluzione delle salvaguardie sociali e


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ambientali totalmente diversa, genera una dinamica assolutamente nuova, con la quale la Banca mondiale si sta confrontando, ma per la quale non potrei sostenere che abbia ancora trovato una soluzione.
Assistiamo oggi alla dissociazione del tradizionale binomio tra qualità dell'investimento e fondi di aiuto, che si concentravano nei Paesi tradizionalmente industrializzati. Oggi i criteri di qualità sono dettati dai Paesi industrializzati, ma le risorse provengono dai nuovi donor. Di conseguenza, la capacità di collegare gli aiuti al perseguimento di determinati standard qualitativi in questo momento non è perseguibile, perché gli incentivi non sono allineati.
La Banca mondiale si sta confrontando con questo problema, che presenta risvolti drammatici. Per esempio, attualmente si trova in estrema difficoltà a finanziare opere infrastrutturali, in particolare nel settore idroelettrico, in Africa, dove, come tutti sappiamo, la necessita di energia elettrica è una delle esigenze principali, addirittura drammatica.
L'imposizione degli standard della Banca mondiale induce tutte le autorità nazionali a rivolgersi di preferenza ai cinesi, senza quindi ricorrere ai finanziamenti della Banca mondiale stessa. Ovviamente, poiché questi ultimi sono una condizione per i finanziamenti di tutte le cooperazioni e le strutture di aiuto dei Paesi industrializzati, ciò fa sì che attualmente né il nostro Paese, né altri che tradizionalmente sottoscrivono tali standard possano intervenire, se è possibile rendendo ancora più drammatico il dislivello tra le condizioni dei Paesi che affrontano la competizione proveniente dai cosiddetti nuovi donatori. Non dimentichiamo che questi non sono rappresentati solo dalla Cina, ma anche dall'Indonesia, dall'India, dal Brasile, realtà industriali di enormi dimensioni, con i quali ci dobbiamo confrontare ad armi in questo momento assolutamente dispari.
La sfida è chiara, come anche le direzioni in cui affrontarla - bisogna portare i nuovi donatori a un livello di consapevolezza pari a quello degli altri Paesi e quindi alzare la barra anche per loro - ma i risultati sono al momento ancora modesti, anche se si incominciano a vedere istituzioni finanziarie cinesi che sottoscrivono gli Equator Principles. Sono, però, i primi timidi passi.
L'altra direzione da cui la Banca mondiale si augura di poter ottenere risultati importanti è quella di cercare di ridurre quanto più possibile il contrasto tra la realizzazione delle salvaguardie ambientali e sociali e quella dei grandi progetti infrastrutturali, facendo in modo che tali salvaguardie siano quantificate e definite con sufficiente anticipo e non durante la realizzazione dei progetti, così da non aumentare i costi di realizzazione dei progetti stessi.
Onorevole Barbi, lei ha toccato un punto sul quale effettivamente il dibattito è altissimo e vi è una dialettica di natura politica.
Il secondo punto verteva sui rapporti tra la Banca mondiale e l'Unione europea, che, a mio avviso, sono piuttosto ben definiti. Nella realtà operativa ci possono essere sicuramente mancanze di coordinamento, ma i princìpi sono piuttosto ben delineati.
Da un lato, la Banca mondiale è consapevole di essere una piccola realtà nei Paesi candidati, ma anche in quelli del vicinato, quindi del Nord Africa. Le risorse messe in campo dalla Commissione europea sono ciclopiche e sono grant, ossia risorse a fondo perduto, mentre la Banca mondiale presta denaro.
Di concerto con la Commissione europea, la Banca mondiale cerca di fornire alcuni criteri all'uso di tali fondi. Come sapete, la Commissione europea eroga fondi a fondo perduto, raramente uniti a una capacità della loro gestione. La Banca mondiale cerca, quindi, di concerto con la Commissione, di integrare e fornire l'aspetto di assistenza tecnica, che necessariamente deve accompagnare la fornitura di risorse finanziarie.
Credo che questo punto sia piuttosto ben definito; in particolare, poiché esistono ambiti esclusi dall'acquis communautaire, la


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banca cerca di concentrarsi su tali settori. È chiaro che un Paese che ha prospettive di accessione ha un fortissimo incentivo a modificare i propri sistemi legislativi e normativi in funzione dell'acquis communautaire, ma su ambiti sociali, che non rientrano in tale quadro, può registrare grossi ritardi. La banca si concentra su questi ambiti.
Mi sento di affermare, quindi, che le tendenze strategiche sono molto ben definite. Da parte della Banca mondiale vi è grande umiltà nel realizzare di essere, di fatto, un piccolo attore in aree geografiche come quella dei Balcani, dei Paesi candidati e anche del Nord Africa.
L'ultimo punto che lei citava era legato alle critiche sull'utilità del ruolo della Banca mondiale e addirittura alla possibilità che essa contribuisca, generando forme di dipendenza, a peggiorare il problema che in realtà vorrebbe risolvere.
È difficile ottenere una dimostrazione scientifica ed è questo il motivo per cui sono state individuate le tecniche di impact evaluation cui accennavo, ossia per cercare di trovare alcuni casi chiari in cui possiamo sostenere che alcuni obiettivi che ci eravamo proposti sono, in effetti, derivati dall'azione messa in campo.
L'obiettivo è anche quello di generare incentivi propriamente allineati. Con forme di prestito output-based si tenta di fare in modo che gli obiettivi, definiti non dalla banca, ma dal Paese, generino poi l'erogazione delle risorse.
Vengo al caso del Ruanda, citato dall'onorevole Corsini. In realtà, un piccolo riquadro nella memoria che ho allegato mostra che effettivamente la valutazione di impatto riesce a individuare come il results oriented approach faccia la differenza.
Nel campo sanitario ci sono risultati assolutamente straordinari, conseguiti in un intervallo relativamente ristretto di tempo. Non posso affermare che siano di per sé efficaci, ma la tecnica di impact evaluation, attraverso il confronto con uno scenario controfattuale in cui tali incentivi non erano presenti, ha dimostrato che effettivamente essi sono stati non l'unico, ma sicuramente un importante fattore di differenziazione.
Immagino che, date le esigenze di tempo dei membri del Comitato, con questa risposta io abbia soddisfatto anche la prima domanda dell'onorevole Corsini.
Rimane la questione più generale se la Banca mondiale peggiori le condizioni di disuguaglianza oppure no.
Mentre in passato questa era una critica che trovava la banca meno preparata a rispondere, perché, come accennavo, l'attenzione era posta sui meccanismi di crescita e l'idea era che quando la marea sale tutte le barche si spostano verso l'alto, un modo di affrontare le tematiche sociali non affrontandole, il fatto nuovo negli ultimi dieci anni è che, con il riconoscimento dell'importanza degli MDG, quindi di tutte le condizioni di inclusione sociale come un fattore che non può essere risolto soltanto dalla crescita, si è generata una consapevolezza straordinaria, con una capacità di misurazione che si è sviluppata di pari passo. Mi sentirei di affermare, pertanto, che oggi la banca è molto più attrezzata a rispondere a questo tipo di critiche.
Va aggiunto il fatto che gli azionisti della banca rappresentati dai Paesi emergenti hanno oggi una voce incomparabilmente superiore a quella di dieci anni fa. Vige un controllo non soltanto di tipo tecnocratico, se posso esprimermi in questo modo, sulla qualità dei prodotti, ma anche da parte dei clienti. I miei colleghi al Board, cinesi, indiani, malesi, guidano il tipo di decisioni che la Banca mondiale intraprende in termini di progetti, di finanziamenti, di condizionalità e di modifiche degli incentivi per i finanziamenti della banca stessa.
In termini sia di governance, sia di consapevolezza, le situazioni sono quindi molto differenti da quelle di un decennio fa.
Mi sentirei di escludere che la Banca mondiale in questo momento possa peggiorare le situazioni anche per un'ultima


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considerazione, ossia che è una realtà finanziaria molto piccola nell'ambito dei Paesi in via di sviluppo.
Porto un esempio: la Banca di sviluppo brasiliana è incomparabilmente più grande della Banca mondiale in termini di volumi di finanziamenti, come pure la BEI.
La Banca mondiale, in realtà, è un'entità visibile, con un valore aggiunto molto specifico e importante, perché ha una valenza globale, ma dal punto di vista del danno che può causare, anche nell'ipotesi in cui fosse evil-minded, non avrebbe la possibilità di danneggiare la realtà come i critici tendono ad accusarla.
Per quanto riguarda la presenza della Banca mondiale nei Paesi non soltanto a basso reddito, ma anche a medio reddito, ricordati dall'onorevole Tempestini, il dibattito è aperto e tocca tutte le strategie, non dell'IDA, ma dell'IBRD.
Di fatto, per affrontare questi temi in modo operativo e ben focalizzato, la Banca mondiale ha aggiunto al proprio menù di strumenti quello dei prestiti alle entità subnational: se in Brasile la povertà si concentra nei Paesi dell'Amazonas, la banca può prestare direttamente al Governo regionale della zona considerata e in questo modo essere più precisa. I programmi possono essere ancora focalizzati sulla riduzione della povertà in una misura che talvolta il Governo nazionale non potrebbe assicurare con la stessa precisione.
L'onorevole Pianetta accennava al comportamento dell'Italia nei confronti della Banca mondiale e, in particolare, al ruolo del settore privato. Credo che sia difficile integrare il comportamento dei principali operatori.
Accennavo prima, in una conversazione informale con l'onorevole Barbi, quanto le imprese italiane talvolta si presentino sulla scena internazionale con prodotti molto forti, ma poco strutturati, quindi con una capacità industriale forte, ma una capacità di commercializzazione debole. Non essendo in grado di offrire i prodotti integrati, che uniscono il prodotto, il finanziamento e probabilmente le capacità di gestione, perdono nei confronti della concorrenza estera. I francesi, per esempio, sono molto bravi a vendere il prodotto integrato.
Il compito delle autorità italiane - come ufficio del direttore esecutivo, siamo ben lieti di dare una mano in questa direzione - è tentare di supplire a queste deficienze, legate agli aspetti storici del nostro sistema, per cui alcuni aspetti di gestione, per esempio, sono concentrati nelle municipalizzate, che hanno una dimensione molto locale e non hanno alcuna proiezione internazionale.
In Francia la gestione delle utility è sempre stata proiettata a livello internazionale e quindi noi dobbiamo supplire a questo gap. Sono iniziative che si risolvono attraverso l'attività di concertazione tra la SACE, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero degli affari esteri e, ovviamente, istituzioni e uffici come il mio, che nel contesto internazionale sono in grado di individuare alcuni punti nevralgici da risolvere.
Spero di aver risposto alle vostre domande.

FRANCESCO TEMPESTINI. Le chiedo solo un chiarimento. Lei ha affermato che il ruolo della Banca mondiale in relazione alle politiche di aiuto dell'Unione europea - vorrei solo avere una conferma - è quello di affiancare le attività dell'Unione nel campo degli aiuti, fornendo consulenza o servizio di valutazione dei risultati. Chiedo scusa se ho impiegato una terminologia non precisissima.
Ho capito che al know-how della Banca mondiale, su cui lei si è molto soffermato nella relazione, cioè alla capacità di effettuare una valutazione dei risultati delle azioni non corrisponde una pari capacità dell'Unione europea, quasi che quest'ultima, dal punto di vista della valutazione dei risultati della propria azione, sia un po' indietro o abbia scelto tecniche diverse.
Sarebbe interessante un approfondimento, non ai fini della Banca mondiale, ma di una valutazione su questo specifico aspetto.


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GIOVANNI MAJNONI, Direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale. La ringrazio di offrirmi un'opportunità di rettificare un punto che sicuramente non ha espresso ciò che intendevo comunicare e su cui posso essere stato poco preciso.
Non volevo sostenere che ci fosse una divisione di compiti tra chi fornisce risorse e chi valuta risultati. L'area in cui vedo un'efficace sinergia tra la Banca mondiale e l'Unione europea è quella dell'abbinamento tra le risorse finanziarie e i servizi di assistenza tecnica, quindi non quella della valutazione dell'efficacia dei progetti e dei programmi dell'una o dell'altra istituzione, ma quella dell'assicurare alle risorse che la Commissione europea devolve ai diversi Paesi alcuni servizi di valore aggiunto, legati proprio all'assistenza tecnica, che le strutture della Commissione non sono in grado di fornire, a differenza della Banca mondiale. In questo caso la banca mette le sue competenze e risorse al servizio della Commissione.
Un altro esempio di efficace collaborazione è stato l'intervento congiunto a sostegno dei sistemi bancari dei Paesi dell'est. L'IFC, il braccio privato della Banca mondiale, si è coordinato con l'EIB e con l'IBRD per mettere insieme un flusso di risorse sufficienti. Di nuovo, l'IFC ha stanziato risorse pari a una quota percentuale del totale e, quindi, di fatto, la banca ha messo a disposizione sia risorse finanziarie, nel caso dell'intervento a sostegno dei Paesi dell'est, sia risorse di capitale umano, in molti altri casi.
Sicuramente andrebbe esclusa l'idea che la Banca mondiale eserciti un'attività di valutazione sull'efficacia delle politiche di aiuto di altri donatori, quale la Commissione europea. L'idea è di collaborare e non di giudicare.

PRESIDENTE. Grazie anche per questa precisazione.
Ringrazio veramente a nome del Comitato il dottor Giovanni Majnoni, direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale, per questo incontro estremamente interessante e proficuo, che sarà utilizzato adeguatamente per quanto riguarda i lavori e gli esiti del nostro Comitato.
Il dottor Majnoni ci ha dichiarato la sua disponibilità e noi continueremo a mantenere i rapporti con lui, in ragione degli sviluppi che intenderemmo dare ai lavori del nostro Comitato.
Ringrazio ancora il dottor Majnoni, nonché la dottoressa Barrera, che l'ha accompagnato nella nostra audizione.
Credo che questa sia l'ultima audizione prima della pausa estiva, ma anche l'ultima prima del summit di New York dei prossimi 20-22 settembre. Per quell'occasione continueremo a svolgere la nostra attività e completeremo una prima fase del lavoro, in modo tale da poterci presentare adeguatamente, come Parlamento italiano, anche di fronte a questi grandi obiettivi, che coinvolgono tutti noi, tutti i Paesi, nonché la Banca mondiale, che sta fornendo un grande apporto al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,50.

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