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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
25.
Martedì 25 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Narducci Franco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DI SVILUPPO DEL MILLENNIO DELLE NAZIONI UNITE

Seguito dell'esame del documento conclusivo:

Narducci Franco, Presidente ... 3
Barbi Mario (PD) ... 3
Tempestini Francesco (PD) ... 4
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 25 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO NARDUCCI

La seduta comincia alle 15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'esame del documento conclusivo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, il seguito dell'esame del documento conclusivo.
Ricordo che nella seduta del 22 dicembre scorso l'onorevole Pianetta, presidente del Comitato sugli obiettivi di sviluppo del Millennio, aveva proceduto ad illustrare la proposta di documento conclusivo.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire.

MARIO BARBI. Noi eravamo rimasti in modo interlocutorio sulla conclusione dell'indagine conoscitiva e l'approvazione del documento finale che ne rendeva conto. Ci era sembrato, infatti, a una prima lettura del documento che, se da un lato esso era fedele, chiaro e preciso nel riepilogo delle attività svolte nell'ambito dell'indagine e nel riassumere gli elementi molto ampi che avevamo acquisito dal punto di vista dello stato del programma delle Nazioni Unite per gli Obiettivi del Millennio, sul piano delle realizzazioni e dell'avvicinamento o meno al raggiungimento dei vari obiettivi, dall'altra parte c'era, a nostro parere, un'insufficienza da correggere nel documento nella parte che riguardava il rapporto dell'Italia con questo programma e la messa in evidenza di quello che noi avevamo riscontrato nel corso dell'indagine e delle attività connesse alla stessa.
In breve, l'elemento fondamentale che noi avevamo riscontrato nel corso di questa indagine è che per il nostro Paese, in ragione delle riduzioni molto forti di risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo, in sede bilaterale e in sede multilaterale - e in sede multilaterale soprattutto in ragione dei ritardi accumulati nel mantenimento degli impegni assunti nel quadro delle diverse organizzazioni, ad esempio il Fondo globale per l'AIDS, l'IDA, il Fondo per lo sviluppo della Banca mondiale eccetera - vi era una forte perdita di credibilità. Questo era un punto che noi non potevamo ignorare nel documento finale e che dovevamo opportunamente sottolineare.
Insomma, questa perdita di credibilità era un elemento che emergeva, ahinoi, al di là delle nostre diverse valutazioni e delle ragioni che potevano esserne all'origine, come un dato di fatto. Ci pareva che questo dovesse essere appropriatamente segnalato e messo in luce anche nel documento, che quindi andava integrato. In questo senso, stiamo formulando un'idea di integrazione per rendere evidente questo dato.
Adesso non ricordo i vari passaggi, ma nel corso dell'indagine vi era stato, da


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parte del Governo, l'annuncio che sarebbero stati presentati piani di riallineamento, piani di rientro, piani di correzione, proprio per ridurre il gap esistente tra le promesse e i fatti. Questo è avvenuto nel corso di questi due anni e mezzo. Ad oggi, però, dell'attuazione di questi annunci non vi è ancora traccia.
Circoscrivendo la nostra attenzione soltanto sul documento finale e senza allargare eccessivamente la cosa, di questo bisognerebbe dare conto, nel senso che si dovrebbe concludere che vi è oggettivamente - ed è questo un dato che si acquisisce in ragione dell'indagine conoscitiva - una perdita di credibilità del nostro Paese per le scelte, giustificabili o no, compiute (e accentuatesi) nel corso degli ultimi anni. Inoltre, non vi è da parte del Governo il mantenimento di questi annunci relativi a contromisure da adottare e, tuttavia, realizzare queste promesse relative al riallineamento e al rientro è condizione perché questo deficit di credibilità che noi abbiamo riscontrato in sede internazionale possa essere recuperato, consentendo anche la valorizzazione delle attività che si continuano a svolgere e che hanno un apprezzamento da parte dei Paesi che sono destinatari delle stesse e di tutto il sistema di cooperazione italiano, che continua ad esistere, ad operare, ad ottenere risultati pur nel quadro di queste oggettive difficoltà finanziarie e politiche.

FRANCESCO TEMPESTINI. Intervengo brevemente perché condivido il ragionamento e la proposta che l'onorevole Barbi ha sintetizzato e che io penso possa trovare accoglienza. Da parte nostra è stato compiuto un ulteriore sforzo per dare completezza al quadro che nel corso di questi mesi è stato sotto i nostri occhi: un quadro di luci e di ombre, sia per quello che riguarda in generale il fenomeno e le politiche sovranazionali che lo sovraintendono, sia per quanto riguarda l'approccio italiano.
Considerato che siamo arrivati a un giudizio conclusivo, vorrei sottolineare con spirito assolutamente positivo che la lettura di tutta la mole di lavoro che abbiamo prodotto e delle iniziative che sono state assunte dà il senso dell'importanza del lavoro che è stato compiuto.
A mio avviso, peraltro, sarebbe utile rendere accessibili i testi prodotti - magari una riduzione degli stessi - a un pubblico anche più largo. La mia non è una proposta, ma semplicemente un modo per dare il segnale dell'apprezzamento.
A ogni modo, il lavoro che abbiamo compiuto fornisce una lettura, attraverso questa chiave delle difficoltà e dei successi della cooperazione, di alcuni degli accadimenti di questo difficile mondo e dei suoi cambiamenti. In fondo, questo lavoro vede presentissima sullo sfondo la questione della globalizzazione. Anche le priorità, le nuove e le vecchie emergenze, insomma le questioni nei confronti delle quali gli organi multinazionali, i Governi nazionali, le organizzazioni non governative hanno a fare i conti segnano cambiamenti che vengono dai grandi processi che si sono determinati nell'economia e nella società del mondo.
Prima di tutte balza agli occhi una questione, quella di una parte di Paesi che nel decennio trascorso avevano una ben chiara collocazione nel mondo sottosviluppato, che oggi hanno fatto un vero e proprio salto e si trovano per alcuni versi ancora in una sorta di categoria intermedia, ma per altri versi rappresentano le punte più avanzate persino dello sviluppo in alcuni settori molto importanti e sono delle economie trainanti.
Naturalmente questo, per converso, come sappiamo ha determinato una lettura più difficile persino degli indici che si ricavano dall'analisi che è stata fatta per ultima a New York sul raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. È classica la questione della povertà, la riduzione della povertà estrema che avviene con il grande contributo di questi Paesi.
Una lettura generale, che parta dalla globalizzazione, fa vedere come a fronte di questi fenomeni positivi si sono determinate, invece, nuove gerarchie che spingono verso il basso altre aree. Tali aree sono sostanzialmente identificabili, secondo me, in due settori principali. Uno riguarda in


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particolare l'Africa subsahariana, l'altro è collegato a quella nuova categoria che è venuta alla ribalta costituita dai Paesi falliti, che hanno una dislocazione geografica molto più varia. Questi Paesi debbono e dovranno sempre di più essere oggetto di attenzione di una politica della cooperazione che guardi a queste nuove ragioni delle difficoltà. In qualche caso, effettivamente - e purtroppo i casi non sono pochi - sono i processi di destatalizzazione che determinano la collocazione di questi Paesi nel range più basso.
Emerge un altro tema molto importante, anche questo a monte del tema oggetto dell'indagine. Mi riferisco all'enorme problema delle migrazioni, che si articola in sottocapitoli, fra i quali quello che noi vediamo più emergente, per tante ragioni, quello dei rifugiati, ossia di quelli che fuggono da condizioni estreme di difficoltà. L'enorme problema delle migrazioni è un altro dei frutti dei processi di globalizzazione, che hanno conseguenze immediate e precise sulle politiche di cooperazione.
Infine, un altro elemento di assoluta importanza è che tutti questi grandi sconvolgimenti hanno determinato aumento delle disparità e delle diseguaglianze. Questa è una costante nella lettura che si può fare del compendio del nostro lavoro ed è un elemento su cui riflettere, perché anche questo comporta politiche diverse, più complicate.
Naturalmente accanto a queste questioni generali, che però sono di grandissimo rilievo, a mio avviso c'è un capitolo che riguarda le risposte. Non voglio farla lunga perché abbiamo problemi di calendario e di tempi. Voglio dire, però, che da questo punto di vista le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative, insomma il complesso degli attori in campo, hanno saputo sviluppare una riflessione matura, abbastanza all'altezza della complessità dei problemi. Nel corso di questi anni, infatti, c'è stato un riorientamento delle politiche e, per qualche verso, un riorientamento delle filosofie. Questo è un importante segnale della vitalità di queste organizzazioni, a cominciare naturalmente dall'ONU e dal pregevole documento del settembre scorso. Più in generale, nel mondo degli attori di queste politiche si è determinato un aggiornamento nelle filosofie, insomma - sto parlando ad alcuni di voi che sono tutti ben esperti - una messa al centro di alcune opzioni fondamentali, quelle che io posso definire la necessità assoluta del buon governo, un atteggiamento che fondamentalmente deve essere votato a trasparenza ed efficienza degli aiuti, e soprattutto l'idea che gli aiuti debbano costruire valore aggiunto.
Questa è la vera sfida. L'idea che gli aiuti siano capaci di costruire valore aggiunto nelle economie di quei Paesi, quindi rompano con l'idea assistenziale delle politiche di cooperazione è una sfida enorme, rispetto alla quale noi non disponiamo neppure degli strumenti teorici di controllo e di supervisione. È una sfida che, come ci ha ricordato non più tardi di ieri il commissario allo sviluppo Piebalgs, è presente anche a uno dei donatori principali di questa realtà mondiale che è l'Unione europea. Questa è, secondo me, la vera sfida che abbiamo di fronte: come creare, attraverso le politiche di cooperazione, vero valore aggiunto e quindi dare durevolezza e prospettiva agli interventi.
Mentre l'Occidente dei donatori - questa è stata la caratteristica geopolitica fino ad ora - era ed è orientato ad affinare e correggere queste politiche, in una continuità di approccio, nel quale come sappiamo bene è fondamentale anche l'idea della valorizzazione dell'uomo, della sua dignità e della sua libertà, in questo contesto c'è stata l'irruzione, e non poteva accadere diversamente - in un quadro nel quale problemi della cooperazione, problemi dell'economia e problemi della bilancia dei poteri nel mondo sono ovviamente intrecciati, come ho cercato di dire all'inizio - di Paesi nuovi, in particolare la Cina, che sono entrati in qualche modo a gamba tesa in questo contesto, con un approccio diverso, che commetteremmo un errore a definire «primitivo», cioè un approccio che ci riporta indietro nel tempo. Purtroppo, è un approccio con il


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quale dobbiamo comunque fare i conti, perché contiene elementi innovativi, in quanto guarda alle questioni della cooperazione all'interno - faccio l'esempio fondamentale della gestione e dell'utilizzo delle materie prime - di una logica di scambio, in un mondo nel quale, per esempio, le materie prime diventano nuovamente, data l'assoluta scarsità, centrali nel confronto economico e politico a livello mondiale.
L'irruzione di queste tematiche nella loro crudezza - uso questo termine, ma non vorrei essere frainteso - pone a questo mondo «nostro» nuovi problemi e nuove sfide, perché così come viene posto da alcuni dei Paesi emergenti esso incontra anche, per qualche verso, una sorta di favore. L'occhio e il favore dipendono dal fatto che questi Paesi che si muovono in una logica «sud-sud» si sentono più in sintonia; questi mondi paradossalmente riescono a dialogare di più di quanto sia possibile realizzare attraverso il dialogo nord-sud, perché quest'ultimo è caricato dalle culture nostre che, per qualche verso, abbiamo il dovere - nei limiti di una capacità di regolamentazione sobria e al di fuori di ogni idea «occidentalista» - di portare avanti. Qui si aprono questioni di scenario molto complesse che non posso approfondire, ma questo è un tema che si ricava dalla lettura di questo testo.
Il terzo argomento di riflessione riguarda quello che facciamo avendo un occhio più vicino alle nostre cose. Qui noi dobbiamo misurare anzitutto, sempre in termini generali, che il nostro ruolo come Italia si è fortemente ridotto. Questa riduzione del ruolo italiano nasce da una riduzione del ruolo nazionale, al di là delle politiche di cooperazione. Indubbiamente l'Italia è un Paese che, per ragioni anche oggettive, è sceso (e non poteva non scendere, inevitabilmente) nella gerarchia delle potenze mondiali, dal punto di vista della capacità finanziaria e quindi della capacità di contribuzione. Sono dati che vanno espressi nella loro verità; sarebbe sbagliato ignorare il fatto che la Cina ha a disposizione un surplus di natura economica che può spendere, mentre noi siamo alle prese con un enorme debito.
Svolte queste considerazioni di carattere generale e oggettivo, quello che io credo dobbiamo osservare è che esiste un limite delle politiche italiane che consiste innanzitutto nella minimizzazione delle risorse, che costituisce oggettivamente un capitolo molto grave e molto negativo. Questa riduzione delle risorse, peraltro, è avvenuta nel modo che conosciamo, cioè mediante una drammatizzazione, attraverso i tagli lineari, di quelle che erano costanti e storiche linee di credito che noi fornivamo alle politiche di sviluppo e che improvvisamente sono venute a mancare. Da questo punto di vista, effettivamente una domanda che ci si pone, di assoluto rilievo, è che allora non si deve parlare più di priorità di queste politiche ma si deve avere il coraggio di dire che l'Italia non le considera più prioritarie. Insomma, non conviene a nessuno continuare nella politica dell'inganno. Se il Governo giudica queste politiche prioritarie deve corrispondervi con una adeguata mole di risorse. Se non è così, lo si deve dire e lo si deve sapere.
Un secondo aspetto che fotografa questa riduzione di ruolo dell'Italia, che io trovo per qualche verso addirittura più grave, riguarda il fatto che l'Italia non riesce a lavorare, come sistema italiano, dentro i processi. La mia opinione è che l'Italia emerga come un Paese il quale non riesce a coordinare se stesso con quelle sedi dove peraltro essa esercita, anche in funzione della propria contribuzione, un ruolo. Caso tipico quello dell'Europa, dove la nostra capacità di fare sistema con le istituzioni preposte - penso alla Direzione generale per la cooperazione - è certamente al di sotto delle necessità. Penso al modo con il quale noi non abbiamo chiaro un quadro del rapporto e delle possibili convergenze tra politiche «diplomatiche» e politiche della cooperazione.
Più in generale, è l'intero sistema Italia che non riesce a coordinarsi all'interno e non riesce a coordinarsi fuori. Questo ha due conseguenze: in primo luogo, c'è una minore


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valorizzazione del poco che siamo in grado di mettere in campo; in secondo luogo, non riusciamo - questa conseguenza, da un certo punto di vista, è ancora più grave - ad avere la voce giusta nei processi che inevitabilmente si mettono in campo di aggiustamento quotidiano.
Penso, in conclusione, che un Paese in queste condizioni non possa avere davanti a sé che una scelta: quella della chiarezza, dell'efficienza, quindi del fare sistema, e quella di una riduzione ottica del campo. Se il Paese è in queste condizioni è bene che cerchi di trovare soluzioni più ravvicinate e più concentrate per non disperdere quel poco che esso può fare.
Il lavoro fatto, pur con tutte le criticità che emergono, è un lavoro importante, rispetto al quale credo che dobbiamo e possiamo essere giustamente contenti per esserne stati partecipi.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito dell'esame del documento conclusivo ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,30.

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