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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
3.
Mercoledì 21 gennaio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROBLEMI E LE PROSPETTIVE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE VERSO LA RIFORMA DELL'OMC

Audizione dell'ambasciatore Giovanni Caracciolo di Vietri, rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra:

Stefani Stefano, Presidente ... 3 10 14 15 16
Antonione Roberto (PdL) ... 15
Caracciolo di Vietri Giovanni, Rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra ... 3 12 15
D'Amico Claudio (LNP) ... 11
Narducci Franco (PD) ... 14
Orlando Leoluca (IdV) ... 11
Picchi Guglielmo (PdL) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 21 gennaio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dell'ambasciatore Giovanni Caracciolo di Vietri, rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui problemi e le prospettive del commercio internazionale verso la riforma dell'OMC, l'audizione dell'ambasciatore Giovanni Caracciolo di Vietri, rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra.
L'ambasciatore Caracciolo è accompagnato dal consigliere Taffuri.
Nel salutarla, ambasciatore, desidero spiegarle ufficialmente la situazione in cui ci troviamo. Personalmente, ma credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi, sono conscio dell'importanza di questa audizione nell'ottica di ciò che vorremmo fare in futuro per quanto riguarda l'Organizzazione mondiale del commercio, e nessun meglio di voi potrebbe illustrarcelo.
Siamo impegnati da ieri mattina; abbiamo già saltato la colazione di ieri. Ieri sera sono andato via prima perché ho chiesto una tregua, ma il collega Pianetta, che è relatore del provvedimento, è stato impegnato fino alle 22.30. Abbiamo ripreso questa mattina alle 8.30 con gli impegni della Commissione. Perciò, non ce ne voglia se non siamo numerosi come avrebbe meritato un'audizione importante come questa. In ogni caso, siamo in pochi ma altamente qualificati.
Do la parola all'ambasciatore Giovanni Caracciolo di Vietri per la relazione.

GIOVANNI CARACCIOLO di VIETRI, Rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra. Signor presidente, ringrazio lei e i parlamentari presenti, che saluto - in particolare i vecchi amici Antonione e Narducci - per aver esteso anche a noi l'invito a concorrere a questa indagine conoscitiva promossa dalla Commissione affari esteri sull'Organizzazione mondiale del commercio come strumento di integrazione e regolamentazione del processo di globalizzazione.
Al di là di queste poche parole e delle risposte ad eventuali quesiti, abbiamo preparato un documento più corposo, che ci ripromettiamo di consegnare alla segreteria della Commissione per l'uso che riterrà più opportuno.
Fatte naturalmente salve le competenze primarie del Ministero dello Sviluppo Economico su formulazione ed indirizzo della politica commerciale nazionale nonché quelle della nostra Rappresentanza Permanente a Bruxelles per le relazioni intracomunitarie, la mia esposizione si


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fonda sulla prospettiva specifica goduta da un osservatorio privilegiato come è in qualche modo Ginevra, sia per il ruolo di delegato del Governo presso l'Organizzazione mondiale del commercio che ho l'onore di svolgere insieme al collega Taffuri (che mi ha accompagnato proprio perché incaricato precipuamente di seguire l'attività come mio vicario presso l'OMC), sia perché Ginevra, pur non essendo capitale, si sente ed è per molti versi la capitale di almeno una parte della governance globale da cui si percepiscono nuovi orientamenti e nuovi schieramenti che molto spesso travalicano le frontiere delle specifiche agenzie delle Nazioni Unite, e tra le grandi entità non onusiane l'Organizzazione Mondiale del Commercio è certamente la principale.
Tanto lei, signor Presidente, che io stesso avevamo vivamente auspicato di poter tenere questo scambio di idee un po' prima nel tempo. Ce l'ha impedito quella serie di fibrillazioni proprie della fine dell'anno, che hanno coinciso con l'accentuarsi della crisi finanziaria e poi economica mondiale e con una serie di tentativi falliti di riprendere il negoziato interrotto a luglio a Ginevra.
A questo proposito, si potrebbe citare il detto latino oportet ut scandala eveniant, perché l'esposizione che oggi possiamo fare ci consente certamente di tenere meglio conto di queste ultime fibrillazioni su entrambi gli aspetti della crisi mondiale e della riflessione in corso a Ginevra e nelle capitali sul prosieguo del negoziato, anche in una fase nella quale le previsioni e le valutazioni sull'impatto della crisi si vanno facendo un poco più attendibili e, soprattutto, superato il momento di grande incertezza, proprio ieri, con l'insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti e della nuova amministrazione americana.
Al di là di questa topica, direi critica, collocazione nel tempo, dobbiamo partire tutti dalla premessa, che consiste in una elementare constatazione sulla logica della globalizzazione. Una logica che va assumendo i contorni di una tendenza ormai irreversibile alimentata dallo sviluppo della conoscenza e dei bisogni, che, se da un lato non può essere ostacolata o compressa, certamente richiede ormai di essere governata con nuove regole rispetto a quelle finora adottate.
In realtà, occorre continuare a superare il limite storico e filosofico ancora oggi sintetizzabile nella logica della prevalenza delle politiche nazionali, per cercare di fronteggiare questa più marcata caratterizzazione che l'insieme dei fenomeni di interrelazione va assumendo. Tale interrelazione da una parte ha comportato benefici, ma dall'altra si è spesso tradotta in una fonte di forte instabilità. Ciò è dimostrato, ad esempio, dall'andamento, nei mesi scorsi, dell'economia mondiale e dal negativo effetto domino scatenato, anche questo su scala globale, dalla crisi dei mercati finanziari.
Della portata globale di tali aspetti e di questa crisi è testimonianza il tentativo - forse il primo nella storia del multilateralismo - di affrontare questi temi in chiave multilaterale per così dire, «allargata». Non a caso, il rilancio, poi fallito, della seconda tornata negoziale del 2008 nasceva, come ricordate, da un imperativo sorto nel G20 di Washington il 15 novembre 2008. Per la prima volta, dunque, accanto al vecchio G8, di cui si iniziano a notare alcune crepe dovute all'«anzianità», si è registrata la partecipazione attiva dei nuovi attori della governance mondiale. Nel G20 sono stati ammessi infatti, in condizione di pari dignità e di pari operatività, grandi protagonisti della scena mondiale di oggi: Cina, India, Brasile, Argentina e Sudafrica, per citarne solo alcuni. Dunque, questa è la prima esperienza di tentativo globale di affrontare il problema delle regole del gioco, con particolare riferimento a quelle del mercato.
Mi permetto di ricordare, per inciso, che nella predisposizione finora compiuta e nei primi atti del Governo italiano come Presidente di turno del G8, questa realtà viene tenuta in grande considerazione e, soprattutto per gli incontri principali, verrà applicata una logica di geometria variabile tra il G8 e il G20, con delle integrazioni regionali o geografiche che ci


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sembrano molto opportune: la Spagna per l'Europa e l'Egitto per la parte africana e mediorientale. Per fare solo qualche esempio credo che sia essenziale evitare, soprattutto nella ripresa del rapporto con gli Stati Uniti e con la nuova amministrazione, la sventura, a cui si riferivano parecchi studiosi in questi giorni, di un G8 che si dissolve, di un G20 che non funziona e di un G2 - Stati Uniti più Cina - che potrebbe profilarsi come un pericoloso fantasma all'orizzonte.
La deriva finanziaria a cui stiamo assistendo e i suoi primi seri impatti, seppur variegati, sull'economia reale del mondo aprono davanti a noi degli scenari molto inquietanti. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, li ha definiti icasticamente «terra incognita», dal momento che ci dirigiamo verso una serie di sviluppi e di evoluzioni della crisi che non sono facilmente prevedibili secondo criteri tradizionali, sia per portata e durata dell'attuale crisi, sia per la differenziazione che essa può comportare per le diverse economie nazionali, tenendo conto delle diversità dei sistemi produttivi.
Sul fronte finanziario sono già evidenti gli impatti: è sufficiente porre mente alla questione della liquidità nel trade financing per rendersi conto del quadro, già preoccupante, di restringimento del mercato mondiale.
Sul fronte della specificità nazionale, ricordiamo che l'Italia ha comunque, quella di un sistema produttivo ancora piuttosto dinamico e aggressivo, basato sulla trasformazione e, quindi, sul duplice aspetto dell'importazione delle materie prime e dell'export, soprattutto verso i Paesi ricchi con particolare riferimento a quelli dell'area OCSE.
Tutto questo mi porta a concludere che quando parliamo di governance globale e di regole non dobbiamo ormai più parlare semplicemente di governo globale, ma di gestione aggregata dell'interdipendenza globale. Mi riferisco alla capacità di individuare valori comuni, tali da adottare sistemi di regolazione, e al problema, quindi, delle regole esistenti e della loro attualizzazione al mutato contesto.
Queste sono premesse dalle quali, in questo inizio del 2009, occorre muovere per una valutazione imparziale e quindi anche critica - ne parlammo con il presidente Stefani fin da Ginevra - degli attuali ruolo, struttura e funzioni dell'Organizzazione mondiale del commercio in quanto strumento esistente, destinato a regolamentare i più rilevanti aspetti dei fenomeni del commercio globale, a conferire loro la necessaria coerenza e a creare un quadro di intese certe e condivise.
Anche i più critici del multilateralismo nel suo insieme e di questa Organizzazione in particolare finiscono con il concordare quando riconoscono che, se non propriamente efficace, quella dell'OMC è certamente un'esperienza avanzata del multilateralismo operativo, per una serie di motivi. La prima ragione è la sua articolazione strutturale, che regge su tre componenti distinte: una componente di dibattito - direi quasi un corpo legislativo che deve preparare le nuove regole -, una componente di controllo del rispetto delle regole vigenti e, quel che più conta, una componente sanzionatoria, anche questa ancora molto imperfetta, ma certamente esistente, che fa la differenza rispetto ad altre grandi agenzie multilaterali, in particolare delle Nazioni Unite. Direi che l'autentico acquis dell'OMC, fino ad oggi, è proprio quello di aver stabilito una cornice di organizzazione, non un semplice trattato con i suoi seguiti, nella quale esiste un sistema giuridico sui generis e la possibilità di assicurarne in qualche modo l'osservanza.
Come sapete, la strutturazione dell'organizzazione attuale è erede, sin dal 1o gennaio 1995, del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), del 1947, evoluto in un vero e proprio sistema intergovernativo.
Le decisioni vengono prese dagli Stati membri che, come dicevo, sostanziano in maniera articolata e a vari livelli una sorta di corpo legislativo che è chiamato poi, nell'ambito dei vari cicli negoziali, a prendere decisioni per la formazione delle nuove regole degli scambi mondiali.


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Esiste, poi, accanto a questa sorta di corpo legislativo, quello che potrebbe essere definito un corpo esecutivo (il direttore generale con il suo segretariato, che alcuni sostengono sia ancora debole, mentre altri che abbia una strutturazione troppo corposa) e infine un corpo giudiziario, a cui facevo riferimento, rappresentato dall'organo di soluzione delle controversie, il DSB (Dispute Settlement Body) che costituisce una singolarità nel panorama della governance mondiale. Esiste, infatti, nella struttura OMC un meccanismo operativo che è in condizione, su due principali gradi di giudizio, di produrre decisioni e di imporne l'applicazione.
Mi vorrei soffermare su questo punto perché so che è di attualità, con riferimento alla disputa USA-Europa su alcuni prodotti, come le acque minerali diciamo italiane, ancorché la Nestlè sia svizzera. Certamente parliamo di un corpo, di una struttura e di un meccanismo perfettibili. Sul fronte del bicchiere mezzo pieno, io sottolineerei comunque il fatto che esiste e che la sua attività si traduce in atti concreti, a differenza, per esempio, del massimo organo esecutivo multilaterale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che proclama, con risoluzioni anche molto importanti, alcune sue decisioni che poi non hanno quasi mai un seguito sul terreno.
Faccio l'esempio della controversia in corso perché lo ritengo molto calzante sul piano di quello che potrebbe essere riformato nel WTO. Quello che è accaduto è molto semplice e lo dico in termini volutamente superficiali: il divieto comunitario di importare carne trattata con ormoni di provenienza USA è stato considerato illegittimo dal DSB che ha consentito agli USA di applicare contromisure tradottesi nell'innalzamento dei dazi all'importazione su una serie di prodotti.
Il problema attuale è che gli USA applicando una normativa interna (il c.d. Carosello) hanno modificato la lista originaria dei prodotti oggetto di contromisura inserendo le acque minerali italiane. Sulla legittimità della modifica dell'oggetto su cui originariamente venivano applicate le contromisure, che determina peraltro una forte discriminazione all'interno della stessa UE, l'Europa sta naturalmente reagendo e considera anche un' ulteriore riapertura del caso di fronte al DSB. È, infatti, in corso questa valutazione che naturalmente è affidata, come buona parte dei nostri negoziati, alla Commissione, ed è quindi soprattutto la Commissione, congiuntamente con la nostra azione a Bruxelles, che deve poter procedere in questo senso. Ho voluto fare questo esempio perché mi sembrava interessante.
Tornando allo strumento quello che mi premeva rilevare è tuttavia l'efficacia della procedura che pur non traducendosi nell'imposizione di una vera e propria sanzione di tipo pecuniario, finanziario o amministrativo, si sostanzia comunque in un atto concreto autorizzando il Paese vincente ad adottare delle contromisure.
Consentitemi di fare, inoltre, un breve cenno alle discrasie che sono venute creandosi fra l'attività dell'OMC - mi riferisco, in particolare, al Doha Round fin dal suo inizio - e l'attuale situazione globale mondiale. Innanzitutto, si sono aggiunti temi molto importanti, come quelli connessi alla salute e soprattutto all'ambiente, ambito questo nel quale ancora non vi è intesa, perlomeno circa un'indicazione dei beni oggetto di commercio e di scambio che appartengono alle intese ambientali. Soprattutto, è mutata in qualche modo la geografia politica del sottosviluppo ed è variato l'equilibrio fra nord e sud del mondo.
Come è noto, uno degli aspetti principali della multilateralizzazione del commercio era che il nord del mondo avesse un occhio attento al sud e che si privilegiassero alcune situazioni, come quelle più gravi dei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia la questione della coerenza e della valorizzazione delle regole, oggi davanti a noi, deve essere declinata secondo questa nuova geografia economico-politica del sud, che è in divenire. Rilevantissime componenti nazionali di quel sud, come Cina, India e Brasile, solo per citare i principali Paesi, sono già emerse, ma rimangono tuttora inserite nella categoria del sud.


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Direi quasi che il nord del mondo (noi, gli Stati Uniti e via elencando) ha di fronte più sud, e non uno solo.
A un primo livello di lettura, questo atteggiamento dei Paesi emersi è, naturalmente, soprattutto destinato a beneficiare dei trattamenti differenziati, che trovano, però, sempre minore giustificazione in termini di performance dei risultati commerciali. Esiste, tuttavia, un livello di lettura più profondo che Ginevra oggettivamente aiuta a comprendere meglio, e cioè il complesso di influenze e di veti incrociati che questi nuovi grandi attori della scena mondiale stanno utilizzando, spesso anche a livello transcontinentale. Basti pensare alla vera e propria egemonizzazione dell'Africa da parte della Cina e al contrasto esistente tra India e Cina proprio sul fronte di questa egemonizzazione.
Per non prendere troppo tempo alla vostra attenzione, intendo elencare in maniera quasi telegrafica le caratteristiche proprie dei compiti e delle strutture dell'OMC. Ricordo che i principi su cui si fonda l'azione dell'Organizzazione sono quelli di creare un sistema non discriminatorio, più libero, prevedibile, più competitivo e più favorevole ai Paesi in via di sviluppo.
Come dicevo, la base pattizia rimane il Trattato di Marrakech del 1994, che è una sorta di testo unico - l'Italia lo ratificò nello stesso 1994 - che raggruppa tutti gli atti giuridici maturati fino ad allora nel contesto dell'Uruguay Round. Esso si articola, quindi, in diversi accordi multilaterali principali per materia: l'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT); l'accordo sugli scambi di servizi (GATS); l'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (TRIPS), molto importante per noi in quanto contiene il capitolo delle indicazioni geografiche che, a sua volta, ha la rilevanza che conosciamo ai fini dei prodotti agricoli made in Italy; l'intesa sulle norme e procedure per la risoluzione delle controversie di cui parlavo prima (DSB); infine, un meccanismo di esame periodico delle politiche commerciali di tutti i Paesi membri (TPRM), anch'esso ispirato a una certa flessibilità, poiché tale revisione segue una certa cadenza per i Paesi membri, mentre ne è prevista una differente, in qualche caso più stringente, ad esempio per la Cina che ogni anno viene sottoposta a un esame specifico sulla sua politica commerciale comprendendo in essa tutte le evoluzioni normative che dovrebbero porla in linea con gli standard OMC.
Sulla base di questo corpus iuris, la struttura dell'OMC si articola su quattro livelli: quello generale della Conferenza ministeriale che dovrebbe riunirsi ogni due anni, ma che già da tre anni non si riunisce, per cui uno degli obiettivi di Lamy è quello di avere una Conferenza Ministeriale tra la primavera e l'estate; quello del Consiglio generale, sotto la Conferenza ministeriale; quello dei Consigli per le materie che ho prima citato (GATT, GATS e TRIPS); quello dei comitati specifici, che costituiscono la struttura sottostante al Consiglio generale. Vi è infine, una struttura (TNC) per così dire, parallela, creata per promuovere l'avvio e la gestione dei nuovi round, in questo caso, ad esempio, del Doha Round.
A questo quadro corrispondono una serie di funzioni schematicamente correlate: favorire l'attuazione, l'amministrazione e il funzionamento degli accordi, quindi l'attività di routine dell'organizzazione; elaborare nuove norme commerciali (Doha Round in corso); esercitare le funzioni «quasi» giudiziarie, di cui parlavo prima, con le riserve che avevo introdotto; infine, amministrare questo meccanismo periodico, ma in alcuni casi più incalzante, di revisione delle politiche commerciali degli Stati membri.
Questa è la mia introduzione agli argomenti di interesse maggiore, che passerei ora ad illustrare. Il primo è la critica che si è appuntata anche da parte di autorevoli multilateralisti sull'attuale efficacia dell'organizzazione. Renato Ruggiero, che dell'OMC è stato direttore generale, pur difendendo il multilateralismo, ha sostenuto proprio ieri che alcune innovazioni,


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specie nel processo decisionale dell'OMC, devono essere ormai necessariamente introdotte.
Il processo decisionale dell'OMC mi sembra, ancora una volta, un'opera non compiuta. Il principio di base, come sapete, è il consensus, molto complicato da gestire ma nondimeno fonte di grandi garanzie. Infatti, sulla base del principio introdotto nel Doha Round del single undertaking - ossia, nessun accordo si raggiunge se non sono raggiunti contemporaneamente accordi in tutti i settori oggetto di negoziato - il principio del consensus, se da un lato complica il raggiungimento di una intesa generale, dall'altro permette, essendo il voto riservato a ciascun Paese membro (nel caso dell'Unione europea a tutti i 27 Paesi membri, ma non si è mai praticato il voto), di mantenere un legittimo margine di manovra dato dalla possibilità di opporre il diritto di veto.
Su questo si innesca un meccanismo che spesso è stato criticato, quello del procedere secondo formati decisionali ristretti (le cosiddette Green Room) - se mi permette il presidente, una sorta di commissioni parlamentari - composti secondo specifici equilibri geografici destinati a facilitare la via verso la formazione del consenso proprio perché si assottiglia il numero di coloro che concorrono alla decisione; questo è l'aspetto positivo. L'aspetto negativo di questi formati di lavoro è di isolare naturalmente certi attori diciamo minori che certamente contestano la democraticità di tale modus operandi. Pertanto se, come tutto fa presagire, Lamy rimarrà direttore generale, egli dovrà forse porre mano non solo alle regole del consenso e della determinazione, ma anche riflettere sulle modalità in cui esse si articolano.
Il secondo punto è relativo al negoziato. Molte delle critiche e delle perplessità avanzate sul fallimento sostanziale nel 2008 del Doha Round credo siano un po' eccessive. Ad esempio, quella del fattore tempo. L'Uruguay Round, che era un'operazione assai più semplice perché i membri erano infinitamente minori di quanti sono oggi quelli dell'OMC, durò praticamente quanto è durato oggi il Doha Round. Nel fattore tempo vanno incluse anche, inoltre le congiunture politiche. Abbiamo avuto la pausa di riflessione dovuta alla transizione nell'amministrazione americana; abbiamo una serie di scadenze elettorali prossime in Europa, per esempio in Germania, ma soprattutto in India, dove potrebbero mutare radicalmente gli orientamenti finora maturati; abbiamo l'insediamento della nuova Commissione europea con l'avvicendamento già avuto tra Mandelson e la signora Ashton (bisognerà inoltre vedere se sarà lei ad essere confermata).
Esiste, poi, il problema, a cui ho già accennato, della schizofrenica personalità di alcuni dei player principali, India e Cina per esempio, che agiscono con modalità e finalità (anche geopolitiche) diverse. In questo quadro si va innescando un altro degli aspetti - citato anche da Renato Ruggiero nel suo articolo di ieri - che io considero essenzialmente negativi, ovvero la proliferazione di accordi regionali e bilaterali che, seppur rappresentando una via più semplice da seguire, tendono a favorire solo le parti in contatto tra di loro e che, al tempo stesso, rischiano di compromettere gli interessi principali di Paesi in via di sviluppo.
Come sapete, sia la tornata di luglio che quella più recente si sono interrotte su alcuni punti qualificanti, sui quali non è stato possibile trovare un'intesa. I due settori più avanzati sui quali si stava raggiungendo l'accordo erano quello agricolo e quello dei NAMA, relativo ai prodotti non agricoli, vale a dire industriali. Nel settore agricolo il problema è stato costituito dal meccanismo di salvaguardia, cioè di protezione - voluta fortemente dall'India, ma anche dalla Cina - a due livelli: protezione dei propri prodotti nel settore agricolo e tutela di alcuni interessi africani, nel quadro della egemonizzazione nel continente di cui parlavo prima.
Anche sul dossier NAMA, il contrasto principale si è avuto tra questi stessi attori, Cina e India, e Stati Uniti su una serie di questioni, in particolare sui cosiddetti «accordi settoriali», che da parte


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americana venivano richiesti come obbligatori in termini di partecipazione e di coverage, condizioni queste valutate invece come inaccettabili da parte cinese e indiana.
Naturalmente questi due dossier, agricolo e industriale, non si possono portare a termine - anche se forse basterebbero volontà politica ed alcuni aggiustamenti tecnici - se non si completano anche le altre materie oggetto di negoziato. Mi riferisco, in particolare, al dossier servizi e al dossier regole, di cui parlavo prima. Sul dossier servizi vi sono naturalmente attenzioni diversificate rispetto a sistemi produttivi diversi. L'Inghilterra è ovviamente assai interessata avendo di fatto rinunciato ad avere un forte comparto industriale, mentre meno di lei lo sono i Paesi come il nostro o come la Germania, che ancora producono beni. Rimane, poi, la questione dell'ambiente, già richiamata.
Infine, permettetemi un ultimo accenno agli interessi italiani. Ho partecipato personalmente - lo avevo detto al presidente Stefani quando ci siamo incontrati a Ginevra - alla difficile fase negoziale di luglio, dove si è registrata una posizione piuttosto muscolare e coraggiosa dell'Italia anche all'interno dell'Unione europea. Secondo gli insegnamenti di chi si è occupato di questioni europee senza fare cavalier seul, come dicono i francesi, ma con la sponda soprattutto della Francia, che allora aveva la presidenza, e anche di una serie di Paesi like minded, noi avevamo ritenuto di disegnare una «linea rossa del Piave». Essa non poteva essere travalicata ed era essenzialmente legata alla nostra esigenza di vedere riconosciuta la questione delle indicazioni geografiche.
Su questo punto mi preme sottolineare che si tratta di un problema, ancor più che commerciale, culturale. Dobbiamo infatti convincere Paesi come gli Stati Uniti e come l'Australia che in buona fede credono che il brevetto e il marchio possano bastare a qualificare un prodotto. Noi andiamo molto oltre. L'operazione sui vini e sugli alcolici è parzialmente riuscita, poiché adesso si parla di un registro che potrebbe essere approvato nel quadro del TRIPS. Resta da considerare la questione, per noi altrettanto importante, dell'estensione della tutela assicurata ai vini ed agli spiriti a prodotti diversi da questi. Da questo punto di vista - lo ripeto - credo che la rete diplomatica giuochi un ruolo cruciale mettendosi a disposizione del Governo e del Parlamento affinché un'opera di convincimento di questi Paesi possa essere compiuta a 360 gradi in tutte le capitali, soprattutto a partire dall'efficace azione condotta dalla nostra rappresentanza in Bruxelles, naturalmente.
Un aspetto del dossier agricolo che era abbastanza controverso e sul quale abbiamo segnato, credo, dei buoni punti, riguardava la tutela dei cosiddetti prodotti tropicali, voluta da alcuni membri, in particolare dell'Asia, che vedeva coinvolti anche prodotti propri dell'Italia e di altri Paesi del Mediterraneo. Anche in questo caso, in un negoziato molto serrato sulla lista di tali prodotti, eravamo riusciti ad ottenere un'importante, seppure non totale, assicurazione.
La mia valutazione - e mi fermerei qui, se il presidente lo ritiene opportuno - è che se i dossier agricolo e NAMA, con la questione però sempre aperta delle indicazioni geografiche, fossero rimasti nello stato dell'arte di luglio scorso, fotografati e fermati nel tempo, per l'Italia il bilancio complessivo poteva dirsi relativamente positivo, tenuto conto della specificità del suo sistema produttivo che vede un suo punto di forza nella industria di trasformazione dei prodotti soprattutto delle piccole e medie imprese del nord (penso alla flessibilità che ha consentito al nostro Paese di fronteggiare la concorrenza, talvolta pericolosa, di Paesi come la Cina). In agricoltura avremmo potuto infatti compensare anche alcuni degli inconvenienti della PAC e delle rinunce fatte dall'Italia in nome di altre priorità, poiché sarebbero state reintrodotte le liberalizzazioni e le tutele di alcuni prodotti tipici italiani. Sul fronte dei prodotti industriali, invece, avremmo potuto assicurare la difesa delle nostre esportazioni, soprattutto verso l'area OCSE, che è poi quella che ne assorbe, credo, circa il 60 per cento. Tutto


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questo, in una fase in cui le esportazioni dei nostri prodotti rimangono un'importantissima fonte per il sostegno dell'economia nazionale. Al tempo stesso, avremmo potuto vedere, forse, una liberalizzazione maggiore di alcune materie prime, con alcuni benefici per le nostre industrie di trasformazione.
Per concludere, rimanere nel multilaterale ed, eventualmente, immaginare di inserire nel multilaterale accordi settoriali o parziali è ancora, io credo, un interesse del nostro Paese e del nostro sistema. Naturalmente, vi sono molte voci che si levano in favore di una riforma, o più riforme, in seno all'OMC. Si parla di migliorare il processo decisionale, di modificare il processo sanzionatorio, ma quello che io ritengo importantissimo per noi è continuare a lavorare con una forte sinergia fra le amministrazioni interessate a Roma, a Bruxelles e a Ginevra.

PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore Caracciolo. Voglio ricordare a me stesso e ai colleghi che l'idea di questa indagine è nata proprio dal nostro proficuo incontro a Ginevra, che avuto luogo nel mese di settembre, se non erro.
Ambasciatore, desidero porle alcune domande. Questa indagine nasce da un interrogativo al quale, peraltro, lei ha già parzialmente risposto. La mia opinione è che il nostro Paese, quando si tratta di stipulare trattati di commercio internazionale, soprattutto attraverso l'Europa, non conti molto, o addirittura conti poco.
Come lei ha precisato, avremmo dovuto fare subito questo incontro. Non l'abbiamo fatto per varie ragioni, però, nel frattempo, la situazione si è evoluta: mi riferisco alla crisi avanzata in Cina e al cambiamento che è avvenuto in America con l'elezione di Barack Obama. Mi domando - mi risponderà lei - se questo sarà motivo di mutamento della posizione degli States nei confronti dell'OMC. Mi è sembrato, infatti, che ultimamente, pur essendo gli Stati Uniti i promotori dell'Organizzazione mondiale del commercio, non si siano affatto interessati.
Come ho già chiesto in altre audizioni, e comunque ne ho già parlato con lei, considerando che il Doha Round prevedeva l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo, vorrei sapere se Cina, Brasile e India possono essere considerati ancora Paesi in via di sviluppo. Questa è la grande domanda alla quale dovremmo rispondere. La realtà è che la nostra quota di commercio internazionale cala sempre di più e che prodotti un tempo di eccellenza sono in assoluta crisi.
Chiedo, inoltre - in parte ha già risposto, ma mi farebbe piacere un approfondimento - se l'OMC può servire veramente al Paese oppure rappresenta un handicap. E, cosa ancora più importante: cosa può fare la politica per agevolarvi? Cosa possiamo e dobbiamo fare noi?
Infine, chiedo ai colleghi il permesso di togliere il cappello di presidente della Commissione e di indossare quello di produttore e di imprenditore orafo per parlare dell'annoso problema dei dazi orafi. Personalmente, credo che attraverso l'Europa non riusciremo a fare nulla. Per chiarire a cosa porterebbe la soppressione di questo dazio le fornisco un dato che è arrivato pochi giorni fa: l'India, che ha raggiunto il plafond oltre il quale si applica nuovamente il dazio, in trenta giorni ha dimezzato le sue esportazioni e i suoi ordini, naturalmente nei confronti degli States. Credo che portando avanti tale questione nell'ambito di una trattativa europea non otterremo niente.
Data la sua esperienza, le chiedo di suggerire qualcosa al riguardo. Forse ho messo troppa carne al fuoco, comunque decida lei se vuole rispondermi subito o se intende prima ascoltare i colleghi.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GUGLIELMO PICCHI. Il presidente Stefani ha già anticipato alcune domande, dunque aspetto anch'io la risposta dell'ambasciatore.
In particolare, a me interesserebbe sapere, al di là del fatto se il WTO sia o meno nell'interesse nazionale - in parte ha già risposto - qual è la posizione


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dell'Italia sulla riforma del processo decisionale all'interno del WTO e qual è la posizione che attualmente riscuote maggiore consensus sempre nella riforma del processo decisionale.

LEOLUCA ORLANDO. Ritengo che l'Organizzazione mondiale del commercio risenta di una profezia e di un difetto di strumenti relativi alla profezia. Credo che il WTO, insomma, abbia una missione rispetto alla quale possiede un impianto inadeguato.
Cerco di spiegarmi meglio. L'Organizzazione mondiale del commercio cerca di dare una risposta di globalità che è propria della fase iniziata con la caduta del muro di Berlino. Fino a quel momento, infatti, globali erano solo la scienza e la fede, a partire da quella data diventano globali l'economia e la politica. L'OMC, però, rimane legata a una concezione della governance dei soggetti, non delle regole. Credo che sia questo il vero problema che oggi colpisce l'Organizzazione mondiale del commercio, la quale si trova in difficoltà perché l'idea è sempre quella dello Stato, che, insieme ad altri, costituisce un soggetto più grande, senza affrontare però la questione delle regole. La conseguenza è che esiste una straordinaria sintonia tra la crisi dell'OMC - la difficoltà di decidere e di andare avanti - e l'esplosione della crisi finanziaria dell'autunno scorso.
In entrambi i casi, sostanzialmente si risente dell'insufficienza di una governance dei soggetti, peraltro denunciata dal fatto che da G1 si è passati a G7, da G7 a G8, da G8 a G20 e ci si accorge che, anche se si arrivasse a G100, non basterebbe. Da questo punto di vista, la presidenza Obama dà un segnale diverso, perché non si lega alla logica dei soggetti ma alla logica delle regole (il multilateralismo, l'interdipendenza e altre questioni note).
Vorrei chiederle se, secondo lei, l'Organizzazione mondiale del commercio potrà uscire dalla crisi, o comunque avere un suo sviluppo rispetto all'attuale condizione, se non si risolve anche il problema delle regole per il mondo della finanza. Ho l'impressione che, oramai, se non c'è la consapevolezza dell'esigenza di regole etiche condivise e cogenti, il tema si misuri tutto sulla dimensione dei soggetti.
In termini di quantità di commercio, l'Italia non conta niente; è un soggetto minore rispetto ai grandi flussi di commercio. Sarebbe diverso se, invece, l'Organizzazione mondiale del commercio potesse darsi delle regole che, facendo leva sulla qualità, riequilibrino il rapporto tra chi è debole e chi è forte in termini di quantità. Risulta, quindi, fondamentale fissare delle regole. Stiamo assistendo al declino del Paese rispetto al tema del commercio. Non è colpa di questo Governo, né del precedente, il Paese è in declino per ragioni oggettive. La dimensione internazionale, non avendo fissato parametri di qualità, espone ovviamente al declino un soggetto che, se in termini di qualità magari avrebbe avuto qualche carta da giocare, in termini di quantità è pressoché irrilevante, essendo molto meno significativo della metà della provincia del Sichuan in Cina.

CLAUDIO D'AMICO. Signor ambasciatore, vorrei chiederle una valutazione sulla situazione della Cina. Da notizie che abbiamo sentito negli ultimi mesi, c'è un calo della domanda di beni, quindi la Cina inizia a risentire di problemi di sovrapproduzione e di tenuta nelle sue imprese produttrici.
Considerando che, fino ad oggi, la Cina ha spinto le sue aziende a produrre e vendere in tutto il mondo con misure molto discutibili - dumping e cose di questo tipo - cosa pensa che potrebbe succedere nel caso che questa crisi aumentasse? Quali misure pensa che potrebbero inventarsi i cinesi, rispetto alle quali dovremmo premunirci, considerato che ci hanno già creato grossi scompensi?
Vorrei, inoltre, chiederle come ritiene che le economie di Paesi dell'area euro, quindi con una valuta forte (anche se adesso leggermente svalutata), possano ancora competere a livello internazionale, in un momento così critico. Insomma, chiedo se è un peso il fatto di essere nell'area euro o può essere visto, in prospettiva, come una risorsa o una forma di stabilità.


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GIOVANNI CARACCIOLO di VIETRI, Rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra. Cercherò di affrontare le varie questioni poste in maniera più o meno accorpata. Innanzitutto, convengo che questa non è una materia statica ma in continuo divenire. Come diceva lei, presidente, quando ci siamo visti a settembre eravamo ancora sotto lo shock del fallimento della tornata del negoziato di luglio e ancora, forse, non sufficientemente consapevoli e preoccupati della portata e della durata potenziale della crisi che si era innescata.
Guardavamo anche alla transizione dell'amministrazione americana come a una cosa ancora da farsi. Questo è certamente un elemento importantissimo. Su questo rispondo a lei, presidente, e all'onorevole Orlando nella stessa misura e maniera. L'onorevole Orlando mi dà, infatti, uno spunto per unire le due questioni. Personalmente ho una piccola esperienza americana di qualche anno fa. Certamente noi, nella nostra visione, abbiamo sempre identificato nei democratici i più protezionisti e nei repubblicani i più liberali dal punto di vista del commercio internazionale. Abbiamo avuto anche la tentazione di pensare - e i primi atti della transizione lo confermano - che il richiamo di Obama alla necessità di politiche interventiste nella crisi - «buy american» e sostegno alle industrie automobilistiche - potesse comportare forti ripercussioni, e non tutte positive, sul fronte del commercio internazionale.
D'altra parte, come ricordava l'onorevole Orlando, il primo punto dell'audizione della signora Clinton al Senato sul programma di politica internazionale dell'amministrazione è proprio il multilateralismo. Occorrerà vedere, ora, come questa amministrazione - dalla quale ci si aspetta molto, forse troppo - opererà la sintesi, in questa materia specifica, fra queste due correnti: quella tradizionale della politica del partito democratico e quella originale dell'impostazione della piattaforma internazionale di questa amministrazione.
Certamente, il «buy american», la protezione individuata nel primo programma di Obama per affrontare la crisi devono farci riflettere, poiché tali questioni dovranno essere affrontate anche nell'ambito delle regole esistenti e forse potrà fornire spunto per modifiche future.
Per quanto riguarda il punto specifico dei dazi nel settore orafo, si tratta di una questione bilaterale e molto tecnica seguita molto da vicino dalla nostra ambasciata di Washington circa la quale vorrei comunque dirle che non credo che il multilateralismo efficace si identifichi necessariamente con i soli meccanismi propri delle organizzazioni internazionali, richiamando in particolare Ginevra per quanto riguarda l'Organizzazione mondiale del commercio e l'Europa per quanto riguarda la debolezza della posizione italiana.
Credo che l'assertività a difesa di certi nostri interessi specifici, anche sul fronte delle organizzazioni multilaterali, debba essere oggetto di interventi mirati, e questo sia sulla rete - confermo che, in questo, c'e una posizione proactive della nostra rete, in questo caso dell'ambasciata a Washington - sia per quanto riguarda un'informativa molto coerente di quelli che a Bruxelles e a Ginevra agiscono sul fronte multilaterale. In questa mutata situazione geopolitica del mondo, infatti, le vie del negoziato bilaterale fra Paesi sono infinite. Quante volte, infatti, ci siamo trovati nei corridoi di Ginevra a negoziare con colleghi indiani e cinesi su alcuni punti di interesse specifico per l'Italia, che non erano necessariamente condivisi dai nostri partner europei! Credo che questo sia un fatto da ricordare, perché alcune volte, in passato - sebbene tutti noi italiani abbiamo nel nostro DNA l'europeismo e l'ideale di integrazione europea - siamo stati forse troppo timidi in Europa, a Ginevra, a New York e soprattutto nelle sedi bilaterali, dove, al contrario, dobbiamo richiamare interessi nazionali specifici. Questo è un compito che io rivendico, anche con un certo orgoglio, alla rete diplomatica.


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Riguardo la posizione dell'Italia rispetto alle regole del gioco e al consenso, siamo ancora molto lontani dall'aver disegnato una road map verso la riforma dell'OMC. Credo che la maturazione di una valutazione e di una riflessione su questo tema vada di pari passo con l'andamento del negoziato e quanto più si complica il negoziato, tantomeno si parla di cambiare le regole del gioco. Tuttavia, se ne parla e se n'è parlato anche in sede di Parlamento europeo.
Credo che - in questo mi rivolgo all'onorevole Orlando, che parlava di quanto interconnesse siano tutte queste vicende - un altro aspetto fondamentale ai fini di un'evoluzione positiva dell'Organizzazione, ma anche di una sua possibile riforma, sia il destino dell'Europa. Se arriviamo, infatti, alla ratifica di Lisbona, con il referendum in Irlanda, e si verifica una riaccensione dei motori europei e, soprattutto, il passaggio del principio del voto a maggioranza, tutto ciò non rimarrà senza conseguenze (e queste non potranno che essere positive), anche sul fronte dello stabilimento di nuove regole che, come diceva lei, oggi sono legate a dimensioni superate di distribuzione di influenza e potere geografico e mondiale. Da questo punto di vista, anche la posizione dell'Italia, potrebbe inserirsi con maggiore efficacia in un contesto che la arricchirebbe.
Continuando a parlare di riforme, ma anche degli aspetti relativi alle influenze mondiali, credo che il gioco italiano in Europa sia comunque importante, ma ad essere importante è, soprattutto, il gioco dell'Europa nel mondo. Lo ammetto con molto candore, se me lo permettete, in ragione della mia esperienza, ormai quasi triennale, a Ginevra. Si tratta anche di un problema di valori, oltre che di regole. L'Occidente, così come è esistito fino alla caduta del muro di Berlino, è oggi minoritario dappertutto. Non credo che questo avvenga solo perché la politica dell'amministrazione americana, piuttosto che quella di un Governo o di alcuni Governi europei, sono state più o meno efficaci, ma perché abbiamo perso una fortissima quota parte della nostra valenza incisiva sulla realtà.
Ciò avviene, a mio parere, al di sotto e al di là di quello che noi meriteremmo. Cito l'esempio del Consiglio dei diritti umani: noi siamo, bene o male, i detentori di una famiglia di valori e di principi che possono essere, ancora oggi, orgogliosamente rivendicati, ma che si trovano di fronte mura invalicabili costituite da maggioranze numeriche, altrettanto invalicabili, che poggiano su collanti come l'Islam o come la solidarietà africana o come l'influenza della Cina e, in parte dell'India, e su nuovi giochi di equilibri transcontinentali.
Ho cominciato la mia carriera in Etiopia e ricordo quale fosse il disastro della fase post-coloniale, con una divisione di influenze che non funzionava. Ricordo il disastro prodotto dal tentativo di introdurre il modello di rivoluzione sovietica o marxista in quei Paesi.
I cinesi non sono né bianchi né neri, ma sono presenti in Africa da sempre e di più lo saranno in futuro, avendo lavorato fianco a fianco con i locali sulle infrastrutture. Hanno oggi interessi immensi sul fronte, per esempio, energetico ed hanno concluso accordi con il Sudan, e con alcuni Paesi che noi non esitiamo, giustamente, a considerare «Rogue States».
Certo, la crisi finanziaria e il suo impatto sull'economia reale stanno colpendo anche la Cina in modo molto netto. Proprio qualche giorno fa, il mio collega Riccardo Sessa, ambasciatore a Pechino, citava l'esempio, assolutamente contraddittorio, di una zona del Paese - francamente non lo conosco abbastanza per citare i nomi - di produzione tradizionale, in cui i disoccupati, decine di migliaia ogni giorno, si spostavano dalle periferie operaie verso il centro urbano perché licenziati dalle fabbriche. Nel frattempo, si stava tuttavia altrove (mi sembra a Tien Sin) costruendo il più grande porto di container del mondo che avrà la capacità, da solo, di movimentare un traffico quasi pari a quello di tutti i porti italiani. Quindi si ravvisa, ancora, una sorta di schizofrenia


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nel modo in cui la Cina sta metabolizzando e assorbendo la crisi in corso.
Non voglio spezzare, ancora una volta, una lancia in favore del multilateralismo, ma credo che questo fenomeno possa non soltanto avere ripercussioni negative rispetto ad atteggiamenti cinesi - che ci dobbiamo aspettare, ma sui quali credo che l'intervento della politica internazionale e di un Governo come il nostro debba comunque vegliare - ma produrre anche benefici effetti, che sta dispiegando proprio sul fronte multilaterale.
A Ginevra noi abbiamo testimonianze sia sul fronte più tecnico, specifico, dell'OMC, sia su altri fronti. La Cina sulla strutturazione del Consiglio dei diritti umani ha dato via libera a un meccanismo (unico elemento che conta di questo organismo che certo non funziona ancora bene) di revisione periodica universale di tutti i Paesi, nei quali si include la Cina stessa. Si tratta di una consapevolezza di affaccio al mondo, che la sta anche indirizzando nel suo cammino. Anche per quanto riguarda l'OMC, la Cina è chiamata a fare la parte del «bravo alunno» nel contesto di un meccanismo di revisione che annualmente, e a differenza degli altri membri, le impone di presentare delle risultanze i cui seguiti, pur ancora non sufficientemente dinamici, obbligano comunque Pechino ad una costante opera di «allineamento» con il corpo di regole OMC.
Più complessa la situazione russa, per cui l'ammissione è ancora da decidersi.
Dobbiamo ancora affrontare il problema, cui mi sono indirizzato ma forse troppo genericamente, della portata finanziaria dell'origine di questa crisi. Io credo che anche a questo livello - è ovvio - la ricerca di regole nuove, oltre che di una nuova leadership, dovrà essere assolutamente una guida per noi.
Quanto alla domanda del presidente sul futuro dell'OMC e sul suo essere o meno un organismo utile per l'Italia, io credo che si possa rispondere in molti modi. Prima di tutto, con il vecchio adagio sulle Nazioni Unite: «Cosa sarebbe se non ci fossero?». Per quanto ne possiamo pensare male, almeno abbiamo un'organizzazione nella quale alcune di queste regole vengono ancora contemplate, che si pone, in modo abbastanza avanzato, il problema del proprio futuro, quindi di possibili riforme, e nella quale abbiamo una voce, che non è tanto e soltanto la voce dei governi, ma è certamente la voce europea. Si tratta di concorrere a consolidare, rafforzare e irrobustire la voce europea.
Se mi permettete, chiudo con una nota di «cucina interna» del Ministero e delle attività amministrative, che Roberto Antonione conosce così bene. Noi siamo degli individualisti. Enzensberger, sociologo tedesco, valutava l'individualismo italiano in base al modo in cui gli italiani ordinano il caffè al bar, che è specifico per ciascun italiano che lo ordina (tiepido, freddo, con latte, senza latte, con latte caldo). Dovremmo imparare, io credo, a fare sempre più squadra in questa materia, squadra interna da Roma su Bruxelles e da Roma su Ginevra, e squadra europea su Bruxelles. Credo che ormai stiamo iniziando a farlo e che sia già molto importante.

PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore che è stato esaustivo nelle sue risposte, anche se avremmo bisogno di molto più tempo.
Abbiamo ancora cinque minuti per dare la possibilità di intervenire ai colleghi che non hanno avuto la possibilità di farlo.

FRANCO NARDUCCI. Ho ascoltato con molto interesse e grande attenzione l'intervento dell'ambasciatore Caracciolo.
La Germania, in questa riconfigurazione degli scenari mondiali, non ha perso molto sul commercio con l'estero, ma credo ci siano delle differenze sostanziali per quanto riguarda la produzione italiana e quella tedesca. Lei ha già accennato al problema della protezione dei prodotti e a quello della proprietà intellettuale. È evidente che l'Italia realizza molto del suo prodotto interno lordo in un settore in cui esiste questo rischio. Lei ricorderà che, quando la Svizzera negoziò gli accordi bilaterali - lei ne è stato un protagonista - con l'Unione europea, ci fu una battaglia


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«atomica» fra la Svizzera e la Francia per il fatto che, fino a quel momento, la Svizzera poteva produrre un vino nel paese di Champagne chiamandolo «champagne». Chiaramente era un marchio DOC che le consentiva di vendere moltissimo. A quel punto, però, la Francia si impose e, nonostante le petizioni, la Svizzera dovette rinunciare a questa denominazione.
Credo che noi - in qualche modo lei ha già risposto - abbiamo veramente bisogno che l'Italia rivesta un ruolo molto più attivo, più decisivo e più forte sul versante della proprietà intellettuale e della protezione dei prodotti. Se è ben difficile falsificare la Mercedes, per fare un esempio chiaro, è molto più facile falsificare il parmigiano (ce ne sono in giro davvero tante versioni).
Dunque, io credo che sia fondamentale che l'Italia ricopra un ruolo decisivo su questo versante. In qualche modo, mi consola quanto lei ha detto, cioè che sono stati migliorati gli strumenti sanzionatori e che anche gli strumenti di cui si è dotato l'OMC sono migliori. Ora abbiamo anche il problema delle acque minerali con gli Stati Uniti e una serie di situazioni di questo tipo. Volevo, quindi, sentire se l'Italia riesce davvero a difendere i nostri prodotti.
In secondo luogo, abbiamo avuto il problema delle carni con ormoni tra Unione europea e Stati Uniti. Ci sono state delle ripicche e noi, come Unione europea, abbiamo pagato centinaia di milioni di multe nel contenzioso. Si dimentica che c'è un terzo attore, il Mercosur, che spesso, in questo scontro tra giganti, soccombe. Ricordo che durante il primo e il secondo World Economic Forum di Davos ci furono delle contestazioni durissime contro l'OMC, che ne ha fatto tesoro negli anni successivi. C'è bisogno di qualcuno che faccia da regolatore a livello mondiale. In un momento in cui la crisi finanziaria sta sconvolgendo tutto, si allarga sempre di più la forbice tra Paesi ricchi e Paesi poveri (e anche all'interno degli stessi Paesi ricchi, ma lasciamo stare questo discorso).
Quello che volevo chiederle è, dunque, se l'OMC riesce a difendere anche le quote di commercio dei Paesi veramente poveri (e non mi riferisco alla Cina, che è un gigante), come quelli africani. Inoltre, qual è il ruolo dei Paesi che, invece, in campo agricolo, hanno una parola forte e, quindi, dispongono dello strumento del comando?
Più che domande, le mie sono riflessioni su temi problematici. Data la crisi che stiamo attraversando, l'OMC è investita di una grande responsabilità da questo punto di vista. Vorrei, quindi, sapere cosa ne pensa.

ROBERTO ANTONIONE. Voglio solo ringraziare l'ambasciatore perché è stato talmente esaustivo nel suo intervento che, francamente, non ho domande particolari da porre. Anche io vorrei permettermi una sottolineatura. Credo possa essere molto utile - e di questo ringrazio il presidente che ha fortemente voluto questa iniziativa, proponendola all'ufficio di presidenza - che questi incontri siano tenuti con una certa frequenza. Seguire quanto avviene di volta in volta consente, infatti, anche a noi, non solo di monitorare la situazione nel suo divenire, ma anche eventualmente di sostenere delle iniziative che aiutino il nostro Paese a fronteggiare situazioni non sempre facilmente prevedibili.
I cambiamenti sono tanti e tali, e così veloci, che il collegamento tra chi, come l'ambasciatore Caracciolo e il consigliere Tatturi, è a Ginevra e noi che stiamo a Roma è per noi strategico. Quindi, invito il presidente a continuare con questo lavoro.

PRESIDENTE. Ambasciatore, le chiedo ancora scusa. L'argomento, almeno per quanto mi riguarda, meriterebbe molto più tempo, perché è veramente importante. La disturberemo ancora.

GIOVANNI CARACCIOLO di VIETRI, Rappresentante permanente d'Italia presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra. Molto volentieri. Telegraficamente rispondo all'amico Narducci che effettivamente questa disparità tra i sistemi produttivi tedesco e italiano è evidente. In Germania hanno soprattutto le automobili; noi, oltre alle automobili, abbiamo le tre


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«A»: abbigliamento, agroalimentare e arredo casa. Questi settori vanno difesi con le unghie e con i denti, in maniera diversificata.
Sul raffronto tra il Foro economico mondiale di Davos e il funzionamento dell'OMC, vorrei ricordare che il foro di Davos, lo scorso anno, conobbe un grande declino di popolarità e di frequentazione. Oggi torna forse un po' più di moda, perché l'OMC appare meno credibile dopo il fallimento di questa fase negoziale.
Quanto, poi, alla solidarietà, al nord-sud rivisitato in questa nuova declinazione della geografia mondiale, vorrei ricordare che questi sono proprio gli obiettivi dell'OMC e del Doha Round, i quali sono politicamente corretti, da questo punto di vista, perché articolati secondo una geometria variabile che pone a carico dei Paesi più ricchi gli aspetti di riduzione tariffaria maggiori di quelli richiesti al sud del mondo e quindi tende a favorire ancora le realtà bloccate nel sottosviluppo. Ringrazio il presidente Antonione per le sue affettuose parole.
Volevo sottolineare, ancora una volta, come abbiamo qui sintetizzato una massa di documenti che diamo subito in disponibilità alla segreteria della Commissione, felicissimi di poter eventualmente sistematizzare un rapporto di questa natura. Credo che ciò sia utile sia al Parlamento sia al Governo, che sono le due componenti primarie della nostra democrazia.

PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore per la sua disponibilità e il ministro Tatturi (è ancora consigliere, ma spero di vederlo qui, al più presto, come ministro).
Ringrazio i colleghi che ancora una volta hanno lavorato, e non so ancora per quanto lo faranno, con l'ossessione dei tempi.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.

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