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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
2.
Martedì 3 luglio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUI NUOVI INDIRIZZI INTERNAZIONALI DELLE POLITICHE DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E IL RUOLO DEI PARLAMENTI

Audizione del Presidente dell'Osservatorio sulla salute globale, Nicoletta Dentico:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3 8 11 15
Barbi Franco (PD) ... 9
Dentico Nicoletta, Presidente dell'Osservatorio sulla salute globale ... 3 11
Galli Daniele (FLpTP) ... 11
Maciocco Gavino, Rappresentante dell'Osservatorio sulla salute globale ... 13
Racalbuto Vincenzo, Rappresentante dell'Osservatorio sulla salute globale ... 14
Touadi Jean Leonard (PD) ... 10
Volontè Luca (UdCpTP) ... 10

ALLEGATO:Grafico relativo al finanziamento globale per la salute 1990 e 2010 ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

[Avanti]
COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 3 luglio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 13,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente dell'Osservatorio sulla salute globale, Nicoletta Dentico.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui nuovi indirizzi internazionali delle politiche di cooperazione allo sviluppo e il ruolo dei parlamenti, l'audizione del presidente dell'Osservatorio sulla salute globale, la dottoressa Nicoletta Dentico.
La dottoressa Dentico (che insieme ad altri è fondatrice dell'Osservatorio) è accompagnata dal dottor Vincenzo Racalbuto e dal dottor Gavino Maciocco, anch'essi fondatori.
L'Osservatorio, che è nato dieci anni fa, ha la finalità di promuovere il diritto alla salute a livello globale e si propone di fornire a istituzioni, enti e organizzazioni della società civile strumenti di analisi, valutazione e decisione per la definizione di strategie e di azioni appropriate a tal fine. Il nostro Comitato vorrebbe ricevere dalla presidente Dentico utili indicazioni sull'importante tema della riforma dell'OMS (Organizzazione mondiale della sanità), che può avere rilevanti ricadute sui nuovi indirizzi delle politiche di sviluppo che, come sappiamo, sono al centro della nostra indagine.
Dopo questa breve presentazione e queste considerazioni di carattere generale, la dottoressa Dentico ci illustrerà le caratteristiche dell'Osservatorio e le valutazioni di cui esso dispone su tutto ciò che attiene all'Organizzazione mondiale della sanità e alle problematiche relative al famoso obiettivo «Salute per tutti entro l'anno 2000», che risale a qualche anno prima di quella data ma, purtroppo, ha vissuto delle battute d'arresto in ragione di considerazioni di carattere internazionale.
Credo che questo sia un argomento da cui partire per valutare le evoluzioni, i miglioramenti e la capacità di rendere l'OMS un'organizzazione più capace di rispondere alle esigenze della salute a livello mondiale, anche in funzione del raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio, che rappresenta il punto centrale del nostro Comitato.
Cedo dunque la parola alla dottoressa Dentico per la sua esposizione.

NICOLETTA DENTICO, Presidente dell'Osservatorio sulla salute globale. Presidente Pianetta, la ringrazio per l'opportunità di questo incontro, che credo sia in linea di prosecuzione con un altro incontro, avvenuto il 3 marzo alla Sapienza di Roma, e al quale ha partecipato l'onorevole Touadi. In quella occasione, abbiamo cercato, credo per la prima volta nel nostro Paese, di mettere insieme non solo i cosiddetti «addetti ai lavori» ma anche i decisori politici - internazionali e nazionali -


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il Governo e il Parlamento, su questioni di governance sulla salute globale in cui il ruolo dell'OMS è assolutamente centrale.
Ho preparato una piccola presentazione; che è anche a vostra disposizione in formato cartaceo. Naturalmente, ringrazio il presidente anche per aver già introdotto l'Osservatorio, permettendomi di risparmiare tempo e concentrarmi di più sulla sostanza del lavoro.
Ci fa particolarmente piacere essere qui perché, come il presidente Pianetta ha giustamente messo in evidenza, una delle priorità precipue dell'Osservatorio è istigare i policy dialogues, i dialoghi sulle politiche di un Paese in materia di salute, per permettere a questo stesso Paese di essere più incisivo e propositivo anche sul piano internazionale.
Da dieci anni l'Osservatorio lavora in questo campo raccogliendo informazioni e cercando di colmare un vuoto di dibattito in questo Paese; un vuoto culturale anche sulle tematiche di salute globale che abbiamo constatato in Italia già a partire da dieci anni fa, e che tentiamo di colmare con dei rapporti l'ultimo dei quali si intitola «InFormAzione». Abbiamo giocato su questo termine perché bisogna informare e formare sulla salute globale, ma anche agire, sulla base dei dati e delle evidenze accumulate, affinché si possa intervenire là dove vi sono questioni da correggere.
Dal 2000, ovvero da quando è partito il grande impegno globale sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, vi è stata una straordinaria mobilitazione sulla salute, e forse ancora prima, quando si è scoperto che la «Salute per tutti entro l'anno 2000» non si sarebbe potuta realizzare, e vi è stata un'inquietudine che ha portato alla nascita di una certa sensibilità sulla materia della salute globale, che è diventata importante nell'agenda politica internazionale.
Forse potremmo avere il sospetto - nell'anno di grazia 2012 - che la salute globale, con tutti gli interventi che si sono avuti nel primo decennio del nuovo millennio, sia rimasta vittima del suo stesso successo: è diventata così importante che tutti si sono lanciati in quest'area. Ma era veramente quello che serviva?
Vediamo cosa è successo. Noi continuiamo a constatare che lo stato di avanzamento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio è in ritardo o assente e che addirittura per alcuni obiettivi e sottobiettivi - soprattutto in materia di salute - in alcuni Paesi si verifica un vero e proprio arretramento della situazione. Le disuguaglianze crescono e il diritto alla salute è ancor più violato che in precedenza, per cui c'è uno sforzo e un respiro di impegno enorme che, però, continua ad essere inadeguato.
Alcune questioni riguardano la fisionomia stessa degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, che evidentemente non riescono a toccare alcune questioni cruciali; per esempio, restano abbastanza inevase tutte le problematiche, le opportunità e le sfide legate ai sistemi sanitari e, nei Paesi in cui si interviene, queste tematiche vengono scarsamente affrontate. Alcuni ambiti - come il coordinamento, le politiche e la discussione sulle politiche sanitarie - stanno emergendo solo negli ultimi anni, perché prima esisteva solo una forma di interventismo molto legato alle singole patologie con un approccio sostanzialmente verticale, mentre si è trascurata una visione più olistica.
L'impegno globale e quello dei singoli Paesi sulla salute restano largamente insufficienti. Vi sono molte dichiarazioni, tra cui quella di Abuja, per cui i Paesi dovrebbero investire il 15 per cento del loro PIL sulla salute; tuttavia, questo ancora non avviene, probabilmente per buone giustificazioni, ma si constata una discrasia tra i grandi annunci - e nell'ultimo decennio ve ne sono stati molti - e la realtà, molto più impegnativa e difficile, sul terreno.
Il finanziamento internazionale sulla salute continua a essere assolutamente imprevedibile; questo dato si è aggravato con l'emergere della crisi finanziaria nei Paesi ricchi, e l'appoggio ai Paesi in via di sviluppo è inefficiente. Vi è un'intrinseca inefficienza - di cui in seguito chiariremo le


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cause - e il rapporto dell'OMS del 2010 illustra che dal 20 al 40 per cento della spesa sanitaria totale va sprecato a causa di questa inefficienza.
Vi è un mushrooming di iniziative globali che sono aumentate vertiginosamente. Non abbiamo il tempo per spiegare perché nascono, a cosa rispondono e cosa significa il fatto che siamo passati da 70-100 iniziative nel 2005 a 140 nel 2009. Il dato da una parte può incoraggiarci, perché ci dice che c'è interesse verso la salute, ma dall'altra c'è un rischio, anzi una realtà, di frammentazione, di duplicazione, di spreco delle risorse e competizione sul terreno, che francamente è preoccupante.
Molti attori si muovono a livello globale, senza dimenticare l'interventismo delle star e dei vip; le decisioni si prendono a Davos, nei luoghi dove si incontrano le élite del mondo che conta - i vip del mondo economico e dello spettacolo - e la situazione sfugge.
Come dicevamo, la frammentazione degli aiuti è un fondamentale elemento di inefficienza in campo sanitario. Al proposito citerò due casi particolarmente eloquenti, tratti dal rapporto dell'OMS del 2010, che parla di come finanziare i sistemi sanitari anche per puntare a un accesso universale, cioè davvero la salute per tutti al più presto.
Il Ruanda deve fornire informazioni ai Paesi donatori su 890 indicatori sanitari, ma ben 600 di questi riguardano soltanto due patologie, l'AIDS e la tubercolosi. Oltre a rappresentare un numero pauroso, tali indicatori non sono stati neanche stabiliti dal Ruanda, e potrebbero anche non rispondere a un criterio basato sulla realtà del Paese. Il Vietnam, che in questo momento è un Paese per cui vi è una grande attenzione - non solo economica - nel 2009 ha ricevuto 400 missioni di valutazione dei progetti sanitari, ovvero più di una missione al giorno. Sono numeri che fanno sorridere, ma anche un po' piangere, per chi è vietnamita o ruandese.
Vi è un'insostenibile imprevedibilità dei finanziamenti. Se analizziamo, a titolo esemplificativo, quanto accade in un Paese come l'Eritrea, vediamo che si passa da un intervento massiccio del 1997, che poi precipita nel 1998, a una risalita nel 2000 che discende precipitosamente nel 2001. Sfido qualunque Paese - non parlo di quelli «in via di sviluppo» ma di un Paese ad esempio del G8 - a gestire il proprio budget sulla salute secondo questo livello di totale imprevedibilità.
Se vediamo uno schema che illustrata il sistema logistico sanitario di un piccolo Paese - al momento non molto importante, dal punto di vista geopolitico - come il Burundi, in relazione al sistema di approvvigionamento di prodotti e servizi sanitari, a un colpo d'occhio non fa altro che suscitare una grande inquietudine. La stessa situazione si verifica in un Paese, più strutturato e avanzato (da un certo punto di vista) ma in grande confusione, come il Kenya, dove essa è assolutamente insostenibile. Il Kenya, come il Burundi, deve rispondere al Fondo globale, al GAVI (Global alliance for vaccines and immunisation), a UNITAID eccetera.
A tutte queste filiere il personale sanitario e quello del Governo devono rispondere secondo criteri che non sono propri ma del Paese donatore. Naturalmente, quando quest'ultimo manifesta insoddisfazione rispetto al reporting, può intraprendere azioni di non finanziamento, di nuovo rapporto o di approfondimento. La situazione è complicata, e vorrei far notare che il nostro Governo ha solo una persona e tre assistenti che, nel ministero, si occupano di salute internazionale e globale. Se questa è la situazione del nostro Paese, figuriamoci quella di Paesi come il Kenya o il Burundi.
Se parliamo di governance della salute - e questo è propedeutico per arrivare all'OMS, perché la situazione è simile - in questi anni del boom della salute globale, i Paesi hanno perso via via il controllo su quello che accade al loro interno. L'agenda e le priorità sono tutte definite e decodificate al di fuori dei loro ministeri, e non c'è alcuna vera partecipazione a ciò che si definisce la «country ownership» dei Paesi sulle proprie politiche sanitarie.
Questi Paesi sono alla ricerca di fondi, e alcuni dipendono largamente dai Paesi


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donatori; di conseguenza, subentra in loro la sindrome dell'adattamento e adeguano le proprie priorità là dove ci sono i fondi. Non si occupano di diabete, che è un problema enorme, perché non è né l'HIV, né la TBC, né la malaria, e persino nella stessa OMS, in cui per l'AIDS è preposto un dipartimento intero, c'è una sola persona che si occupa di diabete.
Si evidenzia una perdita di linea di accountability, di responsabilità. A chi si dà conto? In tutti gli assetti che abbiamo visto, dove sono i Parlamenti? Dov'è l'accountability ai policy makers, ai decisori politici del Parlamento, che sono coloro che dispongono le politiche sanitarie di un Paese? Abbiamo un problema di indebolimento istituzionale, perché i Paesi donatori o gli attori della salute globale - che oggi, come vedremo in seguito, non sono più tanto i Paesi donatori - hanno il potere dei soldi, e questo si traduce spesso nel potere istituzionale di interferire.
C'è poi un'altra questione che sta molto a cuore al nostro Osservatorio: sempre di più constatiamo che i valori di mercato sono entrati in maniera dirompente in un'area, come quella del diritto alla salute, dove i valori di mercato dovrebbero essere estranei alla sua logica. A dispetto di ciò, questi valori hanno fatto irruzione, spesso tramite i donatori, che siano i Paesi, le grandi agenzie della filantropia internazionale o le grandi iniziative globali.
Recentemente ho avuto occasione di dialogare con i suoi rappresentanti di una di esse, la UNITAID. Benché questa sia nata, come sapete, da una piccola tassazione dei voli votata a garantire l'accesso ai farmaci essenziali su tubercolosi, malaria e HIV, sostanzialmente l'organizzazione ragiona secondo una logica di mercato - it's a market approach - e ciò, per quanto interessante, ci fa riflettere.
Vi mostro un grafico dove è rappresentata la situazione a livello globale dei fondi per la salute (vedi allegato); negli anni Novanta avevamo ancora un'OMS con un'importante funzione politica, di attore pubblico, internazionale e globale sulle politiche pubbliche sulla salute. Come vediamo, nel 2010 l'organizzazione è stata «nanizzata»; ora è solo uno tra gli attori - forse neanche il più importante, per alcuni - e si è persa in una fitta foresta in cui ci sono la Bill & Melinda Gates Foundation, il GAVI, il Fondo globale e alcuni Paesi.
Questa è l'odierna situazione di vulnerabilità dell'Organizzazione mondiale della salute, che è nata 66 anni fa e porta, nel proprio Statuto all'articolo 1, l'attuazione del diritto alla salute per tutti, che rappresenta il suo core business. Lo Statuto mantiene ancora oggi la sua validità e, anche come realtà dell'associazionismo e della società civile, vediamo nel processo di riforma dell'OMS una grande opportunità.
Ogni organizzazione deve occuparsi del proprio livello di funzionamento, di cosa c'è da correggere e da migliorare, ma ciò che vediamo è un'organizzazione che dipende da due linee di finanziamento. In primo luogo, vi sono i contributi obbligatori, commisurati al PIL di un Paese, e vorrei aprire una parentesi per dire che l'Italia è uno tra i maggiori finanziatori dell'OMS, fornendo, in base al proprio PIL, un contributo che rappresenta il 5,2 per cento dell'intero budget dell'organizzazione. Non è poca cosa.
Vi sono poi i contributi volontari dei Paesi, negoziati a livello bilaterale tra i Paesi donatori e l'agenzia, che sono tutti extrabudget. Se consideriamo alcuni dati, il budget fondamentale dell'OMS è aumentato da 1,6 miliardi di dollari alla fine degli anni Novanta a 4,2 miliardi di dollari fino al 2009 (ora si stanno ripianificando tutti i programmi). Il finanziamento extrabudget - quello bilaterale volontario - era del 48,8 per cento alla fine degli anni Novanta e del 77,3 per cento nel 2009, e oggi ha superato l'80 per cento. Di fatto, il finanziamento extrabudget, bilaterale volontario dei Paesi ha anch'esso delle priorità definite, ma definite dagli stessi Paesi donatori, non dalle priorità determinate dall'OMS.
Questa situazione è oggettivamente problematica, perché un Paese che, come l'Italia, è tra i primi sette donatori dell'agenzia ma ha un capitolo meno importante


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in contributi volontari bilaterali, conta di meno di chi dà meno fondi ma si gioca la partita sul negoziato bilaterale. Per questi motivi, l'OMS è diventata una giungla in cui si gioca la partita della salute più sul piano della geopolitica e della politica estera piuttosto che sulla politica sanitaria globale.
Chi sostiene l'OMS? Siamo di fronte a quello che, in termini tecnici, in inglese si chiama «the elephant in the room», cioè l'elefante nel negozio di porcellane: abbiamo un problema che aumenta e preoccupa sempre più gli stessi operatori dell'Organizzazione mondiale della salute, perché alcuni privati - come ad esempio la Bill & Melinda Gates Foundation - sono diventati il secondo maggior finanziatore dell'Organizzazione mondiale della sanità.
Alla sessantacinquesima Assemblea mondiale della salute, lo scorso maggio, alcuni direttori di dipartimento mi hanno riferito che, oggi come oggi, cinque dipartimenti dell'OMS sono totalmente finanziati dalla Bill & Melinda Gates Foundation; questo non è un problema della fondazione, ma dei Governi che non finanziano. Naturalmente, rileviamo questo dato - anche in modo appariscente - all'interno dell'OMS, perché il lancio dei vaccini per la prossima decade è un'operazione sanitaria che nasce, appunto, dal desiderio della Bill & Melinda Gates Foundation di finanziare questo tipo di approccio. Non voglio entrare nel merito di quanto ciò sia discutibile, ma forse è un approccio che pone una serie di questioni e che, oggi come oggi, sta decisamente condizionando le priorità dell'OMS nei prossimi anni.
C'è sicuramente - al riguardo abbiamo citato alcuni articoli pubblicati su riviste internazionali accreditate - un'opzione che punta in larga parte alle soluzioni tecnologiche in ambito di gestione dei problemi della salute. È partita la discussione sul prossimo programma di lavoro dell'OMS, e la questione della promozione, della prevenzione della salute o dei fattori di rischio e dei determinanti sociali bisogna farveli entrare con la forza, perché prevale un approccio verticale sulle singole malattie che tende alla soluzione farmacologica. Di fatto, oggi le fondazioni private contribuiscono per il 21 per cento dell'intero budget dell'OMS; il dato è del 2009, ma se andassimo a verificare adesso, risulterebbe incrementato.
Secondo la nostra visione, il ruolo dei Parlamenti nazionali è fondamentale; abbiamo già parlato con l'onorevole Touadi, durante l'incontro a Roma del 3 marzo, sull'importanza che i Parlamenti, anche per dinamiche come quella che stiamo attualmente vivendo, riprendano in mano il loro protagonismo - che, negli anni passati, era maggiore - a livello nazionale e internazionale sulle tematiche della salute, cercando di correlare sempre più le decisioni sulle politiche sanitarie in Italia con quelle internazionali.
Non dobbiamo solo pensare all'influenza pandemica per sapere e sentire quanto siano correlate; possiamo parlarne successivamente anche con il personale sanitario. Con la crisi economica del nostro Paese, ci mostrano sempre più ricette o dinamiche che chi conosce i Paesi del sud del mondo ha già visto, negli ultimi trent'anni, nei Paesi in via di sviluppo; c'è una correlazione molto forte tra le politiche del nostro Paese in ambito sanitario e quelle internazionali.
I Parlamenti rivestono un ruolo fondamentale, benché spesso trascurato, perché sono i luoghi in cui anche i cittadini possono avere un'interazione più diretta con i decisori politici nell'ambito del dibattito sulla salute globale, sulle nuove architetture, sulla governance per la salute globale legata alla riforma dell'OMS eccetera. A Ginevra abbiamo lanciato, e pare sia molto piaciuto, lo slogan «good governance starts at home». Comincia a casa, la good governance. È difficile pensare che, per esempio, un Paese possa veramente sostenere la funzione di politica pubblica dell'OMS a livello globale se, in casa propria, come recentemente è avvenuto in Gran Bretagna, si frantuma un sistema sanitario pubblico per dare una decisa priorità a una gestione privata.


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Tengo molto a dire anche che il sistema sanitario italiano rappresenta, per la grande maggioranza dei Paesi esteri, un modello a cui ispirarsi - penso all'America latina, ma non solo - e, per molti, l'Italia è stata un'apripista. Credo che abbiamo anche una responsabilità e una memoria da ricostruire, anche a livello di decisori politici; forse alcuni hanno anche partecipato alla creazione di un sistema sanitario nazionale e le nuove leve, o quelle che verranno, non devono perdere questa memoria.
La democrazia sulla salute, che rivendico come cittadina ma anche a nome dell'Osservatorio, è favorita dai Parlamenti, perché sono i luoghi che conoscono le consultazioni e le audizioni più che altrove, e quella delle audizioni parlamentari - che vogliamo favorire anche a livello di OMS - è un format che permette a tutti di parlare.
È importante, perché vi si esercitano trasparenza e accountability. In molte di queste iniziative globali, la trasparenza e l'accountability - la responsabilità di come vengono usati i soldi - tramite analisi non istituzionali (non da sito web), non sono dati certi. Tutte queste iniziative forti hanno sicuramente portato qualcosa di buono, ma non è stato sempre e solo così; lo abbiamo visto prima, e forse è arrivato il momento di un'analisi onesta dei costi e dei benefici di questo decennio di grande euforia nel campo della salute globale.
La salute è una questione troppo importante perché la si lasci solo agli addetti ai lavori - inclusi gli osservatori italiani sulla salute - e i decisori politici, anche quelli meno esperti, devono impegnarsi, se non altro per la loro capacità di formulare domande che possono sembrare un po' bislacche, ma che tali non sono. I Parlamenti sono i luoghi privilegiati, perché sono quelli in cui si esercita la cittadinanza.
Credo vi sia la necessità che i Parlamenti riprendano in mano la partita; con alcuni Paesi in via di sviluppo stiamo lavorando alle unioni interparlamentari - che sono i luoghi privilegiati per la nostra azione - e, nell'ambito della riforma dell'OMS, stiamo discutendo in maniera molto seria su come far sì che i Parlamenti, che ufficialmente potrebbero essere presenti anche alle assemblee dell'OMS, diventino parte costitutiva delle delegazioni nazionali. Siamo convinti che dei parlamentari, quindi non solo il Governo e l'amministrazione pubblica, debbano far parte delle delegazioni dei Paesi, perché è importante che essi riferiscano e facilitino il dibattito in sede parlamentare.

PRESIDENTE. La ringraziamo, dottoressa Dentico, per l'ampia illustrazione che ha svolto, toccando alcuni temi che rappresentano delle considerazioni che questo Comitato sta sviluppando da tempo, a cominciare dall'eccessiva burocrazia nei controlli dei Paesi donatori nei confronti di quelli riceventi, e non solo nell'ambito della sanità.
Lei ha sottolineato un'eccessiva influenza dei Paesi donatori per quanto riguarda la politica sanitaria dei Paesi riceventi, che in tal senso sono espropriati della loro capacità di direttiva. Credo che il tema della maggiore corresponsabilità rientri tra quelli evidenziati a Busan, così come - e ci ha fatto piacere che ne abbia parlato - la funzione dei Parlamenti, non soltanto del nord ma, se mi permette, soprattutto del sud, che devono svolgere questa funzione.
Si sta discutendo sulla possibilità di contribuire in maniera tale che il Paese ricevente sia nella condizione di decidere e, conseguentemente, di avere una maggiore responsabilità e trasparenza. Credo che questo sia un elemento attorno al quale, non solo perché rappresenta l'ottavo Obiettivo del millennio, bisognerà puntare per realizzare una maggiore responsabilità e capacità di collaborazione da parte di tutti.
L'assunzione di una maggiore responsabilità, da parte di chi riceve, potrà condurre a una migliore gestione non soltanto nel settore della sanità, ma in tutti quelli che rappresentano oggetto di aiuto. Il nostro Comitato ha particolarmente a cuore questo elemento.


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Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto della seduta odierna del grafico relativo all'evolversi nel tempo del finanziamento globale alla salute.
Fatte queste brevi considerazioni, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Le sollecitazioni sono molte e anche le analogie con gli interventi che abbiamo ricevuto in Commissione da parte di esponenti di altri settori e ambiti della cooperazione. Parlo di analogia nel senso che, pensando alla cooperazione nel campo della salute - ma anche in altri - riscontriamo come una malattia congenita ricorrente, per rimanere nella metafora sanitaria, ovvero quello della frammentazione, dell'ipertrofia degli impegni burocratici, dell'aggiramento delle autorità pubbliche e istituzionali dei Paesi beneficiari. Da questo punto di vista, ci troviamo in una condizione, ahimè, di familiarità.
In questo ambito, come in altri che riguardano gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, sempre per una grammatica comune di riferimento, riscontriamo che la cooperazione si svolge in modi che definire «insoddisfacenti» è eufemistico e le cose che non funzionano sono assolutamente ben individuate. In teoria, alcuni dei rimedi sono indicati, ma nella pratica siamo lontanissimi dal realizzarli: il coordinamento dei Paesi donatori rispetto alle attività che si svolgono nei Paesi beneficiari, l'alleviamento di tutti i carichi e i controlli di cui sono investiti i Paesi beneficiari e la ownership, ossia il passare attraverso il canale istituzionale pubblico e statale, in modo che possa esserci anche quel controllo democratico che è stato uno dei punti della relazione che ci è stata presentata.
Riscontriamo tutto ciò e lo mettiamo a tema, prendendo atto che qui, come negli altri campi, ci sarebbe da lavorare affinché possa svolgersi un approccio integrato, unitario e coordinato. Ne siamo lontani, nonostante tutti gli sforzi che si compiono, e certamente non sembrano mancare le parole che si usano, e che sono anche indovinate. Ciononostante, la distanza è grande.
Per venire al tema del suo intervento, che è molto stimolante da numerosi punti di vista, l'Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe svolgere un ruolo di regia e, nel mettere in relazione i donatori di vario tipo con i beneficiari di vario tipo, dovrebbe dare degli indirizzi e fare anche qualcosa di più, come predisporre piani, modelli eccetera. Tuttavia, da quello che ci ha riferito nella sua relazione, sembra che vi sia uno snaturamento o il rischio di uno snaturamento della stessa Organizzazione mondiale della sanità.
È qui presente il collega Volontè, che è un autorevole esponente della delegazione italiana all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e, come me, in quella sede è membro della Commissione che si occupa di questioni sociali. Abbiamo svolto un lungo lavoro per elaborare un rapporto sulle pandemie e sui vaccini, perché un vaccino - quello per l'influenza H1N1 di tre anni fa - ha avuto un grandissimo successo, almeno nell'acquisto e nella distribuzione ai Governi, ma che è poi finito nei magazzini. Sarebbe interessante ragionare sui rapporti tra il funzionamento di un'organizzazione, le modalità di finanziamento, le influenze che si esercitano e gli zeli che si possono sviluppare. Lei ha evidenziato questo tema, ma forse per noi meriterebbe un'ulteriore riflessione.
Infine, non conosco bene l'Osservatorio italiano sulla salute globale, e benché immagino sia tutto indicato nella documentazione a disposizione, vorrei chiederle se può riferirci qualcosa sul suo statuto e sulla sua funzione. Forse ho perso qualche battuta e, visto l'approccio globale e la capacità di mettere a fuoco questioni centrali, come l'OMS eccetera, vorrei sapere se può dirci qualcosa, anche dal suo punto di vista, sulle politiche italiane di cooperazione riguardo la sanità. È un settore sul quale abbiamo investito e realizzato tante cose, e abbiamo una discreta quantità di esperienze significative, esemplari pilota eccetera,


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che mi pare stiano tutte patendo della condizione di «siccità» finanziaria e di risorse in cui ormai ci troviamo.
Cosa si può recuperare, cosa possiamo mantenere e salvare? Ricordo di aver cominciato la legislatura con una battaglia sui contributi annuali al Fondo globale per l'AIDS. Siamo alla fine e la battaglia è persa, ma tutti - ciascuno per la propria parte - hanno cercato di combatterla; era uno dei nostri fiori all'occhiello, uno degli elementi principali sui quali si era si era investito, e i suoi dati lo dimostrano, perché, nel 2010, il Fondo ha rappresentato la seconda fonte di finanziamento a livello globale dopo gli Stati Uniti.

LUCA VOLONTÈ. Vorrei collegarmi alle domande dell'onorevole Barbi per capire, con l'aiuto della dottoressa e dei suoi valenti collaboratori, quali sono state le conseguenze degli scandali degli ultimi anni nell'OMS, non solo in termini di conseguenze dirette - cioè se sono stati individuati, per quello che sa e che può dirci, i responsabili, che poi hanno abbandonato l'OMS, com'è auspicabile, per un minimo di trasparenza - ma anche se sono stati introdotti dei meccanismi che, alla luce di quello che purtroppo è accaduto nel caso dell'influenza H1N1, impediscano o riducano al minimo i rischi che fondazioni o enti terzi privati moltiplichino casi simili, magari non in maniera così eclatante.
Se non si prevedono dei meccanismi che impediscano il ripetersi di un'azione dolosa come quella a cui mi riferisco, si corre il rischio che ciò possa accadere ancora. Ovviamente, mi riferisco a tutti i campi, perché la questione non riguarda solamente i vaccini ma anche l'influenza, dove alcune grandi fondazioni - ne avete citate alcune che conosco bene, per le buone intenzioni teoriche e l'operatività nei fatti - come la Bill & Melinda Gates, possano in qualche modo, con la cospicua mole di donazioni, individuare o dare loro stessi delle priorità all'OMS, anche se questa non ritiene che, in un determinato Paese, siano assolute.
Entriamo in un campo molto delicato, anche per il futuro dell'autorevolezza dell'OMS e, ovviamente, della possibilità «di controllo» da parte non solo dei Governi, ma anche dei Parlamenti.

JEAN LEONARD TOUADI. Mi unisco ai ringraziamenti dei colleghi. La lunga disamina del collega Barbi mi dispensa dal tornare su alcune questioni che l'onorevole ha sviluppato, e mi riconosco totalmente nelle analisi e nei quesiti che ha posto alla nostra interlocutrice.
Vorrei solo restituire una piccola analisi «di scenario», perché quando si dice che i Parlamenti nazionali sono stati esautorati della funzione di indirizzo - dell'indirizzo pubblico sulle politiche della salute - non si deve dimenticare, almeno per i Paesi in via di sviluppo, cosa sono stati i programmi di aggiustamento strutturale. Là dove le economie di questi Paesi sono state poste sotto la tutela della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale nell'esigenza di tagliare la spesa pubblica, sono proprio i settori della scuola e della sanità che hanno maggiormente sofferto.
Venuti a mancare i fondi allocati dai budget nazionali alla sanità, quei piccoli embrioni di infrastrutture di salute pubblica - e di conseguenza l'esistenza stessa dei Ministeri della sanità di questi Paesi - che esistevano e che, nei primi anni dell'indipendenza, rappresentavano, almeno per quanto riguarda l'Africa, una realtà visibile, sono stati smantellati. Con la scomparsa delle infrastrutture, si è avuta anche la scomparsa della visione di una politica pubblica sulla salute, ed è lì che bisogna partire.
È chiaro che alcune pandemie, come l'AIDS, hanno rappresentato il cavallo di Troia per questa privatizzazione della salute: grandi e potenti organizzazioni si sono sostituite ai ministeri e ai Governi di questi Paesi per impostare direttamente l'intervento, a volte senza nemmeno passare per la capitale ma trattando direttamente con i governatorati locali, le diocesi e le strutture della Chiesa evangelica protestante (nel caso dei contributi provenienti


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dagli Stati Uniti per il contrasto all'AIDS), favorendo anche una notevole corruzione della classe politica locale.
Sembra di ripetere sempre le stesse cose, ma il consenso di Washington e le politiche di aggiustamento strutturale non sono state corrette nemmeno dalla necessità di poverty reduction imposta ai Paesi per redigere dei piani strategici di lotta contro la povertà.
Penso che occorra ripartire da questo, da queste politiche macroeconomiche che hanno esautorato la funzione politica di indirizzo a un livello teorico di impostazione.
Detto questo, la battaglia sui brevetti, che in Italia ha avuto un grande successo, sembrava aver inserito nella riflessione internazionale la necessità e la centralità della salute pubblica e del benessere delle popolazioni su ogni altra considerazione di tipo economico ed economicistico. Siccome lei è stata protagonista di questa lunga battaglia, le chiedo cos'è rimasto di quello che sembrava un dato acquisito, nella riflessione mondiale sulle politiche della salute.

DANIELE GALLI. Ripeterò i concetti espressi dai miei colleghi, perché è chiaro che occorre impostare un rapporto equilibrato tra la parte pubblica, che è quella degli Stati, e la parte delle fondazioni, ossia quella dei privati. Penso che l'avvenire dell'OMS risieda in questo: il giusto rapporto, il giusto interesse.
Prima la dottoressa Dentico ha accennato in maniera molto chiara all'importanza che gli interventi siano decisi a livello locale con un coinvolgimento democratico. Tuttavia, ciò deve essere connesso a un interesse globale ad intervenire sulle popolazioni e a debellare determinate malattie che possono anche essere pandemiche e avere ritorni negativi sulle nazioni che attualmente raccolgono il flusso migratorio.
È inutile, a questo proposito, nascondersi dietro un dito: investiamo per una sicurezza globale - anche in ambito umanitario - per i residenti, ma lo facciamo anche in funzione dei nostri interessi. È chiaro che va ridisegnata tutta l'OMS, l'agire e i finanziamenti dalla stessa. Ringrazio la dottoressa, anche se ho sentito solo parzialmente la sua relazione, e penso sia giunto il momento di arrivare a una determinazione e a una rimodulazione dell'intero sistema.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

NICOLETTA DENTICO, Presidente dell'Osservatorio sulla salute globale. Lascerò la parola ai miei colleghi perché non voglio monopolizzare la risposta, ma mi preme selezionare alcune questioni.
Avete aperto un vaso di Pandora, e potremmo discutere tutto il pomeriggio o anche più, su queste questioni. Siamo aperti e disponibili a continuare il dialogo, perché riteniamo che sia davvero importante e, come credo abbia accennato l'onorevole Touadi, parliamo di salute, ma non dimentichiamo che questa è, come dice Amartya Sen, «la prosecuzione della politica per altri mezzi». Parliamo di molto altro, perché oggi il diritto alla salute non è una questione soltanto sanitaria, ma molto più complessa.
Per restare sulla questione sollevata dall'onorevole Barbi, mi concentrerò sull'OMS perché la sto seguendo in maniera precisa, con un cappello che è diverso da quello dell'Osservatorio; a livello internazionale sto coordinando un network di accademici, studiosi e società civile, che si chiama Democratizing Global Health, «democratizzare la salute globale» (ho inserito la parola «democrazia» proprio perché credo che sia un concetto fondamentale) e che sta seguendo la riforma dell'OMS. Teniamo il fiato sul collo anche al segretariato dell'OMS, che ci ha riconosciuto di recente, per cui ora abbiamo un canale aperto di consultazione.
È vero che esiste un rischio di snaturamento dell'OMS e, in parte, gli scandali a cui gli onorevoli Barbi e Volontè hanno accennato hanno sempre permeato la storia dell'OMS. Perché l'OMS si trova oggi in questa situazione? Quando fu stabilito, alla fine degli anni Settanta, il concetto di


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«farmaco essenziale» e fu stilata una lista, le multinazionali farmaceutiche, che già stavano oliando i motori, si affacciarono non soltanto sui Paesi del nord ma soprattutto su quelli del sud - che uscivano dalla colonizzazione - per imporre la loro agenda. L'OMS espresse il massimo della propria funzione come attore di politica pubblica in ambito sanitario e disse che spettava ai Governi scegliere quali farmaci servissero, secondo criteri ben precisi.
Ciò fece inalberare alcuni Paesi che avevano delle industrie farmaceutiche in casa propria, e la distorsione che ho cercato di rappresentare prima, quando ho detto che si ha soltanto il 20 per cento del budget in termini di contributi obbligatori, mentre tutto il resto è una giungla o un mercato dei cavalli - per raccontarla in maniera un po' colorita - nasce proprio da alcuni Paesi donatori che dissero all'OMS che non gradivano che agisse così. È una lunga storia.
Le vicende recenti si definiscono sostanzialmente con una diagnosi di conflitto di interesse. Come sapete, chi dava i consigli all'OMS aveva lavorato e aveva ancora un vincolo di lavoro con l'industria che produceva i vaccini; abbiamo visto cosa è successo, e ciò si è dato anche in altre vicende.
Nel 2006 è nata a Roma (lo accenno soltanto per ragioni di tempo, ma credo che dovremmo discuterne) un'alleanza chiamata Impact sulla contraffazione in ambito farmaceutico. Siamo tutti contro i farmaci contraffatti - questo è fuori discussione - peccato che chi sta portando avanti quest'agenda sia Farmindustria internazionale, con una visione che non ha niente a che fare con questioni di salute pubblica, ma solo con le violazioni del marchio. Sostanzialmente, è una maniera per portare avanti un'agenda di enforcement, di rafforzamento della proprietà intellettuale.
Non c'è tempo per i dettagli, ma è un'altra vicenda in cui l'OMS è stata catturata; fino all'anno scorso, infatti, la sede di Impact era presso Ginevra, e alcuni Paesi, come l'Uganda e il Kenya, hanno adottato politiche contro la contraffazione ispirate a una logica non di salute bensì di commercio, perché avevano visto il logo dell'OMS e si sentivano rassicurati. Tuttavia, era un bluff clamoroso.
In questi anni si sono verificate brutte vicende che hanno tutte una diagnosi di conflitto di interesse; la riforma dell'OMS è uno straordinario passaggio per poter lavorare su queste cose, perché nell'organizzazione non esiste una politica di gestione del conflitto di interessi. Quello che noi chiediamo è evitare che ci sia: svelare che c'è un conflitto d'interesse non significa che lo gestisce l'organizzazione ma, idealmente, vorremmo evitarlo nell'OMS del futuro.
Questo non significa che il settore privato non debba essere coinvolto, perché viviamo in questo modo e non in quello dell'OMS del 1948, ma occorrono regole chiare. È quello che l'onorevole Galli diceva quando parlava di un chiaro gioco delle parti, ben codificato, deciso dai Governi e dai Paesi - non da chi ha i soldi - per stabilire le ground rules. Oggi, questo nell'OMS non c'è, io faccio parte della società civile e ho lo stesso badge di Farmindustria, della Novartis e della Bill & Melinda Gates Foundation.
È come se il mondo fosse piatto e tutti perseguissimo l'ideale della salute. Temo che non sia così, pertanto questo snaturamento può essere evitato solo se riusciamo a seguire e a dare, come Governi e come Parlamenti - ma in primo luogo come Paesi - un'attenzione e uno sguardo diretto a questa riforma, perché il sistema Nazioni Unite è importante.
Possiamo eliminare l'OMS, che è perfettibile e molto debole, ma è durata 66 anni; il Fondo globale, che sembrava la panacea di tutti i problemi, dopo dieci anni versa in una crisi tremenda e non si sa quanto durerà. Onorevole Barbi, credo che anche su questo sia arrivato il momento di svolgere un'analisi dei costi e dei benefici derivati dalla creazione del Fondo globale rispetto ad altre realtà, come l'OMS, che è stata molto debilitata dal fatto che tutti si sono fiondati sul Fondo globale e hanno smesso di darle soldi.


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Su questa questione, il nostro Osservatorio ha anche firmato un articolo - pubblicato in altre lingue - un po' provocatorio e in controtendenza, che pone domande che vogliamo e dobbiamo sollevare. Dobbiamo costruire gli scenari del futuro, e se oggi la situazione è questa, fra dieci anni forse spetterà a noi costruirne un'altra.
Quanto alle politiche sui brevetti, che hanno anch'esse molto a che fare con l'OMS, l'organizzazione ha preso la parola e ha realizzato anche cose interessanti, ma c'è ancora molto terreno da conquistare. Su questo tema abbiamo condotto una grande battaglia in Italia; erano i tempi in cui ho conosciuto l'onorevole Pianetta mentre collaboravo con Medici Senza Frontiere.
Oggi abbiamo un'Europa - e lo dico soprattutto a chi lavora a livello europeo - che sta spingendo in maniera selvaggia, e con un deficit di democrazia inenarrabile, verso accordi bilaterali commerciali con i Paesi del sud del mondo che prevedono un regime di proprietà intellettuale molto più rigido e severo di quello previsto dall'Organizzazione mondiale del commercio e che (purtroppo anche su questo tema non ho il tempo di elaborare), a livello di impatto sull'accesso ai farmaci essenziali, è devastante.
In questo momento l'India è sotto tiro: sarete sicuramente al corrente dell'accordo bilaterale tra India e Europa, che non passa soltanto attraverso una protezione brevettuale più lunga, ma anche attraverso il controllo e l'esclusività dei dati clinici, che uccidono definitivamente qualunque tentativo da parte delle aziende farmaceutiche generiche di potersi mettere sul mercato perché devono ricominciare tutti i trial clinici, che è una follia.
In termini umanitari è una sofferenza non necessaria, ed ha l'unico scopo di impedire all'India, come ad altri Paesi, di emergere sul mercato come possibili attori-produttori, in contrasto con le politiche dell'OMS, la cui strategia globale prevede che vi sia un trasferimento di tecnologie; molti sono i bisogni e c'è spazio per tutti, perché è un ambito molto ampio.
Sto tracciando solo delle pennellate e mi vergogno del poco che vi racconto, ma esistono delle contraddizioni che i Parlamenti devono attraversare; è un esercizio di conoscenza graduale che non si può esaurire in un'unica audizione. Vorremmo contribuire, anche chiamando esperti di altri Paesi. Noi siamo nati da un incontro nel 2001, nel quale alcuni partecipanti si sono visti per la prima volta e altri si conoscevano già, perché erano tutti medici con almeno vent'anni di esperienza nei Paesi in via di sviluppo. Questa non è la mia storia, ma ci siamo incontrati e abbiamo capito che c'era un enorme potenziale di dialogo ma anche un vuoto, perché molte organizzazioni lavorano sulla loro agenda specifica - il che è perfettamente legittimo - sull'AIDS, la malaria e i brevetti.
Personalmente, anch'io vi sono stata coinvolta, in passato, ma volevamo portare anche uno sguardo multidisciplinare e orizzontale su questi temi, oltre la nostra agenda istituzionale, che sostanzialmente è quella di un think tank, ovvero di una realtà che osserva e formula delle proposte, ma vuole anche intessere un dialogo con i decisori politici a tutti i livelli - locale, nazionale ed internazionale - e con gli operatori di settore. Lavoriamo anche con l'università per inserire il capitolo della salute globale nella formazione dei curricula universitari, perché è difficile formare medici, farmacisti e biologi consapevoli se non si fornisce loro l'ottica di riferimento del lavoro che svolgeranno. Questo è oggi assente.

GAVINO MACIOCCO, Rappresentante dell'Osservatorio sulla salute globale. Sono docente di politica sanitaria al dipartimento di sanità pubblica dell'università di Firenze e, come diceva la dottoressa Dentico, ho anche qualche anno di esperienza come volontario e cooperante in Africa.
La nostra presidente ha illustrato molto bene gli obiettivi dell'Osservatorio, per cui mi soffermerò solo sulla questione dell'università e dell'esigenza di introdurre nel curriculum di studi la questione della salute globale. Come ormai avviene ormai


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in tutti i Paesi, soprattutto quelli di cultura anglosassone, la salute globale è materia fondamentale non solo per gli studenti in medicina, ma anche di scienze infermieristiche, sociologia, antropologia ed economia, tant'è che a Firenze abbiamo introdotto il corso anche nella facoltà di economia. Questo sforzo ha fatto sì che, oggi, in 24 università italiane si insegni salute globale, in molti casi come attività didattica elettiva - che gli studenti possono scegliere per acquisire crediti - in altri addirittura come materia curricolare.
Quando parliamo di salute globale parliamo di molte cose, ma in questa sede accennerò soltanto a due aspetti che hanno a che fare anche con l'Italia. Il primo consiste nella diffusione delle malattie croniche: oggi osserviamo malattie croniche diffuse e impetuose, in termini di crescita - sia nei Paesi ricchi sia in quelli poveri o a medio livello di sviluppo - essenzialmente provocate dalla diffusione di fattori di rischio legati al mercato, soprattutto al fast food, alla diffusione del tabacco e agli interessi delle industrie farmaceutiche.
Questi elementi sono entrati nelle questioni dell'OMS, e la dottoressa Chan, direttore dell'organizzazione, ha dichiarato esplicitamente che gli interessi commerciali delle grosse multinazionali stanno producendo danni di salute incalcolabili. Si pensi all'India, che è il Paese con il maggior numero di diabetici al mondo, alla Cina, dove gli adolescenti cominciano ad avere livelli di obesità simili a quelli americani e, infine, all'Italia, dove i nostri adolescenti sono secondi in Europa, dopo la Grecia, per queste questioni.
Le problematiche del mercato nel campo dell'alimentazione o del tabacco, per esempio, stanno diventando centrali, e nessun Paese al mondo riesce ad affrontarle e a risolverle da solo. Ricordo che, due mesi fa, il Ministro Balduzzi propose di tassare di 2 centesimi le bevande gassate, che, come sappiamo, hanno contenuti calorici spaventosi; c'è stata subito un'alzata di scudi. Oggi il cibo ad alto contenuto calorico è così diffuso nel mondo anche perché è più economico, quindi sono i gruppi più poveri della popolazione che vanno incontro a malattie croniche.
L'altro aspetto di cui volevo parlare prima di chiudere il mio intervento riguarda la questione sollevata dall'onorevole Touadi. La crisi del debito negli anni Ottanta colpì soprattutto i Paesi poveri, e le misure di aggiustamento strutturale produssero gravi danni ai sistemi sanitari dei Paesi in via di sviluppo, perché li costrinsero a ridurre la spesa sanitaria pubblica a livelli così bassi che, in pratica, non si sono più ripresi.
Se abbiamo avuto una crisi dell'AIDS che non è stata contrastata, ciò è stato dovuto anche al fatto che non vi erano le risorse per farlo; se, dagli anni Ottanta ad oggi, sono morti 300 milioni di bambini perché i sistemi sanitari non erano in grado di offrire loro i servizi essenziali, lo dobbiamo essenzialmente alle misure di aggiustamento strutturale introdotte in maniera molto ideologica nel momento della crisi del debito.
Vi è qualche analogia con quanto sta accadendo oggi in Europa. La crisi del debito viene utilizzata - come sicuramente è stato fatto in Grecia e come sta avvenendo anche in Spagna - per ridurre enormemente le caratteristiche universalistiche dei sistemi sanitari. Non vorremmo che questo elemento arrivasse a indebolire così fortemente anche il nostro sistema sanitario.

VINCENZO RACALBUTO, Rappresentante dell'Osservatorio sulla salute globale. Sono un medico e lavoro presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Consideriamo l'Osservatorio sulla salute globale come una forma di militanza, occupandoci di salute in maniera trasversale e da molti punti di vista.
In genere, quando parliamo di Millennium development goals, parliamo di cooperazione; invece, dal punto di vista dell'Osservatorio sulla salute globale, ciò significa unire il nord al sud. Non a caso, per esempio, il problema del grande drenaggio di personale sanitario dal sud al nord riguarda innanzitutto le politiche nazionali


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italiane; tra l'altro, esiste un codice di condotta, cui ha aderito anche l'Italia - in questo caso formulato dal WTO (World trade organization) attraverso il Global Health Workforce Alliance - che ci impone un certo rigore nell'utilizzo di risorse umane provenienti da altri Paesi.
Ciò rappresenta una reale drammaticità, in particolare in Africa, dove la carenza di risorse umane, più dei problemi di finanziamenti o di strutture, è la priorità assoluta in ambito sanitario, e lo sta diventando anche in l'Italia. Nel nostro Paese, infatti, la riduzione del numero di posti per i corsi di laurea in medicina sta facendo sì che, da qui ai prossimi vent'anni, probabilmente sarà una rarità essere medico. Come vedete, le questioni sono connesse. È importante considerare la sanità come un problema non distinto fra nord e sud, perché in questo ambito sono direttamente collegati, così come lo sono quando parliamo di WTO e di proprietà intellettuale per quel che concerne i farmaci.
Vorrei tornare sul Global Fund, che è in una fase di crisi, e non solo perché l'Italia non sta pagando le ultime rate (che ormai non pagherà più). Forse è una crisi giusta, se pensiamo che negli ultimi vertici G8 non si parla più di malattie - come nei primi anni Duemila - ma si comincia a parlare di rafforzamento dei sistemi sanitari.
Il problema è che non si riescono a trovare strumenti di facile attuazione al riguardo, perché per noi il concetto di rafforzamento dei sistemi sanitari è quasi banale. Ma cosa facciamo nel concreto? Il Global Fund era semplice, perché per finanziare tre malattie davamo questo grande «contentino» ai Paesi del sud; tuttavia, con il tempo questo strumento non funziona più, perché i Paesi richiedono un sistema sanitario che funzioni nel suo complesso.
Se pensate all'Etiopia o all'Uganda, attualmente l'80 per cento del loro budget è dedicato a tre malattie, in particolare all'HIV/AIDS. Il resto va avanti senza finanziamenti, e questo implica che anche tutte le risorse umane siano spostate su queste poche malattie. Tutto ciò ha creato delle aberrazioni nel funzionamento del sistema, che deve quindi essere ribilanciato; per questi motivi, tutto sommato la crisi del Global Fund è giusta e naturale, ma dobbiamo anche considerare che questi Paesi ora sono in sofferenza perché, tra uno o due anni, chi pagherà i farmaci per proseguire con la terapia antiretrovirale, che è un treno in corsa che non possiamo più fermare?

PRESIDENTE. È stata una seduta molto interessante perché ha toccato tanti temi, e se c'era qualche dubbio - ma non credo ve ne fossero - abbiamo sottolineato che la salute è veramente globale e bisogna affrontarla in quest'ottica, come ha appena detto il dottor Racalbuto, attraverso dei sistemi sanitari.
Anche l'ultima considerazione sul Global Fund che affronta la singola malattia è forse un elemento di superamento, proprio perché, in questa dimensione globale, ciò che conta sono il rafforzamento e l'organizzazione dei sistemi sanitari dei singoli Paesi in un'ottica di coordinamento e di azione, attraverso un'OMS che possa essere rilanciata e riesca a superare la crisi attuale.
Credo che questi siano i titoli di coda del nostro incontro, che, come ho già detto, è stato molto interessante per la quantità dei temi trattati, che hanno avuto anche la capacità di fornire una visione estremamente globale su questo tema che ci tocca tutti, nessuno escluso.
Ringrazio ancora la dottoressa Dentico, il dottor Racalbuto e il dottor Maciocco per il contributo che hanno voluto dare ai lavori del nostro Comitato, e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.

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