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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
1.
Mercoledì 1° ottobre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione di rappresentanti dell'Arab Democracy Foundation:

Colombo Furio, Presidente ... 3 5 7 8 9 11 12 14
Corsini Paolo (PD) ... 12
Dell'Alba Gianfranco, Segretario generale dell'Associazione «Non c'è pace senza giustizia» ... 6
Guzzanti Paolo (PdL) ... 6
Ibrahim Saad Eddin, Rappresentante dell'Arab Democracy Foundation ... 3 7 9 12
Mecacci Matteo (PD) ... 8
Pianetta Enrico (PdL) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 1° ottobre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Arab Democracy Foundation.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di rappresentanti dell'Arab Democracy Foundation.
Professor Ibrahim, è un piacere averla con noi.
L'occasione odierna è particolarmente importante, perché il professor Saad Eddin Ibrahim rappresenta la Fondazione per la democrazia nei Paesi arabi. Pertanto, stiamo trattando il cuore della questione, il problema della democrazia in Paesi che continuano ad apparire problematici o nemici, quando l'espandersi del sistema democratico sarebbe di per sé una garanzia infinitamente superiore a qualunque provvedimento militare o isolamento diplomatico.
Chiedo al professore Saad Eddin Ibrahim di prendere la parola e di dirci, dal suo punto di vista, che cosa vede in questo momento nel mondo di cui è testimone.

SAAD EDDIN IBRAHIM, Rappresentante dell'Arab Democracy Foundation. Buonasera, ringrazio il presidente e i membri del Comitato sui diritti umani della Commissione esteri della Camera dei deputati.
Sono lieto di avere questa occasione, per potervi illustrare la mia opinione sulla situazione dei diritti umani e la democrazia nell'area a cui appartengo.
Negli ultimi sessanta anni, la mia regione - mi riferisco al Medio Oriente - ospitava soltanto il 6 per cento della popolazione mondiale, ma possedeva il 50 per cento delle armi a disposizione nel mondo. Ecco perché è importante, per chiunque ami la pace e la libertà, soprattutto per l'Europa e per l'Italia, rivolgere un serio interesse nei confronti della nostra regione.
Vi spiegherò ora a che punto siamo per quanto riguarda i diritti umani e la democrazia, salvo poi soffermarmi su che cosa può fare l'Italia per aiutare il Medio Oriente e il mondo arabo.
Senza dubbio, la nostra regione è una delle ultime a dover essere ancora democratizzata.
Molte altre aree, negli ultimi trenta anni, hanno conosciuto questo tipo di sviluppo. Il Portogallo, la Grecia, la Spagna, l'America latina, l'Asia orientale, il sud-est asiatico e l'Africa subsahariana si sono evoluti verso un sistema democratico e oggi hanno esecutivi democratici. Invece, questa ondata di democratizzazione non ha investito le sponde del Medio Oriente.
Noi siamo attivisti a favore della democrazia e dei diritti umani e abbiamo sempre condotto la battaglia contro i regimi autocratici. Tale lotta, tuttavia, è complicata dall'emergenza della militanza islamica.


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Come democratici e come sostenitori dei diritti umani, quindi, ci siamo ritrovati a dover combattere una battaglia su due fronti: contro gli autocrati e contro i teocrati della nostra regione.
Da un parte, quindi, lottavamo contro i Ben Alì, i Mubarak, i Gheddafi e gli Hassan; dall'altra, contro i Bin Laden e gli Al Zawahiri, tutte le altre voci della «teocrazia» che si levano nella nostra regione. Per condurre tale battaglia c'è bisogno del vostro aiuto e di quello dell'Europa.
Trovandomi oggi in Italia, debbo riconoscere il ruolo che il vostro Paese ha sempre svolto e che può ancora svolgere nel prossimo futuro in questo campo.
Negli ultimi anni, sono state assunte due iniziative particolarmente importanti, per promuovere la libertà e la democrazia nella nostra regione. La prima è stata avviata dal vertice del G8 di Sea Island del 2004, a cui l'Italia ha partecipato. Due anni dopo, è stata posta in essere un'altra iniziativa, questa volta indigena, avviata cioè dalla gente della stessa regione mediorientale, riguardante la Fondazione per la democrazia araba.
L'iniziativa del G8 è meglio conosciuta come il Forum per il futuro, nel quale l'Italia svolge un ruolo fondamentale. Il Forum per il futuro ha compiuto un percorso con, come protagonisti, l'Italia, insieme alla Turchia, allo Yemen e ad altri Paesi, cercando di fare in modo che queste iniziative di democrazia potessero proseguire.
L'altra iniziativa che vale la pena di menzionare in questa sede - vi è stato distribuito dal materiale illustrativo in proposito - è proprio la Fondazione per la democrazia araba (ADF).
Ebbene, l'ADF nasce spontaneamente su iniziativa di persone che appartengono alla regione. Anche se si è trattato di un'azione intrinsecamente araba e indigena, abbiamo cercato sin dall'inizio l'aiuto dei nostri amici italiani e li abbiamo subito trovati disposti ad aiutarci.
Devo anche dire che il movimento «Non c'è pace senza giustizia» ci ha aiutato molto proprio nella concezione e nella strutturazione della Fondazione per la democrazia araba.
Queste due realtà così importanti (il Forum per il futuro e la Fondazione per la democrazia araba) continuano la loro attività. Ci auguriamo, tuttavia, che con il vostro aiuto, europeo in particolare e anche italiano, sia possibile ricevere quel tipo di sostegno e di solidarietà di cui tanto abbiamo bisogno.
Vi sto dicendo questo, perché la situazione dei diritti umani nel Medio Oriente e nel mondo arabo negli ultimi tre-quattro anni è stata piuttosto disomogenea. Per alcuni aspetti abbiamo compiuto dei passi in avanti e siamo riusciti a ottenere dei risultati. Ad esempio, sono state attuate azioni di disobbedienza civile e pacifica - voglio sottolinearlo - in una regione che, invece, è pregna di violenza.
Quindi, le nuove voci dei diritti umani si levano con mezzi pacifici.
Anche nel mio Paese, l'Egitto, negli ultimi due-tre anni, si è verificato un incremento degli esempi di azioni di disobbedienza civile. Nel 2006, ad esempio, abbiamo contato cento di tali episodi. Nel 2007, il numero è stato di dieci volte superiore, vale a dire che si sono realizzate più di mille azioni di disobbedienza civile. Tutte, tranne una, sono state condotte in modo pacifico. Va detto, comunque, che anche nella situazione meno pacifica la violenza è stata avviata dalle forze di polizia e di sicurezza che hanno aperto il fuoco nella città industriale di Mahalla El Kobra.
Da questo punto di vista, occorre notare l'aumento di voci che localmente cercano di ispirarsi alle rivoluzioni già intervenute nell'Europa centrale e orientale. Molti, infatti, hanno studiato gli accadimenti dell'Europa centro orientale e cercano di emulare queste forme di resistenza pacifica contro le autocrazie e contro la teocrazia.
Come democratici e come sostenitori e difensori dei diritti umani, crediamo che tanto l'autocrazia quanto la teocrazia siano immagini specchiate una dell'altra, perché entrambe si oppongono alla libertà


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di scelta e al pluralismo. Per questo motivo, la nostra lotta è condotta in questo senso.
Parte del mio lavoro consiste proprio nell'attirare la vostra attenzione sulla lotta così importante che stiamo conducendo e per la quale abbiamo bisogno del vostro sostegno. Vi esorto, quindi, a mantenere alta la guardia e a continuare a seguire gli eventi della nostra regione.
Vediamo ora qual è la situazione attuale della nostra regione. Alcuni Paesi, come il Marocco, la Giordania, il Kuwait, il Bahrein, il Qatar, e in parte la Mauritania, sono andati avanti nel processo di democratizzazione, in maniera lenta, ma regolare. Questo ci conforta.
Questo è il lato buono della medaglia, come lo sono tutti gli episodi di disobbedienza civile intervenuti in Egitto che ho citato poc'anzi.
Terzo aspetto positivo: il ruolo, sempre crescente, svolto dalle donne nella vita pubblica. In Kuwait, ad esempio, hanno potuto candidarsi alle elezioni; mentre in Egitto le donne sono state in prima linea nelle azioni di disobbedienza civile.
Questi sono sviluppi positivi che vale la pena notare. È utile che anche l'Europa li registri, perché abbiamo bisogno di un sostegno morale per portare avanti le nostre azioni.
Quali sono, invece, gli insuccessi? Soltanto un anno e mezzo fa, la Mauritania è stata osannata come l'ultima arrivata nella famiglia della democrazia. Ebbene, da pochi mesi, un colpo di Stato ha fatto tornare il Paese indietro nel tempo e ha annullato gli sviluppi compiuti verso la democrazia.
In tutto ciò, devo però riconoscere che, avendo avuto un assaggio di libertà, la popolazione della Mauritania ha resistito alla giunta militare che ha condotto l'ultimo colpo di Stato. Pensate che la resistenza è stata guidata da una giovane donna di 28 anni. Questo è un segnale che i media in Occidente avrebbero dovuto riportare.
Concludo con il dire che, proprio perché tanti avvenimenti si sono susseguiti quest'anno in Occidente e negli Stati Uniti, i due brillanti processi avviati alcuni anni fa (il Forum per il futuro e la Fondazione per la democrazia araba) potrebbero affievolirsi, se gli europei, e in particolare gli italiani, non sapranno cogliere questo momento di slancio.
Non sappiamo quale sarà l'esito delle elezioni americane, né che cosa accadrà in Europa. Tuttavia, dal momento che l'Italia si appresta a presiedere il Forum per il futuro il prossimo anno, credo che potrebbe dare un importante contributo, proprio prestando attenzione a queste due iniziative, una guidata esternamente, l'altra internamente, sostenendole saldamente e aiutandole a proseguire il loro percorso.
Se l'Italia svolgerà questo compito, voi parlamentari e membri del Comitato sui diritti umani ci avrete dato un sostegno. Del resto, siete proprio voi ad avere la responsabilità politica e morale di aiutarci. Vi esorto, dunque, sfruttando la libertà di cui godete nel vostro Paese, ad aiutarci a conseguire la nostra.
Nel concludere il mio intervento, mi dichiaro disponibile a rispondere a qualunque vostro commento o domanda. Potrei continuare a parlare a lungo, ma mi fermo, perché gradirei che ci fosse uno scambio di opinioni tra noi.
Ringrazio il presidente per avermi dato la parola e tutti i presenti per avermi ascoltato.

PRESIDENTE. Permettetemi di svolgere un'osservazione che può essere utile a questo Comitato, sebbene sia vagamente fuori dalle normali procedure.
Vorrei parlare del motivo per cui teniamo l'odierna audizione e del perché abbiamo come ospiti i rappresentanti di Arab Democracy Foundation, per discutere della questione al nostro esame.
Si tratta di un contributo che i colleghi radicali hanno portato al nostro Comitato, ragion per cui chiederò a Gianfranco Dell'Alba di orientarci brevemente sul percorso che stanno - e spero si possa dire stiamo - seguendo.
Do la parola al segretario generale dell'associazione «Non c'è pace senza giustizia», Gianfranco Dell'Alba.


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GIANFRANCO DELL'ALBA, Segretario generale dell'Associazione «Non c'è pace senza giustizia». Signor presidente, intervengo brevemente, per non rubare tempo al dibattito. Sono il segretario generale dell'associazione radicale «Non c'è pace senza giustizia» che, da diversi anni, promuove delle iniziative che hanno portato ai due importanti eventi a cui faceva riferimento il professor Saad Eddin Ibrahim.
Forse qualcuno ricorderà la nostra conferenza di San'a del gennaio 2004 che riunì quaranta ministri di tutta la regione del mondo arabo e centinaia di rappresentanti della società civile, per la prima volta allo stesso tavolo, per parlare di democrazia e di diritti umani.
Fu un evento molto importante che organizzammo grazie al contributo determinante, oltre che dei nostri sponsor, tra cui il Governo italiano e la Commissione europea, del Governo yemenita che, con grande coraggio, decise di porre in essere tale iniziativa, nonostante le notevoli reticenze. Il Governo egiziano, così come molti altri Governi, infatti, non voleva che Saad Eddin Ibrahim partecipasse.
Questo spirito ha poi permeato il Forum for the future e l'Arab Democracy Foundation.
Da alcuni anni lavoriamo in stretto contatto, in qualche modo su mandato del Governo italiano, proprio per il ruolo che l'Italia riveste in questo ambito, per promuovere il contatto tra società civile, attivisti della democrazia e Governi di questi Paesi.
In questi anni, grazie a Saad Eddin Ibrahim e a tanti altri militanti, abbiamo organizzato iniziative importanti che hanno contribuito a creare un clima di dialogo che ci sembra molto importante, in quanto ha già prodotto dei risultati.
Nel prossimo vertice dei ministri, che avrà luogo a metà ottobre negli Emirati Arabi, presenteremo una risoluzione che dovrebbe essere condivisa dai Governi della regione e dalle associazioni non governative e che costituirà la base del lavoro futuro.
Quindi, è importante l'appello pronunciato da Saad Eddin Ibrahim, alla vigilia della presidenza italiana del G8 e, conseguentemente, del Forum per il futuro, in copresidenza con un Paese arabo che dovrebbe essere - la riserva non è stata ancora sciolta - il Kuwait.
In quest'ottica, tali attività avranno ancora maggiore intensità, proprio per il ruolo che l'Italia rivestirà nel 2009.
È dunque molto importante il dialogo con il Comitato sui diritti umani e con il Parlamento, proprio per aiutare il Governo, in vista di questo appuntamento, nel quale avrà non soltanto il ruolo, che già riveste di anni, di condurre con la Turchia e lo Yemen il programma specifico di assistenza alla democrazia e di scambio tra Governo e società civile, ma anche quello di presidenza del Forum del futuro.

PAOLO GUZZANTI. Intanto, desidero ringraziare e rivolgere i miei complimenti al professor Saad Eddin Ibrahim, perché molte delle cose che ha detto non mi erano note e non so se gli altri colleghi fossero maggiormente informati di me.
Sottolineo quindi l'importanza di apprendere le notizie dalla viva voce delle persone interessate.
Ringrazio tantissimo i colleghi radicali che hanno intrapreso questa iniziativa, l'hanno resa possibile, l'hanno coltivata nel tempo e l'hanno resa così fruibile al Comitato sui diritti umani. Ho appreso con piacere che è in atto un movimento in avanti; cosa di cui non ero così sicuro.
Vorrei sapere più precisamente quali azioni può intraprendere il Parlamento italiano in questa prospettiva. Ciò che può fare il Governo nelle sue varie articolazioni è sicuramente importante, ma credo che anche il nostro Comitato possa predisporre iniziative utili.
Per mia curiosità, inoltre, vorrei sapere se lei, professor Ibrahim, è un dissidente, ovvero se è in conflitto con il suo Governo. Lei ci ha descritto la crescita della dissidenza nel suo Paese. Mi piacerebbe sapere, quindi, con quanta forza e violenza questo fenomeno si manifesti. Vorrei sapere se,


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oltre alla repressione, tale fenomeno diventa dunque un fatto politico per il Governo egiziano ovvero se apparentemente il Governo resta politicamente indifferente e insensibile.
Infine, mi piacerebbe sapere se i democratici arabi, egiziani e degli altri Paesi con cui lei lavora hanno rapporti con gli arabi israeliani, ossia con gli arabi che vivono nell'unico Paese al mondo in cui gli arabi musulmani godono dei diritti civili attivi e passivi, di libertà di stampa e sono rappresentati nel Parlamento, anche se con posizioni ovviamente oppositive, ma comunque in un'autentica democrazia.

PRESIDENTE. Professor Ibrahim, vorrebbe rispondere alle domande una alla volta o preferisce riceverle tutte insieme, per poi rispondere complessivamente?

SAAD EDDIN IBRAHIM, Rappresentante dell'Arab Democracy Foundation. Intanto rispondo al quesito che mi è stato appena posto e che mi sembra molto rilevante. In seguito, risponderò a due o tre domande insieme, non so, secondo le abitudini della Commissione.
Tuttavia, siccome il vostro collega ha sollevato un interrogativo molto importante, comincerò proprio dalla sua ultima richiesta, relativa ai miei rapporti con gli arabi che vivono in Israele. Ebbene, abbiamo rapporti non solo con essi, ma con tutti gli israeliani, perché, naturalmente, se si vuole parlare di pace, di democrazia e di diritti umani e si è un attivista in questo campo, occorre parlare con tutti. Non credo nell'esclusione di questa o di quella parte. Personalmente, sono intimamente pluralista. Ho anche sofferto per questa mia convinzione.
Ero professore all'università americana del Cairo, dove ho insegnato per molti anni. Sono stato il primo professore egiziano ad andare con i propri studenti in Palestina, in Israele, in Libano, nei punti caldi, affinché i miei studenti potessero vivere in prima persona la situazione e non la conoscessero solo per sentito dire. In Medio Oriente, tutto ciò che viene riferito dagli altri suscita sospetto. Quindi, ho insegnato ai miei studenti a cercare la verità da soli, recandosi direttamente nei luoghi di interesse.
Qualche mese dopo la guerra con Israele ho incontrato, insieme ai miei studenti, Hassan Nasrallah e poi, nel corso della stessa settimana, ci siamo recati in Israele; abbiamo quindi incontrato entrambe le parti del conflitto israelo-libanese.
Mi sono impegnato in queste azioni, proprio perché è questo il problema con il Medio Oriente: la gente semplicemente non si parla.
La pace è l'altra faccia della democrazia. Senza democrazia non c'è pace, senza pace non c'è giustizia. Tutti questi fattori sono strettamente legati l'uno all'altro. E le nuove generazioni devono saperlo.
Io stesso sono stato ferito in guerra e, proprio per aver vissuto questa esperienza, volevo che la nuova generazione cominciasse una nuova vita.
Vengo ora alla domanda relativa alla situazione attuale del mio Paese e all'interrogativo circa la mia posizione di dissidente. Ebbene sì, sono un dissidente. Sono stato in carcere tre anni. In proposito, ringrazio nuovamente i molti amici italiani che mi hanno aiutato ad uscire dalla prigione.
Sono stato processato e incarcerato tre volte. Ero un ex detenuto e adesso sono un fuggitivo. Scappo per la mia vita, per amore della libertà.
Il 2 agosto, due mesi fa, sono stato condannato per la quarta volta a due anni, solo perché avevo pubblicato un articolo sul Washington Post (lo stesso che ho chiesto che vi venisse distribuito).
Peraltro, in quel testo criticavo semplicemente la situazione dei diritti umani nel mio Paese, l'Egitto. Sì, sono un dissidente. Ho subito molti processi, sono stato condannato, ma questo non mi impedirà di continuare la mia battaglia, proprio perché voglio tenere desto il sostegno morale di cui abbiamo tanto bisogno, dal momento che non lottiamo soltanto contro i regimi autocratici, ma anche contro gli estremismi religiosi.


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Quindi, fra gli estremisti religiosi, che prima definivo teocrati, e gli autocrati, i dittatori, si pone una terza fascia, quella dei democratici, di coloro che hanno bisogno del vostro sostegno.
Mi è stato chiesto che cosa potete fare voi parlamentari per aiutarci. Ebbene, intanto potete darci il sostegno morale e poi potete fare pressione sugli autocrati, potete cercare di fare leva su di essi, ricordando loro quali sono le migliori pratiche seguite dalla storia moderna, dalle democrazie occidentali.
Pensiamo, ad esempio, all'accordo di Helsinki del 1975. In quell'occasione, avete posto alcune condizioni. Laddove sono state rispettate, è avvenuta una mutazione, una trasformazione nell'Europa centro orientale. Questo è evidente a distanza di venti anni.
Vi chiediamo, pertanto, di darci sostegno morale e materiale, nella misura del possibile, ma anche di usare tutte le leve a vostra disposizione, in quanto democrazie occidentali, lungo le linee dell'accordo di Helsinki del 1975. Usate tali leve con i Ben Alì, i Gheddafi, i Mubarak e gli Hassan. Questo è l'aiuto principale che potrete darci.
Spero di aver così risposto alla sua domanda.

PRESIDENTE. Penso che quello che ci ha appena detto il professor Ibrahim introduca bene anche molte altre domande.

MATTEO MECACCI. Signor presidente, vorrei svolgere una considerazione che riguarda il lavoro del nostro Comitato e della Commissione affari esteri e che scaturisce proprio dall'occasione dell'odierna audizione. Come ha ricordato il professor Ibrahim, ci avviciniamo a un momento molto importante per la politica italiana, poiché il nostro Governo, a partire da gennaio, avrà la presidenza del G8.
Da parte nostra, naturalmente, aspettiamo di ricevere i rappresentanti del Governo, magari in Commissione plenaria, per avere informazioni circa l'agenda e il programma di lavoro che si intende svolgere. Tuttavia, sappiamo che sia alla Farnesina che a Palazzo Chigi si sta già lavorando, perché si tratta di un appuntamento che metterà il nostro Paese al centro dell'azione internazionale.
Inoltre, nell'agenda del G8 - che, lo ricordo, fu istituito come gruppo di Paesi democratici più industrializzati del mondo -, il tema della democrazia e dei diritti umani, negli ultimi anni, ha trovato una sua collocazione.
Detto questo, sappiamo che vi è stato l'ingresso della Russia e conosciamo le evoluzioni che si sono verificate in tale contesto.
Credo, tuttavia, che per il Governo italiano e per il nostro Parlamento sia importante far sì che all'interno di questo appuntamento istituzionale il tema in questione non sia dimenticato.
Mi riferisco in particolare alle iniziative che sono state seguite anche dai precedenti Governi. Lo stesso Governo Berlusconi, nella passata legislatura, lanciò il Forum per il futuro, insieme ad altri Paesi.
Credo che sia possibile trovare un'intesa anche con le forze della maggioranza per far sì che questo tipo di iniziative abbiano il maggior successo possibile.
Quindi, penso che nell'ambito dell'indagine conoscitiva del Comitato sui diritti umani si possa immaginare di avere un documento finale il più possibile unitario da indirizzare al Governo, per far sì che questo tema sia centrale nell'appuntamento del G8.
La domanda che volevo porre in particolare al professore, essendo lui sociologo e autore che conosco ormai da diversi anni, apprezzato in tutto il mondo anche per le analisi che ha condotto sulla situazione in Medio Oriente, è quella di rispondere all'obiezione che viene spesso sollevata da molti esponenti politici degli attuali Governi di alcuni Paesi del Medio Oriente e che vado ad esporre. Secondo tali persone, se si procedesse a una riforma democratica in quei Paesi, si correrebbe il rischio del trionfo dei fondamentalisti e degli estremisti, e quindi di una reversione ancora peggiore verso la non democrazia e l'autoritarismo.


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Ecco, vorrei chiederle, professore, se ci sono delle condizioni per valutare la fondatezza di queste affermazioni, o se invece non sia la ricerca di un alibi da parte di alcuni esponenti politici per non procedere a questo tipo di riforme democratiche.
Professore, lei ha avuto la cortesia di non chiedere interventi in difesa della sua persona a questo Comitato.
Credo però che, per quanto riguarda il caso specifico del signor Ibrahim, il nostro Comitato debba compiere un passo in avanti rispetto all'ambasciatore egiziano e alle autorità egiziane per far sapere che viene posta attenzione sulla vicenda di un professore stimato da tanti anni, che è stato condannato a due anni di prigione e ha trascorso molti anni in galera, semplicemente per avere espresso delle opinioni.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al professor Ibrahim per la risposta, vorrei far notare che l'onorevole Mecacci ci ha offerto due spunti di riflessione. Uno di essi, molto importante per il professor Ibrahim, è quello relativo alla contraddizione fra la non democrazia e il controllo del fondamentalismo in certi Paesi. L'altro è legato alla democratizzazione e al rischio che questo processo porti alla liberazione di forze indesiderate dal resto del mondo e, probabilmente, anche da gran parte della popolazione di quei Paesi.
Dal momento che il professor Ibrahim è egiziano e ha subìto proprio da parte del Governo del suo Paese restrizioni inaudite, il problema ci riporta al caso di Hosni Mubarak che, da una parte, si trova a negare ai suoi cittadini i diritti più elementari e, dall'altra, rappresenta l'Occidente, nel senso che lo difende dal pericolo che l'Egitto diventi un Paese fondamentalista.
Senza dubbio siamo stretti in una tagliola drammatica, in merito alla quale vorremmo avere delle delucidazioni.
Vorrei inoltre riprendere quanto detto dall'onorevole Mecacci a proposito dell'azione del nostro Comitato sui diritti umani. Dal mio punto di vista, come prima azione da intraprendere, annoterei nel calendario dei lavori la necessità di agire nei confronti dell'ambasciatore egiziano, stabilendo se tale iniziativa possa essere di natura parlamentare o se debba essere intrapresa da chi ci rappresenta al Governo.
Tale argomento potrà essere oggetto di una discussione sull'agire strategico della Commissione, in modo che resti il segno di questa attività e di questo monitoraggio.

SAAD EDDIN IBRAHIM, Rappresentante dell'Arab Democracy Foundation. Grazie per aver sollevato questi punti e per esservi interessati al mio caso personale. Generalmente, non amo parlare della mia situazione così particolare, perché il mio caso non è che una piccola parte di un quadro più ampio.
Certo, sono stato in carcere, ma altre migliaia di prigionieri hanno vissuto la mia stessa esperienza. Vengono attuati abusi, torture e negazioni dei diritti fondamentali. Quindi, parlare di me stesso, pensando a tutte le sofferenze che esistono - alcuni sono morti in seguito alle torture - non mi piace, perché il mio non è che un piccolo esempio, una piccola tessera di un quadro molto più grande.
Ad ogni modo, vi ringrazio per aver trattato questo argomento. Naturalmente, accetterò con grande favore qualsiasi aiuto rivolto nei miei confronti, ma anche verso coloro che si trovano ancora in prigione.
Alcune persone sono state in carcere per quindici anni prima che venisse formulato un capo d'accusa, prima di subire un processo. Questo accadde perché, dopo l'assassinio del presidente Sadat, l'Egitto si trovava in uno stato di emergenza. Era il 1981, ma ancora oggi ci troviamo in uno stato di emergenza.
Tale stato di cose dà all'esecutivo il diritto di mantenere in carcere qualunque cittadino, anche se non c'è un fondamento giuridico, anche in assenza di un capo d'accusa e di un processo.
Tale pratica si chiama carcere preventivo - esiste proprio una definizione giuridica - e consiste nel trattenere in prigione una persona per tanti anni senza


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processo. Pertanto, con l'alibi di questa situazione di emergenza, si negano tutti i diritti umani fondamentali.
Una delle mie battaglie è proprio quella di far terminare l'attuale stato di emergenza e di rafforzare l'indipendenza del potere giudiziario egiziano.
Esistono poi le corti, i tribunali paralleli di sicurezza, militari, per l'emergenza, che hanno minato la forza del potere giudiziario.
Se ci volete aiutare, dunque, una delle vostre richieste potrebbe essere quella di sostenere l'indipendenza del potere giudiziario egiziano.
Mubarak, Ben Ali e i loro simili sono riusciti abilmente a creare l'illusione che tutto ciò che è contro di loro è il frutto di una militanza islamica, un estremismo islamico. È falso, ma questo è ciò che hanno creduto le democrazie occidentali.
Da laico, vi dico che sono la prima vittima dell'estremismo islamico.
Ogni abuso a cui ho assistito nel mio Paese è stato però compiuto dal regime di Mubarak, perché gli estremisti non sono mai stati al potere in Egitto.
Vi fornisco alcuni dati statistici in proposito, che potrete successivamente confrontare con le vostre fonti di informazione, con i servizi studi e via dicendo.
Quando Mubarak è salito al potere - eravamo nel 1984 - i Fratelli musulmani hanno ottenuto solo il 2 per cento dei consensi. In occasione dell'ultima elezione del 2005 - 21 anni dopo - i Fratelli musulmani sono passati dal 2 al 20 per cento dei voti.
Quindi, sebbene egli si ponga come l'uomo che pensa di essere la mannaia contro gli estremisti, questi ultimi sono cresciuti molto di più nel corso del suo Governo di quanto non abbiano mai fatto prima in tutta la storia dell'Egitto e dell'intera regione.
Alcuni dei presenti hanno all'incirca la mia età; eccezion fatta per le signore. Qualcuno forse ricorderà che 27 anni fa non esistevano Al Qaeda, Bin Laden, Al Zawahiri o Hamas. Questi gruppi, questi movimenti sono cresciuti negli ultimi 25 anni.
Mubarak è al potere da 27 anni e continua a raccontarvi che, in qualche maniera, lui è il baluardo contro gli estremisti; invece, essendo l'autocrate che è, ha permesso che si determinasse tale situazione (l'Algeria, la Tunisia, la Libia, il Sudan non creano problemi).
A causa della autocrazia, della corruzione delle famiglie, si è data la possibilità agli estremisti e alla militanza di crescere, perché rappresentano l'unico vero pericolo per gli autocrati.
Vi ringrazio, quindi, per la domanda che mi è stata posta, perché mi permette di rendere evidente tale contraddizione.
In pratica, Mubarak si propone come baluardo contro gli estremisti. Tuttavia, come sociologo, vi posso dimostrare da un punto di vista empirico, con i fatti - 2 per cento dei consensi nel 1984 e 20 per cento nel 2005 -, che nel periodo di Governo di Mubarak i Fratelli musulmani non hanno fatto altro che aumentare il loro consenso.
Tali persone rappresentano un pericolo per Mubarak, perché hanno la moschea, quella che per voi è la chiesa.
Gli estremisti posso organizzarsi e mobilitarsi nella moschea; mentre la forze laiche, proprio in ragione della legge per l'emergenza, non possono riunirsi.
Se formiamo un gruppo di cinque persone nel cortile di casa, veniamo arrestati, perché stiamo facendo una riunione senza autorizzazione. Naturalmente, tale tipo di autorizzazioni non vengono mai rilasciate alle forze laiche; mentre i fedeli che vanno in una moschea possono riunirsi senza alcun divieto. Del resto, sarebbe come impedire ai cristiani di andare a messa.
In questo modo, gli estremisti sono stati in grado di organizzarsi, di mobilitarsi, di offrire servizi sociali e altra assistenza, senza che lo Stato potesse fare nulla per impedirlo; mentre può usare la legge sull'emergenza per schiacciare noi laici.
Un'altra falsità che viene avanzata da molti dei regimi autocratici, soprattutto in Egitto, consiste nel dire che loro servono al processo di pace tra la Palestina e Israele, tra Israele e il resto del mondo arabo.


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A questo punto, vi pongo una domanda molto semplice. Chiedete a qualsiasi funzionario egiziano - certo, a Sharm El Sheikh vi è stato un vertice, è un posto ormai noto, perché vi si tengono tante belle riunioni a favore della pace - di mostrarvi anche soltanto un centimetro di progresso nel processo di pace, dopo quello che è riuscito a fare Sadat.
Non vi potranno rispondere niente. È stata fatta tanta pubblicità, tanta emozione, ma in realtà non si è affatto andati avanti. Chiedete informazioni in proposito.
Personalmente, ho domandato ai miei contatti arabo-israeliani che cosa ne pensano di Mubarak. Se non altro Sadat aveva preso l'iniziativa coraggiosa di andare e Gerusalemme, di firmare l'accordo e di rompere l'immobilità; mentre Mubarak non si è mai recato in Israele.
Anzi, ci è andato una volta, per un paio di ore, per partecipare ai funerali di Rabin, ma basta. Lì mi fermo. Non ha fatto altro, per promuovere il processo di pace.
Invece, ha raccontato al mondo che è un uomo di pace, lo ha illuso, ma quali risultati ha ottenuto? Pertanto, queste sono le due menzogne che Mubarak vende abilmente, ingannando le democrazie occidentali.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Pianetta, vorrei evitare di tralasciare una parte della domanda dell'onorevole Guzzanti che, in realtà, riguarda noi, oltre che il nostro illustre interlocutore. Egli ha chiesto, infatti, che cosa possiamo fare e in che modo possiamo essere utili.
Ebbene, esiste una doppia risposta a tale quesito.
Una parte della risposta ci è offerta proprio dalle parole del professor Ibrahim; mentre un'altra possibile risposta è rappresentata da ciò che davvero può e deve diventare il nostro lavoro.
Dobbiamo diventare capaci di immaginare e di identificare alcuni elementi specifici, affinché questo Comitato lasci, per quanto modestamente, il suo segno, come gruppo che non intende transigere sulle violazioni dei diritti umani.

ENRICO PIANETTA. Voglio veramente ringraziare il professor Ibrahim, perché persone del suo calibro suscitano una grande ammirazione e un grande rispetto, dal momento che agiscono in prima persona e mettono a rischio la propria incolumità.
Del resto, sappiamo che la promozione e la tutela dei diritti umani sono processi indubbiamente molto lunghi, anche perché la democrazia non si impone. Pertanto, è necessaria una grande capacità da parte di chi crede nella democrazia di portare il proprio contributo finalizzato alla condivisione di progetti e alla loro realizzazione.
Vorrei pertanto porre la seguente domanda al professor Ibrahim. Egli ha citato le azioni della sua fondazione, per quanto riguarda, ad esempio, la disobbedienza civile.
Vorrei avere maggiori informazioni in merito all'organizzazione e alle modalità d'azione, anche in riferimento ai diritti religiosi, perché credo che questo sia un altro aspetto importantissimo delle questioni che stiamo affrontando.
Indubbiamente, come Parlamento, possiamo creare le condizioni necessarie, affinché il nostro Governo svolga un'azione molto puntuale. Lo stesso discorso vale anche per l'Unione europea. Tuttavia, credo che sarebbe importante se potessimo contribuire a dare una corretta informazione anche all'opinione pubblica. Basti pensare a tutto ciò che riguarda il turismo in quel Paese.
Inoltre, consideriamo che siamo il Parlamento. Quindi, credo che la diplomazia parlamentare possa mettersi in contatto con i nostri omologhi parlamentari egiziani con le modalità che giudicheremo più opportune.
Tuttavia, ritengo che sia importante proprio poter agire a trecentosessanta gradi, su tutti i possibili fronti, perché, come ho detto all'inizio, la promozione e la tutela dei diritti umani sono processi di


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natura delicata che devono coinvolgere tutte le forze e i soggetti che sono in grado di dare un contributo utile.

PRESIDENTE. Il professori Ibrahim suggerisce di completare il giro delle domande, per poi rispondere a tutte complessivamente.

PAOLO CORSINI. Poiché i colleghi che mi hanno preceduto hanno già toccato i temi che avrei sottoposto all'attenzione del professore, rinuncio all'intervento.

SAAD EDDIN IBRAHIM, Rappresentante dell'Arab Democracy Foundation. Mi è stato chiesto di dare informazioni circa la libertà religiosa. Come sapete, il 10 per cento della nostra popolazione è di religione cristiano copta. Si tratta di una minoranza, in un Paese a maggioranza musulmana, che una volta era la maggioranza.
Dal I al VI secolo, i copti in Egitto erano la maggioranza. Quasi tutti gli egiziani erano copti.
Dopo la conquistata araba mussulmana, nel VII secolo, la popolazione si è gradualmente convertita alla nuova religione, ma comunque un piccolo 10 per cento è rimasto fedele alla religione originaria, quella copta per l'appunto.
Negli ultimi decenni, queste persone hanno cominciato a subire azioni di discriminazione, ufficialmente e non ufficialmente.
Alcuni di noi, me compreso, si sono posti a difesa dei diritti di tutti i cittadini, come attivisti dei diritti umani.
Sono musulmano, ma percepisco il fatto che alcune delle nostre minoranze religiose, come quella dei copti, non godono dei nostri stessi diritti. Naturalmente, ho parlato della questione e sono stato subito accusato. Questa è un'altra delle accuse che mi sono state portate nel mio secondo processo dell'anno 2000. Secondo lo Stato, avevo diffamato l'Egitto sostenendo che esistevano delle discriminazioni nel Paese. Naturalmente, poiché il Governo negava queste discriminazioni, capirete che per un cittadino egiziano musulmano contraddire tali affermazioni equivaleva a offuscare l'immagine del Paese all'estero.
Tuttavia, se si domanda ai copti in Egitto se si sentono discriminati - questo è il mio lavoro, dal momento che sono un sociologo - ci si sente rispondere che è proprio così.
Quando ho posto loro tale domanda, hanno aggiunto alla risposta un elenco di lamentele che ho riportato nei miei documenti e per le quali ho chiesto al Governo di trovare delle risposte. Invece, non solo non mi hanno risposto, ma mi hanno anche processato.
Detto questo, senza dubbio in Egitto vi è un livello di tolleranza che forse non esiste altrove. Tuttavia, se mi si chiede se le minoranze godono di tutti gli stessi diritti della maggioranza, posso subito rispondere che non è così.
Questo stato di cose non riguarda soltanto i copti, ma anche altri gruppi come gli sciiti o i baha'i.
Se leggete la documentazione e gli altri studi condotti negli Stati Uniti in materia, noterete che queste mie affermazioni sono suffragate da studi e statistiche.
Peraltro, alcuni degli episodi di violenza che si sono verificati possono essere fatti risalire fino al 1972. Vi posso riportare anni e cifre relativamente ai fatti da me trattati. Tutto quello che dico può essere comprovato.
Ebbene, dal 1972 ad oggi, sono state realizzate più di 300 azioni di violenza contro i copti.
Se si chiede al Governo come si spiegano tali accadimenti, ci si sente rispondere che si tratta di casi isolati. Non è vero: si tratta di una discriminazione istituzionale.
I copti rappresentano il 10 per cento della popolazione. Allora, come mai non vi è neanche un governatore copto, dal momento che nel nostro Paese i governatori vengono nominati dal presidente e non vengono eletti? Perché ci sono 30 università nel Paese e neanche un rettore copto? Allo stesso, perché non vi è un solo agente copto nei servizi segreti? A questi interrogativi non danno risposte.


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Dal canto nostro, abbiamo presentato cifre e dati in proposito, non ci siamo limitati a presentare degli esempi vuoti.
Ripeto, faccio parte della maggioranza, sono musulmano. Tuttavia, quando assisto a un atto di ingiustizia contro chicchessia, sento l'obbligo di denunciare tale ingiustizia.
A forza di dire la verità al potere, ho subito le conseguenze che conoscete. Peraltro, non sono il solo, perché molti altri come me difendono i diritti umani.
Vengo alle azioni di disobbedienza civile. Scioperi, rallentamenti, manifestazioni, assenteismo dal lavoro sono forme di disobbedienza civile, di cui sottolineo l'importanza in un Paese come l'Egitto, dal momento che si tratta di azioni che, fino ad oggi, sono state pacifiche.
In precedenza, si è affermato che la democratizzazione è un processo lungo, che la costruzione della cultura della democrazia richiede molto tempo.
Tuttavia, come direbbe un cinese, anche un viaggio di mille chilometri comincia con un primo passo. Chi vi parla ne ha compiuto uno e altri ne hanno compiuti più di me.
Dico questo, chiedendovi di aiutarci a progredire ancora, rimuovendo gli ostacoli sul nostro cammino, magari domandando ai nostri Governi di rispondere alle relazioni di Amnesty International, o a quelle degli enti di difesa dei diritti umani, senza lasciarle cadere nel vuoto. Occorre rafforzare la memoria delle democrazie occidentali che è debole a seguito dei cambiamenti di primi ministri e presidenti da un anno all'altro.
Gente come Mubarak o Gheddafi sta lì da sempre, dal 1969. Gheddafi compie quarant'anni di potere il prossimo anno.
Quanti presidenti e primi ministri in quarant'anni sono andati e tornati in Italia? Quanti sono passati e poi sono tornati nei 27 anni di Governo di Mubarak, nel periodo di Ben Ali o di Hassan?
Questi signori approfittano della breve memoria e del continuo cambiamento degli esponenti delle democrazie occidentali, per presentarsi, secondo il loro solito cliché, come presenze perenni che intendono proteggere dai rischi. Invece, i loro sono regimi di repressione e di corruzione che altro non fanno che alimentare gli estremisti.
Ecco perché vi ripeto il mio messaggio. Certo, siamo noi che dobbiamo lottare per la democrazia. Tutto quello che vi chiediamo di fare è offrirci il vostro sostegno contro le dittature e le tirannie, di non credere alla propaganda che vi viene ammannita e di fare pressione morale e materiale.
Voi avete la possibilità di esercitare questo tipo di pressione. La storia e il successo della vostra diplomazia - penso all'accordo di Helsinki - lo dimostra. Ebbene, si possono emulare questi processi anche nella nostra regione.
Una volta che il mondo arabo sarà democratizzato, voi stessi sarete più sicuri. Credetemi, non c'è nulla che possa sostituire la pace e lo sviluppo. Lo sviluppo senza pace e la pace e lo sviluppo senza democrazia non possono vivere.
Questi sono i tre pilastri che, come parlamentari e come Comitato sui diritti umani, dovete sempre avere a mente. Si offre dunque l'opportunità all'Italia, come a molti altri Paesi occidentali, di fungere da guida in questo movimento.
In Italia, c'è molta buona volontà. Peraltro, siete ben visti nel mondo arabo, anche perché il vostro Paese è apparso molto rapidamente come potenza coloniale, mentre altri Paesi, come Francia e Gran Bretagna, hanno lasciato una memoria più duratura. Quindi, c'è un atteggiamento più negativo nei loro confronti. Verso l'Italia, invece, c'è un atteggiamento più positivo da parte dei popoli arabi. Pertanto, voi potete meglio esortare i popoli arabi e il Medio Oriente a cambiare.
Non sappiamo chi sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti e neanche se manterrà fede agli impegni in nome della libertà e i diritti umani. Tuttavia, dal momento che l'Italia, il prossimo anno, assumerà la presidenza del G8, mi auguro che sarà sua cura proiettare questa buona volontà e rappresentare quello che i popoli del Medio Oriente e del mondo arabo chiedono.


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PRESIDENTE. Vorrei ringraziare a vostro nome, colleghi, il professor Ibrahim. Gli siamo debitori di avere allargato il nostro orizzonte e di aver delineato un'area di lavoro per il nostro Comitato che ci sarà preziosa.
Con la vostra approvazione e con il vostro sostegno, intenderei stabilire, da questa volta in avanti, che audizioni di tale portata e di tale valore diventino un testo da distribuire successivamente all'intera Commissione affari esteri.
In questo modo, la Commissione potrà essere informata tempestivamente del nostro lavoro, del nostro «avanzare come fari nella nebbia» e del fatto che vediamo un margine più ampio di territorio davanti a noi, grazie a quanto ci viene rivelato.
Per questa ragione, potrebbe essere utilissimo se coloro che hanno posto, o avrebbero voluto porre, qualora ci fosse stato più tempo, domande e interventi, li sviluppassero. Potremmo così aggiungerli al testo del professor Ibrahim e avere un instant book che potrebbe caratterizzare il nostro modo di lavorare in tutte le situazioni nelle quali ci confronteremo con gli aspetti del mondo che si aprono di fronte a noi nel procedere del lavoro del nostro Comitato.
Professore Ibrahim, le siamo profondamente grati. Lei ci ha offerto un ritratto del nostro Paese migliore di quello che abbiamo noi. Faremo di tutto per essere all'altezza dell'immagine dell'Italia che lei ha così benevolmente ha voluto darci, impegnandoci nel territorio nel quale lei si sta battendo con tanto valore.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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