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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
5.
Mercoledì 19 novembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Furio Colombo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione del vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict, Berel Rodal:

Colombo Furio, Presidente ... 3 6 9 10 11
Barbi Mario, (PD) ... 6
Mecacci Matteo, (PD) ... 3 9
Rodal Berel, Vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict ... 4 7 9 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 19 novembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 8,35.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict, Berel Rodal.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione del vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict, Berel Rodal, a cui diamo il benvenuto.
Informo i colleghi che è in distribuzione la relazione annuale dell'Unione europea sui diritti umani.
Do la parola all'onorevole Mecacci per introdurre l'audizione odierna, che lui stesso ha richiesto.

MATTEO MECACCI. Credo che questa audizione si inserisca bene nel programma dei lavori del Comitato, che abbiamo deliberato nell'ultima riunione.
In particolare negli ultimi mesi, il signor Berel Rodal e il suo Centro internazionale sul conflitto nonviolento stanno lavorando a livello europeo, anche in coordinamento con le prossime presidenze dell'Unione europea (quella della Repubblica ceca e quella svedese), come ci dirà poi lui nei dettagli, per cercare di dare attuazione a un documento che noi ci troveremo a discutere nelle prossime settimane, ossia la relazione annuale 2007 dell'Unione europea sui diritti umani.
Quest'ultimo ha un contenuto particolarmente innovativo perché, nell'ambito della politica di promozione dei diritti umani - un pilastro della politica estera dell'Unione europea - chiede alle istituzioni europee di valorizzare e rafforzare la diffusione delle tecniche nonviolente.
Questo centro, di cui Rodal è vicepresidente, è abbastanza unico nel suo genere. È nato proprio con lo scopo di far conoscere la teoria e la pratica nonviolenta, a partire dagli esempi storici di Gandhi e dei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti. Esso ha assunto la missione globale di operare tale diffusione a livello sia educativo sia concretamente pratico, presso gli attivisti e presso chi adotta le politiche.
Credo, quindi, che ascoltare quanto questo centro sta facendo e vorrà fare, anche nel contesto europeo, ci possa aiutare nel deliberare quali iniziative prendere, a sostegno della relazione dell'Unione europea sul rispetto dei diritti umani.

PRESIDENTE. È chiaro che questa testimonianza, questa audizione, è particolarmente importante per noi, almeno relativamente all'attività di documentazione del nostro Comitato per i diritti umani, perché ci ricorda che l'invocazione o la citazione del comportamento nonviolento sono tanto frequenti, quanto poco sono


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sostenute da argomentazioni, motivazioni, documenti e prove.
Per quanto mi riguarda, nella mia vita ho incontrato il concetto della nonviolenza e della lotta politica nonviolenta dai tempi di Martin Luther King, eppure ancor oggi non li ritrovo riconosciuti, nell'ambito della cultura contemporanea; essa continua, invece, persino quando è pacifica e anti-guerra, ad essere fondata sulla cultura della violenza come regola di comportamento.
Quella odierna, dunque, è un'occasione particolarmente importante e siamo lieti e onorati di ascoltare il signor Berel Rodal, a cui do subito la parola.

BEREL RODAL, Vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict. Grazie, presidente. Sono io ad essere onorato e privilegiato.
Io provengo da un Paese che ha due lingue ufficiali, l'inglese e il francese, ma Toronto è forse la seconda o terza città nel mondo per diffusione della lingua italiana; vi porto, quindi, i saluti di una lontana provincia di questo grande Paese.
Il Centro internazionale sul conflitto nonviolento è un'istituzione piccola, costituita, per citare Shakespeare, da happy few, vale a dire poche persone, ma felici e fortunate.
Il nostro concetto di conflitto nonviolento non è una preferenza etica o una scelta morale e, a nostro avviso, non è in opposizione alla violenza. Si tratta, ovviamente, di una scelta elevata, dal punto di vista etico e morale, ma in realtà noi ci concentriamo sull'esperienza, su quanto le persone possono fare da sole per liberarsi dallo stivale che preme sul loro collo, su quanto possono fare utilizzando la propria forza interiore.
Molte delle persone che noi consideriamo come eroi della nonviolenza avrebbero forse utilizzato le armi, se avessero avuto la possibilità di farlo. Per un motivo o per un altro, però, non le hanno adoperate e, per liberarsi, hanno utilizzato le armi che avevano a disposizione.
Abbiamo studiato questi comportamenti perché, dopo Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, crediamo che uno dei modi migliori affinché le persone costruiscano le navi non è dare loro martello, chiodi e un progetto, ma semplicemente instillare in loro la curiosità per i continenti lontani ed esotici.
Noi cerchiamo, quindi, di sensibilizzare tutte le categorie di persone - politici, parlamentari, attivisti, accademici, protagonisti dei media - all'esperienza dell'azione nonviolenta. L'abbiamo fatto in ogni continente e in diversi periodi, per realizzare e stimolare dei cambiamenti duraturi, atti a realizzare maggiore libertà e maggiore democrazia.
Abbiamo realizzato anche una serie di documentari; cito in particolare il primo, intitolato A Force More Powerful (Una forza più potente), che racconta l'esperienza della lotta del movimento di indipendenza indiano, l'opposizione nonviolenta danese e di altri stati europei contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale, il movimento contro l'apartheid in Sudafrica, la lotta per l'integrazione nel sud degli Stati Uniti, l'esperienza di Martin Luther King, le vicende filippine e del Cile di Pinochet, nonché l'esperienza centrale della liberazione dell'Europa dell'est, di cui celebreremo il ventesimo anniversario l'anno prossimo. A Force More Powerful, narrato da Ben Kingsley, e nominato per un Emmy, è stato visto in 70 Paesi e tradotto in dieci lingue, è vietato a Cuba e sicuramente non è amato da Putin.
Successivamente, abbiamo prodotto Bringing down a dictator, narrato da Martin Sheen, che qualcuno ancora crede sia il presidente degli Stati Uniti. Vi è analizzata la storia di come Milosevic non sia riuscito a frodare sul risultato delle elezioni in Serbia, un evento che ha poi condotto al suo rovesciamento; questo è accaduto senza che ci fosse nemmeno una vittima, e questo è un aspetto importante del cambiamento nonviolento, ma la cosa più importante è che il cambiamento sia avvenuto attraverso strumenti nonviolenti.
Quando parlo di «strumenti nonviolenti», mi riferisco alle tattiche utilizzate per aumentare la pressione, per far salire il prezzo dell'oppressione e del regime


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autoritario, finché anche le persone che, normalmente, sosterrebbero un dittatore, non lo sostengono più.
Sulla base dell'esperienza storica, possiamo affermare che i cambiamenti realizzati in questo modo portano sempre a risultati più democratici e a maggiore libertà, rispetto a quanto avviene mediante i cambiamenti realizzati con l'insurrezione violenta ovvero con un accordo a livello di élite. Abbiamo studiato approfonditamente questo argomento e sarei lieto di condividere con voi i risultati dei nostri studi e altro materiale che può dimostrare questo fatto storico.
Abbiamo recentemente realizzato un terzo documentario, dal titolo Orange revolution (La rivoluzione arancione), che parla del movimento ucraino che, durante l'inverno del 2004, scese in piazza a Maidan Square per impedire che un partito frodasse sui risultati delle elezioni.
Ovviamente questi movimenti, da alcuni chiamate «rivoluzioni colorate», non conducono alla perfezione, ma portano a una situazione più normale, in cui si può usufruire anche dei metodi più tradizionali del confronto politico e in cui è garantita la tutela dei diritti umani.
Il nostro centro non accetta finanziamenti ed è sovvenzionato da una fondazione a base familiare; il nostro unico scopo è di aprire le menti delle persone, affinché amplino la loro prospettiva e capiscano l'importanza di utilizzare l'arma politica dell'azione nonviolenta, che ha una storia molto ricca. Desideriamo condividerla col resto del mondo, in modo che queste storie e questi insegnamenti del passato siano accessibili a quante più persone possibile.
Per quanto riguarda l'Europa, il Forum 2000 di Vaclav Havel, tenutosi in ottobre, è stata una cosa importante. Ho parlato con Havel del ruolo avuto dalle campagne di resistenza civile nell'indebolire e far cadere i regimi dell'Unione sovietica e dei Paesi satellite dell'Europa orientale.
Questi movimenti civici nonviolenti hanno dato speranza alla gente, hanno fatto capire alle persone che era possibile cambiare e hanno fatto salire il prezzo del subire il regime. Quest'anno celebriamo il quarantennale della primavera di Praga, mentre l'anno prossimo, sotto la Presidenza ceca, avremo l'anniversario del 1989.
La risoluzione del Parlamento europeo del maggio 2008 - che è anche oggetto dell'audizione odierna - richiedeva al Consiglio e alla Commissione di incoraggiare i sostenitori dei diritti dell'uomo e di diffondere la teoria e la pratica della nonviolenza con uno scambio delle esperienze e delle migliori pratiche acquisite in questo campo.
Una dichiarazione congiunta, firmata anche da Vaclav Havel, ha chiesto che la celebrazione dei suddetti anniversari diventi un evento anche per la base. Il rafforzamento della tutela dei diritti umani attraverso i poteri civici, le organizzazioni nonviolente, la partecipazione dei cittadini alla sfera pubblica, che preferiamo chiamare così, piuttosto che ONG, è diventato l'elemento di volta per la realizzazione di cambiamenti politici in Europa. Un potere che non deriva dal cannone, dalla pistola e dall'attacco alle barricate - come durante la rivoluzione francese - ma che, invece, risiede nel consenso dei governati: senza ampliare la base del consenso, ovviamente, un regime autoritario non può sussistere.
Queste cose non cambiano da sole e quindi noi, presidente, stiamo cercando di aiutare le istituzioni europee attive all'estero, in tutto il mondo, su questo fronte. Le aiutiamo a capire meglio cosa voglia dire «potere civico» e a trasmettere questi messaggi ai cittadini nel resto del mondo, affinché si capisca cosa sono le agenzie di sviluppo europee e cosa significa organizzare riunioni ed incontri in tutto il mondo, ma in particolare in Europa, nel Maghreb, nel mondo arabo, in Africa, eccetera. Di quali strumenti potrebbero avvalersi in concreto le istituzioni europee per diffondere questo concetto?
Noi, ovviamente, poniamo l'accento sulla promozione della democrazia non intesa come prodotto di ingegneria politica. Noi non siamo medici che curano dei malati. La democrazia, per noi, non può


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essere esportata. Signor presidente, la democrazia non è qualcosa che facciamo agli altri o per gli altri.
Il nostro ruolo è quello di intraprendere azioni legittime e utili per aiutare gli altri, nelle loro società, a rendersi conto e a prendere più pienamente coscienza delle proprie aspirazioni, da realizzare con i loro stessi strumenti.
Oltre a collaborare con le istituzioni, le agenzie e gli enti europei, comunque, bisogna compiere dei passi per portare questa dichiarazione dall'alto verso il basso, al livello della base.
Bisogna capire meglio, quindi, il ruolo svolto, negli ultimi quarant'anni, dall'azione nonviolenta - anche rispetto ad altre forme di potere - in Europa e nel resto del mondo, incluso il ruolo che questa pratica nonviolenta ha avuto nelle transizioni verso le democrazie.
Bisogna capire meglio anche quale possa essere il ruolo più appropriato per gli Stati, gli organismi internazionali e le ONG, per favorire un ambiente più propizio allo sviluppo della democrazia. Dobbiamo capire meglio come aumentare il nostro sostegno ai movimenti che operano in questa stessa direzione; dobbiamo capire e studiare meglio i princìpi che dovrebbero ispirare queste attività.
Signor presidente, partendo dal Seminario Globale di Salisburgo, un progetto che dirigo insieme a Edward Mortimer, stiamo studiando anche l'evoluzione delle «regole del gioco», quelle che servono a far meglio interagire le persone al di là dei confini: oggi, infatti, c'è una forte opposizione all'attività di coloro che, siano essi individui o agenzie, cercano di aiutare persone di altri Paesi ad acquisire la capacità di sfidare i regimi oppressivi.
Durante il semestre di Presidenza ceca dell'Unione europea, lavorando insieme, potremmo realizzare dei progressi. La Presidenza ceca sarà seguita da quella svedese; il Governo di Stoccolma ci ha già informato della propria volontà di attivarsi e di portare avanti quanto realizzato durante il semestre precedente. Quindi sarà la volta della Spagna.
Vogliamo valorizzare l'esperienza maturata dal 1968 al 1989, per meglio comprendere come fornire sostegno ad azioni nonviolente strategiche nel mondo; tale esperienza rappresenta un elemento fondamentale per delineare lo spazio europeo, la missione europea e la definizione europea di promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo.

PRESIDENTE. La ringrazio per questo suo intervento, che definirei un'introduzione all'argomento del giorno, il quale comporta, da un lato, una definizione e, dall'altro, una prospettiva.
Se i punti di partenza sono quelli richiamati dal signor Rodal, la sua visione tende anche a indicarci dei percorsi. È proprio su questi percorsi che mi domando se non ci siano, da parte dei presenti, dei quesiti da porre.
Do la parola all'onorevole Barbi.

MARIO BARBI. Vorrei porre alcune semplici domande, per ottenere delle informazioni aggiuntive.
L'introduzione è stata assolutamente chiara ed esaustiva, dal punto di vista concettuale e da quello dello scopo e del fine che l'organizzazione si propone.
Vorrei, però, chiedere qualche ulteriore informazione, in modo molto elementare - riconosco un mio deficit al riguardo - su come funziona la vostra organizzazione e su com'è strutturata: di quali risorse effettivamente dispone? Dove e come svolge la propria azione?
Vorrei porre, inoltre, una seconda domanda più specifica.
Ho capito che il campo di riferimento europeo è promettente e ha consentito di avere dei risultati positivi; il riferimento è all'Ucraina (con il movimento arancione) e al rovesciamento di Milosevic.
È un quadro di riferimento in cui i movimenti nonviolenti, che seguono queste tecniche di delegittimazione di un potere autoritario e truffaldino, ottengono risultati, minando la legittimità e, quindi, il consenso dei regimi. Ma parliamo di un'area del mondo in cui l'esperienza della democrazia, dello Stato di diritto, del


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processo di civilizzazione caratterizzato dal contenimento e dall'imbrigliamento della violenza, dalla devoluzione del monopolio della forza e della violenza ad un organismo statale riconosciuto è forse più avanzata e consolidata.
Nelle altre parti del mondo, nelle altre zone di crisi, che tipo di azioni svolgete? Che genere di relazioni avete con quelle aree? Quali prospettive possiamo individuare e riconoscere?
Si potrebbe pensare, certamente, all'area mediorientale che, da questo punto di vista, è quella in assoluto più difficile, più delicata, ma dove forse ci sarebbe il maggiore bisogno di questo salto di civilizzazione. Ecco, le chiederei un po' di informazioni aggiuntive di questo tipo.

BEREL RODAL, Vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict. Proverò a risponderle. Lei ha fatto una sintesi validissima: l'azione strategica nonviolenta può ottenere, quale suo obiettivo essenziale, l'eliminazione della legittimità di un regime. Anche i dittatori pensano, a volte, di avere una legittimità, perché non hanno bisogno di far confermare il loro potere da elezioni; pian piano, però, le elezioni monitorate a livello internazionale stanno diventando la norma. Ovviamente le elezioni sono un momento importante, per la società civile, per far sentire la propria voce e anche per diffondere informazioni.
Io sono canadese, il nostro centro ha sede a Washington ed è un'organizzazione caritatevole con scopi educativi: non accettiamo finanziamenti né pubblici né privati. La nostra, quindi, è una missione educativa attiva. Ad esempio patrociniamo conferenze accademiche e scientifiche. Una conferenza molto importante si è tenuta a Oxford, un anno e mezzo fa, presieduta da Sir Adam Roberts, attuale presidente della British Academy e già professore di relazioni internazionali a Oxford, e con la partecipazione, tra gli altri, di Timothy Garton Ash, persone sicuramente a voi già note.
I quattro o cinque giorni di lavoro di quella conferenza - i cui atti saranno resi disponibili a breve in due volumi - avevano anche l'obiettivo di modificare il modo in cui l'accademia e l'università studiano questo fenomeno e questo tema.
L'azione strategica nonviolenta e la resistenza civica sono studiate solo come tema marginale, nelle sezioni dedicate agli studi sulla pace di alcuni settori dell'università, mentre si tratta di una parte centrale e integrante dello studio delle relazioni internazionali e delle dinamiche del potere. Il nostro centro sul conflitto nonviolento ha avuto un ruolo di sponsor nella conferenza di Oxford, ma hanno partecipato attivamente alla sua organizzazione anche il Governo del Canada, del Regno Unito, della Norvegia oltre a molte fondazioni.
Verrà pubblicato, inoltre, un secondo volume sulla conferenza di Oxford, dedicato alla resistenza civile e alla battaglia delle idee, che farò pervenire ai membri di questo Comitato non appena sarà disponibile.
Noi siamo una sorta di stanza di compensazione per le persone interessate al tema delle azioni strategiche nonviolente: studiosi, leader politici, parlamentari, attivisti e media.
Noi non diamo consigli concreti per affrontare le singole situazioni, né siamo attori sul campo, perché solo le persone che portano avanti la loro lotta sanno quello che debbono fare. Il tentativo di un esterno di aiutarle, magari dedicandosi all'ingegneria politica, finisce per delegittimare e inficiare l'impegno di chi sta lottando.
Il nostro budget ammonta a 5-6 milioni di dollari e i nostri bilanci sono pubblici.
Agiamo in partenariato con una serie di soggetti, ubicati in Paesi di ogni continente, sebbene non in tutti i Paesi del mondo.
Ovviamente, sosteniamo e finanziamo conferenze; organizziamo sessioni informative e briefing nelle varie parti del mondo. Questo compito è spesso difficile da svolgere in alcune zone: abbiamo tenuto delle riunioni anche con degli iraniani che, però, sono stati poi perseguitati dal loro Governo e in alcuni casi torturati.


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Dobbiamo essere sempre molto attenti, quindi, perché a volte le nostre attività possono mettere a rischio altre persone.
Ad ogni modo, nostri scopi sono l'ampliamento della base delle attività educative e l'apertura delle menti e dell'immaginazione delle persone, affinché acquistino coscienza di ciò che possono fare con i loro strumenti.
Nel mondo globalizzato questo processo non è omogeneo e ci sono delle complicazioni. Pur tuttavia, la globalizzazione aumenta il potenziale di questo metodo di azione - e non soltanto nei regime change (noi non utilizziamo questa formula) - e offre una serie di possibilità a persone che, illuminate dalle loro menti e ispirate dalle proprie abilità strategiche, riescono a garantire migliori tutela e protezione dei diritti umani.
Lei mi ha posto una domanda sul Medio Oriente e sulle altre regioni del mondo. Si tratta di zone in cui la popolazione non ha la cultura di governo e l'idea dello Stato che riteniamo diffusa in Europa, perfino nell'Europa dell'est, e nelle quali gli stessi governanti possono essere estremamente duri (durezza significa, però, anche fragilità).
È in corso una nobile sfida: noi riteniamo che, se queste persone ricevono gli strumenti per intraprendere un'azione autonoma e indipendente, il risultato di questa loro azione sarà, probabilmente, una società più democratica rispetto a quella in cui i cambiamenti si sono realizzati con altri strumenti.
Noi rispondiamo alle richieste di aiuto delle persone; non siamo noi ad andare sul campo a cercare persone da convincere: abbiamo ricevuto richieste dalla Palestina, dall'Iran, dalla Siria, dall'America latina, dall'Asia, e cerchiamo di rispondere a tutte quelle che riceviamo. Non ci attiviamo, però, motu proprio. Abbiamo ricevuto richieste di informazioni che, in realtà, sono basate sul valore dei nostri documentari.
La ben nota Falun Gong ha formulato una delle prime richieste che ci arrivò, a Washington; mezz'ora dopo ci ha poi chiamato l'addetto militare dell'ambasciata cinese, con il quale abbiamo parlato, perché noi parliamo con tutti.
A volte, quando dialoghiamo con i nostri amici palestinesi, essi ci domandano come possiamo chiedere loro di deporre le proprie armi di fronte alla brutalità israeliana. Ebbene, io rispondo loro di fare un passo indietro.
Li invito a immaginare una situazione in cui Dio, stancatosi del conflitto tra Israele e Palestina, ne convochi in cielo i rispettivi leader e comunichi loro di voler porre fine allo scontro, dando modo a ciascuno di scegliere un campione sportivo che dovrà scontrarsi in una competizione con l'avversario: chi vince la sfida, vince il conflitto.
I palestinesi scelgono un campione di tennis enorme e molto atletico, mentre gli israeliani scelgono un lottatore di sumo, anch'egli enorme e massiccio. I due si incontrano per scegliere il tipo di competizione, gettando una moneta; i palestinesi vincono e scelgono la lotta sumo.
Dico questo proprio per far cambiare la loro prospettiva: a quel punto si fermano e riflettono.
Noi, però, non diamo consigli né indicazioni. La nostra missione consiste nel capire e comunicare cosa vuol dire veramente agire in questo modo, perché funziona, e che tipo di risultati produce, quando funziona.
Presidente, dobbiamo capire meglio quali ruoli siano opportuni, corretti e legittimi, per un esterno che voglia aiutare le persone che vivono in un altro Paese; in una gamma di strumenti e di scelte, occorre individuare quali sono quelle legittime per un esterno; e quali sono gli strumenti migliori per trasmettere le informazioni.
L'azione nonviolenta strategica e la resistenza civile sono attività che si fondano su determinate abilità, le quali possono essere trasmesse e sviluppate, possono crescere, anche con l'aiuto di esterni.
In terzo luogo, cerchiamo anche di capire meglio in che modo le persone, nelle varie parti del mondo, intendono la democrazia e la libertà. Abbiamo gli stessi


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concetti di libertà e democrazia in tutto il mondo? La risposta è «no», ovviamente. Questo Parlamento lavora in maniera diversa, ha meccanismi diversi, rispetto al Parlamento canadese o a quello statunitense.
Al di là dei meccanismi istituzionali, dei partiti politici e delle elezioni, dobbiamo capire in che modo la gente, alla base, comprende questi concetti e quali sono le loro aspirazioni. Nella nostra attività, quindi, è importante anche cercare di far capire le cose alla gente, consentire alle persone di discutere tra di loro, offrire loro uno spazio di scambio e di dialogo sulle loro aspirazioni e sui loro progetti. Non è facile, ma questo tema merita di essere approfondito.

PRESIDENTE. Grazie per questa risposta, signor Rodal. Do ora la parola all'onorevole Mecacci.

MATTEO MECACCI. Grazie, presidente. Vorrei formulare una domanda e, poi, una considerazione che credo possa essere utile anche per il nostro Comitato.
Negli accordi di cooperazione che i nostri Paesi e l'Unione europea stipulano, a livello multilaterale, in particolare con i Paesi in via di sviluppo, è spesso prevista una cosiddetta «clausola per i diritti umani», che condiziona l'applicazione della politica di cooperazione, dal punto di vista economico, culturale, tecnologico e scientifico, al rispetto di alcuni diritti fondamentali.
In alcuni Paesi retti da regimi autoritari, che nel corso degli ultimi quindici anni avevano fatto delle aperture, abbiamo assistito, di recente, a una sorta di regressione nel rispetto di questi princìpi. Mi riferisco, in particolare, al rispetto del diritto fondamentale alla libertà di espressione e di manifestazione, che credo si leghi molto all'attività di cui stiamo parlando.
Ci sono tentativi da parte di molti Paesi, sia a livello di Nazioni Unite - attraverso risoluzioni - sia a livello bilaterale - tramite limitazioni sulla possibilità di compiere attività da un determinato territorio - per cercare di imbrigliare la libertà di espressione al proprio interno, limitando le possibilità di raggiungere i cittadini dall'esterno, per informarli su quali siano effettivamente i loro diritti.
Mi chiedo, allora, se non occorra fare uno sforzo, in particolare a livello di Unione europea, proprio per cercare di ottenere che essa, nei rapporti che intrattiene con i Paesi in giro per il mondo, ponga la questione della libertà di espressione e di manifestazione come un principio irrinunciabile; e se questo non rientri anche nell'attività del Centro, in vista delle presidenze dell'Unione europea del prossimo anno, il 2009.
Non si tratterebbe di un'interferenza negli affari interni degli Stati ma, semplicemente, di riconoscere quanto sta scritto nei Trattati fondativi dell'Unione europea, e dovrebbe essere fondante anche degli accordi di cooperazione con questi Paesi.
Mi chiedo, pertanto, se questo aspetto, in particolare, della libertà di espressione e di manifestazione, non sia qualcosa su cui il Centro pensa di poter, non dico influenzare, ma comunque informare e lavorare insieme alle prossime presidenze dell'Unione europea.

BEREL RODAL, Vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict. Come ha detto l'onorevole Mecacci, nel settore dei diritti umani c'è tutto un sistema di diritti, di trattati, di strumenti, ma il problema è la loro attuazione. Questo è lo scopo ultimo della nostra azione e del nostro studio: capire come possiamo rendere reali questi diritti in situazioni di difficoltà.
È in gioco la libertà di riunione, ma anche quella di riunione digitale. Internet è uno strumento meraviglioso di incontro e di comunicazione, e deve diventare parte integrante dello stock di diritti del cittadino, il quale deve potersi riunire con gli altri nello spazio digitale, per discutere le questioni di rilevanza pubblica e per dare concretezza ai propri diritti democratici.


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Questo richiede abilità, organizzazione, capacità concrete, sostegno da parte del contesto internazionale e azioni sagge da parte dei soggetti esterni.
Uno di questi soggetti è l'Unione europea, che può essere estremamente potente. Essa è diventata quello che è oggi proprio grazie a questi metodi, il cui scopo non era commuovere l'oppressore, bensì realizzare trasformazioni attraverso pressioni politiche, scioperi, boicottaggi e misure attive nonviolente, per imporre il cambiamento e dimostrare l'illegittimità del potere tirannico.
L'anno prossimo l'Italia avrà la presidenza del G8 e, quindi, potrà fare qualcosa per portare avanti questa agenda europea, aggiornandola. Questi metodi, utilizzati con tanta incisività nel 1989, sono stati veramente una cosa straordinaria.
Queste sono le cose che, con tutta la debita modestia - del resto, io non sono europeo - mi permetto di suggerire ai leader europei.
Dobbiamo capire e analizzare meglio le nostre idee, senza però smettere di agire. Bisogna capire meglio i concetti e i metodi; e individuare quale possa essere il ruolo di un saggio soggetto esterno. Sono questi i passi di cui parla la risoluzione del Parlamento europeo, che in qualche modo assegna un mandato per l'azione e l'approfondimento dello studio. La nostra organizzazione sarebbe ben lieta di dare un contributo a tale riguardo.
Bisogna prendere le mosse dal Forum 2000. Ho già parlato della Presidenza ceca e di quella svedese che le seguirà.
Speriamo che queste attività segnino in qualche maniera il carattere dell'Europa nel mondo.

PRESIDENTE. Le pongo ancora una domanda, che può risultare ridondante rispetto a tutto quello che lei ha detto finora, ma che ci serve per concludere e anche per fare chiarezza, considerato che di questo incontro rimarrà un documento, così come di tutta l'attività del nostro Comitato permanente sui diritti umani.
La domanda che le pongo a mo' di conclusione è divisa in due parti.
Per quanto riguarda la prima parte, lei è stato molto chiaro, quando ha affermato: «we provide no political advice», ossia che non interferite con l'attività politica.
Immaginiamo una situazione in cui una persona o un gruppo o un'istituzione, improvvisamente, si trovino in Congo, coinvolti in una situazione estremamente violenta e di negazione di tutti i diritti, e pensino di - o stabiliscano un legame per - avvalersi della cultura nonviolenta, di cui voi siete rappresentanti.
Che cosa fareste se foste coinvolti, se vi venisse richiesto un coinvolgimento o se, in qualche modo, si creasse un link fra una situazione specifica, aperta, drammatica e l'organizzazione che lei rappresenta?
La seconda domanda - che ricalca il primo punto, svolto in termini pedagogici - si può esprimere in questi termini: how to reorient public opinion (come riorientare la pubblica opinione)?
Il vostro impegno non è diretto a un attivo coinvolgimento pedagogico nella vita quotidiana dei popoli e delle istituzioni, però tale vita quotidiana è orientata sulla violenza, persino quando la violenza viene invocata come strumento per fermare la violenza stessa.
Qual è, dunque, la sua risposta, rispetto a queste due situazioni, l'una esemplare e l'altra pedagogica?
Con la sua risposta chiuderemo la nostra audizione di oggi. Grazie.

BEREL RODAL, Vicepresidente dell'International Center on Nonviolent Conflict. Sul caso del Congo, non ho difficoltà a rispondere. Noi siamo lieti di dare una risposta a chiunque si rivolga a noi per capire meglio quello che facciamo.
Non è del tutto vero che noi siamo indifferenti, da un punto di vista politico, anche se non scegliamo i leader, né le organizzazioni.
In realtà, noi non diamo consigli pratici. Se delle persone ci chiedono cosa debbano fare in una certa situazione, noi li aiutiamo a pianificare, a farli sentire più sicuri di sé stessi, a migliorare le loro


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capacità di programmare, ma non diciamo loro quello che devono fare in una situazione concreta. Può sembrare artificioso, ma non possiamo dire ad altri come condurre il loro conflitto.
Ci atteniamo a tre princìpi che, ovviamente, non sono teologici, ma si basano sul risultato dei nostri studi.
In primo luogo, i movimenti che hanno successo sono indigeni e si fondano su strategie concepite da leader locali. Altri possono fare cose utili e importanti, ma non debbono interferire, non perché questo approccio sia normativo, ma perché ciò non aiuta, dato che le campagne e i movimenti funzionano solo se sono legittimi e indigeni. In secondo luogo, è importante mantenere la disciplina della nonviolenza, perché mischiare strategie violente e nonviolente, in qualche maniera, compromette la dinamica stessa della nonviolenza.
Se qualcuno spara a un poliziotto, quest'ultimo non depone le armi; se, invece, non gli si spara, allora forse quel poliziotto non sparerà su una folla in cui ci sono dei bambini. È successo in Cile, dove lo stato maggiore non ha seguito la strada indicata da Pinochet. Allo stesso modo, le autorità di polizia hanno rifiutato di eseguire l'ordine di sparare sulla folla sia in Serbia, sia in Ucraina. Si tratta di situazioni complesse ma ne sto delineando la dinamica fondamentale.
Occorre, poi, un'unità d'impegno: deve esserci un consenso ampio fra i diversi attori nonviolenti, che devono raggiungere un accordo e agire insieme. Non deve esserci un'azione leninista di minoranza, ma un'organizzazione politica capace di un'azione duratura.
Noi rispondiamo a tutte le richieste, cercando di aiutare ciascuno a sviluppare le proprie capacità e ad ampliare la base del proprio impegno, lavorando insieme agli altri.
Presidente, noi saremmo molto lieti, io sarei molto lieto, di rispondere positivamente ad un vostro invito a fornire a questo Comitato i nostri documenti, compresi i documentari che abbiamo realizzato.
Abbiamo anche uno strumento molto utile di simulazione su computer, che è stato utilizzato, ad esempio, nelle scuole austriache.
Ebbene, saremmo ben lieti di consegnarvi questa documentazione, ma anche altri studi che, in qualche modo, analizzano i risultati delle insurrezioni violente e di quelle nonviolente.
So che sembra molto americano, ma questi studi hanno dimostrato che le azioni nonviolente hanno risultati di successo doppi rispetto alle azioni violente. Ovviamente, si tratta di un work in progress, tutto è in fieri, ma è un lavoro importante, signor presidente.
Mi fermo qui. Saremmo lieti, ripeto, di trasmettervi ulteriori documenti e informazioni, sperando anche che i contatti tra il vostro Comitato e il nostro centro continuino.

PRESIDENTE. Ringrazio formalmente il signor Rodal, a nome mio, del Comitato permanente sui diritti umani, della Commissione affari esteri e di tutti gli onorevoli colleghi, per il contributo fornitoci, che resterà agli atti, per diventare materia di discussione anche nelle prossime riunioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,25.

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