Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione III
8.
Martedì 20 gennaio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Furio Colombo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione di rappresentanti del Fondo Indigeno Latinoamericano:

Colombo Furio, Presidente ... 2 3 5 7 8
Andrade Casama Luis Evelis, Presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano ... 3 7
Barbi Mario (PD) ... 6
Pianetta Enrico (PdL) ... 5
Porta Fabio (PD) ... 5
Vegni Sara, Rappresentante dell'associazione A Sud ... 2
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 20 gennaio 2009


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 9,05.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Fondo Indigeno Latinoamericano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di rappresentanti del Fondo Indigeno Latinoamericano.
Do il benvenuto ai nostri ospiti, in particolare a Luis Evelis Andrade Casama, che rappresenta il Fondo Indigeno Latinoamericano.
È inoltre presente Sara Vegni, rappresentante dell'associazione A Sud, Ecologia e Cooperazione ONLUS, alla quale do la parola, così che ci introduca e ci orienti in attesa delle dichiarazioni di Luis Evelis Andrade Casama.

SARA VEGNI, Rappresentante dell'associazione A Sud. Vi ringrazio, innanzitutto, per questa opportunità di ascolto che viene data al Fondo Indigeno Latinoamericano, in particolare al rappresentante dell'Organizzazione nazionale indigena colombiana, che è anche presidente del Fondo, Luis Evelis Andrade.
Uno dei motivi per i quali abbiamo richiesto questo momento è per sottoporre all'attenzione della Commissione la situazione dei diritti umani che vive in questo momento la Colombia e, in particolare, i popoli indigeni colombiani.
Come questa Commissione sa bene, poiché questa materia è stata oggetto di altre audizioni e di altri momenti di riflessione, la Colombia vive, ormai da molti anni, un conflitto armato molto grave, di cui le vittime sono, sempre più spesso, appartenenti a comunità contadine, e in particolare indigene.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una recrudescenza degli attacchi verso rappresentanti di comunità e movimenti indigeni. Questi episodi hanno coinciso con alcune richieste che le comunità indigene stanno portando avanti, che riguardano il rispetto degli accordi presi con il governo colombiano sulla redistribuzione delle terre, la pace e, quindi, la soluzione pacifica del conflitto colombiano, il rispetto dell'autonomia indigena, garantita tra l'altro dalla Costituzione colombiana attraverso alcune norme specifiche.
La recrudescenza di cui parlo si è manifestata con attacchi che hanno causato anche la morte di alcuni leader indigeni, dunque ci sembra giusto riflettere ancora sulla questione del rispetto dei diritti umani in Colombia.
L'Organizzazione nazionale indigena colombiana esiste dal 1982 e rappresenta gli 82 popoli indigeni colombiani. Luis Evelis Andrade Casama - oggi qui con noi - è il presidente di questa organizzazione, oltre ad essere stato da poco


Pag. 3

eletto, come dicevamo prima, presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano.
A Sud, come organizzazione italiana e come «ambasciata» - chiaramente uso il termine in senso politico, non ufficiale - in Italia dell'Organizzazione nazionale indigena colombiana, cerca di portare nel nostro Paese le denunce che le comunità indigene sollevano in Colombia e, in generale, in tutta l'America Latina.
Questo è il nostro ruolo di ponte e di strumento di facilitazione della comprensione tra Italia e America Latina.

PRESIDENTE. Do la parola a Luis Evelis Andrade Casama.

LUIS EVELIS ANDRADE CASAMA, Presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano. La ringrazio, signor presidente del Comitato per i diritti umani della Commissione affari esteri di questo Parlamento.
Questa visita si colloca in quella che noi popoli indigeni della Colombia abbiamo battezzato «diplomazia indigena», ed è ciò che altri chiamano azioni di impatto o di dialogo permanente con altri settori sociali, anche a livello internazionale.
In sostanza, stiamo parlando della situazione che vivono, in generale, i popoli indigeni della Colombia, della situazione dei loro diritti collettivi, riconosciuti non solo sul piano nazionale, ma anche nell'ambito giuridico internazionale; in concreto, parliamo della situazione dei diritti umani, che da molto tempo è motivo di preoccupazione non solo per il sistema ONU, ma per la stessa Unione europea e per gli Stati e i Governi che la compongono.
Per far comprendere la grave situazione che i popoli indigeni vivono sul piano dei diritti umani, vorrei citare alcuni dati che, a mio avviso, è necessario rammentare. Negli ultimi sei anni abbiamo avuto 1.246 omicidi di membri e leader di comunità indigene, nell'ambito del conflitto armato in corso nel Paese. Tra l'altro, spesso sulla scena internazionale il governo si impegna a negare questi fatti, mentre noi riteniamo che le politiche portate avanti dallo Stato colombiano e dai suoi ultimi governi sul piano della sicurezza non abbiano prodotto per noi alcun miglioramento della situazione. Anzi, il conflitto si è impadronito dei nostri territori facendone uno scenario di guerra e siamo noi a subirne le conseguenze, con tutti questi assassinii in cui si ravvisa una grossa responsabilità degli stessi membri delle forze dell'ordine e dello Stato.
È molto grave che, su una popolazione indigena di 1 milione 300 mila persone, negli ultimi sei anni abbiamo registrato 70 mila sfollati che con la forza sono stati costretti a vivere una situazione di sradicamento territoriale, di perdita dell'identità culturale, con tutto ciò che ne deriva sul piano socio-economico e in termini di sofferenze che essi hanno dovuto affrontare con l'arrivo in città.
Occorre, poi, considerare la gravità della situazione per effetto del conflitto e dell'incuria dello Stato. Ad esempio, abbiamo rilevato una crescente denutrizione in gran parte dei nostri popoli, che sta causando la morte di molti bambini.
Esiste, inoltre, una grave situazione che noi definiamo «genocidio» o «etnocidio» a causa delle caratteristiche che il problema ha assunto: abbiamo 18 popoli ad alto rischio di estinzione. Tale fenomeno non è registrato solo dal nostro sistema di informazione, ma anche dall'Alto Commissariato ONU per i profughi e, in generale, dal sistema delle Nazioni Unite. Questa grave situazione ha determinato appelli e raccomandazioni da parte del sistema ONU, soprattutto da parte del Relatore speciale sui diritti umani e le libertà fondamentali dei popoli indigeni.
Peraltro, fino a questo punto non sono stati assunti i necessari provvedimenti per arginare questo gravissimo fenomeno. Questi popoli sono a rischio di estinzione per vari fattori: per le guerre, per la mancanza di assistenza, per l'espropriazione dei loro territori e perché il modello di sviluppo che viene applicato semplicemente si occupa di estrarre risorse naturali senza reinvestire nelle risorse sociali e nel miglioramento della qualità della vita delle popolazioni.
Desidero far notare che con grande preoccupazione rileviamo che nel nostro


Pag. 4

Paese, che già nel 1991 riconobbe i diritti dei popoli indigeni e che, da parte di vari organismi seri e accreditati a livello internazionale, è stato definito uno dei Paesi con la legislazione più avanzata nei confronti dei diritti dei popoli indigeni, la realtà è ben lontana da quanto detta il testo costituzionale. Ciò è molto preoccupante soprattutto adesso, dal momento che stanno passando diverse leggi che, smontando la Costituzione, smontano anche i nostri diritti.
A ciò si aggiunge che, nei confronti dei processi di mobilitazione e di rivendicazione dei nostri diritti che abbiamo avviato nell'ultimo anno, finora abbiamo ricevuto una risposta bellica, un trattamento militare. Quando il governo afferma che noi siamo criminali, terroristi, orientati a favore della sovversione, ciò rappresenta solo una scusa, un pretesto per non accettare la realtà e non rispondere alle nostre giuste richieste, che riguardano, come ho detto, diritti riconosciuti sul piano nazionale e internazionale.
Inoltre, è grave che lo Stato colombiano sia l'unico in America latina ad essersi rifiutato di adottare, due anni fa, la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite. La Colombia è anche l'unico Paese a opporsi all'adozione della Dichiarazione interamericana sui diritti dei popoli indigeni.
Vogliamo anche far sapere che, siccome noi viviamo le conseguenze del conflitto, auspichiamo una soluzione politica e dialogata e ci auguriamo che vi sia in futuro la volontà delle parti, e in particolare dello Stato, affinché i popoli indigeni - i contadini e molti altri - non continuino a pagare questo alto tributo di sangue a una guerra di cui non siamo responsabili.
Un'altra situazione da analizzare nell'ambito dei diritti umani è la seguente: non si capisce come mai lo Stato voglia che la comunità internazionale ritiri tutte le sue richieste e provvedimenti sul piano dei diritti umani, quando nel nostro caso abbiamo, ad esempio, otto popoli indigeni che sono stati oggetto di misure cautelari e in alcuni casi, ormai, di misure provvisorie sia da parte della Commissione interamericana per i diritti umani che della Corte interamericana dei diritti umani.
Appena ieri sono venuto a conoscenza dell'emanazione di misure cautelari da parte della Commissione interamericana per i diritti umani a favore di 32 leader indigeni del dipartimento del Cauca, che sono stati minacciati e additati dal governo del presidente Uribe nell'ottobre scorso, quando si sono mobilitati per esigere il dialogo e il rispetto degli accordi tra governo e popoli indigeni. Quando abbiamo reclamato una soluzione anche alle esigenze territoriali e l'adozione della Dichiarazione interamericana dei diritti dei popoli indigeni, la risposta è stata militare: un trattamento bellico con più di cento feriti e numerosi morti, che ha fatto sì che la Commissione interamericana emanasse queste misure cautelari.
Noi indigeni in Colombia abbiamo avviato un processo di mobilitazione, di unità tra i popoli indigeni e di appello ad altri settori sociali. Tale processo è stato definito «la parola che cammina»: siamo infatti uomini e donne della parola, e riteniamo che l'unico modo per risolvere i conflitti e le divergenze e per trovare una soluzione ai nostri problemi sia quello di far camminare la parola in modo dinamico, attivo e impegnato, affinché ciascuno si assuma le proprie responsabilità.
Come popoli siamo soggetti politici e non ci aspettiamo soltanto di ricevere, ma ci assumiamo anche la responsabilità di contribuire, con il nostro sapere e con la nostra esperienza, alla costruzione della pace in Colombia.
Questo è ciò che desidero esprimere a nome del movimento, chiedendo la vostra solidarietà e il vostro sostegno, in modo che siate al corrente di tutto ciò che potrebbe accadere nel corso di quest'anno sul piano dei diritti umani. Si tratta di un dialogo possibile - molto difficile, certo - tra Governo colombiano e popoli indigeni.
Vogliamo anche che la Comunità internazionale sappia che noi non siamo un problema, non siamo dei terroristi, anzi abbiamo sempre avuto una vocazione pacifica, per il dialogo. Ci hanno ingannati,


Pag. 5

ma continuiamo a credere che la parola possa agire e contribuire a trasformare la realtà.
In questo senso, vi ringrazio dell'ascolto che avete prestato ai popoli indigeni per mio tramite e spero che, d'ora in avanti, possiate dedicare la vostra attenzione e uno sguardo diverso a quanto accade da noi. Non tutto ciò che appare è negativo, ma nemmeno così positivo come a volte il Governo desidera mostrare, come se da noi non succedesse niente.
Siamo convinti che la difesa dei diritti umani e della vita non riguarda solo lo Stato colombiano, ma è questione che esige la solidarietà e la consapevolezza internazionale e di tutta l'umanità.

PRESIDENTE. Ringrazio Luis Evelis Andrade Casama per quello che ci ha detto e per averci rappresentato una situazione drammatica, che alcuni di noi conoscevano solo in modo estremamente generico e vagamente giornalistico.
La sua testimonianza, dunque, è molto importante e non andrà perduta. Lo ringrazio soprattutto per la frase conclusiva con cui ci ricorda che la responsabilità di ciò che accade nel mondo, in un Paese nel quale la vita umana e i diritti sono ignorati, calpestati e negati, ricade su tutti noi, non conosce confini geografici e politici e non conosce esenzioni da parte del resto degli esseri umani.
Do quindi la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FABIO PORTA. Signor presidente, intanto vorrei ringraziare lei, in qualità di presidente di questo Comitato, per l'iniziativa opportuna e importante di avere invitato oggi il presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano. Ringrazio anche i rappresentanti delle ONG italiane che lo hanno accompagnato.
Come lei sa, presidente, sono residente in Brasile; vivo in Sudamerica da più di dieci anni e ho seguito da vicino l'evoluzione - e l'involuzione, in alcuni casi - del rapporto con le popolazioni indigene.
In questo fine settimana ero nei Paesi andini e ho avuto l'opportunità di incontrare, un paio di giorni fa, il Presidente della Bolivia, Evo Morales, che rappresenta forse l'esempio più avanzato e positivo della conquista dei diritti da parte delle popolazioni indigene. È un presidente indio che sta contribuendo, con la sua testimonianza di vita e la sua traiettoria politica, a dimostrare che gli indigeni hanno non soltanto pari dignità politica e civile, ma anche una grandissima capacità e potenzialità di esprimere questi diritti nella gestione dei propri Paesi. Si tratta di Paesi che sono stati in tanti secoli espropriati da parte delle élite che li hanno conquistati e depredati e che oggi, con tanta fatica, stanno recuperando un rapporto positivo con queste popolazioni.
In Bolivia, il 25 gennaio si terrà un importante referendum costituzionale che ha, tra i propri temi centrali, il riconoscimento ai popoli indios di una presenza specifica nel Parlamento.
Oggi abbiamo ascoltato l'altro polo sudamericano della questione e forse la Colombia vive esattamente il problema opposto. Credo che, di fronte alla negazione dei diritti e del rispetto delle comunità e, addirittura, a episodi come quelli ai quali si riferiva il presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano - episodi rispetto ai quali il presidente parlava di una certa connivenza e complicità anche da parte dell'attuale Governo presieduto da Uribe - questa Commissione e, in particolare, il Governo dovrebbe perlomeno intervenire per chiedere chiarimenti e delucidazioni nei consessi internazionali e nell'ambito dei rapporti diplomatici che intratteniamo con la Colombia.
La Colombia è un grande Paese con il quale esistono rapporti e vincoli di amicizia, che, però, non devono precludere la perseveranza, da parte di un altro Paese democratico come l'Italia, nel verificare e appurare episodi di tal genere. Quindi, questo è un motivo in più per riaffermare il plauso a questo Comitato e per ringraziare il presidente per il suo intervento.

ENRICO PIANETTA. Signor presidente, farò un brevissimo intervento per ringraziare della testimonianza il presidente Luis


Pag. 6

Evelis Andrade Casama. Non è la prima volta che, in questa sede, ascoltiamo notizie sulla realtà colombiana; anche recentemente abbiamo avuto la possibilità di ascoltare altre testimonianze di rappresentanti del mondo indigeno.
Indubbiamente, quando ascoltiamo queste testimonianze, proprio in ragione del principio dell'universalità dei diritti umani, siamo sempre umanamente presi da sconforto. Ci dobbiamo chiedere, allora, che cosa possiamo fare. La realtà indigena in America Latina è la più debole e, di conseguenza, subisce sempre delle offese. Questo non avviene soltanto in Colombia. Il collega che mi ha preceduto, che è un grande conoscitore del Brasile, sa che anche in Brasile esistono delle realtà quanto mai precarie per quanto riguarda le comunità indigene. Mi è capitato di andare in quelle zone e di poter constatare la realtà quanto mai precaria della vita di quelle popolazioni. Così è anche la realtà colombiana.
Non c'è dubbio che la Colombia soffre, ormai da troppo tempo, di una grande contrapposizione, perché parte del Paese - come sappiamo - è in una condizione per la quale il Governo riesce difficilmente a trovare delle soluzioni. Esiste un contrasto tremendo, una battaglia continua e, nell'ambito di questa realtà così conflittuale, le comunità indigene subiscono soprusi proprio perché sono le più deboli e le più indifese.
Come diceva il presidente, esiste, di fatto, un atteggiamento di disattenzione e, da parte della comunità internazionale, si ravvisa forse una non completa collaborazione. Sapere che ci sono realtà di malnutrizione dei bambini, in un Paese che potrebbe sfamare tutti, è un fatto ulteriormente negativo, che ci deve preoccupare. Il punto, allora, è chiedersi cosa è possibile fare. Credo che la soluzione sia quella di sollecitare - questo lo possiamo fare - delle risposte attraverso il dialogo, senza dimenticare che il Governo colombiano è da tanto tempo impegnato a combattere la guerriglia e i narcotrafficanti che occupano la metà o un terzo (non ricordo bene, ma si tratta di una parte veramente ampia del territorio) dell'area colombiana. Del resto, il Presidente Uribe è stato riconfermato proprio con il mandato di debellare la realtà del narcotraffico, che si ripercuote negativamente su tutti i Paesi nei quali i narcotrafficanti sviluppano i propri traffici indegni.
Ebbene, da una parte bisogna fare in modo che, pur nell'ambito della lotta che il Governo colombiano porta avanti su questo fronte, ci sia un'attenzione nei confronti di questi popoli affinché non soffrano, in quanto deboli, di tale contrapposizione; dall'altra parte, credo che possiamo appellarci alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite perché ci possa essere una maggiore attenzione alla realtà dei popoli indigeni, che non è legata solo alla tragica situazione colombiana, ma anche alla precarietà che si registra in altri Stati.
Credo che queste mie semplici e superficiali considerazioni possano difficilmente offrire un contributo alla soluzione di un tema così delicato e importante. Partendo, però, dalla necessità di promuovere e tutelare i diritti umani in qualunque sede, credo che sia importante il coinvolgimento di tutte le nostre forze per fare in modo che questo percorso possa, quantomeno, avere inizio. Ritengo, altresì, che questa sia l'unica possibilità che il nostro Comitato può mettere in atto, nella volontà di continuare a mantenere un contatto che ci permetta di conoscere ed approfondire sempre di più la condizione così difficile dei popoli indigeni.

MARIO BARBI. Signor presidente, vorrei approfittare di questa occasione per chiedere al presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano qualche informazione su una questione che non conosco. In particolare, vorrei sapere qual è la consistenza di queste popolazioni indigene nei principali Paesi latinoamericani in cui opera il movimento.
Siccome mi ha colpito il riferimento al numero dei popoli - per la Colombia si è parlato di oltre ottanta - mi chiedo come avvenga questa definizione, di quali gruppi si tratta e di che entità. Vorrei inoltre


Pag. 7

conoscere il rapporto esistente tra il tema generale della cittadinanza e dell'esercizio e del riconoscimento di uguali diritti a questi cittadini nei vari Paesi - se essi possono, cioè, esercitarli in quanto loro riconosciuti - e le rivendicazioni di gruppo, i diritti collettivi che sono stati evocati. Insomma, chiedo dove sia il bilanciamento.
Mi permetto, in conclusione, una nota a margine: vediamo come, in questo caso, la definizione di «terrorista» sia impiegata da un Governo legittimo in modo improprio. Questo mi induce a fare una riflessione sull'uso dei termini nelle nostre discussioni. Chiedo che si abbia maggiore precisione quando, tra di noi, tendiamo a fare di ogni erba un fascio. Esistono movimenti di resistenza, movimenti di rivendicazione di diritti, popoli che resistono a oppressioni, che devono essere riconosciuti e diversamente qualificati.

PRESIDENTE. Nel dare la parola a Luis Evelis Andrade Casama per una breve replica, gli chiederei di aiutarci a capire meglio, sulla base delle domande poste, la situazione che ci ha illustrato, avviando alla conclusione questo nostro incontro.

LUIS EVELIS ANDRADE CASAMA, Presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano. Innanzitutto vorrei dire che la realtà dei popoli indigeni in America Latina ha alcuni tratti comuni. La Banca mondiale stessa, in un suo rapporto relativo al decennio 1994-2004, afferma che i popoli indigeni dell'America Latina - in particolare i bambini e le donne - hanno il minor accesso all'istruzione e alla sanità. Spesso più dell'80 per cento delle loro esigenze fondamentali rimane insoddisfatto.
In alcuni casi, come in Colombia, il governo riconosce 87 popoli con 64 lingue diverse. Nell'ambito della nostra organizzazione, abbiamo registrato 112 popoli che si autodichiarano indigeni, cioè popoli originari. La grande domanda è la seguente: se siamo una società democratica che riconosce i diritti, come mai questi popoli continuano negli anni a calare in termini demografici? Abbiamo infatti popoli la cui entità non supera i settanta individui ed è grave che, in un Paese democratico che riconosce i diritti e ha responsabilità internazionali, i popoli continuino a ridursi demograficamente, invece di crescere.
Questa è, a nostro avviso, una strategia praticamente deliberata, che punta all'estinzione di questi popoli. Pur facendo parte della società colombiana e avendo i diritti di tutti i cittadini, a causa della loro condizione culturale - si tratta infatti di popoli ancestrali, con una diversa visione del mondo - godono di un riconoscimento non solo nazionale, ma anche internazionale, come stabilito dalla Convenzione OIL 169 e ultimamente anche dalla Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni emanata dalle Nazioni Unite.
Bisogna anche tener conto della realtà in altri Paesi, dove non sempre gli indigeni, pur essendo maggioranza, vedono riconosciuti i propri diritti e la propria dignità, come diceva prima l'onorevole Porta. In Bolivia e in Ecuador, nonostante l'esclusione che ci accomuna, sono riusciti a produrre dei cambiamenti mediante i loro processi di mobilitazione e organizzazione, perché in quei Paesi gli indigeni costituiscono delle maggioranze. Noi rappresentiamo soltanto il 3,1 per cento della popolazione colombiana. La logica delle maggioranze risponde a una visione errata della democrazia. È sbagliato, infatti, concepire la democrazia nel senso che le maggioranze hanno sempre ragione e possono assoggettare gli altri.
Con l'argomento della maggioranza si applica anche il concetto del benessere comune e, sulla base di tale premessa, si disconoscono i nostri diritti, specie quando si tratta di progetti di sviluppo che colpiscono la nostra integrità culturale e la nostra sopravvivenza.
Un aspetto che è il caso di sottolineare relativamente all'America Latina è che i popoli indigeni contribuiscono alla soluzione dei problemi. Abbiamo detto che in Bolivia e in Ecuador si sono generati cambiamenti politici verso una democrazia reale; non c'è stato bisogno di ricorrere


Pag. 8

alla lotta armata. Anche noi in Colombia diciamo questo: i cambiamenti sono possibili senza il ricorso alle armi.
Questo ci procura molti problemi perché, da una parte, c'è chi pensa che bisogna abbattere il potere e strapparlo con le armi, dall'altra chi pensa di sostenere il potere stesso, sempre comunque con le armi. Quello che noi reclamiamo è l'autonomia di azione e di pensiero, perché pensiamo che sia la parola a dover giocare; è il dialogo lo strumento appropriato per risolvere i problemi.
C'è un problema di esclusione pratica. Ormai la maggioranza degli Stati latinoamericani ha riconosciuto i diritti dei popoli, ma c'è un problema di volontà politica. Quello che proclamano le Costituzioni deve avere un riflesso nei bilanci, nelle politiche, nei programmi specifici per risolvere i problemi e rendere così possibile la pace. Sono tante le cose che si potrebbero dire sulla situazione dei popoli indigeni in America latina. È per questo che noi ci rechiamo al Forum sociale, per esporre i nostri punti di vista e non presentare la nostra realtà soltanto sotto il profilo tragico. Vogliamo portare anche il contributo prezioso delle nostre società, dei nostri popoli alla trasformazione della realtà latino-americana, come già si è verificato con la nascita di queste nuove democrazie, quando sono sorti questi Stati multinazionali, quando sono stati sanciti questi nuovi diritti che, tuttavia, è stato difficile riconoscere in altri Paesi.
Insomma, noi chiediamo alla comunità internazionale di preoccuparsi della nostra difficile situazione, ma chiediamo anche appoggio, sostegno e riconoscimento di tutto il buono che stiamo realizzando. In altre occasioni potremmo illustrarvi tutto ciò che i nostri popoli attuano nei loro territori sul piano della convivenza, dei rapporti con la natura, del controllo sociale, della giustizia, del Governo. Sono tanti i valori e gli aspetti di vita che i nostri popoli possono offrire. Noi non vogliamo che questi valori muoiano; essi devono continuare a vivere ed essere un contributo all'umanità.
Concludo ringraziandovi per l'ascolto e per le preoccupazioni che avete espresso. Fa parte del nostro lavoro cercare un modo per suscitare elementi di vita, piuttosto che di morte, nei nostri Paesi.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per averci consentito questo lavoro insieme. La loro testimonianza non andrà perduta. Questo è ciò che abbiamo ascoltato e, per quanto riguarda alcuni di noi, imparato nell'incontro di oggi.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,40.

Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive