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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione IV
6.
Martedì 27 gennaio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ACQUISIZIONE DEI SISTEMI D'ARMA, DELLE OPERE E DEI MEZZI DIRETTAMENTE DESTINATI ALLA DIFESA NAZIONALE, A VENTI ANNI DALL'ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE 4 OTTOBRE 1988, N. 436

Audizione di rappresentanti dell'Associazione Industrie per l'Aerospazio, i Sistemi e la Difesa (AIAD):

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2 5 6 11
Festucci Carlo, Segretario generale dell'AIAD ... 5 7 8
Garofani Francesco Saverio (PD) ... 6
Pertica Remo, Presidente dell'AIAD ... 2 5 6 8 11
Speciale Roberto (PdL) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 gennaio 2009


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 12,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione Industrie per l'Aerospazio, i Sistemi e la Difesa (AIAD).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa nazionale, a venti anni dall'entrata in vigore della legge 4 ottobre 1988, n. 436, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione industrie per l'aerospazio, i sistemi e la difesa (AIAD).
Prima di dare avvio ai nostri lavori, intendo rivolgere un sentito ringraziamento all'ingegner Remo Pertica e al dottor Carlo Festucci, rispettivamente presidente e segretario generale dell'AIAD, per il contributo che con la loro partecipazione alla seduta odierna forniranno ai nostri lavori, nel quadro dell'importante indagine conoscitiva in oggetto, che riveste un valore determinante sia per la Commissione, sia - abbiamo la presunzione di dire - per i lavori complessivi di riorganizzazione parlamentare nel settore della difesa.
Do la parola all'ingegner Remo Pertica, presidente dell'AIAD.

REMO PERTICA, Presidente dell'AIAD. Signor presidente, vorrei innanzitutto ringraziarvi dell'invito rivoltoci, anche perché più si parla dei problemi della difesa, più i nostri problemi vengono dibattuti e, dunque, portati a conoscenza di tutti.
Permettetemi di spendere due parole sull'AIAD, l'associazione che raggruppa la maggior parte delle società operanti nel settore dell'aerospazio e della difesa.
Oggi abbiamo circa centoventi società iscritte, che impiegano un totale di 55 mila persone. Tutto il comparto dell'aerospazio, della difesa e della sicurezza nel 2007 - non abbiamo ancora a disposizione i dati del 2008 - ha fatturato intorno ai 12 miliardi di euro. Nel 2007 la bilancia dei pagamenti, confrontando le importazioni con le esportazioni, è stata attiva, nel nostro settore, per circa 4,5 miliardi di euro.
Questo comparto, quindi, porta un notevole contributo sotto tutti i punti di vista: non soltanto sotto l'aspetto tecnologico, per il quale siamo più conosciuti, ma anche per quanto concerne la forza lavoro del nostro Paese.
Per il 2008, rispetto alle cifre citate, si prevedono dei miglioramenti che oscillano tra il 5 e il 10 per cento.
So che, nei mesi scorsi, avete tenuto diverse audizioni: probabilmente ciò che noi diremo oggi, per qualche verso, sarà anche una ripetizione di quanto avete già sentito. Su tali aspetti cercherò di essere molto breve.


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Vorrei iniziare facendo una rassegna degli avvenimenti principali che hanno portato alla situazione odierna, sia dal punto di vista industriale, sia dal punto di vista europeo, anche considerando le commesse e le attività che il Ministero della difesa sta portando avanti e quelle che ha prospettato per gli anni futuri.
Per finire, vorrei concentrarmi sui principali programmi che le tre Forze armate hanno oggi in atto, mettendone in evidenza gli aspetti positivi e, ovviamente, le criticità.
Credo che nessun intervento o discussione in materia possa non iniziare dagli avvenimenti del 1989, quando, con la caduta del muro di Berlino, si sono verificati due fatti importantissimi: una forte diminuzione delle spese militari e il fatto che la domanda interna da parte delle forze armate americane non è stata più sufficiente a compensare tale diminuzione. I grandi gruppi americani, anche nel campo della difesa e della sicurezza, hanno cominciato a guardare prevalentemente verso l'Europa.
Il secondo anno importante è stato il 1991: durante la guerra del Golfo, condotta prevalentemente dalle forze armate americane, le forze armate stesse si sono rese conto di una forte inadeguatezza degli equipaggiamenti in loro dotazione.
Dal 1993 al 1997 è iniziata la concentrazione industriale a livello europeo: si sono avuti il raggruppamento delle cinque nazioni principali (Francia, Germania, Italia, Spagna e Inghilterra), la firma della lettera di intenti (LOI), l'ingresso della Svezia e la creazione dell'OCCAR (Organizzazione congiunta di cooperazione in materiali di armamenti), l'agenzia che dovrebbe trattare i grandi progetti internazionali.
In parallelo, negli Stati Uniti, proprio a partire da tutte le lezioni imparate nel corso della guerra del Golfo, è iniziata una fortissima concentrazione industriale. Le forze armate hanno cessato di acquistare singoli apparati, preferendo interi sistemi. Questo ha permesso loro di avere una buona visione tecnologica e enormi capacità, non soltanto sistemistiche, di mettere insieme tutte le varie componenti per rispondere al requisito operativo.
Nel 1999 c'è stato l'intervento in Serbia, durante il quale si è vista l'inadeguatezza degli equipaggiamenti europei, dal punto di vista sia della capacità di risposta sia, soprattutto, dell'interoperabilità tra i sistemi che le diverse forze armate europee riuscivano a mettere sul campo.
Dal 1999 al 2004 abbiamo assistito al periodo della forte concentrazione dell'industria europea. Penso che tutti siano a conoscenza dei movimenti di Finmeccanica, ma non solo, perché anche British Aerospace e l'EADS (European Aeronautic and Space Company), in quel periodo, sono state particolarmente attive.
Nel 2004 c'è stata la creazione dell'Agenzia europea della difesa (EDA), il cui scopo principale è lo sviluppo, su base volontaria, di nuovi programmi delle forze armate europee. Nel 2005-2006, è stato introdotto il codice di condotta per l'acquisto dei prodotti militari da parte dell'EDA.
Arriviamo così ai giorni nostri, con la discussione e l'approvazione, tra il 2007 e il 2009, da una parte, della direttiva europea sugli acquisti e, dall'altra, del controllo delle esportazioni e delle tecnologie militari.
Nella situazione di oggi, a livello europeo, dei ventisette Paesi europei, ventisei sono nell'EDA e sei nell'OCCAR. Il nostro mercato, a livello europeo, è quindi fortemente frammentato. Due Paesi, Francia e Inghilterra, cercano di tenere il bandolo della matassa; subito dietro questi ultimi abbiamo Italia, Germania e Spagna; e tutti gli altri fanno parte del flusso.
Vorrei dire due parole sulle spese, toccando dolenti note.
Negli Stati Uniti, nel 2007, le spese militari sono state pari a 154 miliardi di euro contro i 57 in Europa. Le spese per la ricerca e lo sviluppo, sempre nel 2007, negli Stati Uniti sono state pari a 57 milioni di euro contro i 10 milioni di euro in Europa.


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A questo punto, è inutile che io parli delle cifre italiane, che sono veramente ridotte. Per tutte le attività della difesa noi spendiamo, come è noto a tutti, meno dello 0,1 per cento del PIL, contro l'1,2 per cento della Germania, il 2 per cento della Francia, il 2,1 per cento - dati attuali - dell'Inghilterra, tenuto conto, però, che queste nazioni hanno dei bilanci molto più grossi dei nostri. Noi siamo, quindi, quelli che investono meno in percentuale, ma anche in assoluto: quel che noi spendiamo è veramente poca cosa.
L'altra considerazione che a noi piace fare è che gli altri Paesi europei - soprattutto quelli più avanzati, sotto ogni punto di vista, e che possono spendere di più - hanno una pianificazione molto rigorosa; nel senso che, a distanza di pochi anni, i Ministri della difesa presentano in Parlamento dei libri bianchi che elencano tutti i programmi di interesse delle forze armate del loro Paese, per il quinquennio o il decennio successivo.
In Inghilterra, oltre a questa pianificazione rigorosa, essenziale per l'industria, vengono addirittura pubblicate le tecnologie che i Ministeri, in primo luogo della difesa, ma anche dell'industria, ritengono fondamentali per il Paese e su cui, quindi, è assolutamente necessario investire. Queste tecnologie devono essere mantenute all'interno del Paese per ragioni non soltanto di sicurezza, ma anche economiche.
Le nostre Forze armate sono in grado di pianificare, lo fanno benissimo, e credo che abbiano anche le idee molto chiare su quanto è necessario fare. Tuttavia, ogni anno, nonostante questa pianificazione - che dal punto di vista delle Forze armate è altrettanto rigorosa - noi andiamo a combattere con i finanziamenti.
Da un punto di vista industriale, quindi, è assolutamente necessario, anche in momenti di crisi, anche quando non c'è grande disponibilità di fondi per sviluppare i programmi, che almeno quei pochi disponibili siano sicuri. Questo, infatti, comporta occupazione ed è legato agli investimenti che i gruppi devono fare.
In conclusione di questa mia prima rassegna, desidero svolgere la seguente considerazione. Sentiamo dire sia dal Governo, sia dall'opposizione, senza differenze, che, nel momento particolare di crisi che stiamo incontrando, bisogna cercare di far muovere l'economia e, quindi, di fare degli investimenti per mantenere l'occupazione. Da qui deriva il discorso relativo alle grandi opere civili.
Si sta parlando, in questi giorni, di aiuti da concedere alla FIAT, perché la crisi dell'auto è indubbiamente pericolosa, anche dal punto di vista occupazionale.
Non sento mai nessuno dire, tuttavia, che noi abbiamo un'industria dell'aerospazio, della difesa e della sicurezza che ha 60 mila addetti diretti; se consideriamo anche quelli indiretti - applicando un fattore moltiplicativo che va da 2,5 a 3 volte - arriviamo a calcolare che dalle 150 alle 200 mila famiglie lavorano su commesse non soltanto nazionali, ma anche su quelle che le nostre industrie riescono, con grande fatica, ma anche con capacità, a prendere all'estero.
Nonostante questo, anche da parte degli addetti ai lavori, non ho mai sentito qualcuno dire che, per rilanciare l'economia, si potrebbero considerare uno o più programmi militari e cominciare a investire fortemente su questi, tenuto conto che, nel 95 per cento dei casi, gli investimenti tecnologici nel settore della difesa generano poi delle fortissime ricadute anche sul mercato civile.
Oggi c'è una forte osmosi, perché le tecnologie militari si appoggiano molto su quelle civili, ma queste ultime generano anche ricadute. Non parlo solo dello spazio, per cui si registrano numeri impressionanti, ma anche delle componenti navale, terrestre e aeronautica che, indubbiamente, influenzano molto le attività nel settore civile.
Avendo concluso questa parte della mia relazione, se non ci sono domande, vorrei parlarvi ora brevemente dei principali programmi che le tre Forze armate hanno nei relativi settori.


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PRESIDENTE. Mi scusi. Visto che sta passando a una fase successiva, la interrompo. Avevo preparato alcune domande cui lei ha risposto mentre parlava tranne ad una (forse mi è sfuggito questo passaggio).
Avete una stima del trend o del ritmo di crescita, in percentuale del PIL, nel settore specifico della difesa, dell'aerospazio e della sicurezza, in modo da poterlo paragonare alla crescita complessiva dell'Italia? A livello nazionale siamo in recessione, per quanto riguarda il PIL, ma con quale percentuale cresce annualmente il settore specifico? Avete qualche dato?

REMO PERTICA, Presidente dell'AIAD. No, io non ce l'ho.

CARLO FESTUCCI, Segretario generale dell'AIAD. Lo stiamo formando, perché normalmente chiediamo i dati statistici alle aziende quando fanno i bilanci: credo che avremo il dato preciso intorno a maggio o giugno.

PRESIDENTE. Sarebbe interessante capire se, come pensiamo, questo è un settore vivo, nonostante la crisi, essendo un'eccellenza del sistema Italia.
Ci hanno insegnato che nella globalizzazione una nazione deve investire in quei settori che sono competitivi a livello mondiale. Non farlo diventa una cosa controproducente o uno spreco, nella migliore delle ipotesi.
Si tratterebbe di un'informazione utile anche per il Governo, per il Ministero dell'economia e delle finanze e per il Ministero dello sviluppo economico, se fosse confermato che c'è un settore che si conferma un'eccellenza in controtendenza sul quale puntare; e questo per tutte le motivazioni che avete poc'anzi esposto.

CARLO FESTUCCI, Segretario generale dell'AIAD. Mi permetta, presidente Pertica, di aggiungere rapidamente due considerazioni.
Quando diciamo, come faceva il presidente Pertica, che nel nostro settore la bilancia commerciale dei pagamenti è in attivo, ciò significa che il nostro è un trend più in positivo che in negativo. Ebbene, io mi porrei il problema di come sarebbe se non ci fossero tutte quelle burocrazie che ci impediscono di avere un ruolo significativo.
Parlo, ad esempio, della legge n. 185 del 1990, che mi veniva in mente mentre il presidente poneva questa domanda. Ci troviamo nella condizione per cui, benché la legge suddetta è una norma che rispettiamo e che, dal nostro punto di vista, non ha comportato grandi difficoltà, a creare problemi sono i regolamenti attuativi, in base ai quali, delle tante amministrazioni, ciascuna vuole cose diverse e alcune ci chiedono documenti difficilmente recuperabili. Ne cito solo uno, a titolo esemplificativo: per alcuni programmi che facciamo con l'Inghilterra, le nostre istituzioni hanno bisogno di un documento che in quel Paese non esiste più - l'hanno abolito - e che, quindi, è difficilmente recuperabile.
Abbiamo, quindi, una serie di burocratismi che non ci consentono di stare sul mercato come vorremmo. Ripeto, non mi riferisco tanto alla legge n. 185, quanto ai regolamenti attuativi e alla burocrazia.

PRESIDENTE. Ci vorrebbe un'interpretazione autentica oppure una risoluzione, magari del Parlamento, che impegni il Governo a fare diversamente.

CARLO FESTUCCI, Segretario generale dell'AIAD. La seconda cosa, legata alla prima, è la storia delle banche etiche. Esse non creano problemi significativi alla grande impresa, perché Finmeccanica e Fincantieri, in qualche modo, risolvono le difficoltà, avendo un livello di internazionalizzazione tale da riuscire a gestirle. Ma immaginate che cosa possa significare questo per le piccole e medie imprese.
A noi è capitato addirittura che un'azienda, agendo nel rispetto della legge italiana n. 185 - le banche intendono il fatto che noi la rispettiamo come una cosa negativa -, dovendo ricevere dei soldi che, peraltro,


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arrivavano dagli Stati Uniti (non dalla regione del Tanganica) se li è visti trattenuti da una banca, in ragion della legge suddetta, essendo quella una banca etica. La banca non li ha rifiutati: li ha presi, ma non li ha versati all'azienda in questione. Questo è uno degli esempi più clamorosi.
Stiamo cercando di risolvere questa storia delle banche etiche anche in rapporto con l'ABI, anche se ci sono una serie di problemi. Credo che la questione debba essere affrontata insieme alla legge n. 185, per consentire alle aziende di lavorare non in modo strano, ma quantomeno così come lavorano i partner internazionali.
Parlo dei partner europei, che spesso vanno in giro per il mondo a dire che comprare un prodotto italiano significa cadere sotto la tagliola di queste leggi, che imporranno poi agli acquirenti, se dovessero avere bisogno di un pezzo di ricambio, di dover fare una trafila simile a quella che si dovrebbe fare per comprare un altro aereo.
Rischiamo davvero di andare incontro a situazioni di questo tipo. Lo dico soltanto - anche perché il presidente l'ha ribadito molto chiaramente - in risposta a quanto si chiedeva sul nostro potenziale trend.
Se avessimo una situazione chiara, probabilmente faremmo cose ancora migliori di quelle buone che già facciamo.

PRESIDENTE. Grazie, ingegner Festucci. Do la parola all'onorevole Garofani, vicepresidente della Commissione.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Signor presidente, mi inserisco in questa fase perché credo sia quella più adatta per affrontare un tema che, in parte, è già stato toccato dalla sua domanda.
Il presidente Pertica ha fatto un paragone con la crisi che investe il settore dell'auto: ebbene, vorrei sapere se esiste una ricognizione o una stima di come la crisi, non solo italiana, ma globale, potrà investire questo settore in termini occupazionali.
Avete fatto riferimento a dati del 2007, ma immagino che lo scenario sia rapidamente cambiato. La mia domanda insiste soprattutto sulla parte che riguarda l'indotto, che lei ha detto è possibile stimare tra le 150 e le 200 mila famiglie.
Per quanto riguarda l'auto - secondo la stampa di questa mattina - si parla di 60 mila posti a rischio. Io so che molte piccole o medio-piccole imprese soffrono, in particolare, del ritardo dei pagamenti: penso ai subappalti e ad altri problemi che conoscete meglio di me.
Vorrei sapere se in merito a questo capitolo, in particolare, avete qualche ricetta da suggerire, soprattutto per agevolare le medio-piccole imprese, che soffrono la crisi in maniera sicuramente più pesante dei grandi gruppi.

REMO PERTICA, Presidente dell'AIAD. Comincio rispondendo alla seconda domanda, sulla quale ci trova preparatissimi perché, come AIAD, abbiamo organizzato, per lunedì 2 febbraio prossimo, un seminario delle piccole e medie industrie del nostro settore.
L'obiettivo è far conoscere e dibattere - e vedere se si trova una soluzione - i principali problemi esistenti, dal punto di vista delle diverse filiere (aeronautica, navale e terrestre), che naturalmente sono collegati a quelli della piccola e media industria nazionale.
Uno dei problemi che annualmente l'AIAD è purtroppo costretta ad affrontare è quello dei pagamenti che, in certi anni, quando va bene, cominciano già da metà anno, ma spesso da settembre in poi. Le direzioni generali incaricate che, una volta terminate le commesse, quindi accettati i sistemi e gli apparati, sono costrette, obbligate a pagare, non hanno i fondi per farlo.
Questo naturalmente colpisce la grande industria, ma soprattutto la piccola e media industria, che ha meno credito e, quindi, ha anche più difficoltà ad ottenere anticipazioni o forme di pagamento pro solvendo o pro soluto, che le consentano di avere prima i soldi, facendo così degli sconti,


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perché si pagano gli interessi su quanto si riceve.
Noi ci siamo dati da fare e, in questo seminario, proporremo delle iniziative che non soltanto sono volte a far ottenere, in maniera più agevole, il pagamento, ma anche ad avere degli anticipi in occasione del lancio dei grandi sistemi, di cui le società della filiera sono chiamate a far parte; nei nostri contratti, infatti, noi siamo chiamati ad investire, ma purtroppo, tranne che in qualche contratto internazionale, non riceviamo anticipi. I contratti, come vi dirò, riguardano i grandi sistemi e, quindi, noi veniamo pagati anche dopo quattro o cinque anni.
Una piccola società, anche con grandi capacità, che vuole essere all'interno del gruppo, all'interno della filiera, è quindi obbligata ad investire fin dal primo momento. Pochi possono, ma tanti non possono.
Anche questo è un argomento di cui ci siamo occupati, in maniera tale - per programmi con una buona base di realtà - da far ottenere alla piccola e media industria delle anticipazioni, piccole o grandi, a seconda del programma e delle garanzie che l'industria stessa sarà in grado di dare. Questo agevolerebbe la partecipazione e, contemporaneamente, manterrebbe attiva e viva questa filiera, estremamente importante sia per la grande industria, sia per il Paese.
Per quanto riguarda la prima domanda, essendo la nostra attività così frammentata, come vedremo, ci sono alcuni settori, come ad esempio quello dell'aeronautica, che soffrono meno. Altri settori, come ad esempio quello della componente terrestre, soffrono invece molto di più.
A seconda che una società si trovi da una parte o dall'altra, è più o meno colpita. Teniamo conto, però, che dal punto di vista industriale il primo provvedimento che la grande industria prende, nel momento in cui c'è la crisi, è di riportare all'interno tutti i lavori che aveva esternalizzato in precedenza. I primi a soffrire di questa crisi, quindi - e questo vale anche per le automobili, naturalmente - sono le piccole e medie industrie.
Calcolando le 150-200 mila famiglie, io credo che - braccio teso e mano oscillante: sono valutazioni indicative, ma saremo indubbiamente più precisi dopo le indagini che svolgeremo - se si mantiene questa condizione, ne soffriranno, come minimo, 20-30 mila persone.

CARLO FESTUCCI, Segretario generale dell'AIAD. Se posso aggiungere una cosa precisazione, questo dipende molto anche dai programmi internazionali. Cito l'esempio aeronautico, perché è quello più favorevole: capite che, se c'è la crisi lì, naturalmente essa si espanderà poi a macchia d'olio negli altri settori.
Se negli Stati Uniti si rallentano i programmi aeronautici - ad esempio, il Boeing 787 Dreamliner o, da un punto di vista militare, il Joint Strike Fighter - chiaramente questo produce un rallentamento anche della grande impresa e, immediatamente, a caduta, dei piccoli.
Quindi, noi stimiamo - proprio per rispondere in modo più preciso all'onorevole Garofani - che nel 2009 e nel 2010 ci sarà una fortissima crisi, soprattutto per la piccola e media impresa.
Lei chiedeva una ricetta. A mio avviso, in questo campo, dare una ricetta assomiglia a fare l'astrologo; tuttavia, se proprio dovessi darla, mi riferirei a quanto noi proporremo al convegno di cui si è parlato prima.
Ho, peraltro, scoperto che noi avevamo invitato tutti voi, fin da dicembre scorso, ma che nessuno ha ricevuto l'invito. Adesso stiamo cercando di recuperare, facendovelo avere. Spero che qualche onorevole possa venire. Noi non consideriamo il convegno un momento formale, fatto tanto per farlo, bensì un passaggio importante, a cui daremo seguito. La presenza di personaggi autorevoli come voi, quindi, è assolutamente necessaria, soprattutto per noi. Spero che lo sia anche per voi, per conoscere.
In ogni caso, per tornare alla ricetta, direi che è necessario, in primo luogo,


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trovare delle forme di accesso al credito, come diceva già l'ingegner Pertica: questo è fondamentale.
In secondo luogo, dobbiamo convincere la piccola e media impresa...

REMO PERTICA, Presidente dell'AIAD. La prima cosa è avere i programmi...

CARLO FESTUCCI, Segretario generale dell'AIAD. Certo, questo lo do per scontato.
Data la situazione, la prima cosa necessaria è l'accesso al credito. In secondo luogo, è necessario che queste aziende possano conoscere i programmi, per poter pianificare; altrimenti non ce la faranno mai. In terzo luogo, dobbiamo convincere le piccole e medie imprese a consorziarsi: si devono mettere assieme. Se non lo faranno, il mercato sarà assolutamente selettivo. Mettersi assieme non vuol dire vendersi l'una all'altra: sarà necessario fare dei consorzi, mettere assieme dei programmi comuni di investimento.
Per andare avanti, tuttavia, noi abbiamo bisogno che la tecnologia rimanga in questo Paese e che vi sia visibilità sui programmi.
Uno dei capitoli per mantenere la tecnologia sono gli offset, argomento di cui non abbiamo parlato. Dato che ormai non ci sono più programmi nazionali - io, ragionevolmente, non posso immaginare che, in tempi rapidi, ce ne sia uno significativo - se non pensiamo a negoziare offset diretti, quindi con una vera ricaduta tecnologica, corriamo il rischio che soprattutto la piccola e media impresa perda in professionalità e in tecnologia. Si perde in un anno, ma non ne basteranno dieci o quindici per ricostruire. Questo sarebbe un danno incalcolabile.

REMO PERTICA, Presidente dell'AIAD. Riprendendo l'esame dei programmi - è presente il generale Speciale, quindi è lui che ci insegna in merito - ricordo che, quando ho cominciato a lavorare, i miei clienti militari mi chiamavano, mi presentavano la loro esigenza operativa e il requisito tecnico e mi chiedevano l'apparato. Si parlava in termini di scatole nere.
Oggi, anche per tutto ciò che ho detto in precedenza, non si parla più di scatole nere, ma di grandi sistemi. Oppure nemmeno questo: noi veniamo chiamati, soprattutto, per affrontare un determinato scenario. Ci si chiede di disporre di determinate capacità e di apportare una soluzione.
Si parla, quindi, di sistemi composti da un'enormità di sottosistemi, di investimenti formidabili, di cooperazioni internazionali che, nella maggior parte dei casi, sono essenziali, perché nessuno, da solo, ha tanti soldi, ha la disponibilità economica per poter andare avanti.
Anche gli Stati Uniti - il Joint Strike Fighter è uno degli esempi, ma ce ne sono altri - chiamano società europee o Governi europei a far parte dei loro programmi.
Ritornando al tema della piccola e media impresa, quindi, la grande necessità è quella di disporre non soltanto delle capacità tecnologiche e dello sviluppo tecnologico, ma anche dei soldi.
In campo aeronautico, direi che i principali problemi che noi abbiamo oggi sono quelli del finanziamento della terza fase dell'European Fighter Aircraft (EFA), che per tutto il comparto è effettivamente essenziale. Voi mi avete chiesto della possibile caduta dell'occupazione: io credo che senza tali finanziamenti andrebbe a gambe all'aria tutta l'industria aeronautica ad ala fissa, un settore importantissimo.
I finanziamenti sulla terza fase dell'EFA devono essere contemporaneamente bilanciati alla partecipazione italiana al Joint Strike Fighter, che dovrebbe rappresentare la continuità: quello che viene dopo l'EFA, non soltanto dal punto di vista della ricerca e dello sviluppo, ma anche dal punto di vista occupazionale.
Come Finmeccanica e, del resto, come tutte le industrie di settore, stiamo investendo molto, soprattutto in marketing, sulla componente del trasporto.
Il C-27J è oggi, indubbiamente, l'aereo da trasporto leggero che non ha concorrenti:


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è il più moderno. Il fatto che abbia avuto successo negli Stati Uniti ci ha aperto molti mercati. Il guaio è che non tutte le nazioni interessate ne comprano a centinaia, come gli Stati Uniti, ma due qua, quattro là. Lo sforzo da compiere, quindi, è molto forte e, peraltro, la concorrenza indubbiamente esiste.
All'estero vengono chieste, nella totalità dei casi, quote di offset che, in taluni casi di nazioni europee, ammontano anche al 120 per cento di quanto investito, ragion per cui lo sforzo è notevole. Comunque, siccome non c'è soltanto la piattaforma, ma ci sono anche tutti gli equipaggiamenti di bordo, questa filiera è effettivamente molto, molto importante.
Dopo questi tre grandi programmi, veniamo agli aerei non pilotati UAV (Unmanned Aerial Vehicle). Esistono due iniziative europee in questa direzione, dunque bisognerà ragionare adeguatamente su come andare avanti per gli UAV di fascia alta.
Viceversa, per i veicoli tattici, i mini e i micro, l'industria nazionale ha sicuramente una grande capacità; questo è un mercato importante, soprattutto in riferimento al Predator, che è stato adottato da un gran numero di eserciti nel mondo e che, effettivamente, sta funzionando adeguatamente in diverse operazioni. Esso, quindi, è sicuramente un biglietto da visita eccezionale: occorre inseguire questo successo e investire in questo settore.
Secondo me, è però da considerare che passerà molto tempo, prima che gli Unmanned Combat Air Vehicle (UCAV), le cosiddette piattaforme aeronautiche di alto livello - sia quelle tattiche, sia quelle più piccole - possano consentire un livello di occupazione uguale a quello di EFA, Joint Strike Fighter e C-27J.
Il grossissimo sforzo, quindi, andrà compiuto nel cercare di esportare più Eurofighter possibile, da un lato; nell'ottenere più offset possibile da parte del Joint Strike Fighter, in maniera tale da compensare su tutta la filiera aeronautica il fatto che, alla fine, le commesse dell'EFA andranno a esaurirsi; nell'investire fin da adesso, perché sappiamo che in questo settore dei non pilotati occorre moltissimo tempo per avere dei ritorni su tutta la filiera.
In campo elicotteristico, abbiamo l'onore e il piacere di avere in Italia l'Agusta Westland, che è la prima società al mondo nel campo degli elicotteri militari e tra le prime due o tre nel campo degli elicotteri civili. La società sta andando bene. Nei prossimi mesi ci aspettiamo i risultati del famoso elicottero Combat SAR - 150-200 piattaforme negli Stati Uniti - che andrebbe a rinverdire l'elicottero presidenziale che sarà consegnato a mesi al nuovo Presidente degli Stati Uniti.
In campo marino, la Marina militare ha saputo ben utilizzare bene i pochi fondi a disposizione e la linea di approvvigionamento sta quasi per essere completata: hanno cominciato con i pattugliatori veloci, poi c'è stata la Cavour, e in parallelo c'è stato il programma Orizzonte - fregate molto ricche - in collaborazione con i francesi. Quando sia gli italiani, sia i francesi si sono accorti che le fregate non erano esportabili, perché erano troppo ridondanti, troppo ricche, anche dal punto di vista del profilo di missione, è stato varato il programma FREMM, che è partito come programma internazionale.
Ogni anno o ogni due anni, due o tre navi vengono finanziate, prevalentemente dal Ministero dello sviluppo economico; dovremo approvvigionarne ancora sei.
Nel contempo, anche la componente dei sommergibili è stata completata. L'Italia avrà quattro sommergibili, i più moderni che esistono oggi sul mercato europeo. Oggi la Marina si sta invece rivolgendo verso un miglioramento ed un potenziamento del controllo delle coste, nell'ambito di una visione non soltanto o prevalentemente militare, ma anche più di sicurezza, il che è molto importante.
Il Mediterraneo sta diventando uno dei teatri di sicurezza più sensibili, nell'ambito della comunità europea, per cui anche questo finanziamento è molto importante per porre l'Italia in pole position nelle


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varie discussioni, sulle varie agenzie da istituire per il controllo della sicurezza, della safety, della security e anche dell'environment.
La componente che ha sofferto di più, in questi ultimi anni, è quella dell'esercito, anzitutto perché l'esercito, con tutte le operazione per cui è stato chiamato a dare una risposta, ha avuto un'usura notevolissima dei mezzi esistenti.
Secondo me, inoltre, non ha avuto la capacità di promuovere uno o più programmi che avessero appeal mediale. Questa è una mia interpretazione personale, ma è sicuramente così.
Oggi i Governi, sia di destra sia di sinistra, sono molto sensibili al ritorno della piazza, per cui promuovere un programma che ha appeal mediale è molto facile, ma se un programma non ha tale appeal, a parità di condizioni, non viene portato avanti.
Due o tre anni fa, l'esercito ha avuto l'idea di ragionare per piattaforme - mi riferisco a quel che l'uomo comune intende per piattaforma: l'aereo che vola, la nave, il sottomarino e così via - ed ha inventato una piattaforma virtuale, la brigata, all'interno della quale ha messo tutte le sue necessità, inventando un programma che prima si chiamava brigata digitale e che oggi si chiama Forza NEC (Network Enabled Capability). Questo programma ha già ricevuto due prime aliquote di finanziamento e sono già partiti due piccoli contratti, ma quest'anno ne partiranno sicuramente di molto più consistenti.
Diciamo che non si è inventato niente: basta guardare a ciò che succede negli Stati Uniti, in Inghilterra, o in Francia e a ciò che succederà domani anche in Germania, ossia alla forte necessità, come dicevo all'inizio, di interoperabilità durante tutte le azioni di peace-keeping, di peace-enforcing e così via, in giro per il mondo.
Il fatto di avere - e la necessità di disporre - di sistemi evoluti, con parecchi sensori, in cui la componente software, la fusione dei dati, e la capacità di distribuzione degli stessi fino al livello del soldato, è sicuramente una cosa fondamentale: non è stato difficile come concetto. È stato difficile, però, portare questo concetto di piattaforma industriale sul piano politico e ottenere una prima aliquota di finanziamenti, per poter partire.
Il programma sta nascendo oggi ed è completamente domestico, proprio perché si è incontrata tale difficoltà enorme nel reperimento dei fondi.
Quando l'esercito ha cominciato a parlare di questo aspetto, infatti, era ancora in carica il primo Governo Berlusconi, non si sapeva come sarebbero andate a finire le elezioni ed eravamo allo 0,8 per cento del PIL (o forse anche allo 0,6). Si parlava di un programma di miliardi ed era un momento di particolare difficoltà.
Ho notato, tuttavia, che nel settore delle Forze armate, se le proposte che vengono avanzate sono valide, alla fine, non voglio dire che i sogni si tramutano in realtà, ma le idee diventano concrete. Inoltre, effettivamente, c'è la necessità di far disporre al nostro esercito di sistemi di questo tipo. Quindi, seppure in piccola parte, alla fine i soldi sono stati trovati.
Posso dire dunque che oggi, dal punto di vista dei programmi, sulla brigata digitale (Forza NEC) l'esercito italiano ha la visione più completa e più moderna in campo europeo, perché è partito per ultimo e, dunque, è stato anche in grado di sfruttare gli eventuali errori commessi negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Questi Paesi, ad esempio, non hanno avuto un unico basket per la loro brigata digitale, ma hanno avviato in parallelo tanti diversi programmi. Quando metteranno insieme i sistemi, quindi, ci sarà qualcosa che non funzionerà, perché i capi-commessa dei vari programmi - quelli degli UAV, dei carri armati, del comando e del controllo - sono società diverse. Per quanto i rapporti siano buoni e si parlino tra loro, si potrebbero verificare delle difficoltà. Del resto, questo già succede in casa nostra quando mettiamo


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insieme diversi elementi che provengono dalle società del gruppo: figuriamoci da società concorrenti.
Noi, invece, abbiamo questa capacità. Abbiamo una società che fa integrazione di sistema e che, quindi, si curerà anche di questi aspetti, non tanto per andare a vendere, là dove ci è possibile farlo, un sistema così complesso, perché credo che siano poche le nazioni che se lo possono permettere. Tuttavia, siccome il sistema è composto dagli equipaggiamenti del soldato futuro, dai nuovi mezzi ruotati e cingolati, dal comando e controllo, dagli UAV, dai mezzi che vanno sulla superficie del mare, da tutta la componente di guerra elettronica, da tutti i sensori possibili e immaginabili di sorveglianza dello spazio di manovra, credo che sarà agevole - avendo come riferimento un contratto così importante e una nazione dato che è la sua industria - andare a vendere i sottosistemi, garantendo però a chi li compra che essi sono pienamente interoperabili con tutte le altre forze armate del mondo che partecipano al programma.
Si tratta, quindi, di un programma in cui noi crediamo molto e sono convinto che darà ottimi ritorni, così come i programmi che ho citato parlando degli altri due settori.

PRESIDENTE. Grazie, ingegner Pertica. Do ora la parola all'onorevole Speciale.

ROBERTO SPECIALE. Intanto, rivolgo un ringraziamento personale all'ingegner Pertica, che mi ha fatto rivivere i tempi in cui lavoravamo gomito a gomito, come lui si ricorderà, con i suoi e i miei collaboratori. Proprio in quel periodo nacque l'idea della brigata digitale. Avevamo cominciato con la digitalizzazione del campo di battaglia, ma, poiché il sistema d'arma dell'esercito è la brigata, da lì partimmo.
Il cuore mi porterebbe a rispondere alla prima domanda retorica posta dall'ingegner Pertica, che ha chiesto perché si dovrebbero fornire degli aiuti alla FIAT e non a loro.
Personalmente, ho lavorato in questo settore veramente propulsivo, i cui numeri la dicono lunghissima (4 miliardi di euro di ritorno sulla bilancia commerciale su 12 miliardi di euro di investimenti) e credo che, anche dopo aver preso cognizione del peso delle famiglie degli addetti che vi lavorano, il Parlamento, tramite questa Commissione, dovrebbe pungolo esercitare una pressione sul Governo in questa materia. Sono infatti molto convinto - come la storia ci insegna - che tali investimenti andranno a buon fine, dal momento che hanno una ricaduta in campo civile di enorme rilievo economico, sia per il Paese, sia per le industrie prettamente civili.
Quanto meno, auspico che venga stanziata una quota più alta per la ricerca e lo sviluppo, che sono poi il motore di tutta l'attività degna di questo nome, perché i numeri che abbiamo sentito non ci porterebbero veramente da nessuna parte.

REMO PERTICA, Presidente dell'AIAD. Vorrei aggiungere che la cifra per la ricerca e lo sviluppo che l'anno scorso - e credo anche quest'anno - tutte e tre le Forze armate hanno avuto a disposizione per fare qualcosa si aggira intorno ai 40-45 milioni di euro.

PRESIDENTE. Desidero ringraziare l'ingegner Pertica, il dottor Festucci e, in generale, l'AIAD per questa importantissima audizione, che si inserisce nel contesto dell'indagine conoscitiva che abbiamo disposto sul procurement militare.
È stata anche un'occasione per rendersi conto visivamente e in maniera plastica, nella Commissione difesa, di quanto questo settore sia importante per l'economia italiana e per l'investimento tecnologico, visto che, come è stato ribadito, la ricerca nel settore della difesa ha ripercussioni nel mondo civile e, quindi, sulla tecnologia per usi civili.
Oltretutto, al di là del reale dato occupazionale, non dimentichiamo che, nel settore della difesa, il Tesoro è socio in maniera consistente, per cui vi è anche un'entrata diretta, in termini di dividendi, per l'economia nazionale.


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Non dobbiamo dimenticare, senza per questo voler ignorare le direttive europee e gli impegni che l'Italia ha preso, che, in tempi in cui l'aiuto economico dato all'imprenditoria è giustamente soggetto alle norme sulla tutela della concorrenza stabilite dal Trattato dell'Unione europea, nel settore specifico è possibile fare qualche eccezione, ai sensi dell'articolo 296 del Trattato stesso.
Gli altri Paesi europei, in modo particolare Francia e Inghilterra, utilizzano normalmente, in maniera massiccia, questo strumento giuridico; credo che il Governo debba fare una riflessione in merito, per superare difficoltà burocratiche, ma soprattutto per intervenire in maniera massiccia nell'economia, come può accadere in momenti di recessione come quelli presenti.
Ritengo che la Commissione, secondo quanto mi è parso di capire, prenderà le adeguate iniziative nell'interesse generale dell'economia italiana.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,50.

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