Sulla pubblicità dei lavori:
Cirielli Edmondo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL RECLUTAMENTO DEL PERSONALE MILITARE DEI RUOLI DELLA TRUPPA A DIECI ANNI DAL DECRETO LEGISLATIVO N. 215 DEL 2001
Audizione di rappresentanti del COCER-Interforze:
Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 11 14
Bartoloni Bruno, Presidente della sezione COCER Guardia di finanza ... 12
Bottacchiari Guido, Presidente della sezione COCER Aeronautica militare ... 13
Ciavarelli Antonio, Membro del comitato di presidenza del COCER-Interforze ... 12
Raggetti Nicola, Presidente della sezione COCER Carabinieri ... 11
Rossi Domenico, Presidente del COCER-Interforze ... 3
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud;
Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul reclutamento del personale militare dei ruoli della truppa a dieci anni dal decreto legislativo n. 215 del 2001, di rappresentanti del COCER-Interforze.
Prima di iniziare l'audizione intendo ringraziare, oltre al presidente del COCER-Interforze, generale Domenico Rossi, tutti i presenti che, in rappresentanza delle sezioni delle Forze armate, partecipano ai nostri lavori.
Do, quindi, la parola generale Rossi, per svolgere la sua relazione, al termine della quale potranno fare seguito domande e quesiti formulati dai colleghi deputati e la replica da parte del nostro ospite.
DOMENICO ROSSI, Presidente del COCER-Interforze. Grazie presidente. Ringrazio innanzitutto la Commissione per questa convocazione, che per noi è sempre un segno di rispetto e di considerazione. Infatti, ogniqualvolta siamo convocati, non si fa altro che ribadire il ruolo e l'importanza del Consiglio centrale di rappresentanza.
Consegno anche copia del documento che tratteggerò, evidenziando che esso è stato approvato questa mattina all'unanimità dal comparto difesa, ovvero dai COCER delle tre Forze armate. Per motivi di brevità cercherò di tratteggiare le parti fondamentali di questo documento, ma è ovvio che la lettura integrale dello stesso può, a maggior ragione, configurare meglio il quadro relativo al decreto legislativo n. 215 del 2001.
Svolgo un'osservazione preliminare. Noi sapevamo fin da metà novembre che avremmo dovuto essere auditi in questa indagine conoscitiva e, quindi, non ci siamo meravigliati di essere stati convocati giovedì scorso per oggi. La nostra meraviglia è stata, invece, dettata dal fatto che l'audizione è intervenuta contestualmente al momento in cui il Consiglio dei ministri sta esaminando le linee-guida della rivisitazione del nuovo modello di difesa.
Ci è venuto, pertanto, il dubbio, nel momento in cui ci siamo approcciati a questo documento, se la nostra odierna esposizione possa rimanere fine a se stessa, oppure costituire comunque un utile elemento per una rivisitazione del citato decreto legislativo n. 215. Il dubbio è strettamente collegato a questo interrogativo: il nuovo modello di difesa rivisitato rimarrà su questi parametri oppure interverranno varianti tali da rendere i suoi parametri non attuali?
Nell'ambito del documento non mi soffermerò sugli aspetti tecnici, che sono stati abbondantemente illustrati dagli Stati
maggiori, per due motivi. Il primo è che, trattandosi di argomenti tecnici, noi non disponiamo esattamente delle stesse informazioni che possono avere gli Stati maggiori e il secondo è dovuto all'alto livello di competenza di coloro che hanno già parlato dal posto da cui oggi illustro questo documento.
Qual è il nostro obiettivo? Il nostro obiettivo è cercare di portarvi le osservazioni, dal punto di vista del personale, sul decreto legislativo n. 215/2001. In questo contesto evidenzio innanzitutto come il citato decreto legislativo sia un documento di carattere globale e, come tale, richiama le normative primarie del decreto legislativo n. 490/1997 e di quello n.196 del 1995. Di fatto esso richiama tutte le categorie di personale, gli ufficiali, i marescialli e il ruolo dei volontari in servizio permanente, che, come sapete, non solo per brevità, ma anche in relazione a una specifica modifica rispetto al decreto legislativo n. 215/2001, intervenuta con il codice dell'ordinamento militare, chiamerò d'ora in poi graduati. Se mi sentirete parlare di graduati, saprete che intendo il ruolo dei volontari in servizio permanente.
Partiamo con il VFP1, che è la vera novità del decreto legislativo n. 215/2001. Gli acronimi in uso sono VFP1, per un anno, VFP4, per quattro anni, e, poiché i volontari in ferma prefissata a quattro anni possono avere altre due rafferme biennali, anche VFP6 e VFP8.
Sulla figura del VFP1 non abbiamo molto da sottolineare, se non per confermare la validità delle procedure di selezione e la provenienza, che è tendenzialmente meridionale. Ricordiamo anche che oggi l'entità del VFP1 alle armi è decisamente superiore a quella che dovrebbe essere a regime. Ciò per un semplice motivo, ossia perché attraverso il VFP1 si supplisce alle carenze che ancora oggi sussistono nel ruolo dei volontari in servizio permanente. Penso che sia noto a tutti che nel ruolo dei volontari in servizio permanente ci sono o ci dovrebbero essere altri dieci anni di immissioni. Quando si parla di ridurre il reclutamento dei VFP1, si va, dunque, a incidere su incarichi funzionali di diversa natura, operativa e logistica.
I VFP1 hanno un ruolo ben preciso e, pertanto, c'è un'esigenza, a parere nostro, di salvaguardia di questi reclutamenti, altrimenti si correrà il rischio di dover far svolgere mansioni inferiori all'aliquota dei VFP4 e dei volontari in servizio permanente. È facilmente intuibile la diversità di costo ed efficacia fra l'impiego di un volontario in ferma prefissata di un anno e quello di uno in servizio permanente, ma richiamo soprattutto la vostra attenzione sul fatto che non c'è un'indicazione relativa alla differenza fra il personale in ferma e quello in servizio permanente, al punto tale che si parla di sottoimpiego del personale in servizio permanente.
Il problema del VFP1, a nostro avviso, non è il transito nei VFP4, ossia non è la prosecuzione di carriera. Noi riteniamo che il giovane che si accosta al concorso per fare il VFP4 sappia benissimo che avrà una difficoltà concorsuale anche piuttosto elevata, ma, tutto sommato, ha svolto un anno in cui ha ricevuto un'educazione e una formazione, con un trattamento economico stipendiale che possiamo anche ritenere adeguato, se lo andiamo a comparare con periodi similari di apprendistato. Inoltre, sappiamo tutti che il VFP1 che si congeda nella realtà ha una sorta di tesserino o di bollo tondo che gli consente anche da civile di poter partecipare successivamente, fino ai limiti di età, ai successivi concorsi da esterno, sia per i volontari in ferma prefissata a quattro anni, sia per le carriere iniziali nelle Forze di polizia.
Per i VFP1, e questo è a tutti noi assai evidente, appare piuttosto necessario realizzare migliori condizioni di vita nelle caserme.
Il vero problema inizia con i VFP4 e per affrontarlo bisogna avere chiara la tipologia dei giovani che oggi vogliono entrare nelle Forze armate. Sono giovani permeati da ideali e da valori reali, quali lo spirito di sacrificio e lo spirito di servizio, che sono anche il frutto, a nostro parere, di un progressivo cambiamento
culturale del Paese, che è, o almeno sembra essere, sempre più vicino alle sue Forze armate.
In linea con tali valori è innegabile che in tutti coloro che vogliono transitare nei VFP4 e che ci riescono, fatta salva un'aliquota che in relazione al decreto n. 215 del 2001 già ha la destinazione finale nelle Forze di polizia, vi è la profonda aspirazione a rimanere per sempre nelle Forze armate e, in subordine, la speranza di poter acquisire per il tramite della vita militare uno sbocco occupazionale.
Noi riteniamo, come punto di assoluta criticità, che il periodo transitorio di precariato sia troppo lungo. È evidente che questo periodo di precariato può arrivare fino a otto anni, con diritti che sono solo parzialmente assimilabili a quelli del personale in servizio permanente dopo i primi quattro e comunque inferiori a quelli di chi transita nelle Forze di polizia. Basti pensare al diritto allo studio, alle licenze di maternità e paternità e ad altri titoli che sembrerebbero addirittura avere effetti negativi nei concorsi nelle Forze armate.
In sostanza c'è bisogno di un percorso certo, anche nella precarietà, ma che per chi non demerita abbia uno sbocco sicuro e con uniformità nei diritti e nelle retribuzioni per tutti i componenti del comparto. Riteniamo che la Commissione possa ben comprendere che cosa significhi non avere certezza, per esempio, di potersi costruire una famiglia o di poter avere un figlio, di non poter contrarre un mutuo perché in banca non considerano tale periodo come un impiego, nonché tutte le problematiche di qualsiasi precario.
In sostanza, a nostro avviso non appare proponibile che quanto meno chi rimane dopo il primo step di quattro anni non abbia la certezza a priori di poter transitare successivamente in servizio permanente.
In un percorso predefinito può essere accettabile che una parte possa essere collocata al di fuori delle Forze armate. Al riguardo, in prima approssimazione, la lettura del decreto legislativo n. 215/2001 - correlato anche con la legge n. 331 del 2000, ossia con la legge da cui discende il decreto stesso - sembrerebbe dare una risposta. Come la Commissione ben sa, infatti, è prevista la costituzione di un'apposita struttura nell'ambito dell'amministrazione della Difesa, che tuttavia nella realtà non effettua un'attività di placement del personale vero e proprio, ma svolge unicamente un'azione volta ad agevolare il ricollocamento del volontario, somministrando orientamento e formazione professionale. Si tratta di attività che di fatto, al massimo, si sono concretizzate, in base ai dati in nostro possesso, in riunioni della Conferenza Stato-regioni e, poi, in convenzioni sia all'interno degli apparati statali regionali, sia con le
principali associazioni, quali Confindustria, Confcommercio e Confesercenti.
A fronte di queste convenzioni, occorre chiedersi, e penso che la Commissione abbia tutti i mezzi e i modi per accertarlo, se nel tempo tutto ciò si sia effettivamente tradotto in risultati concreti o sia rimasto unicamente a livello potenziale. A nostro avviso, bisogna chiedersi quanti posti di lavoro effettivi ha trovato questa struttura e se i soggetti vengono seguiti al termine della vita militare o solo fino al momento in cui lasciano il servizio. Secondo noi, la struttura ha prodotto pochi posti di lavoro e soprattutto non segue i soggetti, una volta che essi lasciano il servizio militare.
Si tratta, dunque, di una realtà potenziale, e per ciò insufficiente, cui si somma la negatività del fatto che solo una parte delle norme del decreto legislativo n. 215 del 2001 è stata effettivamente applicata. Basti pensare che ci dovrebbero essere riserve di posti che non ci risultano mai o solo minimamente essere state attivate, per esempio nelle carriere iniziali dei corpi di Polizia municipale e di Polizia provinciale.
Richiamo anche il fatto che le riserve di posti del 30 per cento nella pubblica amministrazione e del 50 per cento nei ruoli civili della Difesa siano state unicamente rappresentate da posti potenziali, perché si sono poi scontrate con il blocco del turnover della pubblica amministrazione.
A fronte di una riserva potenziale, dunque, la traduzione concreta è rimasta minimale.
In sostanza si sottolinea la difficile situazione dei VFP4 per quanto concerne sia il lungo precariato senza certezze finali, sia uno sbocco effettivo nel mondo civile.
A titolo di collaborazione riteniamo di poter fornire quattro spunti o suggerimenti, che riteniamo indispensabili. Il primo è che il ruolo civile della Difesa sia alimentato dal solo personale militare VFP4 e in servizio permanente. Il secondo che vi sia un sostegno reale per l'inserimento dei VFP4 nel mondo del lavoro, lasciando il soggetto comunque agganciato all'amministrazione della Difesa almeno per i successivi cinque anni. Pertanto, la struttura, a nostro avviso, dovrebbe essere in contatto con il mondo del lavoro, rilasciando una carta sociale, un tesserino, o uno strumento del genere, telematico ai singoli soggetti che si congedano. In questo caso riuscirebbe a creare un loop telematico attraverso cui gestire la situazione.
Riteniamo, inoltre - è questo il terzo suggerimento - che, poiché già esistono leggi che hanno condotto a sgravi fiscali e previdenziali per le aziende private che assumono giovani, tali sgravi fiscali e previdenziali debbano essere previsti anche per tutte le aziende che assumono VFP4.
Per ultimo, riteniamo che bisognerebbe effettuare un'analisi di ciò che non è stato concretamente applicato della legge n. 331 del 2000 e del decreto n. 215 del 2001 e pretendere tale applicazione.
In conclusione, i VFP4 sono la base esclusiva di alimentazione dei graduati, i quali costituiscono il nucleo fondamentale della componente operativa delle tre Forze armate, in relazione, se non altro, all'entità finale. Basti pensare che, al momento, su un totale di 103 mila volontari 73 mila dovrebbero essere quelli in servizio permanente.
Nel relativo concorso, inoltre, le procedure di selezione debbono, a nostro parere, assumere come riferimento prioritario i titoli acquisiti in servizio, a cui si possono aggiungere in modo equilibrato test di cultura generale e militare.
È evidente che per i graduati non possiamo non sottolineare l'importanza dei meccanismi di sviluppo di carriera e di trattamento economico, che sono di fatto ribaditi attraverso il decreto legislativo n. 215 del 2001. Non è possibile non evidenziare come la progressione di carriera sia totalmente legata all'anzianità e come il grado vertice del ruolo sia raggiunto, ancorché pariteticamente al resto del comparto difesa e sicurezza, a un'età per la quale si rischia di rimanere nello stesso grado e nello stesso livello di trattamento economico per oltre venti anni. Analogamente, non può evidenziarsi come il trattamento economico sia ancora strettamente ancorato al grado e solo minimamente all'anzianità di servizio.
La realtà è, dunque, quella di un ruolo in cui il trattamento economico e la professionalità, nonché la preparazione, non sembrano procedere parallelamente all'anzianità di servizio e nemmeno il decreto legislativo n. 215/2001 aiuta a individuare impieghi progressivi in relazione alla maggiore anzianità.
In sintesi, i graduati hanno da sempre guardato al combinato disposto del decreto legislativo n. 215 del 2001 e del decreto legislativo n. 196 del 1995, quest'ultimo richiamato dal primo, non come modello finale, ma come un passaggio verso una nuova struttura da delineare con il collaterale progetto di riordino delle carriere quale importante punto di svolta per ottenere riconoscimenti sia professionali, sia economici. Essi da tempo sono richiesti da tutto il personale per armonizzare le carriere, intendendo con ciò riferirsi sia alla permanenza nei gradi, sia all'avanzamento, sia alla possibilità di concorsi omogenei tra tutti gli appartenenti al comparto difesa e sicurezza, eliminando definitivamente le sperequazioni che sono oggi spesso la principale fonte di disagio, discussione e malcontento.
In sostanza si sollecita una riforma che porti il grado di sergente a costituire lo
sbocco naturale della carriera dei volontari, accessibile non solo, come oggi, per concorso, ma anche per anzianità.
La situazione appare non razionale e risulta essenziale una politica di riordino delle carriere. Al riguardo voglio solo ricordare che gli accantonamenti del riordino delle carriere, pari a circa 700 milioni di euro, sono confluiti nell'ambito delle misure recate dai provvedimenti di razionalizzazione del 2010, così decurtando il comparto difesa e sicurezza di una massa di manovra che avrebbe potuto essere, se non altro, dedicata una tantum a riordinare determinate situazioni pregresse da sistemare.
Questi fondi, infatti, per gli anni 2011-2012-2013, sono stati destinati - con un assenso direi quasi «forzato» del comparto - a finanziare un'una tantum per compensare il congelamento degli stipendi. Rimangono, dunque, per il riordino delle carriere soltanto 113 milioni di euro all'anno a partire dal 2014.
È evidente che esiste, per quanto concerne il ruolo dei graduati, un elemento culturale - non derivante ovviamente dalla normativa - individuabile nel superamento di alcune considerazioni o di alcune situazioni per cui a volte i volontari in servizio permanente vengono impiegati e considerati come militari di leva. È stata questa la spinta che ha portato la categoria a chiedere e a ottenere l'utilizzo del termine di «graduati» per differenziare i volontari in servizio permanente dai volontari in ferma.
Ferma restando, quindi, una revisione del decreto legislativo in questione, che appare più che necessaria in questo senso, occorrerà ritornare anche sulla terminologia dei singoli gradi, sia per il personale in ferma, sia per quello in servizio permanente, in maniera tale da delineare più compiutamente compiti e funzioni all'interno del servizio permanente.
Inoltre, appare una logica evoluzione quella per cui l'accesso ai diversi ruoli sia quanto più possibile aperta, cioè riservata ai provenienti dai ruoli inferiori, anche se non in via esclusiva, e in relazione alla professionalità e ai titoli di studio posseduti.
Per ultimo, per quanto riguarda i graduati, non possiamo non sottolineare come, nella realtà, all'interno della più ampia situazione della previdenza complementare, che richiamo all'attenzione della Commissione, il comparto non goda della cosiddetta «gamba» relativa alla famosa riforma Dini e, come tale, soffra su tutti i ruoli. Il ruolo graduati ne soffre ancora di più perché, mentre all'interno del comparto difesa e sicurezza gli altri ruoli hanno casse interne, per esso questa possibilità non esiste.
Per quanto concerne il ruolo marescialli e il ruolo sergenti, non si può non rilevare come i tagli delle risorse di questi ultimi anni abbiano fatto sì che il processo di professionalizzazione delle Forze armate, che avrebbe dovuto andare a regime nel 2021 - in questo momento noi siamo in mezzo al guado essendo il processo iniziato nel 2001 e dovendo terminare nel 2021 - non abbia consentito un finanziamento della norma per l'esodo del personale più anziano. Questo mancato o parziale finanziamento ha provocato effetti deleteri sull'invecchiamento degli organici delle Forze armate, con il risultato che, rispetto a quanto pianificato, oggi in servizio vi è un numero maggiore di marescialli e un numero inferiore di sergenti.
Vorrei precisare la situazione esistente fra eccedenza e soprannumero, in relazione al numero di persone che sembra ridondante rispetto alle esigenze del modello. Le Forze armate sono all'interno di un processo che prevede 190 mila unità. Noi oggi siamo a 184 mila unità circa. Ciò mi consente di affermare che non ci sono eccedenze rispetto al modello.
Che cosa si è verificato? Si è verificato che, per effetto di mancate risorse finanziarie, determinati esodi finalizzati a taluni ruoli sono stati parzialmente attuati. Pertanto, rispetto alla pianificazione che nel 2012 prevedeva più marescialli che sergenti, oggi noi non abbiamo un soprannumero o un'eccedenza, ma un numero maggiore di marescialli, che ha necessariamente
portato ad avere un numero inferiore di sergenti, con due tipologie di problemi.
La prima tipologia di problemi è lo svolgimento di mansioni inferiori o sottoimpiego dei marescialli anziani, i quali sono impiegati ovviamente in incarichi da sergenti, perché lo svuotamento non ha potuto procedere secondo quanto inizialmente pianificato.
Il secondo problema è che più personale anziano presta servizio nelle Forze armate, meno personale giovane può essere immesso. Ci sono, dunque, meno sergenti e meno transiti per i graduati da ruoli inferiori.
In sostanza, si rileva come le entità previste per gli esodi negli anni fino al 2021, secondo la tabella C del decreto legislativo n. 215/2001, andrebbero opportunamente incrementate per adeguarle alle effettive esigenze, ferma restando la necessità di procedere prima ad alcune rivisitazioni generali per sanare sperequazioni interne al ruolo marescialli per quanto concerne pregressi avanzamenti.
Abbiamo fornito alcuni accenni anche sulla categoria degli ufficiali. In particolare, riteniamo di dover porre all'attenzione quanto è successo per gli ufficiali ausiliari. Con riferimento a quelli non in servizio permanente, che sono stati chiamati per alcuni anni, mentre si è trovata una forma di stabilizzazione ad hoc per coloro che erano stati chiamati nell'Arma dei carabinieri, quelli che erano stati chiamati nelle Forze armate sono stati, invece, congedati. È evidente che ciò non può più avvenire.
In sintesi, il decreto legislativo n. 215 del 2001 e le norme collegate presentano diverse criticità. Tali criticità sono state incrementate dai problemi del comparto che sono stati evidenziati anche al Presidente del Consiglio dei ministri nell'unico incontro che abbiamo avuto all'inizio del mandato di questo Governo. Questi problemi riguardano la previdenza nella sua accezione più completa, i tagli alle retribuzioni e la specificità. A ciò aggiungiamo, ancorché strettamente connesso alle criticità, il tema degli alloggi di servizio e degli alloggiamenti nelle caserme.
Gli alloggi di servizio sono pochi e impongono un forte pendolarismo. È evidente che i disagi maggiori sono sempre - da qui deriva il collegamento con il decreto legislativo stesso - nella categoria dei graduati, perché molti alloggi di servizio sono dedicati alle categorie superiori.
Per quanto riguarda gli alloggiamenti nelle caserme, anche in questo caso la riduzione delle risorse del funzionamento ha inciso in modo assolutamente negativo riproponendo situazioni tipiche veramente da camerate della naja, con alloggi di servizio collettivi fortemente inadeguati.
Peraltro, a conclusione di questa prima parte, a mio avviso, c'è un punto forse fondamentale. Per il personale in servizio permanente tutto ciò di cui ho parlato ha un riflesso concreto, volendo banalizzare il problema, nel trattamento economico e anche nella vita reale, ma il punto più importante è che tutto ciò costituisce un elemento di incidenza negativa assoluta sulla motivazione. La motivazione del personale non è un elemento aggiuntivo rispetto al valore intrinseco del militare, ma è una componente fondamentale dell'efficienza dell'amministrazione. Senza motivazione non c'è efficienza o ci può essere efficienza parziale, ma non totale. Dove ci sono motivazione ed efficienza si crea un cocktail esplosivo, che può portare le Forze armate ai massimi livelli di capacità operativa.
Ritorno ora al punto di partenza, cioè all'annunciata rivisitazione del modello di difesa. Noi non abbiamo indicazioni al riguardo. Avevamo chiesto di essere informati dal Capo di Stato maggiore della difesa e dal Ministro. Ci troviamo, invece, all'interno di un percorso che è passato attraverso il Consiglio supremo di difesa, è oggi al Consiglio dei ministri e domani sarà all'attenzione del Parlamento. Ciò che noi possiamo sapere, e su cui poi svolgeremo alcune considerazioni, deriva dalle uniche carte o dalle uniche dichiarazioni di cui disponiamo.
Il Capo dello Stato maggiore della difesa, in data 30 gennaio, ha parlato di un'ineludibile revisione in ottica riduttiva dello strumento militare e ha aggiunto che si intende procedere portando la quota parte del personale a solo il 50 per cento delle risorse disponibili, al 25 per cento quella dell'esercizio e al 25 per cento quella per l'investimento.
Il Consiglio supremo di difesa, nel bollettino che ha emanato in materia l'8 febbraio ha concordato sulla necessità di avviare in tempi contenuti la realizzazione del sistema difesa al fine di eliminare le ridondanze e le inefficienze e di correggere con ogni possibile urgenza l'attuale sbilanciamento delle componenti strutturali di spesa che penalizza fortemente i settori dell'esercizio e dell'ammodernamento. Ovviamente, quanto vi ho riferito è stato riportato da agenzia stampa dell'ANSA o dell'Adnkronos.
Immagino che tutti i membri della Commissione possano ben capire come a un organismo di rappresentanza come il nostro dopo queste dichiarazioni i telefonini si siano surriscaldati subito. Sono poi diventati incandescenti nel momento in cui si è diffusa un'altra notizia, filtrata non so come e non so nemmeno se reale.
Allegati alla relazione che abbiamo fornito potete trovare alcuni articoli, che erano quelli di cui disponevamo ieri, ma anche oggi ce ne sono dello stesso tenore. La Repubblica del 9 febbraio titola: «Ecco il piano dei tagli: 40 mila militari in meno»; La Stampa del 9 febbraio «Sforbiciata su spese e carriere», Avvenire del 10 febbraio «Difesa: alle Camere il piano per 30 mila esuberi», il Corriere della Sera del 10 febbraio «Austerity dell'Esercito: via 40 mila uomini e 30 caccia F-35 in meno.»
Noi su tale quadro non abbiamo informazioni e, quindi, possiamo parlare unicamente sulla base di questi titoli. Potremmo aggiungere che due articoli di oggi, del Il Sole 24 Ore e de La Stampa, forniscono una dovizia di informazioni.
Noi svolgeremo considerazioni in base a ciò che sappiamo, ma non possiamo non considerare come, con riferimento generale all'interno della pubblica amministrazione e particolare a quello del comparto difesa e sicurezza, il personale delle Forze armate rischi di costituire l'agnello sacrificale. Mentre, infatti, non si registrano voci di revisioni strutturali di altri settori dello Stato, sembrerebbe essere in vista una revisione significativa dello strumento militare, nonostante le Forze armate abbiano prestato negli ultimi anni il contributo più grande dal dopoguerra alla sicurezza nazionale in termini di impegno operativo nei teatri operativi e sul territorio nazionale, nonché nel sociale.
Penso che l'emergenza neve di questi giorni sia un chiaro esempio di come l'impiego di uomini e mezzi sia concreta testimonianza dell'importanza di avere sul territorio la disponibilità di un'organizzazione strutturale e capillare come quella delle Forze armate.
Se, da un lato, la riorganizzazione delle Forze armate è, dunque, un argomento ordinativo riguardo al quale non ci permettiamo di dire alcunché perché non è di competenza della rappresentanza militare, dall'altro, non si può non richiamare l'attenzione della Commissione in merito al fatto che, se i numeri indicati sono reali, a nostro avviso non è tecnicamente possibile ipotizzare un ridimensionamento dello strumento senza, per esempio, comprimere progressioni di carriera di ufficiali e sottufficiali, ridurre le immissioni dei graduati nei ruoli sergenti e marescialli, ridurre le immissioni dei VFP4 nei graduati, ovvero senza alterare il processo di equiordinazione finora seguito con le Forze di polizia a ordinamento civile e soprattutto con i colleghi dei Carabinieri e della Guardia di finanza in virtù del comune status militare. Si tratta di un processo che, peraltro, è richiamato e ribadito finora dal
decreto legislativo n. 215 del 2001, che è alla base della discussione odierna.
Si evidenzia anche che ormai, con un sistema previdenziale strettamente collegato alla retribuzione, tutto ciò non potrà che condurre a una decurtazione, se non altro potenziale, sia del trattamento economico in servizio, sia di quello in quiescenza.
Noi, se chiamati, non ci sottrarremo alla responsabilità di un intelligente confronto per cercare di trovare le soluzioni migliori, tenuto conto che anche noi vediamo i riflessi all'interno della struttura dell'attuale livello di bilancio. Invitiamo tutti, però, a una riflessione, prima di procedere sulla strada della revisione numerica, per portare su esercizio e investimento le risorse necessarie, ove il travaso sia talmente elevato da comportare penalizzazioni evidenti per il personale attualmente in servizio e inaccettabili scostamenti dalle carriere dell'intero comparto.
Se poi andiamo a parlare di esuberi, occorre innanzitutto ricordare che la situazione attuale è frutto di un andamento che dovrebbe finire al 2021. Il timore è che al 2021, grazie a un'ulteriore instabilità di bilancio, probabilmente un altro presidente del COCER sarà seduto a questo posto per illustrare alla Commissione che è in atto una nuova rivisitazione di un nuovo modello di difesa con ulteriori esuberi o ridondanze in taluni ruoli.
Si pone in evidenza, infine, come di fatto, ma lo sottolineo solo a titolo di collaborazione, si eliminerebbero 40 mila posti di lavoro quasi tutti attribuibili a uomini e donne del Sud. Noi riteniamo a priori di poter affermare che una riduzione così drastica e penalizzante potrebbe essere spiegata e diventare accettabile solo in contesti più generali, che non vediamo annunciati da nessun altro dicastero.
Peraltro, ci si augura fin d'ora che, se non vi sono risorse per esodi agevolati, non vi siano nemmeno travasi forzati nella pubblica amministrazione, che potrebbero anche ledere la dignità del personale in divisa.
Porto un esempio per tutti. Preso atto dell'entità dei volontari in servizio permanente attuale, in un modello in riduzione, i volontari VFP4 in servizio oggi e quelli da arruolare troveranno pochi spazi nel servizio permanente e le criticità prima enunciate saranno sicuramente ampliate.
In alternativa, nell'impossibilità di reperire ulteriori risorse per il bilancio generale della Difesa o nell'impossibilità di pervenire a ripartizioni interne meno rigide, riteniamo che si debba procedere alla rivisitazione solo all'interno di una revisione generale dello Stato, andando eventualmente a valutare la possibilità per le Forze armate di avere più risorse anche assolvendo a nuovi compiti.
In questo senso ci sostiene quanto affermato alcuni giorni fa dal precedente sottosegretario per la difesa Guido Crosetto, il quale in un recente dibattito ha dichiarato quanto segue: «Penso che sarebbe utile, nel momento in cui inizia il confronto su un modello di difesa, allargare la riflessione pensando a tutte le possibili sinergie tra le attuali amministrazioni statali». Per esempio, egli considera possibile riflettere su un'integrazione all'interno del Ministero della difesa del Dipartimento di protezione civile.
Noi esprimiamo, per concludere, una forte preoccupazione di carattere generale: abbiamo la sensazione che a pagare alla fine fra tutto il personale della pubblica amministrazione possa essere solo quello appartenente alle Forze armate e siamo preoccupati sia per le prime reazioni del personale, sia perché queste persone sono quelle che nell'ultimo decennio hanno dato tantissimo a questo Paese, alcuni anche la vita.
Prima di venire a quest'audizione lo statistico Mannheimer mi ha inviato sulla mia casella di posta un'agenzia ANSA e alcune tabelle. Penso che tutti sappiate che egli elabora sondaggi e attraverso di essi crea opinione. Io ho letto all'interno di queste tabelle un elemento positivo, ma anche un elemento altamente negativo, che, sotto un dato punto di vista, mi preoccupa ancor di più.
Di positivo leggo nell'ANSA che «per il 79 per cento degli italiani le Forze armate tengono alta l'immagine dell'Italia». Questo è un pacchetto di considerazioni che ritengo rendano onore a chi, come me, porta la divisa.
Tuttavia, nell'ambito delle tabelle che mi sono state inviate, e che non so nemmeno se siano pubbliche, si riferisce solo che «sulle Forze armate è in corso un processo di ristrutturazione e di adeguamento tecnologico determinato dal rispetto
di parametri internazionali che sono stati stabiliti per quelle operazioni che le vedono coinvolte in Paesi esteri su mandato dell'ONU o della NATO.»
Si chiede poi in che misura, secondo l'intervistato, la riforma delle Forze armate dovrebbe essere orientata e le voci proposte sono: «consentire loro di essere tecnologicamente aggiornate», «consentire di incentivare la produzione industriale e, quindi, l'occupazione del nostro Paese», «consentire di trasmettere l'idea di un Paese moderno ed efficiente». «Dovendo scegliere tra questi,» il sondaggio continua, «qual è l'obiettivo più importante che, secondo lei, la riforma delle Forze armate potrebbe raggiungere: permettere alle Forze armate italiane di essere all'altezza di quelle degli altri Paesi esteri, incentivare la produzione industriale e, quindi, l'occupazione nel nostro Paese, trasmettere l'idea di un Paese moderno ed efficiente?»
Inoltre, si domanda: «Le Forze armate sentono la necessità di adeguarsi tecnologicamente a quelle di altri Paesi? Alcuni ritengono che questo adeguamento potrebbe portare nuovi investimenti e lavoro per le aziende italiane, altri non sono d'accordo. Secondo lei l'adeguamento tecnologico delle Forze armate è necessario e urgente...» e via proseguendo.
In tutte queste tabelle io non ho trovato una parola che vada a indicare quale sia la considerazione dell'uomo e della donna all'interno delle Forze armate. Se si dimentica questo, che è il punto fondamentale attraverso il quale le Forze armate, vivono, signori commissari, abbiamo fallito la rivisitazione del modello!
Voglio per correttezza fare una precisazione. All'inizio dell'audizione ho sostenuto che il documento è stato votato all'unanimità, ma intendevo dire che è stato votato all'unanimità dal comparto difesa. Ovviamente il decreto n. 215/2001 interessa almeno parzialmente anche l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza. Pertanto, abbiamo elaborato un documento di comparto che ho consegnato al Presidente e ho lasciato liberi di intervenire in successione, ove lo ritengano opportuno, i rappresentanti dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza. Poiché la convocazione è del COCER-Interforze, questi due interventi mi sembrano dovuti. Le tre Forze armate hanno già parlato. I due interventi dovuti sono quelli dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza.
PRESIDENTE. In tal caso vorrà dire che svolgeremo un'altra audizione per dare modo ai colleghi di formulare le domande.
NICOLA RAGGETTI, Presidente della sezione COCER Carabinieri. Sarò breve perché, come ha affermato giustamente il generale Rossi, questo nuovo sistema di arruolamento ci riguarda solo marginalmente. Peraltro, le criticità di questo nuovo sistema sono state illustrate dai colleghi dello stato maggiore, che sono già stati sentiti da questa Commissione.
Come COCER io posso sottolineare soltanto un aspetto di carattere personale. Il fatto di aver previsto il reclutamento del personale da ruoli base provenienti dalle altre Forze armate, quindi dai VFP1 e dai VFP4, ha comportato per l'Arma dei carabinieri un problema, ossia quello dell'innalzamento dell'età media del nostro personale.
Noi oggi ci troviamo a un livello medio già di oltre quarant'anni. Considerate se un uomo di 50-55 anni possa essere impiegato giorno e notte su un'auto che gira per le nostre strade o, ancora peggio, in servizi di ordine pubblico sul territorio, dove si trova magari a dover competere - non dico a fare a botte - o a contenere escandescenze di tifosi di 18-20 anni.
Ci sono criticità dovute non solo al fatto che il personale proviene dalle altre Forze armate, ma anche, per esempio, al blocco del turnover. Oggi nell'organico dell'Arma dei carabinieri c'è una deficienza di oltre 7 mila unità. Dal 2009 in avanti stiamo coprendo il turnover, ma fino al 2009 abbiamo accumulato 7 mila unità in meno.
Sostanzialmente, da un punto di vista puramente tecnico, non posso che confermare
la validità dell'attuale sistema di arruolamento. Non ci sono problemi di alcuna natura col personale femminile che abbiamo progressivamente immesso nelle nostre fila. Per noi va bene questo sistema di difesa.
Ci sarebbe da auspicare - per noi erano la manna dal cielo, ma purtroppo non ci sono più - il reintegro dei giovani ausiliari, che di punto in bianco ci sono stati tolti, ragion per cui sono sparite con un tratto di penna 10 mila unità dal nostro organico.
Capisco che si va avanti, che la situazione, la realtà e la società evolvono, ed è giusto che sia così. Peraltro, avere la possibilità di transito nell'Arma dei carabinieri consente ai colleghi dell'Esercito di avere anche uno sbocco per il loro impiego, almeno per un numero elevato di loro. Grazie.
BRUNO BARTOLONI, Presidente della sezione COCER Guardia di finanza. Molto velocemente credo che le problematiche siano state ben rappresentate dai colleghi del comparto della Difesa. Esse sono assolutamente condivise dal COCER Guardia di finanza, il quale associa il suo supporto alle tesi esposte.
Per quanto riguarda in concreto la Guardia di finanza, svolgo due sole considerazioni. La prima è analoga a quella dei Carabinieri: noi abbiamo ormai un gap strutturale di organico che deriva dal blocco del turnover passato, per cui abbiamo 5 mila posti scoperti che al momento non verranno ripianati.
Contemporaneamente, l'allungamento dell'età pensionabile e il blocco del turnover determinano un progressivo invecchiamento delle persone. Se questo trend dovesse proseguire, noi ci troveremo di fronte anche a situazioni nelle quali probabilmente occorrerà, per garantire la funzionalità dell'organizzazione, far premio sulle funzioni a più alto valore, cioè gli ispettori, rispetto al ruolo di base. Ciò potrebbe ulteriormente complicare la situazione, perché, se si va anche per le Forze di polizia verso una situazione di razionalizzazione, è chiaro che a quel punto anche gli spazi per i colleghi delle Forze armate potrebbero risultare compressi.
Tutto ciò avviene in un contesto nel quale la ristrettezza di bilancio certamente influisce anche su di noi, ma in una prospettiva nella quale il nostro lavoro consente di far fronte alle stesse ristrettezze di bilancio. Il nostro problema oggi è quello di processare tempestivamente i numerosi input operativi che vengono generati attraverso le attività di raccolta di informazioni e di incrocio dati che sono state sempre più sviluppate. Grazie.
ANTONIO CIAVARELLI, Membro comitato di presidenza del COCER-Interforze. Grazie, presidente e onorevoli. Scusate se ruberò pochi istanti per un intervento. Naturalmente esprimo la mia totale condivisione con le considerazioni del presidente del COCER-Interforze.
Aggiungo soltanto alcuni piccoli approfondimenti e riflessioni riguardo al Corpo della guardia costiera. In questo contesto non parlerò, come al solito, delle dipendenze funzionali, né, tanto meno, delle gravi problematiche di polizia giudiziaria. Noi di fatto siamo una Forza di polizia, cosa riconosciuta anche dal dicastero della Difesa e dallo stato maggiore della difesa, però, allo stesso tempo, non abbiamo una legge che ci tuteli né sotto l'aspetto pratico e materiale - dalle armi, ai giubbotti, alle manette - né sotto l'aspetto legale.
Riguardo a tale aspetto mi permetto di lasciare alla presidenza e ai Gruppi parlamentari alcuni appunti che rappresentano la sintesi delle delibere emanate sia dal COCER Marina, sia dalla rappresentanza della Guardia costiera a livello nazionale.
Aggiungo alcune riflessioni attinenti con l'argomento che stiamo trattando oggi. Non possiamo non argomentare non tanto sulla questione degli esuberi, quanto su quella dello sbilanciamento di numeri da una categoria all'altra. Io vorrei avanzare in questo contesto un proposta. Voi conoscete benissimo gli impegni della Guardia costiera, non soltanto perché il sottoscritto da dieci anni vi tormenta in ogni occasione,
quasi come se fosse un inviato del Le Iene o di Striscia la notizia, ma anche per via di fatti concreti, come le ultime attività che si sono svolte all'Isola del Giglio.
Esiste un problema gravissimo di consistenza. Siamo veramente in pochi ed è difficilissimo su 8 mila chilometri di costa far fronte alla miriade di competenze, sotto l'aspetto sia qualitativo, sia quantitativo.
La mia proposta è, dunque, quella di trasferire i marescialli appartenenti alla Marina nel Corpo delle capitanerie di porto. Nel ruolo ci sono esuberi, ma non nella Forza armata. Come sappiamo, il funzionamento della Guardia costiera dipende dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma anche da altri ministeri, che pagano gli stipendi ai dipendenti.
In questo discorso come c'entrano i graduati? Basta prevedere che per i prossimi cinque o dieci anni i marescialli che andranno in pensione dovranno essere sostituiti con VFP1 e VFP4, che percepiscono la metà dello stipendio del maresciallo. L'amministrazione ci guadagnerebbe economicamente e troverebbe anche una collocazione ai marescialli, che magari, sbarcando dalla nave, dove sono stati gratificati nella loro professione, si ritrovano invece a essere frustrati in collocazioni che non danno loro soddisfazione.
Nelle Capitanerie di porto, invece, per esempio un esperto delle telecomunicazioni, collocato nella centrale operativa del Comando generale o di una Direzione marittima, troverebbe una giusta collocazione per questo tempo transitorio.
Quanto sto affermando non è stato mai smentito dai nostri vertici, né a livello informale, né a livello formale, tanto che con la legge n. 255 del 1991 si è provveduto a questo transito. Su questo si potrebbe anche svolgere un'audizione del Comando generale ed eventualmente anche del COIR delle Capitanerie di porto.
Vi ringrazio della vostra attenzione. Noi abbiamo 8 mila chilometri di costa e le ricchezze economiche oggi arrivano dal mare. Prestare attenzione alla Guardia costiera e alla Marina militare rappresenta un investimento anche economico. Vi ringrazio.
GUIDO BOTTACCHIARI, Presidente della sezione COCER Aeronautica militare. Buongiorno a tutti. Saluto i commissari e il presidente. Ero molto indeciso a intervenire, perché poche volte sono stato tanto contento dell'intervento del presidente del COCER-Interforze. Oggi è uno di quei pochi giorni. Anche tra noi c'è un minimo di democrazia.
Stamattina al COCER-Interforze abbiamo tenuto un bel confronto sulla questione. Stiamo parlando di ieri. Domani tutti voi - e noto l'interesse anche dei commissari, molto presenti oggi - sentirete il Ministro della difesa.
Vado al cuore del problema e a ciò che ha appena comunicato il generale Rossi. Su questo punto ho scritto un articolo, che è girato sui blog e che ho inviato anche ai commissari. Noi cerchiamo di rivisitare un modello di difesa partendo da un dato finanziario, il che è ineludibile per la situazione del Paese. Nessuno scende da Marte, ce ne rendiamo conto perfettamente. Non siamo a polemizzare su questo punto.
Io ebbi modo di affermare, lo scorso 12 dicembre, parlando al Ministro della difesa, che non voglio discutere come rappresentante del personale sui numeri, ma voglio capire in che tempi avverrà la ristrutturazione del modello e come sarà trattato il personale. Chiedo ai commissari la medesima attenzione.
All'interno del mondo militare c'è una variegata e altissima professionalità. Ci sono persone che hanno scelto di svolgere una professione diversa da quella di tutti gli altri. Non vorrei che si trattassero alla stessa stregua, o forse, per alcuni versi, mi augurerei che fossero trattati alla stessa stregua, di altri settori.
È un argomento molto delicato. Siamo tutte persone con grande senso del dovere, grande attaccamento all'uniforme e altissimo senso dello Stato. Quando si sentono numeri di 30-40 mila persone in esubero, da mandar via e da ricollocare in ausiliaria,
ossia messi a disposizione senza far nulla, e di transiti in altre amministrazioni, ci preoccupiamo molto.
Il modello di difesa precedente, quello elaborato nel 2001, aveva una prospettiva di vent'anni. Io non so se l'Europa o le altre organizzazioni ci consentiranno questo stesso lasso temporale, perché, se fosse così, potremmo gestire la situazione in maniera più equilibrata. Se, però, dovessimo farlo in tempi diversi, chiedo che il Parlamento tenga presente che al nostro interno ci sarebbe molta sofferenza, se questa problematica non fosse guardata con estrema attenzione. È un appello che vi rivolgo.
PRESIDENTE. Grazie. Poiché dobbiamo recarci in Aula alle 15 per alcune votazioni, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 15.