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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
11.
Giovedì 8 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)

Audizione del direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative, Hervé Guider, e di rappresentanti di Federcasse:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 3 7 9 11
Baretta Pier Paolo (PD) ... 8
Gatti Sergio, Direttore generale di Federcasse ... 10
Guider Hervé, Direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative ... 3 9
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 7
Montagnoli Alessandro (LNP) ... 8
Vannucci Massimo (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta pomeridiana di giovedì 8 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO OCCHIUTO

La seduta comincia alle 15,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative, Hervé Guider, e di rappresentanti di Federcasse.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative, Hervé Guider, e di rappresentanti di Federcasse.
Sono presenti il direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative, Hervé Guider, il segretario generale dell'Associazione italiana banche popolari, Giuseppe De Lucia Lumeno, il direttore generale di Federcasse, Sergio Gatti, Riccardo De Bruyn e Maria Grazia Mattioni.
Nel ringraziarlo della presenza, do subito la parola al direttore Hervé Guider.

HERVÉ GUIDER, Direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati per avermi dato l'opportunità di presentare il punto di vista e le posizioni delle banche cooperative in Europa in merito all'impatto della normativa attualmente in discussione a Bruxelles. Tenendo conto dei testi in discussione, questa normativa è di tipo essenzialmente bancario e avrà, secondo noi, un sicuro effetto sulla crescita.
Nella prima parte della mia relazione, cercando di essere breve e non troppo tecnico, anche se i temi lo sono, propongo di mettere in relazione la riforma normativa con la situazione economica e finanziaria. Invece, nella seconda parte, vorrei discutere dell'impatto di questa riforma sulle banche cooperative. Cercherò, quindi, di spiegare nel dettaglio cosa sono le banche cooperative. Infine, nella terza parte esaminerò in che modo si può sfuggire ai vincoli che peseranno sempre più sul finanziamento dell'economia.
Conoscete tutti l'accordo di Basilea 3. Tuttavia, è utile ricordare il distacco della normativa rispetto alla situazione economica attuale e futura. Faccio un breve excursus storico. Nel 2008, i Paesi del G20 hanno dato mandato al Comitato della regolamentazione bancaria del Comitato di Basilea di prendere misure volte a rafforzare la capacità delle banche di far fronte alle crisi, evitando il rischio sistemico, che può portare a un fallimento diffuso delle banche con evidenti conseguenze sul finanziamento dell'economia, ma anche sulla popolazione.
Nel giro di soli diciotto mesi, il Comitato di Basilea, composto dai rappresentanti delle Autorità di controllo e vigilanza dei 20 più grandi Paesi del mondo, nel


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quale l'Europa ha soltanto 9 seggi, quindi è minoritaria, si è accordato su un insieme di raccomandazioni - pertanto, non ha prodotto una regolamentazione - destinate alle banche internazionali, non a quelle nazionali o di servizi al dettaglio. Queste raccomandazioni consistono nel chiedere alle banche di avere un capitale più elevato rispetto a quello attuale, ma anche di migliore qualità per assorbire le perdite. A ciò si sono aggiunte altre prescrizioni in materia di liquidità. In altri termini, le raccomandazioni del Comitato di Basilea riguardano sia la solvibilità che la liquidità delle banche. A questo proposito, vorrei fare alcune osservazioni.
In primo luogo, la modellizzazione, la parametrizzazione e la calibrazione scelte dal Comitato di Basilea sono state concepite nel 2009, quindi in un ambiente finanziario completamente diverso rispetto a quello che conosciamo oggi, se consideriamo che la crisi del debito sovrano è presente nel primo piano di salvataggio della Grecia solo nel maggio 2010. Pertanto, non si è tenuto conto neppure dei vincoli dovuti allo choc sulle borse e alle tensioni sui mercati monetari e sull'accesso alle liquidità che ne sono seguiti.
In secondo luogo, gli Stati membri dell'Unione europea, sin dal 2010, hanno annunciato con chiarezza che l'accordo di Basilea sarà applicato a tutte le 7.000 banche europee. Tuttavia, come ho detto, questo accordo contiene soltanto raccomandazioni destinate alle grandi banche internazionali. L'Europa ha deciso, invece, di andare oltre; di fare, insomma, il primo della classe, applicando questo accordo a tutte le banche europee. Vi ricordo, tra l'altro, che gli americani pensano che l'accordo di Basilea 3 si debba applicare soltanto alle grandi banche internazionali. Questa è una grossa differenza rispetto all'Europa.
In più, due mesi fa, il Presidente della Commissione europea, Barroso, ha deciso che sarebbe preferibile per l'Europa anticipare l'entrata in vigore di Basilea 3, aumentando i coefficienti di solvibilità già dal giugno 2012, anziché dal 1o gennaio 2013. Per questo - come avrete letto sulla stampa - alla fine di dicembre 2011, l'EBA (European Banking Authority) ha condotto degli stress test sulle banche, dimostrando che, per potersi conformare a queste nuove prescrizioni della Commissione europea, avrebbero bisogno di 150 miliardi di euro.
La terza osservazione è che la crisi della zona euro e le politiche di consolidamento del debito pubblico stanno deprimendo la crescita. Le previsioni della Commissione europea parlano, infatti, per il 2012 di una crescita della zona euro inferiore all'1 per cento. Quindi, l'applicazione di Basilea 3 si scontrerebbe con questa congiuntura depressa.
Peraltro, in Europa, il processo di recepimento di Basilea 3 si accompagna a profondi cambiamenti nell'organizzazione della vigilanza, con l'entrata in funzione dal 1o gennaio 2011 di una nuova autorità, l'Autorità bancaria europea, che ho appena citato. Siccome Basilea 3 non bastava, nella proposta della Commissione europea è stato chiesto a questa nuova Autorità di definire delle norme tecniche, che vanno, appunto, al di là di quanto già previsto da Basilea 3. Queste nuove norme sono applicabili, però, solo alle banche che si trovano nell'Unione europea.
Aggiungo che nella legislazione europea Basilea 3 sarà recepito con due strumenti giuridici; il primo è un regolamento; il secondo, una direttiva. La differenza tra i due è che un regolamento europeo è recepibile, mutatis mutandis, nella legislazione, per esempio, italiana senza poter modificare niente. Questo significa che nel recepimento di Basilea 3 il margine di manovra dei Parlamenti nazionali è molto ridotto, cosa che li priva della possibilità di integrare le specificità del loro sistema bancario nazionale nella normativa.
Occorre, poi, considerare che il recepimento dell'accordo di Basilea è solo una parte di un pacchetto legislativo attualmente in discussione a Bruxelles, che comprende anche la revisione della direttiva sulla protezione dei depositi, che costringerà le banche a prefinanziare un fondo di garanzia e non a postfinanziarlo come accade ora; un'altra iniziativa riguarda la


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soluzione delle crisi, che obbligherà le banche a prevedere piani di soccorso in casi di difficoltà con un fondo di intervento; infine, un'ultimissima proposta è volta a tassare tutte le transazioni finanziarie.
Mi sono permesso di ricordare questi elementi per sottolineare la situazione conflittuale nella quale si trova l'Europa. Da una parte, vi è la volontà di dotarsi di un quadro normativo unico al mondo; dall'altra, vi è un'economia profondamente depressa. Dico questo per segnalare lo scollamento esistente tra le preoccupazioni del regolatore e la situazione dei mercati e dell'economia. Infatti, sottoporre tutte le banche, in particolare quelle cooperative, a vincoli prudenziali molto severi non potrà che alterare il finanziamento dell'economia reale, quindi la crescita. Di fatto, esiste un effetto di contagio tra l'inasprimento del quadro normativo e l'effetto sul finanziamento dell'economia reale, tesi che è facile dimostrare proprio con l'esempio delle banche cooperative.
Le banche cooperative sono locali e regionali. In Europa, esistono 4.000 istituti di questo tipo, che conoscete anche in Italia, su 7.000 banche complessive. Ciò vuol dire che più di una banca su due ha uno statuto cooperativo. Queste banche, generalmente, non si rivolgono al mercato; hanno un bilancio compreso tra 1 e 50 miliardi di euro e la loro attività consiste nel raccogliere i depositi e concedere dei crediti alle piccole e medie imprese e alle famiglie. In sostanza, è un modello di banca molto semplice, non rivolto alla speculazione sui mercati, quindi in nessun modo coinvolto nella crisi finanziaria. Tuttavia, questo sistema sarà comunque toccato dalla riforma del quadro normativo.
Come può una banca cooperativa soddisfare le nuove esigenze in materia di capitale? I fondi propri di una banca cooperativa sono costituiti dal capitale sociale e dalle riserve, quindi l'unico mezzo per aumentare i fondi propri è riscuotere capitale sociale dai membri a un tasso allettante. L'effetto, però, è limitato, ma soprattutto oneroso. Un'alternativa è aumentare le riserve, ovvero la quota di profitti destinata alle riserve. Tuttavia, il livello di profitti dipende, a sua volta, da due fattori: il margine di intermediazione, che è molto basso (tenuto conto dei tassi attuali, è inferiore allo 0,5 per cento), e le spese di funzionamento, che, invece, per una banca cooperativa sono piuttosto elevate, perché questi istituti sono molto presenti sul territorio. Infatti, vi sono più di 60.000 agenzie in Europa che fanno parte delle banche cooperative. Di conseguenza, per conformarsi ai nuovi coefficienti prudenziali e passare dall'8 al 10,5 per cento, la banca sarà costretta a ridurre automaticamente la distribuzione di crediti all'economia.
Supponiamo, per esempio, che una banca abbia un capitale di 8 euro e un ammontare di crediti ponderati per il rischio di 100; la banca ha, quindi, un coefficiente dell'8 per cento, come è richiesto oggi. Domani la banca dovrà avere un coefficiente del 10,5 per cento. Tuttavia, siccome la banca non ha i mezzi per aumentare il proprio capitale, per le ragioni che ho appena indicato, deve riportare il proprio portafoglio crediti a 76 per avere un coefficiente di 8 su 76, cioè il 10,5 per cento, appunto, che implica una riduzione dei crediti del 25 per cento. Ecco, questa, purtroppo, è la realtà che si prospetta.
Ciò vale per la solvibilità. C'è, poi, anche il problema dei vincoli in materia di liquidità. Infatti, la crisi ha dimostrato che anche una banca solvibile può avere un problema di liquidità, come abbiamo visto in Belgio con Dexia, che era una banca molto solida e solvibile, anche al di là di quanto richiesto da Basilea, eppure ha avuto un problema di liquidità, con difficoltà molto grosse. Ebbene, anche il coefficiente di liquidità avrà un impatto sul finanziamento dell'economia sia a breve che a lungo termine. Senza entrare nel dettaglio, è importante sottolineare che se una banca, in termini di durata di crediti e di risorse, non ha una perfetta correlazione, allora dovrà inevitabilmente ridurre i crediti a lungo termine.
Oggi, una banca cooperativa fa intermediazione; cioè, le sue risorse sono a


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breve termine, ma le presta a lungo termine alle imprese, alle famiglie per i mutui, ma anche alle collettività e agli enti pubblici. Insomma, si rifinanzia regolarmente, ma non c'è una correlazione immediata, bensì un divario tra le risorse a lungo e a breve termine. Tuttavia, questo non sarà più possibile con i nuovi coefficienti di liquidità, quindi non si potrà più prendere risparmio a lungo termine perché i clienti ci chiedono, per ragioni di rifinanziamento delle pensioni e quant'altro, prodotti bloccati, come le assicurazioni vita. Pertanto, questo divario ci costringerà a ridurre la durata dei nostri crediti, penalizzando gli investimenti a lungo termine, in particolare quelli per gli enti locali. Le nuove esigenze in materia di solvibilità e in materia di liquidità avranno automaticamente un effetto contagio sul finanziamento dell'economia reale. Insomma, non si avrà più un effetto di leva, ma, al contrario, sarà sempre più difficile finanziare l'economia reale attraverso il finanziamento bancario.
Vediamo, ora, quali sono le leve disponibili per ammortizzare questo effetto negativo. Innanzitutto, bisogna modificare la proposta della Commissione europea rendendola più euro-compatibile, il che equivale a tener conto delle specificità europee, senza effettuare un recepimento nella normativa europea di Basilea 3 allo stato attuale. Questa, infatti, è competenza del Parlamento europeo e del Consiglio. È vero, tuttavia, che il margine di manovra è piuttosto ridotto perché alcuni Stati membri come l'Italia, la Germania e la Francia, soprattutto su richiesta delle banche cooperative, desiderano che l'Europa si limiti al recepimento di Basilea 3, stricto sensu, mentre altri Paesi, quali il Regno Unito, chiedono all'Europa di andare oltre, questo perché il sistema bancario della City britannica è ben diverso da quello degli altri Paesi europei.
Bisogna, poi, fare una revisione dei criteri e dei livelli scelti per ponderare i rischi legati ai crediti destinati alle PMI (piccola e media impresa). Attualmente, un credito accordato a una piccola e media impresa ha una ponderazione del 75 per cento. Ora, se questa ponderazione fosse riportata al 50 per cento, le banche potrebbero prestare gli stessi volumi alle imprese con un capitale equivalente a quello attuale.
Ancora, è necessario agire sulla determinazione delle norme tecniche definite dall'EBA (European Banking Authority), rivedendo il regolamento adottato nel 2010. Infatti, l'EBA agisce, conformemente alla legge del 2010, in maniera indipendente, quindi non si può intervenire sui suoi lavori per modificarne le decisioni. Quando i 27 regolatori a Londra avranno deciso una norma tecnica che sarà imposta alle banche, i Parlamenti nazionali non avranno più alcun mezzo per adeguare questa norma al sistema bancario dei singoli Paesi o, per esempio, alle banche cooperative. Quindi, emendare questo regolamento del 2010 restituirebbe ai Parlamenti il potere di farlo, senza minacciare la missione dell'EBA.
Inoltre, bisogna chiedere che qualsiasi misura legislativa sia oggetto di uno studio di impatto per valutarne gli effetti sull'economia reale. Insomma, a cosa serve avere banche in buona salute, se poi non sono capaci di finanziare l'economia? Sulla stessa linea, occorrerà chiedere al legislatore europeo di riconoscere le specificità delle banche in Europa poiché ritenere che la stessa regolamentazione debba applicarsi uniformemente a tutti i modelli di banca equivale a condannare la diversità del settore bancario europeo. Sappiamo tutti che la diversità è, invece, un fattore di stabilità. In questo quadro, il riconoscimento delle specificità delle banche cooperative è fondamentale.
In più, è essenziale scaglionare nel tempo le iniziative regolamentari o addirittura stabilire una pausa finché gli Stati non avranno ritrovato i loro margini di manovra, soprattutto per il controllo dei deficit e dell'indebitamento al fine di ridurre l'instabilità e l'incertezza sui mercati. Certo, l'Europa si è impegnata a rispettare il calendario deciso da Basilea, ma molti Paesi firmatari dell'accordo di


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Basilea, come gli Stati Uniti, non hanno ancora applicato il precedente accordo, cioè il Basilea 2.
In conclusione, l'economia europea non può fare a meno delle banche. Circa l'80 per cento dell'economia europea è finanziata attraverso il sistema bancario. Invece, negli Stati Uniti è ben diverso perché l'80 per cento dell'economia è finanziata dai mercati. Pertanto, il recepimento di Basilea 3 avrà un'influenza molto grave sulle banche, penalizzando automaticamente il finanziamento dei mercati. D'altra parte, la calibrazione fatta da Basilea obbliga o incoraggia le banche a finanziare il deficit, riacquistando il debito pubblico, piuttosto che finanziare l'economia, che sarebbe il vero mestiere delle banche.
Credo di aver esplicitato l'impatto che la normativa attualmente in discussione a Bruxelles potrà avere sulla crescita. Per concludere, direi che l'orientamento adottato a Bruxelles consiste nell'affidare le leve alle autorità incaricate della vigilanza bancaria. Insomma, avremo delle banche molto sane, ma assolutamente incapaci di finanziare l'economia. Tenendo conto delle specificità dell'economia europea, e in particolare del peso di circa ventuno milioni di piccole e medie imprese in Europa, il 90 per cento delle quali ha meno di dieci dipendenti, ma contribuiscono molto significativamente all'occupazione, saranno proprio le PMI a non essere finanziate dalle banche e saranno le più penalizzate dal recepimento dell'accordo di Basilea 3.
Vi ringrazio. Sono disponibile a rispondere a qualsiasi domanda.

PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore Guider della sua relazione. A cosa serve avere delle banche in salute, se poi non possono finanziare l'economia? Questa è la domanda che ci rivolgiamo tutti, per cui siamo contenti che l'abbia citata.
Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIORGIO LA MALFA. Grazie, presidente. Ringrazio il direttore Guider di questa esposizione estremamente franca, che ovviamente apprezziamo. Infatti, dovendo ragionare su questi problemi, è meglio partire da posizioni molto nette come le sue. Già altre volte abbiamo sentito esprimere critiche e riserve su Basilea 2 e adesso su Basilea 3. Possiamo, quindi, valutare i rischi che lei espone.
La domanda che le rivolgo è questa. Le autorità mondiali ed europee hanno deciso di incrementare così fortemente le dotazioni di capitale del sistema bancario, commettendo un errore, cioè intervenendo laddove non vi era alcun bisogno, o almeno non in questa misura, oppure, a partire dal 2007, si sono trovate davanti a un sistema bancario che non era in grado di far fronte ai rischi che si assumeva, cosa che ha comportato un infinito obbligo di interventi pubblici, il quale ha portato, a sua volta, alla crisi dei debiti sovrani?
Stiamo affrontando una crisi del debito sovrano che è prevalentemente figlia dell'aggravamento del debito pubblico a causa degli interventi degli Stati per il salvataggio del sistema bancario. Capisco bene le vostre osservazioni sulle conseguenze che questo può portare. Tuttavia, l'alternativa sarebbe non fare nulla oppure lei suggerisce di riconoscere che le banche grandi tendono a far male, mentre le medio-piccole sono molto sane? Questa potrebbe essere una spiegazione, quindi le sarei grato se ci desse un'indicazione di questo genere. Insomma, avete degli elementi che ci facciano pensare che non c'è nessun bisogno di applicare alle banche medio-piccole le stesse misure di severità che si vorrebbe applicare a quelle internazionali?
Vengo alla seconda domanda. Qualora - come lei stesso ha detto, affermando che è difficile convincere l'Europa a cambiare - non sia possibile modificare questa impostazione, quali solo le conseguenze che lei intravede sul sistema? Non mi riferisco solo a quelle che ha già detto, come la diminuzione dell'ammontare degli attivi, non potendo aumentare il capitale. Ci sarebbero, per esempio, ondate di fusioni nel sistema cooperativo per cercare di ammortizzare l'impatto? Dobbiamo, insomma, immaginare anche una forte razionalizzazione


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del settore quale conseguenza della permanenza di queste normative? Grazie.

PIER PAOLO BARETTA. Ringrazio anch'io il nostro ospite dell'esposizione. La mia domanda è molto semplice, ma, per certi versi, provocatoria, cosa di cui mi scuso. Ci ha fornito un dato molto interessante sulla diffusione del vostro sistema in rapporto all'intero sistema bancario. In pratica, siete una potenza bancaria nel quadro europeo. Noi, peraltro, sappiamo che è così e conosciamo la linea con la quale le banche cooperative hanno gestito, anche nel nostro Paese, questa difficile crisi, con un atteggiamento più aperto rispetto alla possibilità di concedere delle erogazioni. Nella seconda parte del suo ragionamento ci ha descritto, invece, questo scenario preoccupante e ha delineato una possibile e oggettiva ricetta alla quale il sistema bancario sarà costretto.
Ecco, avendo voi un livello di diffusione così capillare e una forza rilevante a livello europeo, immaginate una linea alternativa possibile che pensate possa diventare elemento di contrattazione, nonché un contributo rispetto al quale i singoli Parlamenti o la politica possano attestarsi? Le chiedo questo perché, riguardo alla situazione che ha descritto, abbiamo bisogno di comprendere se ci sono linee alternative di intervento, ovviamente nel rispetto delle leggi. Vorremmo, pertanto, sapere se immaginate una strategia di approccio alla crisi che ci consenta di superare quella strettoia che, se fosse applicata nei termini in cui l'ha descritta, sarebbe un'ulteriore strozzatura in una situazione in cui, viceversa, abbiamo bisogno di favorire l'espansione.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Viviamo un momento in cui tutta l'Europa è in difficoltà. Chiedo, pertanto, un suo parere in merito a queste scelte. Secondo lei, dove ci vogliono portare? In questo contesto, penso che il sistema bancario del nostro Paese sia una realtà diversa dalle altre. In altre audizioni, ci hanno fornito dei dati, che non sono negli accordi di Basilea, sui derivati. Ebbene, il ricorso a tale strumento finanziario per le banche europee si attesta in media al 14 per cento, mentre per le banche italiane è del 2,5 per cento. Certamente questo è sintomo di buona gestione delle nostre banche; tuttavia, non sembra sia considerato all'interno delle direttive. Vorremmo capire, perciò, le scelte, ma anche vedere cosa possiamo fare.
Oltretutto, altri Paesi hanno anche finanziato grandi banche che hanno avuto delle insolvenze, a differenza della nostra realtà. Dal momento che lei si riferisce alla ristrettezza del credito, che siamo certi ci sarà, occorre considerare anche i vincoli derivanti dal patto di stabilità che, per il nostro Paese, coinvolge circa 70-80 miliardi di euro che le pubbliche amministrazioni non possono erogare. Su questo aspetto, vi è, poi, una questione aperta con il sistema bancario per cercare di dare liquidità alle imprese, quindi rimettere in piedi la crescita e lo sviluppo di questo Paese. Ecco, certamente queste norme metteranno ancora più in difficoltà il sistema Paese. Stando alle sue parole, i Parlamenti possono fare poco. Tuttavia, se la politica deve delegare a un sistema che è saltato a livello europeo, ma anche internazionale siamo molto pessimisti. Allora, quali soluzioni e quali alternative possiamo praticare per risolvere la problematica del credito e soprattutto favorire la crescita?

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio anch'io il direttore Guider. Le banche non fanno tutte lo stesso mestiere, ma hanno caratteristiche diverse tra loro. Siamo qui riuniti per fare un'indagine sulla crescita, che va aiutata e sostenuta da un credito all'impresa, in particolare la piccola e media impresa.
Allora, una soluzione non potrebbe essere quella di parametrare la necessità o il tasso di patrimonializzazione delle banche in relazione al tipo di utilizzo che esse fanno della loro raccolta? Mi spiego. Se la media europea è di una capacità di credito all'impresa del 40 per cento rispetto alla raccolta, mentre quella italiana è - faccio


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per dire - del 70 per cento, oppure la media delle banche cooperative europee è ben diversa dalla media nazionale, si può fare in modo che il livello di patrimonializzazione sia parametrato all'utilizzo. Non so se è d'accordo, ma questa potrebbe essere un criterio da introdurre.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

HERVÉ GUIDER, Direttore generale dell'Associazione europea delle banche cooperative. Vi ringrazio per le domande. Non so se anche i miei colleghi italiani vogliono rispondere. A ogni modo, sono colpito dalle vostre domande, in particolare quando mi chiedete quali possono essere le soluzioni. Ecco, vi direi che la soluzione è nelle vostre mani.
Ricordo che c'è stato un momento di panico, soprattutto nel settembre 2008 dopo il fallimento della Lehman Brothers, nella riunione del G20, per cui bisognava fare qualcosa. In effetti, il sistema bancario rischiava di implodere. Tuttavia, ciò non valeva per il sistema europeo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la crisi viene dagli Stati Uniti. C'è stato, successivamente, un effetto contagio sulle banche europee, che non ha riguardato, però, la solvibilità bensì la liquidità. In altri termini, le banche hanno avuto maggiore prudenza rispetto ai prestiti tra di loro perché non erano certe di poter essere rimborsate. Questa è la risposta alla prima domanda che mi è stata posta.
Il problema non riguarda la normativa o la regolamentazione, ma la vigilanza. Si tratta di due cose diverse. Si possono mettere quindici airbag in una macchina, ma se si superano i limiti di velocità senza controllo, l'incidente è comunque inevitabile. Lo stesso vale oggi per Basilea 3. Nelle misure che sono state prese, in particolare da Basilea 3, non si dice nulla sulla vigilanza.
Inoltre, vi sono grandi e piccole banche. Noi, banche cooperative, siamo nella categoria medio-piccola. Come ho rammentato prima, proprio per le dimensioni di una banca cooperativa, piccola o media, anche se facesse bancarotta, non ci sarebbe un rischio sistemico, mentre se fallisse una banca internazionale, che ha spesso un bilancio superiore alla ricchezza nazionale, avrebbe un rischio elevatissimo per l'economia. Bisogna, quindi, introdurre non misure discriminatorie, ma flessibilità. Per questo parlavo di una calibrazione. Invece, nella fretta - ricordo che Basilea 3 è stato concepito in meno di diciotto mesi, mentre il precedente Basilea 2 in 10 anni - non c'è stato uno studio di impatto sui vari punti che sono stati sollevati anche in questa sede. Una flessibilità nel recepimento di Basilea 3 è, dunque, fondamentale. Non si possono trattare tutte le banche (d'affari, internazionali, nazionali, dei servizi al dettaglio e quant'altro) alla stessa maniera.
Un'altra domanda riguardava un percorso alternativo. Come associazione europea, ma anche con i nostri membri nazionali, cerchiamo di incontrare i parlamentari nazionali per spiegare gli effetti di Basilea 3 e del nuovo pacchetto legislativo. All'inizio non ci capiscono molto perché le banche sono spesso considerate le responsabili della crisi. Tuttavia, come banche cooperative - chiedo conferma ai colleghi presenti - non ci sentiamo per niente responsabili perché non abbiamo investito nei subprime o nel mercato americano. Lehman Brothers non è certo la Banca popolare di Milano. Insomma, non siamo sulla stessa scala. Quindi, quando spieghiamo ai parlamentari di altri Paesi che le banche cooperative finanziano più di un'impresa su tre in Europa, hanno una quota di mercato per i mutui del 40 per cento e sono i principali contributori del finanziamento per gli enti locali - i rappresentanti degli enti locali presenti possono testimoniarlo - e che l'impatto di Basilea 3 ci porterà a rivedere il finanziamento dell'economia, l'atteggiamento cambia. Siamo delle banche piccole e medie, quindi non abbiamo spesso l'occasione di esprimere il nostro punto di vista di fronte ai Parlamenti, mentre le banche commerciali hanno più mezzi per farsi sentire. Tuttavia, come le altre banche, siamo a contatto con la realtà.


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A proposito delle conseguenze sul sistema bancario, non dobbiamo nascondere il fatto che anche nelle nostre reti ci possono essere dei tentativi di fusione perché la redditività è piuttosto limitata e le nuove esigenze di fondi propri ci obbligheranno ad aumentare le riserve, cioè a essere più redditizi. Per questo dobbiamo diminuire i nostri oneri, visto che la nostra rete di distribuzione è molto vasta; come ben sapete in Italia, anche nelle città più piccole c'è una banca cooperativa.
Il costo di funzionamento di una rete bancaria è del 5-6 per cento, in genere. Oggi, una banca si rifinanzia dalla Banca centrale all'1 per cento. La nostra presenza sul territorio ci costa il 5 per cento, mentre potremmo rifinanziarci dalla banca centrale all'1 per cento. Non dimentichiamo poi che siamo piccole e medie banche, quindi non rientriamo nelle agenzie di rating. Ciò nonostante, il coefficiente per sottoscrivere le richieste alla Banca centrale stranamente ci penalizza perché abbiamo il rating peggiore, pur essendo noi in buona salute.
Si è parlato di possibili soluzioni. Ebbene, sono state presentate, ma sono state scartate. Una era, per esempio, quella degli eurobond, ma sapete bene qual è la posizione della Germania e della Francia su questo tema. Insomma, niente eurobond. Peraltro, oggi è anche una giornata chiave per la Grecia. Se questo Paese fallisce cosa succederà nella zona euro e alle banche? Questo è un grosso punto interrogativo.
Una delle ultime domande riguardava il contributo delle banche al finanziamento delle PMI. Ecco, quella proposta mi sembra una buona idea. Tuttavia, tenuto conto del calendario imposto dalle autorità, c'è poco spazio per discutere di proposte alternative. Infatti, attualmente in Europa è in corso la presidenza danese. La prossima sarà quella cipriota. I nostri amici britannici, però, hanno detto che Basilea 3 non può essere discusso sotto la presidenza cipriota, il che vuol dire che deve essere adottato entro giugno, quindi è difficile proporre delle misure alternative entro quella data, facendo delle prove per altri scenari possibili.
La soluzione è che la politica, e in particolare i parlamentari europei, visto che si discute a Bruxelles, ma anche quelli nazionali riprendano in mano la questione perché c'è una delega di poteri a organizzazioni come l'EBA.

SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Ringrazio il direttore Guider di rappresentare, anche in maniera europea, le preoccupazioni dell'economia reale. Sottolineo, infatti, che noi non rappresentiamo le preoccupazioni degli azionisti, che sono milioni di soci in Italia e in Europa, ma, appunto, dell'economia reale.
Vorrei esporre due concetti molto rapidamente. Innanzitutto, visto che vi occupate in particolare di crescita, vorrei chiarire che non c'è crescita senza credito. Tralasciando tutte le polemiche che possiamo fare e in parte anche accettare sulle banche italiane, anche se in misura minore per il settore cooperativo, da qui a pochi mesi, la prospettiva delle nuove norme - considerato che non c'è solo Basilea 3, ma un effetto combinato - è davvero preoccupante. Sarebbe, quindi, paradossale che nel mezzo di uno sforzo straordinario di risanamento della finanza pubblica ci sia un taglio del credito non dovuto, in questo caso, ad avidità o a calcolo, ma a un impedimento da parte delle nuove norme. Insomma, ci preoccupa il destino dell'Italia e del modello italiano.
Mi dispiace di essere superficiale, ma non voglio abusare del vostro tempo. A ogni modo, vorrei ricordare - anche se non dovremmo essere noi a farlo - che c'è uno spazio per i Parlamenti, come riconoscono i Trattati europei, in particolare l'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea, con il principio di proporzionalità e di sussidiarietà. Infatti, in questo caso, è in gioco la sovranità nazionale in termini di autonomia della scelta del modello di sviluppo. Un modello come quello italiano, pieno di difetti, ma anche di straordinarie potenzialità, con un capitalismo «di territorio», diffuso e popolare rischia molto,


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qualora venisse a mancare il fondamentale apporto del credito di base per le microimprese e per le famiglie imprenditrici, oltre che per le piccole e medie imprese. Sarebbe, insomma, preoccupante mettere a rischio questa morfologia produttiva, considerato anche l'occupazione che crea e che ha mantenuto anche durante la crisi. C'è spazio, quindi, per la politica, anche se, purtroppo, c'è pochissimo tempo.
Non è un errore - mi rivolgo all'onorevole La Malfa - del legislatore internazionale, ma c'è una battaglia tra modelli culturali, quello anglosassone e quello dell'Europa continentale. Peraltro, è paradossale che proprio il modello anglosassone, negli Stati Uniti, per bocca del presidente della Federal Reserve, il 16 febbraio 2012, ha fatto sapere di non adottare Basilea 3 per tutte le banche, pur avendolo proposto loro. D'altra parte, anche Basilea 2 è stato adottato soltanto per 17 banche, pur essendo l'insieme dell'economia statunitense finanziata soltanto per il 24 per cento dalle banche, a differenza di quella europea che è per l'87 per cento sostenuta dagli istituti di credito. Se i nostri amici statunitensi, che sono i protagonisti della crisi, danno le ricette, ma non le applicano, ci sarà un motivo. Allora, il problema è culturale, politico e strategico, per cui non si tratta di un errore.
Il dottor Guider ha elencato diverse leve su cui si può intervenire in extremis. Per esempio, l'EBA sembra un'autorità intoccabile; è al servizio della Commissione e del Parlamento, ma non si può intervenire nei suoi lavori. Ecco, questo non è ammissibile per un Parlamento nazionale di un grande Paese come il nostro. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi del loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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