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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
17.
Martedì 27 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)

Audizione del presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi, Pasquale Natuzzi:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 12 14 20
Boccia Francesco (PD) ... 17 18
Cambursano Renato (Misto) ... 13
Di Taranto Vincenzo, Responsabile relazioni istituzionali del Gruppo Natuzzi ... 20
Duilio Lino (PD) ... 15 16
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 13
Marsilio Marco (PdL) ... 12
Nannicini Rolando (PD) ... 19
Natuzzi Pasquale, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi ... 3 12 13 14 15 16 18 19 20
Polledri Massimo (LNP) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 27 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 13,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi, Pasquale Natuzzi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi, Pasquale Natuzzi.
Sono presenti anche Vincenzo di Taranto, responsabile delle relazioni istituzionali, Vito Basile, responsabile dell'ufficio stampa, Domenico Capobianco, assistente tecnico del team di presidenza, Pasquale De Ruvo, responsabile della sicurezza, e Franco Dell'Acqua, responsabile delle risorse umane.
Abbiamo programmato questo ciclo di audizioni con alcuni testimoni, a nostro giudizio qualificati, dell'economia italiana che ci riferiscono la loro opinione, il loro parere e la loro visione soprattutto su quelli che potrebbero essere le prospettive e i suggerimenti utili per la crescita nel nostro Paese.
Darei subito la parola a Pasquale Natuzzi, che ha anche approntato un ausilio visivo, ringraziandolo per aver accettato il nostro invito. Purtroppo quest'audizione ha avuto una vita travagliata per quanto riguarda il suo svolgimento: il calendario della Camera è, infatti, soggetto, quando c'è il voto di fiducia, ad annullamenti degli impegni in ottemperanza alle norme del Regolamento.
Grazie ancora per avere accettato il nostro invito ed essere stato tanto disponibile.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Ringrazio tutti voi per avermi invitato. Sono onorato di essere qui e per l'opportunità che mi viene offerta di spiegare l'attività della nostra azienda e le sfide che oggi ci troviamo a dover affrontare sui diversi mercati. Vorrei illustrare innanzitutto la nostra azienda e il percorso che ha compiuto, anche perché evidentemente l'obiettivo che vorrei cogliere, in questa opportunità di ascolto, è quello di affermare che si può fare impresa in Italia e anche nel Sud Italia. Racconterei, quindi, in maniera molto breve - spero di non annoiarvi - la storia del nostro gruppo, della nostra azienda nel Sud dell'Italia. Spero che possa servire da incoraggiamento e dare fiducia a tutti gli italiani sul fatto che le imprese si possono aprire e gestire anche in momenti di grande difficoltà come quelli attuali.
La nostra azienda è ubicata tra la Puglia e la Lucania, in un paesino che si chiama Santeramo in Colle, di 25.000


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abitanti, sito nella Murgia, quindi in un territorio roccioso. Non vi è agricoltura, né altro. In tale luogo è nata la nostra azienda.
Quella che vedete è un'immagine che noi utilizziamo per sostenere che in giro per il mondo c'è un po' di Italia che è partita da qui, cioè dalla Puglia. È un manifesto che abbiamo a volte utilizzato come pubblicità istituzionale del nostro gruppo.
Io sono il fondatore dell'azienda. Nel 1959, quando ancora avevo i capelli, ho cominciato questa meravigliosa avventura, come artigiano, in un laboratorio a Taranto. Cominciai questo lavoro da tappezziere.
Noi abbiamo una missione all'interno della nostra azienda - perdonate la scrittura in inglese, ma l'ho elaborata durante il viaggio in macchina da Bari a Roma questa mattina e ho preso alcune slide che utilizzo in giro per il mondo in diverse circostanze - che è scritta sul nostro codice etico. Abbiamo un codice etico scritto ormai da circa venti anni. La missione della nostra azienda è quella di creare valore, valore innanzitutto per i nostri clienti, per i nostri dipendenti, per i nostri fornitori e anche per i nostri azionisti.
Considerate che noi siamo un'azienda quotata e che di solito nel mondo finanziario si ragiona all'opposto. Io sono stato sempre convinto, però, che creare valore per l'azienda e per i propri clienti significa veramente proiettare l'azienda verso il futuro. Bisogna soddisfare i clienti, perché loro devono ritornare per altri bisogni, con le loro generazioni.
Ovviamente non si possono soddisfare i clienti, se non si soddisfano i propri collaboratori e se non si riesce a motivarli nel proprio lavoro.
Anche i fornitori svolgono un ruolo fondamentale nella gestione di un'impresa. Non si può pensare di «strozzare» i fornitori, perché senza di loro, senza un prodotto di qualità, senza un buon servizio non si riesce a gestire bene l'intera catena del valore.
Riuscendo a soddisfare i clienti, i propri dipendenti e anche i fornitori vi è sicuramente il futuro per l'azienda. È stato un mio credo che porto avanti da sempre e che continuo a portare avanti. Come vi accennavo, è riportato sul nostro codice etico. Per chi lo vorrà leggere, magari vi faremo avere anche alcune copie.
Quanto alla leadership, Natuzzi è il più grande produttore di mobili italiano ed è anche il leader nel mondo nella produzione dei divani in pelle. Siamo il più grande produttore di divani in generale in Italia e, ripeto, i leader nel mondo nella produzione dei divani in pelle. Siamo l'unica azienda che opera a livello globale, dato che emergerà dalla presentazione che svolgerò.
Il 13 maggio 1993, diciannove anni fa, noi abbiamo portato la nostra azienda in Borsa, alla Borsa di New York. Io sono sposato felicemente e ho cinque figli. Noi deteniamo il 58-59 per cento delle quote azionarie, ossia la maggioranza. Alla data del 2 marzo 2012 la posizione finanziaria netta del nostro gruppo era di 40,1 milioni di euro.
Mia madre - chiedo scusa se ci sono avvocati presenti - mi ha sempre suggerito di stare alla larga dalle banche e dagli avvocati e io ho seguito alla lettera il suo consiglio. Per questo motivo abbiamo sempre lasciato gli utili dell'azienda al suo interno per finanziare gli investimenti con i nostri soldi e per far fronte anche a momenti di difficoltà. Siamo un'azienda che ancora oggi è solida economicamente e non ha debiti.
Passando alla catena del valore, noi abbiamo un Centro stile con 120 professionisti, tutti impiegati ovviamente dell'azienda, che partono dalla ricerca dei mercati e dei bisogni dei consumatori alla ricerca delle tendenze, per poi sviluppare e creare tutti i prodotti che noi commercializziamo.
Il Centro stile del nostro gruppo è ubicato a Santeramo in Colle ed è costituito di 120 giovani e meno giovani, professionisti, coloristi che disegnano i tessuti,


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sviluppano le pelli e i pellami, progettano i divani, i tavoli, i mobili, le lampade o gli accessori in generale.
Sviluppiamo anche i prototipi, ovviamente. Non solo svolgiamo la ricerca, ma progettiamo e sviluppiamo i modelli anche materialmente. Siamo certificati con la qualità ISO 9001 e 14001. La qualità è un processo, nessuno può affermare che produce qualità. Noi abbiamo 62 impiegati nell'area della qualità.
Per la certificazione 14001 noi non possiamo avere, perché rispettiamo evidentemente la procedura, rapporti con un fornitore che occupa manodopera minorile o che inquina l'ambiente, per esempio. Ogniqualvolta introduciamo un nuovo materiale o un nuovo prodotto, uno dei nostri ingegneri che lavora nell'ambito della qualità deve visitare il fornitore e certificare che tale soggetto è idoneo per essere un nostro fornitore. Gestiamo tutte queste attività.
Abbiamo una conceria e controlliamo il 92 per cento delle materie prime. L'acquistammo circa venticinque anni fa, perché la nostra missione era quella di rendere accessibili i divani in pelle. Questa fu l'idea imprenditoriale che io cominciai a coltivare dalla fine degli anni Settanta, per poi alimentarla e portarla avanti a partire dai primi anni Ottanta. L'idea era di rendere accessibili i divani in pelle perché costavano troppo, più di un'automobile, e io non me ne rendevo conto.
Per fare ciò abbiamo riprogettato completamente il divano nella sua struttura, abbiamo creato uno stile che gli addetti ai lavori chiamano stile Natuzzi e abbiamo integrato e verticalizzato tutto il sistema produttivo, controllando i pellami attraverso la nostra conceria di Udine, dove abbiamo 200 dipendenti.
Acquistiamo le pelli dai più grandi allevatori in giro per il mondo, nell'America latina, in Australia, in Sudafrica, e le trasformiamo all'interno della nostra conceria. A Napoli abbiamo uno stabilimento che produce le imbottiture, il poliuretano microcellulare. Controlliamo anche il legno in quella che è forse la più grande segheria d'Europa in Romania, al confine con l'Ucraina, dove partiamo dagli alberi che si riforestano, ma che ricrescono ogni quattro anni.
Controlliamo, quindi, l'intero processo, il 92 per cento delle materie prime e la quasi totalità dei servizi, sino ad avere la in-house agency. Anche la pubblicità è realizzata al nostro interno e tutto questo perché, essendo nati, cresciuti e avendo sviluppato quest'azienda nel «Nord Africa» - scusate la battuta, ma noi siamo nel Sud Italia, più vicini al Nord Africa che all'Europa - abbiamo dovuto organizzare un po' il tutto all'interno della nostra azienda, perché i mercati erano distanti.
Abbiamo undici stabilimenti, di cui sette in Italia, uno in Cina, due in Brasile e uno in Romania. La nostra sede centrale è a Santeramo in Colle, dove ci sono 570 impiegati, che, oltre allo sviluppo, si occupano del marketing mix, ossia dello sviluppo dei prodotti, delle analisi di mercato e delle campagne pubblicitarie.
Abbiamo poi l'ingegneria di produzione, l'information technology, la finanza, l'amministrazione e controllo. Il gruppo viene controllato praticamente da Santeramo in Colle.
Quanto alle nostre sedi commerciali, quella che vedete nello schermo è la nostra sede nel North Carolina. Il palazzo, che somiglia a una nave, fu progettato nel 1997 dall'architetto Mario Bellini e vinse il premio come miglior progetto nel 1998. Questa è la nostra sede americana nel North Carolina.
Abbiamo poi uffici a San Paolo, Bruxelles, Madrid, Londra, Colonia, Zurigo, Shanghai, Tokyo, Nuova Delhi e Mosca. Queste sono tutte le nostre sedi commerciali per essere vicino ai mercati. Nel dicembre del 2011 avevamo 6.667 dipendenti. Questo è il profilo del nostro gruppo.
Se vogliamo sintetizzare oggi la nostra azienda, noi siamo un gruppo che ha quattro marche, tra cui Natuzzi, Italsofa, Editions, Softaly. Operiamo in quattro grandi mercati, l'Europa, le Americhe, l'Asia pacifica e il Brasile, e in tre canali distributivi, il retailer, l'wholesaler, ossia i negozi multimarca, e anche la grande


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distribuzione. Per esempio, serviamo Ikea dal nostro stabilimento della Romania. Operiamo, dunque, in questi tre canali distributivi.
Abbiamo anche fabbriche in Italia, in Romania, in Brasile e in Cina, con tre livelli di organizzazione: abbiamo un'organizzazione corporate con sede a Santeramo in Colle, un'organizzazione regionale, una che governa l'Europa, un'altra le Americhe, un'altra l'Asia pacifica e un'altra il Brasile e, infine, l'organizzazione dei singoli Paesi, la Spagna, l'Inghilterra, la Florida e il Québec in Canada.
Questa è la sintesi del nostro gruppo, che guida tutte le nostre scelte organizzative nel mondo. È molto importante, perché a ogni mercato e a ogni marca corrisponde un canale distributivo, una fabbrica a servizio e una supply chain con un livello adeguato di organizzazione. Questo è il profilo della società.
Vi illustro un po' di storia. Partiamo dal 1980, perché quella dal 1959, anno in cui io ho cominciato questo lavoro, questa bellissima avventura, sino al 1980 è soltanto la storia appassionata di un ragazzo del Sud Italia che vuole emergere, che vuole fare qualcosa di diverso nella vita. Come vi accennavo prima, la mia missione, il mio chiodo fisso, la mia idea imprenditoriale era quella di democratizzare i divani in pelle.
Nel 1980 sono capitato, per fortuna e sfortuna, negli Stati Uniti. Nel 1978 mi imbarazzavo quando andavo alle fiere e dovevo sempre utilizzare i traduttori, che non riuscivano a trasferire la passione che io intendevo trasferire nel prodotto. Per questo motivo mi recai in Inghilterra per tre settimane di immersione totale e imparai quattro parole, che poi mi hanno consentito di girare il mondo e di imparare la lingua inglese.
Lo IASM, un ente statale dell'epoca, invitò la nostra azienda a partecipare a una fiera a Montreal. Io eseguii una ricerca di mercato per capire quali prodotti avrei dovuto sviluppare e presentare in Canada.
Quando tutto era pronto ci comunicarono che non era più possibile partecipare a questa fiera, perché era stata cancellata. Io avevo compiuto veramente sforzi enormi con i miei collaboratori e allora decisi di andare quantomeno per visitare la fiera, per capire come era organizzata, e acquistai un biglietto tutto compreso di andata e ritorno, albergo compreso, per sette giorni, per 900.000 lire dell'epoca. Andai a Montreal, con due metri di neve, e visitai la fiera.
C'erano trattori e pulcini gialli e in mezz'ora capii che dovevo ritornare a casa, ma non potevo farlo, perché dovevo rimanere per forza una settimana. Così, camminando per il centro di Montreal, vidi in un'agenzia pubblicitaria un biglietto di andata e ritorno per New York per un soggiorno di tre giorni a 99 dollari. Lo acquistai e decisi di andare a vedere New York.
Senza tirarla per le lunghe, riuscii a entrare in contatto con il buyer, il direttore acquisti di Macy's, un grande magazzino, il più grande distributore di mobili, ma non solo. È come la UPIM, ma ha 350 negozi in tutti gli Stati Uniti d'America.
Riuscii a entrare e da quel momento partì la nostra meravigliosa avventura americana. Per la prima volta noi riuscimmo a proporre in America un divano a 999 dollari al pubblico, quando il prezzo più basso all'epoca era di 2.499. Fu un'impresa veramente incredibile, che ci consentì di realizzare un trend di crescita inimmaginabile, che poi vi mostrerò attraverso un grafico.
Nel 1990, a dieci anni di distanza, il 90 per cento dei volumi che noi realizzavamo erano in America ed era troppo pericoloso avere il 90 per cento dei volumi in America, in quanto le vicende legate al dollaro o a qualsiasi altra problematica potevano mettere a rischio l'azienda.
Decidemmo, pertanto, di diversificare il rischio di mercato spostandoci in Europa e di lavorare anche in Italia. Noi eravamo un'azienda italiana che esportava il 97 per cento e realizzava solo il 3 per cento in Italia, perché in Italia il mercato era troppo frammentato, troppi piccoli i clienti e, se chiedevamo loro di fatturare, si arrabbiavano. Non volevano fatture.


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Poiché io non volevo correre rischi, decisi di aprire un primo negozio monomarca. Questo accadde nel 1990, quindi ventidue anni fa. Aprimmo il primo negozio specializzato nella vendita di divani in pelle.
Anche questo fu un grosso successo. Sviluppammo anche il nostro fatturato e organizzammo tutte le reti commerciali in Svizzera, Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, in tutta Europa, Medioriente e anche nell'Asia pacifica. Gli anni Novanta servirono a diversificare i rischi Paese per organizzarci in tutto il pianeta.
In quel periodo avevamo una richiesta tale di prodotti che non riuscivamo a sostenerla, acquistando i terreni, costruendo le fabbriche, assumendo le persone e formandole. I tempi del mercato erano molto più veloci di quelli con i quali noi riuscivamo a rispondere, ma, nello stesso tempo, i miei collaboratori, alquanto perspicaci, devo ammetterlo, si mettevano d'accordo tra di loro, un «creativo» con un «amministrativo» e con un «commerciale», e aprivano piccole aziende per conto loro.
Nell'arco di tempo dal 1990 al 2005-2006, in quindici anni, si sono sviluppati due distretti in quel territorio, uno a Matera e l'altro nelle Murge, ad Altamura e Gioia del Colle. Erano due distretti, ma confinanti l'uno con l'altro. Si svilupparono 540 aziende con 15.000 addetti. Pensate che miracolo siamo riusciti a compiere noi su quel territorio: due distretti con 540 aziende e 15.000 persone.
Abbiamo non solo sviluppato la cultura del lavoro in quel territorio, ma anche la cultura dell'impresa, dell'impresa sana, perché tutto veniva fatto alla luce della trasparenza. Essendo noi un'azienda quotata, ma al di là della quotazione, proprio per una mia forma mentis, ogni operazione doveva essere compiuta con enorme trasparenza. La Natuzzi ha cominciato a certificare i bilanci nel 1985-1986, quindi parliamo di oltre venticinque anni fa.
È nato un distretto e ovviamente con esso si è scatenata una concorrenza incredibile, perché le aziende che uscivano fuori dalla nostra erano piccoline (15-20-30 operai), lavoravano sette giorni alla settimana, non dovevano sviluppare prodotti, perché li copiavano, e avevano tutte le informazioni. Se uno voleva avere la hit parade dei clienti, ossia conoscere quali erano i clienti e i mercati più importanti, i modelli e i rivestimenti più venduti, doveva pagare 500.000 lire o un milione delle vecchie lire e otteneva queste informazioni, perché circolavano e venivano vendute praticamente sul mercato. Di conseguenza, loro riuscivano a realizzare prodotti uguali ai nostri a prezzi del 20-25 per cento in meno o anche più bassi, scatenando una guerra ai prezzi incredibile. Mi riferisco al distretto giù da noi.
Nel frattempo, però, si sviluppa tutta l'area dell'Asia pacifica, compresa la Cina, nonché i Paesi dell'Est, e anche il Messico. Noi, che eravamo un'azienda globale, eravamo accerchiati ovunque dalla concorrenza, che non riuscivamo più a sostenere. La nostra era un'azienda la cui missione era quella di rendere democratici i propri prodotti e che, quindi, faceva molta leva sul prezzo.
Nel 1997 riunii tutti i responsabili commerciali marketing, comunicando loro che, poiché il mondo stava cambiando, noi avremmo dovuto rivedere la nostra strategia.
Pensate che nel 1997, come nel 1998, nel 1999, nel 2000, nel 2001 e anche nel 2002, noi continuavamo a crescere a due cifre - più 15 o più 20 per cento ogni anno - e guadagnavamo a due cifre, 11 per cento, 12 per cento al netto delle imposte, e abbiamo pagato tasse, come Natuzzi. Ricordo che nel 2002 l'azienda guadagnò 90 milioni di euro al netto delle imposte, ragion per cui ne pagammo quasi 45-48 di tasse.
Fui indicato su un settimanale molto importante, credo che fosse L'Espresso, come l'uomo più ricco d'Italia, anzi l'uomo che aveva pagato tante tasse, non l'uomo più ricco d'Italia. Questa era la differenza. Le tasse che avevamo pagato noi in quel distretto nel Sud Italia per ammontare erano pari a tutta l'industria del mobile in Italia.


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Per darvi un'idea, questi sono numeri, sono fatti che noi possiamo dimostrare in qualsiasi momento. Intendo dimostrare che noi abbiamo sviluppato un'impresa etica, un'impresa sana, un'impresa trasparente e abbiamo sviluppato un distretto, un territorio e professionalità incredibili. Abbiamo artigiani, oggi, capaci di far sognare i consumatori di tutto il mondo, ma il distretto sta morendo. Ve lo devo riferire.
Riunii, dunque, tutti i miei collaboratori da tutto il mondo e dissi: «Signori, il mondo sta cambiando. Noi dobbiamo cambiare». Loro per cinque anni hanno creduto che Pasquale Natuzzi avesse bisogno di un medico: come si può pensare di cambiare strategia, quando l'azienda continua ancora a crescere a due cifre, a guadagnare a due cifre?
Per la verità, io avevo visto bene: il mondo stava cambiando e con largo anticipo noi avremmo dovuto rivedere la nostra strategia. Ciò accadde perché creammo tre nuovi marchi. Nel frattempo avevamo maturato esperienze commerciali in giro per il mondo e avevamo bisogno di marchi diversi da diffondere a canali distributivi diversi. Creammo, dunque, tre marchi, allo scopo di dare continuità alla missione dell'impresa, ossia di continuare la democratizzazione con questi tre marchi.
Dovevamo, però, anche aprire stabilimenti in Paesi a basso costo di manodopera, perché noi non riuscivamo più ormai in Italia a realizzare prodotti di basso prezzo. Perdevamo quote di mercato ogni mese e, quindi, decidemmo di creare i marchi, ma anche di aprire stabilimenti in Romania, per servire con quei tre marchi l'Europa - nelle immagini vedete uno stabilimento di 100.000 metri quadrati - e in Cina per servire l'Asia pacifica e la costa Ovest degli Stati Uniti, e in Brasile, parliamo del 2000, per servire la costa Est degli Stati Uniti.
Questo era il piano strategico per presidiare marche di prezzo medio o medio-basso. Noi abbiamo compiuto investimenti con fabbriche in Brasile, in Cina e in Romania e abbiamo creato tre nuovi marchi, mentre per sostenere la nostra missione sociale sul territorio dovevamo riposizionare il marchio Natuzzi.
Osservate il marchio che avevamo prima: Natuzzi, con le bande colorate tra le due zeta. Allora abbiamo rivisto addirittura l'identità visiva, perché l'idea era quella di riposizionare il marchio verso l'alto di gamma e far diventare un marchio di fabbrica una consumer brand, ossia una marca che potesse attrarre i consumatori. Questo fu il progetto definito nel 1997.
Per riposizionare la marca bisognava cominciare innanzitutto dai prodotti. Ora siamo al codice 3000 e oltre. Questi erano i prodotti che realizzavamo prima: divani molto morbidi, molto comodi, che i consumatori italiani e di tutto il mondo hanno molto apprezzato.
Abbiamo rivisto il design dei nostri prodotti, lo standard qualitativo di tutti i prodotti, ma non solo: non abbiamo previsto più solo divani in pelle, ma anche in tessuto, nonché tappeti, tavolini, mobili. Total living in totale armonia. Questa è la nostra nuova missione.
Quelli che vedete sono alcuni prodotti. Oggi il modello più venduto che abbiamo nel mondo è il modello surround.
Ovviamente abbiamo dovuto riqualificare anche le fabbriche. Non si riposiziona il prodotto solo dal punto di vista del design e degli standard qualitativi; bisognava andare a rivedere tutto l'assetto industriale e andare a svolgere training, ossia formazione alle persone, dal momento che in un dato periodo si era indicato loro che si doveva raggiungere il prezzo più basso possibile e poi si è modificata tale impostazione nel senso di realizzare la migliore qualità possibile per far sognare i consumatori.
È una sfida veramente bellissima, che spero un giorno di poter scrivere per trasferire queste emozioni agli altri. Non è stato e non è ancora facile, perché si tratta proprio di cambiamenti culturali, però ce l'abbiamo fatta e ora vi mostrerò come.
Abbiamo riprogettato tutte le fabbriche, abbiamo svolto formazione e continuiamo a svolgerla in un modo incredibile.


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Per darvi un'idea, oggi per noi il prezzo medio per seduta è un indice di misura. Valutiamo quante sedute riusciamo a produrre in un anno, in un mese o in un giorno. Il prezzo medio per sedute in Cina è di 175 euro, in Romania di 201 euro, in Brasile di 228 euro, in Italia di 367 euro. Tra l'Italia e la Cina ci sono 34,6 punti percentuali di differenza, in termini di costo. Vi possiamo dare copia di questi dati. Siamo un'azienda trasparente e, quindi, vi forniremo tutto il materiale che volete volentieri.
Vi è il 28 per cento di differenza tra la Romania e l'Italia e il 14 per cento tra il Brasile e l'Italia. Abbiamo tutti questi parametri.
Se volevamo continuare a produrre in Italia non ce l'avremmo mai fatta diversamente. È stata, quindi, una buona idea, una buona strategia, che si è mostrata vincente, e ancora una volta ve lo spiegherò.
Ovviamente abbiamo rivisto il prodotto, abbiamo riposizionato le fabbriche, abbiamo svolto formazione, ma abbiamo anche dovuto rivedere i nostri punti vendita. Quelli nella slide erano i negozi Divani&Divani di un tempo. Oggi sono cambiati, come vedrete nella prossima slide. Abbiamo rivisto anche il punto vendita perché l'offerta del prodotto oggi non è soltanto Divani&Divani, ma sono divani e mobili, quindi total living.
Abbiamo anche sviluppato negozi Natuzzi in molti Paesi nel mondo. In Cina abbiamo 31 negozi. Vi mostro un negozio nel centro di Shanghai. Noi siamo nella strada centrale e a cento metri dal nostro negozio ci sono quelli di Gucci e di Louis Vuitton.
Di conseguenza, ogni settimana da Santeramo in Colle, dalla nostra amata Puglia, partono contenitori per servire i consumatori cinesi. In Cina produciamo tre marche di posizionamento medio-basso, che esportiamo nell'Asia pacifica e nelle Americhe, mentre in Italia produciamo l'alto di gamma, la marca Natuzzi Italia, che vendiamo attraverso i negozi monomarca Natuzzi in Cina, dove abbiamo, appunto, 31 negozi.
Vediamo ora il nostro negozio di New York nel quartiere di Soho, a Manhattan. Anche in questo caso siamo di fronte a Louis Vuitton. Abbiamo posizionato specialmente i nostri flagship store in maniera molto centrale, nelle città più importanti del mondo. Vediamo ora quello a Milano, in via Durini. Vi invito a visitarlo. Ne sarete affascinati. Comprate i nostri mobili, per favore. Abbiamo 100 negozi in Italia.
Quello successivo è a Guadalajara, in Messico. Abbiamo quattro negozi, però abbiamo anche le gallerie all'interno di El palacio de hierro, che sono department store in Messico.
Seguono il negozio di Monterey e quelli di Mumbai, in India. Anche in quel Paese ci stiamo molto espandendo: abbiamo uffici a Nuova Delhi.
Ora possiamo vedere il negozio del Cairo, purtroppo martoriato in questo momento, il che ci dispiace.
Poi vediamo il negozio in Corea del Sud. Siamo leader di mercato per quanto riguarda l'importazione di prodotti italiani. Quella che vedete è la sede di Seul.
Poi andiamo a Zurigo, dove abbiamo negozi di proprietà, e a Barcellona. Abbiamo 22 negozi di proprietà anche in Spagna. Infine, anche a Londra ci sono negozi di proprietà.
Abbiamo anche delle gallerie da Harrods e da Selfridges, in questi grandi department store. Sono stop & shop che ci permettono di mostrare la nostra marca a milioni di visitatori che arrivano da tutto il mondo. In totale abbiamo 313 negozi e 718 gallerie nel mondo, punti vendita monomarca che comunicano la nostra marca.
La strategia rivista nel 1997 prevedeva la creazione di tre nuovi marchi che avrebbe dovuto dare continuità all'idea iniziale dell'impresa. Avremmo dovuto aprire stabilimenti all'estero per poter produrre e consegnare questi prodotti e riposizionare la marca Natuzzi. Questo era il progetto e lo abbiamo portato avanti in un arco temporale di quindici anni, in quindici anni di lavoro. Ovviamente abbiamo


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dovuto rivedere anche le campagne pubblicitarie per dare coerenza al progetto di marca. Ne vedete alcune.
Dal 1980 - questa immagine è bella da guardare - al 2002 noi siamo passati da 3 milioni di euro a 805 milioni. Guardate che crescita abbiamo avuto in 22 anni. È stato meraviglioso, guardate: dal 1980 al 2002 abbiamo registrato una crescita continua, sia di fatturati, sia di margini, il che ci ha permesso, come accennavo prima, di guadagnare soldi, di finanziare i nostri investimenti, di far fronte a dieci anni di crisi, che adesso tenterò in maniera molto veloce di spiegarvi, e di avere ancora oggi una posizione finanziaria netta positiva.
Tutto ciò è stato possibile grazie alla politica dei dividendi. Io, come presidente e amministratore delegato del gruppo, ho potuto decidere che noi non dovevamo compiere acquisizioni selvagge, non dovevamo distribuire dividendi, ma dovevamo finanziare, per tenere fede ai consigli di mia madre. I soldi guadagnati servivano per compiere i nostri investimenti e anche per far fronte ai momenti di difficoltà.
Dal 2003 al 2011 è stato uno tsunami continuo. Ci sarà un mio collaboratore che svolgerà poi un piccolo intervento. Mi perdonerete, ma è più preparato di me e, quindi, lascio spazio a chi sa fare meglio di me.
Ero in America nel settembre del 2001 quando ci fu l'attacco alle torri gemelle. Sono rimasto bloccato in America e non potevo rientrare in Italia, ma ho avvertito veramente che il mondo ormai stava cambiando e da quel momento in poi è stata veramente una situazione incredibile. Lo sapete come e meglio di noi, evidentemente.
Comunque, dal 2003 al 2011, esplose la concorrenza dei Paesi a basso costo di manodopera. Praticamente, dappertutto eravamo attaccati. C'è un grosso problema di concorrenza sleale del quale vogliamo parlarvi oggi, perché questo è un tema di attualità, un tema sul quale voi avete il potere e la forza di agire, perseguendo la concorrenza sleale, l'illegalità, il sommerso, l'evasione fiscale. Questi sono i fenomeni che dobbiamo combattere per ridare energia alle imprese e al nostro Paese.
Anche il cambio ci ha penalizzato moltissimo, visto che abbiamo sempre esportato il 90 per cento dei nostri volumi, essendo un'azienda globale, lascio a voi immaginare come siamo stati impattati dall'euro forte.
Infine, la peggiore crisi economica che si è verificata negli ultimi ottant'anni ha fatto il resto. Dal 2003 ai giorni nostri abbiamo avuto veramente problemi e bilanci in negativo. Ci vuole veramente grande forza e determinazione per resistere di fronte a tutte queste situazioni.
Abbiamo calcolato che nel 2002 abbiamo fatturato 805 milioni e nel 2010 ne abbiamo fatturati 519 come bilancio consolidato. Abbiamo perso, quindi, 289 milioni di euro di fatturato. Immaginate che cosa ci è accaduto.
Come vi riferivo prima, noi calcoliamo la produzione in sedute. Nel 2002 abbiamo prodotto 2.598.000 sedute, mentre nel 2010 in Italia ne abbiamo prodotte 580.000. Di conseguenza, nel polo Italia nel 2002 abbiamo prodotto, perché nel frattempo avevamo già aperto le fabbriche in Brasile, in Cina e in Romania, 650.000 sedute. Nel 2010 ne abbiamo prodotte 194.000 e, quindi, la produzione si è ridotta di 3,5 volte in Italia. È un elemento che vogliamo sicuramente evidenziare.
I dipendenti in Italia da 4.059 sono diventati 2.981, non perché li abbiamo licenziati noi, ma perché molti sono andati in pensione e molti hanno trovato un altro lavoro. Non abbiamo licenziato una persona dal 2002 a oggi, malgrado dieci anni di continua crisi e di bilanci negativi.
Gira voce che abbiamo preso i soldi dallo Stato e che li abbiamo investiti all'estero. Non so se abbiamo con noi la chart, ve la possiamo fornire, ma forse è scritto anche nella relazione che abbiamo distribuito. Noi all'epoca della legge n. 488 del 1992, quando si erogavano i contributi alle imprese del Sud Italia per il loro sviluppo, abbiamo ricevuto in totale meno di 60 milioni di euro, di cui 8 sono dieci anni che non li riusciamo ad avere. Se ci


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potete dare una mano, in questo momento ci servono. Ci sono 8 milioni che non riusciamo ancora ad incassare.
Noi abbiamo reso allo Stato, in tasse, 560 milioni. È vero che abbiamo ricevuto dallo Stato 52 milioni a oggi, ma ne abbiamo resi 650, tutto documentato, per fare chiarezza.
Comunque abbiamo attuato la strategia di aprire gli stabilimenti e di creare le marche. La linea blu che vedete nel grafico indica gli utili che dal 2002 al 2010 hanno conseguito le aziende estere. In Italia, da 90 milioni guadagnati nel 2002, gli utili sono crollati. Da questo momento abbiamo cominciato a perdere soldi e con i soldi che abbiamo guadagnato con le fabbriche all'estero, insieme a quelli che avevamo in azienda abbiamo potuto compensare le perdite che abbiamo accumulato in Italia, perché il costo del lavoro e il sistema Paese non ci permettevano più di competere.
Non solo, noi dovevamo anche investire perché per riposizionare la marca occorrono quattrini; non si riposiziona a costo zero. Abbiamo investito in questo periodo anche 420 milioni di euro. Avevamo, dunque, una cassa di 270 milioni, come posizione finanziaria netta; abbiamo guadagnato con le fabbriche all'estero; l'Italia è stato un disastro, purtroppo in tutti questi anni; abbiamo investito 420 milioni di euro, ma siamo ancora un'azienda sana. Poiché, però, non si vede uscita dalla crisi, c'è veramente il rischio che questa bella realtà, che rappresenta il fiore all'occhiello dell'Italia nel mondo, possa veramente finire male.
In ogni caso, anche il progetto di marca Natuzzi Italia ha fruttato ottimi risultati. È stata svolta una ricerca, quattro mesi fa, da una società francese, che non abbiamo commissionato noi, ma è stata una loro iniziativa, che si chiama Lagardère. Hanno intervistato 9.000 persone negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Italia, in Spagna, in Inghilterra e in Giappone, ponendo la domanda su quale fosse l'interpretazione delle marche alto di gamma del lusso. Nel settore degli orologi è risultato il Rolex, in quello delle automobili - dobbiamo essere orgogliosi - la Ferrari, nelle marche di abbigliamento Chanel e nel settore del mobile Natuzzi.
Siamo riusciti, dunque, nel nostro intento, attraverso l'apertura di negozi e gli investimenti che abbiamo compiuto sul prodotto, sulla comunicazione, sui punti vendita e sulla formazione ai nostri tecnici, a far diventare la marca Natuzzi Italia una marca globale, riconosciuta dai consumatori alto di gamma nel mondo.
Alla fine siamo diventati veramente un'azienda globale, perché abbiamo fabbriche in Brasile, Cina, Romania e fabbriche in Italia, con concerie al Nord e fabbriche di imbottiture a Napoli e altrove. Siamo 6.500 dipendenti, 750 punti vendita nel mondo, 14 uffici commerciali nel mondo e siamo collegati con un sistema informatico che si chiama SAP, col quale in tempo reale riusciamo a controllare tutte le vendite che effettuiamo giornalmente, quanti pezzi produciamo, i sistemi di qualità, i margini di contribuzione di ogni singolo prodotto e di ogni singola marca di ogni singolo cliente e di ogni singolo mercato.
Sono molto soddisfatto e fiducioso di quanto abbiamo realizzato sino a oggi, così come sono preoccupato per il futuro di questa splendida azienda, alla quale io e i miei collaboratori abbiamo dedicato cinquantadue anni di passione e di energia. Noi vorremmo tanto che questa realtà continui a esistere nel mondo.
Mi fermerei a questo punto, ma ci sono due aspetti importanti. Nel documento che ci avete trasmesso avete posto alcune domande, vi interessa conoscere alcune questioni, ma io preferisco che se ne occupi un mio collaboratore, il dottor Di Taranto. È stato lui a studiarle bene, ragion per cui riuscirà certamente a svolgere un suo intervento, così come il dottor De Ruvo, un altro validissimo collaboratore che, se ci sarà tempo, vi parlerà della concorrenza sleale nei minimi dettagli.
La concorrenza sleale sta minando non solo la nostra azienda, ma anche l'intero territorio, che noi abbiamo costruito con


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tanta cura. Sta diventando una seconda Prato, per intenderci. Voi tutti sapete di che cosa stiamo parlando.
Per il momento vi ringrazio e vi invito a porci le vostre domande.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pasquale Natuzzi. Per l'economia dei nostri lavori, comincerei con un giro di domande veloci rivolte al dottor Natuzzi o ai suoi collaboratori, al fine di consentire loro di rispondere a specifiche domande, anche per lanciare il messaggio o comunicare le notizie che stavano a cuore al dottor Natuzzi.
Procederei, dunque, con un primo ciclo di domande, che vi prego di porre in modo breve, in maniera tale da dare la possibilità a più colleghi di poter intervenire, evidentemente ai fini di rendere utili i nostri lavori.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO MARSILIO. Grazie, presidente. Sarò brevissimo, quasi lapidario. Oltre a ringraziarla per l'appassionata illustrazione della vostra attività e di tutta la storia del vostro gruppo, dottor Natuzzi, ho letto anche il contributo scritto e ho rilevato che in almeno cinque o sei passaggi ci sono sottolineature molto dirette ed esplicite sul problema della rigidità del mercato del lavoro, sul problema delle assunzioni e dei licenziamenti, delle regole e dei tribunali del lavoro che impediscono di licenziare anche coloro che meritano il licenziamento. Questo spaventa gli investimenti, mettendo in difficoltà le aziende italiane.
Poiché, al di là del quadro europeo per il quale è stato convocato, incidentalmente siamo proprio nei giorni in cui sul mercato del lavoro si sta procedendo alla definizione di riforme molto importanti e forse epocali, mi interesserebbe un vostro giudizio in questo senso rispetto a quei provvedimenti, per capire se la strada che si sta imboccando è quella che dobbiamo percorrere o rispetto alla quale suggerire altri possibili soluzioni.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Noi abbiamo investito 420 milioni nel progetto di marca ed è chiaro che promuoviamo il made in Italy. La nostra marca si chiama Natuzzi Italia. Noi siamo in Italia e vogliamo rimanere in Italia, ma ci auguriamo di poterlo fare.
Non posso ancora riferirvi quanto il nostro gruppo ha perso esattamente lo scorso anno, perché dopodomani ho il Consiglio di amministrazione a Milano, ma certamente siamo in un ordine di perdite di altri 25 milioni. Sono dieci anni che stiamo resistendo di fronte a una situazione veramente incredibile.
Ormai ripeto sempre tutti i giorni nelle fabbriche ai miei dipendenti e ai miei collaboratori, con i quali ho veramente un ottimo rapporto - credo che questo rapporto di stima sia ampiamente corrisposto - che, se non riusciamo a far riprendere l'azienda quest'anno e consumiamo i pochi soldi che sono rimasti, non saremo più in grado di pagare gli operai e i dipendenti. Quale banca presterà soldi a un'azienda, gloriosa quanto sia, che ormai da dieci anni perde soldi?
Ben venga, dunque, questa riforma, ma serve non per salvare la ditta Natuzzi, bensì l'Italia. Sono perfettamente d'accordo. Se non alimentiamo i consumi, dove si va a finire, però? Non è una problematica facile, dobbiamo vedere da dove cominciare.
Dobbiamo dare un rilancio alle imprese. Se le imprese non riprendono a competere, è la fine di tutti. Un'affermazione del Presidente Napolitano, che Dio lo benedica e gli dia veramente lunga vita, è stata che è vero che dobbiamo salvare i posti di lavoro, ma dobbiamo salvare prima le imprese. Se non ci sono le imprese, dove occuperemo i ragazzi e le persone? Non mi voglio addentrare in questa materia, voi ne sapete molto più di me, ma sicuramente non posso che essere d'accordo. Non solo è necessario, ma è urgente che avvengano alcuni cambiamenti.


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GIORGIO LA MALFA. Ringrazio molto il presidente e amministratore delegato Natuzzi per questa interessantissima presentazione della storia di un successo del Mezzogiorno e dei problemi che incontra oggi.
La domanda che vorrei porre è se poteste approfondire un aspetto: che cosa rende così poco competitiva l'Italia? C'è una lista di fattori, ma qual è il fattore cruciale?
Mi spiego meglio: se si afferma che il mercato del lavoro è troppo rigido, allora approviamo una legge che lo renda flessibile e lo mettiamo a posto. Se, invece, c'è una differenza di fondo nei costi del lavoro come quella che lei ci ha illustrato, mi riferisco al fatto che la Cina costa un terzo dell'Italia e la Romania non ricordo, come si mette a posto? Come può un Paese dell'Europa occidentale come l'Italia mettere a posto una differenza strutturale nei costi del lavoro? Quanto incidono, per esempio, i costi del lavoro nella vostra produzione?
In altre parole, la differenza è tra questioni che si possono mettere a posto cambiando la legislazione e questioni che, invece, significano un trasferimento verso altre parti del mondo, a cui ci dobbiamo rassegnare. Qual è la sua valutazione di fondo?

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Lei ha perfettamente ragione, onorevole. Certamente ormai non vi è più spazio in Italia per le aziende manifatturiere. Non è un caso che noi già quindici anni fa abbiamo deciso di spostare la manifattura di prodotti a basso valore aggiunto nei Paesi a basso costo di manodopera e abbiamo investito 420 milioni sul progetto di marca e sul retail, aprendo negozi nel mondo tanto da essere riconosciuti come l'unica marca globale di lusso nel settore del mobile. Abbiamo, quindi, investito nella marca.
Bisogna effettuare il rating sulle società che ce la possono fare e su quelle che non ce la possono fare. Lei immagini che il divano più venduto della marca Natuzzi Italia costa 7.000 euro. Con 7.000 euro noi dalla Cina dobbiamo spedire un container da 40 piedi con dentro il prodotto in Canada, non so se mi sono spiegato. L'investimento è sulla marca.
D'altronde, la Germania ci insegna in merito. La Germania già in epoca non sospetta, venti anni fa, ha trasferito tutte le aziende manifatturiere in Polonia o in Ungheria e ha investito sulle marche. Ha investito sulla tecnologia, sull'innovazione ed è quanto stiamo facendo noi con l'innovazione di prodotto, l'innovazione di processi sia nelle aree industriali, sia in quelle dei servizi.
Bisogna riuscire a effettuare un rating per capire quali sono le aziende che si possono salvare e agevolarle, combattendo il sommerso. Spero di aver risposto alla sua domanda, onorevole.

RENATO CAMBURSANO. Mi pare di poter affermare che non abbiamo speranze in Italia. Mi spiego: se immaginiamo di poter competere anche solo con la Romania, per non parlare della Cina, in termini di costo del lavoro, non arriveremo mai a tanto, perché sarebbe un retrocedere rispetto alle conquiste compiute. Non voglio sostenere che non si debbano migliorare le regole e renderle più flessibili, ma certamente non arrivare al livello di mancate conquiste della Cina.
Le domande sono due. Lei ha parlato in positivo sull'esperienza dei distretti, di due distretti che di fatto erano uno. L'Italia è ricca di distretti industriali, non solo del suo settore. Crede ancora che questa sia la strada maestra da seguire, quella dei distretti, nel campo delle marche, per esempio per quanto riguarda le calzature? Penso al caso di Biella per quanto riguarda il tessile.
Quanto alla seconda domanda, in parte avrebbe già dovuto rispondere, ma il presidente non l'ha concesso. Quando si parla di concorrenza sleale, lei si riferisce a una concorrenza sleale interna, cioè al piccolo che si mette in proprio, le fa concorrenza, non paga le tasse e non vuole le fatture? Le è scappato, l'ha affermato. Oppure si


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riferisce alla concorrenza estera? Rispetto al Paese Italia quale delle due incide?

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Rispondo alla prima domanda sulla concorrenza sleale, che richiede un po' di energie in più. Nel nostro territorio - è una questione che voi dovete sapere - come prima vi ho spiegato, dal 1990 al 2005 si sono sviluppate 540 imprese nel raggio di 30 chilometri, con 15.000 addetti. Sono rimaste cinque o dieci, voglio esagerare, imprese, di quelle che si vedono. Ci può essere qualcuno che fa i piedi, i piedini, o altro.
Le imprese che sono rimaste comunque hanno scelto come modello l'outsourcing. Le altre hanno tutte i lavoratori in cassa integrazione. Saranno 7-10.000 persone in cassa integrazione da dieci anni ormai. I nostri colleghi del territorio hanno scelto come modello di impresa quello di tenere tutti gli operai e gli impiegati in cassa integrazione e poi di effettuare outsourcing.
Tale outsourcing viene gestito da imprenditori cinesi che aprono le aziende e le chiudono dopo quattordici mesi, ragion per cui non esistono più. Quando si va a compiere verifiche in queste aziende, si trovano operai che sono in regola perché ci sono i contratti part-time. Non si trova nulla di irregolare, ma tali operai vivono in condizioni inumane.
Le imprese che stanno danneggiando molto il nostro gruppo in Italia, che nel business e nell'occupazione italiana incidono per il 25 per cento, sono due concorrenti. Uno si chiama Chateau d'Ax, che ha 90 dipendenti, la cui produzione viene realizzata tra Prato, Forlì e Matera, tutto presso soggetti cinesi che producono in conto lavoro. Il gruppo investe 32 milioni di euro l'anno in pubblicità. Ogni volta che accendete la televisione e aprite un quotidiano vedete quest'azienda, insieme a Poltrone e Sofà. Lavorano completamente con il sommerso.
Secondo me, non è illegale solo il comportamento di colui il quale va a rubare una mela, ma anche chi stimola l'illegalità ha alcune responsabilità. Tali due concorrenti crescono ogni anno a due cifre, mentre noi stiamo morendo come azienda, perché fare impresa etica, sana e seria in questo Paese è ormai diventato impossibile.
Questo è il punto per quanto riguarda la concorrenza. Noi abbiamo nomi, cognomi e fatti. Possiamo parlare guardando negli occhi chiunque, in qualunque momento.
Rispondo ora alla domanda sui distretti. Nei distretti bisogna salvare il salvabile. Si sono create maestranze e professionalità. Ci sono imprese che, anziché scegliere il modello di business al quale facevo riferimento, agiscono diversamente. Ci sono anche tante piccole imprese, ci sono una manodopera e una qualificazione incredibile, che non si può far disperdere. Bisogna creare accordi di programma, strategie per attrarre investimenti anche da fuori.
Il made in Italy ha un'importanza incredibile. Cerchiamo di sorreggerlo. Vi posso garantire che verrebbero aziende dalla Germania a produrre in Italia per poter utilizzare le maestranze e la qualità che noi siamo stati capaci di sviluppare.
Non vengono perché c'è un sistema Paese che fa paura. Ben vengano, dunque, le riforme in generale.

PRESIDENTE. Signor presidente, volevo avvisarla - ovviamente lei lo sa già - che tutti gli interventi, domande e risposte, vengono regolarmente riportati nel resoconto.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Non ho paura di nulla.

PRESIDENTE. Su questo non avevo assolutamente dubbi, ma avevo il dovere di informarla.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Che cosa devo temere? È la verità. Mi denunciassero pure. Non ho timore di nulla, assolutamente.


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Se non abbiamo il coraggio di cominciare a denunciare le persone, quando ne verremo fuori in questo Paese? Dobbiamo avere il coraggio di denunciare l'illegalità, le persone scorrette. I furbi hanno rovinato questo Paese. Noi abbiamo il dovere di difenderlo.

MASSIMO POLLEDRI. Volevo esprimere un apprezzamento per l'uomo e per l'imprenditore. Mi piacerebbe poter insegnare le cose che ha riferito a noi anche ai miei figli, soprattutto perché ci ha dimostrato che esiste il profitto, ma anche un'ammissione verso il bene comune, che lei incarna perfettamente.
Presidente, vorrei porre una domanda secca. Spesso si parla di concorrenza sleale, in merito alla quale abbiamo già istituito una Commissione di inchiesta, con tutte le difficoltà del caso. Si vedono. Per individuare e sequestrare un prodotto in piazza occorrono 2 milioni di carte, 200 vigili e altri provvedimenti da prendere.
Sui dazi, ammesso e non concesso che si possano introdurre, che l'Europa possa istituirli, lei li vede come uno strumento e, nel caso, in che modo potrebbero essere utili?

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Lei parla di come perseguire la concorrenza sleale?

MASSIMO POLLEDRI. Sulla concorrenza sleale, per carità, se ha buone idee, ben vengano, fermo restando che ci vorrebbero magari misure drastiche.
Mi riferisco all'utilizzo dei dazi doganali nella concorrenza che a volte molti Paesi effettuano. In America lei sa come agiscono.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Ho capito. Apriamo un altro capitolo. A mio parere, l'Europa oggi sta soffrendo molto. Facendo business in tutto il mondo, sia pure nel nostro piccolo, riusciamo a monitorare ciò che accade nel mondo. L'America è in una buona ripresa adesso, perché il costo dell'immobiliare è sceso, ragion per cui la gente ha ripreso fiducia, comincia a comprare le case nuovamente e noi le arrediamo.
L'America è, quindi, in ripresa, mentre l'Europa è in grande sofferenza. È inutile parlare della Grecia, del Portogallo, della Spagna, dell'Italia e del Belgio. Sono questioni di pochi giorni fa. Hanno approvato alcune misure, alcune restrizioni più forti di quelle che sono state introdotte in Italia. Tutto ciò è stato generato dalla globalizzazione, in effetti. Si sarebbe dovuto disciplinare meglio i flussi economici dai Paesi a basso costo di manodopera ai Paesi occidentali. Tutto questo, purtroppo, non è avvenuto.
La Cina, in primo luogo, ha messo in ginocchio le industrie manifatturiere europee e occidentali in generale. Oggi andare a resettare il tutto non è un esercizio facile.
Raccomando a voi, perché voi tutti, ovviamente per mestiere, per vocazione e per passione, fate politica, di lasciar lavorare questo Governo, per favore. Questo è ciò che mi suggerisce il mio cuore, nell'interesse del Paese. Non ho un interesse personale.

LINO DUILIO. Innanzitutto vorrei compiacermi con il presidente della Natuzzi per l'entusiasmo che manifesta. Credo che una delle risorse che, anche e soprattutto in campo imprenditoriale, è oggi necessaria sia l'entusiasmo, quello che lei mostra in questa occasione.
Vengo alla prima domanda. Sulla base della sua esperienza, oltre che per convinzione, dopo le sue dichiarazioni, quanto conta venire dalla gavetta, se così si può dire e se mi consente la domanda, di un'esperienza imprenditoriale che poi è diventata, come lei ha ricordato, globale?

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Credo che conti molto.

LINO DUILIO. Più in particolare, le risulta, conoscendo lei sicuramente meglio


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di me il panorama imprenditoriale italiano, che questa risorsa sia esistente, carente o abbondante?
Continuiamo a piangere sul Paese Italia come se fossimo marziani che osservano questo Paese e lo trattiamo come se fosse un laboratorio. Io credo, invece, che ci siamo dentro e, se il nostro Paese è quella realtà su cui tutti, in maniera un po' autolesionistica, esprimiamo considerazioni negative, ciò si deve anche alla scomparsa, a mio avviso, o comunque alla carenza di un'«imprenditività» o di uno spirito imprenditoriale che forse era una delle nostre caratteristiche.
Magari ancora esiste, magari è sottotraccia o magari consente ancora di andare avanti, nonostante tutto. Secondo la sua esperienza, questa che io ritengo essere una risorsa che non siamo in grado di tradurre in cifre e di inserirla nei conti pubblici, in che misura esiste? È abbondante, carente o tende, invece, a scomparire?

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. La mia personale opinione è che l'Italia pulluli di imprese e imprenditori, a conduzione familiare, di piccola e di media dimensione. C'è un vivaio che ci viene invidiato in tutto il mondo. La creatività italiana si esprime in tutti i settori.
Credo molto nel Paese, ma ovviamente riscontro come punto debole nel nostro Paese la mancanza di un progetto Paese. Prima ho spiegato che nella mia azienda c'era un'idea imprenditoriale, che era quella di rendere accessibile e di democratizzare i divani in pelle, e per realizzare tale obiettivo si è dovuta muovere tutta un'azienda per anni. Ogni singolo dipendente sapeva ciò che doveva fare per raggiungerlo. Si sono dovuti compiere investimenti che hanno richiesto anni, però l'intera azienda si orientava verso un obiettivo che siamo riusciti a raggiungere diventando i leader al mondo.
In Italia non c'è un progetto Paese. Che cosa vuole essere l'Italia? Nel 1997 abbiamo rivisto la strategia, perché non era più valida, perché il mondo era cambiato e stava cambiando. Abbiamo rivisto la strategia e tutti ci siamo orientati. Gli investimenti, la formazione, l'organizzazione, tutto doveva andare in una direzione. Qualcuno è in grado di illustrarmi qual è il progetto dell'Italia per il futuro, che cosa vuole fare l'Italia? A me non mi risulta.
L'Italia è un Paese meraviglioso, ma decidiamo che cosa vogliamo farne. Non possiamo certamente metterci a fare concorrenza alla Cina o alla Romania, per l'amor di Dio. Il nostro è un Paese che ha 8.000 chilometri di costa. Come in Italia non si mangia in nessun posto, come in Italia non si vive da nessuna parte e la gente lo sa, però occorre un progetto e bisogna orientare a esso la formazione, gli investimenti e l'attenzione di noi tutti, senza litigare.

LINO DUILIO. Passo a una seconda domanda, più rapida. Lei ha sostenuto che siete entrati in Borsa, sia pure conservando intorno al 58-60 per cento, se non ho capito male, di quota maggioritaria, di controllo. Contrariamente a quanto avviene per molte aziende che nascono dalla gavetta, come ricordavo prima, voi avete scelto di entrare in Borsa. Questo è servito nella vostra strategia aziendale a procacciare risorse, evidentemente.
Quanto è servito? Per quanto è servito? Soprattutto chiedo se è servito per compensare - è una domanda insita nella mia affermazione - una particolare «stitichezza» del comparto creditizio italiano che, se non foste entrati in Borsa, magari non vi avrebbe consentito di finanziare le vostre iniziative.
La mia è, dunque, una domanda sdoppiata in due, che riguarda la Borsa e il sistema creditizio.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Quando ho deciso di quotare l'azienda in Borsa, diciannove anni fa, al New York Stock Exchange, lo feci perché eravamo più conosciuti in America che non in Italia in quell'epoca, essendoci sviluppati sul mercato americano.


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Erano due le ragioni per cui quotai l'azienda in Borsa, essenzialmente. Una era quella di rendere più visibile il nostro marchio, la nostra marca, la nostra azienda, perché, una volta che si entra in Borsa, ovviamente ci si rende più visibili. L'altra era quella di assicurare la continuità dell'azienda.
Dal punto di vista della gestione trasparente dell'azienda, ormai avevamo cominciato già nel 1985 a certificare i bilanci, ma l'obiettivo era di rendere visibile l'azienda e di attrarre anche manager a livello internazionale per poter gestire la globalizzazione, il che non è stato un esercizio facile.
Oggi, però, da Santeramo in Colle, con gente di Santeramo, di Matera, di Bari, di Noce, di Acquaviva, in sostanza del territorio, noi gestiamo un gruppo globale nel mondo. È una realtà veramente molto bella.
Passando al tema del sistema creditizio, non ho quotato l'azienda in Borsa perché avevo bisogno di attingere credito. Gli aspetti erano due: dare continuità, dare visibilità, attraendo manager in azienda. Purtroppo non siamo riusciti ad attrarli, perché, quando la gente viene, non sa dove mandare i figli a scuola e ci sono tanti problemi ancora giù da noi. Vengono e vanno via, ragion per cui alla fine abbiamo dovuto puntare sulla formazione delle nostre risorse umane, che si sono dimostrate anche molto brave.
Il credito è un problema serio. Uno dei problemi che stiamo affrontando in questi ultimi anni è che dobbiamo finanziare i clienti che non hanno credito e i fornitori, perché le banche chiudono i rubinetti. È una situazione veramente molto difficile. Anche questa deve essere sbloccata attraverso il rating delle aziende. Bisogna vedere quali sono le aziende sane, le aziende serie, quelle che investono, quelle che hanno una storia. Bisogna dare fido a queste persone, altrimenti il sistema si sta paralizzando.

FRANCESCO BOCCIA. Grazie, presidente, per le informazioni e per la disponibilità che ha mostrato oggi. Pongo due domande veloci, non riprendendo temi che lei ha già abbondantemente sviscerato. Una riguarda i numeri che lei ha fornito. È evidente che tra le due fasi che ci ha raccontato, 1980-2002 e 2003-2011, dai numeri - probabilmente questo è il paradosso; le pongo la domanda perché forse da ciò si può capire meglio qual è la via d'uscita - relativi al rapporto tra fatturato e sedute, che mi pare sia la vostra unità di misura, dei primi vent'anni rispetto a quelli relativi al rapporto fatturato e sedute nella seconda parte della storia che ci ha raccontato, il paradosso è che, se non sono cambiate le misure delle sedute, la qualità si sia elevata, perché si realizza più fatturato con meno sedute.
Paradossalmente, quindi, l'azienda realizza margini nei vent'anni precedenti con un prodotto di qualità inferiore rispetto al prodotto che oggi proponete, che probabilmente è di qualità superiore, perché vi consente di realizzare un fatturato maggiore.
Certamente andrebbe attualizzato. Gli 800 milioni del 2002 non sono i 500 milioni di oggi, ma, se ciò è vero, significa che la storia che lei ha raccontato, ovviamente sul piano del prodotto, è andata a buon fine, nel senso che il prodotto si è trasformato ed è diventato di qualità alta o medio-alta. Il problema è che probabilmente non rispondono i mercati, o una parte dei mercati.
Le chiedo di precisare una affermazione che probabilmente lei ha svolto en passant, su cui non si è soffermato molto, con riferimento ai mercati emergenti. Del Brasile, ci ha parlato, ma poi non si è soffermato, per ragioni di tempo, sull'India e, aggiungo, sulla Cina, che ho capito essere uno dei mercati più importanti. Il mio collega della Lega è andato via, ma io ritengo che il suo sia il classico esempio del perché non si debbano introdurre dazi con alcune economie emergenti.
Lei ha la capacità di riuscire a vendere in Cina, immagino all'upper class cinese, perché non penso che in Cina comprino i divani italiani in generale. Se li comprano è perché vogliono il marchio italiano, altrimenti li comprerebbero sotto casa. Se in


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quel mercato lei e noi come italiani riusciamo a vendere, è evidente che si tratta del classico caso in cui le imprese italiane hanno, nel tempo, da guadagnare.
Mi chiedevo e le chiedo: se tutto ciò è riuscito, perché non ci siamo ancora? Mi rendo conto che i due campanelli d'allarme che lei ci lascia oggi sono il rapporto dei 1.800 cassintegrati rispetto ai 2.900 lavoratori italiani, che sono una quota rilevante della vostra forza lavoro nel mondo, e un patrimonio netto, che per fortuna è ancora positivo, ma, se si guarda la storia dell'azienda, ci si rende conto che avete finanziato autonomamente le perdite di questi anni. Se c'è ancora un patrimonio netto, significa che si può...

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Non è patrimonio, è posizione finanziaria netta, ma c'è anche ancora il patrimonio.

FRANCESCO BOCCIA. Se è posizione finanziaria netta, a maggior ragione il mio ragionamento vale molto di più.
Infine, vengo a una domanda più banale sui rapporti con le regioni di appartenenza che, per quanto vi riguarda, sono due, Basilicata e Puglia. Vorrei capire se ci sono ancora, rispetto ad accordi di programma, relazioni definite, da strutturare o da affrontare.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Le cito altri numeri: nel 2002 abbiamo fatturato 805 milioni di euro, abbiamo prodotto 2,5 milioni di sedute - questa è l'unità di misura - e avevamo 570 impiegati a Santeramo in Colle. Poi abbiamo aperto le fabbriche in Cina, in Brasile e in Romania, in cui un minimo di impiegati dovevano essere previsti.
Abbiamo aperto tutte le sedi commerciali nel mondo perché per aprire i negozi bisognava avere uffici propri, con personale proprio, specializzato, per sviluppare e gestire marche, il che non è un'operazione facile.
Alla fine avevamo 1.100 impiegati. Il fatturato e la produzione sono crollati incredibilmente. Oggi abbiamo 570 impiegati e dovremmo mandarne a casa 300, a dir poco. Se lei vedesse le lotte che dobbiamo compiere negli stabilimenti, purtroppo, con i sindacati.
Non si possono assumere decisioni di alcun tipo. La produttività, per esempio, è da noi determinata attraverso un sistema di tempi e di metodi, con un ufficio apposito gestito da ingegneri e riconosciuto a livello di Comunità europea. Se per realizzare un manufatto ci vogliono 100 minuti mediamente, noi ne impieghiamo 130, perché in ogni sede che dobbiamo muovere si sviluppa una lotta. Si compiono guerre incredibili.
Per l'amor del cielo, non mi fraintendete. È il sistema Paese che, anziché capire che il momento è difficile e che dobbiamo remare tutti insieme per andare avanti, non lo fa. Anzi, la situazione peggiora, perché lo stato d'animo delle persone si esaspera. Non c'è un bel clima. Lo sappiamo.
Per ritornare ai prezzi per sedute, è chiaro che, avendo riposizionato la marca Natuzzi verso l'alto, il prezzo medio per sedute si è elevato moltissimo. Purtroppo abbiamo i costi industriali. I costi dei servizi sono proibitivi. Alla fine, i prodotti che realizziamo in Italia devono essere calcolati con un costo industriale italiano, tenendo conto di quanto ci costa produrre in Italia, del costo del lavoro, dei servizi, degli ammortamenti, delle tasse e dell'IRAP.
Che dire dell'IRAP? Si chiudono i bilanci con meno 25 milioni, 30 milioni o 50 milioni di euro, come è accaduto a noi, però, poiché abbiamo 3.000 dipendenti, dobbiamo pagare 7 milioni di IRAP. Non so come e con quali criteri sia stata introdotta questa legge, però è la verità.
Onorevole Boccia, se lei vuole tutte le disquisizioni puntuali su come e perché produciamo in Cina determinati prodotti, con determinate marche, per determinati mercati e guadagniamo soldi, così come in Romania - lavoriamo per Ikea - guadagniamo soldi, realizzando 60 milioni di euro di fatturato, gliele posso fornire. Noi esportiamo dalla Cina in tutte le sedi Ikea,


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in Asia pacifica e in America ed esportiamo dalla Romania in tutte le sedi Ikea in Europa.
A ogni marca, a ogni prodotto, a ogni mercato, a ogni canale distributivo corrispondono costi e ricavi. Evidentemente, però, nel bilancio consolidato, la realtà è che noi, grazie agli investimenti che abbiamo compiuto all'estero e al portafoglio delle marche che abbiamo sviluppato, riusciamo a guadagnare ancora soldi dall'estero per compensare le perdite italiane.
In Italia abbiamo investito 420 milioni negli ultimi otto anni per costruire una marca che ci viene riconosciuta nel mondo attraverso le ricerche, però il momento è difficile e si spera sempre di venire fuori. Ovviamente in questo momento anche la gente che ha la capacità di spesa non ha l'entusiasmo per cambiare l'arredamento e realizzarne uno nuovo. Inoltre, siamo fortemente legati all'immobiliare, che è crollato in Spagna e in America.
Onorevole Boccia, le ragioni sono veramente tante. Non so se sono riuscito a rispondere.
Quanto ai rapporti con le regioni, penso che siano impegnate su altro, suppongo sull'energia. Non lo so, ma sembra che non ci sia attenzione verso di noi.

ROLANDO NANNICINI. Pongo una domanda semplice. Lei ci ha illustrato una storia, vedendo la quale, si rivede il nostro Paese, lo sviluppo delle nostre industrie. La sua idea è del 1997 e, quindi, lei già nel 1997 scommetteva sull'Italia. Forse ora ha meno sentimento del 1997, perché a quell'epoca vedeva gli elementi che poi ci ha precisato.
Il dato forte è il 2003. Condivido. È un dato su cui bisogna soffermarsi, perché il dato del settore manifatturiero italiano sta tutto nel 2003. C'è un rapporto del WTO, c'è il tema della perdita del nostro ragionamento sul cambio. Lei l'ha ammesso: dollaro debole, dollaro forte, euro forte. È l'elemento di fondo.
La domanda è la seguente: lei ha rammentato nell'ultima risposta, con una dichiarazione molto aperta e forte, questa IRAP maledetta e ha chiesto chi l'ha pensata. «Maledetta» l'ho aggiunto io.
Noi abbiamo lavorato - ricordo tutto il lavoro del 2007 - per introdurre una deduzione di 10.000 euro finalizzata alla riduzione del costo del lavoro; anche le sue imprese, che sono produttive e utilizzano essenzialmente la manodopera del Sud, potevano beneficiarne. Se fossero state 2.000, avrebbe potuto calcolare 20 milioni, ma non ve ne siete resi conto e sapete perché? Perché in Italia, quando si attua un provvedimento, lo mastichiamo, lo ridiscutiamo, perché bisogna rielaborare. La finanziaria 2007, a cui ho partecipato con una determinata durezza, ha introdotto la predetta deduzione di 10.000 euro dalla base imponibile IRAP da commisurare sulla base del costo del lavoro. Pagare le tasse e non poter detrarre il costo del lavoro è una cosa piuttosto spiacevole, anche se la misura proposta veniva dalla tassa della salute.
Quello strumento si è visto quasi vanificato, non ha prodotto nulla, però oggi lei ritiene opportuno che verso luglio, agosto o settembre, varato il «pacchetto lavoro», si prendano alcune misure che reintroducono detassazioni su chi lavora, cioè sui redditi di 40-45.000 euro, riproponendo una parte di domanda anche in Italia e attribuendo meno costi all'impresa e al lavoro dipendente?
Lei sa eseguire da sé i suoi conti. Occorre un volano per la ripresa di questo Paese, perché quello che manca a questo Paese, come lei ha sostenuto quando ha differenziato un po' la sua situazione, è la domanda interna. Non ce la facciamo più a sostenere i consumi con gli stipendi. Lei li sta reggendo, sta lavorando su questo fronte, però fornisca un suggerimento a noi. Non ritiene opportuno forse eliminare alcune questioni, ma non affermare che il mercato le risolverà? Quando si ritrovano le risorse, le dovremmo mettere necessariamente dalla parte di chi lavora.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Si sta parlando di applicare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori anche nel pubblico, della possibilità di licenziare anche


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nel pubblico. Perdonatemi, ma che devo fare? Mi devo nascondere?
Il Paese è appesantito, bisogna alleggerirlo. Il sistema fiscale si deve snellire, bisogna far guadagnare di più alle persone, altrimenti i consumi non si riprendono. Bisogna rilanciare le imprese, altrimenti non ci può essere occupazione.
Non è un'alchimia facile. È un lavoro lungo e duro. Bisogna mettersi insieme tutti a lavorare. Se ne può uscire fuori. Bisogna perseguire i furbi e gli evasori, perché già solo l'evasione fiscale è una questione enorme. Bisogna togliere un po' ai ricchi. Io ho un po' di lire. Me le potete anche togliere, non mi metterò a piangere, perché ho risparmiato nella vita per dare più ai poveri, alla gente che ha bisogno.
Ci sono alcuni interventi che bisogna compiere. Non è facile, ma si può e si deve fare.

PRESIDENTE. Prima di concludere, do la parola al dottor Di Taranto per un breve intervento.

VINCENZO DI TARANTO, Responsabile relazioni istituzionali del Gruppo Natuzzi. Ci tenevo solo a rispondere all'onorevole Boccia quando parlava dell'accordo di programma, che è un'altra nota dolente. A dir la verità, però, le regioni, si sono adoperate. Nel costrutto hanno fornito il loro contributo e sono pronte a firmare un benedetto accordo di programma che è nato nell'ambito del «protocollo Scajola» nel 2006, quando già si avvertiva la crisi, ma che poi si è andato perdendo, fino a scomparire.
Nel 2009 lo abbiamo risollecitato e stiamo tenendo miriadi di riunioni al Ministero dello sviluppo economico, ma senza raggiungere alcun risultato, quando già le regioni hanno dato la loro disponibilità non solo politicamente, ma anche dal punto di visto finanziario. Tuttavia, il Ministero dello sviluppo economico non riesce ancora a fornirci questo strumento.

PASQUALE NATUZZI, Presidente e amministratore delegato del Gruppo Natuzzi. Vi devo comunicare un'altra notizia molto importante. Parlo del nostro territorio. La cassa integrazione è una spesa inutile. Sono soldi sprecati. I nostri dipendenti che sono in cassa integrazione vanno a lavorare al nero con i cinesi, ragion per cui prendono la cassa integrazione e poi vanno a lavorare per 50 euro al giorno al nero presso i cinesi.
La Guardia di finanza, che ha svolto una verifica, ha fermato due nostri dipendenti in cassa integrazione. Siamo finiti in tribunale e il magistrato ci ha obbligato a far rientrare queste persone. Sapete che cosa sto dicendo? Parlo di cassintegrati che vanno a lavorare al nero presso soggetti cinesi che producono in conto lavoro. Impiegate diversamente i soldi che si spendono per la cassa integrazione, santo Cielo.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Natuzzi per quanto ci ha comunicato oggi, per il materiale che ha fornito, sul quale sicuramente lavoreremo, e soprattutto per la passione che ha dimostrato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,30.

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