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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
1.
Mercoledì 22 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'INDIVIDUAZIONE DI INDICATORI DI MISURAZIONE DEL BENESSERE ULTERIORI RISPETTO AL PIL

Audizione del Presidente dell'ISTAT, Enrico Giovannini:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 12
Giovannini Enrico, Presidente dell'ISTAT ... 3
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta antimeridiana di mercoledì 22 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente dell'ISTAT, Enrico Giovannini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'individuazione di indicatori di misurazione del benessere ulteriori rispetto al PIL, l'audizione del Presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini.
Accompagnano il professor Giovannini le dottoresse Linda Laura Sabbadini e Patrizia Cacioli e i dottori Adolfo Morrone e Tommaso Rondinella, che ringrazio per essere intervenuti e per aver voluto garantire, anche a quest'ora, il contributo significativo da parte dell'ISTAT.
Ringrazio i colleghi per aver garantito, anche in un giorno in cui non vi sono votazioni, una cornice adeguata a questa audizione.
Come ricorderete, abbiamo deliberato l'11 gennaio 2012 un'indagine conoscitiva sull'individuazione di indicatori di misurazione del benessere ulteriori rispetto al PIL, grazie alla iniziativa del collega Vannucci, che è uno dei massimi cultori della materia.
Nel programma della presente indagine il primo dei soggetti da audire è - come è naturale che sia - il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini - ormai un ospite abituale di questa Commissione - che nella seduta pomeridiana di giovedì 16 febbraio scorso ha reso qui un contributo importante nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'Analisi annuale della crescita per il 2012.
Do ora la parola al professor Giovannini.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. È un particolare piacere essere qui oggi non solo perché il tema è importante, ma perché in qualche modo è una testimonianza anche personale su un'iniziativa che, come illustrerò a breve, ho avuto l'occasione di promuovere in tutto il mondo durante il mio periodo di permanenza all'OCSE a Parigi.
Nel corso della storia, a seconda delle influenze culturali e dei regimi politici prevalenti, sono state elaborate diverse nozioni di benessere, di sviluppo e di progresso. Nel XX secolo il benessere è stato sostanzialmente considerato sinonimo di benessere economico, cosicché, dopo la grande depressione e la seconda guerra mondiale, la contabilità nazionale economica - e quindi il prodotto interno lordo, il PIL - è stata considerata da molti come lo strumento principale di misurazione dello sviluppo.
Tuttavia, lo stesso Simon Kuznets, ideatore della riforma della contabilità nazionale americana e, di fatto, ideatore del PIL come lo conosciamo oggi, già nel 1934 avvisava il Congresso degli Stati Uniti sul fatto che il benessere del Paese difficilmente può essere dedotto solo dalla misurazione del suo reddito nazionale. I limiti del PIL quale indicatore di benessere


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sono infatti noti: ad esempio, esso non considera le attività svolte al di fuori del mercato - come il volontariato e il lavoro domestico -, le esternalità negative sociali e ambientali del sistema produttivo; include le spese per la difesa, le cosiddette «spese difensive», mentre non tiene conto degli elementi distributivi.
Malgrado le numerose misure alternative di benessere e di progresso sociale elaborate nel corso del Novecento, è solo dal 1990 che le iniziative dedicate allo sviluppo sostenibile e alla misurazione dello sviluppo umano hanno iniziato a catturare l'attenzione dei media e a giocare un ruolo rilevante nel dibattito politico. Si pensi, ad esempio, all'indice di sviluppo umano, lo Human Development Index, del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, e agli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Più di recente, grazie alle azioni svolte da alcune autorità locali e nazionali e agli studi della qualità della vita, e soprattutto alle iniziative intraprese dall'OCSE sulla misurazione del progresso sociale, sta emergendo un nuovo movimento finalizzato a misurare il benessere.
Il dibattito sugli indicatori di benessere è sempre più rilevante e ruota intorno alla consapevolezza che il «cosa si misura» influenza il «cosa si fa». Se, cioè, gli indicatori utilizzati non sono corretti, o non riescono a cogliere tutte le caratteristiche del fenomeno di interesse, essi possono indurre a prendere decisioni inefficaci o sbagliate.
In questa mia relazione mi soffermerò su questi aspetti, concentrandomi non solo sulla dimensione della misurazione, ma anche sui possibili cambiamenti delle politiche economiche e sociali che possono essere realizzati grazie alla disponibilità di indicatori di progresso più articolati e condivisi dalla società, per poi concludere con alcune considerazioni sul funzionamento di una democrazia moderna nell'era dell'informazione.
La misurazione del benessere degli individui e delle società ha rappresentato a lungo una preoccupazione per gli statistici e per i decisori politici, ma solo negli ultimi anni la discussione su come misurare il benessere sta prendendo slancio in tutto il mondo. Ricercatori universitari, organizzazioni della società civile, statistici ufficiali e organizzazioni internazionali hanno proposto misure del progresso sociale alternative o integrative del PIL. Si tratta di un tema affrontato a tutti i livelli, che ha ormai catturato anche l'attenzione dei media.
In particolare, l'OCSE ha promosso, a partire dal 2001, diverse iniziative nell'intento di favorire la misurazione, quindi la promozione, del progresso sociale. Benché non sia ancora stato raggiunto, a livello internazionale, un accordo sulla via migliore da seguire, la Dichiarazione di Istanbul - adottata nel giugno 2007 dalla Commissione europea, dall'OCSE, dall'Organizzazione della Conferenza islamica, dalle Nazioni Unite, dall'UNDP (United Nations Development Programme) e dalla Banca mondiale, al termine del secondo Forum mondiale che organizzai appunto a Istanbul - ha sancito il consenso internazionale sulla necessità di intraprendere la misurazione del progresso sociale in ogni Paese, andando oltre le misure economiche convenzionali come il PIL pro capite.
Il Global Project on Measuring the Progress of Societies, da me lanciato nel 2007 con la Dichiarazione di Istanbul e gestito dall'OCSE, è divenuto poi il punto di riferimento mondiale per quanti desiderino misurare e valutare il progresso delle loro società.
In questi primi quattro anni di lavoro, il Global Project ha avuto, tra l'altro, il pregio di mettere in rete, in un preciso quadro istituzionale, le centinaia di iniziative che a livello locale, nazionale o internazionale stavano già, di fatto, perseguendo lo stesso obiettivo.
Sull'onda dell'iniziativa dell'OCSE, il Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy ha istituito la Commissione sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale - più nota come la Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi - alla quale ho avuto l'onore di partecipare. Tale Commissione ha prodotto un rapporto finale, nel settembre 2009, in cui


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veniva proposto uno spostamento dell'enfasi della misurazione dalla produzione economica alla misurazione del benessere delle persone, attraverso raccomandazioni volte a valutare la performance economica guardando al reddito e ai consumi piuttosto che alla produzione, approfondendone gli elementi distributivi e concentrando l'attenzione sulle condizioni delle famiglie, oltre che sugli aggregati macroeconomici.
Ricordo, a questo proposito, che l'idea della Commissione nacque dopo un mio colloquio con uno dei consiglieri di Madame Christine Lagarde, all'epoca Ministro dell'economia francese, che era interessata al tema della felicità. Riuscimmo, in qualche modo, a spiegare al Governo francese che il tema non era semplicemente la felicità, ma era molto più ampio, e da lì nacque l'idea di costituire la Commissione poi diretta da Joseph Stiglitz.
Tale Commissione raccomanda, inoltre, di misurare il benessere attraverso un approccio multidimensionale che tenga conto degli aspetti di valutazione soggettiva dei cittadini, e di affiancare all'analisi anche indicatori di sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale.
Per quanto concerne la misurazione della qualità della vita, la Commissione ha identificato otto dimensioni che devono essere tenute in considerazione: il benessere materiale; la salute; l'istruzione; le attività personali e il lavoro; la partecipazione politica e la governance; le relazioni sociali; l'ambiente; l'insicurezza economica e fisica.
Tali raccomandazioni delineano un quadro concettuale simile a quello sviluppato dall'OCSE nello stesso periodo, ma hanno evidentemente il pregio di provenire da una Commissione di eccezionale autorevolezza, potendo contare addirittura sul lavoro di cinque premi Nobel.
Nell'autunno 2009, la necessità di un nuovo approccio verso la misurazione del benessere è stata riconosciuta anche al summit di Pittsburgh, dove i leader del G20 hanno chiesto un lavoro sui metodi di misurazione che tenesse meglio conto delle dimensioni sociali e ambientali dello sviluppo economico, come parte integrante dell'attuazione del nuovo Framework for strong, sustainable and balanced growth.
Anche a livello di Unione europea sono stati fatti rilevanti e concreti passi avanti. La comunicazione della Commissione europea «Non solo PIL. Misurare il progresso in un mondo in cambiamento» (COM(2009) 433 definitivo), attua l'impegno assunto dalla Conferenza «Beyond GDP» organizzata nel novembre 2007, dopo il Forum di Istanbul, aperta dalla dichiarazione del Presidente Barroso: «è tempo di andare oltre il PIL».
Ricordo che la comunicazione è stata pubblicata nell'agosto del 2009, per questo noi riuscimmo ad orchestrare una campagna di comunicazione basata sui seguenti passaggi: ad agosto 2009 fu pubblicata questa comunicazione da parte della Commissione, a inizio di settembre 2009 fu pubblicato il Framework dell'OCSE, a metà settembre ci fu il rapporto della Commissione Stiglitz, intorno al 20 settembre al G20 si parlò di questi temi, a ottobre, sempre del 2009, ci fu il III Forum mondiale dell'OCSE a Busan, in Corea del Sud. Ecco, tale pacchetto comunicativo, in quei tre mesi, riuscì evidentemente a «bucare il video», perché a quel punto anche i media e i leader politici cominciarono a occuparsi di questi temi.
Come dicevo, la citata comunicazione impegna la Commissione europea e gli Stati membri a lavorare in cinque direzioni: includere nel PIL indicatori ambientali e sociali; produrre informazioni sociali e ambientali quasi in tempo reale a sostegno dei processi decisionali; elaborare informazioni più precise su distribuzione e disuguaglianze; costruire una lista di indicatori per la valutazione dello sviluppo sostenibile; estendere i conti nazionali per includere i fenomeni ambientali e sociali.
Tali obiettivi sono stati fatti propri, nel settembre del 2010, dalla Conferenza dei presidenti e direttori generali degli istituti nazionali di statistica europei con il cosiddetto «Memorandum di Sofia», che ha portato alla costituzione dello Sponsorship Group per misurare il progresso, il benessere e lo sviluppo sostenibile, che poi,


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anche alla luce della Strategia Europa 2020, ha dettato delle linee che gli istituti di statistica europei adesso stanno seguendo.
Vi rubo un minuto per capire perché improvvisamente si riparla di progresso. Questa parola, che viene dalla filosofia greca, ma poi, soprattutto, dall'approccio dell'Illuminismo, era stata sostanzialmente bandita nelle discussioni filosofiche dopo la seconda guerra mondiale, perché sia il nazismo che il comunismo l'avevano utilizzata come obiettivo ultimo della società. Da quel momento si era cominciato a parlare di «progressi» - progresso tecnologico, progresso economico, progresso umano - perdendo l'idea di poter ricomprendere all'interno di un unico concetto l'evoluzione complessiva della società.
Soltanto negli anni Duemila, quando con il processo che vi ho brevemente raccontato decidemmo di riportare in auge questa parola «progresso», anche per non usare termini che avevano già un imprinting politico - come per esempio «sviluppo sostenibile», che in quell'epoca negli Stati Uniti non poteva essere utilizzato come concetto - tale parola è tornata di moda, sebbene la declinammo come progresso «delle società», cioè la possibilità che ogni società definisse una sua idea di progresso e questa non fosse standardizzata ovunque.
L'approccio multidisciplinare nell'analisi del benessere sta emergendo con sempre maggiore frequenza anche negli esercizi applicati di misurazione. Qui voglio citare il Rapporto sullo sviluppo umano in occasione del suo ventennale, nel 2010. L'OCSE ha poi lanciato un indice disponibile per i trentaquattro Paesi membri, il cosiddetto Better Life Index, che si basa su undici dimensioni del benessere. È simpatico notare che quando l'OCSE pubblicò questi dati, per la prima volta nella storia dell'Organizzazione i server andarono in crisi per l'elevato numero di accessi da tutto il mondo su questo tema.
Parallelamente alle iniziative internazionali, si sono sviluppate anche iniziative a livello nazionale. Il Canadian Index of Wellbeing misura il progresso della società canadese utilizzando un indice sintetico fondato su otto dimensioni: benessere economico; vitalità della comunità; partecipazione democratica; istruzione e formazione; salute; ambiente; uso del tempo e tempo libero e cultura. Come vedete, sono molto simili a quelle indicate dalla Commissione Stiglitz.
Nel Regno Unito l'Office for National Statistics ha lanciato, su richiesta del Primo ministro Cameron, il programma Measuring National Well-being, il cui obiettivo è quello di pubblicare un set di indicatori condiviso e affidabile a cui i cittadini possano rivolgersi per capire e monitorare il benessere nazionale.
L'esigenza di misurare il benessere, fin da principio, ha fortemente interessato il livello locale d'analisi, soprattutto per l'interesse che le comunità locali hanno per il tema della qualità della vita. Anche in Italia si stanno, di recente, sviluppando diverse iniziative a scala regionale, provinciale e comunale: tra le iniziative più rilevanti si possono evidenziare quelle dell'IRES Piemonte e l'iniziativa «oltre il PIL», promossa in Veneto dall'Unioncamere e dall'Università Ca' Foscari, o, a scala ancora più ridotta, quelle realizzate dalla provincia di Pesaro e Urbino, dalla provincia di Roma (che il 5 marzo prossimo pubblicherà il Rapporto sulla qualità della vita nella provincia) o dal comune di Arezzo.
In questo contesto voglio segnalare anche il progetto URBES, promosso dal comune di Bologna e dal Laboratorio Urbano e sostenuto da ISTAT e ANCI, finalizzato a coinvolgere la rete delle città metropolitane per giungere allo sviluppo e all'utilizzo di indicatori di benessere urbano equo e sostenibile.
Merita poi ricordare che, nell'ottobre di quest'anno, si terrà il quarto Forum mondiale dell'OCSE su «Statistica, conoscenza e politica» in India. Anche l'ISTAT sta giocando un ruolo importante a livello internazionale, essendo alla guida del progetto e-Frame, nell'ambito del 7o Programma quadro della Commissione europea, per il coordinamento delle iniziative di misurazione del benessere in Europa,


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che prevede, tra l'altro, l'organizzazione di una conferenza regionale il 26-28 giugno 2012 a Parigi, presso l'OCSE, in analogia a quanto avvenuto nei mesi scorsi in America latina e in Asia.
Infine, va ricordato come siano state avviate iniziative volte a stimolare la Corporate Social Responsibility delle imprese, anche attraverso l'elaborazione di indicatori sull'impatto economico, sociale e ambientale della loro attività.
Tali iniziative, volte a influenzare i comportamenti «micro», appaiono simili a quelle sopra descritte orientate a modificare i comportamenti «macro», e testimoniano del diffondersi di un approccio culturale in cui la cosiddetta accountability delle politiche basate su indicatori condivisi stia diventando ormai lo standard internazionale.
Rinviando al seguito della relazione la descrizione dello stato dell'arte nel nostro Paese, vorrei soffermarmi sull'importanza che ha questo dibattito ai fini dell'elaborazione di nuove politiche economiche, sociali e ambientali, soprattutto nell'attuale scenario di crisi. Appaiono, infatti, del tutto evidenti i limiti degli attuali paradigmi utilizzati per valutare la realtà dei Paesi industrializzati - e non solo - e guidare la formulazione delle politiche.
La crisi economica ha accentuato il bisogno di trovare nuove metriche per la valutazione delle condizioni delle nostre collettività e dare obiettivi realistici, in grado di conseguire il benessere complessivo di un Paese, all'interno di aree geopolitiche integrate come l'Europa.
L'ultimo Rapporto sulla coesione della Commissione europea ricorda come la crisi ha evidenziato l'esigenza costante di una politica che investa nella competitività dell'Europa, nel benessere dei suoi cittadini e nella qualità dell'ambiente in cui viviamo. Allo stesso tempo, il Rapporto sottolinea come il punto di partenza per un approccio basato sui risultati consista nello stabilire ex ante obiettivi e indicatori di risultato chiari e misurabili, che siano facilmente interpretabili e realmente rispondenti alle necessità di conoscenza dei fenomeni.
Per affrontare la crisi e migliorare le condizioni di vita dei cittadini è quindi necessario dotarsi di un quadro di riferimento condiviso, che tenga conto di tutti i fattori economici e non economici che influenzano il benessere dei cittadini, nonché usare un tale quadro per assumere decisioni politiche coerenti. Naturalmente, il problema è come fare per realizzare un tale obiettivo.
Il Ministero del tesoro australiano, fin dal 2001, e, più di recente, quello neozelandese, hanno riconosciuto questa necessità ed elaborato uno schema concettuale basato sul concetto di benessere che permette una conoscenza più approfondita delle condizioni di vita dei cittadini. In particolare, esso consente di orientare opportunamente l'azione politica verso gli obiettivi in esso enunciati. Non sto parlando dei rispettivi Istituti di statistica, ma dei Ministeri del tesoro di questi due Paesi.
Per esempio, il Ministero del tesoro australiano dichiara esplicitamente che la propria missione è quella di «migliorare il benessere degli australiani fornendo un supporto consono e tempestivo al Governo, fondato su un'analisi attenta e oggettiva delle diverse opzioni. Una comprensione robusta e coerente del benessere è quindi cruciale per il lavoro del Tesoro». Di conseguenza, il Ministero del tesoro australiano, nell'elaborazione delle politiche economiche, giudica i singoli provvedimenti guardando le seguenti dimensioni: primo, le opportunità di cui godono i cittadini; secondo, la distribuzione e la sostenibilità di tali opportunità; terzo, il livello e l'allocazione dei rischi che i cittadini e le comunità devono sostenere (pensate al tema della riforma delle pensioni, su chi deve sopportare il rischio di «farsi» una propria pensione, rispetto a un sistema gestito dal pubblico); quarto, il grado di complessità delle decisioni che cittadini e comunità devono affrontare.
Quest'ultimo aspetto è importante, perché farsi carico della capacità dei cittadini di prendere le decisioni migliori - ad esempio, torno al tema delle pensioni - è fondamentale. Non ci si può stupire se non


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partono il secondo e il terzo pilastro del nostro sistema previdenziale, quando i cittadini non sono in grado di capire quanto avranno dal primo pilastro. Questo è il tema dell'informazione sui redditi futuri delle pensioni.
Analogamente, il Ministero del Tesoro neozelandese ha definito uno schema concettuale nel quale i singoli provvedimenti legislativi vengono valutati in base al loro impatto sui seguenti elementi: un ampio spettro di determinanti, materiali e non materiali, del living standard della popolazione, al di là del reddito e del PIL; libertà, diritti e capacità, riconosciuti come importanti per la qualità della vita; la distribuzione degli standard di vita tra diversi gruppi socio-economici; la sostenibilità nel tempo degli standard di vita.
Anche in questo caso, lo schema basato sul benessere è usato per una valutazione ex ante ed ex post dei trade-off delle diverse politiche, per esprimere cioè il giudizio complessivo di queste ultime sui singoli aspetti, ma che tenga conto anche delle loro interrelazioni.
Nel febbraio 2010 il Consiglio dei ministri franco-tedesco ha chiesto al Consiglio francese di analisi economica e al Consiglio tedesco di esperti economici di proseguire il lavoro sulla scia dei risultati della Commissione Stiglitz, orientando le decisioni dei due Primi ministri. È stato, quindi, pubblicato un rapporto su «Monitoraggio delle prestazioni economiche, qualità della vita e sostenibilità».
La conclusione si può indicare nel fatto che è necessario analizzare meglio questi temi attraverso indicatori definiti, in particolare per ciò che concerne le prestazioni economiche, la qualità della vita e la sostenibilità.
Su una linea simile si è espresso il Comitato economico e sociale europeo, secondo cui le misure di benessere sono necessarie alla formulazione e alla valutazione delle politiche fondamentali dell'Unione europea, tenendo conto di tutti i loro effetti e influssi misurabili e delle loro reciproche interazioni.
Queste e altre esperienze dimostrano come un quadro di riferimento condiviso sulla misurazione del benessere sia considerato uno strumento indispensabile per affrontare la crisi economica con occhi nuovi. Ad esempio, l'analisi della performance economica, non solo in termini di PIL, ma considerando anche il reddito disponibile, i consumi, la ricchezza e i risparmi, offre un quadro più dettagliato delle condizioni di vita economica dei cittadini.
Come avete potuto constatare, già nell'audizione da me tenuta la scorsa settimana in questa Commissione, i tassi di povertà o esclusione sociale per l'Italia, se misurati prima dei trasferimenti pubblici, sono più bassi della media europea, nonostante la crescita stagnante del PIL. Dopo i trasferimenti, invece, i tassi in Italia scendono solo di cinque punti - a fronte degli otto di Spagna e Germania, dei dieci di Belgio, Danimarca e Francia - facendo scendere l'Italia al di sotto della media europea. Appare chiaro, quindi, come il benessere economico dei cittadini - e parliamo in questo caso di quasi un quarto della popolazione - dipenda in buona parte dall'efficacia delle politiche redistributive e di contrasto alla povertà, le quali non possono essere disgiunte da quelle di carattere macroeconomico.
Poiché il concetto di benessere può cambiare secondo tempi, luoghi e culture - anche se le attività del Global Project hanno dimostrato una notevole similarità tra gli schemi sviluppati in diversi continenti - è indispensabile giungere a una condivisione di esso, attraverso un processo che coinvolga i diversi attori sociali, al fine di dotare il risultato di tale lavoro della necessaria legittimazione democratica.
Quante volte abbiamo assistito a dibattiti, anche televisivi, in cui politici di parte avversa citavano dati contraddittori tra di loro e, poi, gli esperti facevano la stessa cosa? L'esito finale di questo modo di dibattere è che i cittadini dicano che tutto questo è troppo complicato e pensino: «vedetevela voi!».
L'elemento di condivisione sugli indicatori chiave di un Paese è fondamentale perché, come dice Amartya Sen, discutere


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degli indicatori vuol dire in realtà discutere degli obiettivi finali di una società. Come dirò successivamente, nella società dell'informazione ci sono talmente tanti dati, talmente tante informazioni, che trovare un accordo sui criteri per valutare, nel medio periodo, il successo di una società, diventa un'infrastruttura di funzionamento della democrazia.
Rispetto alle critiche di chi sostiene che si tratti di un dibattito per spostare l'attenzione dall'incapacità della politica di far fronte alla crisi economica e finanziaria, va fatto notare come il processo che ha portato allo stato di avanzamento odierno dell'elaborazione statistica e politica sul tema sia iniziato in tempi non sospetti di crescita economica. D'altra parte, gli Stati membri dell'Unione europea hanno già indicato la loro volontà di andare «oltre il PIL» con la Strategia Europa 2020, finalizzata a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività, efficienza energetica e ambientale, coesione sociale, focalizzandosi su cinque obiettivi: occupazione, innovazione, cambiamenti climatici, istruzione e povertà. La Strategia, in altre parole, rappresenta un'importante guida per le politiche di medio termine che, se da un lato ha il pregio della sinteticità nel numero di obiettivi e la forza di essere legittimata dall'accordo in sede comunitaria, dall'altro potrebbe non essere sufficiente nel rispecchiare tutti gli aspetti che interessano realmente i cittadini di un particolare Paese. Per questo è indispensabile, come raccomandato dalla Dichiarazione di Istanbul, che attraverso un dibattito pubblico ogni società individui cosa intenda per progresso, elabori indicatori statistici di qualità in grado di misurare le diverse dimensioni del benessere e diffonda capillarmente ai cittadini tali informazioni, al fine di consentire una scelta più consapevole delle politiche e una piena accountability dei decisori pubblici.
Non è naturalmente il caso di approfondire questi aspetti, ma esistono modelli di teoria dei giochi, applicati alla democrazia, in cui il ruolo degli indicatori di performance aiuta a ridurre l'asimmetria informativa tra l'eletto e l'elettore, proprio perché attraverso l'accountability i cittadini possono più facilmente scegliere i «bravi» politici.
Vengo alle iniziative in corso nel nostro Paese verso la misura del benessere equo e sostenibile. L'evoluzione del dibattito ora descritto è andata di pari passo con un'accresciuta richiesta di informazione statistica sullo stato e il progresso nel nostro Paese. Il patrimonio informativo accumulato dall'ISTAT testimonia gli importanti passi avanti che ha fatto l'Istituto in questa direzione. In particolare, negli ultimi quindici anni, le statistiche sociali hanno conosciuto un progresso ininterrotto.
Un altro fronte su cui sono state realizzate innovazioni importanti è quello delle statistiche ambientali. Il rafforzamento della produzione statistica ha parallelamente interessato anche le statistiche economiche e la contabilità nazionale.
È possibile affermare che, con poche eccezioni su cui l'Istituto di statistica sta lavorando - ad esempio, la misura del capitale umano e sociale -, l'Italia dispone di molte delle informazioni necessarie a produrre un quadro di misurazione del benessere che risponda alle raccomandazioni internazionali. Ciononostante, servirebbe aumentare la tempestività di numerosi indicatori sociali e, soprattutto, ambientali.
Dovete sapere che tra qualche settimana pubblicheremo i dati del PIL del 2011 e, poi, del primo trimestre del 2012, quando abbiamo i dati ambientali riferiti ancora a due, tre anni fa, o i dati sociali riferiti in parte all'anno scorso, ma in parte a due anni fa. È chiaro che l'attenzione dell'opinione pubblica si concentra sui dati più recenti; quindi il ritardo di pubblicazione di certi dati è esso stesso causa di una distorsione nel dibattito dell'opinione pubblica. Se noi potessimo avere, come hanno gli olandesi, un cosiddetto tableau de bord, cioè un set di indicatori, così che quando pubblichiamo il PIL pubblichiamo anche tutti gli altri indicatori - pensiamo, ad esempio, alla quantità di energia utilizzata - immediatamente i cittadini potrebbero vedere che


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a fronte, supponiamo, dell'1 per cento di aumento del PIL, abbiamo aumentato del 4 per cento l'energia impiegata, e si farebbero delle domande. Ecco perché la tempestività degli indicatori è così importante.
Ciononostante, come dicevo, servirebbe aumentare la tempestività di numerosi indicatori sociali e soprattutto ambientali. Una migliore valutazione del patrimonio, anche culturale, del Paese, delle infrastrutture, delle interazioni tra fenomeni economici e sociali: sono esempi di cosa si dovrebbe fare se le risorse dedicate alla statistica fossero anche semplicemente al livello - e non pari alla metà - di quelle degli altri Paesi europei, quali la Francia e il Regno Unito. Oggi, infatti, siamo in questa situazione, cioè il bilancio dell'ISTAT è pari alla metà di quello che riceve un istituto di statistica degli altri Paesi europei, e a un terzo di quello che si spende nei Paesi scandinavi.
Tuttavia, la misurazione del benessere richiede non solo indicatori affidabili e tempestivi, ma anche la definizione, attraverso il coinvolgimento di tutti i settori della società, di un quadro di riferimento ampio e, come dicevo prima, condiviso. Per affrontare questa sfida è stato costituito dal CNEL e dall'ISTAT un Comitato di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana, composto da rappresentanze delle parti sociali e della società civile.
L'obiettivo del Comitato, in analogia a quanto sta avvenendo in altri Paesi, è quello di sviluppare un approccio multidimensionale e condiviso di quello che chiamiamo benessere equo e sostenibile (BES). Partendo dalle indicazioni fornite dai cittadini e dai risultati delle esperienze internazionali già realizzate, il Comitato CNEL-ISTAT ha condotto, nel corso del 2011, un intenso dibattito che ha permesso di sviluppare una definizione condivisa del benessere della società italiana, articolata in dodici domìni (rinvio per i dettagli alla documentazione allegata depositata agli atti). Nove domìni misurano obiettivi primari per il benessere individuale e sociale e tre domìni misurano fattori che influenzano il contesto sociale in cui vivono i cittadini.
Le dimensioni individuate sono: ambiente; salute; benessere economico; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; relazioni sociali; sicurezza personale; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale. Queste sono le nove condizioni base, che, come di nuovo vedete, sono molto simili a quelle della Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi. Inoltre, ci sono ulteriori tre domìni: ricerca e innovazione; qualità dei servizi; politica e istituzioni, che corrispondono a quelli che in inglese si definiscono fattori che favoriscono il funzionamento di una società.
L'ISTAT ha, inoltre, costituito una Commissione scientifica - che si è riunita anche ieri, tra l'altro - che ha il compito di selezionare, per ciascun domìnio, un set di indicatori di elevata qualità. La Commissione, organizzata in gruppi di lavoro, sta lavorando alacremente per finalizzare una proposta. Il set sopradescritto sarà discusso il 14 e 15 marzo prossimi in una riunione congiunta del Comitato di indirizzo CNEL-ISTAT e della Commissione scientifica, al fine di preparare un documento finale.
Tra aprile e maggio 2012 il documento verrà presentato e discusso in diversi incontri, anche sul territorio. Terminata la fase di consultazione e approvati in via definitiva gli indicatori, ISTAT e CNEL provvederanno alla pubblicazione, entro dicembre 2012, del primo Rapporto sullo stato del benessere equo e sostenibile in Italia.
Gli indicatori scelti per misurare il progresso rifletteranno necessariamente i valori e le priorità di chi è stato incaricato di selezionarli. Per raggiungere una misura condivisa a livello nazionale è quindi essenziale affrontare un confronto e un dialogo tra i diversi attori rispetto a un'idea di benessere che sia ritenuta comune. Di conseguenza l'ISTAT, unico caso a livello internazionale, ha realizzato, a febbraio 2011, la prima rilevazione statistica sull'importanza delle dimensioni del


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benessere su un campione di 45.000 persone dai quattordici anni in poi (quindi non è un sondaggio), rappresentativo della popolazione residente in Italia, i cui risultati sono di nuovo disponibili tra i materiali in appendice.
La rilevazione ha dato risultati molto significativi. In primo luogo, i cittadini hanno risposto sottolineando un'elevata importanza per tutte le dimensioni del benessere che avevamo proposto. Raramente i giudizi che i cittadini forniscono su altri aspetti della loro vita quotidiana sono risultati così omogenei in base al sesso, all'età e al territorio. La salute si conferma come la dimensione in assoluto più importante. Appare invece meno scontato e, a mio avviso, di grande rilevanza il fatto che i cittadini diano molta importanza ai temi della sostenibilità, ponendo al secondo posto nella graduatoria delle priorità - cioè prima di lavoro, reddito, ambiente e così via - la possibilità di assicurare un futuro ai figli, segnalando come il tema dell'equità intergenerazionale sia una priorità che non è possibile ignorare. In fondo alla graduatoria compare la partecipazione alla vita politica, risultato che riflette forse più un clima di sfiducia dei cittadini che un reale disinteresse per l'argomento.
I risultati della consultazione sono stati utilizzati dal Comitato CNEL-ISTAT per decidere la lista dei domìni che, una volta approvati, saranno di nuovo sottoposti a consultazione sul sito Internet www.misuredelbenessere.it; mediante un questionario e un blog sarà offerta la possibilità a cittadini, istituzioni, centri di ricerca, associazioni e imprese, di contribuire a definire che cosa conta veramente per l'Italia.
In realtà, abbiamo già condotto una consultazione on line, la quale ha mostrato che il consenso sull'importanza di andare oltre il PIL è praticamente unanime - hanno risposto quasi 3.000 persone - e che le dodici dimensioni considerate sono ritenute sufficienti a misurare il benessere dei cittadini. L'unica mancanza che emerge, sia dal blog, sia dal questionario, è quella della qualità del cibo, che è ritenuta da molti uno degli aspetti fondativi del benessere del nostro Paese.
Veniamo alle conclusioni. L'adozione di strutture analitiche e di valutazioni ex ante ed ex post dell'impatto delle politiche è essenziale al fine di ottenere i risultati sperati. Il tema è tanto più urgente in una fase di crisi durante la quale le risorse sono scarse e non è possibile permettersi l'adozione di misure poco efficaci. Come già da me sottolineato in precedenti audizioni presso questa Commissione, sarebbe opportuno riflettere su come dotare il Paese di una sede indipendente, come il General Accountability Office americano, che svolga questo tipo di analisi, eventualmente con il sostegno delle istituzioni (ISTAT, Banca d'Italia, eccetera) in possesso di informazioni e competenze utili a tal fine.
La recente proposta - nell'ambito della discussione sulla riforma dell'articolo 81 della Costituzione - di costituire un fiscal council cui demandare il compito di valutare i costi di proposte di legge ed emendamenti, risponde solo parzialmente a questa esigenza - peraltro sentita non solo dal Parlamento nazionale ma anche dalle autonomie locali - in quanto la valutazione delle politiche deve anche ricomprendere gli aspetti sostanziali degli interventi, e non solo quelli di carattere finanziario.
A breve le misure del benessere equo e sostenibile saranno a disposizione dell'opinione pubblica, del Parlamento e del Governo, che mi auguro coglieranno l'opportunità di adottarle nei propri processi decisionali. Il cosiddetto BES aspira a diventare una sorta di costituzione statistica, perché la riflessione su come si misura il benessere e su quali ne sono le dimensioni è anche una riflessione su come la politica definisce i suoi obiettivi e valuta i risultati della sua azione.
A partire da tale quadro condiviso, molte sarebbero le attività che politica, parti sociali e istituti di ricerca potrebbero intraprendere. Solo per fare alcuni esempi: Parlamento e Governo potrebbero decidere che le relazioni tecniche di accompagnamento


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agli interventi normativi, almeno quelli di ampio respiro, cerchino di valutarne l'impatto rispetto ai domìni del BES, o ad aspetti come quelli utilizzati in Australia e in Nuova Zelanda; il Rapporto sul benessere equo e sostenibile potrebbe essere presentato e dibattuto in Parlamento, nonché, per gli aspetti settoriali, nelle competenti Commissioni parlamentari; gli indicatori selezionati potrebbero essere oggetto di campagne informative, ad esempio televisive, nell'ambito degli spazi dedicati all'informazione istituzionale, utilizzando tecniche di visualizzazione interessanti e accessibili al grande pubblico; l'ISTAT, in collaborazione con altri enti, potrebbe essere chiamato a sviluppare una suite di modelli statistici ed econometrici in grado di integrare gli aspetti economici, sociali ed ambientali, così da sostenere le analisi volte alla valutazione ex ante delle politiche pubbliche; l'elaborazione della base informativa necessaria alla misura del BES, anche a livello territoriale spinto (regioni, province, aree metropolitane), potrebbe essere inserita tra i compiti obbligatori dell'ISTAT e del Sistema statistico nazionale, come è accaduto nel passato per le statistiche sulla pubblica amministrazione, con coerente destinazione di risorse finanziarie aggiuntive a questo scopo specifico.
In altri termini - e qui concludo - si tratta di fare del BES uno strumento cardine del funzionamento delle istituzioni nazionali. L'entusiasmo e la competenza con i quali le parti sociali rappresentate nel CNEL stanno lavorando al progetto, l'interesse crescente da parte degli enti locali, le sfide poste dalla crisi economica e la necessità di trovare nuove prospettive politiche basate su concetti come crescita, equità, sostenibilità, e i citati sviluppi della materia a livello europeo e internazionale, sono tutti elementi che indicano l'irrinunciabilità della prospettiva qui delineata.
L'Italia ha l'opportunità, anche grazie alle caratteristiche economiche, sociali e ambientali che la caratterizzano, di svolgere un ruolo chiave in questo processo, ponendosi all'avanguardia di un nuovo modo di intendere la politica e il rapporto tra quest'ultima, le parti sociali e i cittadini.
L'ISTAT, con la sua competenza, è a totale disposizione del Parlamento e del Paese per sostenere tale percorso di rinnovamento e sviluppo, indispensabile per assicurare il funzionamento di una democrazia moderna nella cosiddetta società dell'informazione. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente Giovannini.
Colleghi, essendo in procinto di iniziare i lavori dell'Aula con la discussione concernente un provvedimento che ci vede coinvolti, penso che sia opportuno, se siete d'accordo, aggiornare l'audizione a un altro momento, al fine di porre i quesiti e ascoltare le relative risposte.
Ringrazio quindi il professor Giovannini, con il quale concorderemo i tempi per il proseguimento dell'audizione.
Rinvio pertanto il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 9,20.

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