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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
6.
Giovedì 11 febbraio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FINANZA LOCALE

Seguito dell'audizione del dottor Edoardo Grisolia, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 5 6 9 14
Bitonci Massimo (LNP) ... 5
Duilio Lino (PD) ... 11
Grisolia Edoardo, Ispettore generale capodell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato ... 3 9 13
Nannicini Rolando (PD) ... 12
Rubinato Simonetta (PD) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 11 febbraio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,40.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del dottor Edoardo Grisolia, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla finanza locale, il seguito dell'audizione del dottor Edoardo Grisolia, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato, rinviata nella seduta del 28 gennaio 2010.
Intendiamo riprendere l'incontro con il dottor Grisolia, tenendo conto della sua precedente relazione, anche al fine di consentire la possibilità di un confronto, ancora più utile alla luce dei lavori parlamentari e, in particolare, del decreto-legge in materia di enti locali, che in questi giorni la Commissione bilancio sta esaminando insieme alla Commissione affari costituzionali.
Do la parola al dottor Grisolia.

EDOARDO GRISOLIA, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato. Grazie, presidente, e buongiorno a tutti. Vorrei, innanzitutto, fare un piccolo chiarimento. Nel corso dell'audizione degli enti locali, l'assessore Rosati della Provincia di Roma mi ha associato allo Stato austroungarico e, in particolare, a Bismarck. Se si fosse limitato a criticare le idee e non le persone, che tra l'altro non conosce, forse non sarebbe incorso in un grossolano errore: Bismarck non era austroungarico, ma prussiano.
Prendo spunto dalle considerazioni dell'assessore Rosati, perché ha dipinto una Ragioneria generale dello Stato, che detta le regole in materia di Patto di stabilità interno, collocandosi su un piedistallo e impartendo direttive. Vorrei, tuttavia, sfatare questa immagine, perché da anni la Ragioneria generale ha aperto un tavolo tecnico con regioni ed enti locali, in cui vengono condivisi tutti gli obiettivi. Abbiamo ad esempio realizzato il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici (SIOPE) con la piena condivisione degli enti territoriali, abbiamo recentemente realizzato una codificazione omogenea dei dati di bilancio, che era propedeutica ad avviare i lavori sul federalismo fiscale ed è stata una innovazione prima recepita dalla Commissione tecnica paritetica per il federalismo fiscale e poi tradotta in norma legislativa.
Anche per quanto riguarda le regole del Patto di stabilità interno, vorrei ricordare che il tavolo tecnico non è stato mai


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chiuso e, al di là delle difficoltà di discutere sull'entità della manovra, aspetto che tocca valutazioni esclusivamente politiche, sui restanti aspetti è aperto a qualsiasi tipo di contributo. Il tavolo tecnico cerca, dunque, di immaginare le regole e le modifiche alle regole precedentemente introdotte, cerca di trovare miglioramenti e soluzioni a criticità riscontrate di anno in anno sulle regole del Patto.
Si tratta quindi di un lavoro svolto in piena condivisione, anzi, con una particolare attenzione della Ragioneria nei confronti degli enti locali. A conferma di ciò, ricordo che quando si dibatteva, ad esempio, della base di riferimento da assumere ai fini del Patto, la Ragioneria era favorevole a un periodo pluriennale, mentre le associazioni prediligevano l'anno 2007, e ad essere scelto è stato proprio quest'ultimo riferimento, a riprova del rilievo dato alle istanze promosse dalle associazioni degli enti locali. Ricordo, inoltre, che quando si è introdotta la competenza mista, la Ragioneria era molto scettica, e lo è ancora oggi, ma abbiamo avallato l'istanza avanzata dalle associazioni. Questi esempi contribuiscono a sfatare il luogo comune che vorrebbe che sia la Ragioneria generale dello Stato a dettare le regole.
Anche se la volta scorsa ho fatto un'introduzione molto rapida a causa delle imminenti votazioni in Aula, ritengo opportuno soffermarmi solo su alcuni punti della stessa, considerando più utile aprire un dibattito e un confronto per valutare le eventuali criticità e le soluzioni, sempre in uno spirito di piena collaborazione. Intendiamo, infatti, verificare se all'interno di una cornice finanziaria ormai predeterminata vi sia la possibilità di migliorare le regole del Patto.
Mi ricollego subito ad uno dei punti illustrati nella precedente relazione, che riguarda l'esclusione delle entrate straordinarie dal saldo utile ai fini della verifica del Patto. Nel corso della precedente audizione, ho affermato che il comma 8 dell'articolo 77-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, è stato soppresso, ma il problema della contabilizzazione delle entrate straordinarie si porrà nuovamente. Per superare questa problematica, abbiamo sperimentato l'assunzione, come base di riferimento, di un quinquennio anziché di un solo anno. Questa scelta ci ha portato a concludere che la ridistribuzione degli obiettivi si appiattisce, c'è una minore dispersione rispetto alla media, i valori massimi e minimi si riducono sensibilmente, e il valore massimo della manovra, che potrebbe essere rappresentato in modo convenzionale rapportandolo alla spesa finale del 2007, passa dal 93 al 23 per cento. Questo significa che oggi l'ente più penalizzato deve effettuare uno sforzo del 93 per cento della spesa finale, mentre con l'assunzione come base di riferimento di un quinquennio lo sforzo massimo dell'ente sarebbe ridotto al 23 per cento.
L'assunzione di un quinquennio ci sembra, dunque, se non una soluzione totale, almeno una fortissima attenuazione di questo problema, dal momento che la stessa è finalizzata a smussare tutti i picchi e, quindi, a rendere più uniforme questa distribuzione. Laddove si ravvisasse l'esigenza di riproporre il comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, questa potrebbe essere superata introducendo una base di riferimento più ampia rispetto a quella oggi assunta e che è l'anno 2007.
Un altro strumento, che a nostro avviso dovrebbe essere incentivato, riguarda l'intervento delle regioni nel Patto di stabilità interno. Auspichiamo che, così come esiste una norma a carattere permanente, che prevede la possibilità per le Regioni, fermo restando il proprio obiettivo complessivamente determinato, di rimodulare gli obiettivi degli enti locali, possa essere riproposta, sempre con carattere permanente, anche l'altra norma che ha avuto un grande riscontro nell'anno 2009, cioè quella che consente alle regioni di intervenire riducendo una parte dei propri obiettivi del Patto di stabilità interno a vantaggio degli enti locali. Nel 2009, sei regioni sono intervenute in questi termini per un valore complessivo di 260 milioni di euro, valore non trascurabile, mentre


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per il 2010 e 2011 già tre regioni si sono candidate ad attuare il comma 11 dell'articolo 77-ter, del decreto-legge n. 112 del 2008, che prevede che la regione possa rimodulare solo gli obiettivi degli enti locali, senza però intervenire con un apporto a proprio carico.
Riteniamo, quindi, che l'intervento della regione possa costituire un rilevante strumento di flessibilità nel Patto, specie per un Patto che, effettivamente, richiede uno sforzo notevole da parte degli enti locali, data la sua dimensione finanziaria. Siamo, infatti, convinti che non possa esistere un Patto valido per tutti gli enti a livello nazionale, mentre può essere utile il riferimento a un Patto più circoscritto. Riteniamo quindi che la regione, che conosce meglio del centro le esigenze del territorio e gli aspetti di carattere economico che più caratterizzano gli enti locali, possa intervenire più efficacemente di quanto non lo si possa fare dal centro, con una visione che, dovendo essere più ampia, possiede minore efficacia.
L'intervento delle regioni dovrebbe essere incentivato, così come dovrebbe essere riproposta la norma che prevede la possibilità che la regione intervenga sacrificando una parte del proprio obiettivo a vantaggio degli enti locali.
Per quanto riguarda, invece, le soluzioni di più ampio respiro riferite al medio, se non addirittura lungo termine, ci eravamo soffermati su una revisione del Patto, che avrebbe dovuto privilegiare una regola limitata solo al saldo di parte corrente e introdurre fabbisogni standardizzati per la parte in conto capitale. Si ritiene, invece, nell'immediato non realizzabile l'obiettivo, prospettato dal presidente Chiamparino, di introdurre un vincolo del debito. Al di là delle difficoltà operative derivanti dall'introduzione di questo vincolo, per il quale dovremmo acquisire preliminarmente una serie infinita di informazioni, sottolineo che, se oggi dovessimo pensare di disciplinare la dinamica delle spese in conto capitale attraverso il debito, rischieremmo di non ricordare che, al di là del debito, gli enti locali dispongono di avanzi di amministrazione. Se le spese fossero quindi ancorate solo al vincolo del debito, si potrebbero sostenere spese in conto capitale di grandi dimensioni senza dover ricorrere al debito e utilizzando solo gli avanzi, con effetti che si ripercuoterebbero sull'indebitamento netto. Se ci sono gli spazi, quindi, si potrebbe intervenire, come si è già intervenuti nel corso del 2009, attraverso l'introduzione di una misura che ha escluso dei pagamenti in conto capitale rapportati al 4 per cento dei residui passivi del 2007, ma, se questi spazi non ci sono, il vincolo sul debito non salvaguarderebbe a sua volta i vincoli di finanza pubblica, perché le spese in conto capitale potrebbero assumere una dimensione notevole anche solo attraverso l'utilizzo degli avanzi.
Concluderei qui il mio intervento, perché credo sia più utile un confronto con i componenti della Commissione su temi specifici.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Grisolia, perché lei ha concentrato la sua relazione su alcuni dei temi caldi che la prossima settimana affronteremo con gli emendamenti al decreto-legge in materia di enti locali il cui termine, ricordo, scade domani alle ore 14.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMO BITONCI. È stato un intervento molto interessante, come anche quello della scorsa settimana. Vorrei sapere se, al di là della novità di ripristinare le disposizioni di cui al comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, che come tutti i sindaci considero fondamentale, stiate studiando l'ipotesi di suddividere il Patto di stabilità interno in una parte relativa alla spesa corrente e in una parte in conto capitale, in modo da mantenere estremamente rigida, come è giusto che sia, la spesa di parte corrente, soprattutto relativa al personale e ai servizi e dare una maggiore flessibilità alla spesa per investimenti.
Con riferimento alle disposizioni di cui al comma 8, dell'articolo 77-bis del


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decreto-legge n. 112 del 2008, ricordo che fino allo scorso anno era possibile effettuare operazioni straordinarie e investimenti, ma da quest'anno è stata ridotta di molto la capacità di azione da parte degli enti locali. Alla luce di tali considerazioni, ritengo quindi che il ripristino del suddetto comma 8 sia una tra le richieste più condivise da tutte le amministrazioni comunali.
Quanto alla scelta di modificare la base di riferimento passando dall'anno 2007 al quinquennio, ritengo che la stessa possa essere una soluzione interessante, soprattutto per far diminuire l'impatto degli eventi straordinari subìti da tutte le amministrazioni comunali, e, in particolare, dai comuni di medie dimensioni, dal momento che quelli di grandi dimensioni hanno una minore variabilità, e quelli con meno di 5.000 abitanti non sono soggetti al Patto di stabilità interno. Il problema, infatti, si pone, soprattutto, nei comuni di medie dimensioni, dove una singola opera pubblica come la realizzazione di una scuola, che può costare dai quattro ai cinque milioni di euro, è un evento straordinario, che fa sforare gli obiettivi del Patto di stabilità interno. Alla luce di tali considerazioni, l'assunzione come base di riferimento del quinquennio può essere interessante.
Poiché è in corso di esame alla Camera il disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di enti locali e domani scade il termine per depositare gli emendamenti, spero che siano accettate le proposte emendative volte a modificare il Patto di stabilità interno o almeno a ripristinare il contenuto del comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.

PRESIDENTE. Sarebbe interessante conoscere l'impatto di tali normative su queste realtà e, in particolare, sulle classi demografiche dei comuni, perché ho l'impressione che la legislazione tuteli i piccoli comuni fino a 5.000 abitanti e segua la dinamica dei problemi delle città medio-grandi, mentre trascuri la fascia dei comuni tra 5.000 e 10.000 abitanti, che devono offrire una gamma di servizi senza avere particolari benefici.

SIMONETTA RUBINATO. Grazie, dottor Grisolia, per la rinnovata disponibilità, particolarmente preziosa in questo momento in cui abbiamo qualche speranza di incidere per un miglioramento di queste norme.
L'aspetto che mi preoccupa di più non è il fatto che venga dato un obiettivo particolarmente impegnativo al comparto degli enti locali, quanto la qualità delle manovre imposte agli stessi. Come da lei ricordato nella scorsa audizione, e affermato anche dalla Corte dei conti, la realtà degli enti locali in questo Paese è estremamente variegata. Questi, infatti, sono tanti e complessi e i 2.400 ai quali si applica il Patto di stabilità interno, sono tra loro molto differenti e le regole finora succedutesi, come rilevato anche dalla Corte dei conti, non hanno inciso né sulla qualità né sulla quantità della manovra.
Credo che, complessivamente, il comparto degli enti locali contribuisca meno degli altri a una situazione negativa dei conti pubblici italiani. Infatti, gli enti locali, grazie allo sforzo di tutti o di tanti, hanno comunque cercato di raggiungere o almeno di avvicinarsi il più possibile agli obiettivi che erano stati loro assegnati.
Al di là di ogni retorica - la politica talvolta usa, in modo improprio, lo strumento del populismo - sentire parlare nei telegiornali e nelle trasmissioni pubbliche degli amministratori locali, che fanno la fiera delle rane piuttosto che dare servizi ai cittadini, sentirli indicare come responsabili del buco nei conti dello Stato dà fastidio, perché i dati lo smentiscono, come chi riveste incarichi politici fondamentali dovrebbe sapere.
La mia preoccupazione, confermata dalla Corte dei conti e dalle considerazioni contenute nella sua relazione, riguarda, dunque, più la qualità della manovra, che la sua quantità.
In tal senso, mi preoccupa, ma mi fa anche piacere, l'indicazione di andare


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verso una regionalizzazione del Patto con una maggiore responsabilizzazione della regione. Sono, infatti, favorevole alla regionalizzazione del Patto, purché ci si intenda su cosa questo significhi.
L'anno scorso, in seguito all'introduzione della norma da lei ricordata, anche al fine di ricevere suggerimenti per un'eventuale emendamento migliorativo, ho parlato con la dirigente di competenza della regione Veneto, la quale mi ha detto che per la regione Veneto non esistevano margini di concessione agli enti locali del territorio di competenza di ulteriori spazi per i miglioramenti dei loro margini. Infatti, in base a una stratificazione della spesa storica, che riguarda anche le regioni e non solo i comuni, queste probabilmente non si trovano tutte nella medesima base di partenza, e la regione Veneto, pur essendo considerata una delle più dinamiche e produttive del Paese, non ha potuto mettere a disposizione degli enti locali neppure un euro.
La regionalizzazione del Patto dovrebbe intervenire - non so in che modo sul piano tecnico ed è su questo punto che mi permetto di chiedere il vostro contributo - nella fase della distribuzione degli obiettivi di risanamento della finanza pubblica. Non è, infatti, opportuno che lo Stato suddivida per regioni gli obiettivi di finanza pubblica e che siano poi le regioni a contrattare tali obiettivi con gli enti locali, perché non tutti si trovano nella stessa posizione di partenza.
Ritengo più opportuno, come già accade per le regioni a statuto speciale, che anche per le regioni a statuto ordinario si individui mediante un patto con il Governo centrale l' obiettivo del loro contributo, tenendo conto dei dati della spesa storica, del contributo in senso negativo dato alla formazione del debito pubblico e delle loro caratteristiche territoriali, demografiche ed economiche. Se quindi la regionalizzazione significa questo, si tratta di un passo in avanti, ma, se consiste semplicemente nell'imporre i compiti a livello regionale con i medesimi criteri uguali per tutti, lasciando alle regioni il margine, ci troveremmo di nuovo in una situazione di sperequazione.
Con riferimento alla questione della spesa corrente, che accusiamo sempre di essere meno «buona» della spesa in conto capitale, ritengo che la stessa sia fonte di sprechi solo quando la qualità della stessa lo dimostri. Fanno parte, infatti, della spesa corrente anche i servizi fondamentali per il territorio, per le scuole, per gli anziani e per le famiglie; le spese per il personale, che aumentano in base al rinnovo dei contratti stipulati a livello nazionale e che a noi vengono semplicemente scaricate e gli interessi sui mutui da pagare per gli enti che investono molto in spesa capitale. Sulla spesa corrente si riflettono, inoltre, gli aumenti dei costi dei servizi pubblici, come nel caso dell'ENEL per i comuni di grande estensione, con reti di pubblica illuminazione molto ampie, pur se con pochi abitanti. Quindi, se un comune è spendaccione, è inutile, ogni anno, imporgli di migliorare di una certa quota la propria spesa corrente. A tale proposito faccio sempre l'esempio della pecora che ha il pelo lungo e anche quando la tosi, il pelo rimane, così come - se chiediamo di migliorare una spesa corrente ai comuni che hanno già questa spesa a ottimi livelli, perché per costrizione o per indole incline al risparmio l'hanno già fatto - andiamo a colpire servizi e opere pubbliche necessari alle comunità. Queste considerazioni mostrano ancora una volta l'importanza della qualità della spesa e la necessità di avere strumenti di controllo e di verifica della stessa a posteriori.
Alcuni dati già oggi mettono limiti sulle performance degli enti locali a prescindere dal Patto di stabilità interno, come nel caso del rapporto tra dipendenti e abitanti degli enti locali. Ogni triennio, infatti, un decreto ministeriale deve stabilire questo rapporto, che adesso è di un dipendente ogni centocinquantacinque abitanti. Questo limite vale per gli enti in condizione di dissesto, definiti strutturalmente deficitari. In provincia di Treviso, che è la realtà che conosco, la media è di un dipendente ogni


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duecentocinquanta abitanti, per cui mi chiedo cosa si possa chiedere al fine di limitare la spesa corrente ai comuni che hanno già questo rapporto di incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente complessiva.
Questo è un criterio che deve essere riconsiderato in causa, perché, se la media è quella che è stata prima indicata, significa che vi sono enti locali che sono al di sopra della stessa. Da questo punto di vista, con alcuni limiti semplici, che si ritrovano anche nei criteri già consolidati nella normativa che prevede anche trasferimenti perequativi, andremo già da subito a fotografare in modo meno grossolano le pecore a cui si può tagliare il pelo e quelle che non è possibile tosare ulteriormente. Questo è il tema di fondo, anche perché, come è stato riconosciuto da voi e dalla Corte dei conti e come vede chiaramente chi vive sul territorio, alcuni enti non riescono più a gestire il bilancio, pur non avendo contribuito a creare difficoltà per la finanza pubblica, e incontrano difficoltà nel pagare opere pubbliche indispensabili alle comunità.
Non possiamo imputare tutto questo alla Ragioneria generale dello Stato, che si preoccupa di contenere la spesa complessiva di questo Paese, però chi sta al fronte deve rispondere ai bisogni dei cittadini. Il cittadino non accetta la risposta «non posso fare nulla, perché la norma me lo vieta», e, pertanto, la politica ha «estremamente» bisogno di forti competenze da mettere in campo per conseguire obiettivi nel contenimento e nella qualità della spesa, perché altrimenti, come ha dichiarato, brevemente in cinque righe, la Corte dei conti, con riferimento all'ultimo decreto, firmato dal Ministro dell'interno e dal Ministro dell'economia e delle finanze, che ha riconosciuto la premialità agli enti virtuosi, ci ritroviamo ad assegnare risorse anche ad enti che sostanzialmente sono in stato di dissesto.
In sintesi, stiamo sanzionando enti veramente virtuosi, che non possono tagliare ulteriormente i servizi e che non riescono a realizzare opere pubbliche indispensabili, e premiando enti la cui dinamica di spesa corrente dovrebbe essere assolutamente fermata. Per questi ultimi, invece, lo Stato sopperisce con finanziamenti straordinari e copre «buchi» in base a decisioni dello Stato centrale, del Ministro dell'economia e delle finanze, e del Governo; si tratta di decisioni che, però, non possono ripercuotersi su chi si è sempre comportato bene. Il Parlamento per primo deve, quindi, trovare le modalità per dare risposta a queste domande giuste.
Per quanto riguarda le spese in conto capitale, nella relazione fate riferimento a un fabbisogno standardizzato. Non so quanto tempo sia necessario per la sua costruzione, ma è necessario dare immediatamente ossigeno a molti enti. La costruzione dei fabbisogni standardizzati sembra, invece, richiedere tempo, anche per l'individuazione dei criteri sui quali basarla - e che avete citato - quali le fasce demografiche, le caratteristiche economiche e territoriali degli enti stessi. Un aspetto importante, di cui terrò conto nella redazione degli emendamenti al decreto-legge in materia di enti locali - sperando che non vengano dichiarati inammissibili - è la questione degli enti locali con una consistente crescita demografica, che, ad esempio, è pari al 10 per cento nel territorio che conosco. Questi enti, infatti, non possono non costruire scuole o palestre.
Ho già ricordato che per alcuni enti locali c'è subito bisogno di ossigeno, ed è per questo motivo che affronto il tema delle sanzioni. Al termine della scorsa audizione, lei ha giustamente criticato che ogni volta il Parlamento chieda di eliminare le sanzioni, perché questo non è un segnale positivo. Sono perfettamente d'accordo, ma se la regola penalizza i comuni che, pur comportandosi bene, sono colpiti dalle sanzioni, in Parlamento dobbiamo porci il problema. Non so se nel decreto-legge in materia di enti locali ci sia spazio per un cambiamento delle regole del Patto, però sarebbe auspicabile per questi enti locali che definirei « per bene» - dal momento che oggi non è chiaro cosa s'intenda per «virtuosi» - stabilire che le sanzioni non debbano


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essere applicate ad alcuni enti che hanno violato il Patto, ma possiedono determinate caratteristiche.
Ritengo, inoltre, che tale previsione non crei particolari problemi sul fronte della copertura finanziaria, grazie al meccanismo di autocompensazione connesso al sistema della premialità. Infatti, l'applicazione delle sanzioni serve a sostenere finanziariamente il sistema della premialità, sistema che anche la Corte dei conti ha censurato. Se siamo in attesa dell'attuazione del federalismo fiscale - e già il fatto che stiamo attendendo significa che c'è qualche difficoltà a catalogare il presente e indirizzare il futuro - proprio perché dall'attesa dell'attuazione del federalismo fiscale alcuni enti hanno già ricevuto ingenti vantaggi, in questa fase è necessario non innescare un meccanismo di premialità, che distorca due volte queste realtà, perché si subisce ingiustamente la sanzione e si constata come chi riceva il premio non lo meriterebbe. In questo caso staremmo adottando il meccanismo di premialità troppo presto rispetto all'attuazione del federalismo fiscale. Anche il meccanismo di premialità può, quindi, aspettare l'attuazione del federalismo fiscale.
Sospendendo questo meccanismo, si potrebbe avere lo spazio per disapplicare le sanzioni agli enti con determinate caratteristiche, quali ad esempio un consistente aumento demografico, perché l'ente locale che, ad esempio, in cinque anni veda crescere del dieci per cento la sua popolazione ha necessità diverse da quelle di un ente la cui popolazione è diminuita nello stesso periodo. Ed ancora, con riferimento, al criterio del rapporto della spesa del personale sulla spesa corrente o meglio del rapporto tra dipendenti e abitanti, si potrebbe prendere l'indice dell'ente in stato di dissesto o chiedere una performance migliore, esigendo che questo rapporto passi da uno a centocinquantacinque ad uno a centottanta o duecento.
Infine, con riferimento alle caratteristiche territoriali, che anche lei ha richiamato, mi chiedo se sia possibile introdurre un rapporto per chilometri o abitanti, oppure valutare la qualità della spesa in conto capitale realizzata (edilizia scolastica, sicurezza stradale). Vorrei sapere da lei se in questo modo sia possibile garantire almeno in questa fase un po' di ossigeno agli enti locali.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Grisolia per la replica.

EDOARDO GRISOLIA, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato. Nel rispondere alla prima domanda sollevata dall'onorevole Bitonci sui fabbisogni standardizzati, do una risposta anche all'onorevole Rubinato. Indubbiamente, il riferimento ai fabbisogni standardizzati rappresenta una soluzione di medio, e non di breve, periodo perché stiamo acquisendo ora gli elementi per la loro costruzione. Non a caso, nel federalismo fiscale si parla della necessità di avviare una perequazione infrastrutturale, e a questo si ricollega il fabbisogno standardizzato.
Nel momento in cui dovremo costruire una perequazione infrastrutturale che tenga conto di una dotazione più o meno uniforme fra tutti gli enti locali di infrastrutture in termini di acqua, elettricità, reti, scuole, disponendo di quegli elementi sarà molto più facile costruire quel fabbisogno standardizzato, che sarà elastico anche rispetto alle osservazioni dell'onorevole Rubinato, perché dovrebbe essere collegato con un valore pro capite, seguendo anche la dinamica della popolazione. Il fabbisogno si amplierebbe, quindi, automaticamente in seguito a una crescita della popolazione.
L'assunzione del quinquennio come base di riferimento in sostituzione del solo anno 2007 sarebbe una soluzione alternativa al ripristino del comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. Si tratta, infatti, di un sistema che, abolendo o attenuando in modo rilevante i picchi, consentirebbe di assumere quel quinquennio a base di riferimento, evitando le distorsioni che oggi si hanno in riferimento


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a un solo anno. Quest'ultima è, quindi, una soluzione alternativa alla precedente e non si aggiunge all'eventuale ripristino del contenuto normativo del citato comma 8.
Per quanto riguarda la vicenda attuale di tale ultima disposizione, l'intervento dell'onorevole Bitonci mi offre un'occasione per chiarire un aspetto che potrebbe essere interessante. In particolare, si affermava che alcuni enti che nel 2009 avevano utilizzato le disposizioni di cui al richiamato comma 8 nella sua originaria versione, che prevedeva che gli enti che avevano approvato il bilancio di previsione entro il 10 marzo potevano escludere le entrate straordinarie sia dalla base 2007 che dall'anno assunto a riferimento per l'obiettivo, erano in apprensione per l'applicazione di tale disposizione anche negli anni successivi al 2009.
A mio avviso, quella norma ha sancito un principio, in base al quale se un'entrata è straordinaria per il 2009, lo è anche per il 2010 e per il 2011. Sarebbe, infatti, insolito che un'entrata considerata straordinaria nel 2009, fosse, invece, nel 2010 e nel 2011 improvvisamente considerata ordinaria e quindi confluisse nel saldo. Se dovesse essere necessario, non ci sarebbe per noi nessun problema ad introdurre una norma di carattere interpretativo.
L'onorevole Rubinato sottolineava l'importanza non dell'entità, ma della qualità della manovra. L'entità preoccupa, ma la qualità rappresenta un aspetto determinante. Su questo aspetto vorrei fare chiarezza. Il tavolo tecnico è continuamente aperto e non è stato mai chiuso. Se in quel tavolo vengono portate soluzioni alternative, non c'è nessun problema a valutarle e a introdurle come meccanismi di rettifica delle norme vigenti.
Alcuni sostengono che il Patto di stabilità interno abbia tutto tranne la stabilità, ma si tratta di un Patto molto complesso perché interessa numerosi enti estremamente diversificati tra loro e, quindi, soffre sin dall'origine dell'enorme difficoltà di trovare una regola che possa andare bene per tutti. In quel tavolo devono, quindi, essere esaminati tutti gli eventuali contributi. Se ci sono idee diverse in ordine alle modifiche da apportare, non c'è alcuna preclusione a esaminarle in quel tavolo e a tradurle in norma, laddove vengano condivise. Facevo, infatti, riferimento al patto regionale, inteso non come obiettivo assegnato alla regione che poi lo distribuisce, ma come possibilità per le regioni di modificare, con correttivi, le regole stabilite a livello centrale. A questo riguardo, quanto lei riportava per le Regioni a statuto speciale riguarda solo la Valle d'Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige, che per norme statutarie hanno competenze in materia di finanza locale, cosa che, invece, non è ancora prevista per la Sicilia e la Sardegna.
Per gli enti locali appartenenti alle suddette regioni a statuto speciale, quindi, le regole del Patto di stabilità sono impartite dalle stesse regioni, mentre per la Sicilia e la Sardegna le regole sono quelle di carattere nazionale. Non è facile estendere questa procedura ad altre regioni, perché occorrerebbe che le regioni a statuto ordinario avessero una competenza in materia di finanza locale, che oggi non è loro riconosciuta. Per questi motivi mi riesce difficile immaginare che le regioni possano intervenire nei termini da lei indicati.
Tuttavia, anche nei termini da noi auspicati, ovvero intervenendo attraverso la rimodulazione degli obiettivi degli enti locali, fermo restando l'obiettivo che viene individuato attraverso la sommatoria di tutti gli obiettivi dati agli enti locali di ogni regione, e aggiungendo anche un eventuale intervento delle regioni, che avessero spazi per poter cedere una parte del loro Patto, si potrebbe rendere più flessibile e più efficace il Patto, perché la regione può tener conto delle caratteristiche da lei evidenziate meglio di quanto non possa fare lo Stato dal centro. Mi riesce infatti difficile immaginare che lo Stato possa delineare un Patto condiviso per tutti questi aspetti. Credo, quindi, che con una


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tappa intermedia e con un percorso più graduale si possa riuscire a migliorare il Patto.
Riteniamo che l'intervento della regione nel Patto possa di gran lunga migliorare. Lei sottolineava come il Veneto non abbia spazi, ma il problema dello spazio non può essere considerato a livello centrale, perché allora dovremmo considerare il rapporto con le regioni ordinarie come se fossero le tre regioni a statuto speciale prima ricordate, ma ciò non è possibile in quanto non sussistono le stesse condizioni e, in particolare, la competenza in materia di finanza locale, che ci consente di siglare accordi. In particolare, noi concordiamo un obiettivo con la regione, che lo ripartisce tra i suoi enti locali al fine, almeno, di raggiungere l'obiettivo che quegli enti dovrebbero conseguire applicando le regole nazionali. È, però, evidente che l'estensione di tali regole rappresenta un problema di carattere legislativo.
Con riferimento alla premialità, lei giustamente evidenziava come questa verrebbe meno se le sanzioni venissero eliminate. Considero allora più opportuno qualificare le sanzioni e non ho alcuna riserva nell'immaginare che certe sanzioni possano essere escluse nei confronti di enti con certe caratteristiche. Questa sarebbe un'alternativa molto più efficace di una premialità che, ricordo, è stata applicata per il primo anno e che, quindi, voleva essere un segnale. Nel suo primo anno di attuazione, la premialità ha, indubbiamente, posto in evidenza moltissime criticità. Il tavolo è aperto proprio perché un'esperienza può servire per migliorare.
La premialità è stata assegnata a città quali Catania e Palermo, ma anche a città più virtuose, perché nella classifica e nella dimensione dei benefici le città virtuose si collocano ai primi posti. Indubbiamente, ci sono anche città che presentano elementi di deficitarietà strutturale. Sarebbe facile introdurre un correttivo, per cui vengano premiati tutti gli enti che rispettino parametri di rigidità strutturale e di autonomia superiori a quello medio, ma non presentino condizioni di strutturale deficitarietà. In tal modo, potrebbe realizzarsi una scrematura iniziale.
Al di là di questo, concordiamo con lei sull'esigenza di distribuire diversamente la premialità, quindi premiando gli enti che presentino caratteristiche di virtuosità. Oggi, però, visto che non ci sono ulteriori spazi finanziari, la premialità nasce sulle sanzioni, giacché si è stabilito che quello che gli enti inadempienti dovrebbero porre in essere nell'esercizio successivo come sanzione venga restituito al settore degli enti locali.
Se le sanzioni fossero abolite, oggi non ci sarebbero spazi per la premialità, perché quegli spazi dovrebbero essere compensati dal punto di vista finanziario. Sarebbe, quindi, difficile riconoscere una esclusione dalle sanzioni, perché rientreremmo nella logica secondo cui le sanzioni sono un deterrente per l'applicazione del Patto, per cui l'esclusione delle stesse incentiverebbe una disapplicazione delle norme spesso in modo preventivo, anziché a consuntivo, e questo sarebbe un fatto ancora più pericoloso.

LINO DUILIO. Desidero fare un intervento brevissimo per porre una domanda ampia, tra l'altro riferendo al dottor Grisolia che secondo me è stato un grande complimento evocarlo nell'audizione con l'ANCI e con l'UPI con un riferimento a Bismarck, emblema di uno Stato che fu di altissimo livello, ma che ha poco a che vedere con la realtà degli enti locali di oggi. Personalmente, ho interpretato quel riferimento in senso positivo, nel senso di una grande stima per il ruolo da voi svolto e per lei.
Abbiamo, infatti, l'esigenza di uscire da un intricato ginepraio, perché stiamo continuando a parlare del Patto di stabilità interno con paradossi, incomprensioni e capovolgimenti di ruoli, per cui, anche grazie a un'assurda situazione di incompatibilità, i parlamentari si mettono a fare i sindacalisti dei sindaci dimenticando di aver votato le norme di cui si lamentano. Quindi, siamo in un ginepraio dal quale non riusciamo a uscire.


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Lo Stato deve spendere possibilmente di meno e incassare di più, perché dobbiamo rendere conto del nostro debito. Vorrei che si potesse beneficiare delle esperienze maturate dal Ministero, con il lavoro egregio che svolgete da anni, anche in vista della stesura di questa Carta delle autonomie che spero possa rappresentare più di un desiderio astratto e, in termini di pars construens, se si potessero avere suggerimenti che non si limitino semplicemente a dire che le norme sono queste ed è, quindi, inutile lamentarsi.
Ci troviamo infatti di fronte a un paradosso, per cui spendiamo troppo, ma i comuni dichiarano di non riuscire ad arrivare alla fine del mese, perché il barile è stato raschiato fino in fondo. Provocatoriamente avevo chiesto se era possibile fare venti Patti di stabilità a livello regionale, stabilendo alcuni obiettivi a livello regionale e individuando poi all'interno della regione le esigenze di flessibilità. Resta il fatto che siamo ancora nel campo delle «cento pertiche». Non possiamo limitarci a fare un ragionamento strettamente ragionieristico, perché a volte non si possono dare spiegazioni che risultano irrazionali rispetto a problemi reali e urgenti, per cui bisogna prendere delle decisioni.
Vorrei sapere quindi se dopo tanti anni, con l'alternanza di maggioranze diverse, con il problema che rimane nonostante decisioni che avrebbero dovuto migliorare la situazione, siamo in grado di avere dal Ministero una relazione, che auspicherei periodica, che ci aiuti progressivamente a migliorare le disposizioni normative relative al Patto. Vorrei, infatti, capire se alla vigilia dell'appuntamento con la Carta delle autonomie siamo in grado di fare una ricognizione, in termini sintetici e di pars construens, degli elementi utili al Parlamento per riappropriarsi del ruolo di governo della finanza pubblica, beneficiando anche di quanto sta accadendo senza limitarci ad aspetti ragionieristici, per qualcuno bismarckiani, e individuando nelle opinioni del Ministero, che poi valuteremo se fare nostre, gli asset, le guideline per stendere questa «Magna Charta» della finanza locale nel nostro Paese.

ROLANDO NANNICINI. Considero molto interessante il lavoro della Commissione bilancio, ma sento un'esigenza perché spesso nel nostro lavoro ci mancano dati sia macroscopici sia di riferimento più puntuale in ordine all'andamento della spesa e delle entrate e delle uscite degli enti locali.
Premetto sempre che sarebbe interessante individuare la spesa complessiva degli enti locali italiani per avere un parametro. Se ne discute spesso, indicando cifre di 70, 80, 90 miliardi, ma sarebbe opportuno indicare il rapporto tra questa spesa e la complessiva spesa pubblica, valutando anche il prelievo fiscale a livello territoriale rispetto al prelievo sul piano nazionale, perché il dibattito del federalismo su questi aspetti ci porta a fare riflessioni molto più attente, perché porre il tema del controllo della spesa degli enti locali ma lasciarsi sfuggire il controllo della protezione civile sarebbe un danno per il Patto di stabilità a livello nazionale.
Avremmo quindi bisogno di dati da confrontare, perché su questi temi c'è un dibattito molto filosofico e ben poco numerico. Mi permetterei di porre due domande sintetiche. La prima relativa al Patto di stabilità. Abbiamo avuto già dalla legge finanziaria approvata dal centrosinistra l'esperienza della sottrazione del TFR alle imprese in favore dell'INPS. Per EUROSTAT quei soldi che sono stati trasferiti all'INPS rientrano nel più ampio aggregato di bilancio relativo alle pubbliche amministrazioni e hanno dato una possibilità di Patto di stabilità meno rigido in quel periodo. Nell'ultima legge finanziaria, l'utilizzo del TFR è stato sproporzionato rispetto al precedente e non è stato destinato solo alle spese di investimento, ma anche al finanziamento di spese correnti, ma dal punto di vista del Patto di stabilità niente cambia, perché da Stato a Stato è tutto a posto.


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Nel caso, però, di un bene immobile di proprietà del Ministero della difesa, c'è un accordo con l'ente locale, che esercita il diritto di prelazione, su un prezzo definitivo. Anche in questo caso, l'operazione non dovrebbe essere inclusa nel patto di stabilità, invece vi rientra perché c'è il controllo della cassa, c'è la percentualizzazione. Oltre che una riflessione sul parametro, vorrei invitarvi a togliere o inserire, con una filosofia coerente, all'interno del Patto di stabilità gli eventi legati ai rapporti finanziari fra Stato ed enti locali, che sono sotto il controllo di EUROSTAT, perché tutti vogliamo un controllo reale della spesa pubblica. Infatti, Spagna, Grecia e Italia, che hanno un elevato debito e un deficit per fortuna in questa fase sotto controllo, devono avere un Patto di stabilità coerente rispetto agli impegni europei. La gestione del Patto di stabilità però crea problemi alla flessibilità di lavoro e di intervento degli enti locali.
La seconda domanda riguarda i debiti pregressi degli enti locali, elemento che interessa fortemente anche la domanda interna e il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione. Ho presentato tre, quattro cinque emendamenti «stupidi» - li definisco così perché non sono stati approvati e ciò significa che non ho trovato la forma politica né tecnica per farli passare - ma sento fortemente l'esigenza, anche senza emendamenti, di conoscere quali sono i debiti pregressi, perché chi non rispetta il bilancio, al di là della visione del sindacato, va alla Corte dei conti, ma, se per rispettare il bilancio preventivo non si paga un'opera, lo Stato nel suo complesso fa una brutta figura, perché non accelera l'economia. Conoscere quel dato complessivo, quindi, può servirci per graduare il Patto di stabilità, che non è un fatto solo annuale, ma con la nuova legge può essere un elemento di graduazione nel rapporto tra lo Stato e gli enti locali.
Vorrei sapere quando riusciremo a conoscere questi elementi per poter affrontare i problemi in termini normativi, ma anche numerici. Tutto ciò è ancora più importante perché, andando verso il bilancio di cassa ci troviamo con bilanci non veri e con lo sporco nascosto sotto la sedia.

EDOARDO GRISOLIA, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato. La possibilità di disporre di informazioni che consentano di delineare un Patto di stabilità abbastanza equo c'è già, perché tutta l'esperienza fatta in questi anni ha portato a qualcosa. La necessità di ritoccare annualmente qualche aspetto è indice di un ulteriore affinamento e miglioramento del Patto, ma la situazione permette di disegnare qualcosa di efficace.
Ribadisco però ancora una volta che non c'è la possibilità di delineare a livello centrale un Patto che possa valere per tutti gli enti locali. Le situazioni sono troppo variegate tra di loro per poter essere accomunate in un unico Patto. Insisto quindi nel dire che il ruolo della regione è determinante, perché questa può correggere, anche se non in modo totale, quelle distorsioni che dal centro si possono creare. Il ruolo della regione è dunque determinante in questo campo.
Per quanto riguarda le altre questioni, quali, ad esempio, i rapporti finanziari tra Stato e enti locali, ricordo che questi si possono trovare nel Patto, perché oggi questo è regolato al lordo anche dei trasferimenti, delle partite che riguardano movimenti all'interno della Pubblica amministrazione, ma ai fini dell'indebitamento netto quelle stesse partite sono escluse. Possiamo anche cambiare la regola e calcolare i saldi al netto dei trasferimenti, come interessa ai fini dei saldi riferiti alla Pubblica amministrazione, ma questo lo facciamo ai fini dei nostri dati consuntivi.
Con riferimento all'esempio degli immobili, ricordo che, secondo le regole europee, questi non incidono sull'indebitamento netto strutturale, ma solo su quello nominale; quindi ai fini del rispetto dei parametri europei, dobbiamo escludere queste entrate straordinarie. Tuttavia,


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nel disciplinare le regole degli enti locali, si è ritenuto di offrire loro una possibilità in più e cioè di considerare queste entrate straordinarie come valide ai fini del saldo. Non c'è dubbio che, ai fini di ricondurre i risultati finali in termini di Pubblica amministrazione, quelle entrate straordinarie comunque vengono escluse, mentre tutto ciò che viene speso impatta direttamente sul Patto.
Per quanto riguarda l'ultima questione relativa ai debiti pregressi e, in particolare, ai residui passivi, ritengo che si sia messo il dito nella piaga e che oggi più che mai ci sia bisogno di un'operazione di verità sia sui residui attivi, che sui residui passivi. I residui passivi, specialmente quelli degli enti locali, sono in gran parte gonfiati anche dai residui di stanziamento, che non sono sorretti da obbligazioni giuridiche. Sappiamo, infatti, che a fronte di un mutuo l'ente locale è legittimato ad assumere impegni, ma non sempre c'è un'obbligazione giuridica. In conclusione, quindi, ritengo che anche il riaccertamento dei residui attivi e passivi sia utile per le regole del Patto di stabilità.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Edoardo Grisolia e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,45.

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