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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
3.
Mercoledì 9 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI SULL'ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA: PROGREDIRE NELLA RISPOSTA GLOBALE DELL'UE ALLA CRISI (COM(2011)11 DEFINITIVO)

Audizione dell'amministratore delegato di ENEL Spa, Fulvio Conti:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 14 19 22
Ciccanti Amedeo (UdC) ... 18
Conti Fulvio, Amministratore delegato di ENEL Spa ... 3 19
Duilio Lino (PD) ... 15
Franzoso Pietro (PdL) ... 16
Marsilio Marco (PdL) ... 17
Misiani Antonio (PD) ... 17
Occhiuto Roberto (UdC) ... 18
Polledri Massimo (LNP) ... 15
Tabacci Bruno (Misto-ApI) ... 18
Vannucci Massimo (PD) ... 16

ALLEGATO: Documentazione consegnata dall'amministratore delegato di ENEL Spa, Fulvio Conti ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 9 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dell'amministratore delegato di ENEL Spa, Fulvio Conti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo), l'audizione dell'amministratore delegato di ENEL Spa, Fulvio Conti.
Abbiamo pensato che nell'ambito di un'indagine conoscitiva sull'analisi annuale della crescita non potesse mancare il contributo di coloro che rappresentano l'energia non solo in Italia, ma anche in Europa, anche con riferimento alla questione della scelta del nucleare per l'industria nazionale.
Sono, inoltre, presenti, sempre in rappresentanza di ENEL Spa, il dottor Fausto Sblandi, assistente dell'amministratore delegato, il dottor Gianluca Comin, direttore generale relazioni esterne, il dottor Giuseppe Currà, responsabile ufficio stampa, il dottor Francesco Giorgianni, responsabile affari istituzionali nazionali e comunitari, e la dottoressa Raffaella Poggi, responsabile affari istituzionali nazionali.
Do la parola al dottor Conti.

FULVIO CONTI, Amministratore delegato di ENEL Spa. La ringrazio, presidente. Ringrazio ancora una volta per aver dato a noi di ENEL la possibilità di partecipare a queste audizioni, nelle quali credo che le questioni connesse alla materia energetica possano assumere un ruolo importante e rilevante per le vostre considerazioni complessive, soprattutto sotto il profilo dell'evoluzione tecnologica, che richiederà un notevole sforzo, e del contesto normativo, che andrà adattato per far fronte alle diverse sfide che il mondo circostante ci porrà.
Inizierei con il raccontare cosa è il gruppo ENEL per poi passare più specificatamente all'evoluzione del settore energetico e alle sfide, quantitative, qualitative, e ambientali che si prospettano in un Paese dinamico come il nostro. Non deve poi dimenticarsi che l'energia è evidentemente un tema globale da affrontare in un contesto geopolitico continuamente mutevole.
Oggi l'ENEL è uno dei più grossi operatori energetici al mondo, dal punto di vista delle dimensioni di scala, del posizionamento geografico e della diversificazione tecnologica. È presente in quaranta Paesi e serve, con un calcolo molto approssimativo, circa 61 milioni di clienti. Tale cifra può corrispondere ad un numero di individui compreso tra 500 e 700 milioni. Ogni cliente è una famiglia o


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un'industria e, quindi, i numeri si moltiplicano per un dato coefficiente.
Siamo una realtà assolutamente notevole anche in termini di numero di dipendenti e di dimensione del piano di investimenti che ogni anno riusciamo a declinare, con una capacità produttiva tra le più importanti al mondo. Mi sembra assolutamente rilevante poi osservare che siamo anche tra i più profittevoli: infatti, grazie al lavoro di efficientamento, alle selezioni del mix e al posizionamento geografico, i nostri risultati continuano a essere particolarmente ragguardevoli.
Ma, nel contesto di questa audizione, l'aspetto più significativo sul quale soffermarsi è la capacità tecnologica attraverso la quale far evolvere il nostro sistema verso il futuro. L'energia del futuro per noi è già presente. Ci stiamo già lavorando con un notevole impegno in ricerca e innovazione.
Che cosa sia ENEL nel contesto del sistema Paese italiano è rappresentato dalla slide riportata a pagina 5 del documento consegnato alla Commissione. Credo di poter affermare, senza temere smentite, che alcuni numeri sono impressionanti per le loro dimensioni.
In particolare, abbiamo avuto nel corso degli ultimi dieci anni una media di 2,2 milioni di azionisti. Siamo l'azienda pubblica con il più alto numero di azionisti, con una diffusione tra i piccoli e i grandi risparmiatori. I 2,2 milioni di italiani che possiedono, hanno posseduto e continuano a possedere azioni ENEL hanno beneficiato della grande maggioranza dei 34 miliardi di euro di dividendi.
In questo periodo, sempre contando e cumulando il periodo di dieci anni, abbiamo erogato stipendi per 25,3 miliardi di euro a una media di 55.000 dipendenti, abbiamo versato imposte - come è giusto che sia, da buoni cittadini - per 18,2 miliardi di euro e pagato contributi previdenziali per 10,4 miliardi di euro. Il Ministero dell'economia e delle finanze, con la cessione del pacchetto azionario, pari a circa il 69 per cento di ENEL, fino a questo momento ha incassato 33 miliardi di euro.
Complessivamente, in Italia, noi generiamo una cifra d'affari, con il sistema delle aziende fornitrici e con l'indotto - mediamente impegniamo 17.000 fornitori all'anno - pari a 56 miliardi di euro. Il contributo di ENEL all'interno del sistema Paese è quindi assai rilevante.
Mi sembrava doveroso ricordare questi numeri per poi estendere il nostro ragionamento all'evoluzione energetica internazionale e alle ricadute che il sistema globale di movimenti tettonici nel sistema geopolitico, che riguardano tutto il mondo, ha sul nostro sistema Paese, ossia sull'Italia.
Veniamo alla descrizione dell'Italia dal punto di vista energetico. La buona notizia è che si tratta di un Paese ad alta efficienza energetica. Siamo già tra i più sviluppati dal punto di vista della capacità di risparmiare energia e di ottenere di più spendendo di meno. Questa abilità è il frutto di diversi fattori: le tecnologie, gli investimenti compiuti nel corso degli anni, lo stimolo che i diversi «oil shock» hanno generato nel corso dei decenni, spingendo non solo il sistema industriale e manifatturiero, ma, anche le famiglie e le aziende operatrici del settore a diventare più efficienti.
Come misuriamo tale efficienza? Lo vedete nella curva a destra presente nella slide del documento da noi elaborato a pagina 6, che misura i consumi in tonnellate equivalenti di petrolio per singola unità di prodotto. Per un dollaro - le stime vengono effettuate a livello mondiale in dollari - di prodotto nazionale lordo il contributo dell'efficienza è ridotto da 12 a 10 centesimi. Può sembrarvi poco, ma ridurre del 20 per cento il costo energetico è, come vedete a sinistra, un'impresa che ben poche nazioni sono riuscite a compiere.
Infatti, misurando in termini di riduzioni rispetto alla media europea e anche allargando il confronto ai Paesi membri dell'OCSE e ad altri Paesi come gli Stati Uniti, oggi noi possiamo giustamente rivendicare la nostra capacità, come sistema Paese, di essere, in Europa, i più efficienti dal punto di vista dei consumi energetici.


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È importante tenere a mente questo punto, perché avrà una ricaduta su ciò che dovremo fare da ora fino al raggiungimento di obiettivi che ci vengono imposti da accordi internazionali e che io considero molto impegnativi, probabilmente irraggiungibili ed estremamente costosi, dal momento che partiamo da una situazione migliore.
Come già ricordato, il contributo all'interno dell'efficienza energetica è visibile anche attraverso la misura dell'efficienza che si è realizzata nel nostro parco di generazione elettrica. Se passiamo dal macromondo dell'energia a quello dell'energia elettrica, vediamo che in Italia negli ultimi anni si è compiuto un notevole passo in avanti in termini di recupero di efficienza.
Siamo passati, infatti, ad avere il 44 per cento di efficienza: questo vuol dire che ogni chilocaloria che impieghiamo si traduce nel 44 per cento di chilowattora. Altri Paesi sono ben al di sotto di questa percentuale. Ciò è stato possibile grazie, soprattutto, agli investimenti compiuti in questi ultimi anni per il miglioramento dell'efficienza energetica degli impianti tradizionali, ad un aumento della componente gas, che presenta vantaggi e svantaggi - uno dei vantaggi è sicuramente il fatto che aumenta l'efficienza e uno degli svantaggi che aumenta il costo della dipendenza energetica - e a uno sviluppo delle rinnovabili. Si aggiunge anche una componente carbone, di cui parlerò in seguito, se ne avrò il tempo.
Come vedete a destra nella slide del documento da noi elaborato a pagina 7, il contraltare di questa evoluzione è rappresentato dalla riduzione significativa effettuata all'interno di un processo di efficientamento generale di energia e quello, più specifico, di riduzione dell'energia elettrica. Come sistema Paese abbiamo ridotto significativamente le emissioni di CO2. Per chilowattora prodotto i grammi di emissioni di CO2 si riducono del 23 per cento nel periodo rispetto all'anno 2000.
Si tratta di un dato assolutamente significativo, se comparato con gli sforzi compiuti dagli altri Paesi. Chiaramente, in valore assoluto il dato di confronto tra Italia e Francia, che vedete raffigurato, è il frutto della presenza significativa e massiccia di centrali nucleari francesi rispetto all'Italia, in cui, invece, il nucleare purtroppo ancora oggi non c'è.
Passiamo ora più specificatamente al contesto energetico italiano e al suo mix. Innanzitutto l'Italia è, insieme al Giappone, il Paese sviluppato nel mondo che ha la più alta dipendenza dalle importazioni di materie prime per tutto il suo sistema energetico. Ce la giochiamo con il Giappone e siamo intorno all'85-86 per cento. Entrambi i Paesi sono in cima alle classifiche mondiali per la dipendenza dall'estero nell'importazione di tutte le materie prime che servono al contesto energetico.
Vedrete nel corso di questa presentazione quanto questo punto possa essere importante per noi. Noi importiamo tutto, perché abbiamo - con poco gas e pochissimo petrolio - una scarsa produzione di idrocarburi, e una modesta, ma importante nel contesto energetico elettrico, presenza di idroelettrico per la generazione di energia elettrica. Tutto il resto viene importato.
A destra nella slide di pagina 9 potete notare da chi importiamo. Per quanto riguarda il gas, importiamo il 90 per cento del totale dei consumi, di cui il 33 per cento viene dalla Russia e il 33 per cento dall'Algeria. Dalla Libia, argomento di rilevante attualità in questi giorni, importiamo soltanto il 13 per cento del totale complessivo.
Personalmente, continuo a sostenere, e, per fortuna, non sono il solo, che, anche se la Libia rimanesse ferma nel prossimo futuro e anche per un lungo periodo, noi saremmo in grado di riassorbire il suo 13 per cento. Questo risultato potrebbe essere raggiunto con il contributo di diversi fattori: la riduzione dei consumi legati alla crisi industriale, economica e finanziaria degli anni scorsi - anche se ora parzialmente in via di assorbimento -; l'esistenza di alcune alternative, come la possibilità di utilizzare di più i tubi esistenti, un po' perché è stato messo in funzione un nuovo rigassificatore nel Nord Italia a Porto Viro,


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che riceve dal Qatar gas liquido che non veniva fornito prima; e i progetti, di cui possiamo parlare, per aumentare la nostra capacità di importazione.
In particolare, ricordo il nostro progetto di Porto Empedocle. Una volta superate le difficoltà amministrative, a mio giudizio talora infondate, che al momento ancora bloccano la realizzazione di questo progetto, esso sarà attivato.
Il grande flusso di importazione di gas proviene, quindi, dalla Russia, dall'Algeria e in parte dal Nord Europa, attraverso una tubazione che parte dall'Olanda e attraversa la Svizzera. Si chiama Transitgas e ultimamente è stata - ahimè - vittima di una slavina che ha bloccato il suo traffico.
Noi abbiamo, quindi, sostanzialmente quattro cordoni ombelicali, ossia tubazioni, che, come sempre può succedere, per effetto di cataclismi naturali o, ancora peggio, di sommovimenti geopolitici, rendono particolarmente fragile e molto esposta la nostra capacità di essere autonomi dal punto di vista energetico.
Lo stesso ragionamento si può applicare al petrolio. La dipendenza dell'Italia dalla Libia è leggermente più elevata rispetto a quella del gas: il 27 per cento del nostro consumo petrolifero proviene, infatti, dalla Libia. Ancora una volta ripeto, però, che, tenuto conto di questi livelli di consumi, se la Libia dovesse continuare ad avere problemi per l'esportazione, fino al periodo estivo ce la dovremmo fare. Abbiamo la possibilità di utilizzare altre capacità esistenti, per esempio quella dell'Arabia Saudita, che ha aumentato la produzione e le esportazioni di milioni di barili al giorno e che supplisce al milione di barili che viene meno dalla Libia.
È evidente che il consumo di petrolio rispetto a quello del gas ha una dimensione diversa. Il petrolio viaggia per nave e per tubi molto più ramificati e allargati di quelli del gas e tende ad avere una capacità di movimento molto più ampia.
Se, però, i cinesi continuano a importare a ritmi significativi e gli indiani ad aumentare la loro necessità di petrolio, la nostra temporanea capacità di assorbimento nei confronti della carenza della Libia potrebbe diventare un punto di attenzione significativo per noi. Il prossimo inverno, riprendendo i consumi e mantenendo i cinesi e gli indiani il consumo di oggi, la mancanza delle importazioni dalla Libia potrebbe essere avvertita. Nel breve periodo è difficile aumentare significativamente il volume, mentre esistono grandi riserve ancora disponibili nel mondo, che però verranno attivate a costi crescenti.
In sintesi, se per i prossimi mesi non abbiamo alcuna preoccupazione di approvvigionamento di materie prime per effetto della crisi libica, certamente incorreremo in maggiori difficoltà in futuro con un effetto, che già vediamo, sui prezzi, derivante dalla rarefazione dell'offerta.
Passiamo, invece, a esaminare il contesto a noi più vicino, quello del sistema dell'energia elettrica, che è importante nel sistema energetico nazionale, anche se non è l'unica componente. Per noi è importante perché è il nostro mestiere.
Appare evidente - e credo che sia già conosciuto da tutti - che l'Italia ha un mix di generazione fortemente basato sul gas e ancora legato al petrolio. Se sommate il 51 per cento di gas e il 10 per cento di petrolio arriviamo al 61 per cento del nostro fabbisogno elettrico coperto dalla materia prima idrocarburi.
Si tratta di un ulteriore punto di riflessione, perché, per effetto della scelta, forse anche involontaria, di andare sostanzialmente del tutto a gas, abbiamo ottenuto alcuni risultati. In particolare, avendo tutti i concorrenti di ENEL realizzato lo stesso impianto, a ciclo combinato a gas, con le stesse macchine e usando gas proveniente dallo stesso fornitore, il costo è il medesimo per tutti.
Nonostante un mercato abbia tanti concorrenti, se tutti hanno gli stessi costi, difficilmente si genera concorrenza. Non si ha un effetto sul prezzo. È un assioma particolarmente rilevante nel settore dell'energia elettrica: non è il numero dei concorrenti a rendere il mercato competitivo, ma la qualità del combustibile che si trasforma da chilocaloria a chilowattora.


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Se guardiamo la Francia, vediamo che essa ha un grande monopolista, che si chiama EDF, e pochissimi altri piccoli operatori, tra cui anche noi. La Francia funziona al 75 per cento con il nucleare e il costo dell'energia è del 40-50 per cento inferiore al nostro. Un solo operatore usa una tecnologia meno costosa e, quindi, il costo dell'energia è più basso.
Tanti operatori in Italia fanno concorrenza all'ENEL. L'ENEL, ve lo posso garantire, in questo momento rappresenta il 25 per cento del mercato energetico nazionale elettrico, nonostante nella percezione di molti essa sia ancora l'azienda monopolista del tempo che fu. Oggi noi deteniamo il 25 per cento, mentre il 75 per cento è composto da grandi concorrenti, grandi aziende internazionali, e da piccoli operatori nazionali. Tutti hanno iniziato, però, con la stessa macchina, con lo stesso impianto e con lo stesso gas a svolgere la medesima attività allo stesso costo.
Immaginate se tutti avessimo solo una macchina, la Fiat Cinquecento: arriveremmo più o meno tutti nello stesso tempo, perché, a parte alcune abilità di conduzione, il motore e il combustibile sono gli stessi per tutti.
La differenziazione, la diversificazione del mix di generazione, è fondamentale per ridurre ulteriormente la nostra dipendenza geopolitica da alcuni Paesi importatori, per aumentare la nostra efficienza energetica e per ridurre i costi, rispettando anche i vincoli ambientali. Ne deriva la necessità di dover lavorare a una maggiore e migliore penetrazione di altre tecnologie, riducendo la dipendenza dagli idrocarburi. Questo è uno dei temi fondamentali.
Consideriamo gli altri Paesi, a partire dalla Germania, che viene da molti indicata come esempio: il 46 per cento della sua generazione è basata sul carbone, continua la presenza del nucleare e l'utilizzo del gas è modesto per la cosiddetta modulazione delle esigenze produttive. Inoltre, il Paese sviluppa rinnovabili come noi. Questo è un assioma per me importante.
Se passiamo all'Europa, vediamo che essa ci pone alcune sfide, in particolare quella del «20-20-20», che credo voi conosciate e che non ho bisogno di esplicitare. Si tratta di obiettivi irrealizzabili, per il nostro Paese, non perché manchino le capacità tecnologiche, ma perché, se misuriamo la riduzione del 20 per cento rispetto al 1990 e vediamo quanto noi abbiamo potuto, come sistema Paese, negoziare in quanto a impegni di riduzione, concludiamo che altri Paesi sono stati più efficaci di noi nel trattare.
Se penso alla Germania, osservo che essa ha chiuso gli impianti che avevano emissioni particolarmente significative dell'ex DDR, della Repubblica democratica dell'Est, e che, quando si sono chiusi quegli impianti, immediatamente essa è diventata il Paese a più basse emissioni.
Quando i nostri Governi di allora andarono a Bruxelles a negoziare le emissioni per il nostro Paese, ci fu un eccesso di zelo - se posso chiamarlo così - che impose al nostro sistema riduzioni tecnicamente né necessarie, né realizzabili. Oggi paghiamo questo nostro eccesso di zelo.
L'Europa continua a emanare norme che devono essere particolarmente rilevanti. Una delle più importanti dovrebbe vedere la formazione di un mercato unico europeo. La terza direttiva prevede il raggiungimento, entro il 2015, di un mercato unico dell'energia. Credo che questo obiettivo sia altrettanto difficile da realizzare, stanti le diverse posizioni che i singoli Paesi in questo momento stanno assumendo e la persistente presenza di alcune asimmetrie - sia regolatorie che di mercato - che si intravedono. Mi riferisco, in particolare, alla Francia.
L'Europa spinge poi perché ci sia uno sviluppo tecnologico. È una sfida che certamente stiamo raccogliendo e portando avanti con decisione. Forse per noi di ENEL in Italia molto più che per tanti altri operatori in giro per l'Europa, quello dell'evoluzione della normativa europea è un tema importante da presidiare e da monitorare, soprattutto nella logica in cui l'Europa si pone come il continente che vuole dare l'esempio al mondo; il continente virtuoso, che va ben al di là delle


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attese degli altri continenti e degli altri grandi operatori. Molto spesso, quindi, per ciò che noi riusciamo a vedere, da Cancun, a Copenaghen e andando indietro, l'Europa ha esercitato ben poca influenza nel contesto dell'evoluzione normativa ambientale internazionale.
La slide a pagina 13 del documento depositato mette in evidenza la mia precedente considerazione. Come vedete, abbiamo messo insieme le intensità di emissioni di anidride carbonica per singola unità di prodotto interno lordo. Grazie anche all'efficienza realizzata, dimostrata nelle prime slide che ho esposto, abbiamo una componente di 250 grammi di anidride carbonica per singola unità di prodotto lordo, misurata sempre in termini di un dollaro di prodotto interno lordo. Il nostro risultato è, quindi, migliore della Germania e leggermente migliore della media europea. Non possiamo essere migliori della Francia, ancora una volta, perché essa ha una forte dipendenza dal nucleare, che non emette CO2.
Se poi misuriamo in termini di obiettivi di riduzione, come ricordavo poco fa, con il nostro eccesso di zelo, noi italiani, pur essendo i più virtuosi e usando 10 centesimi di dollaro per l'efficienza energetica rispetto ai 12 della media europea, abbiamo una migliore e minore intensità di emissioni di CO2, ma anche l'impegno di ridurre più degli altri. Si tratta di un errore di partenza, di cui ancora oggi scontiamo i risultati.
Da dove vengono le emissioni di CO2? Vengono da diversi settori. Siamo in presenza, anche in questo caso, di un'asimmetria. Si pensa sempre e, soprattutto, alla generazione di energia elettrica come al settore in cui si emette più CO2, ma in realtà non è così. Tutti i settori comportano emissioni di CO2 ed è banale osservare che anche noi in questo momento stiamo emettendo CO2 per il semplice fatto che respiriamo tutti insieme. Se stiamo qui un'ora e mezza, probabilmente avremo prodotto 20 chili di CO2. Dobbiamo sentirci colpevoli? No, è un fatto naturale. Quello che, invece dobbiamo controllare sono le emissioni in dosi massicce.
Il componente termoelettrico, quindi la generazione di energia elettrica, in Italia produce il 40 per cento del totale delle emissioni. Gli altri settori sono i trasporti, le industrie che hanno una forte componente di emissione, per esempio la produzione di acciaio o di altri metalli, e, a seguire, tutti gli altri settori, dall'agricoltura ad altri ancora.
Con le asimmetrie e gli eccessi di zelo di cui ho parlato, quando ci caliamo nelle singole realtà, vediamo che il maggiore sforzo viene chiesto al settore termoelettrico. Potreste obiettare che è più facile chiederlo a tale settore. Le centrali sono lì, ci si può lavorare, non scappano. Nel settore dei trasporti le macchine hanno un'evoluzione tecnologica continua, ma non sufficiente e gli altri settori hanno alcuni vincoli in più. Il fatto che esista un'asimmetria e che essa comporti poi difficoltà a livello di sistema nel realizzare gli obiettivi è altrettanto innegabile ed è un punto di riflessione per il prosieguo delle nostre attività.
Che cosa fa ENEL? Negli ultimi anni ha approntato una strategia di sviluppo che si basa sulla diversificazione del mix di generazione e sulla capacità di avere più tecnologie disponibili, in modo da ridurre l'esposizione a una singola commodity, a una singola fonte di energia primaria, bilanciando il proprio mix produttivo. Ha fatto, inoltre, propria la bandiera di spingere la sostenibilità ambientale attraverso una continua ricerca di sistemi di efficienza, di abbattimento delle emissioni, di utilizzo di nuove tecnologie. Ne parleremo, se ne avremo l'occasione, anche stamattina più diffusamente.
Abbiamo poi cercato di adempiere, per quanto possiamo come azienda, a tutte le normative che ci impone il sistema europeo e che si tramutano in legge dello Stato. Questo è l'obiettivo che ci prefiggiamo.
Al nostro interno dobbiamo risolvere un'equazione a tre incognite, in cui le tre incognite sono: la sicurezza delle forniture,


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la competitività del costo dell'energia e la sostenibilità ambientale. Coniugare queste tre variabili in una soluzione richiede alcuni provvedimenti che sono tra le nostre direttrici di sviluppo.
Parte di tale sviluppo è il ritorno al nucleare per il nostro parco di generazione. È stato autorevolmente affermato che il nucleare non è la soluzione, ma che senza il nucleare non c'è soluzione. Senza nucleare, in effetti, non c'è soluzione agli obiettivi che ci siamo dati né tantomeno può risolversi l'equazione a tre incognite.
Il nucleare offre l'opportunità di avere ampia disponibilità di energia, perché una centrale nucleare lavora 8.500 ore all'anno e si ferma solo per alcune brevi manutenzioni, ma è sempre continuamente in funzione, producendo energia per tutti noi. È l'energia fondamentale, quella di base, quella che si consuma giorno e notte, ventiquattro ore su ventiquattro tutto l'anno e che non cambia mai.
Questo è il motivo che rende ancora più importante una centrale nucleare nel nostro sistema, perché abbiamo bisogno di energia che non cambia mai, che non oscilla, che continua a essere consumata tutto il tempo e che deve essere prodotta nelle migliori condizioni, sempre e continuamente, al più basso costo possibile. Il nucleare offre questo vantaggio.
Il secondo vantaggio del nucleare è una grande produzione senza emissioni di anidride carbonica. Una minima quantità fuoriesce nelle fasi di lavorazione, quando si tratta di mettere insieme metalli per realizzare un reattore, ma anche una turbina a gas, una pala eolica o un pannello fotovoltaico comportano tale attività. Anche quando respiriamo emettiamo CO2, ma, se misuriamo le emissioni di una centrale, vediamo che sono pari a zero.
Il nucleare, inoltre, non ha alcun risvolto di sicurezza, con l'eccezione di Chernobyl, che effettivamente è stata una grande tragedia, anche per l'impatto che ha avuto sulla percezione comune della sicurezza nucleare. Tutte le centrali nucleari del mondo - ce ne sono 528 in questo momento in funzione e 52 in costruzione, di cui a quattro gruppi stiamo lavorando noi di ENEL, - lavorano da 14.000 anni continuativi. Se si mettono insieme tutti i gruppi che operano nelle centrali nucleari e si somma il loro tempo di utilizzo, si arriva a 14.000 anni di lavoro senza alcun incidente.
Chiaramente le tecnologie evolvono, aumentano ancora i livelli di sicurezza, ragione per cui non pensare in termini di nucleare, secondo me, continua a essere un errore strategico, politico ed economico, che determina tragiche e costose conseguenze.
È anche importante ricordare che noi, come sistema nazionale, possiamo attivare una grande ricaduta sul sistema economico nazionale. Il nostro progetto nucleare prevede la possibilità di fornire energia per il 50 per cento dell'impegno che sembra emergere dalle linee della legge e delle disposizioni del Governo, le quali intendono coprire almeno il 25 per cento del fabbisogno energetico elettrico con ricorso al nucleare. Noi ci stiamo qualificando per coprirne almeno il 50 per cento. Se poi ci sarà la possibilità, potremo pensare di farne anche di più.
Si tratta di un progetto che svilupperebbe intorno ai 17-20 miliardi di euro di investimenti e, quindi, se lo raddoppiate, stiamo parlando di 35-40 miliardi di euro, che il sistema Paese può attivare in termini di investimenti, di creazione di posti di lavoro, di sviluppo di tecnologie e di competenze di cui c'è una grande domanda in giro per il mondo. Ribadisco che ci sono 58 impianti in costruzione e altri che si stanno attivando in diversi Paesi.
Intorno a noi, mentre parliamo, in un raggio di 200 chilometri dal confine nazionale, ci sono già oggi 27 centrali nucleari, che peraltro ci forniscono energia. Noi importiamo energia elettrica intorno al 15-18 per cento mediamente dei nostri consumi. A volte di notte, perché si riducono i consumi nazionali, si abbassano i livelli di produzione delle centrali nazionali ed è più conveniente per gli importatori far arrivare la meno costosa energia nucleare dalla Francia e dalla Svizzera, la percentuale può salire anche al 25 per cento.


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Quando ci fu il famoso blackout di alcuni anni fa, stavamo importando più del 30 per cento dell'energia del Paese, ragion per cui un albero caduto in Svizzera portò al collasso del sistema elettrico nazionale.
Tornando al punto, questo è un progetto del Paese e per il Paese, che attiva somme enormi e una tecnologia in grande domanda. Oggi, per esempio, in Svizzera hanno deciso di realizzare tre centrali nucleari. Sto parlando della Svizzera, che è a 80 chilometri in linea d'aria da Varese, non della Russia. Loro decidono e noi siamo qui a chiederci che cosa dobbiamo fare per ottenere lo stesso obiettivo, perché non ci riusciamo. Mi sembra che ci sia l'esigenza e l'urgenza di rispondere a questa domanda.
Continuo a pensare che noi abbiamo un'occasione e lo vediamo quando andiamo a realizzare le centrali nucleari in Slovacchia o in Francia. Vediamo ditte italiane che hanno ambizioni di voler ritornare in questo settore. Noi abbiamo organizzato un cosiddetto roadshow delle imprese. Volevamo preparare le industrie nazionali alla sfida del nucleare e stiamo qualificando più di 600 imprese italiane che potranno essere protagoniste dei nuovi investimenti che dovremo realizzare.
Se poi pensiamo alle ricadute anche in termini di impiego diretto, nella costruzione di una centrale si impiegano da 2.500 a 3.500 persone per un certo numero di anni. Per gestire una centrale occorrono fino a 600 unità di personale altamente qualificate.
Per fortuna sta tornando l'interesse dei giovani a iscriversi alle facoltà di ingegneria nucleare nei Politecnici. Noi li assumiamo. Stanno dando buona prova di sé, per esempio, i giovani che noi prendiamo dalle nostre università e inviamo nel cantiere nucleare francese. Abbiamo mandato 60 nostri giovani che lavorano proficuamente allo sviluppo della tecnologia che noi pensiamo sia utile portare anche in Italia. Li troviamo anche in Slovacchia, dove stiamo costruendo due gruppi nuovi con la tecnologia russa, e nei nostri impianti nucleari in Spagna, di tecnologia americana.
Nonostante in Italia non sia ancora stata realizzata una centrale nucleare, oggi ENEL è uno dei più grossi operatori nucleari al mondo, con competenze distintive. Abbiamo recuperato per i nostri giovani e per i nostri ingegneri un mestiere così fortemente orientato al futuro, che noi vorremmo reimpiegare nel nostro Paese quanto prima. Ci stiamo lavorando e confido anche nel vostro sostegno per realizzare tale obiettivo quanto prima.
Un altro aspetto rilevante per lo sviluppo del nostro sistema energetico è quello relativo all'utilizzo dei combustibili fossili, e, in particolare del carbone - il tanto deprecato carbone - che in realtà è una risorsa preziosa e forte e che continuerà a essere tale anche nei prossimi decenni.
La stima che viene effettuata dall'Agenzia internazionale dell'energia, e, quindi, da un organismo internazionale, non dal nostro Ufficio studi è che l'energia nel mondo crescerà intorno al 40 per cento da oggi al 2030 e che continuerà a essere fornita per l'80 per cento dai combustibili fossili. Nonostante lo sviluppo delle rinnovabili e del nucleare, i combustibili fossili continueranno, dunque, a essere una parte fondamentale.
Ne deriva la necessità per noi di lavorare a produrre energia con tecnologie innovative che riescano a risolvere le tre variabili dell'equazione di cui parlavo: competitività, disponibilità e sostenibilità.
L'esempio calzante - siete tutti invitati a visitarlo, perché è un piccolo, grande gioiello tecnologico realizzato dagli italiani - è il nostro impianto a carbone pulito di Civitavecchia, dove le emissioni di inquinanti vengono drasticamente ridotte: l'anidride solforosa è al meno 88 per cento, gli ossidi di azoto al meno 61 per cento, le polveri al meno 88 per cento. Sono tutte misure assolutamente e scientificamente comprovate.
Inoltre, con la maggiore efficienza che si consegue da questa tecnologia, la quale porta a un rendimento del 45 per cento in


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termini di chilocalorie, si riduce anche l'emissione di CO2. Vorremmo attuare la stessa iniziativa a Porto Tolle, speriamo di non incorrere nell'opposizione da parte di componenti della magistratura, la quale è molto interessata a seguire le nostre vicende, mentre dovrebbe esserne estranea, trattandosi di un investimento già autorizzato. Quanto prima, dunque, partiranno i cantieri, con l'aiuto della Regione Veneto, che credo sia fortemente intenzionata a favorire questo impianto, il quale, peraltro, riscuote il favorevole e positivo contributo di tutti i comuni della zona.
In termini di evoluzione delle nostre infrastrutture di ricezione e di gestione di nuove fonti di energia, sempre con l'obiettivo di diversificare le fonti e di aumentare la nostra capacità di resistenza di fronte a eventi geopolitici come quelli che viviamo in questi giorni, abbiamo due progetti importanti.
Il primo è il nostro impianto di rigassificazione di gas liquido, che si può approvvigionare dall'America al Golfo Persico, fino ad altre fonti di produzione che arrivano via nave. È liquido perché viene liquefatto con la produzione di freddo, viene poi riscaldato in un sistema di rigassificazione e messo in rete.
L'impianto di Porto Empedocle è assolutamente autorizzato, ma purtroppo abbiamo avuto l'opposizione di un comune che si sentiva escluso dalla conferenza dei servizi e ha fatto ricorso a un TAR - come sempre, in Italia tutto finisce per passare attraverso i TAR - e poi al Consiglio di Stato. Adesso siamo in attesa della decisione del Consiglio di Stato per liberarci di questo ulteriore fardello. Il comune, infatti, si è sentito escluso dalla conferenza dei servizi, avendo, peraltro, solo un parere consultivo, perché una tubazione, non di ENEL, ma del trasportatore del gas, intercettava per 300 metri il territorio del comune stesso. È evidente che vi è dietro un interesse non direttamente qualificabile.
Questo è un esempio concreto di quello che io anche in queste aule ho sempre sostenuto essere uno dei mali endemici del nostro Paese e che definisco «atarassia amministrativa», cioè l'affollarsi di norme, e di un eccessivo decentramento autorizzativo, per cui i livelli di decisione sono innumerevoli e molto spesso portano a un allungamento, se non addirittura alla paralisi di alcuni investimenti.
Il secondo, è un altro nuovo investimento che vogliamo compiere: il gasdotto diretto dall'Algeria verso l'Italia, passando per la Sardegna. Anche questo progetto è in attesa di uno sviluppo amministrativo per l'ottenimento di tutte le autorizzazioni.
Passiamo ora alle fonti rinnovabili, la parte che riguarda lo sviluppo del nostro sistema di nuove tecnologie.
Come vedete, l'Italia è significativamente presente nel settore delle energie rinnovabili. Partendo da uno zoccolo duro esistente di energia idroelettrica presente da più di cento anni nel nostro territorio, si sviluppano significativamente anche attività per noi molto importanti, come la tecnologia geotermica, l'eolico, il solare, con una rilevante presenza prevista anche delle biomasse. L'insieme di tutte queste iniziative porta ad aumentare la produttività del sistema, che nel 2020 pensiamo debba toccare 30 terawattore, con un incremento del 7-8 per cento del contributo delle rinnovabili ai consumi di energia nazionali.
Pensiamo che si andrà oltre il tasso di crescita di questi ultimi anni. Come vedete, riteniamo, infatti, che, rispetto al 2000, nel 2020 il solare possa crescere del 46 per cento, l'eolico del 20 per cento e le biomasse del 12 per cento. Si tratta di un apporto particolarmente rilevante, però, dal momento che questi impianti, quando lavorano, lo fanno per poche ore, perché per poche ore c'è la disponibilità del vento o del sole; lo sforzo compiuto per aumentare la capacità esistente non necessariamente porta tutti i risultati in termini di produttività globale. Il contributo rimarrà sempre ragionevolmente piccolo rispetto al fabbisogno energetico nazionale.
Svolgo un'altra considerazione, che nelle prossime slide vedrete meglio. Tutte queste tecnologie oggi hanno un costo che è un multiplo delle tecnologie convenzionali


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termiche. Costano molto di più, perché hanno efficienze più basse, perché hanno meno ore di risorsa disponibile e perché la tecnologia non si è ancora sviluppata come è teoricamente possibile.
Un esempio di questi giorni, che credo sia interessante per voi è, quello del cosiddetto conto energia del fotovoltaico. Come vedete, il conto energia disponibile sta portando a una derivata, a un'impennata della curva della disponibilità particolarmente significativa.
Che cosa c'è di male? Di per sé nulla, salvo il fatto che poi qualcuno deve pagare il conto. Oggi queste tecnologie, che hanno rendimenti dal 10 al 12 per cento, necessitano di sussidi, che paghiamo tutti noi in bolletta, come sempre. Se facciamo troppo oggi, corriamo poi il rischio di non poter applicare, avendo magari occupato i tetti o i campi, lo sviluppo tecnologico del futuro, che potrebbe renderci molto di più e costare di meno.
Se riuscissimo a graduare, sempre incentivando, come è normale che sia, tali tecnologie, visto che costano di più delle altre convenzionali, e potessimo attuare una diversa spalmatura nel tempo per gli stessi incentivi, riusciremmo a catturare i vantaggi di un'evoluzione tecnologica che porta all'aumento dei rendimenti. A parità di investimento, riusciremmo ad avere meno fabbisogni di sussidi e una maggiore quantità di produzione, perché uno stesso pannello fotovoltaico, essendo più avanzato tecnologicamente, potrebbe produrre non più il 10-12 per cento di rendimento, ma magari il 15-18 per cento. Credo che questo sia il concetto all'ordine del giorno del dibattito nel Paese. Credo che sia da incoraggiare l'ipotesi di spalmare in maniera graduale gli incentivi proprio per favorire lo sviluppo tecnologico.
Vi parlo dalla cima di un investimento che noi stiamo compiendo, in Sicilia, insieme ai giapponesi della Sharp e ai colleghi di STMicroelectronics, peraltro l'unico vero investimento che si compie nel settore fotovoltaico, di 750 milioni di euro. Vi parlo con cognizione di causa, da buon padre di famiglia, che ha a cuore lo sviluppo di questa tecnologia, ma che non può non tener conto dello sviluppo tecnologico per graduare gli incentivi in maniera corretta. Vi affido questa riflessione per le vostre elaborazioni nel processo di approvazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico.
Green Power è un fiore all'occhiello dell'Italia e dell'ENEL, ed è un'azienda che sviluppa anche il fotovoltaico in Sicilia e che ha centri di competenza a Catania, i quali attraggono anche i giapponesi della Sharp, che sono tra i leader mondiali. Essa continua a sviluppare la propria presenza nel mondo con significativi investimenti sulle tecnologie tradizionali e soprattutto usando le competenze distintive della geotermia, un'iniziativa che noi possiamo effettivamente replicare in giro per il mondo e che stiamo effettivamente applicando, per esempio, nel continente americano.
Un'altra questione che riguarda l'evoluzione tecnologica del nostro Paese e del sistema ENEL è il fatto che noi siamo riusciti, attraverso la loro applicazione in tutto il territorio nazionale, a far diventare i contatori elettronici uno strumento di grande sviluppo, non soltanto tecnologico, ma anche - passatemi l'espressione - di civiltà. Si tratta di un sistema molto importante anche in altri Paesi, che ce lo invidiano e che cercano di applicarlo. Noi chiaramente siamo ben contenti di fornirglielo.
Ci invidiano il concetto che il contatore elettronico consente al cliente e al consumatore dell'energia elettrica di essere un cliente consapevole. Rispetto alla nostra educazione, quando si pensava che bastasse spingere un interruttore per avere la luce, che la luce esistesse e che si potesse consumare senza alcun problema, oggi possiamo, attraverso questo piccolo strumento, accompagnato da un'evoluzione ulteriore, particolarmente innovativa, di gestione intelligente delle reti di distribuzione, consentire al cliente di scegliere il modo in cui consumare energia, se consumarne di più di notte o di giorno e con cambiamenti di potenza impegnati, in modo che sia lui a scegliere un modello di


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consumo. Per noi diventa un fatto non solo di civiltà, ma anche commerciale e tecnologico.
Tutto ciò è possibile perché abbiamo la possibilità di attivare non soltanto il contatore digitale, ma anche un sistema di rete intelligente che riesce a lavorare anche con gli autoproduttori, anche con coloro che hanno la microgenerazione, in modo da evitare sfridi, avendo sempre la totale capacità di controllo del sistema di gestione. È quella che si chiama, in gergo anglosassone, Demand Side Management, che gli italiani realizzano meglio e per primi. Esportiamo gli stessi concetti in Spagna, in Romania e in Sud America, dove abbiamo milioni di clienti dei quali ho già parlato.
Un altro filone di sviluppo tecnologico per me altrettanto importante è la mobilità elettrica. Parto dal presupposto che l'energia, come avete visto, ha tante forme: non solo le nostre braccia e la nostra mente, ma anche gas, petrolio e benzina. L'energia elettrica, in questo senso, è la più efficiente che voi possiate immaginare, la più facile a trasportarsi, quella che si produce in quantità più grandi, attraverso le grandi centrali. È scientificamente provato che, usando l'energia elettrica in un motore di una macchina, se ne raddoppia l'efficienza complessiva.
Se misurate lo sforzo energetico di un pozzo di petrolio, di una nave che porta il petrolio, di una raffineria che lo raffina, della produzione di benzina, del trasporto della benzina nei punti di consegna e il funzionamento del vostro motore, qualunque esso sia, dalla Ferrari alla FIAT Cinquecento, vedrete che il complessivo rendimento termico è del 18 per cento. Se voi svolgete lo stesso ragionamento e, anziché mettere benzina nel vostro motore, lo caricate a una presa elettrica, vedrete che il rendimento termico è del 36 per cento. Il well-to-wheel, come dicono gli inglesi, ossia dal pozzo alla ruota, l'efficienza energetica, la forza motrice di un chilowattora è ben superiore a quella di un grammo di benzina a 92 ottani.
Per questo motivo noi spingiamo il concetto di mobilità elettrica e stipuliamo accordi con le case produttrici di automobili, con l'idea che noi, producendo e vendendo energia elettrica, vogliamo penetrare un altro mercato, ma anche con la logica di rispondere, ancora una volta, al tema dell'efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Come vedete, una macchina elettrica rispetto ad una a benzina riduce del 50 per cento le emissioni inquinanti e azzera, sostanzialmente, le emissioni di particolato e di polveri sottili. Per queste ragioni, noi spingiamo molto su questa tecnologia.
Molto brevemente illustro, infine, per poi lasciare spazio alle vostre domande, le nostre attività in altri settori. Lavoriamo per catturare il sole e a farlo diventare una risorsa disponibile ventiquattro ore su ventiquattro, sfruttando il concetto di solare ad alta concentrazione che fu sviluppato per prima dall'ENEA, frutto dell'ingegno italiano, e che noi come ENEL stiamo utilizzando a Priolo in Sicilia, con una tecnologia capace di catturare il sole e di farlo lavorare, ventiquattro ore su ventiquattro, accumulando energia. Mi riferisco al Progetto Archimede. Chiaramente si tratta di un prototipo e costa particolarmente averlo realizzato, ma stiamo lavorando per ridurne i costi. È una tecnologia per il futuro.
Un altro concetto importante è che stiamo lavorando anche ai sistemi di geotermia, progetti innovativi che recuperano quantità di vapore meno caldo e più freddo rispetto a quello a cui siamo abituati, con sistemi particolarmente innovativi.
Stiamo lavorando per utilizzare l'idrogeno. A Fusina, a Venezia, c'è l'unico impianto al mondo che usa dosi massicce di idrogeno, recuperandolo dalla Syndial, l'ex petrolchimico. L'idrogeno ancora oggi è più costoso da produrre di quanto non renda in termini di utilizzo. Per produrre idrogeno, che non esiste in natura, occorre, infatti, scomporre elementi naturali, come l'acqua, col sistema dell'elettrolisi, spendendo più calorie di quante poi se ne recuperino utilizzando l'idrogeno stesso.
Noi siamo riusciti a dimostrare la capacità ingegneristica di trattare l'idrogeno


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in grandi quantità - è un componente non facile da gestire - e produciamo energia anche senza emissioni di ossidi di azoto, che credo sia uno degli elementi ingegneristicamente più avanzati. Vengono a visitare questo impianto da tutte le parti del mondo. Bisogna trovare il modo per produrre idrogeno a più basso costo, ma oggi non esiste ancora questa possibilità.
Cito alcuni esempi, ma vorrei sottolineare il fatto che noi siamo tra i pochi che riescono a usare in maniera proficua, quando riusciamo a catturarli, i fondi per la ricerca europei. Siamo forse bravi, ma siamo anche concentrati e focalizzati su pochi progetti. Abbiamo centri di ricerca di eccellenza, tra i quali Pisa, Brindisi, Livorno e Catania, e ottimi ingegneri, con una grande cultura di sviluppo. Riusciamo, quindi, a qualificarci in maniera significativa anche agli occhi dell'Europa per guadagnare queste risorse disponibili.
Per esempio, dell'impianto di cattura e sequestro dell'anidride carbonica che abbiamo appena inaugurato a Brindisi facciamo una grande finestra di opportunità. Poterlo replicare a Porto Tolle su scala ancora più grande, sviluppa un miliardo di euro di investimenti. Un miliardo di investimenti per catturare la CO2 è un investimento che nessuna azienda può permettersi, se non attraverso la disponibilità di fondi europei, o - aggiungo - anche di fondi nazionali, altrimenti non avrebbe alcun senso. Nessuna impresa compirebbe un investimento di un miliardo di euro per applicare una tecnologia che, peraltro, fa aumentare il costo dell'energia stessa, a meno che non ci sia un impegno specifico.
Oggi colgo l'occasione per sollevare questo tema. La logica è quella di catturare dai fumi la componente di anidride carbonica - il resto dei fumi è assolutamente non inquinante - attraverso un sistema di ammine che aggrumano singole molecole di anidride carbonica e che si depositano sul fondo, si riscaldano e vengono separate. Si ha una anidride carbonica pura che poi viene compressa, diventa liquida e si trasporta via tubo o via camion in un deposito geologico che stiamo già sperimentando. Si tratta di una tecnologia che abbiamo provato a Brindisi, che stiamo continuando a sperimentare e che vorremmo applicare al prossimo investimento a carbone pulito di Porto Tolle. Abbiamo bisogno, però, del finanziamento europeo e nazionale per continuare questa politica di sviluppo tecnologico.
Chiudo con l'ultima osservazione, che in parte ho già anticipato. Esiste un nuovo paradigma dell'energia: l'energia elettrica non è più un consumo inconsapevole, bensì è un consumo non solo consapevole, ma anche intelligente ed efficiente, che dovrebbe progredire nel tempo con lo sviluppo di queste nuove tecnologie. Il tutto è basato su un sistema connesso di reti intelligenti e sulla logica di gestire in maniera proattiva e dinamica il fabbisogno energetico di una famiglia o di un'industria anche attraverso una diffusione di microimpianti nei singoli punti di consumo, ma anche con lo sviluppo assolutamente necessario delle grandi e massicce produzioni, facendo ricorso alle tecnologie nuove, sicure e affidabili del carbone e del nucleare e spingendo all'uso intelligente delle risorse per sviluppare le tecnologie rinnovabili. L'insieme di queste iniziative dovrebbe consentirci di rispondere positivamente alla sfida energetica del domani. Grazie per l'attenzione.

PRESIDENTE. Prima di procedere alle domande, ricordo che in Assemblea è in corso la votazione per l'elezione di un segretario. Abbiamo ottenuto in proposito una specifica deroga, grazie alla quale i membri della Commissione bilancio, tesoro e programmazione possono votare nella seconda chiama, che inizierà, orientativamente, intorno alle ore 10.
Abbiamo, quindi, circa venti minuti di tempo per le domande e le risposte. Darò la parola a tutti coloro che intendano porre domande, ma vi invito a evitare riflessioni personali e a formulare la domanda in termini sintetici, altrimenti sarò costretto a togliervi la parola.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.


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MASSIMO POLLEDRI. Ringrazio il dottor Conti. In merito alla situazione finanziaria, noi siamo tra coloro che hanno apprezzato lo shopping internazionale e l'apertura mondiale di ENEL. Lei è stato criticato per questo motivo, ma non sicuramente da noi. Ci vuole dare alcuni dati su questo tema?
Va bene il nucleare. Ricordo che con il Presidente Tabacci abbiamo modificato la legge per consentire all'ENEL di poter andare ad occuparsi all'estero di nucleare. Voi avete un rapporto con la Francia. Ci sono state alcune ombre anche sulla reciprocità, cioè sul vostro sbarco nel mercato francese, che è sicuramente poco liberale e poco attento alle direttive europee. Mentre noi le seguiamo tutte, loro sono un po' meno attenti e rimangono monopolisti. Come sono i rapporti e quali sono le ricadute?
Lei ha parlato meritoriamente di 600 risorse che si stanno specializzando. In merito all'EPR (European Pressurized Reactor) e alla sua ricaduta, rispetto ad un investimento di 3 miliardi di euro per impianto, quale percentuale vi sentite di poter garantire che rimarrà all'Italia, tenendo presente che la Westinghouse propone livelli maggiori?
La terza domanda è sulla green economy. Noi non produciamo pannelli solari in Italia, quindi la vostra iniziativa è meritoria. Quando partite? Si è sparsa la voce che la Lega sia contro l'energia solare. Non è assolutamente vero. Siamo a un punto in cui abbiamo esposto numerose aziende con progetti quest'anno. Come vede la rimodulazione?
Infine, sull'idroelettrico magari bisognerebbe lavorare di più, perché da anni non si apre una centrale idroelettrica. Noi siamo per rinegoziare il benedetto accordo di Kyoto, perché il Ministro Pecoraro Scanio tornò trionfante, ma non lo fu. Quanto ci costa? È vero che oggi ci costa 8 miliardi di euro e qual è il suo impatto? Voi spendete un miliardo per prendere alcuni milioni di tonnellate di CO2, ma, nel contempo, la Cina ogni anno produce e incrementa la CO2 in quantità pari a tutta la produzione europea. Noi risparmiamo i grammi, ma loro producono tonnellate.

LINO DUILIO. Ringrazio per la puntuale illustrazione della nostra situazione, molto articolata e organica, nonché per il senso di rispetto nei riguardi del Parlamento nel venire a presentare una relazione così compiuta, il che non accade spesso.
In primo luogo vorrei porre una domanda di carattere generale in merito alla strategia da lei evocata alla fine del suo intervento. Ovviamente le strategie si descrivono tenendo conto del lungo, del medio e del breve periodo; non può esistere, infatti, una vera strategia di breve e di medio periodo, se non all'interno di una strategia di lungo periodo.
Nel medio-lungo periodo per il nostro Paese è da prefigurare una strategia che punti sostanzialmente all'autosufficienza, alla minore dipendenza o, sognando anche un po', dopo aver conquistato l'autosufficienza, si può puntare a qualcosa di più? Ovviamente il riferimento è alle fonti di cui parlerò tra un attimo, con la seconda domanda.
Essendo consapevole che in altri Paesi le strategie, a livello innanzitutto politico, ma anche aziendale, si delineano su un orizzonte lungo, vorrei sapere se esista una riflessione di questa natura anche al vostro interno.
La seconda considerazione fa riferimento alla diversificazione delle fonti. Meno di una settimana fa è stata pubblicata un'intervista del nuovo Presidente dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, il quale afferma: «Senza il nucleare l'Italia muore. Tra 50 anni finirà il petrolio, tra 80-100 anni finirà il carbone, seguito poi dal gas. Altre fonti non saranno sufficienti a fornire l'energia di cui abbiamo bisogno. Il risultato? Non avremo la luce, non potremo far funzionare i computer o i frigoriferi e neppure far viaggiare i treni. Se lo immagina?». Si tratta di una premessa, alla quale segue poi una considerazione circa l'esigenza di sviluppare il più possibile il nucleare.


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Poiché anche lei ha fatto riferimento al nucleare e, con tono tranquillizzante, ne ha auspicato lo sviluppo nel nostro Paese, le chiedo anche, tenendo conto del quadro apocalittico offertoci dal professor Veronesi, se sia realistico immaginare che esista una prospettiva di diversificazione efficace delle fonti a cui attingere per quanto riguarda la produzione energetica nel nostro Paese, ovvero se il nucleare rappresenti effettivamente il cespite più significativo e importante e alla fine quasi monopolistico, perché tutto il resto sono «coriandoli»? Lo stesso fotovoltaico, secondo il Presidente Veronesi, va bene, ma fondamentalmente per le esigenze familiari e non per un sistema Paese. Che cosa dobbiamo aspettarci e su che cosa dobbiamo lavorare come Parlamento per quanto riguarda la prospettiva, tenendo conto della consistenza intrinseca di queste fonti tanto diversificate?
La terza e ultima domanda è lapidaria. Noi abbiamo esaminato in Parlamento qualche mese fa, e, quindi, in questa legislatura, la bozza del Programma nazionale di riforma da presentare in Europa, che nei suoi contenuti, non è apparso, a mio avviso, particolarmente eccitante. Questo aspetto lo sottolineo, in quanto apparentemente, nel nostro Paese tutti i problemi dei prossimi ottant'anni e dei precedenti sono concentrati negli unici venti mesi in cui ha governato il centrosinistra.
Abbiamo avuto una bozza di Programma nazionale di riforma che riguarda la prospettiva del nostro Paese al 2020, in cui vi sono anche due paragrafi sulle energie rinnovabili e sulle emissioni di gas serra. Poiché complessivamente tali obiettivi fissati per il 2020 sono improbabili, precari o comunque non adeguatamente articolati - noi ci auguriamo che nella versione definitiva del Programma il lavoro sia svolto con meno improvvisazione - le vorrei chiedere se lei, in rappresentanza di ENEL, è stato consultato nell'elaborazione relativamente alle tre voci indicate: energie rinnovabili, emissioni di gas serra e relativi obiettivi, che le risparmio, perché li conoscerà.
Volevo sapere a che livello si è verificato il coinvolgimento di una realtà aziendale come la vostra e in che termini avete dato elementi conoscitivi e di contenuto che possano servire a qualificare questo programma, che ci impegna in Europa per un arco di tempo, fino al 2020, che non è insignificante.

MASSIMO VANNUCCI. Mi compiaccio innanzitutto per la qualità di questa audizione.
La prima domanda è sui costi dell'energia del nostro Paese. L'unica causa è la forte dipendenza da gas e petrolio o ci sono altri fattori che incidono su questo punto, soprattutto sul mercato?
La seconda riguarda gli investimenti. La forza di ENEL è, per molti aspetti, per metà in Italia e per metà all'estero, a giudicare dalla capacità installata e dal numero dei dipendenti e dei clienti, mentre gli investimenti sono di 30 miliardi all'estero e di 11 miliardi di euro in Italia.
Noi siamo qui per parlare di crescita e, quindi, è importante avere livelli di investimento adeguati. In questi 11 miliardi di euro per il 2010-2014 c'è già il nucleare? Se l'Italia ritardasse la sfida del nucleare, quali sarebbero gli altri fronti?
Lei ci ha fornito gli elementi per discutere del decreto sugli incentivi o sulle rinnovabili, anche se è già un decreto legislativo. Avevamo già espresso il parere e il Governo l'ha adottato. Le chiederei un giudizio sintetico su questo decreto, con un aggettivo, e se è in grado di recuperare ciò che è avvenuto in Italia, con un mercato drogato e partito in modo un po' improvvisato, senza che producessimo pannelli.
Volevo, inoltre, sapere, per quanto riguarda il carbone, siamo in grado di far ripartire la produzione italiana o no e se il contatore che può conquistare il mondo è di produzione italiana.

PIETRO FRANZOSO. Le mie sono solo due domande di conoscenza. Tra le questioni prospettate non sono indicati con chiarezza i costi per chilowattora prodotto e la differenziazione tra una centrale, sia


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essa alimentata da energie fossili o rinnovabili, rispetto al nucleare, tra costo degli impianti e costo di messa sul mercato dell'energia prodotta. Credo che questo sia un fattore determinante anche in relazione agli effetti che il nucleare produce nell'immaginario della gente, atteso che personalmente ne sono convintissimo.
Lei ha parlato, per quanto riguarda le fonti rinnovabili, del fotovoltaico, spiegando che l'energia prodotta in tal modo non sarebbe disponibile a tutte le ore. A tale proposito, aggiungo che non tutte le aree hanno le stesse ore disponibili di sole. Che cosa immaginare? Lo stesso discorso vale per quanto riguarda l'eolico. Che cosa immaginerebbe, laddove ci fosse una differenziazione di installazione del fotovoltaico tra aree geografiche del Paese?
Collegandomi a quanto osservato dal collega Vannucci e indipendentemente dalle sue considerazioni sul nucleare, in termini macroeconomici, quali effetti si produrrebbero, nel momento in cui l'Italia dovesse perdere anche questa occasione per andare verso il nucleare?

MARCO MARSILIO. Grazie, dottor Conti. Lei ha parlato molto di nucleare. Premesso che la strategia complessiva vede il nucleare al centro di quasi tutte le questioni, dal mix energetico al contenimento dei costi, all'abbattimento delle emissioni, noi abbiamo condiviso questo progetto, come maggioranza e come Governo, approvando una legge in questo senso, che riporta al nucleare.
Tuttavia, poiché il sottoscritto in quell'ambito, quando si varò il decreto-legge n. 112 del 2008, è stato il promotore di un emendamento che è stato approvato prima dalla Commissione e poi da tutta l'Aula per introdurre nel piano di ritorno al nucleare anche la ricerca e la sperimentazione sul nucleare di quarta generazione e sul nucleare pulito, che sono le tecnologie del futuro, volevo sapere se ENEL si è inserita in questa ricerca e sperimentazione, se ha attivato i propri canali in questo campo di ricerca.
Il timore è che si possa diventare la coda in ritardo del sistema industriale di tecnologie sviluppate da altri Paesi, in cui noi arriveremo fra altri 10-15 anni ad attuare davvero la produzione, mentre altri hanno da 30-40 anni sviluppato gli stessi sistemi e ammortizzato i costi. Rischiamo, cioè, di arrivare con il nucleare e con la tecnologia attuale quando non sarà più nemmeno competitiva e di ritrovarci sempre nella retroguardia, piuttosto che sfruttare la paradossale condizione di partenza zero per trovarci all'avanguardia dei nuovi sistemi. Al di là di sapere se lei condivide o meno questa valutazione, vorrei sapere intanto se, rispetto a una legge che abbiamo approvato in Italia, stiamo compiendo la ricerca e la sperimentazione.
Un'altra breve domanda è sul CIP6. Visto che parliamo di come utilizzare le risorse per sviluppare la ricerca sulle fonti rinnovabili, ricordo che il CIP6 incide per il 6-7 per cento sulla bolletta elettrica ed è stato, in gran parte, utilizzato per le energie cosiddette assimilate, e destinato a petrolieri, per pretrattare lo scarto di produzione del petrolio e di altre fonti fossili, oppure per il termovalorizzatore, per bruciare rifiuti.
Tutto si può affermare tranne che bruciare rifiuti sia una fonte rinnovabile. Credo che la scelta di utilizzare la gran parte dei fondi CIP6 per le fonti cosiddette assimilate abbia, invece, frenato l'utilizzo delle risorse per lo sviluppo delle energie rinnovabili e delle nuove tecnologie che le rendano più competitive e anche meno dipendenti dagli aiuti.

ANTONIO MISIANI. Porgo un ringraziamento al dottor Conti per i contenuti e la qualità dell'esposizione.
La prima domanda è sul decreto sugli incentivi: quanto siamo fuori linea rispetto agli altri Paesi europei, come sembrava emergere dalla slide a pagina 24 del documento da voi depositato?
La seconda domanda riguarda gli investimenti da ora al 2020. Nel piano nucleare, molto ambizioso, quanta parte del volume di investimenti che prevedete è destinata al nucleare, quanto, alle rinnovabili


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e quanto alle tecnologie a gas e a petrolio, che oggi rappresentano il cuore della vostra capacità produttiva?
Il terzo punto, in parte già sollevato, riguarda il nucleare. Il piano è ambizioso e ne abbiamo visti i numeri. Quanto è flessibile il piano di investimenti in rapporto alle prospettive di miglioramento della tecnologia?

ROBERTO OCCHIUTO. Ringrazio il dottor Conti per la chiarezza e la qualità dell'esposizione e del lavoro che ci ha portato. Sempre sul nucleare, noi condividiamo il senso dell'analisi che lei ha svolto in audizione e credo che i numeri rendano ineludibilmente chiara l'analisi stessa: il mix di generazione elettrica è sbilanciato e poco competitivo, con il 90 per cento di importazione di gas e il 94 per cento di petrolio.
Proprio sulla strategia nucleare ci sono ritardi evidenti, con otto mesi di ritardo sul varo della strategia nucleare e dieci mesi per la nomina dell'Agenzia per la sicurezza nucleare. Inoltre, non sono ancora state approvate le delibere CIPE che dovrebbero definire gli standard tecnologici che si dovranno rispettare. Questi ritardi rischiano di far diventare la strategia del nucleare il solito annuncio che poi non si realizza. Noi ci auguriamo sinceramente di no. Capiamo che ci sia la necessità su un tema come questo di esperire tutte le procedure necessarie perché il livello di concertazione con il territorio sia massimo, però da un Governo che vuole riformare l'articolo 41 della Costituzione ci aspetteremmo più decisione in ordine a questo tema. Che cosa suggerisce lei per rendere più veloce questo iter, affinché la strategia possa realizzarsi davvero, senza essere solo un annuncio?

AMEDEO CICCANTI. Grazie per la relazione. Sui costi non so se sia vera la notizia che l'ENEL dovrebbe impiegare 10-12 miliardi di euro per la realizzazione di questi quattro reattori. Ce ne vogliono almeno il doppio, altri 20-30 miliardi di euro. Chi, secondo le previsioni, dovrebbe investire su questo nucleare? Qual è la prospettiva?
Passo all'altra domanda. I cinesi e i francesi dovrebbero partecipare alla realizzazione di otto reattori di terza generazione, ma, se nel frattempo emergono altre tecnologie, è prevista una flessibilità, un work in progress anche sulle tecnologie, perché, a mano a mano che cambiano, nel lungo arco temporale fino al 2030, vengano a essere modificate e con esse anche i costi?

BRUNO TABACCI. Ho condiviso l'impostazione che il Presidente Conti ha dato alla sua relazione. Registro il fatto che tale impostazione sul nucleare e l'apprezzamento per le iniziative che l'ENEL ha potuto svolgere in questi anni, soprattutto all'estero, sono legati al lavoro che la Commissione attività produttive da me presieduta aveva svolto all'inizio della XIV legislatura, che portò poi a una modifica di legge fondamentale per consentire di svolgere attività nel nucleare all'estero. Prima, infatti, a seguito di un dissennato referendum, tali attività erano impedite.
Ora il mix, così come viene illustrato, evidenzia tutte le sue contraddizioni. Intanto contiene una pesante presenza del gas naturale, che determina una nuova dipendenza, e soprattutto emerge il fatto che - non è una critica rivolta all'ENEL, ma alla strategia complessiva, anche perché lei a Porto Empedocle ha attuato iniziative nella direzione di ciò che sto esprimendo, mentre altri no - oggi noi siamo vincolati ai contratti che abbiamo concluso con l'Unione Sovietica e che sono strangolanti.
Nel frattempo, se ci sono scoperte che fanno riferimento alla produzione di gas magari da rocce scistose, non le possiamo importare perché non abbiamo adeguate strumentazioni tecnologiche per poter accumulare il gas che viene ottenuto attraverso la liquefazione. È evidente che ciò incide molto sulla possibilità di realizzare un mix più equilibrato.


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Credo poi che l'esperienza che voi avete compiuto sul carbone a Civitavecchia sia molto importante e che andrebbe ampiamente incentivata.
Da ultimo, sulla vicenda delle rinnovabili la prego di non indicare più questa percentuale nel mix, perché è fuorviante. Andrebbe, infatti, distinta in due voci, tra le energie incentivate e le rinnovabili vere, ma non incentivate, essendo rinnovabili vere. Le energie incentivate del CIP6, come è noto, non sono rinnovabili vere.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Conti per la replica.

FULVIO CONTI, Amministratore delegato di ENEL Spa. Alcune risposte sono nelle conclusioni che abbiamo lasciato esposte sullo schermo, proprio per una maggiore comprensione di ciò che sto per dire.
Noi abbiamo bisogno di tutte le tecnologie e non di compiere un'altra scelta ideologica, per cui una tecnologia sostituisce tutte le altre. Abbiamo già commesso diversi errori, aumentando oltre il necessario la dipendenza da un'unica tecnologia per produrre energia, ossia quella del gas. Non voglio farvi pensare che io sia del tutto a favore del nucleare. Abbiamo bisogno di un bilanciamento, di un mix non diverso da quello dei tedeschi, degli spagnoli e degli altri Paesi. Occorre un po' di tutto. È chiaro, però, che il bilanciamento del mix deve essere parte integrante della strategia del Paese e oggetto di un piano nazionale.
Noi siamo consultati e le posizioni che esprimiamo sono notorie, non solo perché, quando mi viene richiesto, vengo volentieri per essere audito dalle Commissioni della Camera, ma perché ciò che pensiamo e facciamo in merito allo sviluppo del Paese è su tutti i giornali.
Chiaramente abbiamo bisogno di svolgere alcune ulteriori considerazioni, a partire innanzitutto da che cosa possiamo fare noi di ENEL. L'onorevole Polledri chiede se ci siamo esposti nella situazione finanziaria. Certo, abbiamo usato la leva del debito, come è giusto che sia. Quando si compiono grandi operazioni di acquisizione e di trasformazione, i cui benefici in questo momento vantiamo, si usano il debito e anche la leva del capitale proprio.
Abbiamo effettuato anche un aumento di capitale, il più grande mai effettuato nella storia nazionale, il più grande successo di azionisti che hanno contribuito con il loro aumento di capitale a consentire che questa azienda, che si è quasi più che raddoppiata nelle dimensioni di scala e che è diventata un protagonista mondiale nel settore dell'energia, oggi abbia un rapporto tra debito e flussi di cassa di 2,6 volte, ampiamente al di sotto di tante declamate e notorie aziende, le quali magari vengono considerate più della nostra, immeritatamente, e hanno rapporti ben peggiori del nostro. Noi eravamo singola A quando eravamo poco indebitati e continuiamo a essere singola A quando ci siamo indebitati in misura adeguata per consentire uno sviluppo che è ampiamente ripagato in termini di dividendi offerti ai nostri azionisti, di crescita organica e di disponibilità di investimenti per questo Paese e per gli altri in cui siamo presenti.
Ricordatevi che noi dieci anni fa avevamo una quota del 75 per cento del mercato nazionale, mentre oggi abbiamo il 25 per cento e siamo comunque ancora i più efficienti e i più bravi. Scusate l'immodestia.
Vengo al discorso, molto complesso, del nucleare. Esso serve anche perché è meno costoso. Ha un costo importante nel suo costo fisso, nella costruzione dell'impianto, poiché costa cinque volte più di un impianto a ciclo combinato: anziché costare 700 milioni, costa 4-4,5 miliardi di euro. Il vantaggio, però, è che il costo variabile pesa soltanto per il 7-8 per cento. Quando voi sommate il costo fisso, che si ammortizza a 60 anni, e il costo variabile, che è pari a solo l'8 per cento, ottenete un costo che oscilla tra 50 e 60 euro a megawattora.
Se svolgeste lo stesso ragionamento con il ciclo combinato a gas - poi vengo al motivo per cui il gas costa di più - oggi avreste un costo fisso molto più basso, probabilmente un quinto di quello di una centrale nucleare, ma con un costo variabile


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che peserebbe per il 70 per cento del costo. Se il prezzo del gas aumenta del 100 per cento, quindi, il prezzo dell'energia aumenta almeno del 70 per cento. Se il costo dell'uranio aumentasse del 100 per cento, il costo dell'energia aumenterebbe, invece, soltanto dell'8 per cento. Il confronto è tra 50-60 euro del nucleare rispetto ai 70-80 euro del ciclo combinato a gas. In mezzo c'è il carbone, che è molto simile al nucleare in termini di costo.
Per questa ragione insisto nel sostenere che dobbiamo produrre un po' di nucleare. Il Governo parla del 25 per cento e noi ci prefiggiamo di arrivare al 12 per cento. Se si potesse, ben volentieri faremmo di più, aprendoci al contributo di altri operatori, che siano anche nostri concorrenti. Vogliamo attuare un progetto del Paese, non soltanto per l'ENEL, ma come struttura industriale del Paese. Ci apriamo, quindi, anche agli altri operatori, ai grandi consumatori, e ai grandi clienti.
In cambio chiediamo che ci sia la certezza dei tempi, che dipende da decisioni delle Autorità, il riconoscimento del cosiddetto costo stranded. Se, alla fine, cambia il Governo e si decide di non voler più attivare il nucleare, se noi spendiamo soldi, che qualcuno paghi il conto! Non sarebbe colpa dell'ENEL. È già successo: abbiamo deciso nel 1987 di abbandonare il nucleare e abbiamo dovuto introdurre, perciò, la componente A3 della bolletta con il costo di quell'investimento. Io credo che sia stata una scelta sciagurata. L'investimento è stato coperto dai cittadini italiani.
Chiediamo, quindi, il riconoscimento dei costi eventualmente bloccati, perché la scelta può cambiare, e un mercato di lungo termine per poter vendere l'energia con la logica del lungo termine, dal momento che questo impianto è di lungo termine. Il vantaggio economico è evidente, sempre senza considerare l'ulteriore aggravio che altri impianti, producendo anidride carbonica, dovrebbero sopportare per poter funzionare, vista la necessità di dover ridurre le emissioni, come ricordate, per via delle imposizioni europee.
Torno al concetto del fotovoltaico e delle rinnovabili. Il CIP6 è una realtà che, per fortuna o per disgrazia, a seconda dei punti di vista, si sta riducendo quasi a zero e che terminerà. L'ENEL, sostanzialmente, non ne ha beneficiato, mentre ne hanno beneficiato i suoi concorrenti. Sono piuttosto sereno, quindi, nell'affermare che ha avuto un senso quando, per la decisione presa di abbandonare il nucleare, i concorrenti dell'ENEL - allora c'erano la Edison e poche municipalizzate - si sono messi a investire nel ciclo combinato a gas e sono stati incentivati a farlo. Ha avuto un senso storico e non è compito mio riprendere l'argomento. Certamente le assimilate sono state introdotte nella legge da questo Parlamento e non dall'ENEL.
Il punto che, invece, mi sembra importante è che le tecnologie rinnovabili, come ho posto in evidenza nelle conclusioni formulate, siano accompagnate, fintanto che non si arriva alla cosiddetta parità di rete, cioè quando il costo di generazione non sarà uguale a quello dell'equivalente nucleare o a carbone o a gas.
Vi sottopongo un tema, che sta emergendo a livello europeo, ed è importante anche per noi: tutti i Paesi, come l'Italia, sono partiti di gran carriera, aprendo il grande bancomat rappresentato dal sistema di incentivazioni per compiere gli investimenti. Quando si vedono arrivare tante richieste di investimenti, significa che c'è un succulento piatto su cui gli investitori riescono a guadagnare.
Graduare ancora una volta non significa tagliare braccia e mani allo sviluppo della tecnologia, ma rendere ragionevolmente produttivo, economico e conveniente investire in essa. Altri Paesi, in questo momento, stanno compiendo questa scelta, come la Spagna e la Francia. La Francia ha bloccato tutto, la Spagna ha fermato questo livello di incentivi, proprio per consentire un più equilibrato, ma sempre evidentemente conveniente per gli investitori, sviluppo della tecnologia, cui vogliamo partecipare anche noi.
La tendenza che va affermandosi lentamente in Europa, visto che anche i


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tedeschi si rendono conto che hanno investito 40 miliardi di euro per produrre soltanto il 2 per cento dell'energia attraverso il fotovoltaico, è quella di consentire una politica europea che vada a permettere all'operatore di scegliersi non il migliore sistema di incentivi, ma la migliore risorsa.
Se nel Sud Europa c'è più sole che in Germania, che si attivino più impianti solari nel Sud Europa rispetto alla Germania e magari in Germania sia sfrutti di più l'eolico, visto che c'è più vento. La qualità della risorsa deve far premio sullo shopping del migliore incentivo.
Il decreto legislativo sul fotovoltaico c'è, ma ci dovrà essere un nuovo decreto per il nuovo conto energia. Su quello dovete lavorare perché sia interessante per gli investitori e proficuo per lo sviluppo della tecnologia.
La tecnologia evolve, ma non so come e quando. Tutti ci stiamo lavorando. L'impianto di produzione di pannelli che noi vogliamo attivare è un po' più avanti, ed è parte di un movimento graduale, che a fine anno entrerà in produzione.
Così come per il nucleare, non si può affermare che domani mattina arriverà la quarta o la quinta generazione o la trasmutazione dei corpi, come in Star Trek. Nessuno è in grado di poterlo prevedere. I maggiori consensi sono nel senso di ritenere che saranno necessari una trentina di anni o una quarantina d'anni per riuscire a realizzare un progetto alternativo alla fissione, che oggi è il sistema prevalente. Che cosa facciamo: aspettiamo i quarant'anni per vedere se ha successo oppure non è giusto e corretto, invece, cominciare a muoverci adesso con le tecnologie esistenti sicure, affidabili e poco costose?
Occorrono scelte che sicuramente vadano nella direzione dello sviluppo di tecnologie innovative, ma, non potendo aspettare l'esito di questi mirabolanti progressi scientifici, credo che sia corretto lavorare oggi su ciò che abbiamo.
Noi stiamo cercando di arrivare alla fusione fredda e partecipiamo a programmi di centri di eccellenza mondiale per questo tema, anche cofinanziando alcuni progetti, però non ci siamo ancora arrivati. In natura esiste per un miliardesimo di secondo, ma si avrà bisogno di miliardi di anni per stabilizzare tale funzione. Per questo motivo è importante parteciparvi, ma è altrettanto fondamentale per noi lavorare allo sviluppo della tecnologia esistente.
Non arriveremo mai, infatti, a essere autosufficienti se importiamo l'86 per cento di energia. Dipenderemo sempre da qualcuno. Se, però, riuscissimo a continuare la politica di diversificazione del rischio, aumentando e bilanciando con altre tecnologie quelle prevalenti oggi, ridurremmo l'impatto, anche attraverso investimenti in infrastrutture, quindi con il ciclo produttivo da chilocalorie, dai Paesi produttori a noi, con tubazioni e impianti di rigassificazione. Noi cerchiamo di farlo, ma, poi il comune di Agrigento si è messo di traverso. Vinceremo anche questa battaglia, ma avremmo già dovuto far partire il progetto e siamo tre anni in ritardo.
I ritardi, come quello sul nucleare, si accumulano, ma non siamo ancora fuori tempo massimo. Comunque i nostri ingegneri continuano a lavorare e a prepararci tutto ciò che è necessario per poter partire quando ci sarà il via. Se entro l'anno si riuscisse a completare la parte relativa alle amministrazioni, se si riuscisse ad arrivare ad avere piena funzionalità dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, credo che sarà ancora possibile oggi arrivare ad avere la prima centrale nucleare entro il 2020, come era previsto originariamente.
Con riferimento alle altre domande formulate, cerco di arrivare al concetto di fondo, ossia che tutte le tecnologie sono necessarie e che nessuna da sola può dare la risposta. Abbiamo bisogno di spingere in direzione di promuovere tutte le tecnologie e per poterlo fare abbiamo investimenti disponibili.
Ricordo che noi investiamo in Italia 11 miliardi su 30 miliardi di euro complessivi, ma sono 11 miliardi di un mercato in cui noi oggi abbiamo il 25 per cento di produzione. Siamo ancora convinti di dover spingere in tale direzione, perché abbiamo


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debolezze che dobbiamo curare. Per questo motivo vogliamo attivare un nuovo impianto a carbone e mettere in esercizio impianti nucleari.
Nei 30 miliardi di euro che vi ho citato, che sono gli investimenti da oggi al 2015, figurava una componente molto modesta, perché in tale periodo saremo dentro casa a elaborare i disegni e i progetti e non ancora a cantierare. La cantierizzazione inizierà possibilmente nel 2014-2015 e, quindi, il grosso dei costi saranno sostenuti dal 2015 al 2020.
Comunque, 11 miliardi su 30 sono una cifra notevole, avendo solo il 25 per cento della quota di mercato, perché spingiamo ancora molto sul carbone e sull'efficienza energetica con investimenti nelle reti di distribuzione. Vi ricordo che le reti di distribuzione italiane sono le più efficienti al mondo. Abbiamo interruzioni medie, calcolate dall'autorità indipendente, di 42 minuti. Abbiamo ridotto del 40 per cento la componente costo-distribuzione per tutti i nostri clienti, grazie anche all'attività del regolatore, che ci spinge ad essere efficienti, investendo, però, ogni anno un miliardo di euro nell'ammodernamento della rete elettrica. Sono spese che vengono attuate in Italia e con l'Italia. Il contatore è italiano e, se lo portiamo in Spagna, portiamo una parte del lavoro italiano, così come portiamo i nostri ingegneri e le nostre ditte a lavorare sui nostri investimenti, che siano in Sud America o nell'Europa dell'est.
Quello descritto mi sembra il valore di un'azienda che ha il senso civico di essere un buon cittadino in tutti i Paesi che la ospitano, siano essi la Russia, il Cile, il Messico o la Spagna. Lo sentiamo come un dovere morale, oltre che per fare impresa in maniera corretta. Soprattutto, esso spinge la frontiera tecnologica un po' più in là e ha bisogno di tempi, di capitali, e di una finanza che consenta di remunerare in maniera soddisfacente un milione e mezzo di azionisti e di usare fondi per sviluppare le proprie tecnologie. Questo è ciò che ENEL fa tutti i giorni, grazie anche al vostro sostegno.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Conti. È stata un'audizione estremamente utile, una delle migliori che io ricordi nella mia, ormai lunga, carriera parlamentare. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dall'amministratore delegato di ENEL Spa, Fulvio Conti (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,10.

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